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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE MORETTI ET BENEDETTI c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 1
Articoli: 41, 34, 35, 08
Numero: 16318/07/2010
Stato: Italia
Data: 2010-04-27 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Eccezione preliminare considerata, ratione personae,; Eccezione preliminare respinta (non-esaurimento delle vie di ricorso interne); Parzialmente inammissibile; Violazione dell’art. 8; danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA MORETTI E BENEDETTI C. ITALIA
( Richiesta no 16318/07)
SENTENZA
STRASBURGO
27 aprile 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Moretti e Benedetti c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popoviæ, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e dai Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 23 marzo 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 16318/07) diretta contro la Repubblica italiana e in cui due cittadini di questo Stato, i Sigg. L. M. e M. B. B. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 13 aprile 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da L. M. B., avvocato a Milano. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo coagente, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 29 gennaio 2009, il presidente della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, la camera ha deciso che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il primo richiedente, il Sig. L. M., ed la seconda richiedente, M. B. B., sono una coppia sposata di nazionalità italiana. Sono nati nel 1966 e nel 1959 e risiedono a Lugo di Ravenna. Dinnanzi alla Corte, affermano di agire anche a nome di A. (qui di seguito “il terzo richiedente”), una piccola bambina di nazionalità italiana, nata il 18 aprile 2004 e residente attualmente in Italia. I primi due richiedenti hanno firmato delle procure a favore di L. M. B., avvocato a Milano, affinché rappresentasse i loro interessi dinnanzi alla Corte. Nessuna procura è stata firmata, né dalla terza richiedente, né dai suoi genitori adottivi.
5. Dopo la sua nascita, A. restò qualche tempo all’ospedale perché presentava dei disturbi di astinenza a causa della tossicodipendenza della sua madre biologica. Questa smise di occuparsi di lei alcuni giorni dopo averla messa al mondo.
6. Con un decreto urgente del 20 maggio 2004, il tribunale per i minori di Venezia aprì un procedimento teso a dichiarare la bambina adottabile ed ordinò il suo collocamento all’assistenza pubblica. A. fu posta presso il domicilio dei richiedenti. Previsto per un periodo di 5 mesi, 3 giugno 2004 – 3 novembre 2004, il collocamento fu prorogato fino al dicembre 2005.
7. I richiedenti vivevano con la loro figlia ed un bambino adottato dal primo richiedente alcuni anni prima. Avevano accolto già provvisoriamente dei bambini che erano stati adottati poi da altre famiglie.
8. Il 26 ottobre 2004, i richiedenti indirizzarono un0istanza di adozione speciale al tribunale dei minori di Venezia.
9. Il 16 dicembre 2004, la madre biologica, i genitori prossimi ed i richiedenti furono sentiti dal tribunale.
10. All’età di sette mesi, A. fu iscritta in un nido d’infanzia.
11. Nel gennaio 2005, la famiglia dei richiedenti andò in Brasile in vacanza.
12. Il 7 marzo 2005, il tribunale dichiarò la bambina adottabile. Il 15 marzo 2005, non avendo ricevuto alcuna risposta alla loro istanza di adozione speciale introdotta il 26 ottobre 2004, i richiedenti indirizzarono una nuova richiesta di adozione speciale al tribunale dei minori di Venezia.
13. Il 9 giugno 2005, la madre biologica fece opposizione alla dichiarazione di adottabilità della bambina. Con una decisione del 4 luglio 2005, il tribunale respinse l’opposizione della madre biologica.
14. Il 30 novembre 2005, due giudici andarono a casa dei richiedenti per ascoltarli. L’obiettivo di questo incontro era di chiedere ai richiedenti di aiutare A. ad inserirsi nella nuova famiglia adottiva scelta dal tribunale.
15. Il 7 dicembre 2005, il tribunale dei minori autorizzò i contatti con la nuova famiglia scelta per l’adozione. Vietava ogni contatto tra la famiglia scelta ed i richiedenti. Il 19 dicembre 2005, affidò la custodia di A. ad una nuova famiglia ai fini dell’adozione. Questa decisione non fu notificata ai richiedenti.
16. Lo stesso giorno, A. fu allontanata dal domicilio dei richiedenti, con l’aiuto della forza pubblica.
17. Il 21 dicembre 2005, i richiedenti investirono il tribunale dei minori di Venezia. Si lamentavano di non avere mai ricevuto alcuna risposta alla loro istanza di adozione del marzo 2005, e di non essere stati informati del procedimento di adozione di A. . Chiedevano di potere riannodare i contatti con A.
18. Lo stesso giorno, il tribunale archiviò l’istanza di adozione dei richiedenti al motivo che nel frattempo, un’altra famiglia era stata scelta per la bambina.
19. Con un decreto del 3 gennaio 2006, il tribunale respinse la seconda istanza dei richiedenti al motivo che la scelta della nuova famiglia era nell’interesse superiore della bambina.
20. Il 6 aprile 2006, i richiedenti interposero appello al decreto dinnanzi alla corte di appello di Venezia.
21. Con una sentenza del 19 maggio 2006, la corte di appello annullò il decreto del tribunale, rilevando in particolare un difetto di motivazione. Per di più, la corte sottolineò che l’istanza di adozione dei richiedenti avrebbe dovuto essere esaminata prima di dichiarare la bambina adottabile e di scegliere una nuova famiglia. Di conseguenza, la corte incaricò un perito di verificare la relazione tra la minore ed i richiedenti e le sue integrazioni nella nuova famiglia.
22. Il 27 ottobre 2006, dopo avere rilevato che la bambina esprimeva un attaccamento alle due coppie in causa, la corte di appello respinse il ricorso dei richiedenti al motivo che, secondo il rapporto del perito, la minore sembrava ben integrata nella nuova famiglia, e che così, per salvaguardare i suoi interessi, non era opportuno procedere ad una nuova separazione che avrebbe potuto provocare un trauma per la bambina.
23. L’adozione di A. diventò definitiva in una data non precisata.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
24. La legge no 184 del 4 maggio 1983 aveva modificato già ampiamente la materia dell’adozione. È stata emendata da allora di nuovo, legge no 149 di 2001.
L’articolo 1 di questa legge contempla che “il minore ha il diritto ad essere educato nella sua propria famiglia.”
Secondo l’articolo 2, “il minore che è restato senza un ambiente familiare adeguato temporaneamente può essere affidato ad un’altra famiglia, se possibile comprendente dei bambini minorenni, o ad una persona sola, o ad una comunità di tipo familiare, per garantirgli la sussistenza, l’educazione e l’istruzione. Nel caso in cui un collocamento familiare adeguato non fosse possibile, è permesso porre il minore in un istituto di assistenza pubblica o privata, di preferenza nella regione di residenza del minore.”
L’articolo 5 contempla che la famiglia o la persona alla quale il minore è affidato devono garantirgli la sussistenza, l’educazione e l’istruzione tenuto conto delle indicazioni del tutore ed osservando le prescrizioni dell’autorità giudiziale. In ogni caso, la famiglia di accoglimento esercita la responsabilità parentale per ciò che riguarda i rapporti con la scuola ed il servizio sanitario nazionale. La famiglia di accoglimento deve essere sentita nel procedimento di collocamento e in quello concernente la dichiarazione di adottabilità.
Peraltro, l’articolo 7 contempla che l’adozione è possibile a favore dei minore dichiarati adottabili.
L’articolo 8 contempla che possono essere dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale dei minori, anche d’ ufficio, (…) i minori in situazione di abbandono perché privi di ogni assistenza giuridica o patrimoniale da parte dei genitori o della famiglia incaricati di provvedervi, salvo se la mancanza di assistenza è dovuta da forza di causa maggiore di carattere transitorio.” “La situazione di abbandono rimane”, prosegue l’articolo 8, “(…) anche se i minori si trovano in un istituto di assistenza o se sono stati posti presso una famiglia.” Infine, questa disposizione contempla che la causa di forza maggiore cessa se i genitori o altri membri della famiglia del minore incaricati di provvedervi rifiutano le misure di assistenza pubblica e se questo rifiuto è considerato dal giudice come ingiustificato. La situazione di abbandono può essere segnalata all’autorità pubblica da ogni individuo e può essere rilevata d’ ufficio dal giudice. D’altra parte, ogni funzionario pubblico, così come la famiglia del minore che hanno cognizione dello stato di abbandono di questo ultimo, sono obbligati a farne denuncia. Gli istituti di assistenza devono informare peraltro, regolarmente l’autorità giudiziale della situazione dei minori che accolgono (articolo 9).
L’articolo 10 contempla poi che il tribunale può ordinare, fino al collocamento pre-adottivo del minore nella famiglia di accoglimento, ogni misura temporanea nell’interesse del minore, ivi compresa, all’occorrenza, la sospensione dell’autorità parentale.
Gli articoli 11 a 14 contemplano un’istruzione tesa a chiarire la situazione del minore ed a stabilire se questo ultimo si trova in un stato di abbandono. In particolare, l’articolo 11 dispone che quando, durante l’inchiesta, risulta che il bambino non ha rapporti con nessun membro da parte sua fino al quarto grado, può dichiarare lo stato di adottabilità salvo se esiste un’istanza di adozione ai sensi dell’articolo 44.
Al termine del procedimento previsto da questi ultimi articoli, se lo stato di abbandono ai sensi dell’articolo 8 persiste, il tribunale dei minori dichiara il minorenne adottabile se: a) i genitori o gli altri membri della famiglia non si sono presentati durante il procedimento; b) il loro ascolto ha dimostrato la persistenza della mancanza di assistenza giuridica e patrimoniale così come l’incapacità degli interessati a provvedere a lui; c) le prescrizioni imposte in applicazione dell’articolo 12 non sono state eseguite per colpa dei genitori (articolo 15). L’articolo 15 contempla anche che la dichiarazione di stato di adottabilità viene pronunciata dal tribunale dei minori riunendosi in camera del consiglio con decisione motivata, dopo avere ascoltato il pubblico ministero, il rappresentante dell’istituto nel quale il minore è stato posto o della sua eventuale famiglia di accoglimento, il tutore ed il minore stesso se ha più di dodici anni o, se è più giovane, se il suo ascolto è necessario.
L’articolo 17 contempla che l’opposizione alla decisione che dichiara un minorenne adottabile deve essere depositata entro trenta giorni a partire dalla data della comunicazione alla parte richiedente.
L’articolo 19 contempla che durante lo stato di adottabilità, l’esercizio dell’autorità parentale viene sospeso.
L’articolo 20 contempla infine che lo stato di adottabilità cessa nel momento in cui il minore è adottato o se questo ultimo diventa maggiore. Peraltro, lo stato di adottabilità può essere revocato, d’ufficio o su richiesta dei genitori o del pubblico ministero, se le condizioni previste dall’articolo 8 sono sparite nel frattempo. Però, se il minore è stato posto in una famiglia in vista dell’adozione (“affidamento preadottivo”) ai sensi degli articoli 22 a 24, lo stato di adottabilità non può essere revocato.
L’articolo 44 contempla certi casi di adozione speciale: l’adozione è possibile a favore dei minore che non sono stati dichiarati ancora adottabili. In particolare l’articolo 44 d) contempla l’adozione quando è impossibile procedere ad un collocamento in vista dell’adozione.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
25. Sotto l’angolo dell’articolo 8, i richiedenti stimano che l’applicazione erronea della legge e delle regole di procedura ha provocato un’ingerenza illegittima nella loro vita privata e familiare.
26. I richiedenti si lamentano, inoltre, della violazione degli articoli 6 e 13, al motivo che il procedimento non sarebbe stato equo e che non avrebbero beneficiato di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale.
27. Padrona della qualifica giuridica dei fatti della causa, la Corte stima appropriato esaminare i motivi di appello sollevati dai richiedenti unicamente sotto l’angolo dell’articolo 8 che esige che il processo decisionale che arriva a delle misure di ingerenza sia equo e rispetti, come si deve, gli interessi protetti da questa disposizione (Havelka ed altri c. Repubblica ceca, no 23499/06, §§ 34-35, 21 giugno 2007; Kutzner c. Germania, no 46544/99, § 56, CEDH 2002-I; Wallová e Walla c. Repubblica ceca, no 23848/04, § 47, 26 ottobre 2006).
L’articolo 8 della Convenzione dispone così nelle sue parti pertinenti:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui. “
A. Sull’ammissibilità
1. Sulla questione di sapere se i primi due richiedenti possono rappresentare gli interessi di A. dinnanzi alla Corte
a) Argomenti delle parti
28. Secondo il Governo, i richiedenti non possono rappresentare la bambina dinnanzi alla Corte. Ricorda che A. è rappresentata già a livello nazionale da un tutore che è intervenuto nel procedimento dinnanzi alla corte di appello. Secondo l’articolo 357 del codice civile, il tutore rappresenta il bambino e gestisce i suoi beni.
29. In conclusione, la richiesta presentata a nome di A. dai due primi richiedenti che difende il loro proprio interesse e non quello del bambino, sarebbe, per questa parte, incompatibile ratione materiae.
30. I primi due richiedenti contestano la tesi del Governo.
31. Affermano che se è vero che i due primi richiedenti non sono i genitori biologici di A. e non hanno nessuna autorità parentale su di lei, il loro locus standi in virtù della Convenzione deriva da un legame de facto col minore che ha un carattere intenso e consolidato.
Peraltro, gli organi della Convenzione avrebbero riconosciuto la possibilità, per un minore, di agire direttamente dinnanzi ad essi, tramite un avvocato designato dal minore stesso o da una persona che agisce nel suo interesse.
b) Valutazione della Corte
32. La Corte ricorda che conviene evitare un approccio restrittivo o puramente tecnico per ciò che riguarda la rappresentanza dei bambini dinnanzi agli organi della Convenzione; in particolare, bisogna tenere conto dei legami tra i bambini riguardati ed i suoi “rappresentanti”, dell’oggetto e dello scopo della richiesta così come dell’ eventuale esistenza di un conflitto di interessi (S.D, D.P, e T. c. Regno Unito, no 23715/94, decisione della Commissione del 20 maggio 1996, non pubblicata).
33. Nel presente caso, la Corte osserva innanzitutto che i due primi richiedenti non esercitano nessuna autorità parentale su A., non sono i suoi tutori e non hanno nessun legame biologico con lei. Il procedimento teso ad ottenere l’adozione di A. non è arrivato a nessun risultato. A. è stata adottata da un’altra famiglia. Nessuna procura è stata firmata a favore dei due primi richiedenti affinché gli interessi di A. siano rappresentati da loro dinnanzi alla Corte. Questo implica che i due primi richiedenti non possiedono, da un punto di vista giuridico, le qualifiche necessarie per rappresentare gli interessi del minore nella cornice di un procedimento giudiziale.
34. In più, la Corte nota che nel procedimento interno la minore era rappresentata da un tutore.
35. In queste circostanze, la Corte stima che i due primi richiedenti non hanno requisito per agire dinnanzi alla Corte per conto di A. Questa parte della richiesta deve essere respinta dunque come incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione, ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 di questa.
2. Sull’eccezione preliminare derivata dal non-esaurimento delle vie di ricorso interne
a) Argomenti delle parti
36. Il Governo eccepisce del non-esaurimento delle vie di ricorso interne al motivo che i richiedenti non sono ricorsi in cassazione contro la sentenza della corte di appello di Venezia in virtù dell’articolo 56 della legge no 184 del 1983.
37. Secondo i richiedenti un ricorso in cassazione non avrebbe avuto nessuno effetto. Il ricorso dinnanzi alla corte di appello era l’unica via di ricorso per ovviare alla violazione, tenuto conto del fatto che la Corte di cassazione non si sarebbe potuta pronunciare su un procedimento di adozione che era oramai finito.
Del resto, i richiedenti ricordano che la giurisprudenza della Corte di cassazione era molto divisa sul punto di sapere se era possibile ricorre in cassazione contro un decreto di rigetto di un’istanza di adozione.
b) Valutazione della Corte
38. La Corte non è convinta degli argomenti del Governo. Ricorda che incombe sul Governo che eccepisce del non-esaurimento dei ricorsi interni di dimostrare che un ricorso effettivo era disponibile tanto in teoria che in pratica all’epoca dei fatti, cioè che era accessibile, era suscettibile di offrire ai richiedenti il risarcimento dei loro motivi di appello e presentava delle prospettive ragionevoli di successo (V. c. Regno Unito [GC], no 24888/94, § 57, CEDH 1999-IX). Nota da prima che la corte di appello aveva annullato il decreto del tribunale rilevando in particolare un difetto di motivazione. Di conseguenza, aveva incaricato un perito di verificare la relazione tra la minore ed i richiedenti e la sua integrazione nella nuova famiglia. Dopo avere studiato le conclusioni del perito, per salvaguardare gli interessi della bambina, la corte di appello aveva stimato che non era opportuno procedere ad una nuova separazione che avrebbe potuto provocare un trauma alla bambina.
38. Alla luce di ciò che precede e senza prendere in considerazione il fatto che la giurisprudenza della Corte di cassazione era molto divisa sul punto di sapere se era possibile ricorrere in cassazione contro il decreto di rigetto di un’istanza di adozione, la Corte considera che nel caso di specie, un eventuale ricorso in cassazione non avrebbe avuto per effetto di risanare i motivi di appello dei richiedenti. Difatti, tenuto conto del fatto che i mezzi di ricorso presentati dai richiedenti avrebbero riguardato essenzialmente il merito della causa, la Corte di Cassazione avrebbe dichiarato il ricorso inammissibile.
39. Di conseguenza l’eccezione di non-esaurimento delle vie di ricorso interne del Governo non potrebbe essere considerata.
3. Sull’esistenza di un legame tra i richiedenti ed A. costitutivo di una “vita familiare”, ai sensi dell’articolo 8 § 1 della Convenzione
a) Argomenti delle parti
40. Il Governo considera a titolo principale che l’articolo 8 della Convenzione non si applica alla situazione dei richiedenti che non potrebbero avvalersi dell’esistenza di una “vita familiare”, suscettibile di essere protetta dalla disposizione precitata. In appoggio alla sua tesi, sottolinea che il diritto di adottare non figura, in quanto tale, nel numero dei diritti garantiti dalla Convenzione e che l’articolo 8 non obbliga gli Stati ad accordare ad una determinata persona lo statuto di adottante o di adottato. Peraltro, ricorda che il diritto al rispetto della vita familiare presuppone l’esistenza di una famiglia e non protegge il semplice desiderio di fondarne una.
41. Il Governo ricorda che, nel caso di specie, i richiedenti avevano accolto provvisoriamente la bambina ed erano perfettamente coscienti del compito che era stato affidato loro dalle autorità. Il fatto di accogliere provvisoriamente la bambina non dava loro un diritto all’adozione.
42. Secondo il Governo, l’esistenza di un legame puramente de facto non richiederebbe la protezione dell’articolo 8.
43. I richiedenti si oppongono alla tesi del Governo. Fanno valere che risulta dalle perizie che il legame stabilito tra loro ed A. era molto stretto e che la minore era ben integrata nella loro famiglia. Questa adozione aveva dunque per unica finalità di legalizzare questa famiglia “di fatto”.
b,) Valutazione della Corte
44. Conformemente alla sua giurisprudenza, la Corte rileva che la questione dell’esistenza o della mancanza di una “vita familiare” è da prima una questione di fatto che dipende dall’esistenza di legami personali stretti (Marckx c. Belgio, sentenza del 13 giugno 1979, serie A no 31, pp. 14 e succ.., § 31, e K. e T. c. Finlandia [GC], no 25702/94, § 150, CEDH 2001-VII).
45. La Corte ricorda che la nozione di “famiglia” sottostante all’articolo 8 non si limita alle sole relazioni fondate sul matrimonio, ma può inglobare altri legami “familiari” de facto, quando le parti coabitano all’infuori di ogni legame maritale (vedere, tra altre, Johnston ed altri c. Irlanda, sentenza del 18 dicembre 1986, serie A no 112, p. 25, § 55; Keegan c. Irlanda, sentenza del 26 maggio 1994, serie A no 290, p. 17, § 44; Kroon ed altri c. Paesi Bassi, sentenza del 27 ottobre 1994, serie A no 297-C, pp. 55 e succ.., § 30, e X, C’e Z c. Regno Unito, sentenza del 22 aprile 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-II, p. 629, § 36).
46. La Corte reitera anche il principio secondo cui i rapporti tra affini e figli adulti non beneficiano della protezione dell’articolo 8 senza che venga dimostrata “l’esistenza di elementi supplementari di dipendenza, differenti dai legami affettivi normali” (vedere, mutatis mutandis, Kwakye-Nti e Dufie c. Paesi Bassi, (dec.), no 31519/96, 7 novembre 2000).
47. Peraltro, la Corte ricorda che le disposizioni dell’articolo 8 non garantiscono né il diritto di fondare una famiglia né il diritto di adozione (E.B. c. Francia [GC], no 43546/02). Il diritto al rispetto di una “vita familiare” non protegge il semplice desiderio di fondare una famiglia; presuppone l’esistenza di una famiglia (Marckx c. Belgio, precitata, § 31) addirittura al minimo di una relazione potenziale che si sarebbe potuta sviluppare, per esempio, tra un padre naturale ed un bambino nato fuori matrimonio (Nylund c. Finlandia, (dec.), no 27110/95, CEDH 1999-VI) da una relazione nata da un matrimonio non fittizio, anche se una vita familiare non si trovava ancora pienamente consolidata (Abdulaziz, Cabale e Balkandali c. Regno Unito, sentenza del 28 maggio 1985, serie A no 94, p. 32, § 62) o ancora una relazione nata dia un’adozione legale e non fittizia (Pini ed altri c. Romania, numeri 78028/01 e 78030/01, § 148, CEDH 2004-V).
48. La Corte dunque esaminerà i legami familiari de facto, come la vita comune dei due richiedenti ed A. in mancanza di ogni rapporto giuridico di parentela tra loro( X c. Svizzera, no 8257/78, decisione della Commissione del 10 luglio 1978; Johnston ed altri c. Irlanda, precitata § 56; Giusto ed altri c. Italia,(dec.), no 38972/06, CEDH 2007-V (brani)). Si dedicherà sull’effettività della relazione tra i richiedenti ed A. difatti, la Corte stima che, nelle relazioni de facto, la determinazione del carattere familiare delle relazioni deve tenere conto di un certo numero di elementi, come il tempo vissuto insieme, la qualità delle relazioni così come il ruolo assunto dall’adulto verso il bambino.
49. La Corte nota che nel caso di specie i richiedenti hanno accolto A., all’età di un mese, nella loro famiglia. Per diciannove mesi, i richiedenti hanno vissuto con la bambina le prime tappe importanti della sua giovane vita.
50. La Corte constata anche che, durante questo tempo, A. ha vissuto con una sorella ed un fratello, questo ultimo adottato prima dal primo richiedente. Constata, inoltre, che le perizie condotte sulla famiglia mostrano che la minore era ben inserita e che era legata profondamente ai richiedenti ed ai figli di questi ultimi. I richiedenti hanno garantito anche lo sviluppo sociale della bambina. A questo riguardo, la Corte nota che all’età di sette mesi, si è abituata alla scuola d’infanzia e che nel gennaio 2005, aveva seguito i richiedenti ed i loro bambini in un viaggio in Brasile. Questi elementi bastano alla Corte per dire che esisteva tra i richiedenti e la bambina un legame personale stretto e che i richiedenti si sono comportati sotto tutti i punti di vista come i suoi genitori di modo che i “legami familiari” esistevano « de facto » tra loro (vedere, mutatis mutandis, Wagner et J.M.W.L. c. Lussemburgo, n 76240/01, § 117, CEDH 2007-VII (brani), X, C’e Z c. Regno Unito, sentenza del 22 aprile 1997, Raccolta 1997-II, fasc. 35, § 37).
51. Del resto, la Corte constata che i richiedenti avevano già accolto a titolo temporaneo dei bambini che, in seguito, sono stati adottati da altre famiglie. Tuttavia, nel caso di specie, i richiedenti, in considerazione del legame stretto con A., avevano deciso di depositare un’istanza di adozione. Questa istanza costituisce per la Corte un indizio supplementare – anche se non è determinante – della forza del legame instaurato tra i richiedenti e la bambina. La Corte non potrebbe escludere dunque che malgrado la mancanza di ogni rapporto giuridico di parentela, il legame tra i richiedenti ed A. dipende dalla vita familiare.
52. Alla luce di ciò che precede, la Corte considera che la relazione tra i richiedenti ed A. rilevano una vita familiare, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. Di conseguenza, l’eccezione del Governo deve essere respinta.
4. Conclusione
53. La Corte constata che il motivo di appello derivato dall’articolo 8 non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
a) Argomenti delle parti
54. I richiedenti stimano che l’applicazione erronea della legge e delle regole di procedura ha provocato un’ingerenza illegittima nella loro vita privata e familiare. Affermano che avevano introdotto l’istanza di adozione, in conformità con le disposizioni della legge, in ragione del legame stretto che si era stabilito con A. Tuttavia il procedimento irregolare seguito dal tribunale ha impedito che la loro istanza di adozione venisse esaminata dalle giurisdizioni. Sebbene la corte di appello abbia annullato il decreto del tribunale, non ha potuto mettere fine alla violazione nella misura in cui ha deciso, per salvaguardare gli interessi della bambina, che non era opportuno procedere ad una nuova separazione che avrebbe potuto provocare un trauma nella bambina.
55. Per di più, i richiedenti fanno valere che il perito nominato dalla corte di appello non ha stimato necessario organizzare degli incontri con A.
56. Il Governo contesta la tesi dei richiedenti. Fa valere che il tribunale ha esaminato le istanze di adozione di A. con particolare zelo. A questo riguardo, ricorda che, il 30 novembre 2005, due giudici sono andati a casa i richiedenti per ascoltarli.
Sostiene che l’ingerenza nel diritto dei richiedenti era prevista dalla legge no 184 del 1983 ed inseguiva uno scopo legittimo, ossia la protezione del minore. L’intervento del tribunale si basava su dei motivi pertinenti e sufficienti, in particolare sull’esame delle differenti istanze di adozione.
57. Secondo il Governo, il procedimento seguito dal tribunale dei minori era giustificato nell’interesse della bambina.
58. Il Governo ricorda che la Corte riconosce alle autorità una grande latitudine per valutare la necessità di prendere in carico un bambino (Gnahoré c. Francia, no 40031/98, CEDH 2000-IX) e che in materia di adozione di bambini, ha affermato che le giurisdizioni nazionali sono poste meglio per stabilire un giusto equilibrio tra gli interessi contraddittori (Söderbäck c. Svezia del 28 ottobre 1998, Raccolta 1998-VII, pp. 3095-3096, § 33).
59. Il Governo stima inoltre, che “la defaillance ” del tribunale nel rigetto dell’istanza di adozione dei richiedenti è stato riparato dalla corte di appello che si è pronunciata poi con una sentenza motivata.
b) Valutazione della Corte
60. La Corte ricorda che l’articolo 8 della Convenzione tende essenzialmente a premunire l’individuo contro le eventuali ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici; genera per di più degli obblighi positivi inerenti ad un “rispetto” effettivo della vita familiare. In un caso come nell’altro, bisogna avere precisamente riguardo all’equilibrio aa predisporre tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della società nel suo insieme. Parimenti, nelle due ipotesi, lo stato gode di un certo margine di valutazione (Keegan, precitata, p. 19, § 49, e Pini ed altri c. Romania, nuemri 78028/01 e 78030/01, § 149, CEDH 2004-V).
61. La Corte ricorda anche che la Convenzione ed i suoi Protocolli si devono interpretare alla luce delle condizioni di oggi (Marckx, precitata, § 41; Tyrer c. Regno Unito, 25 aprile 1978, § 31 serie A no 26; Airey c. Irlanda, 9 ottobre 1979, § 26, serie A no 32; Vo c. Francia [GC], no 53924/00, § 82, CEDH 2004-VIII e Mamatkoulov ed Askarov c. Turchia [GC], numeri 46827/99 e 46951/99, § 121, CEDH 2005-I). In questo contesto, la Corte ha già ricordato che il diritto all’adozione non figura in quanto tale nel numero dei diritti garantiti dalla Convenzione (vedere paragrafo 46). Ciò non esclude tuttavia che gli Stati parti alla Convenzione possano tuttavia trovarsi, in certe circostanze, nell’obbligo positivo di permettere la formazione e lo sviluppo di legami familiari (vedere, in questo senso, Keegan, precitato, § 50, Pini ed altri, precitata, §§ 150 e succ.).
62. La Corte nota che la questione principale è di sapere se l’applicazione fatta nello specifico delle disposizioni legislative ha predisposto un giusto equilibrio tra l’interesse pubblico e parecchi interessi privati concorrenti in gioco, tutti fondati sul diritto al rispetto della vita privata e familiare. Giudica quindi più appropriato esaminare i motivi di appello sollevati sotto l’angolo degli obblighi positivi (Evans c. Regno Unito [GC], no 6339/05, § 76).
63. Il margine di valutazione di cui dispongono gli Stati contraenti è in modo generale ampio quando le autorità pubbliche devono predisporre un equilibrio tra gli interessi privati e pubblici concorrenti o differenti diritti protetti dalla Convenzione. Ciò è tanto più vero quando non esiste alcun consenso in seno agli Stati membri del Consiglio dell’Europa sull’importanza relativa dell’interesse in gioco o sui migliori mezzi per proteggerlo (Evans precitata, §§ 77-81,).
64. La Corte ricorda peraltro che non ha per compito di sostituirsi alle autorità interne, ma di esaminare sotto l’angolo della Convenzione le decisioni che queste autorità hanno reso nell’esercizio del loro potere discrezionale. La Corte valuterà dunque se le autorità italiane hanno agito in incomprensione dei loro obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione( Hokkanen c. Finlandia, 23 settembre 1994, § 55, serie A no 299-ha, Mikuliÿ c. Croazia, no 53176/99, § 59, CEDH 2002-I; P., C. e S. c. Regno Unito, no 56547/00, § 122, CEDH 2002-VI).
65. La Corte constata che nello specifico, si pone il problema del procedimento di accesso all’adozione. A. fu posta difatti, provvisoriamente a casa dei richiedenti il 20 maggio 2004. La coabitazione è durata fino al dicembre 2005, quando la bambina fu posta a casa di un’altra famiglia scelta per l’adozione.
66. La Corte nota anche che nel frattempo i richiedenti avevano depositato un’istanza di adozione speciale che fu esaminata e respinta senza motivazione nel gennaio 2006. In seguito, la corte di appello annullò il decreto del tribunale, rilevando in particolare un difetto di motivazione. Sottolineò anche che l’istanza di adozione dei richiedenti avrebbe dovuto essere esaminata prima di dichiarare la bambina adottabile e di scegliere una nuova famiglia. Tuttavia, dopo avere ordinato una perizia sulla situazione della bambina, la corte stimò che la minore sembrava ben integrata nella nuova famiglia e che perciò, per salvaguardare i suoi interessi, non era opportuno procedere ad una nuova separazione che avrebbe potuto provocare un trauma nella bambina.
67. La Corte osserva che ci si trova, in questo tipo di causa, in presenza di interessi difficilmente conciliabili ossia quelli della bambina e della due famiglie in causa. Nella ricerca dell’equilibrio tra questi differenti interessi, l’interesse superiore del bambino deve essere una considerazione fondamentale.
68. La Corte ricorda che l’articolo 8, esige che il processo decisionale che arriva a delle misure di ingerenza sia equo e rispetti, come si deve, gli interessi protetti da questa disposizione. La questione che si pone nello specifico è di sapere se il procedimento che arriva a questa misura ha garantito ai richiedenti la protezione dei loro interessi. Nello specifico, era di capitale importanza che l’istanza di adozione speciale introdotta dai richiedenti venisse esaminata attentamente in un breve termine.
69. A questo riguardo, la Corte rileva che, nella sua decisione di rigetto dell’istanza di adozione introdotta dai richiedenti, il tribunale non ha spiegato per niente le sue ragioni e non ha avanzato nessun motivo per giustificare la sua decisione. In più, il tribunale non ha esaminato l’istanza di adozione dei richiedenti prima di dichiarare la bambina adottabile e di scegliere la nuova famiglia.
70. La Corte non condivide gli argomenti del Governo secondo cui la corte di appello avrebbe riparato la “defaillance del tribunale.” Ricorda che nelle cause riguardo alla vita familiare il passaggio del tempo può avere delle conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il bambino ed i genitori che non vivono con lui. Difatti, la rottura di contatto con un bambino molto giovane può condurre ad un’alterazione crescente della sua relazione con i suoi genitori (Ignaccolo-Zenide c. Romania, no 31679/96, § 102, CEDH 2000-I; vedere anche, mutatis mutandis, Sindaco c. Portogallo, no 48206/99, § 74, CEDH 2003-VI, Pini ed altri c. Romania, precitata). Ne va parimenti nella presente causa. La Corte nota che la perizia chiesta dalla corte di appello ha dimostrato che la bambina era integrata oramai nella nuova famiglia. Una nuova separazione avrebbe causato un nuovo trauma nella bambina. Ne segue che il passaggio del tempo ha avuto per effetto di rendere definitivo il decreto del tribunale. La Corte stima spiacevole che il tribunale non abbia esaminato l’istanza di adozione introdotta dai richiedenti prima di dichiarare la bambina adottabile, e di non averlo fatto con un giudizio motivato.
71. Così, pure reiterando che non le spetta sostituire la sua valutazione a quella delle autorità nazionali competenti in quanto alle misure che avrebbero dovute essere prese perché queste autorità sono in principio più meglio poste per procedere a tale valutazione, e pure riconoscendo che nello specifico, le giurisdizioni si sono applicate in buona fede a preservare il benessere di A., la Corte considera che il non rispetto da parte del tribunale della legge e delle regole di procedimento ha avuto un impatto diretto sul diritto alla vita familiare degli interessati. Per il fatto delle carenze constatate nello svolgimento di questo procedimento, la Corte stima che c’è stata un’incomprensione dell’obbligo positivo di garantire il rispetto effettivo del diritto dei richiedenti alla loro vita familiare, diritto garantito dall’articolo 8 della Convenzione. Pertanto, c’è stata violazione di questa disposizione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
72. I richiedenti affermano di avere subito dei trattamenti disumani e degradanti a causa, da una parte, delle modalità di allontanamento della minore che avrebbe avuto delle conseguenze traumatizzanti tanto per questa che per loro stessi, e, dall’altra parte, della decisione del tribunale che avrebbe preferito la nuova famiglia al posto della loro. Invocano l’articolo 3 della Convenzione che è formulata così:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
73. La Corte ricorda che le affermazioni dei cattivi trattamenti contrari all’articolo 3 devono essere supportate da elementi di prova adeguati (Güzel c. Turchia, no 71908/01, § 68, 5 dicembre 2006 Hüsniye Tekin c. Turchia, no 50971/99, § 43, 25 ottobre 2005, e Martinez Sala ed altri c. Spagna, no 58438/00, § 121, 2 novembre 2004).
74. A questo riguardo, la Corte nota che i richiedenti non hanno dimostrato che le modalità di esecuzione dell’allontanamento della bambina sono state “disumane o degradanti.”
75. Ne segue che questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
76. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
77. Il primo richiedente chiede 100 000 euro (EUR) per il danno morale che avrebbe subito. Unisce una perizia psicologica che mostra la necessità di sottoporsi a cure psicologiche a causa del trauma subito. Il secondo richiedente chiede 30 000 EUR per sé e 30 000 EUR a nome della bambina.
78. In quanto al danno patrimoniale, i richiedenti richiedono 12 732 EUR per gli oneri che hanno dovuto impegnare in occasione dei procedimenti interni. Questo importo include le somme spese per recarsi presso le giurisdizioni, gli oneri del telefono e delle visite mediche.
79. Il Governo stima che gli importi richiesti dai richiedenti a titolo delle loro proprie spese non giustificano di per sé un rimborso, perché nessun legame di causalità è stato stabilito tra le perdite supposte e le violazioni addotte. Trattandosi del danno morale, il Governo contesta la perizia prodotta dai richiedenti e considera esorbitante la somma indicata. Ad ogni modo, il Governo stima che lo stato di salute del richiedente ed il suo legame di causalità con la separazione da A. dovrebbe essere stabilito da un perito nominato dalla Corte.
80. Per ciò che riguarda le pretese dei richiedenti per danno patrimoniale, è stabilito nella giurisprudenza della Corte che deve avere un legame di causalità manifesta tra il danno addotto dal richiedente e la violazione della Convenzione (vedere, tra altre, le sentenze Barberà, Messegué e Jabardo c. Spagna (articolo 50), 13 giugno 1994, serie A no 285-C, pp. 57-58, §§ 16-20; Çakıcı c. Turchia [GC], no 23657/94, § 127, CEDH 1999-IV). Nello specifico, la Corte stima che non c’è legame di causalità tra lq constatazione di violazione e gli oneri di spostamento impegnati dai richiedenti per partecipare al procedimento interno a cui avrebbero partecipato in ogni modo, così come per le chiamate telefoniche. In quanto agli altri oneri, la Corte non scopre nessun legame tra la violazioni constatata della Convenzione e le visite mediche del richiedente. Stima che, in queste condizioni, non c’è luogo di assegnare la somma chiesta dai richiedenti per danno patrimoniale.
81. Trattandosi delle pretese a titolo del danno morale, la Corte stima che non si potrebbe speculare sulla questione di sapere se, in mancanza delle deficienze procedurali constatate, A. sarebbe stata o meno adottata da un’altra famiglia. I richiedenti hanno tuttavia per questo fatto subito una perdita di probabilità. Peraltro, il dolore provato dai richiedenti ha provocato loro un danno morale certo che la constatazione di violazione della Convenzione non basta a compensare (vedere, per esempio, Elsholz c. Germania [GC], no 25735/94, §§ 70-71, CEDH 2000-VIII, e P. C. e S. c. Regno Unito, precitata, § 150).
82. Deliberando in equità, la Corte assegna congiuntamente ai richiedenti 10 000 EUR.
B. Oneri e spese
83. I richiedenti chiedono il rimborso degli oneri e delle spese esposte nella cornice dei procedimenti dinnanzi alle giurisdizioni italiane, o 9 862 EUR. Chiedono inoltre 10 000 EUR a titolo degli oneri afferenti al procedimento dinnanzi alla Corte. Forniscono dei giustificativi a sostegno delle loro pretese.
84. In quanto agli oneri impegnati dinnanzi alle giurisdizioni interne, la Corte rileva che, sebbene almeno una parte di questi oneri sia stata esposta per fare correggere la violazione dell’articolo 8 della Convenzione, le note di parcella prodotte non indicano in dettaglio la natura delle prestazioni dell’avvocato dei richiedenti.
85. Per ciò che riguarda gli oneri incorsi dinnanzi a lei, la Corte giudica eccessiva la somma chiesta dai richiedenti.
86. In queste condizioni la Corte, deliberando in equità ed avuto riguardo alla pratica in materia degli organi della Convenzione, stima ragionevole assegnare ai richiedenti la somma di 5 000 EUR.
C. Interessi moratori
87. La Corte giudica appropriato di ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti di percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Stabilisce, all’unanimità, che i due primi richiedenti non hanno requisito per agire dinnanzi alla Corte per conto di A.;
2. Dichiara, alla maggioranza, la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 8;
3. Dichiara, all’unanimità, la richiesta inammissibile per il surplus;
4. Stabilisce, per sei voci contro una, che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
5 Stabilisce, all’unanimità,
a) che lo stato convenuto deve versare congiuntamente ai due primi richiedenti, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
ii. 10 000 EUR (diecimila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
iii. 5 000 EUR (cinquemila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dai richiedenti, per oneri e spese;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
6 respinge, all’unanimità, la richiesta di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese poi comunicato per iscritto il 27 aprile 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione delle seguenti opinioni separate:
-opinione concordante del giudice Cabral Barreto;
-opinione dissidente del giudice Işıl KARAKAŞ.
F.T.
F.E.P.

OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE CABRAL BARRETO
Sono d’ accordo con la maggioranza ma desidero dissociarmi del ragionamento che segue al paragrafo 51. Dice questo:
“Tuttavia, nel caso di specie, i richiedenti, in considerazione del legame stretto con A., avevano deciso di depositare un’istanza di adozione. Questa istanza costituisce per la Corte un indizio supplementare – anche se non è determinante – della forza del legame instaurato tra i richiedenti e la bambino. La Corte non potrebbe escludere dunque che malgrado la mancanza di ogni rapporto giuridico di parentela, il legame tra i richiedenti ed A. dipende dalla vita familiare” (sono io che sottolineo).
Se comprendo bene la maggioranza, esisterebbero dei “legami familiari” tra una famiglia di accoglimento ed il bambino. Se è proprio questo ciò che vuole dire la maggioranza, mi sembra che vada molto lontano.
Per me, i legami interpersonali stretti tra i richiedenti e la bambina non bastano a trasformare qualitativamente questo rapporto. I bambini sono affidati ad una famiglia di accoglimento in attesa che si trovi loro una famiglia. Né questo scopo né l’interesse superiore del bambino richiedono di considerare il rapporto tra il bambino e le famiglie di accoglimento come un legame familiare.
Tuttavia, nel caso di specie, ad un dato momento i richiedenti hanno fatto un’istanza di adozione della bambina.
Per la maggioranza, questo indizio non è determinante; per me, è determinante e decisivo.
Se i richiedenti non avessero chiesto di adottare la bambina, non si differenzierebbero per niente dalle altre famiglie di accoglimento che ricevono dei bambini non per intrattenere dei rapporti familiari ma semplicemente per occuparsi di questi bambini, se possibile con molta tenerezza ed anche amore, ma senza intenzione di fondare con loro una famiglia.
In breve, senza l’istanza di adozione che rivela che i richiedenti hanno voluto accogliere la bambina come membro della loro famiglia, farei fatica ad ammettere che la relazione tra i richiedenti ed A. dipendesse dalla vita familiare.

OPINIONE DISSIDENTE DEL GIUDICE KARAKAŞ
Contrariamente alla maggioranza, stimo che, nel caso di specie, l’articolo 8 della Convenzione non è applicabile e, di conseguenza, che non c’è stata violazione di questo articolo. Avuto riguardo ai rapporti tra i richiedenti e la bambina A., penso che non si può parlare nello specifico dell’esistenza di una vita familiare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione.
Secondo la giurisprudenza della Corte, il diritto al rispetto della vita familiare presuppone l’esistenza di una famiglia naturale o legittima, ma allo stesso tempo di una vita familiare effettiva (Marckx c. Belgio, 13 giugno 1979, § 31, serie A no 31).
In materia di adozione, bisogna ricordare che la Convenzione non garantisce nessun diritto di adottare e l’articolo 8 non obbliga gli Stati ad accordare ad una persona lo statuto di adottante o di adottato (Di Lazzaro c. Italia, no 31924/96, decisione della Commissione del 10 luglio 1997, Decisioni e rapporti, (DR, 90-B, p,). 134). Il solo desiderio di fondare una famiglia, in particolare tramite adozione, non è protetto dall’articolo 8 della Convenzione a titolo della vita familiare (Marckx, precitata, § 31, Abdulaziz, Cabale e Balkandali c. Regno Unito, 28 maggio 1985, § 62, serie A no 94).
Nel caso di specie, la maggioranza trova, al paragrafo 50 della sentenza, che esisteva tra i richiedenti e la bambina A. un legame interpersonale stretto, basandosi su alcuni elementi, la minore era ben inserita nella famiglia, i richiedenti avevano garantito lo sviluppo sociale della bambina perché l’avevano mandata alla nido ed avevano fatto un viaggio con la bambina. Alla fine, i richiedenti hanno deciso di depositare un’istanza di adozione, il che costituisce per la maggioranza un indizio-anche se non è determinante – della forza del legame instaurato tra i richiedenti e la bambina (paragrafo 51).
Questi elementi non bastano ai miei occhi affinché si possa concludere all’esistenza di una relazione sufficientemente forte da analizzarsi come una vita familiare, tanto che, per me, agendo così i richiedenti hanno assolto il ruolo e le responsabilità che erano loro dovuti in quanto famiglia di accoglimento (vedere, in particolare, la parte “diritto interno”, al paragrafo 24 della sentenza).
Innanzitutto, non hanno ottenuto l’adozione di A.; non si può parlare dunque di una relazione tra un adottante ed un adottato che è in principio pari alle relazioni familiari protette dall’articolo 8 (Pini ed altri c. Romania, numeri 78028/01 e 78030/01, § 140, CEDH 2004-V; vedere anche gli altri riferimenti che vi sono citati). Nel caso di specie, i richiedenti rappresentavano una famiglia di accoglimento che aveva la custodia del bambino a titolo transitorio. Non avevano anche la custodia del bambino in vista dell’adozione, ma hanno accolto semplicemente provvisoriamente A. in seguito all’offerta dei servizi sociali durante un procedimento che doveva permettere di dichiarare la bambina adottabile. Sono le giurisdizioni interne che decidono di ogni misura opportuna nell’interesse superiore del bambino.
Siccome i richiedenti garantivano provvisoriamente l’accoglimento di A., questa situazione non poteva dare loro nessun diritto o vantaggio ai fini dell’adozione; dire il contrario significherebbe ammettere che le persone che accolgono provvisoriamente dei bambini hanno eventualmente la precedenza in caso di adozione. Ora le giurisdizioni interne devono valutare le istanze di adozione presentate da altre famiglie che danno la precedenza all’interesse superiore del bambino.
La protezione del bambino è ben più importante del desiderio dei richiedenti di adottarlo, tanto che, secondo la pratica, A. è molto bene integrata nella sua nuova famiglia e che non sarebbe giudizioso procedere ad una nuova separazione che potrebbe causarle un trauma (paragrafo 22 della sentenza).
Ai miei occhi, il semplice legame di fatto stabilito tra i richiedenti e la bambina ed il desiderio che avevano i richiedenti di adottare questa, non erano sufficienti affinché si potesse concludere all’esistenza di una vita familiare che meritava la protezione dell’articolo 8 della Convenzione.
Del resto, le relazioni di tipo familiare sono state considerate, secondo l’approccio tradizionale degli organi della Convenzione, come rientranti nel campo di applicazione della vita privata (vedere, per esempio, D.J ed A. – K.R. c. Romania (dec), no 34175/05, 20 ottobre 2009, §§ 82, 83 e 88; X. c. Svizzera, no 8257/78, decisione della Commissione del 10 luglio 1978, DR 13, p. 248). Alla luce di questo principio ed avuto riguardo alle cure portate ad A. dai richiedenti, così come all’attaccamento di cui si avvalgono, non sarebbe stato più opportuno piuttosto esaminare le conseguenze della loro separazione sotto l’angolo della vita privata dei richiedenti?
Concernente la violazione dell’articolo 8, nella sua giurisprudenza la Corte riconosce alle autorità interne un ampio margine di valutazione per valutare la necessità di prendere in carico un bambino (Gnahoré c. Francia, no 40031/98, CEDH 2000-IX) e, in materia di adozione di bambini, stima che le giurisdizioni interne sono poste meglio del giudice internazionale per stabilire un giusto equilibrio tra gli interessi contraddittori (Söderbäck c. Svezia, 28 ottobre 1998, § 33, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-VII).
La Corte non dovrebbe sostituire la sua visione delle cose a quella delle giurisdizioni nazionali, salvo se le misure in causa si rivelano manifestamente prive di base ragionevole o arbitraria. Nel caso di specie, è vero che l’istanza di adozione dei richiedenti è stata respinta senza motivazione dal tribunale. Ma condivido perfettamente l’argomento del Governo secondo cui questa lacuna è stata riparata dalla corte di appello che, dopo un esame complementare, in particolare una perizia psichiatrica, ha confermato il rigetto dell’istanza dei richiedenti con una decisione motivata, nell’interesse superiore del bambino.
Quindi, secondo me, lo stato convenuto non è mancato ai suoi obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione.

Testo Tradotto

Conclusion Exception préliminaire retenue (ratione personae) ; Exception préliminaire rejetée (non-épuisement des voies de recours internes) ; Partiellement irrecevable ; Violation de l’art. 8 ; Préjudice moral – réparation
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE MORETTI ET BENEDETTI c. ITALIE
(Requête no 16318/07)
ARRÊT
STRASBOURG
27 avril 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Moretti et Benedetti c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş, juges,
et de Françoise Elens-Passos, greffière adjointe de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 23 mars 2010,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette dernière date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 16318/07) dirigée contre la République italienne et dont deux ressortissants de cet Etat, MM. L. M. et M. B. B. (« les requérants »), ont saisi la Cour le 13 avril 2007 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérants sont représentés par Me L. M. B., avocate à Milan. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, Mme E. Spatafora, et par son coagent, M. N. Lettieri.
3. Le 29 janvier 2009, le président de la deuxième section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Se prévalant de l’article 29 § 3 de la Convention, la chambre a décidé que seraient examinés en même temps la recevabilité et le bien-fondé de l’affaire.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
4. Le premier requérant, M. L. M., et la deuxième requérante, M. B. B., sont un couple marié de nationalité italienne. Ils sont nés en 1966 et 1959 et résident à Lugo di Ravenna. Devant la Cour, ils affirment agir aussi au nom de A. (ci-après « la troisième requérante »), une petite fille de nationalité italienne, née le 18 avril 2004 et résidant actuellement en Italie. Les deux premiers requérants ont signé des procurations en faveur de Me L. M. B., avocate à Milan, afin qu’elle représente leurs intérêts devant la Cour. Aucune procuration n’a été signée, ni par la troisième requérante, ni par ses parents adoptifs.
5. Après sa naissance, A. resta quelque temps à l’hôpital parce qu’elle présentait des troubles d’abstinence à cause de la toxicomanie de sa mère biologique. Celle-ci cessa de s’occuper d’elle quelques jours après l’avoir mise au monde.
6. Par un décret urgent du 20 mai 2004, le tribunal pour enfants de Venise ouvrit une procédure visant à déclarer l’enfant adoptable et ordonna son placement à l’assistance publique. A. fut placée dans le foyer des requérants. Prévu pour une période de 5 mois (3 juin 2004 – 3 novembre 2004), le placement fut prorogé jusqu’en décembre 2005.
7. Les requérants vivaient avec leur fille et un enfant adopté par la première requérante quelques années auparavant. Ils avaient déjà accueilli des enfants à titre provisoire, qui ensuite avaient été adoptés par d’autres familles.
8. Le 26 octobre 2004, les requérants adressèrent une demande d’adoption spéciale au tribunal pour enfants de Venise.
9. Le 16 décembre 2004, la mère biologique, les parents proches et les requérants furent entendus par le tribunal.
10. A l’âge de sept mois, A. fut inscrite à la crèche.
11. En janvier 2005, la famille des requérants se rendit au Brésil en vacances.
12. Le 7 mars 2005, le tribunal déclara l’enfant adoptable. Le 15 mars 2005, n’ayant pas reçu de réponse à leur demande d’adoption spéciale introduite le 26 octobre 2004, les requérants adressèrent une nouvelle demande d’adoption spéciale au tribunal pour enfants de Venise.
13. Le 9 juin 2005, la mère biologique fit opposition à la déclaration d’adoptabilité de l’enfant. Par une décision du 4 juillet 2005, le tribunal rejeta l’opposition de la mère biologique.
14. Le 30 novembre 2005, deux juges se rendirent chez les requérants pour les entendre. L’objectif de cette rencontre était de demander aux requérants d’aider A. à s’insérer dans la nouvelle famille adoptive choisie par le tribunal.
15. Le 7 décembre 2005, le tribunal pour enfants autorisa les contacts avec la nouvelle famille choisie pour l’adoption. Il interdit tout contact entre la famille choisie et les requérants. Le 19 décembre 2005, il confia la garde de A. à une nouvelle famille aux fins de l’adoption. Cette décision ne fut pas notifiée aux requérants.
16. Le même jour, A. fut éloignée du foyer des requérants, avec l’aide de la force publique.
17. Le 21 décembre 2005, les requérants saisirent le tribunal pour enfants de Venise. Ils se plaignaient de n’avoir jamais reçu de réponse à leur demande d’adoption de mars 2005, et de n’avoir pas été mis au courant de la procédure d’adoption de A. Ils demandaient à pouvoir renouer les contacts avec A.
18. Le même jour, le tribunal classa la demande d’adoption des requérants au motif qu’entre-temps, une autre famille avait été choisie pour l’enfant.
19. Par un décret du 3 janvier 2006, le tribunal rejeta la deuxième demande des requérants au motif que le choix de la nouvelle famille était dans l’intérêt supérieur de l’enfant.
20. Le 6 avril 2006, les requérants interjetèrent appel du décret devant la cour d’appel de Venise.
21. Par un arrêt du 19 mai 2006, la cour d’appel annula le décret du tribunal, relevant notamment un défaut de motivation. De surcroît, la cour souligna que la demande d’adoption des requérants aurait dû être examinée avant de déclarer l’enfant adoptable et de choisir une nouvelle famille. Par conséquent, la cour chargea un expert de vérifier la relation entre la mineure et les requérants et son intégration dans la nouvelle famille.
22. Le 27 octobre 2006, après avoir relevé que l’enfant manifestait de l’attachement aux deux couples en cause, la cour d’appel rejeta le recours des requérants au motif que, selon le rapport de l’expert, la mineure semblait bien intégrée dans la nouvelle famille, et qu’ainsi, pour sauvegarder ses intérêts, il n’était pas opportun de procéder à une nouvelle séparation qui aurait pu provoquer un traumatisme chez l’enfant.
23. L’adoption d’A. devint définitive à une date non précisée.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
24. La loi no 184 du 4 mai 1983 avait déjà amplement modifié la matière de l’adoption. Elle a depuis lors été amendée de nouveau (loi no 149 de 2001).
L’article 1 de cette loi prévoit que « le mineur a le droit à être éduqué dans sa propre famille ».
Selon l’article 2, « le mineur qui est resté temporairement sans un environnement familial adéquat peut être confié à une autre famille, si possible comprenant des enfants mineurs, ou à une personne seule, ou à une communauté de type familial, afin de lui assurer la subsistance, l’éducation et l’instruction. Au cas où un placement familial adéquat ne serait pas possible, il est permis de placer le mineur dans un institut d’assistance public ou privé, de préférence dans la région de résidence du mineur ».
L’article 5 prévoit que la famille ou la personne à laquelle le mineur est confié doivent lui assurer la subsistance, l’éducation et l’instruction (…) compte tenu des indications du tuteur et en observant les prescriptions de l’autorité judiciaire. Dans tous les cas, la famille d’accueil exerce la responsabilité parentale en ce qui concerne les rapports avec l’école et le service sanitaire national. La famille d’accueil doit être entendue dans la procédure de placement et celle concernant la déclaration d’adoptabilité.
Par ailleurs, l’article 7 prévoit que l’adoption est possible au bénéfice des mineurs déclarés adoptables.
L’article 8 prévoit que « peuvent être déclarés en état d’adoptabilité par le tribunal pour enfants, même d’office, (…) les mineurs en situation d’abandon car dépourvus de toute assistance morale ou matérielle de la part des parents ou de la famille tenus d’y pourvoir, sauf si le manque d’assistance est dû à une cause de force majeure de caractère transitoire ». « La situation d’abandon subsiste », poursuit l’article 8, « (…) même si les mineurs se trouvent dans un institut d’assistance ou s’ils ont été placés auprès d’une famille ». Enfin, cette disposition prévoit que la cause de force majeure cesse si les parents ou d’autres membres de la famille du mineur tenus de s’en occuper refusent les mesures d’assistance publique et si ce refus est considéré par le juge comme injustifié. La situation d’abandon peut être signalée à l’autorité publique par tout particulier et peut être relevée d’office par le juge. D’autre part, tout fonctionnaire public, ainsi que la famille du mineur, qui ont connaissance de l’état d’abandon de ce dernier, sont obligés d’en faire la dénonciation. Par ailleurs, les instituts d’assistance doivent informer régulièrement l’autorité judiciaire de la situation des mineurs qu’ils accueillent (article 9).
L’article 10 prévoit ensuite que le tribunal peut ordonner, jusqu’au placement pré-adoptif du mineur dans la famille d’accueil, toute mesure temporaire dans l’intérêt du mineur, y compris, le cas échéant, la suspension de l’autorité parentale.
Les articles 11 à 14 prévoient une instruction visant à éclaircir la situation du mineur et à établir si ce dernier se trouve dans un état d’abandon. En particulier, l’article 11 dispose que lorsque, au cours de l’enquête, il ressort que l’enfant n’a de rapports avec aucun membre de sa jusqu’au quatrième degré, il peut déclarer l’état d’adoptabilité sauf s’il existe une demande d’adoption au sens de l’article 44.
A l’issue de la procédure prévue par ces derniers articles, si l’état d’abandon au sens de l’article 8 persiste, le tribunal des mineurs déclare le mineur adoptable si : a) les parents ou les autres membres de la famille ne se sont pas présentés au cours de la procédure ; b) leur audition a démontré la persistance du manque d’assistance morale et matérielle ainsi que l’incapacité des intéressés à y remédier ; c) les prescriptions imposées en application de l’article 12 n’ont pas été exécutées par la faute des parents (article 15). L’article 15 prévoit également que la déclaration d’état d’adoptabilité est prononcée par le tribunal des mineurs siégeant en chambre du conseil par décision motivée, après avoir entendu le ministère public, le représentant de l’institut auprès duquel le mineur a été placé ou de son éventuelle famille d’accueil, le tuteur et le mineur lui-même s’il est âgé de plus de douze ans ou, s’il est plus jeune, si son audition est nécessaire.
L’article 17 prévoit que l’opposition à la décision déclarant un mineur adoptable doit être déposée dans un délai de trente jours à partir de la date de la communication à la partie requérante.
L’article 19 prévoit que pendant l’état d’adoptabilité, l’exercice de l’autorité parentale est suspendu.
L’article 20 prévoit enfin que l’état d’adoptabilité cesse au moment où le mineur est adopté ou si ce dernier devient majeur. Par ailleurs, l’état d’adoptabilité peut être révoqué, d’office ou sur demande des parents ou du ministère public, si les conditions prévues par l’article 8 ont entre-temps disparu. Cependant, si le mineur a été placé dans une famille en vue de l’adoption (“affidamento preadottivo”) au sens des articles 22 à 24, l’état d’adoptabilité ne peut pas être révoqué.
L’article 44 prévoit certains cas d’adoption spéciale : l’adoption est possible au bénéfice des mineurs qui n’ont pas encore été déclarés adoptables. En particulier l’article 44 d) prévoit l’adoption quand il est impossible de procéder à un placement en vue de l’adoption.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 8 DE LA CONVENTION
25. Sous l’angle de l’article 8, les requérants estiment que l’application erronée de la loi et des règles de procédure a entraîné une ingérence illégitime dans leur vie privée et familiale.
26. Les requérants se plaignent, en outre, de la violation des articles 6 et 13, au motif que la procédure n’aurait pas été équitable et qu’ils n’auraient pas bénéficié d’un recours effectif devant une instance nationale.
27. Maîtresse de la qualification juridique des faits de la cause, la Cour estime approprié d’examiner les griefs soulevés par les requérants uniquement sous l’angle de l’article 8, lequel exige que le processus décisionnel débouchant sur des mesures d’ingérence soit équitable et respecte, comme il se doit, les intérêts protégés par cette disposition (Havelka et autres c. République tchèque, no 23499/06, §§ 34-35, 21 juin 2007 ; Kutzner c. Allemagne, no 46544/99, § 56, CEDH 2002-I ; Wallová et Walla c. République tchèque, no 23848/04, § 47, 26 octobre 2006).
L’article 8 de la Convention dispose ainsi dans ses parties pertinentes :
« 1. Toute personne a droit au respect de sa vie (…) familiale (…).
2. Il ne peut y avoir ingérence d’une autorité publique dans l’exercice de ce droit que pour autant que cette ingérence est prévue par la loi et qu’elle constitue une mesure qui, dans une société démocratique, est nécessaire (…) à la protection de la santé ou de la morale, ou à la protection des droits et libertés d’autrui. »
A. Sur la recevabilité
1. Sur la question de savoir si les deux premiers requérants peuvent représenter les intérêts de A. devant la Cour
a) Arguments des parties
28. Selon le Gouvernement, les requérants ne peuvent pas représenter l’enfant devant la Cour. Il rappelle que A. est déjà représentée au niveau national par un tuteur qui est intervenu dans la procédure devant la cour d’appel. Selon l’article 357 du code civil, le tuteur représente l’enfant et gère ses biens.
29. En conclusion, la requête présentée au nom de A. par les deux premiers requérants, qui défendent leur propre intérêt et non celui de l’enfant, serait, pour cette partie, incompatible ratione materiae.
30. Les deux premiers requérants contestent la thèse du Gouvernement.
31. Ils affirment que s’il est vrai que les deux premiers requérants ne sont pas les parents biologiques de A. et n’ont aucune autorité parentale sur elle, leur locus standi en vertu de la Convention dérive d’un lien de facto avec la mineure ayant un caractère intense et consolidé.
Par ailleurs, les organes de la Convention auraient reconnu la possibilité, pour un mineur, d’agir directement devant eux, par l’intermédiaire d’un avocat désigné par le mineur lui-même ou par une personne agissant dans son intérêt.
b) Appréciation de la Cour
32. La Cour rappelle qu’il convient d’éviter une approche restrictive ou purement technique en ce qui concerne la représentation des enfants devant les organes de la Convention ; en particulier, il faut tenir compte des liens entre l’enfant concerné et ses « représentants », de l’objet et du but de la requête ainsi que de l’existence éventuelle d’un conflit d’intérêts (S.D., D.P., et T. c. Royaume-Uni, no 23715/94, décision de la Commission du 20 mai 1996, non publiée).
33. En la présente espèce, la Cour observe tout d’abord que les deux premiers requérants n’exercent aucune autorité parentale sur A., ne sont pas ses tuteurs et n’ont aucun lien biologique avec elle. La procédure visant à obtenir l’adoption de A. n’a pas abouti. A. a été adoptée par une autre famille. Aucune procuration n’a été signée en faveur des deux premiers requérants pour que les intérêts de A. soient représentés par eux devant la Cour. Ceci implique que les deux premiers requérants ne possèdent pas, d’un point de vue juridique, les qualifications nécessaires pour représenter les intérêts de la mineure dans le cadre d’une procédure judiciaire.
34. De plus, la Cour note que dans la procédure interne la mineure était représentée par un tuteur.
35. Dans ces circonstances, la Cour estime que les deux premiers requérants n’ont pas qualité pour agir devant la Cour pour le compte de A. Cette partie de la requête doit donc être rejetée comme étant incompatible ratione personae avec les dispositions de la Convention, au sens de l’article 35 §§ 3 et 4 de celle-ci.
2. Sur l’exception préliminaire tirée du non-épuisement des voies de recours internes
a) Arguments des parties
36. Le Gouvernement excipe du non-épuisement des voies de recours internes au motif que les requérants ne se sont pas pourvus en cassation contre l’arrêt de la cour d’appel de Venise en vertu de l’article 56 de la loi no 184 de 1983.
37. Selon les requérants un recours en cassation n’aurait eu aucun effet. Le recours devant la cour d’appel était la seule voie de recours pour remédier à la violation, compte tenu de ce que la Cour de cassation n’aurait pas pu se prononcer sur une procédure d’adoption qui était désormais terminée.
Au demeurant, les requérants rappellent que la jurisprudence de la Cour de cassation était très partagée sur le point de savoir s’il était possible de se pourvoir en cassation contre un décret de rejet d’une demande d’adoption.
b) Appréciation de la Cour
38. La Cour n’est pas convaincue par les arguments du Gouvernement. Elle rappelle qu’il incombe au Gouvernement excipant du non-épuisement des recours internes de démontrer qu’un recours effectif était disponible tant en théorie qu’en pratique à l’époque des faits, c’est-à-dire qu’il était accessible, était susceptible d’offrir aux requérants la réparation de leurs griefs et présentait des perspectives raisonnables de succès (V. c. Royaume-Uni [GC], no 24888/94, § 57, CEDH 1999-IX). Elle note d’abord que la cour d’appel avait annulé le décret du tribunal en relevant notamment un défaut de motivation. Par conséquent, elle avait chargé un expert de vérifier la relation entre la mineure et les requérants et son intégration dans la nouvelle famille. Après avoir étudié les conclusions de l’expert, afin de sauvegarder les intérêts de l’enfant, la cour d’appel avait estimé qu’il n’était pas opportun de procéder à une nouvelle séparation qui aurait pu provoquer un traumatisme chez l’enfant.
38. A la lumière de ce qui précède et sans prendre en considération le fait que la jurisprudence de la Cour de cassation était très partagée sur le point de savoir s’il était possible se pourvoir en cassation contre le décret de rejet d’une demande d’adoption, la Cour considère que dans le cas d’espèce, un éventuel recours en cassation n’aurait pas eu pour effet de redresser les griefs des requérants. En effet, compte tenu de ce que les moyens de recours présentés par les requérants auraient porté essentiellement sur le fond de l’affaire, la Cour de Cassation aurait déclaré le recours irrecevable.
39. Par conséquent l’exception de non-épuisement des voies de recours internes du Gouvernement ne saurait être retenue.
3. Sur l’existence d’un lien entre les requérants et A. constitutif d’une « vie familiale », au sens de l’article 8 § 1 de la Convention
a) Arguments des parties
40. Le Gouvernement considère à titre principal que l’article 8 de la Convention ne s’applique pas à la situation des requérants qui ne sauraient se prévaloir de l’existence d’une « vie familiale », susceptible d’être protégée par la disposition précitée. A l’appui de sa thèse, il souligne que le droit d’adopter ne figure pas, en tant que tel, au nombre des droits garantis par la Convention et que l’article 8 n’oblige pas les Etats à accorder à une personne déterminée le statut d’adoptant ou d’adopté. Par ailleurs, il rappelle que le droit au respect de la vie familiale présuppose l’existence d’une famille et ne protège pas le simple désir d’en fonder une.
41. Le Gouvernement rappelle que, dans le cas d’espèce, les requérants avaient accueilli l’enfant à titre provisoire et étaient parfaitement conscients de la tâche qui leur avait été confiée par les autorités. Le fait d’accueillir l’enfant à titre provisoire ne leur donnait pas un droit à l’adoption.
42. Selon le Gouvernement, l’existence d’un lien purement de facto n’entraînerait pas la protection de l’article 8.
43. Les requérants s’opposent à la thèse du Gouvernement. Ils font valoir qu’il ressort des expertises que le lien établi entre eux et A. était très étroit et que la mineure était bien intégrée dans leur famille. Cette adoption avait donc pour unique finalité de légaliser cette famille « de fait ».
b) Appréciation par la Cour
44. Conformément à sa jurisprudence, la Cour relève que la question de l’existence ou de l’absence d’une « vie familiale » est d’abord une question de fait, qui dépend de l’existence de liens personnels étroits (Marckx c. Belgique, arrêt du 13 juin 1979, série A no 31, pp. 14 et suiv., § 31, et K. et T. c. Finlande [GC], no 25702/94, § 150, CEDH 2001-VII).
45. La Cour rappelle que la notion de « famille » visée par l’article 8 ne se borne pas aux seules relations fondées sur le mariage, mais peut englober d’autres liens « familiaux » de facto, lorsque les parties cohabitent en dehors de tout lien marital (voir, entre autres, Johnston et autres c. Irlande, arrêt du 18 décembre 1986, série A no 112, p. 25, § 55 ; Keegan c. Irlande, arrêt du 26 mai 1994, série A no 290, p. 17, § 44 ; Kroon et autres c. Pays-Bas, arrêt du 27 octobre 1994, série A no 297-C, pp. 55 et suiv., § 30, et X, Y et Z c. Royaume-Uni, arrêt du 22 avril 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-II, p. 629, § 36).
46. La Cour réitère également le principe selon lequel les rapports entre parents et enfants adultes ne bénéficient pas de la protection de l’article 8 sans que soit démontrée « l’existence d’éléments supplémentaires de dépendance, autres que les liens affectifs normaux » (voir, mutatis mutandis, Kwakye-Nti et Dufie c. Pays-Bas (déc.), no 31519/96, 7 novembre 2000).
47. Par ailleurs, la Cour rappelle que les dispositions de l’article 8 ne garantissent ni le droit de fonder une famille ni le droit d’adopter (E.B. c. France [GC], no 43546/02). Le droit au respect d’une « vie familiale » ne protège pas le simple désir de fonder une famille ; il présuppose l’existence d’une famille (Marckx c. Belgique, précité, § 31), voire au minimum d’une relation potentielle qui aurait pu se développer, par exemple, entre un père naturel et un enfant né hors mariage (Nylund c. Finlande (déc.), no 27110/95, CEDH 1999-VI ), d’une relation née d’un mariage non fictif, même si une vie familiale ne se trouvait pas encore pleinement établie (Abdulaziz, Cabales et Balkandali c. Royaume-Uni, arrêt du 28 mai 1985, série A no 94, p. 32, § 62), ou encore d’une relation née d’une adoption légale et non fictive (Pini et autres c. Roumanie, nos 78028/01 et 78030/01, § 148, CEDH 2004-V).
48. La Cour examinera donc les liens familiaux de facto, tels que la vie commune des deux requérants et A. en l’absence de tout rapport juridique de parenté entre eux (X c. Suisse, no 8257/78, décision de la Commission du 10 juillet 1978 ; Johnston et autres c. Irlande, précité § 56 ; Giusto et autres c. Italie (déc.), no 38972/06, CEDH 2007-V (extraits)). Elle se penchera sur l’effectivité de la relation entre les requérants et A. En effet, la Cour estime que, dans les relations de facto, la détermination du caractère familial des relations doit tenir compte d’un certain nombre d’éléments, comme le temps vécu ensemble, la qualité des relations ainsi que le rôle assumé par l’adulte envers l’enfant.
49. La Cour note que dans le cas d’espèce les requérants ont accueilli A., âgée d’un mois, dans leur famille. Pendant dix – neuf mois, les requérants ont vécu avec l’enfant les premières étapes importantes de sa jeune vie.
50. La Cour constate également que, pendant ce temps, A. a vécu avec une sœur et un frère, ce dernier adopté auparavant par la première requérante. Elle constate, en outre, que les expertises conduites sur la famille montrent que la mineure y était bien insérée et qu’elle était profondément attachée aux requérants et aux enfants de ces derniers. Les requérants ont également assuré le développement social de l’enfant. A cet égard, la Cour note qu’à l’âge de sept mois, elle s’est habituée à la crèche et qu’en janvier 2005, elle avait suivi les requérants et leurs enfants dans un voyage au Brésil. Ces éléments suffisent à la Cour pour dire qu’il existait entre les requérant et l’enfant un lien interpersonnel étroit et que les requérants se comportaient à tous égards comme ses parents de sorte que des « liens familiaux » existaient « de facto » entre eux (voir, mutatis mutandis, Wagner et J.M.W.L. c. Luxembourg, n 76240/01, § 117, CEDH 2007-VII (extraits), X, Y et Z c. Royaume-Uni, arrêt du 22 avril 1997, Recueil 1997-II, fasc. 35, § 37).
51. Au demeurant, la Cour constate que les requérants avaient déjà accueilli à titre temporaire des enfants qui, par la suite, ont été adoptés par d’autres familles. Toutefois, dans le cas d’espèce, les requérants, en considération du lien étroit avec A., avaient décidé de déposer une demande d’adoption. Cette demande constitue pour la Cour un indice supplémentaire – même s’il n’est pas déterminant – de la force du lien instauré entre les requérants et l’enfant. La Cour ne saurait donc exclure que malgré l’absence de tout rapport juridique de parenté, le lien entre les requérants et A. relève de la vie familiale.
52. A la lumière de ce qui précède, la Cour considère que la relation entre les requérants et A. relève de la vie familiale, au sens de l’article 8 de la Convention. Par conséquent, l’exception du Gouvernement doit être rejetée.
4. Conclusion
53. La Cour constate que le grief tiré de l’article 8 n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
a) Arguments des parties
54. Les requérants estiment que l’application erronée de la loi et des règles de procédure a entraîné une ingérence illégitime dans leur vie privée et familiale. Ils affirment qu’ils avaient introduit la demande d’adoption, en conformité avec les dispositions de la loi, en raison du lien étroit qui s’était établi avec A. Toutefois, la procédure irrégulière suivie par le tribunal a empêché que leur demande d’adoption soit examinée par les juridictions. Bien que la cour d’appel ait annulé le décret du tribunal, elle n’a pas pu mettre fin à la violation dans la mesure où elle a décidé, afin de sauvegarder les intérêts de l’enfant, qu’il n’était pas opportun de procéder à une nouvelle séparation qui aurait pu provoquer un traumatisme chez l’enfant.
55. De surcroît, les requérants font valoir que l’expert nommé par la cour d’appel n’a pas estimé nécessaire organiser des rencontres avec A.
56. Le Gouvernement conteste la thèse des requérants. Il fait valoir que le tribunal a examiné les demandes d’adoption de A. avec une diligence particulière. A cet égard, il rappelle que, le 30 novembre 2005, deux juges se sont rendus chez les requérants afin de les entendre.
Il soutient que l’ingérence dans le droit des requérants était prévue par la loi no 184 de 1983 et poursuivait un but légitime, à savoir la protection de l’enfant. L’intervention du tribunal se fondait sur des motifs pertinents et suffisants, notamment sur l’examen des différentes demandes d’adoption.
57. Selon le Gouvernement, la procédure suivie par le tribunal pour enfants était justifiée dans l’intérêt de l’enfant.
58. Le Gouvernement rappelle que la Cour reconnaît aux autorités une grande latitude pour apprécier la nécessité de prendre en charge un enfant (Gnahoré c. France, no 40031/98, CEDH 2000-IX) et qu’en matière d’adoption d’enfants, elle a affirmé que les juridictions nationales sont mieux placées pour établir un juste équilibre entre les intérêts contradictoires (Söderbäck c. Suède du 28 octobre 1998, Recueil 1998-VII, pp. 3095-3096, § 33).
59. Le Gouvernement estime en outre, que « la défaillance » du tribunal dans le rejet de la demande d’adoption des requérants a été réparée par la cour d’appel, qui s’est ensuite prononcée par un arrêt motivé.
b) Appréciation par la Cour
60. La Cour rappelle que l’article 8 de la Convention tend pour l’essentiel à prémunir l’individu contre d’éventuelles ingérences arbitraires des pouvoirs publics ; il engendre de surcroît des obligations positives inhérentes à un « respect » effectif de la vie familiale. Dans un cas comme dans l’autre, il faut avoir égard au juste équilibre à ménager entre les intérêts concurrents de l’individu et de la société dans son ensemble. De même, dans les deux hypothèses, l’Etat jouit d’une certaine marge d’appréciation (Keegan, précité, p. 19, § 49, et Pini et autres c. Roumanie, nos 78028/01 et 78030/01, § 149, CEDH 2004-V).
61. La Cour rappelle aussi que la Convention et ses Protocoles doivent s’interpréter à la lumière des conditions d’aujourd’hui (Marckx, précité, § 41 ; Tyrer c. Royaume-Uni, 25 avril 1978, § 31 série A no 26 ; Airey c. Irlande, 9 octobre 1979, § 26, série A no 32; Vo c. France [GC], no 53924/00, § 82, CEDH 2004-VIII et Mamatkoulov et Askarov c. Turquie [GC], nos 46827/99 et 46951/99, § 121, CEDH 2005-I). Dans ce contexte, la Cour a déjà rappelé que le droit à l’adoption ne figure pas en tant que tel au nombre des droits garantis par la Convention (voir paragraphe 46). Cela n’exclut toutefois pas que les Etats parties à la Convention puissent néanmoins se trouver, dans certaines circonstances, dans l’obligation positive de permettre la formation et le développement de liens familiaux (voir, dans ce sens, Keegan, précité, § 50, Pini et autres, précité, §§ 150 et suiv.).
62. La Cour note que la question principale est de savoir si l’application faite en l’espèce des dispositions législatives a ménagé un juste équilibre entre l’intérêt public et plusieurs intérêts privés concurrents en jeu, tous fondés sur le droit au respect de la vie privée et familiale. Elle juge dès lors plus approprié d’examiner les griefs soulevés sous l’angle des obligations positives (Evans c. Royaume-Uni [GC], no 6339/05, § 76).
63. La marge d’appréciation dont disposent les Etats contractants est de façon générale ample lorsque les autorités publiques doivent ménager un équilibre entre les intérêts privés et publics concurrents ou différents droits protégés par la Convention. Cela est d’autant plus vrai lorsqu’il n’existe pas de consensus au sein des Etats membres du Conseil de l’Europe sur l’importance relative de l’intérêt en jeu ou sur les meilleurs moyens de le protéger (Evans précité, §§ 77-81).
64. La Cour rappelle par ailleurs qu’elle n’a pas pour tâche de se substituer aux autorités internes, mais d’examiner sous l’angle de la Convention les décisions que ces autorités ont rendues dans l’exercice de leur pouvoir discrétionnaire. La Cour appréciera donc si les autorités italiennes ont agi en méconnaissance de leurs obligations positives découlant de l’article 8 de la Convention (Hokkanen c. Finlande, 23 septembre 1994, § 55, série A no 299-A, Mikuliÿ c. Croatie, no 53176/99, § 59, CEDH 2002-I ; P., C. et S. c. Royaume-Uni, no 56547/00, § 122, CEDH 2002-VI).
65. La Cour constate qu’en l’espèce, se pose le problème de la procédure d’accès à l’adoption. En effet, A. fut placée chez les requérants à titre provisoire le 20 mai 2004. La cohabitation a duré jusqu’en décembre 2005, lorsque l’enfant fut placé chez une autre famille choisie pour l’adoption.
66. La Cour note également qu’entre-temps les requérants avaient déposé une demande d’adoption spéciale, laquelle fut examinée et rejetée sans motivation en janvier 2006. Par la suite, la cour d’appel annula le décret du tribunal, relevant notamment un défaut de motivation. Elle souligna également que la demande d’adoption des requérants aurait dû être examinée avant de déclarer l’enfant adoptable et de choisir une nouvelle famille. Toutefois, après avoir ordonné une expertise sur la situation de l’enfant, la cour estima que la mineure semblait bien intégrée dans la nouvelle famille et qu’en conséquence, pour sauvegarder ses intérêts, il n’était pas opportun de procéder à une nouvelle séparation qui aurait pu provoquer un traumatisme chez l’enfant.
67. La Cour observe que l’on se trouve, dans ce type d’affaire, en présence d’intérêts difficilement conciliables à savoir ceux de l’enfant et des deux familles en cause. Dans la recherche de l’équilibre entre ces différents intérêts, l’intérêt supérieur de l’enfant doit être une considération primordiale.
68. La Cour rappelle que l’article 8, exige que le processus décisionnel débouchant sur des mesures d’ingérence soit équitable et respecte, comme il se doit, les intérêts protégés par cette disposition. La question qui se pose en l’espèce est de savoir si la procédure débouchant sur cette mesure a garanti aux requérants la protection de leurs intérêts. En l’espèce, il était capital que la demande d’adoption spéciale introduite par les requérants soit examinée attentivement dans un bref délai.
69. A cet égard, la Cour relève que, dans sa décision de rejet de la demande d’adoption introduite par les requérants, le tribunal n’a nullement expliqué ses raisons et n’a avancé aucun motif pour justifier sa décision. De plus, le tribunal n’a pas examiné la demande d’adoption des requérants avant de déclarer l’enfant adoptable et de choisir la nouvelle famille.
70. La Cour ne partage pas les arguments du Gouvernement selon lesquels la cour d’appel aurait réparé la « défaillance du tribunal ». Elle rappelle que dans les affaires touchant la vie familiale le passage du temps peut avoir des conséquences irrémédiables sur les relations entre l’enfant et le parent qui ne vit pas avec lui. En effet, la rupture de contact avec un enfant très jeune peut conduire à une altération croissante de sa relation avec son parent (Ignaccolo-Zenide c. Roumanie, no 31679/96, § 102, CEDH 2000-I ; voir aussi, mutatis mutandis, Maire c. Portugal, no 48206/99, § 74, CEDH 2003-VI, Pini et autres c. Roumanie, précité). Il en va de même dans la présente affaire. La Cour note que l’expertise demandée par la cour d’appel a démontré que l’enfant était désormais intégrée dans la nouvelle famille. Une nouvelle séparation aurait causé un nouveau traumatisme chez l’enfant. Il s’ensuit que le passage du temps a eu pour effet de rendre définitif le décret du tribunal. La Cour estime regrettable que le tribunal n’ait pas examiné la demande d’adoption introduite par les requérants avant de déclarer l’enfant adoptable, et de ne pas l’avoir fait par un jugement motivé.
71. Ainsi, tout en réitérant qu’il ne lui revient pas de substituer son appréciation à celle des autorités nationales compétentes quant aux mesures qui auraient dû être prises car ces autorités sont en principe mieux placées pour procéder à une telle évaluation, et tout en reconnaissant qu’en l’espèce, les juridictions se sont appliquées de bonne foi à préserver le bien-être de A., la Cour considère que le non respect par le tribunal de la loi et des règles de procédure a eu un impact direct sur le droit à la vie familiale des intéressés. Du fait des carences constatées dans le déroulement de cette procédure, la Cour estime qu’il y a eu une méconnaissance de l’obligation positive d’assurer le respect effectif du droit des requérants à leur vie familiale, droit garanti par l’article 8 de la Convention. Partant, il y a eu violation de cette disposition.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 3 DE LA CONVENTION
72. Les requérants affirment avoir subi des traitements inhumains et dégradants à cause, d’une part, des modalités d’éloignement de la mineure, qui auraient eu des conséquences traumatisantes tant pour celle-ci que pour eux-mêmes, et, d’autre part, de la décision du tribunal, qui aurait préféré la nouvelle famille à la place de la leur. Ils invoquent l’article 3 de la Convention, qui est ainsi libellé :
« Nul ne peut être soumis à la torture ni à des peines ou traitements inhumains ou dégradants. »
73. La Cour rappelle que les allégations de mauvais traitements contraires à l’article 3 doivent être étayées par des éléments de preuve appropriés (Güzel c. Turquie, no 71908/01, § 68, 5 décembre 2006 Hüsniye Tekin c. Turquie, no 50971/99, § 43, 25 octobre 2005, et Martinez Sala et autres c. Espagne, no 58438/00, § 121, 2 novembre 2004).
74. A cet égard, la Cour note que les requérants n’ont pas démontré que les modalités d’exécution de l’éloignement de l’enfant ont été « inhumaines ou dégradantes ».
75. Il s’ensuit que ce grief est manifestement mal fondé et doit être rejeté en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
76. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
77. La première requérante demande 100 000 euros (EUR) pour le préjudice moral qu’elle aurait subi. Elle joint une expertise psychologique montrant la nécessité de se soumettre à des soins psychologiques à cause du traumatisme subi. Le deuxième requérant demande 30 000 EUR pour lui-même et 30 000 EUR au nom de l’enfant.
78. Quant au préjudice matériel, les requérants réclament 12 732 EUR pour les frais qu’ils ont dû engager à l’occasion des procédures internes. Ce montant inclut les sommes dépensées pour se rendre auprès des juridictions, les frais de téléphone et des visites médicales.
79. Le Gouvernement estime que les montants réclamés par les requérants au titre de leurs propres dépenses ne justifient pas en eux-mêmes un remboursement, car aucun lien de causalité n’a été établi entre les pertes supposées et les violations alléguées. S’agissant du dommage moral, le Gouvernement conteste l’expertise produite par les requérants et considère exorbitante la somme indiquée. En tout état de cause, le Gouvernement estime que l’état de santé de la requérante et son lien de causalité avec la séparation d’avec A. devraient être établis par un expert nommé par la Cour.
80. En ce qui concerne les prétentions des requérants pour préjudice matériel, il est établi dans la jurisprudence de la Cour qu’il doit y avoir un lien de causalité manifeste entre le dommage allégué par le requérant et la violation de la Convention (voir, entre autres, les arrêts Barberà, Messegué et Jabardo c. Espagne (article 50), 13 juin 1994, série A no 285-C, pp. 57-58, §§ 16-20 ; Çakıcı c. Turquie [GC], no 23657/94, § 127, CEDH 1999-IV). En l’espèce, la Cour estime qu’il n’y a pas de lien de causalité entre le constat de violation et les frais de déplacement engagés par les requérants pour participer à la procédure interne, à laquelle ils auraient participé de toute façon, ainsi que pour les appels téléphoniques. Quant aux autres frais, la Cour ne décèle aucun lien entre la violation constatée de la Convention et les visites médicales de la requérante. Elle estime que, dans ces conditions, il n’y a pas lieu d’allouer la somme demandée par les requérants pour préjudice matériel.
81. S’agissant des prétentions au titre du dommage moral, la Cour estime que l’on ne saurait spéculer sur la question de savoir si, en l’absence des déficiences procédurales constatées, A. aurait ou non été adoptée par une autre famille. Les requérants ont néanmoins de ce fait subi une perte de chances. Par ailleurs, la douleur éprouvée par les requérants leur a occasionné un préjudice moral certain que le constat de violation de la Convention ne suffit pas à compenser (voir, par exemple, Elsholz c. Allemagne [GC], no 25735/94, §§ 70-71, CEDH 2000-VIII, et P. C. et S. c. Royaume-Uni, précité, § 150).
82. Statuant en équité, la Cour alloue aux requérants conjointement 10 000 EUR.
B. Frais et dépens
83. Les requérants demandent le remboursement des frais et dépens exposés dans le cadre des procédures devant les juridictions italiennes, soit 9 862 EUR. Ils demandent en outre 10 000 EUR au titre des frais afférents à la procédure devant la Cour. Ils fournissent des justificatifs à l’appui de leurs prétentions.
84. Quant aux frais engagés devant les juridictions internes, la Cour relève que, bien qu’au moins une partie de ces frais ait été exposée pour faire corriger la violation de l’article 8 de la Convention, les notes d’honoraires produites n’indiquent pas en détail la nature des prestations de l’avocate des requérants.
85. En ce qui concerne les frais encourus devant elle, la Cour juge excessive la somme demandée par les requérants.
86. Dans ces conditions la Cour, statuant en équité et eu égard à la pratique des organes de la Convention en la matière, estime raisonnable d’allouer aux requérants la somme de 5 000 EUR.
C. Intérêts moratoires
87. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR,
1. Dit, à l’unanimité, que les deux premiers requérants n’ont pas qualité pour agir devant la Cour pour le compte de A. ;
2. Déclare, à la majorité, la requête recevable quant au grief tiré de l’article 8 ;
3. Déclare, à l’unanimité, la requête irrecevable pour le surplus ;
4. Dit, par six voix contre une, qu’il y a eu violation de l’article 8 de la Convention ;
5 Dit, à l’unanimité,
a) que l’Etat défendeur doit verser aux deux premiers requérants conjointement, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes :
ii. 10 000 EUR (dix mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour dommage moral ;
iii. 5 000 EUR (cinq mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par les requérants, pour frais et dépens ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
6 Rejette, à l’unanimité, la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français puis communiqué par écrit le 27 avril 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Françoise Elens-Passos Françoise Tulkens
Greffière adjointe Présidente
Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l’exposé des opinions séparées suivantes :
– opinion concordante du juge Cabral Barreto ;
– opinion dissidente de la juge Işıl KARAKAŞ.
F.T.
F.E.P.

OPINION CONCORDANTE DU JUGE CABRAL BARRETO
Je suis d’accord avec la majorité mais je souhaite me dissocier du raisonnement qu’elle suit au paragraphe 51. Elle y dit ceci :
« Toutefois, dans le cas d’espèce, les requérants, en considération du lien étroit avec A., avaient décidé de déposer une demande d’adoption. Cette demande constitue pour la Cour un indice supplémentaire – même s’il n’est pas déterminant – de la force du lien instauré entre les requérants et l’enfant. La Cour ne saurait donc exclure que malgré l’absence de tout rapport juridique de parenté, le lien entre les requérants et A. relève de la vie familiale » (c’est moi qui souligne).
Si je comprends bien la majorité, il existerait des « liens familiaux » entre une famille d’accueil et l’enfant. Si c’est bien là ce que veut dire la majorité, il me semble qu’elle va très loin.
Pour moi, les liens interpersonnels étroits entre les requérants et l’enfant ne suffisent pas à transformer qualitativement ce rapport. Les enfants sont confiés à une famille d’accueil en attendant qu’on leur trouve une famille. Ni ce but ni l’intérêt supérieur de l’enfant ne commandent de regarder le rapport entre l’enfant et la famille d’accueil comme des liens familiaux.
Toutefois, dans le cas d’espèce, à un moment donné les requérants ont fait une demande d’adoption de l’enfant.
Pour la majorité, cet indice n’est pas déterminant ; pour moi, il est déterminant et décisif.
Si les requérants n’avaient pas demandé à adopter l’enfant, ils ne se différencieraient en rien des autres familles d’accueil qui reçoivent des enfants non pas pour entretenir des rapports familiaux mais tout simplement pour s’occuper de ces enfants, si possible avec beaucoup de tendresse et même d’amour, mais sans intention de fonder avec eux une famille.
Bref, sans la demande d’adoption qui révèle que les requérants ont voulu accueillir l’enfant comme membre de leur famille, j’aurais du mal à admettre que la relation entre les requérants et A. relève de la vie familiale.

OPINION DISSIDENTE DE LA JUGE KARAKAŞ
Contrairement à la majorité, j’estime que, dans le cas d’espèce, l’article 8 de la Convention n’est pas applicable et, par conséquent, qu’il n’y a pas eu violation de cet article. Eu égard aux rapports entre les requérants et le bébé A., je pense qu’on ne peut parler en l’espèce de l’existence d’une vie familiale au sens de l’article 8 de la Convention.
D’après la jurisprudence de la Cour, le droit au respect de la vie familiale présuppose l’existence d’une famille naturelle ou légitime, mais en même temps d’une vie familiale effective (Marckx c. Belgique, 13 juin 1979, § 31, série A no 31).
En matière d’adoption, il faut rappeler que la Convention ne garantit aucun droit d’adopter et l’article 8 n’oblige pas les Etats à accorder à une personne le statut d’adoptant ou d’adopté (Di Lazzaro c. Italie, no 31924/96, décision de la Commission du 10 juillet 1997, Décisions et rapports (DR) 90-B, p. 134). Le seul désir de fonder une famille, notamment par la voie de l’adoption, n’est pas protégé par l’article 8 de la Convention au titre de la vie familiale (Marckx, précité, § 31, Abdulaziz, Cabales et Balkandali c. Royaume-Uni, 28 mai 1985, § 62, série A no 94).
Dans le cas d’espèce, la majorité trouve (au paragraphe 50 de l’arrêt) qu’il existait entre les requérants et le bébé A. un lien interpersonnel étroit, en se fondant sur quelques éléments (la mineure était bien insérée dans la famille, les requérants avaient assuré le développement social de l’enfant parce qu’ils l’avaient envoyée à la crèche et ils avaient fait un voyage avec le bébé). Finalement, les requérants ont décidé de déposer une demande d’adoption, ce qui constitue pour la majorité un indice – même s’il n’est pas déterminant – de la force du lien instauré entre les requérants et le bébé (paragraphe 51).
Ces éléments ne suffisent pas à mes yeux pour que l’on puisse conclure à l’existence d’une relation suffisamment forte pour s’analyser en une vie familiale, d’autant que, pour moi, en agissant ainsi les requérants ont rempli le rôle et les responsabilités qui leur étaient dévolus en tant que famille d’accueil (voir, notamment, la partie « droit interne », au paragraphe 24 de l’arrêt).
Tout d’abord, ils n’ont pas obtenu l’adoption de A. ; donc on ne peut parler d’une relation entre un adoptant et un adopté, qui est en principe de même nature que les relations familiales protégées par l’article 8 (Pini et autres c. Roumanie, nos 78028/01 et 78030/01, § 140, CEDH 2004-V ; voir aussi les autres références qui y sont citées). Dans le cas d’espèce, les requérants représentaient une famille d’accueil qui avait la garde de l’enfant à titre transitoire. Ils n’avaient même pas la garde de l’enfant en vue de l’adoption, mais ils ont tout simplement accueilli A. provisoirement à la suite de l’offre des services sociaux pendant une procédure devant permettre de déclarer l’enfant adoptable. Ce sont les juridictions internes qui décident de toutes mesures opportunes dans l’intérêt supérieur de l’enfant.
Comme les requérants assuraient l’accueil de A. à titre provisoire, cette situation ne pouvait leur donner aucun droit ou avantage aux fins de l’adoption ; dire le contraire reviendrait à admettre que les personnes qui accueillent des enfants à titre provisoire ont éventuellement la priorité en cas d’adoption. Or les juridictions internes doivent évaluer les demandes d’adoption présentées par d’autres familles en donnant la priorité à l’intérêt supérieur de l’enfant.
La protection de l’enfant est bien plus importante que le désir des requérants de l’adopter, d’autant que, d’après le dossier, A. est très bien intégrée dans sa nouvelle famille et qu’il ne serait pas judicieux de procéder à une nouvelle séparation, qui pourrait lui causer un traumatisme (paragraphe 22 de l’arrêt).
A mes yeux, le simple lien de fait établi entre les requérants et le bébé et le désir qu’avaient les requérants d’adopter celui-ci, n’étaient pas suffisants pour que l’on puisse conclure à l’existence d’une vie familiale qui mérite la protection de l’article 8 de la Convention.
Au demeurant, les relations de type familial ont été considérées, selon l’approche traditionnelle des organes de la Convention, comme entrant dans le champ d’application de la vie privée (voir, par exemple, D.J et A.- K.R. c. Roumanie (déc), no 34175/05, 20 octobre 2009, §§ 82, 83 et 88 ; X. c. Suisse, no 8257/78, décision de la Commission du 10 juillet 1978, DR 13, p. 248). A la lumière de ce principe et eu égard aux soins apportés à A. par les requérants, ainsi qu’à l’attachement dont ils se prévalent, n’aurait-il pas été plus opportun d’examiner les conséquences de leur séparation plutôt sous l’angle de la vie privée des requérants ?
Concernant la violation de l’article 8, dans sa jurisprudence la Cour reconnaît aux autorités internes une large marge d’appréciation pour apprécier la nécessité de prendre en charge un enfant (Gnahoré c. France, no 40031/98, CEDH 2000-IX) et, en matière d’adoption d’enfants, elle estime que les juridictions internes sont mieux placées que le juge international pour établir un juste équilibre entre les intérêts contradictoires (Söderbäck c. Suède, 28 octobre 1998, § 33, Recueil des arrêts et décisions 1998-VII).
La Cour ne devrait pas substituer sa vision des choses à celle des juridictions nationales, sauf si les mesures en cause se révèlent manifestement dépourvues de base raisonnable ou arbitraires. Dans le cas d’espèce, il est vrai que la demande d’adoption des requérants a été rejetée sans motivation par le tribunal. Mais je partage parfaitement l’argument du Gouvernement selon lequel cette lacune a été réparée par la cour d’appel qui, après examen complémentaire, notamment une expertise psychiatrique, a confirmé le rejet de la demande des requérants par une décision motivée, dans l’intérêt supérieur de l’enfant.
Dès lors, selon moi, l’Etat défendeur n’a pas failli à ses obligations positives découlant de l’article 8 de la Convention.

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