Conclusione Eccezione preliminare considerata, ratione personae,; Eccezione preliminare respinta (non-esaurimento delle vie di ricorso interne); Parzialmente inammissibile; Violazione dell’art. 8; danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA MORETTI E BENEDETTI C. ITALIA
( Richiesta no 16318/07)
SENTENZA
STRASBURGO
27 aprile 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Moretti e Benedetti c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popoviæ, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e dai Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 23 marzo 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 16318/07) diretta contro la Repubblica italiana e in cui due cittadini di questo Stato, i Sigg. L. M. e M. B. B. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 13 aprile 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da L. M. B., avvocato a Milano. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo coagente, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 29 gennaio 2009, il presidente della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, la camera ha deciso che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il primo richiedente, il Sig. L. M., ed la seconda richiedente, M. B. B., sono una coppia sposata di nazionalità italiana. Sono nati nel 1966 e nel 1959 e risiedono a Lugo di Ravenna. Dinnanzi alla Corte, affermano di agire anche a nome di A. (qui di seguito “il terzo richiedente”), una piccola bambina di nazionalità italiana, nata il 18 aprile 2004 e residente attualmente in Italia. I primi due richiedenti hanno firmato delle procure a favore di L. M. B., avvocato a Milano, affinché rappresentasse i loro interessi dinnanzi alla Corte. Nessuna procura è stata firmata, né dalla terza richiedente, né dai suoi genitori adottivi.
5. Dopo la sua nascita, A. restò qualche tempo all’ospedale perché presentava dei disturbi di astinenza a causa della tossicodipendenza della sua madre biologica. Questa smise di occuparsi di lei alcuni giorni dopo averla messa al mondo.
6. Con un decreto urgente del 20 maggio 2004, il tribunale per i minori di Venezia aprì un procedimento teso a dichiarare la bambina adottabile ed ordinò il suo collocamento all’assistenza pubblica. A. fu posta presso il domicilio dei richiedenti. Previsto per un periodo di 5 mesi, 3 giugno 2004 – 3 novembre 2004, il collocamento fu prorogato fino al dicembre 2005.
7. I richiedenti vivevano con la loro figlia ed un bambino adottato dal primo richiedente alcuni anni prima. Avevano accolto già provvisoriamente dei bambini che erano stati adottati poi da altre famiglie.
8. Il 26 ottobre 2004, i richiedenti indirizzarono un0istanza di adozione speciale al tribunale dei minori di Venezia.
9. Il 16 dicembre 2004, la madre biologica, i genitori prossimi ed i richiedenti furono sentiti dal tribunale.
10. All’età di sette mesi, A. fu iscritta in un nido d’infanzia.
11. Nel gennaio 2005, la famiglia dei richiedenti andò in Brasile in vacanza.
12. Il 7 marzo 2005, il tribunale dichiarò la bambina adottabile. Il 15 marzo 2005, non avendo ricevuto alcuna risposta alla loro istanza di adozione speciale introdotta il 26 ottobre 2004, i richiedenti indirizzarono una nuova richiesta di adozione speciale al tribunale dei minori di Venezia.
13. Il 9 giugno 2005, la madre biologica fece opposizione alla dichiarazione di adottabilità della bambina. Con una decisione del 4 luglio 2005, il tribunale respinse l’opposizione della madre biologica.
14. Il 30 novembre 2005, due giudici andarono a casa dei richiedenti per ascoltarli. L’obiettivo di questo incontro era di chiedere ai richiedenti di aiutare A. ad inserirsi nella nuova famiglia adottiva scelta dal tribunale.
15. Il 7 dicembre 2005, il tribunale dei minori autorizzò i contatti con la nuova famiglia scelta per l’adozione. Vietava ogni contatto tra la famiglia scelta ed i richiedenti. Il 19 dicembre 2005, affidò la custodia di A. ad una nuova famiglia ai fini dell’adozione. Questa decisione non fu notificata ai richiedenti.
16. Lo stesso giorno, A. fu allontanata dal domicilio dei richiedenti, con l’aiuto della forza pubblica.
17. Il 21 dicembre 2005, i richiedenti investirono il tribunale dei minori di Venezia. Si lamentavano di non avere mai ricevuto alcuna risposta alla loro istanza di adozione del marzo 2005, e di non essere stati informati del procedimento di adozione di A. . Chiedevano di potere riannodare i contatti con A.
18. Lo stesso giorno, il tribunale archiviò l’istanza di adozione dei richiedenti al motivo che nel frattempo, un’altra famiglia era stata scelta per la bambina.
19. Con un decreto del 3 gennaio 2006, il tribunale respinse la seconda istanza dei richiedenti al motivo che la scelta della nuova famiglia era nell’interesse superiore della bambina.
20. Il 6 aprile 2006, i richiedenti interposero appello al decreto dinnanzi alla corte di appello di Venezia.
21. Con una sentenza del 19 maggio 2006, la corte di appello annullò il decreto del tribunale, rilevando in particolare un difetto di motivazione. Per di più, la corte sottolineò che l’istanza di adozione dei richiedenti avrebbe dovuto essere esaminata prima di dichiarare la bambina adottabile e di scegliere una nuova famiglia. Di conseguenza, la corte incaricò un perito di verificare la relazione tra la minore ed i richiedenti e le sue integrazioni nella nuova famiglia.
22. Il 27 ottobre 2006, dopo avere rilevato che la bambina esprimeva un attaccamento alle due coppie in causa, la corte di appello respinse il ricorso dei richiedenti al motivo che, secondo il rapporto del perito, la minore sembrava ben integrata nella nuova famiglia, e che così, per salvaguardare i suoi interessi, non era opportuno procedere ad una nuova separazione che avrebbe potuto provocare un trauma per la bambina.
23. L’adozione di A. diventò definitiva in una data non precisata.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
24. La legge no 184 del 4 maggio 1983 aveva modificato già ampiamente la materia dell’adozione. È stata emendata da allora di nuovo, legge no 149 di 2001.
L’articolo 1 di questa legge contempla che “il minore ha il diritto ad essere educato nella sua propria famiglia.”
Secondo l’articolo 2, “il minore che è restato senza un ambiente familiare adeguato temporaneamente può essere affidato ad un’altra famiglia, se possibile comprendente dei bambini minorenni, o ad una persona sola, o ad una comunità di tipo familiare, per garantirgli la sussistenza, l’educazione e l’istruzione. Nel caso in cui un collocamento familiare adeguato non fosse possibile, è permesso porre il minore in un istituto di assistenza pubblica o privata, di preferenza nella regione di residenza del minore.”
L’articolo 5 contempla che la famiglia o la persona alla quale il minore è affidato devono garantirgli la sussistenza, l’educazione e l’istruzione tenuto conto delle indicazioni del tutore ed osservando le prescrizioni dell’autorità giudiziale. In ogni caso, la famiglia di accoglimento esercita la responsabilità parentale per ciò che riguarda i rapporti con la scuola ed il servizio sanitario nazionale. La famiglia di accoglimento deve essere sentita nel procedimento di collocamento e in quello concernente la dichiarazione di adottabilità.
Peraltro, l’articolo 7 contempla che l’adozione è possibile a favore dei minore dichiarati adottabili.
L’articolo 8 contempla che possono essere dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale dei minori, anche d’ ufficio, (…) i minori in situazione di abbandono perché privi di ogni assistenza giuridica o patrimoniale da parte dei genitori o della famiglia incaricati di provvedervi, salvo se la mancanza di assistenza è dovuta da forza di causa maggiore di carattere transitorio.” “La situazione di abbandono rimane”, prosegue l’articolo 8, “(…) anche se i minori si trovano in un istituto di assistenza o se sono stati posti presso una famiglia.” Infine, questa disposizione contempla che la causa di forza maggiore cessa se i genitori o altri membri della famiglia del minore incaricati di provvedervi rifiutano le misure di assistenza pubblica e se questo rifiuto è considerato dal giudice come ingiustificato. La situazione di abbandono può essere segnalata all’autorità pubblica da ogni individuo e può essere rilevata d’ ufficio dal giudice. D’altra parte, ogni funzionario pubblico, così come la famiglia del minore che hanno cognizione dello stato di abbandono di questo ultimo, sono obbligati a farne denuncia. Gli istituti di assistenza devono informare peraltro, regolarmente l’autorità giudiziale della situazione dei minori che accolgono (articolo 9).
L’articolo 10 contempla poi che il tribunale può ordinare, fino al collocamento pre-adottivo del minore nella famiglia di accoglimento, ogni misura temporanea nell’interesse del minore, ivi compresa, all’occorrenza, la sospensione dell’autorità parentale.
Gli articoli 11 a 14 contemplano un’istruzione tesa a chiarire la situazione del minore ed a stabilire se questo ultimo si trova in un stato di abbandono. In particolare, l’articolo 11 dispone che quando, durante l’inchiesta, risulta che il bambino non ha rapporti con nessun membro da parte sua fino al quarto grado, può dichiarare lo stato di adottabilità salvo se esiste un’istanza di adozione ai sensi dell’articolo 44.
Al termine del procedimento previsto da questi ultimi articoli, se lo stato di abbandono ai sensi dell’articolo 8 persiste, il tribunale dei minori dichiara il minorenne adottabile se: a) i genitori o gli altri membri della famiglia non si sono presentati durante il procedimento; b) il loro ascolto ha dimostrato la persistenza della mancanza di assistenza giuridica e patrimoniale così come l’incapacità degli interessati a provvedere a lui; c) le prescrizioni imposte in applicazione dell’articolo 12 non sono state eseguite per colpa dei genitori (articolo 15). L’articolo 15 contempla anche che la dichiarazione di stato di adottabilità viene pronunciata dal tribunale dei minori riunendosi in camera del consiglio con decisione motivata, dopo avere ascoltato il pubblico ministero, il rappresentante dell’istituto nel quale il minore è stato posto o della sua eventuale famiglia di accoglimento, il tutore ed il minore stesso se ha più di dodici anni o, se è più giovane, se il suo ascolto è necessario.
L’articolo 17 contempla che l’opposizione alla decisione che dichiara un minorenne adottabile deve essere depositata entro trenta giorni a partire dalla data della comunicazione alla parte richiedente.
L’articolo 19 contempla che durante lo stato di adottabilità, l’esercizio dell’autorità parentale viene sospeso.
L’articolo 20 contempla infine che lo stato di adottabilità cessa nel momento in cui il minore è adottato o se questo ultimo diventa maggiore. Peraltro, lo stato di adottabilità può essere revocato, d’ufficio o su richiesta dei genitori o del pubblico ministero, se le condizioni previste dall’articolo 8 sono sparite nel frattempo. Però, se il minore è stato posto in una famiglia in vista dell’adozione (“affidamento preadottivo”) ai sensi degli articoli 22 a 24, lo stato di adottabilità non può essere revocato.
L’articolo 44 contempla certi casi di adozione speciale: l’adozione è possibile a favore dei minore che non sono stati dichiarati ancora adottabili. In particolare l’articolo 44 d) contempla l’adozione quando è impossibile procedere ad un collocamento in vista dell’adozione.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
25. Sotto l’angolo dell’articolo 8, i richiedenti stimano che l’applicazione erronea della legge e delle regole di procedura ha provocato un’ingerenza illegittima nella loro vita privata e familiare.
26. I richiedenti si lamentano, inoltre, della violazione degli articoli 6 e 13, al motivo che il procedimento non sarebbe stato equo e che non avrebbero beneficiato di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale.
27. Padrona della qualifica giuridica dei fatti della causa, la Corte stima appropriato esaminare i motivi di appello sollevati dai richiedenti unicamente sotto l’angolo dell’articolo 8 che esige che il processo decisionale che arriva a delle misure di ingerenza sia equo e rispetti, come si deve, gli interessi protetti da questa disposizione (Havelka ed altri c. Repubblica ceca, no 23499/06, §§ 34-35, 21 giugno 2007; Kutzner c. Germania, no 46544/99, § 56, CEDH 2002-I; Wallová e Walla c. Repubblica ceca, no 23848/04, § 47, 26 ottobre 2006).
L’articolo 8 della Convenzione dispone così nelle sue parti pertinenti:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui. “
A. Sull’ammissibilità
1. Sulla questione di sapere se i primi due richiedenti possono rappresentare gli interessi di A. dinnanzi alla Corte
a) Argomenti delle parti
28. Secondo il Governo, i richiedenti non possono rappresentare la bambina dinnanzi alla Corte. Ricorda che A. è rappresentata già a livello nazionale da un tutore che è intervenuto nel procedimento dinnanzi alla corte di appello. Secondo l’articolo 357 del codice civile, il tutore rappresenta il bambino e gestisce i suoi beni.
29. In conclusione, la richiesta presentata a nome di A. dai due primi richiedenti che difende il loro proprio interesse e non quello del bambino, sarebbe, per questa parte, incompatibile ratione materiae.
30. I primi due richiedenti contestano la tesi del Governo.
31. Affermano che se è vero che i due primi richiedenti non sono i genitori biologici di A. e non hanno nessuna autorità parentale su di lei, il loro locus standi in virtù della Convenzione deriva da un legame de facto col minore che ha un carattere intenso e consolidato.
Peraltro, gli organi della Convenzione avrebbero riconosciuto la possibilità, per un minore, di agire direttamente dinnanzi ad essi, tramite un avvocato designato dal minore stesso o da una persona che agisce nel suo interesse.
b) Valutazione della Corte
32. La Corte ricorda che conviene evitare un approccio restrittivo o puramente tecnico per ciò che riguarda la rappresentanza dei bambini dinnanzi agli organi della Convenzione; in particolare, bisogna tenere conto dei legami tra i bambini riguardati ed i suoi “rappresentanti”, dell’oggetto e dello scopo della richiesta così come dell’ eventuale esistenza di un conflitto di interessi (S.D, D.P, e T. c. Regno Unito, no 23715/94, decisione della Commissione del 20 maggio 1996, non pubblicata).
33. Nel presente caso, la Corte osserva innanzitutto che i due primi richiedenti non esercitano nessuna autorità parentale su A., non sono i suoi tutori e non hanno nessun legame biologico con lei. Il procedimento teso ad ottenere l’adozione di A. non è arrivato a nessun risultato. A. è stata adottata da un’altra famiglia. Nessuna procura è stata firmata a favore dei due primi richiedenti affinché gli interessi di A. siano rappresentati da loro dinnanzi alla Corte. Questo implica che i due primi richiedenti non possiedono, da un punto di vista giuridico, le qualifiche necessarie per rappresentare gli interessi del minore nella cornice di un procedimento giudiziale.
34. In più, la Corte nota che nel procedimento interno la minore era rappresentata da un tutore.
35. In queste circostanze, la Corte stima che i due primi richiedenti non hanno requisito per agire dinnanzi alla Corte per conto di A. Questa parte della richiesta deve essere respinta dunque come incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione, ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 di questa.
2. Sull’eccezione preliminare derivata dal non-esaurimento delle vie di ricorso interne
a) Argomenti delle parti
36. Il Governo eccepisce del non-esaurimento delle vie di ricorso interne al motivo che i richiedenti non sono ricorsi in cassazione contro la sentenza della corte di appello di Venezia in virtù dell’articolo 56 della legge no 184 del 1983.
37. Secondo i richiedenti un ricorso in cassazione non avrebbe avuto nessuno effetto. Il ricorso dinnanzi alla corte di appello era l’unica via di ricorso per ovviare alla violazione, tenuto conto del fatto che la Corte di cassazione non si sarebbe potuta pronunciare su un procedimento di adozione che era oramai finito.
Del resto, i richiedenti ricordano che la giurisprudenza della Corte di cassazione era molto divisa sul punto di sapere se era possibile ricorre in cassazione contro un decreto di rigetto di un’istanza di adozione.
b) Valutazione della Corte
38. La Corte non è convinta degli argomenti del Governo. Ricorda che incombe sul Governo che eccepisce del non-esaurimento dei ricorsi interni di dimostrare che un ricorso effettivo era disponibile tanto in teoria che in pratica all’epoca dei fatti, cioè che era accessibile, era suscettibile di offrire ai richiedenti il risarcimento dei loro motivi di appello e presentava delle prospettive ragionevoli di successo (V. c. Regno Unito [GC], no 24888/94, § 57, CEDH 1999-IX). Nota da prima che la corte di appello aveva annullato il decreto del tribunale rilevando in particolare un difetto di motivazione. Di conseguenza, aveva incaricato un perito di verificare la relazione tra la minore ed i richiedenti e la sua integrazione nella nuova famiglia. Dopo avere studiato le conclusioni del perito, per salvaguardare gli interessi della bambina, la corte di appello aveva stimato che non era opportuno procedere ad una nuova separazione che avrebbe potuto provocare un trauma alla bambina.
38. Alla luce di ciò che precede e senza prendere in considerazione il fatto che la giurisprudenza della Corte di cassazione era molto divisa sul punto di sapere se era possibile ricorrere in cassazione contro il decreto di rigetto di un’istanza di adozione, la Corte considera che nel caso di specie, un eventuale ricorso in cassazione non avrebbe avuto per effetto di risanare i motivi di appello dei richiedenti. Difatti, tenuto conto del fatto che i mezzi di ricorso presentati dai richiedenti avrebbero riguardato essenzialmente il merito della causa, la Corte di Cassazione avrebbe dichiarato il ricorso inammissibile.
39. Di conseguenza l’eccezione di non-esaurimento delle vie di ricorso interne del Governo non potrebbe essere considerata.
3. Sull’esistenza di un legame tra i richiedenti ed A. costitutivo di una “vita familiare”, ai sensi dell’articolo 8 § 1 della Convenzione
a) Argomenti delle parti
40. Il Governo considera a titolo principale che l’articolo 8 della Convenzione non si applica alla situazione dei richiedenti che non potrebbero avvalersi dell’esistenza di una “vita familiare”, suscettibile di essere protetta dalla disposizione precitata. In appoggio alla sua tesi, sottolinea che il diritto di adottare non figura, in quanto tale, nel numero dei diritti garantiti dalla Convenzione e che l’articolo 8 non obbliga gli Stati ad accordare ad una determinata persona lo statuto di adottante o di adottato. Peraltro, ricorda che il diritto al rispetto della vita familiare presuppone l’esistenza di una famiglia e non protegge il semplice desiderio di fondarne una.
41. Il Governo ricorda che, nel caso di specie, i richiedenti avevano accolto provvisoriamente la bambina ed erano perfettamente coscienti del compito che era stato affidato loro dalle autorità. Il fatto di accogliere provvisoriamente la bambina non dava loro un diritto all’adozione.
42. Secondo il Governo, l’esistenza di un legame puramente de facto non richiederebbe la protezione dell’articolo 8.
43. I richiedenti si oppongono alla tesi del Governo. Fanno valere che risulta dalle perizie che il legame stabilito tra loro ed A. era molto stretto e che la minore era ben integrata nella loro famiglia. Questa adozione aveva dunque per unica finalità di legalizzare questa famiglia “di fatto”.
b,) Valutazione della Corte
44. Conformemente alla sua giurisprudenza, la Corte rileva che la questione dell’esistenza o della mancanza di una “vita familiare” è da prima una questione di fatto che dipende dall’esistenza di legami personali stretti (Marckx c. Belgio, sentenza del 13 giugno 1979, serie A no 31, pp. 14 e succ.., § 31, e K. e T. c. Finlandia [GC], no 25702/94, § 150, CEDH 2001-VII).
45. La Corte ricorda che la nozione di “famiglia” sottostante all’articolo 8 non si limita alle sole relazioni fondate sul matrimonio, ma può inglobare altri legami “familiari” de facto, quando le parti coabitano all’infuori di ogni legame maritale (vedere, tra altre, Johnston ed altri c. Irlanda, sentenza del 18 dicembre 1986, serie A no 112, p. 25, § 55; Keegan c. Irlanda, sentenza del 26 maggio 1994, serie A no 290, p. 17, § 44; Kroon ed altri c. Paesi Bassi, sentenza del 27 ottobre 1994, serie A no 297-C, pp. 55 e succ.., § 30, e X, C’e Z c. Regno Unito, sentenza del 22 aprile 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-II, p. 629, § 36).
46. La Corte reitera anche il principio secondo cui i rapporti tra affini e figli adulti non beneficiano della protezione dell’articolo 8 senza che venga dimostrata “l’esistenza di elementi supplementari di dipendenza, differenti dai legami affettivi normali” (vedere, mutatis mutandis, Kwakye-Nti e Dufie c. Paesi Bassi, (dec.), no 31519/96, 7 novembre 2000).
47. Peraltro, la Corte ricorda che le disposizioni dell’articolo 8 non garantiscono né il diritto di fondare una famiglia né il diritto di adozione (E.B. c. Francia [GC], no 43546/02). Il diritto al rispetto di una “vita familiare” non protegge il semplice desiderio di fondare una famiglia; presuppone l’esistenza di una famiglia (Marckx c. Belgio, precitata, § 31) addirittura al minimo di una relazione potenziale che si sarebbe potuta sviluppare, per esempio, tra un padre naturale ed un bambino nato fuori matrimonio (Nylund c. Finlandia, (dec.), no 27110/95, CEDH 1999-VI) da una relazione nata da un matrimonio non fittizio, anche se una vita familiare non si trovava ancora pienamente consolidata (Abdulaziz, Cabale e Balkandali c. Regno Unito, sentenza del 28 maggio 1985, serie A no 94, p. 32, § 62) o ancora una relazione nata dia un’adozione legale e non fittizia (Pini ed altri c. Romania, numeri 78028/01 e 78030/01, § 148, CEDH 2004-V).
48. La Corte dunque esaminerà i legami familiari de facto, come la vita comune dei due richiedenti ed A. in mancanza di ogni rapporto giuridico di parentela tra loro( X c. Svizzera, no 8257/78, decisione della Commissione del 10 luglio 1978; Johnston ed altri c. Irlanda, precitata § 56; Giusto ed altri c. Italia,(dec.), no 38972/06, CEDH 2007-V (brani)). Si dedicherà sull’effettività della relazione tra i richiedenti ed A. difatti, la Corte stima che, nelle relazioni de facto, la determinazione del carattere familiare delle relazioni deve tenere conto di un certo numero di elementi, come il tempo vissuto insieme, la qualità delle relazioni così come il ruolo assunto dall’adulto verso il bambino.
49. La Corte nota che nel caso di specie i richiedenti hanno accolto A., all’età di un mese, nella loro famiglia. Per diciannove mesi, i richiedenti hanno vissuto con la bambina le prime tappe importanti della sua giovane vita.
50. La Corte constata anche che, durante questo tempo, A. ha vissuto con una sorella ed un fratello, questo ultimo adottato prima dal primo richiedente. Constata, inoltre, che le perizie condotte sulla famiglia mostrano che la minore era ben inserita e che era legata profondamente ai richiedenti ed ai figli di questi ultimi. I richiedenti hanno garantito anche lo sviluppo sociale della bambina. A questo riguardo, la Corte nota che all’età di sette mesi, si è abituata alla scuola d’infanzia e che nel gennaio 2005, aveva seguito i richiedenti ed i loro bambini in un viaggio in Brasile. Questi elementi bastano alla Corte per dire che esisteva tra i richiedenti e la bambina un legame personale stretto e che i richiedenti si sono comportati sotto tutti i punti di vista come i suoi genitori di modo che i “legami familiari” esistevano « de facto » tra loro (vedere, mutatis mutandis, Wagner et J.M.W.L. c. Lussemburgo, n 76240/01, § 117, CEDH 2007-VII (brani), X, C’e Z c. Regno Unito, sentenza del 22 aprile 1997, Raccolta 1997-II, fasc. 35, § 37).
51. Del resto, la Corte constata che i richiedenti avevano già accolto a titolo temporaneo dei bambini che, in seguito, sono stati adottati da altre famiglie. Tuttavia, nel caso di specie, i richiedenti, in considerazione del legame stretto con A., avevano deciso di depositare un’istanza di adozione. Questa istanza costituisce per la Corte un indizio supplementare – anche se non è determinante – della forza del legame instaurato tra i richiedenti e la bambina. La Corte non potrebbe escludere dunque che malgrado la mancanza di ogni rapporto giuridico di parentela, il legame tra i richiedenti ed A. dipende dalla vita familiare.
52. Alla luce di ciò che precede, la Corte considera che la relazione tra i richiedenti ed A. rilevano una vita familiare, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. Di conseguenza, l’eccezione del Governo deve essere respinta.
4. Conclusione
53. La Corte constata che il motivo di appello derivato dall’articolo 8 non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
a) Argomenti delle parti
54. I richiedenti stimano che l’applicazione erronea della legge e delle regole di procedura ha provocato un’ingerenza illegittima nella loro vita privata e familiare. Affermano che avevano introdotto l’istanza di adozione, in conformità con le disposizioni della legge, in ragione del legame stretto che si era stabilito con A. Tuttavia il procedimento irregolare seguito dal tribunale ha impedito che la loro istanza di adozione venisse esaminata dalle giurisdizioni. Sebbene la corte di appello abbia annullato il decreto del tribunale, non ha potuto mettere fine alla violazione nella misura in cui ha deciso, per salvaguardare gli interessi della bambina, che non era opportuno procedere ad una nuova separazione che avrebbe potuto provocare un trauma nella bambina.
55. Per di più, i richiedenti fanno valere che il perito nominato dalla corte di appello non ha stimato necessario organizzare degli incontri con A.
56. Il Governo contesta la tesi dei richiedenti. Fa valere che il tribunale ha esaminato le istanze di adozione di A. con particolare zelo. A questo riguardo, ricorda che, il 30 novembre 2005, due giudici sono andati a casa i richiedenti per ascoltarli.
Sostiene che l’ingerenza nel diritto dei richiedenti era prevista dalla legge no 184 del 1983 ed inseguiva uno scopo legittimo, ossia la protezione del minore. L’intervento del tribunale si basava su dei motivi pertinenti e sufficienti, in particolare sull’esame delle differenti istanze di adozione.
57. Secondo il Governo, il procedimento seguito dal tribunale dei minori era giustificato nell’interesse della bambina.
58. Il Governo ricorda che la Corte riconosce alle autorità una grande latitudine per valutare la necessità di prendere in carico un bambino (Gnahoré c. Francia, no 40031/98, CEDH 2000-IX) e che in materia di adozione di bambini, ha affermato che le giurisdizioni nazionali sono poste meglio per stabilire un giusto equilibrio tra gli interessi contraddittori (Söderbäck c. Svezia del 28 ottobre 1998, Raccolta 1998-VII, pp. 3095-3096, § 33).
59. Il Governo stima inoltre, che “la defaillance ” del tribunale nel rigetto dell’istanza di adozione dei richiedenti è stato riparato dalla corte di appello che si è pronunciata poi con una sentenza motivata.
b) Valutazione della Corte
60. La Corte ricorda che l’articolo 8 della Convenzione tende essenzialmente a premunire l’individuo contro le eventuali ingerenze arbitrarie dei poteri pubblici; genera per di più degli obblighi positivi inerenti ad un “rispetto” effettivo della vita familiare. In un caso come nell’altro, bisogna avere precisamente riguardo all’equilibrio aa predisporre tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della società nel suo insieme. Parimenti, nelle due ipotesi, lo stato gode di un certo margine di valutazione (Keegan, precitata, p. 19, § 49, e Pini ed altri c. Romania, nuemri 78028/01 e 78030/01, § 149, CEDH 2004-V).
61. La Corte ricorda anche che la Convenzione ed i suoi Protocolli si devono interpretare alla luce delle condizioni di oggi (Marckx, precitata, § 41; Tyrer c. Regno Unito, 25 aprile 1978, § 31 serie A no 26; Airey c. Irlanda, 9 ottobre 1979, § 26, serie A no 32; Vo c. Francia [GC], no 53924/00, § 82, CEDH 2004-VIII e Mamatkoulov ed Askarov c. Turchia [GC], numeri 46827/99 e 46951/99, § 121, CEDH 2005-I). In questo contesto, la Corte ha già ricordato che il diritto all’adozione non figura in quanto tale nel numero dei diritti garantiti dalla Convenzione (vedere paragrafo 46). Ciò non esclude tuttavia che gli Stati parti alla Convenzione possano tuttavia trovarsi, in certe circostanze, nell’obbligo positivo di permettere la formazione e lo sviluppo di legami familiari (vedere, in questo senso, Keegan, precitato, § 50, Pini ed altri, precitata, §§ 150 e succ.).
62. La Corte nota che la questione principale è di sapere se l’applicazione fatta nello specifico delle disposizioni legislative ha predisposto un giusto equilibrio tra l’interesse pubblico e parecchi interessi privati concorrenti in gioco, tutti fondati sul diritto al rispetto della vita privata e familiare. Giudica quindi più appropriato esaminare i motivi di appello sollevati sotto l’angolo degli obblighi positivi (Evans c. Regno Unito [GC], no 6339/05, § 76).
63. Il margine di valutazione di cui dispongono gli Stati contraenti è in modo generale ampio quando le autorità pubbliche devono predisporre un equilibrio tra gli interessi privati e pubblici concorrenti o differenti diritti protetti dalla Convenzione. Ciò è tanto più vero quando non esiste alcun consenso in seno agli Stati membri del Consiglio dell’Europa sull’importanza relativa dell’interesse in gioco o sui migliori mezzi per proteggerlo (Evans precitata, §§ 77-81,).
64. La Corte ricorda peraltro che non ha per compito di sostituirsi alle autorità interne, ma di esaminare sotto l’angolo della Convenzione le decisioni che queste autorità hanno reso nell’esercizio del loro potere discrezionale. La Corte valuterà dunque se le autorità italiane hanno agito in incomprensione dei loro obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione( Hokkanen c. Finlandia, 23 settembre 1994, § 55, serie A no 299-ha, Mikuliÿ c. Croazia, no 53176/99, § 59, CEDH 2002-I; P., C. e S. c. Regno Unito, no 56547/00, § 122, CEDH 2002-VI).
65. La Corte constata che nello specifico, si pone il problema del procedimento di accesso all’adozione. A. fu posta difatti, provvisoriamente a casa dei richiedenti il 20 maggio 2004. La coabitazione è durata fino al dicembre 2005, quando la bambina fu posta a casa di un’altra famiglia scelta per l’adozione.
66. La Corte nota anche che nel frattempo i richiedenti avevano depositato un’istanza di adozione speciale che fu esaminata e respinta senza motivazione nel gennaio 2006. In seguito, la corte di appello annullò il decreto del tribunale, rilevando in particolare un difetto di motivazione. Sottolineò anche che l’istanza di adozione dei richiedenti avrebbe dovuto essere esaminata prima di dichiarare la bambina adottabile e di scegliere una nuova famiglia. Tuttavia, dopo avere ordinato una perizia sulla situazione della bambina, la corte stimò che la minore sembrava ben integrata nella nuova famiglia e che perciò, per salvaguardare i suoi interessi, non era opportuno procedere ad una nuova separazione che avrebbe potuto provocare un trauma nella bambina.
67. La Corte osserva che ci si trova, in questo tipo di causa, in presenza di interessi difficilmente conciliabili ossia quelli della bambina e della due famiglie in causa. Nella ricerca dell’equilibrio tra questi differenti interessi, l’interesse superiore del bambino deve essere una considerazione fondamentale.
68. La Corte ricorda che l’articolo 8, esige che il processo decisionale che arriva a delle misure di ingerenza sia equo e rispetti, come si deve, gli interessi protetti da questa disposizione. La questione che si pone nello specifico è di sapere se il procedimento che arriva a questa misura ha garantito ai richiedenti la protezione dei loro interessi. Nello specifico, era di capitale importanza che l’istanza di adozione speciale introdotta dai richiedenti venisse esaminata attentamente in un breve termine.
69. A questo riguardo, la Corte rileva che, nella sua decisione di rigetto dell’istanza di adozione introdotta dai richiedenti, il tribunale non ha spiegato per niente le sue ragioni e non ha avanzato nessun motivo per giustificare la sua decisione. In più, il tribunale non ha esaminato l’istanza di adozione dei richiedenti prima di dichiarare la bambina adottabile e di scegliere la nuova famiglia.
70. La Corte non condivide gli argomenti del Governo secondo cui la corte di appello avrebbe riparato la “defaillance del tribunale.” Ricorda che nelle cause riguardo alla vita familiare il passaggio del tempo può avere delle conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il bambino ed i genitori che non vivono con lui. Difatti, la rottura di contatto con un bambino molto giovane può condurre ad un’alterazione crescente della sua relazione con i suoi genitori (Ignaccolo-Zenide c. Romania, no 31679/96, § 102, CEDH 2000-I; vedere anche, mutatis mutandis, Sindaco c. Portogallo, no 48206/99, § 74, CEDH 2003-VI, Pini ed altri c. Romania, precitata). Ne va parimenti nella presente causa. La Corte nota che la perizia chiesta dalla corte di appello ha dimostrato che la bambina era integrata oramai nella nuova famiglia. Una nuova separazione avrebbe causato un nuovo trauma nella bambina. Ne segue che il passaggio del tempo ha avuto per effetto di rendere definitivo il decreto del tribunale. La Corte stima spiacevole che il tribunale non abbia esaminato l’istanza di adozione introdotta dai richiedenti prima di dichiarare la bambina adottabile, e di non averlo fatto con un giudizio motivato.
71. Così, pure reiterando che non le spetta sostituire la sua valutazione a quella delle autorità nazionali competenti in quanto alle misure che avrebbero dovute essere prese perché queste autorità sono in principio più meglio poste per procedere a tale valutazione, e pure riconoscendo che nello specifico, le giurisdizioni si sono applicate in buona fede a preservare il benessere di A., la Corte considera che il non rispetto da parte del tribunale della legge e delle regole di procedimento ha avuto un impatto diretto sul diritto alla vita familiare degli interessati. Per il fatto delle carenze constatate nello svolgimento di questo procedimento, la Corte stima che c’è stata un’incomprensione dell’obbligo positivo di garantire il rispetto effettivo del diritto dei richiedenti alla loro vita familiare, diritto garantito dall’articolo 8 della Convenzione. Pertanto, c’è stata violazione di questa disposizione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
72. I richiedenti affermano di avere subito dei trattamenti disumani e degradanti a causa, da una parte, delle modalità di allontanamento della minore che avrebbe avuto delle conseguenze traumatizzanti tanto per questa che per loro stessi, e, dall’altra parte, della decisione del tribunale che avrebbe preferito la nuova famiglia al posto della loro. Invocano l’articolo 3 della Convenzione che è formulata così:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
73. La Corte ricorda che le affermazioni dei cattivi trattamenti contrari all’articolo 3 devono essere supportate da elementi di prova adeguati (Güzel c. Turchia, no 71908/01, § 68, 5 dicembre 2006 Hüsniye Tekin c. Turchia, no 50971/99, § 43, 25 ottobre 2005, e Martinez Sala ed altri c. Spagna, no 58438/00, § 121, 2 novembre 2004).
74. A questo riguardo, la Corte nota che i richiedenti non hanno dimostrato che le modalità di esecuzione dell’allontanamento della bambina sono state “disumane o degradanti.”
75. Ne segue che questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
76. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
77. Il primo richiedente chiede 100 000 euro (EUR) per il danno morale che avrebbe subito. Unisce una perizia psicologica che mostra la necessità di sottoporsi a cure psicologiche a causa del trauma subito. Il secondo richiedente chiede 30 000 EUR per sé e 30 000 EUR a nome della bambina.
78. In quanto al danno patrimoniale, i richiedenti richiedono 12 732 EUR per gli oneri che hanno dovuto impegnare in occasione dei procedimenti interni. Questo importo include le somme spese per recarsi presso le giurisdizioni, gli oneri del telefono e delle visite mediche.
79. Il Governo stima che gli importi richiesti dai richiedenti a titolo delle loro proprie spese non giustificano di per sé un rimborso, perché nessun legame di causalità è stato stabilito tra le perdite supposte e le violazioni addotte. Trattandosi del danno morale, il Governo contesta la perizia prodotta dai richiedenti e considera esorbitante la somma indicata. Ad ogni modo, il Governo stima che lo stato di salute del richiedente ed il suo legame di causalità con la separazione da A. dovrebbe essere stabilito da un perito nominato dalla Corte.
80. Per ciò che riguarda le pretese dei richiedenti per danno patrimoniale, è stabilito nella giurisprudenza della Corte che deve avere un legame di causalità manifesta tra il danno addotto dal richiedente e la violazione della Convenzione (vedere, tra altre, le sentenze Barberà, Messegué e Jabardo c. Spagna (articolo 50), 13 giugno 1994, serie A no 285-C, pp. 57-58, §§ 16-20; Çakıcı c. Turchia [GC], no 23657/94, § 127, CEDH 1999-IV). Nello specifico, la Corte stima che non c’è legame di causalità tra lq constatazione di violazione e gli oneri di spostamento impegnati dai richiedenti per partecipare al procedimento interno a cui avrebbero partecipato in ogni modo, così come per le chiamate telefoniche. In quanto agli altri oneri, la Corte non scopre nessun legame tra la violazioni constatata della Convenzione e le visite mediche del richiedente. Stima che, in queste condizioni, non c’è luogo di assegnare la somma chiesta dai richiedenti per danno patrimoniale.
81. Trattandosi delle pretese a titolo del danno morale, la Corte stima che non si potrebbe speculare sulla questione di sapere se, in mancanza delle deficienze procedurali constatate, A. sarebbe stata o meno adottata da un’altra famiglia. I richiedenti hanno tuttavia per questo fatto subito una perdita di probabilità. Peraltro, il dolore provato dai richiedenti ha provocato loro un danno morale certo che la constatazione di violazione della Convenzione non basta a compensare (vedere, per esempio, Elsholz c. Germania [GC], no 25735/94, §§ 70-71, CEDH 2000-VIII, e P. C. e S. c. Regno Unito, precitata, § 150).
82. Deliberando in equità, la Corte assegna congiuntamente ai richiedenti 10 000 EUR.
B. Oneri e spese
83. I richiedenti chiedono il rimborso degli oneri e delle spese esposte nella cornice dei procedimenti dinnanzi alle giurisdizioni italiane, o 9 862 EUR. Chiedono inoltre 10 000 EUR a titolo degli oneri afferenti al procedimento dinnanzi alla Corte. Forniscono dei giustificativi a sostegno delle loro pretese.
84. In quanto agli oneri impegnati dinnanzi alle giurisdizioni interne, la Corte rileva che, sebbene almeno una parte di questi oneri sia stata esposta per fare correggere la violazione dell’articolo 8 della Convenzione, le note di parcella prodotte non indicano in dettaglio la natura delle prestazioni dell’avvocato dei richiedenti.
85. Per ciò che riguarda gli oneri incorsi dinnanzi a lei, la Corte giudica eccessiva la somma chiesta dai richiedenti.
86. In queste condizioni la Corte, deliberando in equità ed avuto riguardo alla pratica in materia degli organi della Convenzione, stima ragionevole assegnare ai richiedenti la somma di 5 000 EUR.
C. Interessi moratori
87. La Corte giudica appropriato di ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti di percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Stabilisce, all’unanimità, che i due primi richiedenti non hanno requisito per agire dinnanzi alla Corte per conto di A.;
2. Dichiara, alla maggioranza, la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 8;
3. Dichiara, all’unanimità, la richiesta inammissibile per il surplus;
4. Stabilisce, per sei voci contro una, che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
5 Stabilisce, all’unanimità,
a) che lo stato convenuto deve versare congiuntamente ai due primi richiedenti, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
ii. 10 000 EUR (diecimila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
iii. 5 000 EUR (cinquemila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dai richiedenti, per oneri e spese;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
6 respinge, all’unanimità, la richiesta di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese poi comunicato per iscritto il 27 aprile 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione delle seguenti opinioni separate:
-opinione concordante del giudice Cabral Barreto;
-opinione dissidente del giudice Işıl KARAKAŞ.
F.T.
F.E.P.
OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE CABRAL BARRETO
Sono d’ accordo con la maggioranza ma desidero dissociarmi del ragionamento che segue al paragrafo 51. Dice questo:
“Tuttavia, nel caso di specie, i richiedenti, in considerazione del legame stretto con A., avevano deciso di depositare un’istanza di adozione. Questa istanza costituisce per la Corte un indizio supplementare – anche se non è determinante – della forza del legame instaurato tra i richiedenti e la bambino. La Corte non potrebbe escludere dunque che malgrado la mancanza di ogni rapporto giuridico di parentela, il legame tra i richiedenti ed A. dipende dalla vita familiare” (sono io che sottolineo).
Se comprendo bene la maggioranza, esisterebbero dei “legami familiari” tra una famiglia di accoglimento ed il bambino. Se è proprio questo ciò che vuole dire la maggioranza, mi sembra che vada molto lontano.
Per me, i legami interpersonali stretti tra i richiedenti e la bambina non bastano a trasformare qualitativamente questo rapporto. I bambini sono affidati ad una famiglia di accoglimento in attesa che si trovi loro una famiglia. Né questo scopo né l’interesse superiore del bambino richiedono di considerare il rapporto tra il bambino e le famiglie di accoglimento come un legame familiare.
Tuttavia, nel caso di specie, ad un dato momento i richiedenti hanno fatto un’istanza di adozione della bambina.
Per la maggioranza, questo indizio non è determinante; per me, è determinante e decisivo.
Se i richiedenti non avessero chiesto di adottare la bambina, non si differenzierebbero per niente dalle altre famiglie di accoglimento che ricevono dei bambini non per intrattenere dei rapporti familiari ma semplicemente per occuparsi di questi bambini, se possibile con molta tenerezza ed anche amore, ma senza intenzione di fondare con loro una famiglia.
In breve, senza l’istanza di adozione che rivela che i richiedenti hanno voluto accogliere la bambina come membro della loro famiglia, farei fatica ad ammettere che la relazione tra i richiedenti ed A. dipendesse dalla vita familiare.
OPINIONE DISSIDENTE DEL GIUDICE KARAKAŞ
Contrariamente alla maggioranza, stimo che, nel caso di specie, l’articolo 8 della Convenzione non è applicabile e, di conseguenza, che non c’è stata violazione di questo articolo. Avuto riguardo ai rapporti tra i richiedenti e la bambina A., penso che non si può parlare nello specifico dell’esistenza di una vita familiare ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione.
Secondo la giurisprudenza della Corte, il diritto al rispetto della vita familiare presuppone l’esistenza di una famiglia naturale o legittima, ma allo stesso tempo di una vita familiare effettiva (Marckx c. Belgio, 13 giugno 1979, § 31, serie A no 31).
In materia di adozione, bisogna ricordare che la Convenzione non garantisce nessun diritto di adottare e l’articolo 8 non obbliga gli Stati ad accordare ad una persona lo statuto di adottante o di adottato (Di Lazzaro c. Italia, no 31924/96, decisione della Commissione del 10 luglio 1997, Decisioni e rapporti, (DR, 90-B, p,). 134). Il solo desiderio di fondare una famiglia, in particolare tramite adozione, non è protetto dall’articolo 8 della Convenzione a titolo della vita familiare (Marckx, precitata, § 31, Abdulaziz, Cabale e Balkandali c. Regno Unito, 28 maggio 1985, § 62, serie A no 94).
Nel caso di specie, la maggioranza trova, al paragrafo 50 della sentenza, che esisteva tra i richiedenti e la bambina A. un legame interpersonale stretto, basandosi su alcuni elementi, la minore era ben inserita nella famiglia, i richiedenti avevano garantito lo sviluppo sociale della bambina perché l’avevano mandata alla nido ed avevano fatto un viaggio con la bambina. Alla fine, i richiedenti hanno deciso di depositare un’istanza di adozione, il che costituisce per la maggioranza un indizio-anche se non è determinante – della forza del legame instaurato tra i richiedenti e la bambina (paragrafo 51).
Questi elementi non bastano ai miei occhi affinché si possa concludere all’esistenza di una relazione sufficientemente forte da analizzarsi come una vita familiare, tanto che, per me, agendo così i richiedenti hanno assolto il ruolo e le responsabilità che erano loro dovuti in quanto famiglia di accoglimento (vedere, in particolare, la parte “diritto interno”, al paragrafo 24 della sentenza).
Innanzitutto, non hanno ottenuto l’adozione di A.; non si può parlare dunque di una relazione tra un adottante ed un adottato che è in principio pari alle relazioni familiari protette dall’articolo 8 (Pini ed altri c. Romania, numeri 78028/01 e 78030/01, § 140, CEDH 2004-V; vedere anche gli altri riferimenti che vi sono citati). Nel caso di specie, i richiedenti rappresentavano una famiglia di accoglimento che aveva la custodia del bambino a titolo transitorio. Non avevano anche la custodia del bambino in vista dell’adozione, ma hanno accolto semplicemente provvisoriamente A. in seguito all’offerta dei servizi sociali durante un procedimento che doveva permettere di dichiarare la bambina adottabile. Sono le giurisdizioni interne che decidono di ogni misura opportuna nell’interesse superiore del bambino.
Siccome i richiedenti garantivano provvisoriamente l’accoglimento di A., questa situazione non poteva dare loro nessun diritto o vantaggio ai fini dell’adozione; dire il contrario significherebbe ammettere che le persone che accolgono provvisoriamente dei bambini hanno eventualmente la precedenza in caso di adozione. Ora le giurisdizioni interne devono valutare le istanze di adozione presentate da altre famiglie che danno la precedenza all’interesse superiore del bambino.
La protezione del bambino è ben più importante del desiderio dei richiedenti di adottarlo, tanto che, secondo la pratica, A. è molto bene integrata nella sua nuova famiglia e che non sarebbe giudizioso procedere ad una nuova separazione che potrebbe causarle un trauma (paragrafo 22 della sentenza).
Ai miei occhi, il semplice legame di fatto stabilito tra i richiedenti e la bambina ed il desiderio che avevano i richiedenti di adottare questa, non erano sufficienti affinché si potesse concludere all’esistenza di una vita familiare che meritava la protezione dell’articolo 8 della Convenzione.
Del resto, le relazioni di tipo familiare sono state considerate, secondo l’approccio tradizionale degli organi della Convenzione, come rientranti nel campo di applicazione della vita privata (vedere, per esempio, D.J ed A. – K.R. c. Romania (dec), no 34175/05, 20 ottobre 2009, §§ 82, 83 e 88; X. c. Svizzera, no 8257/78, decisione della Commissione del 10 luglio 1978, DR 13, p. 248). Alla luce di questo principio ed avuto riguardo alle cure portate ad A. dai richiedenti, così come all’attaccamento di cui si avvalgono, non sarebbe stato più opportuno piuttosto esaminare le conseguenze della loro separazione sotto l’angolo della vita privata dei richiedenti?
Concernente la violazione dell’articolo 8, nella sua giurisprudenza la Corte riconosce alle autorità interne un ampio margine di valutazione per valutare la necessità di prendere in carico un bambino (Gnahoré c. Francia, no 40031/98, CEDH 2000-IX) e, in materia di adozione di bambini, stima che le giurisdizioni interne sono poste meglio del giudice internazionale per stabilire un giusto equilibrio tra gli interessi contraddittori (Söderbäck c. Svezia, 28 ottobre 1998, § 33, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-VII).
La Corte non dovrebbe sostituire la sua visione delle cose a quella delle giurisdizioni nazionali, salvo se le misure in causa si rivelano manifestamente prive di base ragionevole o arbitraria. Nel caso di specie, è vero che l’istanza di adozione dei richiedenti è stata respinta senza motivazione dal tribunale. Ma condivido perfettamente l’argomento del Governo secondo cui questa lacuna è stata riparata dalla corte di appello che, dopo un esame complementare, in particolare una perizia psichiatrica, ha confermato il rigetto dell’istanza dei richiedenti con una decisione motivata, nell’interesse superiore del bambino.
Quindi, secondo me, lo stato convenuto non è mancato ai suoi obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione.