SECONDA SEZIONE
CAUSA MONTANI C. ITALIA
( Richiesta no 24950/06)
SENTENZA
STRASBURGO
19 gennaio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Montani c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 15 dicembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 24950/06) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. A. M. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 9 giugno 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da Me R. G., avvocato a Bologna. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e col suo co-agente aggiunge, il Sig. N. Lettieri.
3. Il richiedente adduce in particolare che le sue condizioni di detenzione si analizzano in trattamenti disumani e degradanti e in violazioni dei suoi diritti al rispetto della sua vita familiare e della sua corrispondenza.
4. Il 12 luglio 2007, la presidentessa della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1964 e risiede a Parma.
1. I perseguimenti penali
6. In una data non precisata ed al termine di un procedimento penale iniziato a suo carico, il richiedente fu condannato per associazione di malviventi, omicidio, estorsione, traffico di stupefacenti ed altri reati.
7. Con una decisione di cumulo del 25 ottobre 1996, la procura di Bari fissò a 30 anni la pena di reclusione da espiare.
2. L’applicazione del regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis della legge sull’amministrazione penitenziaria
8. Il 17 dicembre 2004, tenuto conto della pericolosità del richiedente, il ministro della Giustizia prese un’ordinanza che gli imponeva, per un periodo di undici mesi, il regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis, capoverso 2, della legge sull’amministrazione penitenziaria no 354 del 26 luglio 1975 (“la legge no 354/1975”). Modificata dalla legge no 356 del 7 agosto 1992, questa disposizione permetteva la sospensione totale o parziale dell’applicazione del regime normale di detenzione quando delle ragioni di ordine e di sicurezza pubblici lo esigevano. Suddetta ordinanza imponeva le seguenti restrizioni:
– limitazione delle visite dei membri della famiglia, al massimo una al mese per un’ora,;
– interdizione di incontrare dei terzi;
– interdizione di utilizzare il telefono, al massimo una chiamata al mese coi membri della famiglia-sottoposta a registrazione-e ciò solamente se non ha avuto luogo nessuno incontro coi membri della famiglia ;
– interdizione di ricevere o di mandare verso l’esterno delle somme di denaro al di là di un determinato importo;
– interdizione di ricevere dei pacchi, salvo quelli contenenti della biancheria;
– interdizione di eleggere dei rappresentanti di detenuti e di essere eletto come rappresentante;
– limitazione del tempo di passeggiata alle quattro ore al giorno;
9. Inoltre, tutta la corrispondenza del richiedente doveva essere sottoposta a controllo su autorizzazione preliminare dell’autorità giudiziale.
10. L’applicazione del regime speciale fu prorogata il 14 novembre 2005 ed in seguito il 10 novembre 2006.
11. Con un ricorso del 21 dicembre 2004, il richiedente attaccò l’ordinanza del 17 dicembre 2004 dinnanzi al tribunale dell’applicazione delle pene di Bologna. Contestava l’applicazione del regime speciale a suo carico. Si lamentava inoltre della limitazione delle visite dei membri della sua famiglia.
12. Con una decisione del 15 marzo 2005, depositata alla cancelleria il 22 marzo 2005, il tribunale dichiarò il ricorso inammissibile pure annullando la limitazione della durata di visita di un’ora per i membri della famiglia del richiedente.
13. Il 28 aprile 2005 il richiedente ricorse in cassazione.
14. Con una sentenza del 10 novembre 2005, la Corte di cassazione respinse il richiedente del suo ricorso stimandolo manifestamente mal fondato.
15. Il 16 novembre 2005, il richiedente attaccò l’ordinanza del 14 novembre 2005. Con una decisione del 28 febbraio 2006, il tribunale dichiarò il ricorso inammissibile. Il richiedente ricorse in cassazione. Con una sentenza del 5 ottobre 2006, la Corte di cassazione respinse il richiedente del suo ricorso.
16. Il 12 novembre 2006, il richiedente attaccò l’ordinanza del 10 novembre 2006 dinnanzi al tribunale di Firenze. Con una decisione del 13 gennaio 2007, il tribunale di Firenze si dichiarò incompetente e rinviò la pratica al tribunale di Bologna. Con una decisione del 19 marzo 2007, il tribunale respinse il ricorso del richiedente.
3. Lo stato di salute del richiedente
17. Secondo un rapporto medico stabilito su richiesta della famiglia del richiedente e che datava 29 agosto 2006, l’interessato soffre di parecchie patologie tra cui l’AIDS, l’epatite B e C ed una sindrome depressiva.
18. In una data non specificata, il richiedente pregò il tribunale dell’applicazione delle pene di Bologna di rinviare l’esecuzione della pena per ragioni di salute, in applicazione degli articoli 146 e 147 del codice penale. Con una decisione del 13 dicembre 2007, il tribunale, basandosi sul rapporto stabilito dall’équipe medica della prigione, respinse l’istanza del richiedente al motivo che questo era colpito di una patologia psichiatrica e beneficiava nella prigione di cure adattate al suo stato di salute.
4. Il controllo della corrispondenza
19. La corrispondenza del richiedente è sottoposta a controllo dal dicembre 2004.
20. Risulta dalla pratica che il formulario di richiesta, la procura così come tutti i documenti mandati alla Corte dal richiedente il 9 giugno 2006 – in particolare, l’ordinanza del ministro della Giustizia del 17 dicembre 2004, il ricorso dinnanzi al tribunale dell’applicazione della pena di Bologna che data del 21 dicembre 2004, l’ordinanza del tribunale dell’applicazione delle pene di Bologna che datava 15 marzo 2005, il ricorso in cassazione e la sentenza della Corte di cassazione che datava 10 novembre 2005-sono stati controllati dalle autorità penitenziarie l’ 8 giugno 2006 (data del sigillo di controllo).
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
21. La Corte ha riassunto il diritto e le pratica interna pertinenti in quanto al regime speciale di detenzione applicato nello specifico ed in quanto al controllo della corrispondenza nella suo sentenza Enea c. Italia ([GC], no 74912/01, §§ 30-42, 17 settembre 2009). Ha fatto anche stato delle modifiche introdotte dalla legge no 279 del 23 dicembre 2002 e dalla legge no 95 dell’ 8 aprile 2004, ibidem.
Tenuto conto di questa riforma e delle decisioni della Corte, la Corte di cassazione si è scostata dalla sua giurisprudenza e ha stimato che un detenuto ha interesse ad avere una decisione, anche se il periodo di validità dell’ordinanza attaccata è scaduto, e ciò in ragione degli effetti diretti della decisione sulle ordinanze posteriori all’ordinanza attaccata (Corte di cassazione, prima camera, sentenza del 26 gennaio 2004, depositata il 5 febbraio 2004, no 4599, Zara).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
22. Il richiedente adduce che il suo mantenimento in detenzione, tenuto conto in particolare del suo stato di salute, ha costituito un trattamento contrario agli articoli 2 e 3 della Convenzione. La Corte osserva al primo colpo che l’articolo 2 della Convenzione non si trova ad applicare nello specifico. Di conseguenza, questa parte della richiesta sarà analizzata sotto l’angolo dell’articolo 3 che è formulato così:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
23. Il Governo si oppone a questa tesi. Sostiene che le restrizioni imposte al richiedente a causa del regime speciale di detenzione non hanno raggiunto il livello minimo di gravità richiesi per ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione. Sottolinea innanzitutto che queste restrizioni erano necessarie per impedire all’interessato, socialmente pericolosi, di mantenere dei contatti con l’organizzazione criminale alla quale appartiene.
24. Per ciò che riguarda lo stato di salute del richiedente, il Governo osserva, da una parte, che risulta dalla pratica medica dell’interessato che il suo stato non era incompatibile con la detenzione e, dall’altra parte, che il richiedente è stato posto al servizio medico della prigione dove ha potuto beneficiare di cure adattate alla sua condizione. Quando ciò si è rivelato necessario, è stato ricoverato anche all’esterno della prigione. Inoltre, il Governo sottolinea che il richiedente nega di alimentarsi in modo regolare. Secondo il Governo, le autorità hanno messo in opera tutte le misure possibili e necessarie per garantire al richiedente delle condizioni di vita compatibili con l’articolo 3 della Convenzione e per prodigargli le cure di cui ha bisogno. Il richiedente ha beneficiato così di una sorveglianza medica regolare, di una terapia farmacologica e di un’assistenza psichiatrica,
25. Il richiedente non ha presentato nessuna osservazione su questo punto.
26. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, per ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione, un cattivo trattamento deve raggiungere un minimo di gravità. La valutazione di questo minimo è relativa per essenza; dipende dall’insieme dei dati della causa, in particolare dalla durata del trattamento e dei suoi effetti fisici o mentali così come, talvolta, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima (Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978, § 162, serie A no 25). In questa ottica, la Corte deve ricercare se l’applicazione prolungata del regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis-che, peraltro, dopo la riforma del 2002, è diventata una disposizione permanente della legge sull’amministrazione penitenziaria –per più di cinque anni nel caso del richiedente costituisce una violazione dell’articolo 3 della Convenzione (Labita c. Italia [GC], no 26772/95, § 119, CEDH 2000-IV).
27. La Corte ammette che in generale, l’applicazione prolungata di certe restrizioni può porre un detenuto in una situazione che potrebbe costituire un trattamento disumano o degradante, ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. Però, non potrebbe considerare una durata precisa per determinare il momento a partire dal quale viene raggiunta la soglia minima di gravità per ricadere nel campo di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione. In compenso, ha il dovere di controllare se, in un dato caso, il rinnovo ed il prolungamento delle restrizioni si giustificavano (Argenti c. Italia, no 56317/00, § 21, 10 novembre 2005). La Corte nota che le restrizioni imposte al richiedente a causa del regime speciale di detenzione erano necessarie per impedire all’interessato, socialmente pericoloso, di mantenere dei contatti con l’organizzazione criminale alla quale appartiene. Ora, il richiedente non ha fornito alla Corte elementi che le permetterebbero di concludere che la proroga di queste restrizioni non si giustificava manifestamente (vedere, mutatis mutandis, la sentenza Argenti precitata, §§ 20-23). Peraltro, il tribunale dell’applicazione delle pene ha annullato certe restrizioni (paragrafo 12 sopra).
28. Trattandosi delle ripercussioni di tale regime sullo stato di salute del richiedente, la Corte rinvia alle sentenze Scoppola c. Italia, (no 50550/06, §§ 40-44, 10 giugno 2008) ed Enea c. Italia, precitata, per i principi applicabili in materia. Nota al primo colpo che nello specifico, il richiedente non ha presentato nessuna osservazione sulle sue condizioni di salute. Non ha fornito peraltro nessun elemento che mostra che la sua sottomissione al regime 41bis l’abbia privato di un seguito medico adeguato.
29. Alla luce degli elementi di cui dispone, la Corte non può concludere che l’applicazione prolungata del regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis ha causato al richiedente degli effetti fisici o mentali ricadenti sotto l’influenza dell’articolo 3. Quindi, la sofferenza che il richiedente ha potuto provare non è andata al di là di quella che comprende inevitabilmente una data forma di trattamento – nello specifico prolungato – o di pena legittima (Labita, precitata, § 120, e Bastone c. Italia, (dec) no 59638/00, 18 gennaio 2005).
30. Pertanto, secondo la Corte, l’applicazione continua del regime speciale di detenzione dell’articolo 41bis non ha raggiunto il minimo necessario di gravità per ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione.
31. Questa parte della richiesta deve essere respinta quindi come manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE IN QUANTO ALLE RESTRIZIONI AL DIRITTO ALLE VISITE
32. Il richiedente si lamenta della violazione del suo diritto al rispetto della sua vita familiare in ragione delle restrizioni alle quali è sottoposto. Invoca l’articolo 8 della Convenzione, ai termini del quale:
“”1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica,(…) alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, (…)”
33. La Corte ricorda che ha già dovuto deliberare sul fatto di sapere se le restrizioni previste dall’applicazione dell’articolo 41bis in materia di vita privata e familiare di certi detenuti costituiscono un’ingerenza giustificata dal paragrafo 2 dell’articolo 8 (vedere la sentenza Messina c. Italia (no 2), no 25498/94, §§ 59-74, CEDH 2000-X ed Indelicato c. Italia,( dec.), no 31143/96, 6 luglio 2000). Dopo esame della pratica, nella misura in cui le affermazioni sono state supportate, la Corte stima che le restrizioni non sono andate al di là di ciò che, ai termini dell’articolo 8 § 2, è necessario, in una società democratica, alla sicurezza pubblica, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione dei reati penali. Stima dunque che niente le permette di scostarsi dalle conclusioni derivate nella causa Enea c. Italia ([GC], precitata) e che il motivo di appello deve essere respinto conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELL CONVENZIONE IN QUANTO ALLE RESTRIZIONI AL DIRITTO AL RISPETTO DELLA CORRISPONDENZA
34. Sempre ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, il richiedente considera che l’ingerenza nel suo diritto al rispetto della sua corrispondenza non era prevista dalla legge.
35. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
36. Il Governo eccepisce del non esaurimento delle vie di ricorso interne al motivo che il richiedente non ha introdotto un reclamo, secondo il procedimento contemplato all’articolo14 bis della legge sull’amministrazione penitenziaria, contro la decisione che contempla il controllo della corrispondenza dinnanzi al giudice di applicazione delle pene.
37. Il richiedente si oppone alla tesi del Governo.
38. La Corte stima, alla luce dell’insieme degli argomenti delle parti, che l’eccezione del Governo è legata strettamente al merito della richiesta e decide di unirla al merito.
39. La Corte constata che la richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
40. Il richiedente considera che l’ingerenza nel suo diritto al rispetto della sua corrispondenza non era prevista dalla legge
41. Il Governo ricorda innanzitutto che il controllo della corrispondenza del richiedente è stato ordinato in applicazione dell’articolo 18 ter § 2 della legge sull’amministrazione penitenziaria che è conforme alla giurisprudenza. Inoltre, quando un detenuto intende scrivere al suo avvocato o agli organi internazionali, gli tocca fornire le indicazioni necessarie affinché il controllo della corrispondenza non sia messo in opera, attaccando in particolare queste indicazioni sulla busta sigillata contenente la corrispondenza.
42. La Corte ricorda innanzitutto che la legge no 95 del 2004 ha introdotto un nuovo articolo 18 ter concernente il controllo di corrispondenza che è stato aggiunto alla legge sull’amministrazione penitenziaria. Il paragrafo 2 di questo articolo in particolare esclude dal controllo la corrispondenza del detenuto con il suo avvocato e gli organi internazionali competenti in materia dei diritti dell’uomo.
43. Nello specifico, la Corte nota che il formulario di richiesta, la procura così come tutti i documenti mandati dal richiedente alla Corte il 9 giugno 2006-in particolare, l’ordinanza del ministro della Giustizia del 17 dicembre 2004, il ricorso dinnanzi al tribunale dell’applicazione della pena di Bologna che data il 21 dicembre 2004, l’ordinanza del tribunale dell’applicazione delle pene di Bologna che data 15 marzo 2005, il ricorso in cassazione e la sentenza della Corte di cassazione che data 10 novembre 2005-sono stati controllati dalle autorità penitenziarie l’ 8 giugno 2006 (data del sigillo di controllo). La Corte nota che questi documenti sono stati mandati poi dal richiedente alla Corte il giorno seguente e precisamente il 9 giugno 2006. La Corte constata che malgrado l’entrata in vigore della legge no 95/2004, la corrispondenza tra il richiedente e la Corte è stata sottoposta a controllo.
44. In quanto all’eccezione di non esaurimento, la Corte rileva che il Governo non ha dimostrato l’efficacia di tale reclamo. Nota che il formulario, la procura ed i documenti annessi, furono controllati la vigilia del loro invio alla Corte, come risulta dalla busta. È verosimile dunque che il richiedente non era informato dell’apposizione del visto di censura sul formulario e sui documenti annessi. In più, l’indirizzo della Corte era scritto sulla busta. Secondo la Corte, questo controllo non è conforme al diritto nazionale, visto che questo vieta di censurare questo tipo di corrispondenza.
45. Pertanto, la Corte respinge l’eccezione preliminare del Governo e conclude alla violazione dell’articolo 8 della Convenzione
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
46. Il richiedente si lamenta di non avere potuto disporre di un ricorso interno effettivo contro le ordinanze del ministro della Giustizia. Invoca gli articoli 13, 5 §§ 4 e 5, 6 §1 e 13 della Convenzione così formula:
47. Conformemente alla sua pratica recente (vedere Ganci c. Italia, no 41576/98, §§ 19-26, 30 ottobre 2003 ed Enea precitata) la Corte è del parere che questo motivo di appello deve essere esaminato piuttosto sotto l’angolo dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile.
48. Il Governo contesta questa tesi ed eccepisce del fatto che questa parte della richiesta è tardiva nella misura in cui è legata alle ordinanze prese prima del 9 dicembre 2005. Inoltre, il Governo afferma che il superamento del termine dei dieci giorni previsto dalla legge sull’amministrazione penitenziaria non potrebbe passare per un’omissione del dovere di controllo giurisdizionale. Il tribunale dell’applicazione delle pene avrebbe sempre deliberato in termini ragionevoli tenuto conto del tempo necessario per l’istruzione delle cause. Nello specifico, il ritardo accusato dalla risposta non avrebbe causato un diniego di accesso ad un tribunale.
49. Il richiedente si oppone alla tesi del Governo.
50. La Corte nota che nello specifico, nessuna prova dell’esistenza di un ritardo da parte delle autorità competenti è stata portata dal richiedente. Peraltro, risulta dalla pratica che i tribunali di applicazione delle pene investiti si sono pronunciati sui reclami del richiedente prima della scadenza del periodo di validità delle ordinanze controverse (vedere sopra paragrafi 10-16) e che non ci sono stati, nella presente causa, né mancanza di decisione sul merito né ritardi sistematici del tribunale che provoca una concatenazione di ordinanze prese dal ministro della Giustizia senza tenere conto delle decisioni giudiziali.
51. Tenuto conto dell’insieme degli elementi in suo possesso, la Corte non ha rilevato nessuna apparenza di violazione dei diritti e delle libertà garantiti dalla Convenzione o dai suoi Protocolli (vedere Campisi c. Italia, no 24358/02, §§ 71-79, 11 luglio 2006).
52. Ne segue che questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
V. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
53. Il richiedente si lamenta di una violazione del suo diritto di difendersi e dell’incomprensione del principio dell’uguaglianza delle armi nella misura in cui l’applicazione del regime speciale di detenzione viene prorogato in modo automatico e senza motivo. Invoca l’articolo 6 §§ 2 e 3 a) e b) così formulato:
2. Ogni persona accusata di una violazione è presunta innocente finché la sua colpevolezza non è stata stabilita legalmente.
3. Ogni imputato ha in particolare diritto a:
a) essere informato, nel più breve termine, in una lingua che comprende e in un modo dettagliato, della natura e della causa dell’accusa contestatagli ;
b) disporre del tempo e delle facilità necessarie alla preparazione della sua difesa; (…)
54. La Corte ricorda che i paragrafi 2 e 3 dell’articolo 6 si applicano solamente nella cornice di un’accusa penale, mentre le ordinanze ministeriali controverse riguardano le condizioni di detenzione (Ospina Vargas c. Italia (dec.), no 40750/98, § 2). Ne segue che questo motivo di appello è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3 e deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 § 4.
VI. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
55. Il richiedente adduce che le violazioni denunciate hanno provocato un danno. Chiede 1 000 000 euro (EUR) a titolo di danno patrimoniale e morale. Per ciò che riguarda gli oneri e le spese dinnanzi alla Corte, chiede alla Corte di fissare una somma in equità.
56. Il Governo nota che la somma chiesta dal richiedente è eccessiva e che non ha supportato per niente la sua richiesta. Stima che la constatazione di violazione costituirebbe, in sé , una soddisfazione equa sufficiente.
57. La Corte ricorda che ha concluso unicamente alla violazione della Convenzione per ciò che riguarda il controllo della corrispondenza del richiedente. Non vede nessun legame di causalità tra questa violazione ed un qualsiasi danno patrimoniale. In quanto al danno morale, stima che nelle circostanze dello specifico, la constatazione di violazione basta a compensarlo.
58. In quanto agli oneri e spese per il procedimento, la Corte ricorda che un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisce la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico, la Corte constata che il richiedente non ha valutato le sue pretese né fornito alcun conteggio del lavoro effettuato dal suo avvocato. Pertanto, la Corte stima che non c’è luogo di concedergli alcuna somma a questo titolo.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 8 (controllo della corrispondenza) ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
3. Stabilisce che la constatazione di violazione della Corte costituisce in sé una soddisfazione equa sufficiente per il danno morale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 19 gennaio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa