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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE MILHAU c. FRANCE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, P1-1
Numero: 4944/11/2014
Stato: Francia
Data: 2014-07-10 00:00:00
Organo: Sezione Quinta
Testo Originale

Conclusioni: Violazione dell’articolo 1 del Protocollo n° 1 – Protezione della proprietà, articolo 1 al. 1 del Protocollo n° 1 – Privazione di proprietà
Rispetto dei beni, Danno morale – risarcimento

QUINTA SEZIONE

CAUSA MILHAU C. FRANCIA

(Richiesta no 4944/11)

SENTENZA

STRASBURGO

10 luglio 2014

Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Milhau c. Francia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, quinta sezione, riunendosi in una camera composta di:
Marco Villiger, presidente,
Angelika Nußberger,
Boštjan il Sig. Zupanič,
Ann Power-Forde,
Vincent A. Di Gaetano,
André Potocki,
Helena Jäderblom, giudici,
e di Claudia Westerdiek, greffière di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 17 giugno 2014,
Rende la sentenza che ha, adottata a questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 4944/11) diretta contro la Repubblica francese e di cui un cittadino di questo Stato, OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 5 gennaio 2011 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è stato rappresentato da OMISSIS, avvocato a Parigi. Il governo francese (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Belliard, direttrice delle cause giuridiche al ministero delle Cause estere.
3. Il 7 luglio 2011, la richiesta è stata comunicata al Governo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il 5 novembre 1970, il richiedente e D.P. si sposano. Trattandosi del regime matrimoniale, optarono per quello della separazione di beni.
5. Il 4 settembre 2001, D.P. deposita una richiesta in divorzio.
6. Con un’ordinanza di non conciliazione del 4 febbraio 2002, il giudice alle cause familiari della corte d’appello di Grassa autorizzò gli sposi a risiedere separatamente. Assegnò il godimento del domicilio coniugale al richiedente, a sapere una villa situata a Valbonne e proprietà esclusiva di questo ultimo, che condannò inoltre a pagare un assegno alimentare di 2 286 euro a sua sposa durante il procedimento. Infine, diede atto alle parti del loro impegno di effettuare un inventario contraddittorio dei mobili che ammobiliano il domicilio coniugale.
7. Con una citazione del 5 luglio 2002, il seguito, D.P. si schiera una domanda in divorzio ai torti esclusivi del richiedente, rimproverandogli una relazione adultero ed un comportamento meschino al suo riguardo.
8. Il 16 marzo 2004, il giudice del collocamento in stato fece ingiunzione a D.P. di comunicare certi giustificativi bancari ed al richiedente di giustificare dei suoi redditi fondiari per gli anni 2000, 2002 e 2003, così come della valutazione del mobilio che guarnisce il domicilio coniugale.
9. Nella cornice delle sue ultime scritture, notificate il 2 dicembre 2004, D.P. mantiene la sua domanda di divorzio. A questa occasione, sollecitò il pagamento di una somma di 80 000 euro a titolo di danno-interessi ed il pagamento di una prestazione compensatoria di un importo di 1 166 235 euro sotto forma di attribuzione, conformemente alle disposizioni dell’articolo 275 del codice civile, di beni che appartengono unicamente al richiedente, e cioè: la villa di Valbonne che costituisce il domicilio coniugale e valutata da lei a 609 796 euro; di quattro appartamenti situati a Cannes e valutati rispettivamente a 68 602, 76 225, 73 176 e 114 337 euro; di un appartamento situato al Cannet, valutato a 125 008; e, infine, dei dritti indivis su un appartamento valutato a 99 092 euro. Sollecitò anche che i diritti di trasferimento di queste proprietà siano al carico del richiedente. A titolo accessorio, nel caso in cui il trasferimento di proprietà della villa di Valbonne non gli sarebbe accordato, chiese il trasferimento di proprietà degli altri beni immobiliari citati più il versamento di una somma complementare di 609 796 euro che corrispondono al valore commerciale di questa villa.
10. Il 29 aprile 2003, il richiedente notificò i suoi conclusioni con che sollecitò un pronunziato del divorzio ai torti esclusivi di D.P, non contestando intrattenere una relazione adultero passeggera ma invocando una relazione adultero anteriore di sua sposa. Chiese che D.P. è respinta di tutte le sue domande finanziarie o che siano restrette perlomeno e che un notaio sia designato, per informare il tribunale sulla situazione patrimoniale rispettiva di ciascuno degli sposi.
11. Con un giudizio del 2 maggio 2005, la corte d’appello di Grassa constatò innanzitutto che il richiedente non contestava il suo adulterio, peraltro invalso coi documenti della pratica e che non riportava la prova di un adulterio commesso da sua sposa. Pertanto, pronunciò il divorzio ai torti esclusivi del richiedente. Trattandosi delle conseguenze del divorzio e più specialmente della prestazione compensatoria, il tribunale, dopo avere ricordato che uno degli sposi può essere tenuto di versare all’altro una prestazione compensatoria, respinse la domanda del richiedente visto della designazione di un notaio, stimando che una tale domanda era dilatoria tenuto conto di per il fatto che il procedimento era durato già tre anni. Constatò che gli sposi erano rispettivamente vecchi di 57 anni (D.P) e di 71 anni, il richiedente, che la loro vita comune era durata trentun anni e che non avevano bambino.
12. Il tribunale rilevò che il richiedente faceva il proprietario di un importante patrimonio immobiliare, composto di dieci beni immobiliari situati a Levallois Perret, Cannes ed al Cannet, ciò che gli permetteva di vivere dei suoi redditi fondiari, oltre la villa di Valbonne, così come un avere bancario globale di circa 130 000 euro (EUR). In quanto a D.P, constatò in particolare che lavorava a tempo parziale, per un stipendio imponibile di 11 461 euro nel 2004, che disponeva di 17 999 euro su conto suo, che faceva il proprietario in comunione col richiedente di un appartamento di quattro documenti situati al Cannet e valutato da lei a 198 000 euro ed in proprio di un appartamento nello stesso comune e di un valore di 155 000 euro, che aveva lavorato benevolmente poi in qualità di congiunta salariato per il richiedente durante diciannove anni e, infine, che la villa di Valbonne era stata costruita durante il matrimonio. Il tribunale giudicò quindi giustificato di assegnare una prestazione compensatoria a D.P. sotto forma di attribuzione della villa di Valbonne, rilevando che era valutata a 228 000 euro col richiedente nella sua dichiarazione sull’onore del 2005. Infine, accordò una somma di 7 500 euro a D.P. a titolo di danni ed interessi.
13. Il tribunale decise tuttavia di sospendere a deliberare, nell’attesa della produzione con le parti del titolo di proprietà della villa che contiene le menzioni di pubblicità fondiaria.
14. Con un giudizio del 15 luglio 2005, il tribunale pronunciò il divorzio ai torti esclusivi del richiedente. Condannò questo ultimo a pagare a D.P. una prestazione compensatoria con l’abbandono dei suoi diritti di proprietà sulla villa situata a Valbonne e valutati dal richiedente a 228 000 EUR nella sua dichiarazione sull’onore, esagera 7 500 euro a titolo di danni ed interessi.
15. Il richiedente interpose appello, chiedendo di respingere D.P. di tutte le sue domande e di pronunciare il divorzio al suo profitto. Sua ex-sposa mantenne le sue domande in appello, sollecitando tuttavia il versamento di una prestazione compensatoria di un importo più elevato, a sapere 1 340 000 euro, pure continuando a sostenere che la villa di Valbonne era di un valore di 610 000 euro.
16. Con una sentenza del 26 ottobre 2006, la corte di appello dell’Aix-in-Provenza confermò il giudizio, eccetto le sue disposizioni sulla prestazione compensatoria. Deliberando di nuovo su questo punto, esaminò i redditi e patrimoni rispettivi di ogni parte. Indicò in particolare che il richiedente faceva il proprietario, “in comunione con sua sposa”, della villa situata a Valbonne che era stato costruito su un terreno acquisito da sua madre, pure sottolineando che il richiedente lo valutava a 228 000 euro e D.P. a 600 000 euro. Tenuto conto di questi elementi, dell’età di D.P, allora presto in pensione, del suo contributo all’attività professionale del richiedente e della loro situazione rispettiva, la corte di appello giudicò che le pretese di D.P. erano eccessive e fissò l’importo della prestazione compensatoria a 200 000 euro. La corte di appello non ordinò nessuno trasferimento di proprietà, condannando unicamente il richiedente a pagare questa somma a sua ex-sposa.
D.P. si ricorre in cassazione.
17. Con una sentenza del 6 febbraio 2008, la Corte di cassazione annullò la sentenza di appello, al motivo che questo enunciava che gli sposi facevano i proprietari in comunione della villa situata a Valbonne, mentre le parti avevano indicato che solo il richiedente ne faceva il proprietario. Rinviò la causa dinnanzi alla stessa corte di appello, diversamente composta.
18. Dinnanzi alla corte di appello di Aix-in-Provenza che delibera su rinvio, D.P. sollecita la condanna del richiedente a pagargli la somma di 1 674 000 EUR a titolo di prestazione compensatoria, pagabile sotto forma di attribuzione di proprietà della villa di Valbonne di cui stimò questa volta il valore reale a 800 000 euro, così come di tre appartamenti situati a Cannes ed appartenendo al richiedente. Questo ultimo conclude alla riformazione del giudizio attaccato, offrendo a D.P. una prestazione compensatoria di un importo di 200 000 EUR, pagabile su otto anni come la legge lo permetteva.
19. Con una sentenza del 25 marzo 2009, la corte di appello dell’Aix-in-Provenza confermò i giudizi del 2 maggio e 15 luglio 2005 concernente la prestazione compensatoria. Nella cornice della valutazione dei bisogni e delle risorse rispettive delle parti, rilevò, trattandosi del richiedente: da una parte, che aveva un reddito netto imponibile di 197 751 EUR nel 2007, pure notando dell’importiamo fluttuazioni secondo gli anni; di altra parte, che il suo patrimonio immobiliare si costituiva della villa di Valbonne che occupava dalla separazione e che aveva sé stimata a 228 000 EUR nelle dichiarazioni sull’onore fatto in 2003 e 2005, così come di nuovo altri beni immobiliari stimati al totale a 2 785 000 EUR nella dichiarazione per l’imposta sulla fortuna del 2007; infine, che aveva delle liquidità per un importo da vicino 19 000 EUR, oltre i beni mobili di un valore dichiarato di 7 500 EUR ma valutati a 228 674 EUR con un antiquario alla domanda di sua sposa. Valutando le stime dei beni immobiliari del richiedente con sua ex-sposa, la corte di appello rilevò espressamente che le stime di questa ultima risultavano, all’eccezione tuttavia della villa di Valbonne, di dichiarazioni non contestate dall’amministrazione fiscale. Pertanto, respinse le contestazioni per questi immobili, eccetto la villa di Valbonne, pure rilevando che D.P. non aveva chiesto mai una perizia di certi di essi. Trattandosi della villa di Valbonne di cui la stima non risultava da queste dichiarazioni fiscali, la corte di appello non si pronunciò.
20. Tenuto conto di una disparità nelle condizioni di vita rispettiva degli sposi, la corte di appello decise di compensarla con una prestazione compensatoria di un importo di 228 000 euro. Ordinò inoltre che questa somma sia “regolata dall’abbandono col Signore Milhau dei suoi diritti di proprietà sulla villa situata a Valbonne di un valore di 228 000 euro.”
21. Il richiedente si ricorse in cassazione, facendo valere in particolare che la sua situazione finanziaria non era stata attualizzata al momento del pronunziata del divorzio. Inoltre, si lamentò di ciò che i giudici del fondo avevano considerato un valore di 228 000 euro per la villa di Valbonne, mentre D.P. lo valutava a 800 000 euro d’ora in poi. Sottolineò che non aveva contestato questa nuova stima di D.P. nei suoi conclusioni di appello e che, quindi, queste ultime sarebbero dovute essere presi in conto con la corte di appello di rinvio per constatare un accordo delle parti su questo punto. Peraltro, il richiedente rilevò che se l’articolo 275 del codice civile permetteva al giudice di decidere dell’abbandono di un bene in natura, una tale disposizione non poteva essere messa in œuvre che in caso di incapacità per il debitore della prestazione compensatoria di liberarsi diversamente dal suo debito, salvo a violare anche il diritto di proprietà garantita dall’articolo 1 del Protocollo no 1.
22. Dopo la chiusura dell’istruzione del ricorso, sollecitò il rinvio al Consiglio costituzionale di una questione prioritaria di costituzionalità (“QPC”) cadendo sull’articolo 275 del codice civile, stimando in particolare che era non solo contrario alla Costituzione di impedire il debitore di scegliere liberamente gli elementi del suo patrimonio per pagare il suo debito dal momento che non ha negato di liberarsi da questa, ma anche di permettere che il giudice assegna un bene senza garantito sufficiente in quanto alla sua valutazione preliminare con un professionista. Depositò anche un esposto che invita la Corte di cassazione a procedere alla riapertura dell’istruzione, alle fini di esame di questo QPC.
23. Il 8 giugno 2010, durante l’udienza della Corte di cassazione, l’avvocato generale conclude alla riapertura dell’istruzione alle fini di esame del QPC.
24. Con una sentenza del 8 luglio 2010, la Corte di cassazione dice non c’avere luogo a riapertura dell’istruzione e respinse il ricorso del richiedente, giudicando che la corte di appello aveva valutato la fondatezza e le modalità di pagamento della prestazione compensatoria nell’esercizio del suo potere sovrano di valutazione
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
A. Il codice civile
25. Le disposizioni pertinenti, applicabili nello specifico, sono formulate così:
Articolo 270
“Salvo quando è pronunciato in ragione della rottura della vita comune, il divorzio mette fine al dovere di soccorso previsto con l’articolo 212 del codice civile; ma uno degli sposi può essere tenuto di versare all’altro una prestazione destinata a compensare, tanto che egli è possibile, la disparità che la rottura del matrimonio crea nelle condizioni di vita rispettiva.
Articolo 275
Il giudice decide delle modalità secondo che ubbidiranno l’attribuzione o la destinazione di beni in capitale:
1. Versamento di una somma di denaro;
2. Abbandono di beni in natura, mobili o immobili, in proprietà, in usufrutto, per l’uso o l’abitazione, il giudizio che opera cessione costretta in favore del creditore,;
3. Deposito di valori produttivi di redditi tra le mani di un terzo incaricato di versare i redditi allo sposo creditore della prestazione fino al termine fissato. (…) “
26. Il nuovo testo dell’articolo 275 del codice civile, diventato l’articolo 274 seguito alla riforma operata dalla legge no 2004-439 del 26 maggio 2004, si legge come segue:
Articolo 274
“Il giudice decide delle modalità secondo che ubbidiranno la prestazione compensatoria in capitale tra il seguente forme:
1o Versamento di una somma di denaro, il pronunziato del divorzio che può essere subordinato alla costituzione delle garanzie contemplate all’articolo 277;
2o Attribuzione di beni in proprietà o di un diritto temporaneo o vitalizio di uso, di abitazione o di usufrutto, il giudizio che opera cessione costretta in favore del creditore. Tuttavia, l’accordo dello sposo debitore è esatto per l’attribuzione in proprietà di beni che ha ricevuto da successione o donazione. “
B. Evoluzioni legislative e giurisprudenza interni
27. Il diritto del divorzio è stato modificato profondamente da una legge no 75-617 del 11 luglio 1975 portando riforma del divorzio che ha sostituito in particolare il versamento di un assegno alimentare con uno degli ex-sposi a suo ex-congiunti con quello di una “prestazione compensatoria.” Questa ultima mira a compensare la disparità che la rottura del matrimonio crea nelle condizioni di vita rispettiva. Il legislatore del 1975 intendeva privilegiare il versamento di questa prestazione compensatoria sotto forma di un capitale piuttosto che una rendita, e questo per evitare al massimo i contenziosi ulteriori. Tuttavia, questo scopo non è stato raggiunto, i giudici avendo continuato massicciamente a privilegiare il versamento con le rendite al posto di assegnare un capitale (cf). il rapporto fa al nome della Commissione delle leggi del Senato, no 120, depositato il 17 dicembre 2003, relativo ai lavori parlamentari su ciò che diventerà la legge no 2004 439 del 26 maggio 2004 relativo al divorzio.
28. La legge no 2000-596 del 30 giugno 2000 relativo alla prestazione compensatoria mirava a correggere le derive rispetto all’intenzione iniziale del legislatore del 1975, in particolare rinforzando il versamento della prestazione compensatoria sotto forma di capitale. Per questo fare, ha introdotto la possibilità, per il giudice, di ordinare l’abbandono di un bene che appartiene al debitore, paragrafo 25 sopra. Questa legge è stata oggetto di numerose critiche, in particolare da parte della dottrina in ragione dell’attentato all’inalienabilità del diritto di proprietà che ha necessitato una notizia riformo, vedere il rapporto fa al nome della Commissione delle leggi del Senato, no 120, precitato).
29. La riforma iniziata dalla legge no 2004-439 del 26 maggio 2004 relativo al divorzio mantiene il principio del versamento in capitale, quando il debitore non è in grado di versare il capitale in una sola volta, il giudice fissa il suo versamento in parecchie modalità su una durata massima di otto anni, così come la possibilità per il giudice di ordinare l’abbandono col debitore dei suoi diritti di proprietà su un bene. Tuttavia, la legge protegge i beni di famiglia d’ora in poi, poiché esige l’accordo dello sposo debitore per la cessione costretta dei beni ricevuti da successione o donazione d’ora in poi. Di più, in una sentenza del 17 maggio 2011, ricorso no 11-40.005, la Corte di cassazione ha giudicato che la questione prioritario di costituzionalità che cade sulla conformità del meccanismo in causa col diritto di proprietà, come garantito con la Costituzione, era seria e ha deciso di rinviarla dinnanzi al Consiglio costituzionale.
30. Nel suo decisione no 2011-151 QPC del 13 luglio 2011, il Consiglio costituzionale, investito della conformità del nuovo articolo 274 del codice civile ai diritti e libertà garantite dalla Costituzione, ha considerato che instaurando questo meccanismo di cessione forzata di un bene del debitore della prestazione compensatoria, “il legislatore ha inteso facilitare la costituzione di un capitale, per regolare gli effetti pecuniari del divorzio al momento di suo pronunziato; che il legislatore ha inteso garantire anche il versamento della prestazione compensatoria; che l’obiettivo perseguito di garantire la protezione del coniuge di cui la situazione economica è meno avvantaggiata e di limitare, per quanto possibile, le difficoltà ed i contenziosi posteriori al pronunziato del divorzio costituiscono un motivo di interesse generale; (…) .” Il Consiglio costituzionale ha aggiunto però una riserva di interpretazione. Ha considerato difatti “che l’attentato al diritto di proprietà che risulta dall’attribuzione forzata prevista dal 2o di [l’articolo 274 precitato] non può essere guardata come una misura proporzionata allo scopo di interesse generale perseguito che se costituisce una modalità accessoria di esecuzione della prestazione compensatoria in capitale; che, di conseguenza, non saprebbe essere ordinata dal giudice che nel caso dove, allo sguardo delle circostanze dello specifico, le modalità contemplate al 1o [di suddetto articolo] non appaiono sufficienti per garantire il versamento di questa prestazione” (stupidi). 6-8.
Segue che i giudici del divorzio non possono concedere una prestazione compensatoria sotto forma di attribuzione forzata di un bene che a titolo accessorio, nelle condizioni così specificate dal Consiglio costituzionale.
IN DIRITTO
I. Su La Violazione Addotta Di L’articolo 1 Del Protocollo No 1
31. Il richiedente si lamenta di ciò che il giudice del divorzio gli ha imposto l’abbandono dei suoi diritti di proprietà su un bene immobiliare che gli appartiene in proprio e che desiderava conservare, a titolo del pagamento della prestazione compensatoria accordata a sua sposa, senza possibilità per lui di liberarsi da questo debito con un altro mezzo a sua disposizione. Adduce una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 che si legge come segue:
Articolo 1 del Protocollo no 1
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Sull’ammissibilità
32. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul fondo
1. Argomenti delle parti
33. Il richiedente sostiene che le disposizioni dell’articolo 275 del codice civile sono contrarie all’articolo 1 del Protocollo no 1 dal momento che permettono al giudice del divorzio di pronunciare un’attribuzione forzata e definitiva di un bene proprio come modalità di pagamento di una prestazione compensatoria tra sposi. Questo attentato non risulterebbe né della riconoscenza di un debito tra sposi né della necessità di procedere alla sua esecuzione forzata, ma della perdita per lo sposo debitore del diritto di scegliere la modalità di pagamento della prestazione compensatoria. Fa valere che questa attribuzione è pronunciata anche nella mancanza di ogni trasgressione ai suoi obblighi in quanto al versamento di suddetta prestazione.
34. Considera poi che il pieno esercizio del suo diritto di proprietà implica di potere scegliere liberamente gli elementi del suo patrimonio di cui intende disfarsi per liberarsi dal suo debito. Secondo lui, questo meccanismo non porta di garanzie sufficienti, tenuto conto di per il fatto che il giudice valuta solo il valore del bene di cui decide di trasferire la proprietà, senza ricorrere ad un professionista rotto a questo tipo di valutazione.
35. Il Governo indica che l’ingerenza nel diritto di proprietà del richiedente è prevista dall’articolo 275 del codice civile, diventato dall’articolo 274 dello stesso codice. Questa disposizione costituisce una norma sufficientemente accessibile, precisa e prevedibile. Aggiunge che questa ingerenza insegue un scopo legittimo conforme all’interesse generale, a sapere compensare le forti disparità di livello di vita tra gli sposi che potrebbero risultare dal divorzio, e che il potere dato al giudice di determinare le modalità di versamento in capitale della prestazione permette di assicurarsi per il meglio del suo effettività e di non rimettere ne si al di là del ragionevole alla buona volontà del debitore.
36. Considera che le giurisdizioni nazionali hanno vegliato, tutto lungo il procedimento, al mantenimento di un giusto equilibro tra gli interessi del richiedente e quelli di sua ex-sposa, valutando precisamente i bisogni e risorse di ciascuno per fissare l’importo e le modalità di versamento della prestazione compensatoria. Sottolinea il fatto che il richiedente possiede in particolare, oltre la villa in causa, tre immobili e sei appartamenti.
37. Trattandosi della valutazione della villa, indica in particolare che le giurisdizioni interne si sono basate unicamente sulla dichiarazione sull’onore fatto dal richiedente in prima istanza e reiterata dinnanzi alla prima corte di appello; dinnanzi alla corte di appello di rinvio, il richiedente non ha fornito più di informazione su questa valutazione e non ha contestato mai la veracità delle informazione si concesse nella sua dichiarazione sull’onore o chiesto al giudice di designare un perito per fissare ne il valore. Sottolinea inoltre che l’attribuzione della proprietà dell’alloggio familiare all’ex-sposa del richiedente che rileva della valutazione del giudice nazionale, appare logico.
38. Il Governo indica infine che, con una decisione del 13 luglio 2011, il Consiglio costituzionale ha ammesso la costituzionalità del nuovo articolo 274 del codice civile, sotto l’unica riservo che costituisce una modalità accessoria di esecuzione della prestazione compensatoria.
2. Valutazione della Corte
ha, Principi generali
39. La Corte ricorda che l’articolo 1 del Protocollo no 1 che garantisce in sostanza il diritto di proprietà, contiene tre norme distinte: la prima che si esprime nella prima frase del primo capoverso e riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, figurando che nel secondo, fraseggia dello stesso capoverso, prevedi la privazione di proprietà e la sottopone a certe condizioni; in quanto alla terza, registrata nel secondo capoverso, riconosce agli Stati contraenti il potere, entra altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale. Le secondo e terzo norme che hanno fatto riferimento agli esempi particolari di attentati al diritto di proprietà, devono interpretare si alla luce del principio consacrato dalla prima (vedere, in particolare, Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 61, serie Ha no 52, James ed altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 37, serie Ha no 98, e Depalle c. Francia [GC], no 34044/02, § 77, CEDH 2010.
40. Per essere compatibile con l’articolo 1 del Protocollo no 1, una misura di privazione di proprietà deve assolvere tre condizioni (vedere, in particolare, Vistiš ņe Perepjolkins c. Lettonia [GC], no 71243/01, § 94, 25 ottobre 2012.
41. Occorre innanzitutto che sia effettuata, “nelle condizioni previste dalla legge”, ciò che esclude un’azione arbitraria da parte delle autorità nazionali.
42. Deve intervenire poi “a causa di utilità pubblica.” Su questo punto, la Corte ricorda che, grazie ad una cognizione diretta della loro società e dei suoi bisogni, le autorità nazionali si trovano in principio più meglio collocato che il giudice internazionale per determinare ciò che è “di utilità pubblica.” Nel meccanismo di protezione creata dalla Convenzione, appartiene loro di conseguenza di pronunciarsi i primi sull’esistenza di un problema di interesse generale che giustifica delle privazioni di proprietà. Quindi, godono qui di un certo margine di valutazione, come in altre tenute ai quali si dilungano le garanzie della Convenzione. Di più, il nozione d ‘ “utilità pubblica” è ampia con natura. La decisione di adottare delle leggi che portano privazione di proprietà implichi in particolare, di solito l’esame di questioni politici, economici e sociali. Stimando normale che il legislatore dispone di una grande latitudine per condurre una politica economica e sociale, la Corte rispetta il modo di cui concepisce gli imperativi di l ‘ “utilità pubblica”, salvo si il suo giudizio si rivela manifestamente privo di base ragionevole, James ed altri, precitato, § 46, Pressos Compania Naviera S.p.A. ed altri c. Belgio, 20 novembre 1995, § 37, serie Ha no 332, Broniowski c. Polonia [GC], no 31443/96, § 149, CEDH 2004-V, e Lecarpentier c. Francia, no 67847/01, § 44, 14 febbraio 2006.
43. Infine, una tale misura deve predisporre un “giusto equilibro” tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (vedere, tra altri, Sporrong e Lönnroth, precitato, § 69. La preoccupazione di garantire un tale equilibrio è inerente all’insieme della Convenzione e si riflette nella struttura dell’articolo 1 del Protocollo no 1 tutto intero, dunque anche nel secondo fraseggio che deve leggere si alla luce del principio consacrato dalla prima. In particolare, deve esistere un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto da ogni misura applicata dallo stato, ivi compreso per le misure che privano una persona della sua proprietà (vedere, tra molto altri, Sporrong e Lönnroth, precitato, § 73, Pressos Compania Naviera S.p.A. ed altri, precitato, § 38, Kozacolu ğc. Turchia [GC], no 2334/03, § 63, 19 febbraio 2009 e Vistiš ņe Perepjolkins, precitato, § 108.
44. Pertanto, un richiedente non deve sopportare “un carico speciale ed esorbitante” che unica può rendere legittima la possibilità di contestare utilmente la misura presa al suo riguardo (vedere, in particolare, Sporrong e Lönnroth, precitato, e Hentrich c. Francia, 22 settembre 1994, no 13616/88, § 49.
b, Applicazione di questi principi al caso di specifico
45. Nello specifico, la Corte nota che le parti si accordano a dire che c’è stata “privazione di proprietà”, in ragione dell’esistenza di un trasferimento forzato, integrale e definitivo di proprietà. La Corte stima anche che l’esistenza di un’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni del richiedente è stabilita.
46. Peraltro, la Corte rileva che la misura di attribuzione forzata di un bene proprio a titolo di prestazione compensatoria era contemplata dall’articolo 275 del codice civile applicabile all’epoca dei fatti. Aveva quindi una base legale, ciò che il richiedente non contesta del resto.
47. Constata poi che la legge no 2000-596 del 30 giugno 2000 relativo alla prestazione compensatoria che ha introdotto la possibilità per il giudice di ordinare il versamento di questo compenso con la cessione costretta di diritti di proprietà del debitore, tendeva a correggere le derive rispetto all’intenzione iniziale del legislatore del 1975 che era di privilegiare il versamento della prestazione compensatoria sotto forma di capitale, paragrafi 27-28 sopra. Una tale misura inseguiva sopra un scopo legittimo, a sapere regolare velocemente gli effetti pecuniari del divorzio e limitare il rischio del contenzioso posteriori a suo pronunziato, paragrafi 20 e 24. La Corte ammette perciò che l’ingerenza è intervenuta a causa di utilità pubblica.
48. Resta ad esaminare la questione di sapere se la cessione costretta di un bene del richiedente ha predisposto un giusto equilibro tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali del richiedente. A questo titolo, la Corte non si attacca al modo di cui la controversia tra le parti private è stata decisa nello specifico, ciò che rileva della competenza delle giurisdizioni interne (vedere, in particolare, Dattel c. Lussemburgo (No 2), no 18522/06, § 53, 30 luglio 2009, ma unicamente a scelta dei giudici interni di imporre questa modalità specifica di pagamento del credito. Per valutare la proporzionalità dell’ingerenza, la Corte ha riguardo al grado di protezione offerta contro l’arbitrarietà col procedimento messo in œuvre nello specifico (Hentrich, precitato, § 45.
49. La Corte rileva al primo colpo che i giudici interni hanno constatato che la rottura del matrimonio creava una disparità nelle condizioni di vita degli ex-sposi che doveva essere compensata dal versamento di una prestazione compensatoria al profitto di D.P. Nota tuttavia che la presente richiesta non porta né su questa decisione né sulla ripartizione dei beni tra gli ex sposi, ma unicamente sulle sue modalità di esecuzione, a sapere il versamento della prestazione compensatoria con la cessione costretta della villa di Valbonne che appartiene in proprio al richiedente a sua ex-sposa.
50. Nell’occorrenza, la corte d’appello e la corte di appello di rinvio hanno interpretato la legge interna come autorizzandoli a fare uso della cessione costretta di un bene del richiedente come modalità di versamento della prestazione compensatoria, senza avere a tenere conto su questo punto dell’importanza del suo patrimonio né della volontà del debitore di proporre altri beni a titolo di versamento.
51. La Corte constata difatti che la decisione dei giudici di imporre la cessione costretta della villa di Valbonne a titolo di versamento della prestazione compensatoria non poteva basarsi sull’incapacità, per il richiedente, di liberarsi dal suo debito secondo altre modalità,: risulta delle differenti decisioni dei giudici del fondo, particolarmente motivate su questo punto, che il richiedente disponeva di un patrimonio sostanziale, lontano da limitarsi alle sue sole liquidità, ciò che gli avrebbe potuto permettere di liberarsi dal suo debito col versamento di una somma di denaro. Quindi, lo scopo legittimo perseguito dalla legge, paragrafo 47 sopra, poteva essere raggiunto senza avere bisogno di ricorrere alla misura controversa nello specifico.
52. Peraltro, la Corte nota che, dalla legge del 11 luglio 1975, il legislatore desidera privilegiare il versamento della prestazione compensatoria sotto forma di capitale, paragrafi 27-30 sopra. Non è stato escluso mai dalle leggi successive, in particolare con quella del 30 giugno 2000, che il debitore possa proporre altri beni del suo patrimonio di un valore che corrisponde all’importo della prestazione compensatoria. La Corte rileva del resto che il Consiglio costituzionale, investito di una questione prioritaria di costituzionalità sulle disposizioni dell’articolo 274 del codice civile, certo ulteriori all’epoca dei fatti ma al contenuto pertinente identico a quello dell’articolo 275 applicabile nello specifico, non ha convalidato la possibilità di un versamento con cessione forzata della proprietà di un bene che sotto riserva di un uso “accessorio” di una tale modalità nel caso dove il versamento di una somma di denaro non appare sufficiente per garantire il versamento di questa prestazione, paragrafo 30 sopra. Il Governo lo riconosce, paragrafo 38 sopra.
53. Tenuto conto di ciò che precede, la Corte stima che c’è stata rottura del giusto equilibro che deve regnare tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo. Nello specifico, il richiedente ha “sopportato un carico speciale ed esorbitante” che unica avrebbe potuto rendere legittima la possibilità di proporre di liberarsi dal suo debito con un altro mezzo messo a sua disposizione dalla legge, ovvero col versamento di una somma di denaro o il trasferimento dei suoi diritti di proprietà su uno o parecchi altri beni.
54. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
55. Il richiedente si lamenta anche del rifiuto opposto alla sua domanda di riapertura dell’istruzione del suo ricorso in cassazione. Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione di cui le disposizioni pertinenti si leggono così:
Articolo 6 § 1 della Convenzione
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile. “
56. Il Governo contesta questo motivo di appello.
57. Tenuto conto dell’insieme degli elementi nel suo possesso, e nella misura in cui è competente per conoscere delle affermazioni formulate, la Corte non rileva nessuna apparenza di violazione dei diritti e libertà garantite dagli articoli precitati della Convenzione.
58. Segue che questo motivo di appello è male fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3, ha, e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
59. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette di cancellare che imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
60. Il richiedente richiede una somma a titolo del danno patrimoniale che avrebbe subito, in ragione della no-attualizzazione della stima del valore della villa considerata dai giudici tra 2003 e 2009. Quindi, stima essere stato privato, al minimo, di una somma di 127 764,70 euro (EUR). Sollecita anche una somma di 15 000 EUR a titolo del suo danno morale, tenuto conto del suo attaccamento a questo bene.
61. Il Governo contesta l’esistenza di un danno patrimoniale, le giurisdizioni essendo attribuite si alla valutazione data dal richiedente sé. Contesta anche l’esistenza di un danno morale.
62. Trattandosi del danno patrimoniale, la Corte constata che il richiedente limita la sua domanda alla presa in conto di un’attualizzazione del valore del suo bene che sarebbe dovuto intervenire, secondo lui, tra i giudizi di prima istanza e la sentenza della corte di appello di rinvio. Valuta questo importo a 127 764 EUR. Ora, oltre il fatto che il richiedente non stabilisce la realtà di una tale variazione e del suo importo che riguarda precisamente la villa in causa nelle circostanze dello specifico, essendo osservato peraltro che l’importo della prestazione compensatoria assegnata di più a sua ex-sposa non è stato oggetto di una rivalutazione durante lo stesso periodo, la Corte non saprebbe speculare su questo punto. Peraltro, ricorda che la condizione sine qua non alla concessione di un risarcimento di un danno patrimoniale è l’esistenza di un legame di causalità tra i danni addotto e la violazione constatata, Nikolova c. Bulgaria [GC], no31195/96, § 73, Raccolta 1999-II, ed Andrejeva c. Lettonia [GC], no 55707/00, § 111, Raccolta 1999. Nello specifico, la Corte stima che un tale legame di causalità tra un attualizzazioni del valore della villa e la constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 al quale è giunta fatto difetto. Nessuna somma sarà assegnata al richiedente a questo titolo dunque.
63. La Corte considera mentre il richiedente ha subito un danno morale che la constatazione di violazione non ha riparato sufficientemente e, deliberando in equità, gli accorda 10 000 EUR a questo titolo.
B. Oneri e spese
64. Il richiedente chiede anche 37 385,72 EUR a titolo degli oneri e spese impegnate dinnanzi alle giurisdizioni nazionali e la Corte.
65. Il Governo oppone a ciò che gli oneri e spese esposte dinnanzi alle giurisdizioni interne siano prese in conto. Considera, ad ogni modo, che l’importo accordato a titolo degli oneri e spese non saprebbero superare la somma di 10 000 EUR.
66. La Corte ricorda che, conformemente alla sua giurisprudenza, deve ricercare se gli oneri e spese sono stati realmente ed incorsero necessariamente per prevenire o risanare il fatto giudicato costitutivo di una violazione della Convenzione, e se erano ragionevoli in quanto al loro tasso (vedere, per esempio, Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano c. Italia [GC], no 38433/09, § 224, 7 giugno 2012.
67. Trattandosi degli oneri incorsi dinnanzi alle giurisdizioni interne, la Corte stima che soli gli oneri esposti nella cornice del secondo ricorso in cassazione devono essere presi in conto. Allo visto delle note di parcella prodotta, accorda a questo titolo l’intimo di 6 290 EUR al richiedente. Peraltro, tenuto conto delle altre fatture nel suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte stima ragionevole di assegnare al richiedente l’intimo di 5 382 EUR per il procedimento dinnanzi a lei.
C. Interessi moratori
68. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;

2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;

3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, il seguente somme:
i, 10 000 EUR, diecimila euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale,;
ii, 11 672 EUR, undicimila sei cento settantadue euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta col richiedente, per oneri e spese,;
b ) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno ad aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale,;

4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 10 luglio 2014, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Claudia Westerdiek Marco Villiger
Greffière Presidente

Testo Tradotto

Conclusions: Violation de l’article 1 du Protocole n° 1 – Protection de la propriété (article 1 al. 1 du Protocole n° 1 – Privation de propriété
Respect des biens) Préjudice moral – réparation

CINQUIÈME SECTION

AFFAIRE MILHAU c. FRANCE

(Requête no 4944/11)

ARRÊT

STRASBOURG

10 juillet 2014

Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Milhau c. France,
La Cour européenne des droits de l’homme (cinquième section), siégeant en une chambre composée de :
Mark Villiger, président,
Angelika Nußberger,
Boštjan M. Zupančič,
Ann Power-Forde,
Vincent A. De Gaetano,
André Potocki,
Helena Jäderblom, juges,
et de Claudia Westerdiek, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 17 juin 2014,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. À l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 4944/11) dirigée contre la République française et dont un ressortissant de cet État, OMISSIS (« le requérant »), a saisi la Cour le 5 janvier 2011 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant a été représenté par OMISSIS, avocat à Paris. Le gouvernement français (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, Mme E. Belliard, directrice des affaires juridiques au ministère des Affaires étrangères.
3. Le 7 juillet 2011, la requête a été communiquée au Gouvernement.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
4. Le 5 novembre 1970, le requérant et D.P. se marièrent. S’agissant du régime matrimonial, ils optèrent pour celui de la séparation de biens.
5. Le 4 septembre 2001, D.P. déposa une requête en divorce.
6. Par une ordonnance de non conciliation du 4 février 2002, le juge aux affaires familiales du tribunal de grande instance de Grasse autorisa les époux à résider séparément. Il attribua la jouissance du domicile conjugal au requérant, à savoir une villa située à Valbonne et propriété exclusive de ce dernier, qu’il condamna en outre à payer une pension alimentaire de 2 286 euros à son épouse durant la procédure. Enfin, il donna acte aux parties de leur engagement d’effectuer un inventaire contradictoire des meubles meublant le domicile conjugal.
7. Par une assignation du 5 juillet 2002, la suite, D.P. forma une demande en divorce aux torts exclusifs du requérant, lui reprochant une relation adultère et un comportement mesquin à son égard.
8. Le 16 mars 2004, le juge de la mise en état fit injonction à D.P. de communiquer certains justificatifs bancaires et au requérant de justifier de ses revenus fonciers pour les années 2000, 2002 et 2003, ainsi que de l’évaluation du mobilier garnissant le domicile conjugal.
9. Dans le cadre de ses dernières écritures, signifiées le 2 décembre 2004, D.P. maintint sa demande de divorce. A cette occasion, elle sollicita le paiement d’une somme de 80 000 euros à titre de dommages-intérêts et le paiement d’une prestation compensatoire d’un montant de 1 166 235 euros sous forme d’attribution, conformément aux dispositions de l’article 275 du code civil, de biens appartenant uniquement au requérant, à savoir : la villa de Valbonne constituant le domicile conjugal et évaluée par elle à 609 796 euros ; de quatre appartements situés à Cannes et respectivement évalués à 68 602, 76 225, 73 176 et 114 337 euros ; d’un appartement situé au Cannet, évalué à 125 008 ; et, enfin, des droits indivis sur un appartement évalué à 99 092 euros. Elle sollicita également que les droits de transfert de ces propriétés soient à la charge du requérant. A titre subsidiaire, au cas où le transfert de propriété de la villa de Valbonne ne lui serait pas accordé, elle demanda le transfert de propriété des autres biens immobiliers cités plus le versement d’une somme complémentaire de 609 796 euros correspondant à la valeur marchande de cette villa.
10. Le 29 avril 2003, le requérant signifia ses conclusions par lesquelles il sollicita un prononcé du divorce aux torts exclusifs de D.P., ne contestant pas entretenir une relation adultère passagère mais invoquant une relation adultère antérieure de son épouse. Il demanda que D.P. soit déboutée de toutes ses demandes financières ou qu’elles soient pour le moins restreinte et qu’un notaire soit désigné, afin de renseigner le tribunal sur la situation patrimoniale respective de chacun des époux.
11. Par un jugement du 2 mai 2005, le tribunal de grande instance de Grasse constata tout d’abord que le requérant ne contestait pas son adultère, par ailleurs établi par des pièces du dossier et qu’il ne rapportait pas la preuve d’un adultère commis par son épouse. Partant, il prononça le divorce aux torts exclusifs du requérant. S’agissant des conséquences du divorce et plus spécialement de la prestation compensatoire, le tribunal, après avoir rappelé que l’un des époux peut être tenu de verser à l’autre une prestation compensatoire, rejeta la demande du requérant en vue de la désignation d’un notaire, estimant qu’une telle demande était dilatoire compte tenu du fait que la procédure avait déjà duré trois ans. Il constata que les époux étaient respectivement âgés de 57 ans (D.P.) et de 71 ans (le requérant), que leur vie commune avait duré trente-et-un ans et qu’ils n’avaient pas d’enfant.
12. Le tribunal releva que le requérant était propriétaire d’un important patrimoine immobilier, composé de dix biens immobiliers situés à Levallois Perret, Cannes et au Cannet, ce qui lui permettait de vivre de ses revenus fonciers, outre la villa de Valbonne, ainsi qu’un avoir bancaire global d’environ 130 000 euros (EUR). Quant à D.P., il constata notamment qu’elle travaillait à temps partiel, pour un salaire imposable de 11 461 euros en 2004, qu’elle disposait de 17 999 euros sur son compte, qu’elle était propriétaire en indivision avec le requérant d’un appartement de quatre pièces situé au Cannet et évalué par elle à 198 000 euros et en propre d’un appartement dans la même commune et d’une valeur de 155 000 euros, qu’elle avait travaillé bénévolement puis en qualité de conjoint salarié pour le requérant pendant dix-neuf ans et, enfin, que la villa de Valbonne avait été construite durant le mariage. Le tribunal jugea dès lors justifié d’attribuer une prestation compensatoire à D.P. sous forme d’attribution de la villa de Valbonne, relevant qu’elle était évaluée à 228 000 euros par le requérant dans sa déclaration sur l’honneur de 2005. Enfin, il accorda une somme de 7 500 euros à D.P. à titre de dommages et intérêts.
13. Le tribunal décida néanmoins de surseoir à statuer, dans l’attente de la production par les parties du titre de propriété de la villa contenant les mentions de publicité foncière.
14. Par un jugement du 15 juillet 2005, le tribunal prononça le divorce aux torts exclusifs du requérant. Il condamna ce dernier à payer à D.P. une prestation compensatoire par l’abandon de ses droits de propriété sur la villa située à Valbonne et évalués par le requérant à 228 000 EUR dans sa déclaration sur l’honneur, outre 7 500 euros à titre de dommages et intérêts.
15. Le requérant interjeta appel, demandant de débouter D.P. de toutes ses demandes et de prononcer le divorce à son profit. Son ex-épouse maintint ses demandes en appel, sollicitant toutefois le versement d’une prestation compensatoire d’un montant plus élevé, à savoir 1 340 000 euros, tout en continuant à soutenir que la villa de Valbonne était d’une valeur de 610 000 euros.
16. Par un arrêt du 26 octobre 2006, la cour d’appel d’Aix-en-Provence confirma le jugement, à l’exception de ses dispositions sur la prestation compensatoire. Statuant à nouveau sur ce point, elle examina les revenus et patrimoines respectifs de chaque partie. Elle indiqua notamment que le requérant était propriétaire, « en indivision avec son épouse », de la villa située à Valbonne, qui avait été construite sur un terrain acquis par sa mère, tout en soulignant que le requérant l’évaluait à 228 000 euros et D.P. à 600 000 euros. Compte tenu de ces éléments, de l’âge de D.P., alors bientôt en retraite, de sa contribution à l’activité professionnelle du requérant et de leur situation respective, la cour d’appel jugea que les prétentions de D.P. étaient excessives et fixa le montant de la prestation compensatoire à 200 000 euros. La cour d’appel n’ordonna aucun transfert de propriété, condamnant uniquement le requérant à payer cette somme à son ex-épouse.
D.P. se pourvut en cassation.
17. Par un arrêt du 6 février 2008, la Cour de cassation cassa l’arrêt d’appel, au motif que celui-ci énonçait que les époux étaient propriétaires en indivision de la villa située à Valbonne, alors que les parties avaient indiqué que seul le requérant en était propriétaire. Elle renvoya l’affaire devant la même cour d’appel, autrement composée.
18. Devant la cour d’appel d’Aix-en-Provence statuant sur renvoi, D.P. sollicita la condamnation du requérant à lui payer la somme de 1 674 000 EUR à titre de prestation compensatoire, payable sous forme d’attribution de propriété de la villa de Valbonne dont elle estima cette fois la valeur réelle à 800 000 euros, ainsi que de trois appartements situés à Cannes et appartenant au requérant. Ce dernier conclut à la réformation du jugement attaqué, offrant à D.P. une prestation compensatoire d’un montant de 200 000 EUR, payable sur huit années comme la loi le permettait.
19. Par un arrêt du 25 mars 2009, la cour d’appel d’Aix-en-Provence confirma les jugements des 2 mai et 15 juillet 2005 concernant la prestation compensatoire. Dans le cadre de l’évaluation des besoins et des ressources respectives des parties, elle releva, s’agissant du requérant : d’une part, qu’il avait un revenu net imposable de 197 751 EUR en 2007, tout en notant d’importantes fluctuations selon les années ; d’autre part, que son patrimoine immobilier se composait de la villa de Valbonne qu’il occupait depuis la séparation et qu’il avait lui-même estimée à 228 000 EUR dans des déclarations sur l’honneur faites en 2003 et 2005, ainsi que de neuf autres biens immobiliers estimés au total à 2 785 000 EUR dans la déclaration pour l’impôt sur la fortune de 2007 ; enfin, qu’il avait des liquidités pour un montant de près de 19 000 EUR, outre des biens meubles d’une valeur déclarée de 7 500 EUR mais évalués à 228 674 EUR par un antiquaire à la demande de son épouse. Appréciant les estimations des biens immobiliers du requérant par son ex-épouse, la cour d’appel releva expressément que les estimations de cette dernière résultaient, à l’exception toutefois de la villa de Valbonne, de déclarations non contestées par l’administration fiscale. Partant, elle rejeta les contestations pour ces immeubles, excepté la villa de Valbonne, tout en relevant que D.P. n’avait jamais demandé une expertise de certains d’entre eux. S’agissant de la villa de Valbonne, dont l’estimation ne résultait pas de ces déclarations fiscales, la cour d’appel ne se prononça pas.
20. Compte tenu d’une disparité dans les conditions de vie respective des époux, la cour d’appel décida de la compenser par une prestation compensatoire d’un montant de 228 000 euros. Elle ordonna en outre que cette somme soit « réglée par l’abandon par Monsieur Milhau de ses droits de propriété sur la villa située à Valbonne d’une valeur de 228 000 euros ».
21. Le requérant se pourvut en cassation, faisant notamment valoir que sa situation financière n’avait pas été actualisée au moment du prononcé du divorce. En outre, il se plaignit de ce que les juges du fond avaient retenu une valeur de 228 000 euros pour la villa de Valbonne, alors que D.P. l’évaluait dorénavant à 800 000 euros. Il souligna qu’il n’avait pas contesté cette nouvelle estimation de D.P. dans ses conclusions d’appel et que, dès lors, ces dernières auraient dû être prises en compte par la cour d’appel de renvoi pour constater un accord des parties sur ce point. Par ailleurs, le requérant releva que si l’article 275 du code civil permettait au juge de décider de l’abandon d’un bien en nature, une telle disposition ne pouvait être mise en œuvre qu’en cas d’incapacité pour le débiteur de la prestation compensatoire de s’acquitter autrement de sa dette, sauf à également violer le droit de propriété garanti par l’article 1 du Protocole no 1.
22. Après la clôture de l’instruction du pourvoi, il sollicita le renvoi au Conseil constitutionnel d’une question prioritaire de constitutionnalité (« QPC ») portant sur l’article 275 du code civil, estimant notamment qu’il était contraire à la Constitution non seulement d’empêcher le débiteur de choisir librement les éléments de son patrimoine pour payer sa dette dès lors qu’il n’a pas refusé de s’acquitter de celle-ci, mais également de permettre que le juge attribue un bien sans garantie suffisante quant à son évaluation préalable par un professionnel. Il déposa également un mémoire invitant la Cour de cassation à procéder à la réouverture de l’instruction, aux fins d’examen de cette QPC.
23. Le 8 juin 2010, au cours de l’audience de la Cour de cassation, l’avocat général conclut à la réouverture de l’instruction aux fins d’examen de la QPC.
24. Par un arrêt du 8 juillet 2010, la Cour de cassation dit n’y avoir lieu à réouverture de l’instruction et rejeta le pourvoi du requérant, jugeant que la cour d’appel avait apprécié le bien-fondé et les modalités de paiement de la prestation compensatoire dans l’exercice de son pouvoir souverain d’appréciation
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
A. Le code civil
25. Les dispositions pertinentes, applicables en l’espèce, sont ainsi libellées :
Article 270
« Sauf lorsqu’il est prononcé en raison de la rupture de la vie commune, le divorce met fin au devoir de secours prévu par l’article 212 du code civil ; mais l’un des époux peut être tenu de verser à l’autre une prestation destinée à compenser, autant qu’il est possible, la disparité que la rupture du mariage crée dans les conditions de vie respectives.
Article 275
Le juge décide des modalités selon lesquelles s’exécutera l’attribution ou l’affectation de biens en capital :
1. Versement d’une somme d’argent ;
2. Abandon de biens en nature, meubles ou immeubles, en propriété, en usufruit, pour l’usage ou l’habitation, le jugement opérant cession forcée en faveur du créancier ;
3. Dépôt de valeurs productives de revenus entre les mains d’un tiers chargé de verser les revenus à l’époux créancier de la prestation jusqu’au terme fixé. (…) »
26. Le nouveau texte de l’article 275 du code civil, devenu l’article 274 suite à la réforme opérée par la loi no 2004-439 du 26 mai 2004, se lit comme suit :
Article 274
« Le juge décide des modalités selon lesquelles s’exécutera la prestation compensatoire en capital parmi les formes suivantes :
1o Versement d’une somme d’argent, le prononcé du divorce pouvant être subordonné à la constitution des garanties prévues à l’article 277 ;
2o Attribution de biens en propriété ou d’un droit temporaire ou viager d’usage, d’habitation ou d’usufruit, le jugement opérant cession forcée en faveur du créancier. Toutefois, l’accord de l’époux débiteur est exigé pour l’attribution en propriété de biens qu’il a reçus par succession ou donation. »
B. Évolutions législatives et jurisprudence internes
27. Le droit du divorce a été profondément modifié par une loi no 75-617 du 11 juillet 1975 portant réforme du divorce, qui a notamment remplacé le versement d’une pension alimentaire par l’un des ex-époux à son ex-conjoint par celui d’une « prestation compensatoire ». Cette dernière vise à compenser la disparité que la rupture du mariage crée dans les conditions de vie respectives. Le législateur de 1975 entendait privilégier le versement de cette prestation compensatoire sous la forme d’un capital plutôt qu’une rente, et ce afin d’éviter au maximum les contentieux ultérieurs. Toutefois, ce but n’a pas été atteint, les juges ayant massivement continué à privilégier le versement par des rentes au lieu d’allouer un capital (cf. le rapport fait au nom de la Commission des lois du Sénat, no 120, déposé le 17 décembre 2003, relatif aux travaux parlementaires sur ce qui deviendra la loi no 2004 439 du 26 mai 2004 relative au divorce).
28. La loi no 2000-596 du 30 juin 2000 relative à la prestation compensatoire visait à corriger les dérives par rapport à l’intention initiale du législateur de 1975, notamment en renforçant le versement de la prestation compensatoire sous forme de capital. Pour ce faire, elle a introduit la possibilité, pour le juge, d’ordonner l’abandon d’un bien appartenant au débiteur (paragraphe 25 ci-dessus). Cette loi a fait l’objet de nombreuses critiques, notamment de la part de la doctrine en raison de l’atteinte à l’inaliénabilité du droit de propriété, qui ont nécessité une nouvelle réforme (voir le rapport fait au nom de la Commission des lois du Sénat, no 120, précité).
29. La réforme initiée par la loi no 2004-439 du 26 mai 2004 relative au divorce maintient le principe du versement en capital (lorsque le débiteur n’est pas en mesure de verser le capital en une seule fois, le juge fixe son versement en plusieurs modalités sur une durée maximum de huit années), ainsi que la possibilité pour le juge d’ordonner l’abandon par le débiteur de ses droits de propriété sur un bien. Toutefois, la loi protège dorénavant les biens de famille, puisqu’elle exige dorénavant l’accord de l’époux débiteur pour la cession forcée des biens reçus par succession ou donation. De plus, dans un arrêt du 17 mai 2011 (pourvoi no 11-40.005), la Cour de cassation a jugé que la question prioritaire de constitutionnalité portant sur la conformité du mécanisme en cause avec le droit de propriété, tel que garanti par la Constitution, était sérieuse et a décidé de la renvoyer devant le Conseil constitutionnel.
30. Dans sa décision no 2011-151 QPC du 13 juillet 2011, le Conseil constitutionnel, saisi de la conformité du nouvel article 274 du code civil aux droits et libertés garantis par la Constitution, a considéré qu’en instaurant ce mécanisme de cession forcée d’un bien du débiteur de la prestation compensatoire, « le législateur a entendu faciliter la constitution d’un capital, afin de régler les effets pécuniaires du divorce au moment de son prononcé ; que le législateur a également entendu assurer le versement de la prestation compensatoire ; que l’objectif poursuivi de garantir la protection du conjoint dont la situation économique est la moins favorisée et de limiter, autant que possible, les difficultés et les contentieux postérieurs au prononcé du divorce constitue un motif d’intérêt général ; (…) ». Le Conseil constitutionnel a cependant ajouté une réserve d’interprétation. Il a en effet considéré « que l’atteinte au droit de propriété qui résulte de l’attribution forcée prévue par le 2o de [l’article 274 précité] ne peut être regardée comme une mesure proportionnée au but d’intérêt général poursuivi que si elle constitue une modalité subsidiaire d’exécution de la prestation compensatoire en capital ; que, par conséquent, elle ne saurait être ordonnée par le juge que dans le cas où, au regard des circonstances de l’espèce, les modalités prévues au 1o [dudit article] n’apparaissent pas suffisantes pour garantir le versement de cette prestation » (cons. 6-8).
Il s’ensuit que les juges du divorce ne peuvent octroyer une prestation compensatoire sous forme d’attribution forcée d’un bien qu’à titre subsidiaire, dans les conditions ainsi spécifiées par le Conseil constitutionnel.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
31. Le requérant se plaint de ce que le juge du divorce lui a imposé l’abandon de ses droits de propriété sur un bien immobilier lui appartenant en propre et qu’il souhaitait conserver, au titre du paiement de la prestation compensatoire accordée à son épouse, sans possibilité pour lui de s’acquitter de cette dette par un autre moyen à sa disposition. Il allègue une violation de l’article 1 du Protocole no 1, lequel se lit comme suit :
Article 1 du Protocole no 1
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les États de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
A. Sur la recevabilité
32. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 a) de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
33. Le requérant soutient que les dispositions de l’article 275 du code civil sont contraires à l’article 1 du Protocole no 1 dès lors qu’elles permettent au juge du divorce de prononcer une attribution forcée et définitive d’un bien propre comme modalité de paiement d’une prestation compensatoire entre époux. Cette atteinte ne résulterait ni de la reconnaissance d’une dette entre époux ni de la nécessité de procéder à son exécution forcée, mais de la perte pour l’époux débiteur du droit de choisir la modalité de paiement de la prestation compensatoire. Il fait valoir que cette attribution est prononcée même en l’absence de tout manquement à ses obligations quant au versement de ladite prestation.
34. Il considère ensuite que le plein exercice de son droit de propriété implique de pouvoir choisir librement les éléments de son patrimoine dont il entend se défaire pour s’acquitter de sa dette. Selon lui, ce mécanisme n’apporte pas de garanties suffisantes, compte tenu du fait que le juge évalue seul la valeur du bien dont il décide de transférer la propriété, sans recourir à un professionnel rompu à ce type d’évaluation.
35. Le Gouvernement indique que l’ingérence dans le droit de propriété du requérant est prévue par l’article 275 du code civil, devenu depuis l’article 274 du même code. Cette disposition constitue une norme suffisamment accessible, précise et prévisible. Il ajoute que cette ingérence poursuit un but légitime conforme à l’intérêt général, à savoir compenser les fortes disparités de niveau de vie entre les époux qui pourraient résulter du divorce, et que le pouvoir donné au juge de déterminer les modalités de versement en capital de la prestation permet de s’assurer au mieux de son effectivité et de ne pas s’en remettre au-delà du raisonnable à la bonne volonté du débiteur.
36. Il considère que les juridictions nationales ont veillé, tout au long de la procédure, au maintien d’un juste équilibre entre les intérêts du requérant et ceux de son ex-épouse, appréciant précisément les besoins et ressources de chacun pour fixer le montant et les modalités de versement de la prestation compensatoire. Il souligne le fait que le requérant possède notamment, outre la villa en cause, trois immeubles et six appartements.
37. S’agissant de l’évaluation de la villa, il indique notamment que les juridictions internes se sont uniquement fondées sur la déclaration sur l’honneur faite par le requérant en première instance et réitérée devant la première cour d’appel ; devant la cour d’appel de renvoi, le requérant n’a plus fourni d’information sur cette évaluation et il n’a jamais contesté la véracité des informations livrées dans sa déclaration sur l’honneur ou demandé au juge de désigner un expert pour en fixer la valeur. Il souligne en outre que l’attribution de la propriété du logement familial à l’ex-épouse du requérant, qui relève de l’appréciation du juge national, apparaît logique.
38. Le Gouvernement indique enfin que, par une décision du 13 juillet 2011, le Conseil constitutionnel a admis la constitutionnalité du nouvel article 274 du code civil, sous la seule réserve qu’il constitue une modalité subsidiaire d’exécution de la prestation compensatoire.
2. Appréciation de la Cour
a) Principes généraux
39. La Cour rappelle que l’article 1 du Protocole no 1, qui garantit en substance le droit de propriété, contient trois normes distinctes : la première, qui s’exprime dans la première phrase du premier alinéa et revêt un caractère général, énonce le principe du respect de la propriété ; la deuxième, figurant dans la seconde phrase du même alinéa, vise la privation de propriété et la soumet à certaines conditions ; quant à la troisième, consignée dans le second alinéa, elle reconnaît aux États contractants le pouvoir, entre autres, de réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général. Les deuxième et troisième normes, qui ont trait à des exemples particuliers d’atteintes au droit de propriété, doivent s’interpréter à la lumière du principe consacré par la première (voir, notamment, Sporrong et Lönnroth c. Suède, 23 septembre 1982, § 61, série A no 52, James et autres c. Royaume-Uni, 21 février 1986, § 37, série A no 98, et Depalle c. France [GC], no 34044/02, § 77, CEDH 2010).
40. Pour être compatible avec l’article 1 du Protocole no 1, une mesure de privation de propriété doit remplir trois conditions (voir, notamment, Vistiņš et Perepjolkins c. Lettonie [GC], no 71243/01, § 94, 25 octobre 2012).
41. Il faut tout d’abord qu’elle soit effectuée, « dans les conditions prévues par la loi », ce qui exclut une action arbitraire de la part des autorités nationales.
42. Elle doit ensuite intervenir « pour cause d’utilité publique ». Sur ce point, la Cour rappelle que, grâce à une connaissance directe de leur société et de ses besoins, les autorités nationales se trouvent en principe mieux placées que le juge international pour déterminer ce qui est « d’utilité publique ». Dans le mécanisme de protection créé par la Convention, il leur appartient par conséquent de se prononcer les premières sur l’existence d’un problème d’intérêt général justifiant des privations de propriété. Dès lors, elles jouissent ici d’une certaine marge d’appréciation, comme en d’autres domaines auxquels s’étendent les garanties de la Convention. De plus, la notion d’« utilité publique » est ample par nature. En particulier, la décision d’adopter des lois portant privation de propriété implique d’ordinaire l’examen de questions politiques, économiques et sociales. Estimant normal que le législateur dispose d’une grande latitude pour mener une politique économique et sociale, la Cour respecte la manière dont il conçoit les impératifs de l’« utilité publique », sauf si son jugement se révèle manifestement dépourvu de base raisonnable (James et autres, précité, § 46, Pressos Compania Naviera S.A. et autres c. Belgique, 20 novembre 1995, § 37, série A no 332, Broniowski c. Pologne [GC], no 31443/96, § 149, CEDH 2004-V, et Lecarpentier c. France, no 67847/01, § 44, 14 février 2006).
43. Enfin, une telle mesure doit ménager un « juste équilibre » entre les exigences de l’intérêt général de la communauté et les impératifs de la sauvegarde des droits fondamentaux de l’individu (voir, parmi d’autres, Sporrong et Lönnroth, précité, § 69). Le souci d’assurer un tel équilibre est inhérent à l’ensemble de la Convention et il se reflète dans la structure de l’article 1 du Protocole no 1 tout entier, donc aussi dans la seconde phrase, qui doit se lire à la lumière du principe consacré par la première. En particulier, il doit exister un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé par toute mesure appliquée par l’État, y compris pour les mesures privant une personne de sa propriété (voir, parmi beaucoup d’autres, Sporrong et Lönnroth, précité, § 73, Pressos Compania Naviera S.A. et autres, précité, § 38, Kozacıoğlu c. Turquie [GC], no 2334/03, § 63, 19 février 2009 et Vistiņš et Perepjolkins, précité, § 108).
44. Partant, un requérant ne doit pas supporter « une charge spéciale et exorbitante » que seule peut rendre légitime la possibilité de contester utilement la mesure prise à son égard (voir, notamment, Sporrong et Lönnroth, précité, et Hentrich c. France, 22 septembre 1994, no 13616/88, § 49).
b) Application de ces principes au cas d’espèce
45. En l’espèce, la Cour note que les parties s’accordent à dire qu’il y a eu « privation de propriété », en raison de l’existence d’un transfert forcé, intégral et définitif de propriété. La Cour estime également que l’existence d’une ingérence dans le droit au respect des biens du requérant est établie.
46. Par ailleurs, la Cour relève que la mesure d’attribution forcée d’un bien propre à titre de prestation compensatoire était prévue par l’article 275 du code civil applicable à l’époque des faits. Elle avait dès lors une base légale, ce que le requérant ne conteste d’ailleurs pas.
47. Elle constate ensuite que la loi no 2000-596 du 30 juin 2000 relative à la prestation compensatoire, qui a introduit la possibilité pour le juge d’ordonner le versement de cette compensation par la cession forcée de droits de propriété du débiteur, tendait à corriger les dérives par rapport à l’intention initiale du législateur de 1975, laquelle était de privilégier le versement de la prestation compensatoire sous forme de capital (paragraphes 27-28 ci-dessus). Une telle mesure poursuivait un but légitime, à savoir régler rapidement les effets pécuniaires du divorce et limiter le risque de contentieux postérieurs à son prononcé (paragraphes 20 et 24 ci-dessus). La Cour admet en conséquence que l’ingérence est intervenue pour cause d’utilité publique.
48. Il reste à examiner la question de savoir si la cession forcée d’un bien du requérant a ménagé un juste équilibre entre les exigences de l’intérêt général de la communauté et les impératifs de la sauvegarde des droits fondamentaux du requérant. A ce titre, la Cour ne s’attache pas à la façon dont le litige entre les parties privées a été tranché en l’espèce, ce qui relève de la compétence des juridictions internes (voir, notamment, Dattel c. Luxembourg (No 2), no 18522/06, § 53, 30 juillet 2009), mais uniquement au choix des juges internes d’imposer cette modalité spécifique de paiement de la créance. Pour apprécier la proportionnalité de l’ingérence, la Cour a égard au degré de protection offert contre l’arbitraire par la procédure mise en œuvre en l’espèce (Hentrich, précité, § 45).
49. La Cour relève d’emblée que les juges internes ont constaté que la rupture du mariage créait une disparité dans les conditions de vie des ex-époux qui devait être compensée par le versement d’une prestation compensatoire au profit de D.P. Elle note toutefois que la présente requête ne porte ni sur cette décision ni sur la répartition des biens entre les ex époux, mais uniquement sur ses modalités d’exécution, à savoir le versement de la prestation compensatoire par la cession forcée de la villa de Valbonne appartenant en propre au requérant à son ex-épouse.
50. En l’occurrence, le tribunal de grande instance et la cour d’appel de renvoi ont interprété la loi interne comme les autorisant à faire usage de la cession forcée d’un bien du requérant comme modalité de versement de la prestation compensatoire, sans avoir à tenir compte sur ce point de l’importance de son patrimoine ni de la volonté du débiteur de proposer d’autres biens à titre de versement.
51. La Cour constate en effet que la décision des juges d’imposer la cession forcée de la villa de Valbonne à titre de versement de la prestation compensatoire ne pouvait se fonder sur l’incapacité, pour le requérant, de s’acquitter de sa dette selon d’autres modalités : il ressort des différentes décisions des juges du fond, particulièrement motivées sur ce point, que le requérant disposait d’un patrimoine substantiel, loin de se limiter à ses seules liquidités, ce qui aurait pu lui permettre de s’acquitter de sa dette par le versement d’une somme d’argent. Dès lors, le but légitime poursuivi par la loi (paragraphe 47 ci-dessus) pouvait être atteint sans avoir besoin de recourir à la mesure litigieuse en l’espèce.
52. Par ailleurs, la Cour note que, depuis la loi du 11 juillet 1975, le législateur souhaite privilégier le versement de la prestation compensatoire sous forme de capital (paragraphes 27-30 ci-dessus). Il n’a jamais été exclu par les lois successives, en particulier par celle du 30 juin 2000, que le débiteur puisse proposer d’autres biens de son patrimoine d’une valeur correspondant au montant de la prestation compensatoire. La Cour relève d’ailleurs que le Conseil constitutionnel, saisi d’une question prioritaire de constitutionnalité sur les dispositions de l’article 274 du code civil, certes ultérieures à l’époque des faits mais au contenu pertinent identique à celui de l’article 275 applicable en l’espèce, n’a validé la possibilité d’un versement par cession forcée de la propriété d’un bien que sous réserve d’un usage « subsidiaire » d’une telle modalité dans le cas où le versement d’une somme d’argent n’apparaît pas suffisant pour garantir le versement de cette prestation (paragraphe 30 ci-dessus). Le Gouvernement le reconnaît (paragraphe 38 ci-dessus).
53. Compte tenu de ce qui précède, la Cour estime qu’il y a eu rupture du juste équilibre devant régner entre les exigences de l’intérêt général de la communauté et les impératifs de la sauvegarde des droits fondamentaux de l’individu. En l’espèce, le requérant a « supporté une charge spéciale et exorbitante », que seule aurait pu rendre légitime la possibilité de proposer de s’acquitter de sa dette par un autre moyen mis à sa disposition par la loi, à savoir par le versement d’une somme d’argent ou le transfert de ses droits de propriété sur un ou plusieurs autres biens.
54. Partant, il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
55. Le requérant se plaint également du refus opposé à sa demande de réouverture de l’instruction de son pourvoi en cassation. Il invoque l’article 6 § 1 de la Convention, dont les dispositions pertinentes se lisent ainsi :
Article 6 § 1 de la Convention
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue (…) par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…). »
56. Le Gouvernement conteste ce grief.
57. Compte tenu de l’ensemble des éléments en sa possession, et dans la mesure où elle est compétente pour connaître des allégations formulées, la Cour ne relève aucune apparence de violation des droits et libertés garantis par les articles précités de la Convention.
58. Il s’ensuit que ce grief est mal fondé et doit être rejeté en application de l’article 35 §§ 3 (a) et 4 de la Convention.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
59. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
60. Le requérant réclame une somme au titre du préjudice matériel qu’il aurait subi, en raison de la non-actualisation de l’estimation de la valeur de la villa retenue par les juges entre 2003 et 2009. Dès lors, il estime avoir été privé, au minimum, d’une somme de 127 764,70 euros (EUR). Il sollicite également une somme de 15 000 EUR au titre de son préjudice moral, compte tenu de son attachement à ce bien.
61. Le Gouvernement conteste l’existence d’un préjudice matériel, les juridictions s’étant référées à l’évaluation donnée par le requérant lui-même. Il conteste également l’existence d’un préjudice moral.
62. S’agissant du préjudice matériel, la Cour constate que le requérant limite sa demande à la prise en compte d’une actualisation de la valeur de son bien qui aurait dû intervenir, selon lui, entre le jugement de première instance et l’arrêt de la cour d’appel de renvoi. Il évalue ce montant à 127 764 EUR. Or, outre le fait que le requérant n’établit pas la réalité d’une telle variation et de son montant concernant précisément la villa en cause dans les circonstances de l’espèce, étant par ailleurs observé que le montant de la prestation compensatoire allouée à son ex-épouse n’a pas davantage fait l’objet d’une réévaluation durant la même période, la Cour ne saurait spéculer sur ce point. Par ailleurs, elle rappelle que la condition sine qua non à l’octroi d’une réparation d’un dommage matériel est l’existence d’un lien de causalité entre le préjudice allégué et la violation constatée (Nikolova c. Bulgarie [GC], no31195/96, § 73, Recueil 1999-II, et Andrejeva c. Lettonie [GC], no 55707/00, § 111, Recueil 1999). En l’espèce, la Cour estime qu’un tel lien de causalité entre une actualisation de la valeur de la villa et le constat de violation de l’article 1 du Protocole no 1 auquel elle est parvenue fait défaut. Aucune somme ne sera donc allouée au requérant à ce titre.
63. La Cour considère cependant que le requérant a subi un préjudice moral que le constat de violation n’a pas suffisamment réparé et, statuant en équité, elle lui accorde 10 000 EUR à ce titre.
B. Frais et dépens
64. Le requérant demande également 37 385,72 EUR au titre des frais et dépens engagés devant les juridictions nationales et la Cour.
65. Le Gouvernement s’oppose à ce que les frais et dépens exposés devant les juridictions internes soient pris en compte. Il considère, en tout état de cause, que le montant accordé au titre des frais et dépens ne saurait excéder la somme de 10 000 EUR.
66. La Cour rappelle que, conformément à sa jurisprudence, elle doit rechercher si les frais et dépens ont été réellement et nécessairement encourus afin de prévenir ou redresser le fait jugé constitutif d’une violation de la Convention, et s’ils étaient raisonnables quant à leur taux (voir, par exemple, Centro Europa 7 S.r.l. et Di Stefano c. Italie [GC], no 38433/09, § 224, 7 juin 2012).
67. S’agissant des frais encourus devant les juridictions internes, la Cour estime que seuls les frais exposés dans le cadre du second pourvoi en cassation doivent être pris en compte. Au vu des notes d’honoraires produites, elle accorde à ce titre la somme de 6 290 EUR au requérant. Par ailleurs, compte tenu des autres factures en sa possession et de sa jurisprudence, la Cour estime raisonnable d’allouer au requérant la somme de 5 382 EUR pour la procédure devant elle.
C. Intérêts moratoires
68. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable ;

2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;

3. Dit
a) que l’État défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes :
i) 10 000 EUR (dix mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour préjudice moral ;
ii) 11 672 EUR (onze mille six cent soixante-douze euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par le requérant, pour frais et dépens ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;

4. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 10 juillet 2014, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Claudia Westerdiek Mark Villiger
Greffière Président

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