SECONDA SEZIONE
CAUSA MARZOLA CENTRI DI FISIOKINESITERAPIA S.A.S.
c. ITALIA
( Richiesta no 32810/02)
SENTENZA
STRASBURGO
16 marzo 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Marzola Centri di Fisiokinesiterapia S.A.S. c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, giudici,
e da Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 23 febbraio 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data.
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 32810/02) diretta contro la Repubblica italiana e in cui una società di questo Stato, M. C. di F. S.A.S. (“la richiedente”), nella persona del suo rappresentante legale, il Sig. G. M., ha investito la Corte il 26 agosto 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. La richiedente è stata rappresentata da N. C., avvocato a Bologna. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, il Sig. I.M. Braguglia, e dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 28 giugno 2004, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. La richiedente ha la sua sede sociale a Bologna.
A. Il procedimento principale
5. Secondo le informazione che risultano dalla pratica della richiesta no 62363/00 introdotta dalla richiedente dinnanzi agli organi della Convenzione (vedere paragrafi 8-9), il 21 maggio 1990, la richiedente, inquilina di un immobile, citò C.G, il proprietario, dinnanzi al tribunale di Bologna chiedendo il rimborso del costo di certi lavori di manutenzione che aveva dovuto effettuare, così come un risarcimento (R.G. nº 6294/90).
6. Il collocamento in stato della causa cominciò il 5 luglio 1990. Delle diciannove udienze che ebbero luogo, tre furono rinviati su richiesta della richiedente e due d’ ufficio.
7. Con un giudizio depositato il 22 aprile 2003, il tribunale fece diritto alla domanda della richiedente.
B. La prima richiesta dinnanzi agli organi della Convenzione
8. Il 7 aprile 1998, la richiedente aveva investito nel frattempo, la Commissione europea dei Diritti dell’uomo (richiesta no 62363/00).
9. Con una decisione del 25 giugno 2002, la Corte dichiarò la richiesta inammissibile per non-esaurimento delle vie di ricorso interne, avendo dichiarato la richiedente il 7 settembre 2001 che non avrebbe investito le giurisdizioni interne ai sensi della legge “Pinto.”
C. Il procedimento “Pinto”
10. Il 10 ottobre 2001, la richiedente investì la corte di appello di Ancona ai sensi della legge “Pinto” chiedendo 25 822,84 euro (EUR) come risarcimento del danno morale subito a causa della durata del procedimento.
11. Con una decisione del 20 dicembre 2001, depositata l’ 11 gennaio 2002, la corte di appello considerò il procedimento fino alla data della decisione, constatò il superamento di una “durata ragionevole” ma respinse l’istanza di risarcimento per difetto di prove. Decise che ogni parte avrebbe sopportato gli oneri di procedimento.
12. Questa decisione diventò definitiva il 25 febbraio 2003.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
13. Il diritto e la pratica interna pertinenti figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006-V).
IN DIRITTO
I. CONSIDERAZIONE PRELIMINARE
14. Il Governo si oppone alla decisione della Corte di esaminare congiuntamente l’ammissibilità della richiesta ed il merito di questa, come previsto all’articolo 29 § 3 della Convenzione. Stima che la richiesta non suscita simile approccio, in ragione delle particolarità legate alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto”, alla data di deposito della decisione “Pinto” ed alla natura di persona giuridica della richiedente.
15. La Corte rileva da una parte che il Governo non ha supportato il suo argomento tratto dalle particolarità della richiesta. Osserva, dall’altra parte, che il procedimento di esame congiunto in questione non impedisce un esame attento delle questioni sollevate e degli argomenti invocati dal Governo (vedere, mutatis mutandis, Léo Zappia c. Italia, no 77744/01, §§ 12-14, 29 settembre 2005). Quindi, non vi è non luogo di fare diritto alla richiesta del Governo.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
16. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, la richiedente si lamenta della durata del procedimento principale e di non avere ottenuto nessuno indennizzo nella cornice del ricorso “Pinto.”
17. Il Governo si oppone a questa tesi.
18. L’articolo 6 § 1 della Convenzione è formulato così:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile .”
A. Sull’ammissibilità
19. Il Governo eccepisce del non-esaurimento delle vie di ricorso interne, per il fatto che la richiedente non è ricorsa in cassazione.
20. La Corte rileva che la decisione della corte di appello “Pinto” è diventata definitiva il 25 febbraio 2003. Alla luce della sua giurisprudenza (De Santec. Italia, (dec.), no 56079/00, 24 giugno 2004) respinge questa eccezione.
21. La Corte, dopo avere esaminato l’insieme dei fatti della causa e gli argomenti delle parti, considera che la correzione si è rivelata insufficiente (vedere Delle Cave e Corrado c. Italia, no 14626/03, §§ 26-31, 5 giugno 2007, CEDH 2007-VI; Cocchiarella c. Italia, precitata, §§ 69-98) e che la richiedente può sempre definirsi “vittima”, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
22. La Corte constata che la richiesta non incontra nessun altro dei motivi di inammissibilità iscritti all’articolo 35 § 3 della Convenzione. La dichiara anche lei ammissibile.
B. Sul merito
23. La Corte constata da prima che il procedimento principale che è cominciato il 21 maggio 1990, era durato fino al 20 dicembre 2001, data della decisione “Pinto”, più di undici anni e sette mesi per un grado di giurisdizione.
24. Nota, poi, che il procedimento principale si è prolungato fino al 22 aprile 2003. Questa durata supplementare di un anno e quattro mesi che non ha potuto essere presa in conto dalla corte di appello “Pinto”, non era non in sé sufficiente per costituire una secondo violazione nella cornice dello stesso procedimento. Pertanto, la Corte stima che, poiché la richiedente può definirsi “vittima” della durata del procedimento, può prendere in considerazione tutto il procedimento nazionale sul merito e non solamente quello già esaminato dalla corte di appello (vedere Cocchiarella c. Italia, precitata, § 116; Cappuccitti c. Italia, no 34646/03, §§ 22-23, 29 luglio 2008; Gardisan c. Italia, no 35772/03, §§ 16-17, 29 luglio 2008).
25. La Corte ha trattato a più riprese delle cause che sollevavano delle questioni simili a quella del caso di specie e ha constatato un’incomprensione dell’esigenza del “termine ragionevole”, tenuto conto dei criteri emanati dalla sua giurisprudenza in materia ben consolidata (vedere, in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, precitata). Non vedendo niente che possa condurre ad una conclusione differente nella presente causa, la Corte stima che c’è luogo di constatare una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, per gli stessi motivi.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
26. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
27. La richiedente richiede 40 000 euro (EUR) a titolo del danno morale che avrebbe subito.
28. Il Governo contesta questa pretesa.
29. La Corte stima che avrebbe potuto accordare alla richiedente per la violazione dell’articolo 6 § 1, in mancanza di vie di ricorso interne e tenuto conto dei ritardi imputabili alla richiedente, la somma di 11 200 EUR, in data della decisione “Pinto”. Il fatto che la corte di appello “Pinto” non le abbia concesso niente arriva ad un risultato manifestamente irragionevole. Di conseguenza, avuto riguardo alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto”, la Corte, tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia (precitata, §§ 139-142 e 146, e deliberando in equità, assegna alla richiedente 5 670 EUR, somma che ingloba un indennizzo a titolo della durata supplementare subita dalla richiedente dopo la constatazione di violazione da parte della giurisdizione “Pinto”.
B. Oneri e spese
30. Giustificativi in appoggio, la richiedente chiede 10 958,35 EUR per gli oneri e le spese della sua prima richiesta (no 62363/00) dinnanzi alla Corte, 4 014,14 EUR per gli oneri e le spese del ricorso “Pinto” e 13 002,8 EUR per gli oneri e le spese della presente richiesta.
31. Il Governo contesta queste pretese.
32. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, il sussidio degli oneri e delle spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Can ed altri c. Turchia, no 29189/02, del 24 gennaio 2008, § 22). Inoltre, gli oneri di giustizia sono recuperabili solamente nella misura in cui si riferiscono alla violazione constatata (vedere, per esempio, Beyeler c. Italia (soddisfazione equa) [GC], no 33202/96, § 27, 28 maggio 2002; Sahin c. Germania [GC], no 30943/96, § 105, CEDH 2003-VIII).
33. Per ciò che riguarda gli oneri e le spese relative alla richiesta no 62363/00, la Corte, non potendo accordare degli oneri e delle spese per una richiesta dichiarata inammissibile, respinge la richiesta.
34. In quanto agli oneri e spese dinnanzi alla corte di appello “Pinto”, tenuto conto della durata e della complessità del procedimento “Pinto”, la Corte decide assegnare 500 EUR alla richiedente a questo titolo.
35. In quanto agli oneri e spese della presente richiesta, la Corte, deliberando in equità, stima ragionevole assegnare 1 000 EUR a questo titolo.
C. Interessi moratori
36. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare alla richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 5 670 EUR (cinquemila sei cento settanta euro) per danno morale e 1 500 EUR (mille cinque cento euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 16 marzo 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa