Conclusione Non -violazione dell’art. 5-1; violazione dell’art. 5-4; violazione dell’art. 8; violazione dell’art. 13; parzialmente inammissibile; Danno materiale – domanda respinta; Danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA MARTURANA C. ITALIA
( Richiesta no 63154/00)
SENTENZA
STRASBURGO
4 marzo 2008
DEFINITIVO
04/06/2008
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Marturana c. Italia,
La Corte europea dei Diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Antonella Mularoni, Ireneu Cabral Barreto,
Rıza Türmen, Vladimiro Zagrebelsky,
András Sajó, Dragoljub Popović, giudici,
e dalla Sig.ra S. Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 12 febbraio 2008,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 63154/00) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. G. M (“il richiedente”), ha investito la Corte il 12 novembre 1999 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da G. S., avvocato a Canicattì. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, il Sig. I.M. Braguglia, e dal suo co-agente, il Sig. F. Crisafulli.
3. Il richiedente si lamentava, tra l’altro, della legalità della sua privazione di libertà, di un attentato ai principi del processo equo, di un ostacolo al suo diritto al rispetto della sua corrispondenza e di essere stato sottomesso a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione.
4. Il 18 febbraio 2005, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3, ha deciso che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1965 e ha risieduto ad Agrigento.
A. I perseguimenti penali
1. L’arresto del richiedente ed i suoi ricorsi contro il suo collocamento in detenzione provvisoria
6. Il 4 settembre 1998, il richiedente fu arrestato in Germania dalla polizia di questo paese nella cornice di un’inchiesta concernente il traffico internazionale di automobili rubate. Il 10 settembre 1998, il giudice delle investigazioni preliminari (“il G.I.P. “) di Agrigento ordinò l’arresto e il collocamento in detenzione del richiedente. Questo ultimo era accusato, tra l’altro, di fare parte di un’associazione di malviventi che miravano all’usura e all’estorsione, di tentativo di omicidio e di porto d’ arma proibita (procedimento no 800/98 R.G.N.D.R, qui di seguito, “il procedimento penale A”).
7. Il richiedente fu estradato in Italia l’ 8 aprile 1999; il 12 aprile, assistito da un avvocato di sua scelta, fu interrogato dal G.I.P. di Roma agente su commissione rogatoria del G.I.P. di Agrigento. Il richiedente decise di avvalersi del suo diritto di non parlare. Fu trasferito infine al penitenziario di Palermo. Il 27 maggio 1999, fu interrogato da un rappresentante della procura di Roma. Risulta dai verbali di questi interrogatori che all’inizio di questi, il richiedente fu informato dei capi di accusa a suo carico.
8. Il 24 settembre 1999, il richiedente chiese al G.I.P. di Agrigento di essere liberato. Addusse che i termini massimali della sua detenzione provvisoria erano scaduti. A titolo subordinato, chiese di essere posto agli arresti domiciliare. Indicava al passaggio che ignorava “i capi di accusa che pesavano su di lui, avendo introdotto semplicemente un’opposizione dinnanzi alla camera del tribunale di Palermo incaricata di riesaminare le misure di precauzione (“la camera specializzata”) all’epoca della sua estradizione in Italia.”
9. Con un’ordinanza del 2 ottobre 1999, il G.I.P. di Agrigento respinse da una parte questa istanza, rilevando, che i termini massimali di detenzione non ancora erano scaduti e, dall’altra parte, che c’era un rischio di recidiva e di contaminazione delle prove. Il G.I.P. osservò a questo riguardo che il richiedente occupava un “posizione sommitale in seno all’organizzazione criminale armata.”
10. Il 20 ottobre 1999, il richiedente interpose appello dinnanzi alla camera specializzata di Palermo. Contestò i motivi avanzati dal G.I.P. ed invitò il giudice di appello a prendere in considerazione il tempo trascorso dal suo arresto, il fatto che i suoi coimputati erano stati liberati e che l’ordinanza di collocamento in detenzione del 10 settembre 1998 non gli mai era stata notificata.
11. Con una decisione del 19 novembre 1999, la camera specializzata confermò la decisione attaccata. Per ciò che riguardava l’ordinanza del 10 settembre 1998, osservò che “l’opposizione del richiedente era stata respinta dall’ordinanza no 586/99 [del 26 aprile 1999]” e che “la Corte di cassazione era stata investita di un ricorso”; in più, il 12 aprile 1999, il richiedente era stato interrogato (paragrafo 7 sopra) come previsto all’articolo 294 del codice di procedimento penale (“il C.P.P. “), ciò che “suppone[va] la comunicazione dei capi di accusa menzionati nell’ordinanza di collocamento in detenzione.”
12. Il 24 dicembre 1999, il richiedente ricorse in cassazione. Addusse che il suo interrogatorio non poteva sostituire la notificazione dell’ordinanza del 10 settembre 1998.
13. Con una decisione del 23 maggio 2000, la Corte di cassazione, stimando che la camera specializzata aveva motivato in modo logico e corretto tutti i punti controversi, respinse questo ricorso. Notò che nel corso del suo interrogatorio, il richiedente aveva avuto la possibilità di difendersi in modo effettivo. Difatti, in questa occasione, i capi delle accuse, come descritti nell’ordinanza di collocamento in detenzione provvisoria, gli erano stati comunicati; quindi, l’interessato non poteva affermare di ignorarne il contenuto.
14. Il richiedente era ricorso nel frattempo, anche in cassazione contro l’ordinanza della camera specializzata di Palermo del 26 aprile 1999 (paragrafo 11 sopra). Il 26 novembre 1999, la Corte di cassazione aveva respinto questo ricorso. Condivise l’approccio della camera specializzata secondo cui i ricorsi fatti da un certo B. a nome del richiedente erano inammissibili, in mancanza di una procura valida a favore di suddetto avvocato.
15. Prima, ad una data non precisata, il tribunale di Agrigento aveva condiviso, tra le accuse contro il richiedente e due dei suoi coimputati, quelle di tentativo di omicidio e porto d’ arma proibita. Quindi, aveva aperto dei nuovi perseguimenti contro l’interessato (procedimento no 875/1999 R.G.N.D.R, qui di seguito, “il procedimento penale B”).
16. Nella cornice di questo procedimento, il 21 febbraio 2000, la procura chiese il rinvio in giudizio del richiedente.
17. L’udienza preliminare si tenne il 6 aprile 2000. In questa occasione, gli avvocati del richiedente eccepirono della nullità dell’ordinanza del 10 settembre 1998 e chiesero la liberazione del loro cliente. Il rappresentante della procura sostenne che all’epoca dell’interrogatorio dinnanzi al G.I.P. di Roma (paragrafo 7 sopra) l’ordinanza controversa era stata ben notificata al richiedente. Il giudice dell’udienza preliminare (“il G.U.P. “) di Agrigento riservò la sua decisione sull’eccezione sollevata dalla difesa e rinviò il richiedente in giudizio.
18. Con una decisione del 10 aprile 2000, il G.U.P. di Agrigento dichiarò l’ordinanza di collocamento in detenzione provvisoria del 10 settembre 1998 nulla e non esistente. Osservò che niente nella pratica permetteva di pensare che l’imputato avesse ricevuto una copia dell’ordinanza controversa all’epoca del suo collocamento sotto carcerazione di estradizione o della sua estradizione verso l’Italia.
19. Tuttavia, con una decisione dello stesso giorno, il G.U.P. prescrisse il mantenimento in detenzione del richiedente per i capi di accusa che erano oggetto del procedimento penale B. Questa decisione fu notificata all’interessato il giorno stesso.
20. Il 13 aprile 2000, il richiedente presentò una nuova istanza di rimessa in libertà al G.I.P. di Palermo che l’aveva interrogato su commissione rogatoria del G.U.P. di Agrigento. Addusse che i termini massimali di detenzione provvisoria erano scaduti e ricordò che l’ordinanza del 10 settembre 1998 era stata dichiarata nulla e non esistente.
21. Con una decisione del 17 aprile 2000, il G.I.P. di Palermo respinse l’istanza del richiedente. Osservò che l’ordinanza del 10 settembre 1998 era già stata annullata; peraltro, nella misura in cui le affermazioni dell’interessato prevedevano la nuova ordinanza di collocamento in detenzione provvisoria adottata il 10 aprile 2000, i termini massimali di detenzione sarebbero scaduti il 10 aprile 2001.
22. Il richiedente investì allora la camera specializzata di Palermo di un’istanza di annullamento dell’ordinanza del G.U.P. di Agrigento del 10 aprile 2000 (paragrafo 18 sopra). Addusse che questa decisione non menzionava gli articoli di legge che erano stati violati e che era stata anche presa prima che la procura chiedesse il suo collocamento in detenzione, l’ 11 aprile 2000. Tenuto conto, tra l’altro, del tempo trascorso dal suo arresto, il richiedente stimò che il suo perdurare in detenzione non era più giustificato.
23. Con una decisione del 6 maggio 2000, la camera specializzata di Palermo respinse l’appello del richiedente. Osservò che il G.U.P. di Agrigento aveva indicato le disposizioni legislative violate. Per ciò che riguardava la circostanza che l’istanza di collocamento in detenzione provvisoria della procura era datata 11 aprile 2000, cioé il giorno dopo l’adozione dell’ordinanza del G.U.P, la camera specializzata stimò che si trattava, evidentemente, di un errore di stampa. Inoltre concludere diversamente equivarrebbe a stimare che il G.U.P. possieda delle “capacità divinatorie.” In più, il richiedente rimaneva una persona pericolosa che poteva ricadere se fosse stata liberata. Infine, dei gravi indizi di colpevolezza pesavano a suo carico. In particolare, risultava da certe intercettazioni delle conversazioni coi suoi coimputati che il richiedente aveva intenzione di commettere l’omicidio di cui lo si accusava.
24. Il 9 giugno 2000, il richiedente ricorse in cassazione. Fece valere che, nella sua ordinanza del 10 aprile 2000, il G.U.P. di Agrigento si riferiva a due tipi di pistola differenti, che non si poteva accusarlo ragionevolmente di tentativo di omicidio ma solamente di minacce e che la sua pretesa pericolosità non era provata per niente.
25. Il 18 gennaio 2001, la Corte di cassazione respinse il richiedente del suo ricorso.
2. Il procedimento penale A
26. Il 15 marzo 2003, la procura di Agrigento informò il richiedente che l’istruzione del procedimento penale A era chiusa e che aveva il diritto di chiedere una copia dei documenti versati alla pratica.
27. Il 14 maggio 2004, la procura chiese il rinvio in giudizio del richiedente e di 52 coimputati.
28. Il 20 maggio 2004, il G.U.P. di Agrigento fissò la data dell’udienza preliminare al 10 ottobre 2004. Il 30 marzo 2007, rinviò il richiedente ed i suoi coimputati a giudizio dinnanzi al tribunale di Agrigento. La data della prima udienza fu fissata al 1 ottobre 2007. Il seguito di questo procedimento giudiziale non è conosciuto.
3. Il procedimento penale B
29. Nella cornice del procedimento penale B, tre udienze furono rinviate in ragione di problemi legati alla composizione della camera del tribunale di Agrigento. Ad una data non precisata, il richiedente chiese ad essere giudicato secondo il rito abbreviato, un passo semplificato che provocava, in caso di condanna, una riduzione della pena (vedere qui sotto di seguito “Il diritto interno pertinente”). La procura espresse un parere favorevole. Il 22 novembre 2000, il tribunale di Agrigento adottò il rito abbreviato.
30. Il 10 gennaio 2001, il tribunale respinse un’istanza di perizia. Ordinò l’ascolto della vittima del tentativo di omicidio e raccolse le dichiarazioni spontanee del richiedente e di uno dei suoi due coimputati. Le parti presentarono le loro arringhe.
31. Con un giudizio del 24 gennaio 2001 il cui testo fu depositato alla cancelleria l’ 8 marzo, il tribunale di Agrigento riqualificò il tentativo di omicidio come minacce gravi. Condannò il richiedente a quattro anni di detenzione ed a 1 000 000 lire (circa 516 euro-EUR) di multa.
32. Il richiedente interpose appello.
33. Il 13 marzo 2001, il richiedente chiese ancora una volta la sua rimessa in libertà.
34. Con una decisione del 16 marzo 2001, la camera specializzata respinse questa istanza.
35. Ad una data non precisata, il richiedente chiese di nuovo la revoca dell’ordinanza del 10 aprile 2000 ( paragrafo 19 sopra) e la sua rimessa in libertà.
36. Il 13 aprile 2001, la camera specializzata accolse l’istanza al motivo che la legge non contemplava il collocamento in detenzione provvisoria per la violazione di minacce gravi. Il richiedente fu liberato lo stesso giorno.
37. Dopo una serie di rinvii d’udienza, il 26 novembre 2003, la corte di appello di Palermo riaprì l’istruzione, conformemente alla richiesta del richiedente, per acquisire i documenti concernenti l’arresto e il collocamento di questo sotto carcerazione di estradizione (l’ordinanza di estradizione) la decisione di revocare l’ordinanza di collocamento in detenzione provvisoria del 10 settembre 1998 ed un brano di questa ordinanza.
38. Con una sentenza del 26 novembre 2003 il cui testo fu depositato alla cancelleria l’ 11 dicembre 2003, la corte di appello di Palermo, constatando che il richiedente aveva ottenuto i documenti relativi alla sua estradizione alla conclusione dell’istruzione del procedimento principale, pronunciò un non luogo a procedere per il reato di minacce gravi. Osservò che il richiedente era stato estradato per i fatti differenti da quelli per cui era stato condannato in prima istanza. Con la stessa sentenza, la corte di appello condannò il richiedente per porto d’arma proibita ad un anno e quattro mesi di detenzione ed a 400 EUR di multa.
39. L’ 8 gennaio 2004, il richiedente ricorse in cassazione. La conclusione di questo ricorso non è conosciuta.
B. La sorveglianza speciale da parte della polizia e l’ordine di comparizione al domicilio
40. Il 20 novembre 1998, il prefetto di Agrigento aveva proposto nel frattempo, al tribunale della stessa città di sottoporre il richiedente alla sorveglianza speciale da parte della polizia (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza) con ordine di comparizione al domicilio. Aveva notato che i gravi indizi dimostravano che il richiedente faceva parte di un’organizzazione criminale e che si trovava in Germania sotto carcerazione di estradizione per una serie di violazioni commesse in Italia, menzionate nell’ordinanza del G.I.P. di Agrigento del 10 settembre 1998.
41. In un esposto del 13 ottobre 1999, il richiedente si era opposto alla proposta del prefetto. Adduceva che questo si limitava ad enumerare le violazioni menzionate nell’ordinanza controversa, ometteva di notare che non era mai stato oggetto di perseguimenti e non dimostrava la necessità di sottoporlo a sorveglianza speciale.
42. Con una decisione del 13 ottobre 1999, notificata il 29 novembre, il tribunale di Agrigento aveva applicato la sorveglianza speciale per una durata di tre anni. Aveva respinto gli argomenti del richiedente stimando che le condizioni richieste dalla legge per l’applicazione della misura erano ben assolte. La pericolosità del richiedente non era in dubbio e ciò risultava chiaramente dalle investigazioni condotte dalla polizia che era arrivata all’adozione dell’ordinanza del 10 settembre 1998. Il tribunale aveva menzionato nella sua decisione le violazioni indicate in questa ordinanza, documento a cui si era riferito costantemente.
43. Il 16 dicembre 1999, la prefettura di Agrigento aveva revocato la patente del richiedente.
44. Il 7 aprile 2000, la corte di appello di Palermo aveva confermato questa decisione. Il richiedente era ricorso in cassazione tramite i suoi due avvocati. Con una decisione del 9 gennaio 2001, la Corte di cassazione aveva respinto questi due ricorsi perché non riguardavano dei punti di diritto.
45. Il 28 maggio 2001, il richiedente aveva chiesto al tribunale di Agrigento di autorizzarlo a recarsi alla cancelleria il 4 giugno 2001 per ottenere una copia “di ogni documento utile al suo procedimento penale”, ivi compresa l’ordinanza del 10 settembre 1998.
46. Il 1 giugno 2001, il tribunale di Agrigento aveva respinto questa istanza al motivo che il difensore del richiedente avrebbe potuto ottenere copia dei “documenti necessari.”
C. Gli ostacoli alla corrispondenza
47. In una corrispondenza indirizzata alla Corte del 5 giugno 2001, il richiedente ha dichiarato di avere incontrato durante la sua detenzione “numerose difficoltà relative alla sua corrispondenza.” Tra il 3 luglio 1999 ed il 14 luglio 2000, avrebbe ricevuto delle buste aperte e molto spesso senza contenuto; il suo avvocato non avrebbe ricevuto delle lettere che gli avrebbe mandato per la preparazione delle udienze del 13 ottobre 1999 (dinnanzi al tribunale di Agrigento) e del 7 aprile 2000 (dinnanzi alla corte di appello di Palermo); il 6 ottobre 1999 ed il 31 marzo 2000, l’amministrazione penitenziaria non avrebbe mandato due delle sue lettere, con ricevuta di ritorno, rispettivamente al tribunale di Agrigento ed alla corte di appello di Palermo. Il 14 luglio 2000, una perquisizione ebbe luogo nella sua unità. Il richiedente afferma che le guardie carcerarie sequestrarono la corrispondenza con la Corte. Il verbale redatto il giorno stesso indicava del resto il sequestro di ottanta buste, venti cartoline, sei telegrammi, cinque pagine scritte e tre piccoli fogli contenenti degli indirizzi.
48. All’epoca di una seconda perquisizione, il 23 dicembre 2000, i custodi avrebbero sequestrato delle lettere personali, dei libri di diritto ed una rivista internazionale sui diritti dell’uomo. Tutto questo sarebbe stato reso al richiedente all’epoca della sua rimessa in libertà.
49. Due lettere raccomandate di sua madre del 15 e 29 gennaio 2001 non gli sarebbero mai giunte.
50. Il 10 marzo 2001, all’epoca di un’altra perquisizione, i custodi avrebbero sequestrato tutti i documenti ricevuti dalla Corte. Il 12 marzo 2001, il richiedente avrebbe indirizzato, senza risultato, una istanza alla procura presso il tribunale di Agrigento per ottenere la restituzione della sua corrispondenza.
51. Il 19 marzo 2001, il richiedente indirizzò alla direzione della prigione tre reclami, per ottenere la restituzione del corrispondenza sequestrata il 10 marzo.
52. Il richiedente adduce anche che tra il 15 gennaio ed il 9 aprile 2001, sua madre gli avrebbe mandato parecchie lettere raccomandate con ricevuta di ritorno. Queste missive avrebbero dovuto contenere delle lettere mandate dalla Corte e delle cambiali. Secondo il richiedente, questa corrispondenza sarebbe arrivata alla prigione ma non l’avrebbe mai ricevuta. Il richiedente afferma di avere presentato con sua madre parecchi reclami indirizzati alla direzione della prigione chiedendo il pagamento dell’importo delle cambiali e delle corrispondenze assicurate.
53. Il 5 febbraio 2001, la direttrice della prigione informò la madre del richiedente del fatto che “i problemi segnalati erano stati regolati in una lettera inviata e che aveva dato le istruzioni necessarie affinché gli inconvenienti di cui era stato oggetto non si sarebbero più ripresentati.”
54. In una lettera del 25 maggio 2001, la stessa direttrice indicò alla madre del richiedente che tutta la corrispondenza che aveva mandato a suo figlio era giunta alla prigione e che la direzione non aveva ragione di dubitare che era stata rimessa all’interessato. La direttrice rilevò poi che la madre del richiedente richiedeva stranamente solamente il 16 maggio 2001 delle notizie riguardanti una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno inviata il 19 febbraio 2001 e dichiarava che conteneva delle cambiali per un importo molto elevato, mentre il 16 maggio, chiedeva sempre semplicemente delle notizie della stessa lettera raccomandata. La madre del richiedente ha agito allo stesso modo a proposito di un’altra lettera raccomandata con ricevuta di ritorno dell’ 8 febbraio 2001. La direttrice rilevava infine ciò che segue: “Ed ancora tutta una serie di raccomandate con ricevuta di ritorno contenenti, secondo la madre del richiedente, un totale garantito di 100 000 000 lire [circa 51 645 EUR] (…). Evidentemente, non si comprendono le ragioni di questo strano gioco delle parti e c’è luogo di sperare che la presente corrispondenza potrà mettere una fine senza obbligare questa direzione a prendere le iniziative più opportune per salvaguardare la reputazione della struttura.”
55. Il richiedente in seguito ha affermato di avere non ricevuto due lettere con ricevuta di ritorno, venticinque lettere raccomandate con ricevuta di ritorno contenenti delle cambiali ed un telegramma postale.
56. Il richiedente ha dichiarato inoltre che a causa dei suoi reclami, le guardie carcerarie l’avrebbero minacciato proferendo le seguente frasi: “È il ministero pubblico che ti darà la Corte europea! “, “La Corte è qui alla prigione Pagliarelli e non altrove! .”
57. Infine, il 28 maggio 2001, dopo la sua rimessa in libertà, il richiedente indirizzò alla direzione della prigione un ultimo reclamo chiedendo ancora una volta la restituzione della corrispondenza sequestrata.
58. Risulta da una nota del dipartimento per l’amministrazione penitenziaria del 29 settembre 2005 che la corrispondenza del richiedente non era stata sottoposta ad un visto di censura. Però, certe corrispondenze “furono trattenute” a titolo di misura di precauzione dato che il richiedente era stato trovato in possesso di lettere che non gli appartenevano e che erano state mandate ad un omonimo detenuto in un altro settore della prigione. L’amministrazione aveva dunque preso delle misure che miravano ad evitare lo scambio di destinatari delle corrispondenze in questione. Il 3 febbraio 2001, il richiedente aveva dichiarato in particolare, di avere ricevuto delle corrispondenze indirizzate al suo omonimo. Con una nota dello stesso giorno, il comandante del settore della prigione dove era detenuto osservò che il mittente delle corrispondenze era la stessa persona. Sebbene il settore del penitenziario in cui l’omonimo del richiedente si trovava fosse ben indicato sulle buste, queste giungevano al richiedente. Per questo fatto, il comandante del settore temeva che i due detenuti avessero inventato un espediente per ricevere delle informazione dall’esterno. Il dirigente del settore notò anche che né il richiedente né il suo omonimo erano sottoposti a misura di controllo della loro corrispondenza, il che spiegava male perché avrebbero provato a sottrarre certe corrispondenze al controllo delle autorità. Alcune misure furono prese per garantire la rimessa di ogni lettera indirizzata unicamente al richiedente o al suo omonimo al suo reale destinatario.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
59. Il rito abbreviato è regolato dagli articoli 438 e 441 a 443 del CPP. Si basa sull’ipotesi che la causa può essere decisa allo stato (pronto stato degli atti) all’epoca dell’udienza preliminare. L’istanza può essere fatta, oralmente o per iscritto, finché le conclusioni non sono state presentate all’udienza preliminare. In caso di adozione del procedimento abbreviato, l’udienza ha luogo in camera del consiglio ed è consacrata alle arringhe delle parti. In principio, le parti devono basarsi sui documenti che figurano nella pratica della procura. Se il giudice decide di condannare l’imputato, la pena inflitta è ridotta di uno terzo. Le disposizioni interne pertinenti sono descritte in Hermi c. Italia ([GC], no 18114/02, §§ 27-28, 18 ottobre 2006).
60. Nella sua sentenza Ospina Vargas, la Corte ha riassunto il diritto e la pratica interna pertinenti in quanto al controllo della corrispondenza (Ospina Vargas c. Italia, no 40750/98, §§ 31-32, 14 ottobre 2004). Ha fatto anche stato delle modifiche introdotte dalla legge no 279 del 23 dicembre 2002 e dalla legge no 95 del 8 aprile 2004 (ibidem).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 5 § 1 DELLA CONVENZIONE
61. Il richiedente stima che la sua detenzione è stata illegale al motivo che l’ordinanza di collocamento in detenzione provvisoria del 10 settembre 1998 non gli è mai stata notificata.
Invoca l’articolo 5 che, nelle sue parti pertinenti, è formulato così:
Articolo 5 § 1
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà ed alla sicurezza. Nessuno può essere privato della sua libertà, salvo nei seguenti casi e secondo le vie legali:
a) se è detenuto regolarmente dopo condanna da parte di un tribunale competente;
(…)
c) se è stato arrestato ed è stato detenuto in vista di essere condotto dinnanzi all’autorità giudiziale competente, quando ci sono delle ragioni plausibili di sospettare che abbia commesso una violazione o che ci sono dei motivi ragionevoli di credere alla necessità di impedirgli di commettere una violazione o di fuggire dopo il compimento di questa;
(…)
f) se si tratta dell’arresto o della detenzione regolare di una persona per impedirle di penetrare irregolarmente nel territorio, o contro cui un procedimento di espulsione o di estradizione è in corso. “
62. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
63. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) Il richiedente
64. Il richiedente sostiene di avere sempre ignorato l’esistenza dell’ordinanza di collocamento in detenzione provvisoria del 10 settembre 1998. Le autorità tedesche avrebbero sempre sostenuto che incombeva sulle autorità italiane di informarlo dei capi di accusa portati in particolare a suo carico così come dei motivi del suo arresto, tenuto conto, del fatto che ogni documentazione relativa all’estradizione era redatta in tedesco, una lingua che il richiedente non comprendeva. Le autorità italiane, in quanto ad esse, non avrebbero verificato mai se l’ordinanza controversa gli fosse stata notificata, omettendo di esaminare in modo serio i numerosi ricorsi che aveva presentato su questo punto. All’epoca dell’interrogatorio del 12 aprile 1999 (paragrafo 7 sopra) il richiedente avrebbe dichiarato al G.I.P. di Roma che ignorava le accuse portate contro di lui ed i motivi del suo arresto. Niente prova che in questa occasione, il G.I.P. di Roma fosse in possesso di una copia dell’ordinanza del 10 settembre 1998. L’interrogatorio in questione è durato comunque solo quindici minuti, un tempo del tutto insufficiente per leggere un’ordinanza di 337 pagine.
65. Peraltro, non apparterrebbe al Governo di criticare la decisione del G.I.P. di Agrigento del 10 aprile 2000 con cui l’ordinanza del 10 settembre 1998 è stata dichiarata nulla e non esistente per violazione dei diritti della difesa (paragrafo 18 sopra). Si tratta, difatti, di una decisione definitiva nel dritto italiano. Peraltro, la giurisprudenza della Corte di cassazione citata dal Governo (paragrafo 69 qui di seguito) non sarebbe pertinente, perché relativa a persone essendosi “costituite in prigione.”
66. Secondo il richiedente, il G.I.P. di Agrigento è dovuto ricorrere ad un espediente per mantenerlo in detenzione. Ha annullato difatti l’ordinanza del 10 settembre 1998 e ha utilizzato l’accusa di tentativo di omicidio come pretesto per adottare una nuova ordinanza privativa di libertà. In più, anche in questa occasione le accuse non sono state portate a cognizione del richiedente, il che gli ha impedito di mettere in opera una strategia di difesa adeguata ed efficace.
b,)Il Governo
67. Il Governo precisa a titolo preliminare che, contrariamente alle affermazioni del richiedente, questo non è stato arrestato in Germania su richiesta delle autorità italiane, ma nella cornice di un’inchiesta tedesca completamente distinta da quella condotto in Italia. È solamente durante la sua detenzione provvisoria in Germania che il richiedente è stato posto sotto carcerazione di estradizione. La richiesta di estradizione era accompagnata-secondo la pratica in materia -da una copia dell’ordinanza di collocamento in detenzione provvisoria del G.I.P. di Agrigento del 10 settembre 1998. Questa indicava i capi di accusa, descrivendo i fatti e citando gli articoli del codice penale violato.
68. Secondo il Governo, apparteneva alle autorità tedesche notificare, fin dall’inizio del procedimento di estradizione, l’ordinanza controversa. Supponendo che queste ultime non si siano liberate dal compito che spettava loro, tale mancanza non potrebbe essere messa a carico delle autorità italiane che potevano a buono diritto supporre che il richiedente avesse ricevuto una copia di questa ordinanza.
69. All’epoca del suo interrogatorio dinnanzi al G.I.P. di Roma del 12 aprile 1999 (paragrafo 7 sopra) il richiedente, assistito da un avvocato di sua scelta, ha omesso di sollevare un’eccezione derivata da un difetto di notificazione dell’ordinanza di collocamento in detenzione provvisoria. Inoltre, il G.I.P. di Roma disponeva di una copia di questo documento e, se la sua attenzione fosse stata attirata sul fatto che la notifica non aveva avuto luogo, avrebbe potuto darla all’accusato. Tale eccezione non è stata sollevata neanche nell’istanza di liberazione del 24 settembre 1999 (paragrafo 8 sopra). Peraltro, in dritto italiano, l’omissione di rimettere una copia dell’ordinanza di collocamento in detenzione provvisoria al momento dell’arresto non ha necessariamente per conseguenza rendere la misura privativa di libertà nulla o inefficace. Difatti, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione (vedere sentenza no 353 del 1993), tale mancanza può essere ovviata da ogni atto successivo suscettibile di realizzare un risultato equivalente. Nelle circostanze del presente caso, questo atto era l’interrogatorio dinnanzi al G.I.P. di Roma.
70. Il Governo ricorda inoltre che la legge italiana prevede anche il deposito alla cancelleria dell’ordinanza, coi documenti e gli atti pertinenti, per permettere all’imputato di contestare la legalità o la necessità dell’arresto. Inoltre, l’avvocato dell’imputato ha la facoltà di ottenere una copia di tutti gli atti relativi alla detenzione provvisoria tra cui raffigura l’ordinanza di collocamento in detenzione. Nello specifico, il richiedente era rappresentato da un avvocato di sua scelta. Infine, ha introdotto parecchi ricorsi per contestare la sua privazione di libertà, il che dimostra che aveva cognizione degli elementi su cui si basava la misura controversa.
71. Alla luce di ciò che precede, il Governo stima di non potere condividere la decisione del G.I.P. di Agrigento del 10 aprile 2000 (paragrafo 18 sopra).
72. Peraltro, la detenzione del richiedente dovrebbe essere divisa in due periodi. Durante la prima, che va dalla sua estradizione (8 aprile 1999-paragrafo 7 sopra) fino alla sua condanna in prima istanza (24 gennaio 2001-paragrafo 31 sopra) la privazione di libertà si giustificava ai termini del capoverso c) del primo paragrafo dell’articolo 5 della Convenzione. Il periodo di detenzione sofferto in Germania e quello che il richiedente ha subito dopo la sua condanna in prima istanza (dal 24 gennaio al 13 aprile 2001) data della sua rimessa in libertà, ricadono, rispettivamente, sotto l’influenza dei capoversi f) e a) della stessa disposizione.
2. Valutazione della Corte
73. La Corte stima che per esaminare la compatibilità della detenzione del richiedente con l’articolo 5 § 1 della Convenzione, è opportuno distinguere tre periodi: dall’ 8 aprile 1999 (data dell’estradizione dell’interessato) al 10 aprile 2000 (data dell’annullamento della prima ordinanza di collocamento in detenzione), dal 10 aprile 2000 al 24 gennaio 2001 (data della condanna del richiedente in prima istanza) e dal 24 gennaio 2001 fino al 13 aprile 2001 (data della sua liberazione).
a) La privazione di libertà del richiedente dall’ 8 aprile 1999 al 10 aprile 2000
74. La Corte osserva innanzitutto che il richiedente è stato arrestato dalle autorità italiane l’8 aprile 1999, giorno della sua estradizione. È stato posto in detenzione provvisoria sulla base dell’ordinanza del G.I.P. di Agrigento del 10 settembre 1998 (paragrafi 6 e 7 sopra). Questa privazione di libertà si analizza nella detenzione di una persona in vista di essere condotta dinnanzi all’autorità giudiziale competente, quando ci sono delle ragioni plausibili di sospettare che abbia commesso una violazione, ai termini del capoverso c) del primo paragrafo dell’articolo 5 della Convenzione. Il 10 aprile 2000, questa ordinanza è stata dichiarata però, nulla e non esistente dal G.U.P. di Agrigento, al motivo che non era mai stata notificata ufficialmente all’imputato (paragrafo 18 sopra).
75. La Corte ricorda che esigendo che una detenzione sia conforme alle “vie legali” ed abbia un carattere regolare, l’articolo 5 § 1 della Convenzione rinvia essenzialmente alla legislazione nazionale, e consacra l’obbligo di osservane le norme di fondo come procedimento. Esige per di più la conformità di ogni privazione di libertà allo scopo dell’articolo 5: proteggere l’individuo contro l’arbitrarietà (Amuur c. Francia, sentenza del 25 giugno 1996, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-III, § 50; Scott c. Spagna, sentenza del 18 dicembre 1996, Raccolta 1996-VI, § 56).
76. Quindi, ogni decisione presa dalle giurisdizioni interne nella sfera di applicazione dell’articolo 5 deve essere conforme alle esigenze procedurali e di fondo fissate da una legge preesistente. Se incombe al primo capo alle autorità nazionali, in particolare ai tribunali, di interpretare e di applicare il diritto interno allo sguardo dell’articolo 5 § 1, l’inosservanza del diritto interno provoca una trasgressione alla Convenzione e la Corte può e deve verificare se questo diritto è stato rispettato (Benham c. Regno Unito, sentenza del 10 giugno 1996, Raccolta 1996-III, § 41; Giulia Manzoni c. Italia, sentenza del 1 luglio 1997, Raccolta 1997-IV, § 21; Assanidzé c. Georgia [GC], no 71503/01, § 171, CEDH 2004-II).
77. Un periodo di detenzione è in principio regolare se ha luogo in esecuzione di una decisione giudiziale. La constatazione ulteriore di una trasgressione da parte del giudice non può ricadere, in dritto interno, sulla validità della detenzione subita nell’intervallo. Questo è perché gli organi della Convenzione si rifiutano sempre di accogliere delle richieste che provengono da persone riconosciute colpevoli di violazioni penali e che derivano argomento dal fatto che le giurisdizioni di appello hanno constatato che il verdetto di colpevolezza o la pena si fondavano su degli errori di fatto o di diritto (Benham c. Regno Unito, sentenza del 10 giugno 1996, Raccolta 1996-III, § 42).
78. Nella presente causa, la Corte deve dedicarsi alla questione di sapere se l’ordinanza di collocamento in detenzione provvisoria del 10 settembre 1998 costituisse una base legale per la privazione di libertà del richiedente fino alla sua revoca, sopraggiunta il 10 aprile 2000. La sola circostanza che questa ordinanza sia stata ulteriormente annullata non colpisce, in quanto tale, la legalità della detenzione per il periodo precedente. Per determinare se l’articolo 5 § 1 della Convenzione è stato rispettato, è opportuno fare una distinzione fondamentale tra i titoli di detenzione manifestamente invalidi -per esempio, quelli che vengono emessi da un tribunale all’infuori della sua competenza -ed i titoli di detenzione che sono prima facie validi ed efficaci fino al momento in cui sono annullati da un’altra giurisdizione interna (Benham precitata, §§ 43 e 46; Lloyd ed altri c. Regno Unito, numeri 29798/96 e segue, §§ 83, 108, 113 e 116, 1 marzo 2005; Khudoyorov c. Russia, no 6847/02, §§ 128-129, 8 novembre 2005).
79. Nello specifico, non è stato addotto che il G.I.P. di Agrigento abbia agito all’infuori delle sue attribuzioni. Ai termini del diritto interno, aveva il potere di porre il richiedente in detenzione provvisoria. La sua ordinanza è stata annullata unicamente perché il G.U.P. di Agrigento ha stimato che l’omissione di notificarla ufficialmente all’imputato si analizzava in un’irregolarità procedurale di natura tale da rendere, in dritto italiano, il titolo di detenzione nullo e non avvenuto. La Corte considera che questa mancanza non si analizza in un’irregolarità grave e manifesta ai termini della sua giurisprudenza (vedere, mutatis mutandis, Liu e Liu c. Russia, no 42086/05, § 81, 6 dicembre 2007.
80. La Corte non stima che il G.I.P. d’Agrigento abbia agito in mala fede che non si sia adoperato ad applicare correttamente la legge pertinente (Benham précité, § 47). Evidentemente, un malinteso ha portato le autorità interne a credere che i capi di imputazione erano, in realtà, stati ben notificati al richiedente. Questa mancanza procedurale non significa, però, che la detenzione fosse illegale o che il titolo che ordinava la privazione di libertà fosse prima facie invalido (vedere, mutatis mutandis, Gaidjurgis c. Lituania, (déc.), no 49098/99, 16 gennaio 2001; Khudoyorov precitato, § 132; Liu e Liu precitata, § 82).
81. In queste circostanze, la Corte non potrebbe concludere che la detenzione del richiedente dall’ 8 aprile 1999 al 10 aprile 2000 non fosse stata conforme alle vie legali o che fosse stata arbitraria o diversamente contraria all’articolo 5 § 1 della Convenzione.
82. Ne segue che non c’è stata violazione di questa disposizione per ciò che riguarda il periodo in questione.
b) La privazione di libertà del richiedente dal 10 aprile 2000 al 24 gennaio 2001
83. Il 10 aprile 2000, una nuova ordinanza di collocamento in detenzione provvisoria è stata adottata contro il richiedente dal G.U.P. di Agrigento (paragrafo 19 sopra). Questa era fondata su delle ragioni plausibili di sospettare che il richiedente avesse commesso dei reati di tentativo di omicidio e di porto d’arma proibita. La Corte non vede nessun elemento suscettibile da portarla a credere che questa detenzione fosse illegale o arbitraria.
84. Certo, il tribunale di Agrigento ha stimato poi che i fatti rimproverati al richiedente dovevano essere qualificati come minacce, e non come tentativo di omicidio (paragrafo 31 sopra) e la corte di appello di Palermo ha pronunciato un non luogo a procedere per il reato di minacce (paragrafo 38 sopra). Però, le ragioni plausibili di sospetto menzionate all’articolo 5 § 1 c) della Convenzione non significano che deve essere stabilita allo stadio dell’istruzione la colpevolezza dell’indiziato. È precisamente lo scopo dell’istruzione stabilire definitivamente la realtà e la natura delle violazioni di cui l’interessato è accusato. Il capoverso c) dell’articolo 5 § 1 non presuppone anche che la polizia abbia riunito delle prove sufficienti per portare delle accuse (Erdagöz c. Turchia, sentenza del 22 ottobre 1997, Raccolta 1997-VI, § 51). Quindi, la circostanza che al termine dei dibattimenti un non luogo a procedere sia stato pronunciato a favore del richiedente per uno dei capi di accusa non significa che la sua detenzione provvisoria fosse contraria all’articolo 5.
85. In queste circostanze, la Corte stima che la privazione di libertà del richiedente dal 10 aprile 2000 al 24 gennaio 2001 non ha infranto l’articolo 5 § 1 della Convenzione.
c) La privazione di libertà del richiedente dal 24 gennaio 2001 al 13 aprile 2001
86. Il 24 gennaio 2001, il richiedente è stato condannato a quattro anni di detenzione (paragrafo 31 sopra). A partire da questa data e fino alla sua liberazione, sopraggiunta il 13 aprile 2001 (paragrafo 36 sopra) o due mesi e venti giorni più tardi, la sua privazione di libertà si analizza in una detenzione regolare di una persona “dopo condanna da parte di un tribunale competente” ai termini del capoverso a) del primo paragrafo dell’articolo 5. Difatti, ai termini della giurisprudenza della Corte, una persona condannata in prima istanza, che sia stata o meno detenuta fino a quel momento, si trovi nel caso previsto da questa disposizione (B. c. Austria, sentenza del 28 marzo 1990, serie A no 175, § 36).
87. Niente prova che la detenzione in questione fosse arbitraria o diversamente contraria alla Convenzione. Ne segue che non ha infranto l’articolo 5 § 1 di questa.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 5 § 2 DELLA CONVENZIONE
88. Il richiedente considera che l’omissione di notificargli l’ordinanza di collocamento in detenzione provvisoria del 10 settembre 1998 abbia violato anche il paragrafo 2 dell’articolo 5 della Convenzione, così formulata,:
“Ogni persona arrestata deve essere informata, nel più breve termine ed in una lingua che comprende, delle ragioni del suo arresto e di ogni accusa portata contro di lei. “
89. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Argomenti delle parti
1. Il richiedente
90. Il richiedente reitera la sua affermazione secondo la quale, all’epoca dell’interrogatorio del 12 aprile 1999, il G.I.P. di Roma ha omesso di informarlo delle accuse portate a suo carico. Il verbale di questo interrogatorio non fa nessun riferimento alle sorgenti di prova a carico ed alle accuse considerate contro di lui. Ne va parimenti per l’interrogatorio del 27 maggio 1999 dinnanzi ad un rappresentante della procura di Roma (paragrafo 7 in fine sopra ) che è durato solamente ventiquattro minuti di cui quindici sono stati consacrati alle formalità relative all’identificazione dell’imputato.
2. Il Governo
91. Il Governo osserva che, all’epoca dell’interrogatorio del 12 aprile 1999, il richiedente è stato informato delle accuse portate contro di lui e degli elementi di prova a carico. Questa informazione orale soddisfaceva alle esigenze del paragrafo 2 dell’articolo 5, compresa quella del “campo termine”.
B. Valutazione della Corte
92. La Corte ricorda che il paragrafo 2 dell’articolo 5 enuncia una garanzia elementare: ogni persona arrestata deve sapere perché è detenuta. Integrato al sistema di protezione che offre l’articolo 5, obbliga a segnalare ad una tale persona, in un linguaggio semplice e comprensibile per lei, le ragioni giuridiche e di fatto della sua privazione di libertà, affinché possa discutere della legalità dinnanzi ad un tribunale in virtù del paragrafo 4. Deve beneficiare di queste informazioni “nel più breve termine”, ma il poliziotto che l’arresta non può immediatamente fornirle queste per intero. Per determinare se ne ha ricevute abbastanza e sufficientemente presto, bisogna avere riguardo alle particolarità dello specifico (Fox, Campbell e Hartley c. Regno Unito, sentenza del 30 agosto 1990, serie A no 182, § 40).
93. In quanto al modo di comunicare ad una persona le ragioni del suo arresto, la Convenzione non esige che queste ragioni siano indicate nel testo della decisione che autorizza la detenzione. L’articolo 5 § 2 non esige neanche che le ragioni vengano fornite per iscritto alla persona detenuta, né sotto qualsiasi altra forma speciale (X c. Germania, no 8098/77, decisione della Commissione del 13 dicembre 1978, Decisioni e rapporti, (DR, 16, pp,). 111 e 117).
94. Nello specifico, il richiedente è stato interrogato dal G.I.P. di Agrigento il 12 aprile 1999, o quattro giorni dopo la sua estradizione. In questa occasione, l’imputato era rappresentato dall’avvocato di sua scelta (paragrafo 7 sopra). La Corte considera poco verosimile che, pure ignorando le ragioni del suo arresto, il richiedente non abbia chiesto al G.I.P, direttamente o tramite il suo avvocato, delle delucidazioni in quanto ai capi di accusa a suo carico. Peraltro, l’interessato ha introdotto parecchi ricorsi per contestare la legalità della sua detenzione, il che sarebbe difficile da concepire in mancanza di ogni cognizione in quanto ai fatti rimproverati.
95. In queste circostanze, la Corte stima che, supponendo anche che ignorasse il contenuto dell’ordinanza di collocamento in detenzione provvisoria fino alla data della sua estradizione, il richiedente ha avuto l’opportunità di essere informato delle ragioni del suo arresto all’epoca dell’interrogatorio dinnanzi al G.I.P. di Agrigento del 12 aprile 1999. L’eventuale omissione di avvalersi di una tale possibilità si analizza in una rinuncia, implicita ma non equivoca, ai diritti garantiti dall’articolo 5 § 2 della Convenzione.
96. Ad ogni modo, il verbale dell’interrogatorio in questione indica che prima di porgli delle domande, il G.I.P. ha informato il richiedente delle accuse che pesavano a suo carico (paragrafo 7 in fine sopra). Niente permette di pensare che questa indicazione fosse falsa.
97. Quindi, nessuna apparenza di violazione dell’articolo 5 § 2 della Convenzione non potrebbero essere scoperta nello specifico.
98. Ne segue che questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 5 § 4 DELLA CONVENZIONE
99. Il richiedente considera di non avere disposto di un ricorso efficace per contestare la legalità della sua detenzione e che l’esigenza del “breve termine” contemplato all’articolo 5 § 4 della Convenzione è stata ignorata.
Questa disposizione si legge così:
“Ogni persona privata della sua libertà tramite arresto o detenzione ha il diritto di introdurre un ricorso dinnanzi ad un tribunale, affinché deliberi a breve termine sulla legalità della sua detenzione ed ordini la sua liberazione se la detenzione è illegale. “
100. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
101. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) Il richiedente
102. Secondo il richiedente, la lunghezza del procedimento concernente le contestazioni della legalità della sua detenzione è incompatibile col “breve termine” mirato all’articolo5 § 4 della Convenzione. In particolare, la Corte di cassazione ha respinto il suo ricorso il 24 maggio 2000, mentre il 10 aprile 2000 il GIP di Agrigento aveva annullato ex officio l’ordinanza contestata. In più, l’interessato ha introdotto tre istanze di liberazione, rispettivamente, il 24 gennaio 2000, il 13 marzo e il 13 aprile 2001. La prima non è stata presa neanche in considerazione dai giudici nazionali; la seconda è stata respinta in modo arbitrario; solo la terza è stata accolta.
b) Il Governo
103. Il Governo nota che il richiedente ha contestato la legalità della sua detenzione con parecchi procedimenti distinti. Ciascuna di essi è stato introdotto con un ricorso ad hoc e ha seguito la sua propria evoluzione.
104. La detenzione del richiedente non è stata difatti giustificata, sempre da uno solo ed uguale titolo, ma si è basata su due differenti ordinanze di collocamento in detenzione provvisoria, quella del 10 settembre 1998 e quella del 10 aprile 2000. Queste due decisioni, ampiamente motivate, non avevano lo stesso fondamento perché i capi di accusa erano differenti.
105. Ora, la prima istanza di liberazione datata 24 settembre 1999 (paragrafo 8 sopra) fu respinta dal G.I.P. una settimana più tardi, il 2 ottobre 1999 (paragrafo 9 sopra). L’appello contro questa decisione, introdotto il 20 ottobre 1999 (paragrafo 10 sopra) fu respinto il 19 novembre 1999, o trenta giorni più tardi (paragrafo 11 sopra). Il ricorso in cassazione, formato il 24 dicembre 1999 (paragrafo 12 sopra) e depositato dopo questa data, fu respinto a sua volta con una sentenza del 23 maggio 2000 (paragrafo 13 sopra).
106. Se si aggiunge ai tempi necessari alle giurisdizioni interne per decidere i ricorsi del richiedente, si constata che il procedimento è durato in tutto sei mese e sette giorni, il che non potrebbe passare per eccessivo.
107. Risulta anche che un altro procedimento era stato introdotto anteriormente. La data di questo ricorso non è conosciuta, ma la decisione della camera specializzata è intervenuta il 26 aprile 1999 (paragrafo 11 sopra). Si ignora anche la data in cui il richiedente è ricorso in cassazione contro questa decisione. La Corte di cassazione si è pronunciata il 26 novembre 1999 (paragrafo 14 sopra). Tenuto conto del carattere incompleto della documentazione, il Governo stima che questo procedimento non dovrebbe essere preso in considerazione. Del resto, è stato introdotto da un avvocato non munito di una procura valida, il che impedisce di attribuirlo al richiedente. Ad ogni modo, il tempo necessario alla Corte di cassazione per deliberare sul ricorso (verosimilmente introdotto, al più presto, nei dintorni del 10 maggio 1999) non si è rivelato eccessivo.
108. Il 10 aprile 2000, il G.U.P. di Agrigento ha pronunciato una seconda ordinanza di collocamento in detenzione provvisoria (paragrafo 19 sopra) contro la quale il richiedente ha introdotto di nuovo ricorso. Il primo, del 13 aprile 2000, è stato respinto dal G.I.P. 4 giorni più tardi (paragrafi 20 e 21 sopra). Poi, la camera specializzata si è pronunciata il 6 maggio 2000, o meno di 20 giorni dopo l’introduzione dell’appello del richiedente (paragrafi 22 e 23 sopra). Il ricorso in cassazione è stato introdotto il 9 giugno 2000 e è stato respinto il 18 gennaio 2001 (paragrafi 24 e 25 sopra). La durata totale del procedimento è stata di circa otto mesi.
109. Il Governo nota infine che il richiedente ha introdotto due altre istanze di rimessa in libertà: la prima, del 13 marzo 2001, è stata respinta il 16 (paragrafi 33 e 34 sopra); la seconda la cui data non è conosciuta, è stata accolta in compenso, ed il richiedente è stato liberato il 13 aprile 2001 (paragrafi 35 e 36 sopra). Queste due istanze sono però successive alla condanna del richiedente in prima istanza. Quindi, anche se ammissibili in dritto italiano, perché la detenzione è considerata come provvisoria finché la condanna diventa irrevocabile, questi procedimenti non potrebbero entrare in fila di conto sul terreno del paragrafo 4 dell’articolo 5 della Convenzione, perché a questa epoca il richiedente era detenuto “dopo condanna da parte di un tribunale competente”, ai termini del capoverso a) del primo paragrafo di questa disposizione.
2. Valutazione della Corte
110. La Corte ricorda che garantendo alle persone arrestate o detenute un ricorso per contestare la regolarità della loro privazione di libertà, l’articolo 5 § 4 della Convenzione consacra anche il diritto per loro, in seguito all’istituzione di tale procedimento, di ottenere a breve termine una decisione giudiziale concernente la regolarità della loro detenzione e che mette fine alla loro privazione di libertà se si rivela illegale (vedere, per esempio, Musiał c. Polonia [GC], no 24557/94, § 43, CEDH 1999-II; Baranowski c. Polonia, no 28358/95, § 68, 28 marzo 2000, CEDH 2000-III). È vero che la disposizione in questione non costringe gli Stati contraenti ad instaurare un doppio grado di giurisdizione per l’esame della legalità della detenzione e quello delle istanze di rilascio. Tuttavia, uno Stato che si dota di tale sistema deve in principio anche accordare ai detenuti le stesse garanzie sia in appello che in prima istanza, l’esigenza del rispetto del “breve termine” costituendone indubbiamente una di esse (Navarra c. Francia, sentenza del 23 novembre 1993, serie A no 273-B, § 28; Singh c. Repubblica ceco, no 60538/00, § 74, 25 gennaio 2005).
111. La Corte ricorda anche che il rispetto del diritto di ogni persona, allo sguardo dell’articolo 5 § 4 della Convenzione, di ottenere a breve termine una decisione di un tribunale sulla legalità della sua detenzione deve essere valutato alla luce delle circostanze di ogni causa (Sanchez-Reisse c. Svizzera, sentenza del 21 ottobre 1986, serie A no 107, § 55; R.M.D. c. Svizzera, sentenza del 26 settembre 1997, Raccolta 1997-VI, p. 2013, § 42). In particolare, bisogna tenere conto dello svolgimento generale del procedimento e verificare se ci sono stati dei ritardi imputabili alla condotta del richiedente o dei suoi consiglieri. In principio però, poiché la libertà dell’individuo è in gioco, lo stato deve fare in modo che il procedimento si svolga nel minimo di tempo (Mayzit c. Russia, no 63378/00, § 49, 20 gennaio 2005).
112. Nello specifico, la Corte rileva dei ritardi importanti nell’esame dei ricorsi del richiedente sulla legalità della sua detenzione. In particolare, il ricorso in cassazione del richiedente del 24 dicembre 1999, che tendeva ad ottenere l’annullamento dell’ordinanza della camera specializzata di Palermo del 19 novembre 1999, è stato deciso solamente il 23 maggio 2000, o cinque mesi più tardi (paragrafi 12 e 13 sopra). Ne va parimenti per il ricorso in cassazione del 9 giugno 2000, che tendeva ad ottenere l’annullamento dell’ordinanza della camera specializzata di Palermo del 6 maggio 2000 che è stata respinta solo il 18 gennaio 2001, o più di otto mesi più tardi (paragrafi 24 e 25 sopra).
113. Confrontando il caso specifico con altre cause in cui ha concluso alla mancata osservanza dell’esigenza del “breve termine” ai sensi dell’articolo 5 § 4 (vedere, per esempio, Rehbock c. Slovenia, no 29462/95, §§ 84-88, CEDH 2000-XII, e Sulaoja c. Estonia, no 55939/00, § 74, 15 febbraio 2005) in cui si trattava, rispettivamente, di termini di ventitre giorni e di due mesi e ventiquattro giorni, la Corte stima che i ritardi enunciati sopra siano stati eccessivi. Considera anche che la complessità innegabile della causa non potrebbe spiegare la durata globale dei procedimenti incriminati (vedere, mutatis mutandis, Baranowski precitata, § 73). Inoltre, tutti i termini controversi devono essere imputati alle autorità, dato che niente permette di pensare che, dopo avere introdotto i suoi ricorsi, il richiedente abbia, in un modo qualsiasi, ritardato il loro esame (Mayzit precitata § 52; Rapacciuolo c. Italia, no 76024/01, § 35, 19 maggio 2005).
114. Questo basta per concludere alla violazione dell’articolo 5 § 4 della Convenzione nello specifico. In queste circostanze, la Corte non stima necessario dedicarsi alla questione di sapere se gli altri ricorsi introdotti dal richiedente siano stati trattati in conformità con l’esigenza dal “breve termine.”
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE
115. Il richiedente stima che l’omissione di notificargli l’ordinanza di collocamento in detenzione provvisoria del 10 settembre 1998 ha violato anche il suo diritto ad un processo equo, come garantito dall’articolo 6 della Convenzione.
Nelle sue parti pertinenti, questa disposizione si legge come segue:
Articolo 6
“1. Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita, pubblicamente ed in un termine ragionevole, da un tribunale, che deciderà, o delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile, o della fondatezza di ogni accusa in materia penale diretta contro di lei. (…)
3. Ogni imputato ha in particolare diritto a:
a) essere informato, nel più breve termine, in una lingua che comprende e in un modo dettagliato, della natura e della causa dell’accusa portata contro di lui,;
b) disporre del tempo e degli strumenti necessari alla preparazione della sua difesa. “
116. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Argomenti delle parti
1. Il richiedente
117. Il richiedente reitera le osservazioni formulate a proposito dell’obbligo di informazione previsto all’articolo 5 § 2 della Convenzione e considera che il difetto di notifica dell’ordinanza del 10 settembre 1998 ha avuto un’ “enorme influenza sulla totalità del procedimento penale condotto a suo carico.” Precisa di essere stato interrogato a tre riprese: al suo arrivo in Italia, poi il 27 maggio 1999 ed infine il 13 aprile 2000. Risulterebbe dalla durata di questi interrogatori che i giudici italiani non l’abbiano mai informato del contenuto dell’ordinanza del 10 settembre 1998.
118. In quanto al procedimento ulteriore, il richiedente si lamenta di essere stato sottomesso a certe restrizioni in quanto all’accesso agli atti del processo. Osserva di avere potuto accedere alla documentazione relativa al procedimento di estradizione solo il 15 marzo 2003 (paragrafo 26 sopra) data in cui è stato informato della conclusione delle investigazioni preliminari, mentre il processo di prima istanza si era concluso nel 2001. Se avesse avuto la possibilità di consultare i documenti in questione in tempo utile, il richiedente non avrebbe optato per il procedimento abbreviato. Stima che i documenti riguardanti la sua estradizione sono stati coperti dal segreto per privarlo il più tempo possibile della sua libertà e di spingerlo ad adottare una strategia di difesa erronea.
119. Peraltro, il procedimento non è stato contraddittorio. Le autorità non hanno dato nessuno seguito alle sue istanze di essere personalmente sentito, di contestare le prove a carico, di essere confrontato coi suoi coimputati e di proporre delle nuove investigazioni. Il richiedente non avrebbe potuto telefonare al suo avvocato né si sarebbe potuto recare alla cancelleria del tribunale di Agrigento per ottenere una copia delle prove a carico contenute nella sua pratica.
2. Il Governo
120. Il Governo considera che questo motivo di appello richieda di essere analizzato sotto l’angolo del capoverso a) del terzo paragrafo dell’articolo 6. Pure riferendosi alle osservazioni che ha sviluppato sotto l’angolo dell’articolo 5 della Convenzione, nota che il richiedente è stato interrogato da prima dal G.I.P. di Roma poco dopo il suo arrivo in Italia, poi da un rappresentante della procura il 27 maggio 1999 (paragrafo 7 sopra) ed infine dal G.I.P. di Palermo il 13 aprile 2000 (paragrafo 20 sopra). In queste occasioni il richiedente è stato informato delle accuse portate contro di lui e degli elementi di prova a carico. Le autorità si sono dunque liberate dall’obbligo di informazione che spettava loro.
121. Peraltro, il procedimento si è svolto in modo regolare ed il consigliere del richiedente ebbe accesso alla pratica senza ostacoli ed in tempo debito. La pratica, d’altra parte, conteneva tutti gli elementi abituali, ed in particolare i capi di accusa così come le prove a carico che la difesa poteva contestare. Conteneva anche l’ordinanza del 10 settembre 1998. Quindi, l’omissione della notifica questa ultima non ha potuto avere la minima influenza sull’equità del procedimento.
B. Valutazione della Corte
122. La Corte reitera innanzitutto le osservazioni che ha sviluppato sotto l’angolo dell’articolo 5 § 2 della Convenzione (paragrafi 94-96 sopra). Ricorda che il richiedente ha avuto un’opportunità reale di chiedere ogni delucidazione a riguardo delle accuse portate contro di lui all’epoca dell’interrogatorio del 12 aprile 1999. Ne va parimenti per gli interrogatori che hanno avuto luogo il 27 maggio 1999 e il 13 aprile 2000. In queste circostanze, la Corte non potrebbe stimare che il diritto del richiedente ad essere informato della natura e della causa dell’accusa sia stato infranto nello specifico.
123. In quanto alle altre affermazioni del richiedente, relative alle pretese difficoltà nell’accesso agli atti della pratica ed all’impossibilità di contestare le prove a suo carico o di essere confrontato coi suoi coimputati, la Corte nota che non si basano su nessun elemento obiettivo se non sulle affermazioni dell’interessato. Non sono dunque supportate. Del resto, rileva che il richiedente non sembra avere sollevato i motivi di appello che porta a Strasburgo dinnanzi alle giurisdizioni interne competenti e che l’imputato ha con suo pieno gradimento chiesto l’adozione del rito abbreviato, un passo semplificato secondo cui, in principio, le arringhe delle parti si basano sugli elementi raccolti dalla procura durante le investigazioni preliminari (paragrafo 59 sopra).
124. In queste circostanze, nessuna apparenza di violazione dell’articolo 6 della Convenzione potrebbe essere scoperta nello specifico.
125. Ne segue che questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
V. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
126. Il richiedente considera di essere stato sottomesso a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione, così formulato:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
127. Il Governo contesta questa tesi.
A. Argomenti delle parti
1. Il richiedente
128. Il richiedente adduce innanzitutto che a partire dal 10 aprile 2000 è stato privato della sua libertà per minacce, una violazione non passibile di collocamento in detenzione provvisoria. Secondariamente, gli ostacoli alla sua libertà di corrispondere l’avrebbero isolato “dal mondo esterno.” Inoltre, la sua patente è stata revocata, il che gli ha impedito di esercitare la sua attività professionale di agente commerciale.
129. Peraltro, a partire dal 24 novembre 1999 e fino alla sua liberazione, il richiedente è stato sottoposto ai seguenti trattamenti: a) mancanza “per la maggior parte dalle ore della giornata” di acqua potabile o per lavarsi e lavare la biancheria e l’unità; b) obbligo di lavarsi in inverno con l’acqua fredda, il che avrebbe provocato un’artrosi cervicale; c) omissione di operarlo di un ernia inguinale; d) impossibilità di ottenere la sua cartella medica e di consultare un medico all’esterno della prigione. ogni volta che il richiedente ha presentato dei reclami per questi motivi, le autorità penitenziarie hanno risposto oralmente in modo negativo, e ciò allo scopo di punirlo per le sue proteste.
130. Il richiedente afferma che le condizioni della sua detenzione sono state completamente anormali. Adduce di essere stato escluso dalla maggior parte delle opportunità offerte dal trattamento penitenziario ordinario, eccezione fatta per la possibilità di partecipare alle riunioni pomeridiane con gli altri detenuti e di passeggiare in una piccola corte durante le “ore di aria aperta” della giornata. Adduce anche che, malgrado le sue numerose richieste, non è mai stato ammesso alle attività di lavoro in prigione, al motivo che era ancora in attesa di un processo.
131. In quanto alla mancanza di acqua potabile, il richiedente stima che l’amministrazione penitenziaria locale non abbia ottemperato al suo obbligo di prendere le misure necessarie, come l’uso di fontane e cisterne ad hoc. Questo ha violato l’articolo 9 della legge no 354 del 1975, ai termini della quale “i detenuti e gli internati devono sempre disporre di acqua potabile.”
132. L’interessato adduce di essere stato anche autorizzato tardivamente a sottoporsi ad una visita oculistica, il che ha condotto ad una diminuzione della sua vista. Il 2 febbraio 2001, il medico della prigione aveva sollecitato peraltro un intervento chirurgico per l’ernia inguinale del richiedente. Però, in mancanza di letti ospedalieri disponibili, l’intervento in questione non ha avuto luogo prima della sua liberazione. Infine, il lungo termine tra la diagnosi di una carie dentaria e l’amministrazione delle cure ivi relative ha causato la perdita definitiva del dente malato.
2. Il Governo
133. Il Governo stima innanzitutto che questo motivo di appello non è supportato per niente. Afferma che le condizioni di detenzione del richiedente sono state perfettamente normali. Tenuto conto delle restrizioni inerenti alla condizione di detenuto che sono inevitabili e legittime allo sguardo della Convenzione, non hanno superato i limiti di ciò che è normalmente accettabile in simili situazioni e non hanno raggiunto certamente il livello di gravità richiesto per ricadere sotto l’influenza dell’articolo 3 della Convenzione.
134. In particolare, il Governo sostiene che il richiedente non è mai stato privato delle opportunità offerte dal regime penitenziario ordinario, che comprendeva in particolare delle attività di rie