SECONDA SEZIONE
CAUSA MARIA VICARI C. ITALIA
( Richiesta no 13606/04)
SENTENZA
STRASBURGO
26 maggio 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Maria Vicari c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 5 maggio 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 13606/04) diretta contro la Repubblica italiana e in cui una cittadina di questo Stato, la Sig.ra M V. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 16 aprile 2004 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da F. M., avvocato ad Avola (Siracusa). Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato successivamente dai suoi agenti, il Sig. I.M. Braguglia, il Sig. R. Adam e la Sig.ra E. Spatafora, ed dai suoi coagenti,i Sigg. V. Esposito e F. Crisafulli, così come dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 15 dicembre 2005, il presidente della terza sezione ha deciso di comunicare i motivi di appello tratti dagli articoli 6 § 1, 8 e 13 della Convenzione al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il meito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato in 1935 e risiede a Città Giardino (Siracusa).
1. Il procedimento di fallimento
5. Con un giudizio depositato il 29 maggio 1987, il tribunale di Siracusa dichiarò il fallimento del richiedente, che esercitava un’attività di vendita di vestiti.
6. In seguito a questa dichiarazione, il richiedente fu sottoposto ad una serie di incapacità personali e patrimoniali, come la limitazione del suo diritto alla corrispondenza, dei suoi beni e della sua libertà di circolazione, conformemente all’articolo 48, 42 e 49 del decreto reale no 267 del 16 marzo 1942 (qui di seguito “la legge sul fallimento”) così come alla limitazione del suo diritto al voto.
7. Ad una data non precisata posteriore alla dichiarazione di fallimento, la cancelleria del tribunale inserì il nome del richiedente nel registro dei falliti, ai sensi dell’articolo 50 della legge sul fallimento. In ragione di questa iscrizione, il richiedente fu sottoposto automaticamente ad una serie di altre incapacità personali regolamentate dalla legislazione speciale (vedere Campagnano c. Italia, no 77955/01, § 54, 23 marzo 2006).
8. A differenza delle incapacità derivanti dalla dichiarazione di fallimento che si concludono con la chiusura del procedimento, le incapacità derivanti dall’iscrizione del nome del fallito nel registro cessano solamente una volta ottenuto l’annullamento di questa iscrizione.
9. Questo annullamento ha luogo con la riabilitazione civile che, al di là delle ipotesi di pagamento integrale dei crediti e di esecuzione regolare del concordato di fallimento, può essere chiesta solo dal fallito che ha fatto prova di una “buona condotta effettiva e consolidata” per almeno cinque anni a contare della chiusura del procedimento (articolo 143 della legge sul fallimento).
10. Risulta da un rapporto di perizia depositato il 16 settembre 1987 che il richiedente non ha fornito al curatore del fallimento la documentazione contabile riguardante la sua attività.
11. Il 20 ottobre 1988, il giudice nominò un altro curatore, avendo rinunciato il primo alle sue funzioni.
12. Tra il 1996 e il 1999, i beni all’attivo furono venduti alle aste e tramite negoziato privato, (vendita a trattativa privata).
13. Risulta dalla pratica che, informato del procedimento, parecchi procedimenti fiscali, in prima e seconda istanza, furono iniziati dall’ufficio delle imposte dinnanzi alla commissione fiscale.
14. Con una decisione del 2 ottobre 2003, il tribunale restrinse il procedimento per ripartizione finale dell’attivo del fallimento.
2. Il procedimento introdotto conformemente alla legge Pinto
15. Il 13 ottobre 2003, il richiedente introdusse un ricorso dinnanzi alla corte di appello di Messina conformemente alla legge Pinto lamentandosi della durata del procedimento e delle incapacità derivanti dal suo collocamento in fallimento.
16. Con una decisione depositata il 31 marzo 2004, la corte di appello accordò 5 600 euro al richiedente come risarcimento morale. Questa decisione fu notificata al foro dello stato il 15 maggio 2004. Acquisì forza di cosa giudicata il 14 luglio 2004 dunque, cioè sessanta giorni dopo il suo deposito.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
17. Il diritto interno pertinente è descritto nelle sentenze Campagnano c. Italia (no 77955/01, §§ 19-22, 23 marzo 2006), Albanese c. Italia, no 77924/01, §§ 23-26, 23 marzo 2006) e Vitiello c. Italia (no 77962/01, §§ 17-20, 23 marzo 2006,).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO ALLA DURATA DELL PROCEDIMENTO,
18. Il richiedente si lamenta della durata del procedimento di fallimento di cui è stato oggetto. Il Governo contesta questa tesi e stima che la durata del procedimento è stata imputabile al comportamento del richiedente ed alla complessità della causa.
19. La Corte ricorda la sua giurisprudenza a proposito dell’esaurimento delle vie di ricorso (Di Sante c. Italia, no 56079/00, decisione del 24 giugno 2004) e considera che il richiedente non si avrebbe potuto ricorrere efficacemente in cassazione contro la decisione della corte di appello di Messina all’epoca dei fatti. Conviene dunque dichiarare questo motivo di appello ammissibile.
20. In quanto al merito, la Corte constata che nello specifico, il procedimento di fallimento che rivestiva una certa complessità, è cominciato il 29 maggio 1987 e che si è concluso il 2 ottobre 2003. È durato dunque più di sedici anni e quattro mesi per un’istanza. Per ciò che riguarda il comportamento del richiedente, la Corte nota che non è stabilito che questo abbia contribuito all’allungamento del procedimento.
21. La Corte ha trattato a più riprese cause che sollevavano delle questioni simili a quella del caso presente e ha constatato la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (vedere, tra molte altre, Frydlender c. Francia [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII). Considera che il Governo non ha esposto nessuno fatto né argomento convincenti da poter condurla ad una conclusione differente nel caso presente. Tenuto conto della sua giurisprudenza in materia, la Corte stima che nello specifico la durata del procedimento controverso è eccessiva e non risponde all’esigenza del “termine ragionevole” (vedere Di Blasi c. Italia, precitata, §§ 19-35; Gallucci c. Italia, no 10756/02, §§ 22-30, 12 giugno 2007; Bertolini c. Italia, no 14448/03, §§ 23-33, 18 dicembre 2007).
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 ALLA CONVENZIONE, 8 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO AL DIRITTO AL RISPETTO DELLA CORRISPONDENZA, E 2 DEL PROTOCOLLO NO 4 ALLA CONVENZIONE
22. Invocando gli articoli 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, 8 della Convenzione e 2 del Protocollo no 4 alla Convenzione, il richiedente si lamenta rispettivamente della violazione del suo diritto al rispetto dei suoi beni e della sua corrispondenza, così come della sua libertà di circolazione, in particolare in ragione della durata del procedimento. Il Governo si oppone a queste tesi.
23. Per ciò che riguarda questi motivi di appello, la Corte ricorda che è a contare dal 14 luglio 2003 che deve essere richiesto dai richiedenti che utilizzino, fino al ricorso in cassazione, il rimedio previsto dalla legge Pinto ai fini dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, in quanto alla lunghezza delle incapacità derivanti dal collocamento in fallimento (vedere Sgattoni c. Italia, no 77131/01, sentenza del 15 settembre 2005, § 48). Avendo acquisito forza di cosa giudicata la decisione della corte di appello di Messina il 14 luglio 2004, la Corte considera che il richiedente si avrebbe potuto ricorrere efficacemente in cassazione. Questa parte della richiesta è dunque inammissibile per non-esaurimento delle vie di ricorso interne e deve essere respinta conformemente all’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione (vedere, tra molte altre, Albanese c. Italia, precitata, §§ 38 e 39; Collarile c. Italia, precitata, § 20; Falzarano e Balletta c. Italia, no 6683/03, § 31, 12 giugno 2007).
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO AL DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA,
24. Invocando il suo diritto al rispetto della vita familiare, il suo “diritto al lavoro ed il suo diritto alla vita di relazione”, il richiedente si lamenta del fatto che, in ragione dell’iscrizione del suo nome nel registro dei falliti, non può esercitare nessuna attività professionale o commerciale. Inoltre, denuncia il fatto che, secondo l’articolo 143 della legge sul fallimento, la sua riabilitazione che mette fine alle sue incapacità personali, può essere chiesta solo dopo cinque anni seguenti la chiusura del procedimento di fallimento.
25. Per ciò che riguarda i motivi di appello che riguardano il diritto al rispetto della vita familiare del richiedente, il suo “diritto al lavoro ed il suo diritto alla vita di relazione”, la Corte stima che il richiedente ha omesso di supportare questi e li respinge dunque per difetto manifesto di fondamento secondo l’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
26. In quanto al restante di questo motivo di appello, la Corte considera che si deve analizzare sotto l’angolo dell’articolo 8 della Convenzione, in quanto al diritto al rispetto della vita privata del richiedente, e che conviene dichiararlo ammissibile.
27. Per ciò che riguarda il merito, alla luce della sua giurisprudenza (vedere, tra molte altre, Campagnano c. Italia, precitata, §§ 50-66; Albanese c. Italia, precitata, §§ 50-66; Vitiello c. Italia, precitata, §§ 44-62) e la mancanza di argomenti convincenti dal governo tali da poter condurre ad una conclusione differente nel caso presente, la Corte stima che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 6 § 1 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO AL DIRITTO D’ACCESSO AL TRIBUNALE, E 13 DELLA CONVENZIONE
28. Invocando gli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione, il richiedente si lamenta della non effettività del rimedio previsto dalla legge Pinto, visto l’importo ricevuto a titolo di risarcimento morlae per la durata del procedimento.
29. La Corte nota al primo colpo che questo motivo di appello deve essere esaminato unicamente sotto l’angolo dell’articolo 13 della Convenzione (vedere Bottaro c. Italia, precitata, §§ 41-46) e che conviene dichiararlo ammissibile.
30. Per ciò che riguarda il merito, la Corte rileva di avere già trattato una causa che sollevava delle questioni simili a quelle del caso specifico e ha concluso alla non-violazione dell’articolo 13 della Convenzione (vedere Viola ed altri c. Italia, no 7842/02, §§ 64-69, 8 gennaio 2008).
31. La Corte ha esaminato la presente causa e ha considerato che il Governo non ha fornito nessuno fatto né argomento convincenti tali da condurre ad una conclusione differente. Pertanto, la Corte conclude che non c’è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione.
V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
32. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
33. Il richiedente richiede 250 000 euro (EUR) a titolo del danno morale così come 16 345,75 EUR per gli oneri e le spese sostenuti dinnanzi alla Corte. Il Governo si oppone a queste pretese.
34. La Corte considera che, deliberando in equità, c’è luogo di concedere al richiedente 17 400 EUR a titolo del danno morale.
35. Per ciò che riguarda gli oneri e le spese, secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei suddetti criteri, la Corte stima ragionevole la somma di 2 000 EUR per il procedimento dinnanzi alla Corte e l’accorda al richiedente.
36. La Corte giudica appropriata associare alle suddette somme degli interessi moratori ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello tratti dagli articoli 6 § 1 della Convenzione (in quanto alla durata del procedimento) 8 della Convenzione (in quanto al diritto al rispetto della vita privata) e 13 della Convenzione;
2. Dichiara inammissibile il restante della richiesta;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
4. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
5. Stabilisce che non c’è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione;
6. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
(i) 17 400 EUR (diciassettemila quattro cento euro) al tasso applicabile in data dell’ordinamento, per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
(ii) 2 000 EUR (duemila euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto dal richiedente a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
7. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 26 maggio 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa