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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE MARIA VICARI c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 13606/04/2009
Stato: Italia
Data: 2009-05-26 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

SECONDA SEZIONE
CAUSA MARIA VICARI C. ITALIA
( Richiesta no 13606/04)
SENTENZA
STRASBURGO
26 maggio 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Maria Vicari c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 5 maggio 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 13606/04) diretta contro la Repubblica italiana e in cui una cittadina di questo Stato, la Sig.ra M V. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 16 aprile 2004 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da F. M., avvocato ad Avola (Siracusa). Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato successivamente dai suoi agenti, il Sig. I.M. Braguglia, il Sig. R. Adam e la Sig.ra E. Spatafora, ed dai suoi coagenti,i Sigg. V. Esposito e F. Crisafulli, così come dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 15 dicembre 2005, il presidente della terza sezione ha deciso di comunicare i motivi di appello tratti dagli articoli 6 § 1, 8 e 13 della Convenzione al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il meito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato in 1935 e risiede a Città Giardino (Siracusa).
1. Il procedimento di fallimento
5. Con un giudizio depositato il 29 maggio 1987, il tribunale di Siracusa dichiarò il fallimento del richiedente, che esercitava un’attività di vendita di vestiti.
6. In seguito a questa dichiarazione, il richiedente fu sottoposto ad una serie di incapacità personali e patrimoniali, come la limitazione del suo diritto alla corrispondenza, dei suoi beni e della sua libertà di circolazione, conformemente all’articolo 48, 42 e 49 del decreto reale no 267 del 16 marzo 1942 (qui di seguito “la legge sul fallimento”) così come alla limitazione del suo diritto al voto.
7. Ad una data non precisata posteriore alla dichiarazione di fallimento, la cancelleria del tribunale inserì il nome del richiedente nel registro dei falliti, ai sensi dell’articolo 50 della legge sul fallimento. In ragione di questa iscrizione, il richiedente fu sottoposto automaticamente ad una serie di altre incapacità personali regolamentate dalla legislazione speciale (vedere Campagnano c. Italia, no 77955/01, § 54, 23 marzo 2006).
8. A differenza delle incapacità derivanti dalla dichiarazione di fallimento che si concludono con la chiusura del procedimento, le incapacità derivanti dall’iscrizione del nome del fallito nel registro cessano solamente una volta ottenuto l’annullamento di questa iscrizione.
9. Questo annullamento ha luogo con la riabilitazione civile che, al di là delle ipotesi di pagamento integrale dei crediti e di esecuzione regolare del concordato di fallimento, può essere chiesta solo dal fallito che ha fatto prova di una “buona condotta effettiva e consolidata” per almeno cinque anni a contare della chiusura del procedimento (articolo 143 della legge sul fallimento).
10. Risulta da un rapporto di perizia depositato il 16 settembre 1987 che il richiedente non ha fornito al curatore del fallimento la documentazione contabile riguardante la sua attività.
11. Il 20 ottobre 1988, il giudice nominò un altro curatore, avendo rinunciato il primo alle sue funzioni.
12. Tra il 1996 e il 1999, i beni all’attivo furono venduti alle aste e tramite negoziato privato, (vendita a trattativa privata).
13. Risulta dalla pratica che, informato del procedimento, parecchi procedimenti fiscali, in prima e seconda istanza, furono iniziati dall’ufficio delle imposte dinnanzi alla commissione fiscale.
14. Con una decisione del 2 ottobre 2003, il tribunale restrinse il procedimento per ripartizione finale dell’attivo del fallimento.
2. Il procedimento introdotto conformemente alla legge Pinto
15. Il 13 ottobre 2003, il richiedente introdusse un ricorso dinnanzi alla corte di appello di Messina conformemente alla legge Pinto lamentandosi della durata del procedimento e delle incapacità derivanti dal suo collocamento in fallimento.
16. Con una decisione depositata il 31 marzo 2004, la corte di appello accordò 5 600 euro al richiedente come risarcimento morale. Questa decisione fu notificata al foro dello stato il 15 maggio 2004. Acquisì forza di cosa giudicata il 14 luglio 2004 dunque, cioè sessanta giorni dopo il suo deposito.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
17. Il diritto interno pertinente è descritto nelle sentenze Campagnano c. Italia (no 77955/01, §§ 19-22, 23 marzo 2006), Albanese c. Italia, no 77924/01, §§ 23-26, 23 marzo 2006) e Vitiello c. Italia (no 77962/01, §§ 17-20, 23 marzo 2006,).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO ALLA DURATA DELL PROCEDIMENTO,
18. Il richiedente si lamenta della durata del procedimento di fallimento di cui è stato oggetto. Il Governo contesta questa tesi e stima che la durata del procedimento è stata imputabile al comportamento del richiedente ed alla complessità della causa.
19. La Corte ricorda la sua giurisprudenza a proposito dell’esaurimento delle vie di ricorso (Di Sante c. Italia, no 56079/00, decisione del 24 giugno 2004) e considera che il richiedente non si avrebbe potuto ricorrere efficacemente in cassazione contro la decisione della corte di appello di Messina all’epoca dei fatti. Conviene dunque dichiarare questo motivo di appello ammissibile.
20. In quanto al merito, la Corte constata che nello specifico, il procedimento di fallimento che rivestiva una certa complessità, è cominciato il 29 maggio 1987 e che si è concluso il 2 ottobre 2003. È durato dunque più di sedici anni e quattro mesi per un’istanza. Per ciò che riguarda il comportamento del richiedente, la Corte nota che non è stabilito che questo abbia contribuito all’allungamento del procedimento.
21. La Corte ha trattato a più riprese cause che sollevavano delle questioni simili a quella del caso presente e ha constatato la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (vedere, tra molte altre, Frydlender c. Francia [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII). Considera che il Governo non ha esposto nessuno fatto né argomento convincenti da poter condurla ad una conclusione differente nel caso presente. Tenuto conto della sua giurisprudenza in materia, la Corte stima che nello specifico la durata del procedimento controverso è eccessiva e non risponde all’esigenza del “termine ragionevole” (vedere Di Blasi c. Italia, precitata, §§ 19-35; Gallucci c. Italia, no 10756/02, §§ 22-30, 12 giugno 2007; Bertolini c. Italia, no 14448/03, §§ 23-33, 18 dicembre 2007).
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 ALLA CONVENZIONE, 8 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO AL DIRITTO AL RISPETTO DELLA CORRISPONDENZA, E 2 DEL PROTOCOLLO NO 4 ALLA CONVENZIONE
22. Invocando gli articoli 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, 8 della Convenzione e 2 del Protocollo no 4 alla Convenzione, il richiedente si lamenta rispettivamente della violazione del suo diritto al rispetto dei suoi beni e della sua corrispondenza, così come della sua libertà di circolazione, in particolare in ragione della durata del procedimento. Il Governo si oppone a queste tesi.
23. Per ciò che riguarda questi motivi di appello, la Corte ricorda che è a contare dal 14 luglio 2003 che deve essere richiesto dai richiedenti che utilizzino, fino al ricorso in cassazione, il rimedio previsto dalla legge Pinto ai fini dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, in quanto alla lunghezza delle incapacità derivanti dal collocamento in fallimento (vedere Sgattoni c. Italia, no 77131/01, sentenza del 15 settembre 2005, § 48). Avendo acquisito forza di cosa giudicata la decisione della corte di appello di Messina il 14 luglio 2004, la Corte considera che il richiedente si avrebbe potuto ricorrere efficacemente in cassazione. Questa parte della richiesta è dunque inammissibile per non-esaurimento delle vie di ricorso interne e deve essere respinta conformemente all’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione (vedere, tra molte altre, Albanese c. Italia, precitata, §§ 38 e 39; Collarile c. Italia, precitata, § 20; Falzarano e Balletta c. Italia, no 6683/03, § 31, 12 giugno 2007).
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO AL DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA,
24. Invocando il suo diritto al rispetto della vita familiare, il suo “diritto al lavoro ed il suo diritto alla vita di relazione”, il richiedente si lamenta del fatto che, in ragione dell’iscrizione del suo nome nel registro dei falliti, non può esercitare nessuna attività professionale o commerciale. Inoltre, denuncia il fatto che, secondo l’articolo 143 della legge sul fallimento, la sua riabilitazione che mette fine alle sue incapacità personali, può essere chiesta solo dopo cinque anni seguenti la chiusura del procedimento di fallimento.
25. Per ciò che riguarda i motivi di appello che riguardano il diritto al rispetto della vita familiare del richiedente, il suo “diritto al lavoro ed il suo diritto alla vita di relazione”, la Corte stima che il richiedente ha omesso di supportare questi e li respinge dunque per difetto manifesto di fondamento secondo l’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
26. In quanto al restante di questo motivo di appello, la Corte considera che si deve analizzare sotto l’angolo dell’articolo 8 della Convenzione, in quanto al diritto al rispetto della vita privata del richiedente, e che conviene dichiararlo ammissibile.
27. Per ciò che riguarda il merito, alla luce della sua giurisprudenza (vedere, tra molte altre, Campagnano c. Italia, precitata, §§ 50-66; Albanese c. Italia, precitata, §§ 50-66; Vitiello c. Italia, precitata, §§ 44-62) e la mancanza di argomenti convincenti dal governo tali da poter condurre ad una conclusione differente nel caso presente, la Corte stima che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 6 § 1 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO AL DIRITTO D’ACCESSO AL TRIBUNALE, E 13 DELLA CONVENZIONE
28. Invocando gli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione, il richiedente si lamenta della non effettività del rimedio previsto dalla legge Pinto, visto l’importo ricevuto a titolo di risarcimento morlae per la durata del procedimento.
29. La Corte nota al primo colpo che questo motivo di appello deve essere esaminato unicamente sotto l’angolo dell’articolo 13 della Convenzione (vedere Bottaro c. Italia, precitata, §§ 41-46) e che conviene dichiararlo ammissibile.
30. Per ciò che riguarda il merito, la Corte rileva di avere già trattato una causa che sollevava delle questioni simili a quelle del caso specifico e ha concluso alla non-violazione dell’articolo 13 della Convenzione (vedere Viola ed altri c. Italia, no 7842/02, §§ 64-69, 8 gennaio 2008).
31. La Corte ha esaminato la presente causa e ha considerato che il Governo non ha fornito nessuno fatto né argomento convincenti tali da condurre ad una conclusione differente. Pertanto, la Corte conclude che non c’è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione.
V. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
32. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
33. Il richiedente richiede 250 000 euro (EUR) a titolo del danno morale così come 16 345,75 EUR per gli oneri e le spese sostenuti dinnanzi alla Corte. Il Governo si oppone a queste pretese.
34. La Corte considera che, deliberando in equità, c’è luogo di concedere al richiedente 17 400 EUR a titolo del danno morale.
35. Per ciò che riguarda gli oneri e le spese, secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei suddetti criteri, la Corte stima ragionevole la somma di 2 000 EUR per il procedimento dinnanzi alla Corte e l’accorda al richiedente.
36. La Corte giudica appropriata associare alle suddette somme degli interessi moratori ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello tratti dagli articoli 6 § 1 della Convenzione (in quanto alla durata del procedimento) 8 della Convenzione (in quanto al diritto al rispetto della vita privata) e 13 della Convenzione;
2. Dichiara inammissibile il restante della richiesta;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
4. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
5. Stabilisce che non c’è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione;
6. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
(i) 17 400 EUR (diciassettemila quattro cento euro) al tasso applicabile in data dell’ordinamento, per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
(ii) 2 000 EUR (duemila euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto dal richiedente a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
7. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 26 maggio 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa

Testo Tradotto

DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE MARIA VICARI c. ITALIE
(Requête no 13606/04)
ARRÊT
STRASBOURG
26 mai 2009
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Maria Vicari c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nona Tsotsoria, juges,
et de Sally Dollé, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 5 mai 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 13606/04) dirigée contre la République italienne et dont une ressortissante de cet Etat, Mme M V. (« la requérante »), a saisi la Cour le 16 avril 2004 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. La requérante est représentée par Me F. M., avocat à Avola (Syracuse). Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté successivement par ses agents, M. I.M. Braguglia, M. R. Adam et Mme E. Spatafora, et ses coagents, MM. V. Esposito et F. Crisafulli, ainsi que par son coagent adjoint, M. N. Lettieri.
3. Le 15 décembre 2005, le président de la troisième section a décidé de communiquer les griefs tirés des articles 6 § 1, 8 et 13 de la Convention au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
4. La requérante est née en 1935 et réside à Città Giardino (Syracuse).
1. La procédure de faillite
5. Par un jugement déposé le 29 mai 1987, le tribunal de Syracuse déclara la faillite de la requérante, exerçant une activité de vente de vêtements.
6. A la suite de cette déclaration, la requérante fut soumise à une série d’incapacités personnelles et patrimoniales, telles que la limitation de son droit à la correspondance, de ses biens et de sa liberté de circulation, conformément aux article 48, 42 et 49 du décret royal no 267 du 16 mars 1942 (ci-après « la loi sur la faillite ») ainsi qu’à la limitation de son droit de vote.
7. A une date non précisée postérieure à la déclaration de faillite, le greffe du tribunal inscrivit le nom de la requérante dans le registre des faillis, au sens de l’article 50 de la loi sur la faillite. En raison de cette inscription, la requérante fut soumise automatiquement à une série d’autres incapacités personnelles réglementées par la législation spéciale (voir Campagnano c. Italie, no 77955/01, § 54, 23 mars 2006).
8. A la différence des incapacités dérivant de la déclaration de faillite (qui se terminent avec la clôture de la procédure), les incapacités découlant de l’inscription du nom du failli dans le registre ne cessent qu’une fois obtenue l’annulation de cette inscription.
9. Cette annulation a lieu avec la réhabilitation civile, laquelle, au-delà des hypothèses de paiement intégral des créances et d’exécution régulière du concordat de faillite, ne peut être demandée que par le failli ayant fait preuve d’une « bonne conduite effective et constante » pendant au moins cinq ans à compter de la clôture de la procédure (article 143 de la loi sur la faillite).
10. Il ressort d’un rapport d’expertise déposé le 16 septembre 1987 que la requérante n’a pas fourni au syndic de la faillite la documentation comptable concernant son activité.
11. Le 20 octobre 1988, le juge nomma un autre syndic, le premier ayant renoncé à ses fonctions.
12. Entre 1996 et 1999, les biens à l’actif furent vendus aux enchères et par négociation privée (vendita a trattativa privata).
13. Il ressort du dossier que, au courant de la procédure, plusieurs procédures fiscales, en première et deuxième instance, furent entamées par le bureau des impôts devant la commission fiscale.
14. Par une décision du 2 octobre 2003, le tribunal clôtura la procédure pour répartition finale de l’actif de la faillite.
2. La procédure introduite conformément à la loi Pinto
15. Le 13 octobre 2003, la requérante introduisit un recours devant la cour d’appel de Messine conformément à la loi Pinto se plaignant de la durée de la procédure et des incapacités dérivant de sa mise en faillite.
16. Par une décision déposée le 31 mars 2004, la cour d’appel accorda à la requérante 5 600 euros en dédommagement moral. Cette décision fut notifiée au barreau de l’Etat le 15 mai 2004. Elle acquit donc force de chose jugée le 14 juillet 2004, c’est-à-dire soixante jours après son dépôt.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
17. Le droit interne pertinent est décrit dans les arrêts Campagnano c. Italie (no 77955/01, §§ 19-22, 23 mars 2006), Albanese c. Italie (no 77924/01, §§ 23-26, 23 mars 2006) et Vitiello c. Italie (no 77962/01, §§ 17-20, 23 mars 2006).
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION (QUANT À LA DURÉE DE LA PROCÉDURE)
18. La requérante se plaint de la durée de la procédure de faillite dont elle a fait l’objet. Le Gouvernement conteste cette thèse et estime que la durée de la procédure a été imputable au comportement de la requérante et à la complexité de l’affaire.
19. La Cour rappelle sa jurisprudence au sujet de l’épuisement de voies de recours (Di Sante c. Italie, no 56079/00, décision du 24 juin 2004) et considère que la requérante n’aurait pas pu efficacement se pourvoir en cassation contre la décision de la cour d’appel de Messine à l’époque des faits. Il convient donc de déclarer ce grief recevable.
20. Quant au fond, la Cour constate qu’en l’espèce, la procédure de faillite, qui revêtait une certaine complexité, a débuté le 29 mai 1987 et qu’elle s’est terminée le 2 octobre 2003. Elle a donc duré plus de seize ans et quatre mois pour une instance. En ce qui concerne le comportement du requérant, la Cour note qu’il n’est pas établi que celui-ci ait contribué à l’allongement de la procédure.
21. La Cour a traité à maintes reprises d’affaires soulevant des questions semblables à celle du cas présent et a constaté la violation de l’article 6 § 1 de la Convention (voir, parmi beaucoup d’autres, Frydlender c. France [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII). Elle considère que le Gouvernement n’a exposé aucun fait ni argument convaincant pouvant la mener à une conclusion différente dans le cas présent. Compte tenu de sa jurisprudence en la matière, la Cour estime qu’en l’espèce la durée de la procédure litigieuse est excessive et ne répond pas à l’exigence du « délai raisonnable » (voir De Blasi c. Italie, précité, §§ 19-35 ; Gallucci c. Italie, no 10756/02, §§ 22-30, 12 juin 2007 ; Bertolini c. Italie, no 14448/03, §§ 23-33, 18 décembre 2007).
Partant, il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DES ARTICLES 1 DU PROTOCOLE No 1 À LA CONVENTION, 8 DE LA CONVENTION (QUANT AU DROIT AU RESPECT DE LA CORRESPONDANCE) ET 2 DU PROTOCOLE No 4 À LA CONVENTION
22. Invoquant les articles 1 du Protocole no 1 à la Convention, 8 de la Convention et 2 du Protocole no 4 à la Convention, la requérante se plaint respectivement de la violation de son droit au respect de ses biens et de sa correspondance, ainsi que de sa liberté de circulation, notamment en raison de la durée de la procédure. Le Gouvernement s’oppose à ces thèses.
23. En ce qui concerne ces griefs, la Cour rappelle que c’est à compter du 14 juillet 2003 qu’il doit être exigé des requérants qu’ils usent, jusqu’au pourvoi en cassation, le remède prévu par la loi Pinto aux fins de l’article 35 § 1 de la Convention, quant à la longueur des incapacités dérivant de la mise en faillite (voir Sgattoni c. Italie, no 77131/01, arrêt du 15 septembre 2005, § 48). La décision de la cour d’appel de Messine ayant acquis force de chose jugée le 14 juillet 2004, la Cour considère que la requérante aurait pu efficacement se pourvoir en cassation. Cette partie de la requête est donc irrecevable pour non-épuisement des voies de recours internes et doit être rejetée conformément à l’article 35 §§ 1 et 4 de la Convention (voir, parmi beaucoup d’autres, Albanese c. Italie, précité, §§ 38 et 39 ; Collarile c. Italie, précité, § 20 ; Falzarano et Balletta c. Italie, no 6683/03, § 31, 12 juin 2007).
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 8 DE LA CONVENTION (QUANT AU DROIT AU RESPECT DE LA VIE PRIVÉE)
24. Invoquant son droit au respect de la vie familiale, son « droit au travail et son droit à la vie de relation », la requérante se plaint du fait que, en raison de l’inscription de son nom dans le registre des faillis, elle ne peut exercer aucune activité professionnelle ou commerciale. En outre, elle dénonce le fait que, selon l’article 143 de la loi sur la faillite, sa réhabilitation, qui met fin à ses incapacités personnelles, ne peut être demandée qu’après cinq ans suivant la clôture de la procédure de faillite.
25. En ce qui concerne les griefs portant sur le droit au respect de la vie familiale de la requérante, sur son « droit au travail et son droit à la vie de relation », la Cour estime que la requérante a omis d’étayer ceux-ci et les rejette donc pour défaut manifeste de fondement selon l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
26. Quant au restant de ce grief, la Cour considère qu’il doit s’analyser sous l’angle de l’article 8 de la Convention, quant au droit au respect de la vie privée de la requérante, et qu’il convient de le déclarer recevable.
27. En ce qui concerne le fond, à la lumière de sa jurisprudence (voir, parmi beaucoup d’autres, Campagnano c. Italie, précité, §§ 50-66 ; Albanese c. Italie, précité, §§ 50-66 ; Vitiello c. Italie, précité, §§ 44-62), et l’absence d’arguments convaincants du gouvernement pouvant mener à une conclusion différente dans le cas présent, la Cour estime qu’il y a eu violation de l’article 8 de la Convention.
IV. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DES ARTICLES 6 § 1 DE LA CONVENTION (QUANT AU DROIT D’ACCÈS AU TRIBUNAL) ET 13 DE LA CONVENTION
28. Invoquant les articles 6 § 1 et 13 de la Convention, la requérante se plaint de l’ineffectivité du remède prévu par la loi Pinto, vu le montant reçu à titre de dédommagement moral pour la durée de la procédure.
29. La Cour note d’emblée que ce grief doit être examiné uniquement sous l’angle de l’article 13 de la Convention (voir Bottaro c. Italie, précité, §§ 41-46) et qu’il convient de le déclarer recevable.
30. En ce qui concerne le fond, la Cour relève avoir déjà traité une affaire soulevant des questions semblables à celles du cas d’espèce et a conclu à la non-violation de l’article 13 de la Convention (voir Viola et autres c. Italie, no 7842/02, §§ 64-69, 8 janvier 2008).
31. La Cour a examiné la présente affaire et considère que le Gouvernement n’a fourni aucun fait ni argument convaincant pouvant mener à une conclusion différente. Partant, la Cour conclut qu’il n’y a pas eu violation de l’article 13 de la Convention.
V. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
32. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
33. La requérante réclame 250 000 euros (EUR) au titre du préjudice moral ainsi que 16 345,75 EUR pour les frais et dépens engagés devant la Cour. Le Gouvernement s’oppose à ces prétentions.
34. La Cour considère que, statuant en équité, il y a lieu d’octroyer à la requérante 17 400 EUR au titre du préjudice moral.
35. Pour ce qui est des frais et dépens, selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. En l’espèce et compte tenu des documents en sa possession et des critères susmentionnés, la Cour estime raisonnable la somme de 2 000 EUR pour la procédure devant la Cour et l’accorde à la requérante.
36. La Cour juge approprié d’assortir les sommes susmentionnées d’intérêts moratoires d’un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant aux griefs tirés des articles 6 § 1 de la Convention (quant à la durée de la procédure), 8 de la Convention (quant au droit au respect de la vie privée) et 13 de la Convention ;
2. Déclare irrecevable le restant de la requête ;
3. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention ;
4. Dit qu’il y a eu violation de l’article 8 de la Convention ;
5. Dit qu’il n’y a pas eu violation de l’article 13 de la Convention ;
6. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser à la requérante, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivante :
(i) 17 400 EUR (dix-sept mille quatre cent euros) au taux applicable à la date du règlement, pour dommage moral, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt ;
(ii) 2 000 EUR (deux mille euros), pour frais et dépens, plus tout montant pouvant être dû par la requérante à titre d’impôt ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
7. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 26 mai 2009, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Sally Dollé Françoise Tulkens
Greffière Présidente

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