Conclusione Violazione dell’art. 6-1
SECONDA SEZIONE
CAUSA MARCON C. ITALIA
( Richiesta no 32851/02)
SENTENZA
STRASBURGO
27 luglio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Marcon c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, Kristina Pardalos, Guido Raimondi, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 6 luglio 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 32851/02) diretta contro la Repubblica italiana e in cui una cittadina di questo Stato, la Sig.ra V. M. (“la richiedente”), ha investito la Corte il 5 agosto 1999 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo vecchio agente e coagente, i Sigg. I.M. Braguglia e F. Crisafulli, e l’attuale coagente, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 23 settembre 2004, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come pemesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. La richiedente è nata nel 1932 e risiede ad Udine.
A. Il procedimento principale
5. Il 6 novembre 1989, la richiedente citò suo fratello dinnanzi al tribunale di Udine per ottenere la divisione di un’eredità (RG no 511/89).
6. Il collocamento in stato della causa cominciò il 15 gennaio 1990. Delle ventidue udienze fissate tra il 15 aprile 1991 ed il 9 ottobre 2000, cinque furono rinviate su richiesta delle parti e cinque d’ufficio.
7. Il 20 novembre 2000, il giudice prese atto che la richiedente rinunciava ad inseguire il procedimento e pronunciò l’estinzione del procedimento.
B. Il procedimento “Pinto”
8. Il 6 settembre 2001, la richiedente investì la corte di appello di Trieste, ai sensi della legge “Pinto”, chiedendo 9 214,72 euro (EUR) per danno patrimoniale ed un minimo di 20 658,27 EUR per danno morale come risarcimento per la durata eccessiva del procedimento principale.
9. Con una decisione del 9 novembre 2001, depositata il 1 dicembre 2001, la corte di appello di Trieste dichiarò la sua incompetenza a deliberare ed indicò che la giurisdizione competente era la corte di appello di Bologna. Condannò la richiedente a versare 1 033 EUR a titolo di oneri e di spese del procedimento.
10. In una data non precisata, la richiedente investì questa ultima chiedendo un minimo di 67 139 EUR a titolo di danno patrimoniale e morale.
11. Con una decisione del 15 febbraio 2002, depositata il 26 febbraio 2002, la corte di appello constatò il superamento di una durata ragionevole. Respinse la richiesta di danno materiale per mancanza di legame di causalità con la durata del procedimento, accordò 2 066 EUR per danno morale e decise che ogni parte avrebbe sopportato gli oneri e le spese del procedimento.
12. Notificata il 5 novembre 2002, questa decisione diventò definitiva il 4 gennaio 2003.
13. Nel frattempo, con una lettera del 12 marzo 2002, la richiedente aveva informato la Corte del risultato del procedimento nazionale pregandola di riprendere l’esame della sua richiesta.
14. La somma accordata in esecuzione della decisione “Pinto” fu messa a disposizione della richiedente il 5 maggio 2004.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
15. Il diritto e le pratica interna pertinenti relativi alla legge no 89 del 24 marzo 2001, detta “legge Pinto” figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006-V.
IN DIRITTO
I. OSSERVAZIONE PRELIMINARE
16. Il Governo si oppone alla decisione della Corte di esaminare congiuntamente l’ammissibilità ed il merito della richiesta, come previsto all’articolo 29 § 3 della Convenzione. Stima che la richiesta non suscita simile approccio, in ragione delle particolarità legate alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto” ed alla data di deposito della decisione “Pinto.”
17. La Corte rileva, da una parte, che il Governo non ha supportato il suo argomento tratto dalle particolarità della richiesta. Osserva, dall’altra parte, che il procedimento di esame congiunto in questione non impedisce un esame attento delle questioni sollevate e degli argomenti invocati dal Governo (vedere, mutatis mutandis, Léo Zappia c. Italia, no 77744/01, §§ 12-14, 29 settembre 2005). Quindi, non vi è luogo di fare diritto all’istanza del Governo.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
18. La richiedente si lamenta della durata del procedimento principale e dell’insufficienza dell’indennizzo “Pinto.” Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
19. Il Governo si oppone a questa tesi, eccependo del non-esaurimento delle vie di ricorso interne e del difetto di requisito di “vittima” a capo del richiedente.
20. La Corte stima che la prima eccezione del Governo è da respingere alla luce della sua giurisprudenza (Di Sante c. Italia, (dec.), no 56079/00, 24 giugno 2004).
21. In quanto alla seconda eccezione, la Corte, dopo avere esaminato l’insieme dei fatti della causa e gli argomenti delle parti, considera che la correzione si è rivelata insufficiente (vedere Delle Cave e Corrado c. Italia, no 14626/03, §§ 26-31, 5 giugno 2007; Cocchiarella c. Italia, precitata, §§ 69-98) e che la somma “Pinto” non è stata versata nei sei mesi a partire dal momento in cui la decisione della corte di appello diventò esecutiva (Cocchiarella c. Italia, precitata, § 89). Pertanto, la richiedente può sempre definirsi “vittima”, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
22. La Corte constata che questo motivo di appello non incontra nessun altro dei motivi di inammissibilità iscritti all’articolo 35 § 3 della Convenzione. Lo dichiara allo stesso modo ammissibile.
23. In quanto al merito, la Corte constata che il procedimento principale è durato undici anni per un grado di giurisdizione, dal 6 novembre 1989 al 20 novembre 2000, e che l’indennizzo “Pinto” è stato messo a disposizione della richiedente il 5 maggio 2004, o più di ventisei mesi dopo il deposito alla cancelleria della decisione della corte di appello.
24. La Corte ha trattato a più riprese cause che sollevavano delle questioni simili a quella del caso di specie e ha constatato un’incomprensione dell’esigenza del “termine ragionevole”, tenuto conto dei criteri emanati in materia dalla sua giurisprudenza ben consolidata (vedere, in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, precitata). Non vedendo niente che possa condurre ad una conclusione differente, la Corte stima che c’è luogo, nello specifico, di constatare una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, per lo stesso motivo.
III. SUL RITARDO NEL PAGAMENTO DELL’INDENNIZZO “PINTO”
25. Il 6 aprile 2004, senza invocare nessuno articolo della Convenzione, la richiedente si è lamentata anche del fatto che l’indennizzo “Pinto” non era stato ancora pagato in quella data.
26. Il Governo eccepisce del non-esaurimento delle vie di ricorso interne, per il fatto che la richiedente ha omesso di iniziare un procedimento di esecuzione per ricuperare la somma dovuta dall’amministrazione. Sottolinea anche che la decisione “Pinto” è stata notificata all’amministrazione dal richiedente solamente il 5 novembre 2002 e che non era ancora definitiva in questa data. Dare esecuzione avrebbe esposto l’amministrazione al rischio di dovere ricuperare poi la somma concessa dalla corte di appello, in caso di cassazione della decisione da parte della Corte di cassazione. Il Governo sostiene inoltre che il ritardo nel pagamento dell’indennizzo “Pinto” è in parte imputabile alla richiedente che ha comunicato i dati necessari al pagamento solo il 14 marzo 2003. Infine, il Governo stima che il ritardo nell’esecuzione della decisione “Pinto” sarebbe compensato dalla concessione di interessi moratori al momento del pagamento.
27. La Corte ricorda di avere giudicato al primo colpo che nella cornice del ricorso “Pinto”, gli interessati non hanno obbligo di iniziare un procedimento di esecuzione (vedere Delle Cave e Corrado c. Italia, precitata, §§ 23-24). Sottolinea di avere constatato inoltre che ai termini della legge “Pinto”, la decisione resa dalla corte di appello è immediatamente esecutiva e che l’amministrazione è tenuta a metterla in esecuzione fin dal suo deposito alla cancelleria, a prescindere dal fatto che le venga notificata dal richiedente (vedere Simaldone c. Italia, no 22644/03, § 53, CEDH 2009 -… (brani)). La Corte nota poi che il Governo non ha prodotto documenti che dimostrano che la richiedente avrebbe omesso di comunicare all’amministrazione i dati necessari al pagamento dell’indennizzo “Pinto” fino al 14 marzo 2003. La Corte stima, infine che avuto riguardo alla natura della via di ricorso interna, il versamento degli interessi moratori non potrebbe essere determinante (vedere, mutatis mutandis, Simaldone c. Italia, precitata, § 63).
28. Alla vista di ciò che precede, la Corte respinge le eccezioni sollevate dal Governo.
29. La Corte constata che il motivo di appello formulato dalla richiedente non è manifestamente male fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
30. In quanto al merito del motivo di appello, la Corte ricorda di avere già ammesso che un’amministrazione possa avere bisogno di un certo lasso di tempo per procedere ad un pagamento. Tuttavia, trattandosi di un ricorso indennizzante teso a risanare le conseguenze della durata eccessiva di procedimenti, questo lasso di tempo non dovrebbe superare generalmente sei mesi a contare dal momento in cui la decisione di indennizzo è diventata esecutiva (vedere, in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, precitata § 89).
31. La Corte ha appena constatato che la somma concessa dalla giurisdizione “Pinto” è stata messa a disposizione della richiedente molto dopo il termine dei sei mesi che decorre a partire dal giorno in cui la decisione di indennizzo è diventata esecutiva (vedere sopra paragrafo 23).
32. Quindi, astenendosi per più di sei mesi dali prendere le misure necessarie per conformarsi alla decisione resa dalla giurisdizione “Pinto”, le autorità italiane hanno recato offesa al diritto della richiedente all’esecuzione delle decisioni giudiziali garantite dall’articolo 6 § 1 della Convenzione (vedere Simaldone c. Italia, precitata, §§ 55-56). C’è stato, pertanto, violazione di questa disposizione.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
33. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
34. La richiedente richiede 23 126,42 EUR per danno patrimoniale di cui 1 275,91 EUR per gli oneri e le spese del ricorso “Pinto”, così come 17 500 EUR per danno morale.
35. Il Governo contesta queste pretese.
36. La Corte non vede alcun legame di causalità tra la violazione constatata ed il danno patrimoniale addotto e respinge la domanda, eccezione fatta per la parte concernente gli oneri e le spese del ricorso “Pinto” (vedere sotto paragrafo 37). Per ciò che riguarda il danno morale, la Corte stima che avrebbe potuto accordare alla richiedente, in mancanza di vie di ricorso interne e tenuto conto dei ritardi imputabili alla richiedente, la somma di 11 200 EUR. Il fatto che la corte di appello “Pinto”, abbia concesso alla richiedente circa il 18,44% di questa somma arriva ad un risultato manifestamente irragionevole, tanto più che l’indennizzo è stato messo a disposizione del richiedente più di ventisei mesi dopo il deposito alla cancelleria della decisione. Di conseguenza, avuto riguardo alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto” ed al fatto che è giunta tuttavia non solo ad una constatazione di violazione dell’articolo 6 § 1 in ragione della durata ma anche in ragione del ritardo nel pagamento dell’indennizzo, la Corte, tenuto conto della soluzione adottata nelle sentenze Cocchiarella c. Italia (precitatoa, §§ 139-142 e 146) e Simaldone c. Italia (precitata, § 89) e deliberando in equità, assegna alla richiedente 4 974 EUR.
B. Oneri e spese
37. La Corte rileva che, giustificativi in appoggio, la richiedente ha sollecitato, qualificandoli come danno patrimoniale, il rimborso degli oneri e delle spese del procedimento “Pinto” (paragrafo 34 sopra). Quindi, deliberando in equità, la Corte assegna alla richiedente 500 EUR a questo titolo.
C. Interessi moratori
38. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, in ragione della durata eccessiva del procedimento;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, in ragione del ritardo impiegato dalle autorità nazionali a conformarsi alla decisione della corte di appello “Pinto”,;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare alla richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 4 974 EUR (quattromila nove cento settantaquattro euro) per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, e 500 EUR (cinque cento euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dalla richiedente;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 27 luglio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Francesca Tulkens
Cancelliere Presidentessa