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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE MANZANAS MARTIN c. ESPAGNE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, 14, P1-1
Numero: 17966/10/2012
Stato: Spagna
Data: 2012-04-03 00:00:00
Organo: Sezione Terza
Testo Originale

Conclusione Violazione dell’articolo 14+P1-1 – Interdizione della Discriminazione (Articolo 14 – Discriminazione; Religione); Giustificazione Obiettiva e Ragionevole, (articolo 1 al. 1 del Protocollo n° 1 – Rispetto Dei Beni; articolo 1 del Protocollo n° 1 – Protezione della Proprietà); Danno patrimoniale – decisione riservata (Articolo 41 – Danno Patrimoniale); Danno morale – risarcimento (Articolo 41 – Danno Morale)
TERZA SEZIONE
CAUSA MANZANAS MARTÍN C. SPAGNA
( Richiesta no 17966/10)
SENTENZA
(merito)
STRASBURGO
3 aprile 2012
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma

Nella causa Manzanas Martín c. Spagna,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
Josep Casadevall, presidente,
Corneliu Bîrsan, Alvina Gyulumyan, Ján Šikuta,
Luccichi López Guerra,
Nona Tsotsoria, Mihai Poalelungi, giudici, e di Santiago Quesada, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 13 marzo 2012,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 17966/10) diretta contro il Regno della Spagna e in cui un cittadino di questo Stato, OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 26 marzo 2010 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da OMISSIS, avvocato a Barcellona. Il governo spagnolo (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, F. Irurzun Montoro, avvocato dello stato.
3. Il richiedente si lamenta che il rifiuto di accordargli una pensione lavorativa rechi offesa al principio di non discriminazione riconosciuto dall’articolo 14 della Convenzione combinata con gli articoli 9 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1, nella misura in cui la legislazione interna avrebbe trattato a questo riguardo in modo differenziata e discriminatorio i pastori evangelici ed i preti cattolici.
4. Il 24 febbraio 2011, il presidente della terza sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Siccome lo permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1926 e risiede a Barcellona.
6. Tra il 1 novembre 1952 ed il 30 giugnio 1991, il richiedente esercitò in quanto pastore in seno alla chiesa evangelica fino al momento dove raggiunse l’età della pensione. Durante questi anni, percepì una retribuzione pagata dalla commissione permanente della chiesa evangelica. Questa non versò di quote alla Previdenza sociale al nome del richiedente, questa possibilità non essendo prevista in vigore dalla legislazione.
7. Il richiedente aveva lavorato a priori come salariato tra il 1 gennaio 1944 ed i 15 ottobre 1946. Dopo il suo ordinamento pastorale, lavorò anche come salariato tra il 13 marzo 1974 ed i 9 settembre 1978, senza abbandonare il suo ministero.
8. Il richiedente sollecitò presso la concessione di una pensione di lavoro dell’istituto nazionale della Previdenza sociale (INSS). Con una decisione del 26 ottobre 2004, l’INSS respinse la domanda del richiedente, al motivo che non aveva raggiunto il periodo minimale di quota richiesta per avere diritto ad una pensione di lavoro, a sapere 15 anni (5 475 giorni. Difatti, l’addizione dei due periodi di quota del richiedente entra 1944 e 1946 e tra 1974 e 1978 dava come risultato 2 560 giorni.
9. Ulteriormente, il richiedente sollecitò la revisione della sua pratica con l’INSS. Con due decisioni del 15 marzo e del 23 maggio 2005, l’INSS respinse il richiedente delle sue pretese, confermando la sua decisione iniziale.
10. Il richiedente iniziò un procedimento dinnanzi alle giurisdizioni del lavoro contro l’INSS che sollecita l’attribuzione di una pensione di lavoro. Addusse essere stato oggetto di una discriminazione nella misura in cui la legislazione permetteva in vigore ai preti cattolici di percepire una pensione di lavoro, perché erano annessi al regime generale della Previdenza sociale.
11. Con un giudizio del 12 dicembre 2005, il giudice del lavoro no 33 di Barcellona fece diritto alle pretese del richiedente e condannò l’INSS a versargli una pensione di lavoro. Analizzando in materia l’evoluzione della legislazione applicabile, il giudice considerò che metteva in evidenza che il legislatore aveva accordato un trattamento di favore ai preti cattolica faccia ai pastori evangelici, ciò che era contrario al carattere non confessionale dello stato stabilito dalla Costituzione del 1978.
12. Il giudice notò che anche prima della promulgazione della Costituzione, il primo paragrafo dell’articolo 1 del decreto reale 2398/1977 del 27 agosto 1977 aveva stabilito già che i preti ed i ministri del culto di tutte le Chiese e confessioni religiose iscritte nel registro del ministero dell’interno dovevano essere assimilate ai lavoratori salariati e dovevano essere annesse al regime generale della Previdenza sociale. Il secondo paragrafo di questo stesso articolo contemplava però, unicamente l’assimilazione immediata dei preti cattolici che fu effettuata da un ordine del ministero della Salute e della Previdenza sociale del 19 dicembre 1977, completato ulteriormente da due decreti reali 487/1998 del 27 marzo 1998 e 2665/1998 del 11 dicembre 1998. Questi ultimi permettevano ai preti ed ai religiosi cattolici secolarizzati di fare prendere in considerazione i loro anni di ministero per il calcolo della durata di quota richiesta per avere diritto ad una pensione di lavoro, a patto di versare il capitale corrispondente agli anni di quota così riconosciute. L’assimilazione dei pastori evangelici fu effettuata inoltre, tardi ventidue anni più che l’assimilazione dei preti cattolici, col decreto reale 369/1999 del 5 marzo 1999, senza includere tuttavia la possibilità di completare le annualità mancanti per avere diritto ad una pensione di lavoro come questo era il caso per i preti cattolici. Il giudice osservò che al momento dell’entrata in vigore di questo decreto, il richiedente aveva smesso già di esercitare il ministero pastorale e che conformemente alle disposizioni del decreto, i suoi anni di attività pastorale non potevano essere presi in considerazione per il calcolo della durata di quota. Il giudice considerò tuttavia che il fatto di privare il richiedente dell’accesso ad una pensione di lavoro nelle stesse condizioni che recava offesa ai suoi diritti all’uguaglianza ed alla libertà religiosa riconosciuta con la Costituzione per i preti cattolici. Il giudice si riferì agli articoli 6 e 7 della legge organica sul potere giudiziale (LOPJ) (vedere sotto paragrafo 16, e notò che l’articolo 9 § 2 della Costituzione contemplano che “i poteri pubblici sono tenuti di promuovere le condizioni necessarie affinché la libertà e l’uguaglianza dell’individuo e dei gruppi ai quali si integra siano reali ed effettive, di annullare gli ostacoli che impediscono od ostacolano la loro piena espressione e di facilitare la partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica, economico, culturale e sociale”. Di conseguenza, per predisporre i diritti fondamentali del richiedente, il giudice stimò che le disposizioni applicate ai preti cattolici e, in particolare i decreti reali 487/1998 e 2665/1998 potevano essere applicati al richiedente con analogia, permettendogli così di assolvere la durata di quota minimale coi suoi anni di ministero pastorale, a patto di versare il capitale corrispondente agli anni di quota così riconosciute. Riconobbe una pensione di lavoro al richiedente a contare del 22 luglio 2004 sulla base di 398,44 euro mensili.
13. Contro questa decisione, l’INSS fece appello (ricorso di súplica). Con una sentenza del 26 luglio 2007, il Tribunale superiore di giustizia della Catalogna annullò il giudizio di prima istanza. Notò che l’inclusione dei pastori evangelici nel regime generale della Previdenza sociale era stata stabilita dalla legge 24/1992 del 10 ottobre 1992 approvando l’accordo di cooperazione tra lo stato e le Federazioni delle entità religiose evangeliche di Spagna (FEREDE). Il diritto dei pastori evangelici a quotarsi ed a percepire le prestazioni pertinenti era nato dunque con questa legge e le condizioni concrete dell’integrazione di questi al regime generale della Previdenza sociale erano state fissate dal decreto reale 369/1999. Nello specifico, il tribunale osservò che il richiedente aveva raggiunto l’età della pensione nel 1991, prima dell’entrata in vigore della legge 24/1992 che gli avrebbe permesso di quotarsi alla Previdenza sociale per vedersi riconoscere il diritto ad una pensione. A questo riguardo, stimò che il fatto che gli anni anteriori di attività pastorale del richiedente non possano essere presi in considerazione non era dovuto all’inattività dello stato, ma alla mancanza di legislazione in ragione del difetto di accordo tra lo stato ed i differenti culti evangelici. Tenuto conto di queste considerazioni, il tribunale giudicò che il richiedente non assolveva le condizioni legali per vedersi accordare una pensione di lavoro, ciò che rilevava della legalità ordinaria e non costituiva una discriminazione rispetto alla situazione dei preti cattolici.
14. Il richiedente formò un ricorso di amparo dinnanzi al Tribunale costituzionale. Con una decisione notificata il 29 settembre 2009, l’alta giurisdizione dichiarò il ricorso inammissibile come essendo privato dell’importanza costituzionale speciale richiesta dall’articolo 50 § 1 b, della legge organica sul Tribunale costituzionale.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
15. Le disposizioni pertinenti della Costituzione del 1978 dispongono ciò che segue:
Articolo 14
“Gli Spagnolo sono uguali dinnanzi alla legge; non possono essere oggetto di nessuna discriminazione per le ragioni di nascita, di razza, di sesso, di religione, di opinione o per non importo quale altra condizione o circostanza personale o sociale.”
Articolo 16
“1. La libertà ideologica, religiosa e di culto degli individui e delle comunità è garantito, senza altre limitazioni, in quanto alle sue manifestazioni che queste che è necessari al mantenimento dell’ordine pubblico protetto dalla legge.
2. Nessuno potuto stato obbligato a dichiarare la sua ideologia, la sua religione o le sue credenze.
3. Nessuna confessione avrà il carattere di religione di stato. I poteri pubblici terranno conto delle credenze religiose della società spagnola ed intratterranno di questo fatto delle relazioni di cooperazione con la chiesa cattolica e le altre confessioni.”
16. La legge organica sul potere giudiziale dispone, nelle sue parti pertinenti, come segue:
Articolo 6
“I giudici e i tribunali non applicano di ordinamenti o altre disposizioni contrarie alla Costituzione, alla legge o al principio di gerarchia delle norme.”
Articolo 7
“I diritti e libertà riconosciute dal capitolo II del Titolo II della Costituzione impegnano integralmente i giudici e tribunali e sono garantiti da questi ultimi.
In particolare, i diritti enunciati dall’articolo 53 § 2 della Costituzione sono riconosciuti conformemente al loro contenuto costituzionalmente dichiarato senza che le decisioni giudiziali possano restringere, sminuire o allontanare l’applicazione di questo contenuto .”
17. Il decreto reale 2398/1977, del 27 agosto 1977 che regolo la Previdenza sociale del clero dispongo, nelle sue disposizioni pertinenti, come segue:
Articolo 1
“1. I preti della chiesa cattolica così come i ministri delle altre Chiese e Confessioni religiose debitamente iscritte nel registro del ministero dell’interno saranno incluse nella tenuta di applicazione del Regime generale della Previdenza sociale, secondo le condizioni che saranno determinati in modo regolamentare.
2. I preti diocesani della chiesa cattolica saranno assimilati ai lavoratori salariati, alle fini della loro inclusione nel Regime generale della Previdenza sociale, del modo stabilito dal presente decreto reale”.
18. L’ordine ministeriale del 19 dicembre 1977, in vigore dal 1 gennaio 1978 che regolo certi aspetti relativi all’inclusione dei preti diocesani della chiesa cattolica nel Regime generale della Previdenza sociale dispongo, nelle sue disposizioni pertinenti, come segue:
Articolo 1
“I preti diocesani della chiesa cattolica saranno assimilati ai lavoratori salariati, alle fini della loro inclusione nel Regime generale della Previdenza sociale. Bisogna comprendere coi tali preti quelli che conduce la loro attività pastorale al servizio da organismo diocesano o sopra diocesani e percepiscono per ciò una rimunerazione di base per provvedere ai loro bisogni.”
Prima disposizione transitoria
“Alle fini della riconoscenza del diritto alle prestazioni di invalidità permanente, pensione e decesso, li presti che, il 1 gennaio 1978 è incluso nell’articolo 1 del presente Ordine, possono versare la frazione della quota del Regime generale fissato per le situazioni citate che corrisponde in vigore ai periodi anteriori all’entrata di questo Ordine, (…), mediante il rispetto del seguente condizioni:
1. se hanno raggiunto l’età di cinquantacinque anni il 1 gennaio 1978, possono versare l’importo in causa per ciò che è dei periodi compresi tra il 1 gennaio 1978 ed i giorni dove il prete ha raggiunto suddetto età, fino alla data del 1 gennaio 1967.
(…) .”
19. Ai termini della legge organica 7/1980 del 5 luglio 1980 sulla libertà religiosa, lo stato può concludere degli accordi di collaborazione con le Chiese, e questo in funzione del numero dei loro fedeli, del loro insediamento nella società spagnola e delle credenze maggioritarie di questa.
20. La legge 24/1992 del 10 novembre 1992 approvando l’accordo di cooperazione tra lo stato e le Federazioni delle entità religiose evangeliche di Spagna (FEREDE) regola il seguente questioni: lo statuto dei ministri del culto evangelico; la protezione giuridica dei luoghi di culto; la riconoscenza sul piano civile dei matrimoni celebrati secondo il rito evangelico; l’assistenza religiosa nei centri o determinazioni pubbliche; l’insegnamento religioso evangelico nei centri scolastici; i vantaggi fiscali applicabili a certi beni ed attività delle Chiese membri del FEREDE. Le sue disposizioni pertinenti si leggono come segue:
Articolo 3 § 1
“Ad ogni effetto legale, i ministri del culto delle Chiese che appartengono al FEREDE sono delle persone fisiche che si dedicano, in modo stabile, alle funzioni di culto o di assistenza religiosa che dimostrano assolvere queste condizioni col verso di un certificato rilasciato dalla chiesa riguardata con l’accordo della Commissione permanente del FEREDE.”
Articolo 5
“Conformemente a ciò che è contemplato all’articolo 1 del decreto reale 2398/1977, del 27 agosto 1977, i ministri del culto delle Chiese che appartengono al FEREDE che assolve le condizioni esposte all’articolo 3 del presente Accordo, saranno affiliati al Regime generale della Previdenza sociale. Saranno assimilati ai lavoratori salariati.
Le Chiese rispettive assumeranno i diritti e gli obblighi stabiliti per i datori di lavoro nel Regime generale della Previdenza sociale.”
21. Il decreto reale 487/1998 del 17 marzo 1998 cadendo sulla riconoscenza, alle fini delle quote alla Previdenza sociale, dei periodi di attività religiosa dei preti o di religiosi o religiose della chiesa cattolica secolarizzata dispongo, nelle sue parti pertinenti, ciò che segue,:
Articolo 1
“Il presente decreto si applica a quelli che, avendo avuto la condizione di preti o di religiosi o religiose della chiesa cattolica, sono stati secolarizzati o hanno cessato di esercitare la professione religiosa prima del 1 gennaio 1997, se riuniscono il seguente condizioni:
(…) “
Articolo 2
“1. Sulla loro domanda e per aderire alla pensione di lavoro, le persone alle quali fatto inserisce in campionario l’articolo precedente si vedranno riconoscere, come si essendo quotato alla Previdenza sociale, il numero di anni di esercizio necessario in quanto preti o religiosi così come l’aggiunta del numero di anni di quota effettiva affinché possano, all’occorrenza, giungere al numero globale di quindici anni di quota.
(…) .”
22. Il decreto reale 2665/1998 del 11 dicembre 1998 che completo il decreto reale 487/1998, disponi come segue:
Articolo 1
“Il presente decreto si applica a quelli che, avendo avuto la condizione di preti o di religiosi o religiose della chiesa cattolica, sono stati secolarizzati o hanno cessato di esercitare la professione religiosa prima del 1 gennaio 1997.
Articolo 2
“Sulla loro domanda, le persone alle quali fatto inserisce in campionario l’articolo precedente si vedranno riconoscere, come si essendo quotato alla Previdenza sociale per i periodi di esercizio in quanto preti o religiosi prima del seguente date:
ha, per i preti secolarizzati: il 1 gennaio 1978.
b, per le persone avendo abbandonato la professione religiosa: il 1 maggio 1982.”
Articolo 4
“1. Nei casi di riconoscenza iniziale della pensione di lavoro, gli interessati devono abbonare il capitale-costo della parte della pensione derivata degli anni di esercizio in quanto preti o religiosi essendo stato riconosciuto come sottoscrittori alla Previdenza sociale.
A questa fine, la parte della pensione a capitalizzare sarà il risultato dell’applicazione alla base regolatore delle seguenti percentuali:
(…)
3. Il versamento del capitale-costo potuto stato deferito per un periodo massimale di quindici anni e frazionato in versamenti mensili deducibili di ogni mensilità della pensione. (…) .”
23. Il decreto reale 369/1999 del 5 marzo 1999 che regolo l’integrazione nel regime della Previdenza sociale dei ministri del culto delle Chiese che appartengono al FEREDE dispongo come segue:
Articolo 5
“Alle fini del presente decreto reale, le Chiese o federazioni di chiese rispettive assumeranno i diritti e gli obblighi stabiliti per i datori di lavoro nel Regime generale della Previdenza sociale.”
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE COMBINATA CON L’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
24. Il richiedente espone che il rifiuto di accordargli una pensione di lavoro rechi offesa al principio di non discriminazione riconosciuto dall’articolo 14 della Convenzione combinata con l’articolo 1 del Protocollo no 1. Stima che la legislazione interna ha trattato in modo differenziata e discriminatorio i pastori evangelici rispetto ai preti cattolici, nella misura in cui questi ultimi sono stati inclusi più nel regime generale della Previdenza sociale presto. Fa valere che dopo l’inclusione dei pastori evangelici nel regime generale della Previdenza sociale, questi ultimi non hanno avuto la possibilità di completare il periodo di quota minimale richiesta per avere diritto alla pensione di lavoro con gli anni anteriori di attività pastorale, mentre questa possibilità era riconosciuta ai preti cattolici.
Articolo 14 della Convenzione
“Il godimento dei diritti e libertà riconobbero nel Convenzione deve essere garantita, senza distinzione nessuna, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, gli opinioni politici od ogni altra opinione, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, la fortuna, la nascita o tutta altra situazione. “
Articolo 1 del Protocollo no 1
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà che a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge ed i principi generali del diritto internazionale. (…) “
A. Sull’ammissibilità
25. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) Il richiedente
26. Il richiedente stima che i pastori evangelici sono stati trattati da un modo discriminatorio per il fatto che sono solamente ventidue anni dopo il decreto reale 2398/1977, relativo ai preti della chiesa cattolica, che sono stati integrati nel regime generale della Previdenza sociale.
27. Al di là di questo ritardo, il richiedente ricorda che le differenze di trattamento tra i preti cattolici ed i pastori evangelici persistono sempre e notino che non ha potuto completare coi suoi anni di attività pastorale il periodo di quota minimale di quindici anni richiesti per avere diritto ad una pensione di lavoro versando il capitale corrispondente alle annualità mancanti, mentre questa possibilità è riconosciuta al clero cattolico.
b) Il Governo
28. Il Governo nota che i negoziati in vista di giungere agli accordi con le differenti confessioni religiose menzionate nella legge organica 7/1980 del 5 luglio 1980 furono iniziate nel 1982. Tuttavia, in ragione del poco radicamento delle Chiese evangeliche considerate separatamente, un certo tempo fu necessario. Il FEREDE fu creato così per rappresentare le Chiese protestanti ed avventisti di Spagna ed il processo di negoziato poté riprendere dunque solo nel 1987. Con una legge 24/1992 del 10 novembre 1992 (vedere sopra paragrafo 20), l’accordo di cooperazione tra gli stati ed il FEREDE furono adottati.
29. Il Governo spiega che il decreto reale 2398/1977 del 27 agosto 1977 (vedere sopra paragrafo 17) procedeva all’integrazione, nel sistema generale della Previdenza sociale, dei ministri delle differenti religioni, e ciò prima dell’entrata in vigore della Costituzione nel 1978. L’integrazione del clero cattolico ebbe luogo già in modo immediato in ragione delle relazioni invalse con lo stato dal concordato del 27 agosto 1953 tra la Spagna e le Santa Sede. L’integrazione di altre confessioni si fece man mano che gli accordi con lo stato furono passati. Così, con un ordine ministeriale del 2 marzo 1987 ebbe luogo l’integrazione dei ministri del culto dell’unione delle Chiese cristiani avventisti del settimo giorno in Spagna.
30. Il Governo si riferisce al paragrafo 53 del sentenza Stec ed altri c. Regno Unito ([GC], no 65731/01, CEDH 2006-VI, e non nega che se un Stato decide di creare un regime di prestazioni o di pensioni, deve farlo di un modo compatibile con l’articolo 14 della Convenzione. Nota mentre l’integrazione dei ministri del culto al regime di Previdenza sociale ai momenti differenti risponde alle ragioni obiettive e non discriminatori e ricorda, citando il sentenza Stec (precitata, § 49, che lo stato dispone in materia di un ampio margine di valutazione. Il Governo nota peraltro che l’integrazione nel regime della Previdenza sociale dei ministri dei differenti culti è possibile solamente se esiste un accordo preliminare con lo stato nei confronti del quale la confessione in causa assume certi obblighi; rinvia sopra al paragrafo 23.
31. Per ciò che è dell’applicazione dei decreti di 1998 città col richiedente, il Governo osserva che essi si riferivano all’ abbandono, prima dell’integrazione al regime della Previdenza sociale, dell’attività religiosa dei preti cattolici per le ragioni personali o di secolarizzazione, e non in ragione del loro passaggio alla pensione.
2. Sull’applicabilità dell’articolo 14 della Convenzione combinata con l’articolo 1 del Protocollo no 1
32. La Corte ricorda che l’articolo 14 della Convenzione non ha esistenza indipendente poiché vale unicamente per il godimento dei diritti e libertà garantite dalle altre clausole normative della Convenzione e dei suoi Protocolli (vedere, tra molto altri, Burden c. Regno Unito [GC], no 13378/05, § 58, CEDH 2008 -…). L’applicazione dell’articolo 14 non presuppone necessariamente la violazione di uno dei diritti materiali garantiti dalla Convenzione. Occorre, ma basta che i fatti della causa cadano almeno sotto l’impero di un degli articoli della Convenzione (vedere, tra molto altri, Thlimmenos c. Grecia [GC], no 34369/97, § 40, CEDH 2000-IV, Koua Poirrez c. Francia, no 40892/98, § 36, CEDH 2003-X ed Andrejeva c. Lettonia [GC], no 55707/00, § 74, CEDH 2009 -…). L’interdizione della discriminazione che consacra l’articolo 14 supera il godimento dei diritti e libertà dunque che la Convenzione ed i suoi Protocolli impongono ad ogni Stato di garantire. Si applica anche ai diritti addizionali, rilevando del campo di applicazione prova generale di ogni articolo della Convenzione, che lo stato ha deciso volontariamente di proteggere, Stec ed altri c. Regno Unito, (dec.) [GC], i nostri 65731/01 e 65900/01, § 40 CEDH 2005-X.
33. Conviene quindi determinare se l’interesse del richiedente a percepire dello stato una pensione di lavoro cada “sotto l’impero” o “nel campo di applicazione” dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
34. La Corte ha affermato che tutti i principi che si applicano generalmente alle cause concernente l’articolo 1 del Protocollo no 1 si guardano tutta la loro pertinenza nella tenuta dagli assegni mutualistici, Andrejeva c. Lettonia, precitata, § 77. Così, questa disposizione non garantisce, in quanto tale, nessuno diritto di diventare proprietario di un bene, Kopecký c. Slovacchia [GC], no 44912/98, § 35 b, CEDH 2004-IX, né, in quanto tale, nessuno diritto ad una pensione di un importo dato (vedere, per esempio, Domalewski c. Polonia, (dec.), no 34610/97, CEDH 1999-V, e Janković c. Croazia, déc.), no 43440/98, CEDH 2000-X. Inoltre, l’articolo 1 del Protocollo no 1 non impone nessuna restrizione alla libertà per gli Stati contraenti di decidere di instaurare o non un regime di protezione sociale o di scegliere il tipo o il livello delle prestazioni supposte essere accordate a titolo di un tale regime. In compenso, dal momento che un Stato contraente mette in posto una legislazione che contempla il versamento di un assegno mutualistico -che la concessione di questa prestazione dipenda o no del versamento preliminare di quote-, questa legislazione deve essere considerata come generando un interesse patrimoniale che rileva del campo di applicazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 per le persone che assolvono le sue condizioni, Stec ed altri, decisione precitata, § 54; Şerife Yiğit c. Turchia [GC], no 3976/05, § 56, 2 novembre 2010.
35. Come la Corte l’ha detto nel decisione Stec ed altri, precitata, “[d]ans dei casi tali quello dello specifico, dove dei richiedenti formulano sul terreno dell’articolo 14 composto con l’articolo 1 del Protocollo no 1 un motivo di appello ai termini del quale sono stati privati, in tutto o partire ne e per un motivo discriminatorio mirato all’articolo 14, di una prestazione dato, il criterio pertinente consisto a ricercare se, non fosse stato la condizione di concessione controversa, gli interessati avrebbero avuto un diritto, sanzionabile dinnanzi ai tribunali interni, a percepire la prestazione in causa. Così [l’articolo 1 di lui] Protocollo no 1 non comprende un diritto di percepire degli assegni mutualistici, di qualche tipo che questo sia, quando un Stato decide di creare un regime di prestazioni, deve farlo di un modo compatibile con l’articolo 14” (ibidem, § 55 e Muñoz Díaz c. Spagna, no 49151/07, § 45, CEDH 2009 -…).
36. Nello specifico, il richiedente si lamenta di essere stato privato di una pensione di lavoro per un motivo discriminatorio coperto, secondo lui, con l’articolo 14, a sapere la sua confessione religiosa.
37. La Corte nota che in applicazione della legislazione nazionale in materia, soli i preti cattolici si sono visti riconoscere la possibilità di completare il periodo di quota minimale di quindici anni richiesti per avere diritto ad una pensione di lavoro versando il capitale corrispondente alle annualità mancanti.
38. Tenuto conto di ciò che precede, la Corte stima che gli interessi patrimoniali del richiedente introducono nel campo di applicazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 e del diritto al rispetto dei beni che garantisce, ciò che basta per rendere l’articolo 14 della Convenzione applicabile.
3. Sull’osservazione dell’articolo 14 della Convenzione combinata con l’articolo 1 del Protocollo no 1
a) La giurisprudenza della Corte
39. Secondo la giurisprudenza stabilita della Corte, la discriminazione consiste in trattare in modo differente, salvo giustificazione obiettiva e ragionevole, delle persone poste nelle situazioni comparabili. La “mancanza di giustificazione obiettiva e ragionevole” notifica che la distinzione controversa non insegue un “scopo legittimo” o che non c’è “rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto”, Alujer Fernandez e Caballero Garcia c. Spagna, déc.), no 53072/99, CEDH 2001-VI, D.H. ed altri c. Repubblica ceca [GC], no 57325/00, §§ 175 e 196, CEDH 2007-IV, e la giurisprudenza citati.
40. Gli Stati contraenti godono di un certo margine di valutazione per determinare se e delle distinzioni giustificano in quale misura delle differenze tra le situazioni ad altri riguardi analoghi di trattamento (vedere, in particolare, i sentenze Gaygusuz c. Austria, 16 settembre 1996, § 42, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-IV, e Thlimmenos, precitata, § 40. La superficie di questo margine varia secondo le circostanze, le tenute ed il contesto. Così, per esempio, l’articolo 14 non vietato ad un Stato membro trattare dei gruppi in modo differenziati per correggere dei “disuguaglianze factuelles” tra essi; di fatto, in certe circostanze, è la mancanza di un trattamento differenziato per correggere una disuguaglianza che può, senza giustificazione obiettiva e ragionevole, portare violazione della disposizione in causa (Thlimmenos, § 44, Stec ed altri c. Regno Unito [GC], precitata, § 51, e D.H. ed altri, precitata, § 175.
41. Un ampio margine di valutazione ha lasciato parimenti, di solito allo stato per prendere delle misure di ordine generale in materia economica o sociale. Grazie ad una cognizione diretta della loro società e dei suoi bisogni, le autorità nazionali si trovano in principio più meglio collocato che il giudice internazionale per determinare ciò che è di utilità pubblica in materia economica o in materia sociale. La Corte rispetta in principio il modo di cui lo stato concepisce gli imperativi dell’utilità pubblica, salvo si il suo giudizio si rivela “manifestamente privo di base ragionevole” (vedere, per esempio, Nazionale & Provinciale Edificio Society, Leeds Permanente Edificio Society e Yorkshire Edificio Society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, § 80, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VII, e Stec ed altri, precitata, §§ 51-52.
42. Infine, nella misura in cui il richiedente si lamenta di disuguaglianze in un regime di Previdenza sociale, la Corte sottolinea che l’articolo 1 del Protocollo no 1 non comprende un diritto ad acquisire dei beni. Non limita in niente la libertà che ha gli Stati contraenti di decidere se conviene o no di mettere in opera un qualsiasi regime di Previdenza sociale o di scegliere il tipo o il livello delle prestazioni dinnanzi ad essere accordate a titolo di simile regime.
43. Ad ogni modo, in ciò che riguarda il carico della prova sul terreno dell’articolo 14 della Convenzione, la Corte ha giudicato già che, quando un richiedente ha stabilito l’esistenza di una differenza di trattamento, incombe sul Governo di dimostrare che questa differenza di trattamento era giustificata, D.H. ed altri, § 177.
b) Applicazione della giurisprudenza alla presente causa
44. Il richiedente si lamenta del rifiuto di accordargli una pensione di lavoro in ragione per il fatto che, malgrado l’integrazione dei pastori protestanti nel regime generale della Previdenza sociale, non ha potuto assolvere la durata di quota minimale richiesta per beneficiare di una tale pensione facendo prendere in conto i suoi anni di ministero religioso mentre questa possibilità è riconosciuta ai preti cattolici. Stima che ciò costituisce una discriminazione fondata sulla religione contraria all’articolo 14 della Convenzione combinata con l’articolo 1 del Protocollo no 1.
45. La Corte osserva che parte anteriore anche la promulgazione della Costituzione del 1978, il decreto reale 2398/1977 (vedere sopra paragrafo 17) avevano contemplato già che i preti ed i ministri del culto di tutte le Chiese e confessioni religiose iscritte al registro del ministero dell’interno dovevano essere assimilate ai lavoratori salariati e dovevano essere annesse al regime generale della Previdenza sociale. L’assimilazione dei preti cattolici fu effettuata in modo immediata. L’assimilazione dei pastori evangelici fu effettuata ventidue anni più nel 1999 tardi, in seguito alla conclusione nel 1992 dell’accordo di cooperazione tra lo stato ed i FEREDE.
46. Nel 1991, quando il richiedente raggiunse l’età della pensione, nessuno diritto ad una pensione di lavoro non era stato riconosciuto ai pastori evangelici conformemente alla legislazione in vigore; il richiedente non si trovava difatti, da una parte, in quanto pastore evangelico, includi nel regime generale della Previdenza sociale e, altro parte, come l’INSS l’ha precisato nella sua decisione del 26 ottobre 2004, non aveva assolto la durata minimale di quota richiesta per avere diritto ad una pensione di lavoro, a sapere 15 anni, gli anni durante che aveva lavorato in quanto salariato che non è sufficienti per raggiungere suddetta durata (vedere sopra 7 e 8 paragrafi).
47. Allo visto di ciò che precede, la questione che si porsi nella presente causa è quella di sapere se lo fa per il richiedente di essere visto negare si il diritto di percepire una pensione di lavoro rivelo un trattamento discriminatorio rispetto al modo di cui la legislazione tratta da situazioni che il richiedente stima analogo.
48. Il richiedente basa la sua pretesa, da una parte, sul ritardo ingiustificato di ventidue anni per procedere all’assimilazione dei pastori evangelici rispetto alla data di assimilazione dei preti cattolici e, altro parte, sull’impossibilità per i pastori evangelici di completare con la presa in conto dei loro servizi religiosi le loro annualità mancanti per raggiungere la durata minimale di quota richiesta per avere diritto ad una pensione di lavoro come questo era il caso per i preti cattolici.
49. La Corte osserva che il legislatore spagnolo ha preso molto ritardo per integrare i pastori evangelici al regime generale della Previdenza sociale difatti, e riconoscere così il loro diritto a percepire le stesse prestazioni che i preti cattolici. Peraltro, a supporre anche che il diritto a percepire una pensione di lavoro esistesse per i pastori evangelici al momento della partenza alla pensione del richiedente, questo ultimo si sarebbe visto tuttavia nell’impossibilità di completare coi suoi anni di attività pastorale le annualità mancanti per raggiungere la durata di quota minimale richiesta per avere diritto ad una pensione di lavoro versando il capitale corrispondente agli anni di quota manchiamo.
50. La Corte constata che, nel suo giudizio reso il 12 dicembre 2005, il giudice del lavoro no 33 di Barcellona ha interpretato la legislazione applicabile in favore del richiedente. Il giudice notava difatti che i preti ed i ministri del culto di tutte le Chiese e confessioni religiose iscritte dovevano essere annessi al regime generale della Previdenza sociale, e che questa integrazione era contemplata anche prima della promulgazione della Costituzione. Però, questa integrazione non fu effettuata in modo immediata che per i preti cattolici e completata, nel 1998, con due decreti reali che permettevano ai preti ed ai religiosi cattolici secolarizzati o avendo cessato di esercitare la professione religiosa, di fare prendere in considerazione gli anni di ministero durante che non si erano quotati alla Previdenza sociale per assolvere la durata di quota richiesta per avere diritto ad una pensione di lavoro, purché abbiano 65 anni o più, a patto di versare il capitale corrispondente agli anni di quota così riconosciute. Il giudice constatò nel suo giudizio che alla differenza di ciò che era per i preti cattolici, quando l’assimilazione dei pastori evangelici fu effettuata ventidue anni più tardi, questa possibilità di completare le annualità fino alla durata di quota richiesta per avere diritto ad una pensione di lavoro non era stata inclusa tuttavia.
51. Il giudice del lavoro considerò che il fatto di privare il richiedente dell’accesso alla pensione di lavoro nelle stesse condizioni che queste offerte ai preti cattolici portava attentato ai suoi diritti all’uguaglianza ed alla libertà religiosa riconosciuta con la Costituzione. Stimò che la legislazione applicabile nello specifico accordava un trattamento di favore ai preti cattolica faccia ai pastori evangelici, ciò che era contrario al carattere non confessionale dello stato stabilito dalla Costituzione del 1978, e si riferì all’articolo 6 del LOPJ secondo che i giudici devono allontanare l’applicazione di ogni ordinamento o ogni altra disposizione contrari alla Costituzione, alla legge o al principio di gerarchia delle norme. Per riparare i diritti fondamentali del richiedente, il giudice stimò che le disposizioni applicate ai preti cattolici e, in particolare, i decreti reali del 1998, potevano essere applicate da analogia al richiedente, permettendogli così di completare il periodo di quota minimale coi suoi anni di ministero pastorale, a patto di versare il capitale corrispondente agli anni di quota così riconosciute.
52. Questo giudizio fu annullato tuttavia dalla sentenza del 26 luglio 2007 reso in appello. Il Tribunale superiore di giustizia della Catalogna ha considerato difatti, paragrafo 13 sopra, che il richiedente aveva raggiunto l’età della pensione nel 1991, prima dell’entrata in vigore della legge 24/1992 che gli avrebbe permesso di quotarsi alla Previdenza sociale per vedersi riconoscere il diritto ad una pensione. Stimò che la mancanza di presa in conto degli anni preliminari di attività pastorale del richiedente non era dovuta all’inattività dello stato ma alla mancanza di legislazione in ragione del difetto di accordo tra lo stato ed i differenti culti evangelici. Per il Tribunale superiore di giustizia, il richiedente non assolveva le condizioni legali per vedersi accordare una pensione di lavoro, senza che questo possa essere considerato come discriminatorio rispetto alla situazione dei preti cattolici.
53. In ciò che riguarda il ritardo per integrare i pastori evangelici nel Regime generale della Previdenza sociale, la Corte constata, come il Governo l’indico nelle sue osservazioni, che i negoziati in vista di giungere agli accordi con le Chiese evangeliche in virtù della legge organica 7/1980 del 5 luglio 1980 sono stati subordinati alla creazione del FEREDE e che l’accordo di cooperazione tra gli stati ed il FEREDE furono adottati solamente nel 1992, paragrafo 20 sopra. Ulteriormente, il decreto reale 369/1999 fissarono le condizioni per l’integrazione dei pastori evangelici nel Regime generale della Previdenza sociale. La Corte stima, col Governo, che l’integrazione dei ministri del culto al regime generale della Previdenza sociale ai momenti differenti risponde alle ragioni obiettive e non discriminatori e ricorda che lo stato dispone di un ampio margine di valutazione per introdurre in modo progressiva la piena uguaglianza dei motivi nel sistema delle pensioni, tenuto conto delle implicazioni economici e sociali dell’evoluzione dei sistemi di Previdenza sociale che deve prendere in conto le particolarità di ogni collettivo, sentenza Stec ed altri [GC], precitata, § 49.
54. Tuttavia, il rifiuto di riconoscere il diritto per il richiedente di percepire una pensione di lavoro e di completare a questa fine le sue annualità mancanti costituisci tuttavia, – come l’ha precisato il giudice del lavoro nel suo giudizio del 12 dicembre 2005, paragrafo 12 sopra, – una differenza rispetto al trattamento dato dalla legge ad altre situazioni in che si trovano i preti e vecchi preti cattolici che appaiono come simili e di cui la sola differenza è quella della confessione religiosa alla quale appartengono. Difatti, la legislazione spagnola relativa al diritto del lavoro ha contemplato, con le vie diverse, che i preti cattolici avendo avuto un’attività pastorale prima della loro integrazione al regime della Previdenza sociale possano, contrariamente ai pastori evangelici, prendere in conto i loro anni di ministero religioso alle fini del calcolo della loro pensione di lavoro. Così, secondo la prima disposizione transitoria dell’ordine ministeriale del 19 dicembre 1977, paragrafo 18 sopra, relativa all’integrazione dei preti cattolici al regime della Previdenza sociale, questi ultimi possono, alle fini di completare le annualità mancanti per raggiungere la durata di quota minimale richiesta per avere diritto ad una pensione di lavoro, prendere in conto, mediante il pagamento degli importi pertinenti, fino a dieci anni prima della loro integrazione alla Previdenza sociale, fino al 1 gennaio 1967, per quelli che era allora preti cattolico avendo raggiunto l’età di cinquantacinque anni. Concernente i preti cattolici secolarizzati o che avevano cessato di esercitare la professione religiosa, possono prendere anche in conto alle fini della pensione di lavoro, gli anni anteriori alla loro integrazione al regime della Previdenza sociale, come risulta dalla possibilità data dai decreti reali 487/1998 e 2665/1998, potendo così completare le annualità mancanti per assolvere il numero minimale di anni di quota.
55. Nessuna di queste possibilità offerte ai preti cattolici per la presa in conto, alle fini di pensione di lavoro, degli anni anteriori alla loro integrazione al regime della Previdenza sociale non è stata accordata ai pastori evangelici nella legislazione spagnola. La Corte stima accertato quindi, tenuto conto delle circostanze dello specifico, che questa differenza normativa sfavorevole costituisce una differenza di trattamento fondato sulla confessione religiosa non giustificata nei confronti il richiedente, rispetto al trattamento riservato ai preti cattolici, nella misura in cui il richiedente non dispone di nessuno mezzo affinché siano presi in conto, alle fini del calcolo della sua pensione di lavoro, i suoi anni di attività pastorale in quanto pastore evangelico prima dell’integrazione dei pastori evangelici al regime della Previdenza sociale. La Corte rileva una sproporzione nel fatto difatti che lo stato spagnolo che aveva riconosciuto nel 1977, paragrafo 17 sopra, l’integrazione dei ministri delle Chiese e confessioni religiose altri che cattolico al regime generale della Previdenza sociale, non sia prestito a riconoscere, malgrado l’integrazione dei pastori evangelici effettuati ventidue anni più tardi, gli effetti di una tale integrazione in materia di pensione di lavoro nelle stesse condizioni che per i preti cattolici, in particolare quando si tratta della possibilità di completare le annualità mancanti per raggiungere la durata di quota minimale mediante il versamento col richiedente del capitale corrispondente agli anni di quota riconosciuta. Se le ragioni del ritardo nell’integrazione dei pastori evangelici al regime generale della Previdenza sociale rilevano del margine di valutazione dello stato, paragrafo 53 sopra, stima che il Governo non giustifica tuttavia le ragioni per che, una volta suddetta integrazione effettuata, una differenza di trattamento tra le situazioni simili, fondate unicamente su di ragioni di confessione religiosa, è stata mantenuta.
56. Per ciò che riguarda l’affermazione del Governo secondo la quale i decreti del 1998 prevedono il caso della cessazione dell’attività religiosa dei preti cattolici per le ragioni personali o di secolarizzazione, e non il caso di passaggio alla pensione, come questo è il caso nella presente causa, la Corte stima, allo visto di ciò che precede che una tale differenza non è pertinente nello specifico nella misura in cui la differenza di trattamento, alle fini della pensione di lavoro, tra i preti cattolici ed i pastori evangelici, sfavorevole a questi ultimi, non limitarti ai decreti citati dal Governo. Ad ogni modo, né il giudice del lavoro di Barcellona quando fece diritto al ricorso del richiedente né il Tribunale superiore di giustizia quando gli rifiutò la pensione, non hanno fatto riferimento a questo fatto per giustificare il trattamento differente dato, nelle situazioni simili di mancanza di anni di quota per assolvere le durate di quota minimale che apre il diritto alla pensione di lavoro, ai preti cattolici ed ai pastori evangelici. Queste decisioni non hanno escluso difatti in nessun modo la situazione del richiedente di queste previsto in abstracto dalla legislazione in causa che stabiliva la possibilità di completare le annualità di quota effettiva alla Previdenza sociale.
57. Perciò, la Corte conclude che c’è stata nella specifico violazione dell’articolo 14 della Convenzione combinata con l’articolo 1 del Protocollo no 1.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 9 DELLA CONVENZIONE
58. Il richiedente denuncia una violazione del diritto alla libertà religiosa. Invoca l’articolo 9 della Convenzione.
59. La Corte rileva che questo motivo di appello è legato a quell’esaminato sopra e deve essere dichiarato dunque anche ammissibile.
60. Avuto riguardo alla constatazione relativa agli articoli 14 della Convenzione combinata con l’articolo 1 del Protocollo no 1, paragrafo 57 sopra, la Corte stima che non c’è luogo di esaminare se c’è stato, nello specifico, violazione di questa disposizione, (vedere, entra molto altri, Yazgül Yılmaz c. Turchia, no 36369/06, § 69, 1 febbraio 2011.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
61. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
1. Risarcimento sollecitato
62. Il richiedente richiede 64 797,44 euro (EUR) a titolo del danno patrimoniale che avrebbe subito. Questa somma si altera come segue: da una parte, 30 360,44 EUR che corrispondono all’importo delle pensioni mensili non percepiti tra le date del deposito della sua domanda di pensione di lavoro dinnanzi alle giurisdizioni interni il 22 luglio 2004 e l’introduzione della richiesta dinnanzi alla Corte il 31 marzo 2010, sulla base dell’importo di 398,44 EUR mensili fissati col giudizio del 12 dicembre 2005 del giudice del lavoro e, altro parte, 34 436,86 EUR che corrispondono al costo del capitale richiesto per garantire ad una persona dell’età e del sesso del richiedente una pensione mensile attualizzata al 31 marzo 2010 in funzione della sua speranza di vita (calcolo attuariale fornito).
63. Il richiedente richiede anche 3 000 EUR a titolo del danno morale.
64. Concernente il danno patrimoniale addotto, il Governo fa valere che un restitutio in integrum sarebbe possibile e che la soddisfazione equa ha solamente un carattere accessorio. Nessuno ostacolo saprebbe essere opposto al pagamento dell’importo della pensione dovuta. Stima invece che l’importo corrispondente al costo del capitale richiese pro futuro non può essere indennizzato, il danno invocato non essendo, a questo giorno, effettivo e reale. Il Governo stima che ad ogni modo, siccome l’ha riconosciuto il giudizio reso dal giudice del lavoro di Barcellona nello specifico, suddetti ammontati sarebbero esigibili solamente a patto di versare il capitale corrispondente agli anni di quota riconosciuta.
65. Concernente il danno morale, il Governo stima non giustificate tanto la sua esistenza che la somma richiesta dal richiedente a questo titolo.
2. Conclusione della Corte
a) Danno patrimoniale
66. Avuto riguardo alle circostanze dello specifico, la Corte non si stima sufficientemente illuminata sui criteri ad applicare per valutare il danno patrimoniale subito dal richiedente, nella misura in cui non ha nessuna informazione sugli importi che il richiedente dovrebbe versare per assolvere la durata di quota minimale richiesta per vedersi concedere la pensione in causa. Considera dal momento che la questione dell’indennizzo del danno patrimoniale non è matura, così che conviene riservarla tenendo conto dell’eventualità di un accordo tra lo stato convenuto ed i richiedenti.
b) Danno morale
67. La Corte stima che il richiedente ha subito, in ragione della violazione constatata, un danno morale che non può essere riparato dalla semplice constatazione di violazione che formula. Deliberando in equità, siccome lo vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte concede al richiedente la somma di 3 000 EUR, per danno morale.
B. Oneri e spese
68. Il richiedente chiede, note di parcella e fattura in appoggio, 3 976,48 EUR per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alle giurisdizioni interne e 4 000 EUR per quelli afferenti al procedimento dinnanzi alla Corte. Porta i giustificativi di questi importi.
69. Il Governo considera eccessivo la somma richiesta dal richiedente.
70. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri suddetti, la Corte stima ragionevole la somma di 6 000 EUR a titolo degli oneri e spese esposte nella cornice del procedimento nazionale e dinnanzi alla Corte, e l’accorda al richiedente.
C. Interessi moratori
71. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 14 della Convenzione combinato con l’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce che non c’è luogo di esaminare il motivo di appello derivato dall’articolo 9 della Convenzione;
4. Stabilisce che la questione dell’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione non è matura per ciò che riguarda l’istanza del richiedente per danno patrimoniale e, perciò,
a) la riserva per intero;
b) invita il Governo ed il richiedente a sottoporle per iscritto le loro osservazioni sulla questione entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione e, in particolare, a darle cognizione di ogni accordo al quale potrebbero arrivare;
c) riserva il procedimento ulteriore e delega al presidente della camera la cura di fissarlo all’occorrenza;
5. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i, 3 000 EUR (tremila euro) per danno morale;
ii, 6 000 EUR (seimila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
6. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 3 aprile 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Cancelliere Presidente

Testo Tradotto

Conclusion Violation de l’article 14+P1-1 – Interdiction De La Discrimination (Article 14 – Discrimination ; Religion ; Justification Objective Et Raisonnable) (article 1 al. 1 du Protocole n° 1 – Respect Des Biens ; article 1 du Protocole n° 1 – Protection De La Propriété) ; Dommage matériel – décision réservée (Article 41 – Dommage Matériel) ; Préjudice moral – réparation (Article 41 – Préjudice Moral)
TROISIÈME SECTION
AFFAIRE MANZANAS MARTÍN c. ESPAGNE
(Requête no 17966/10)
ARRÊT
(fond)
STRASBOURG
3 avril 2012
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme

En l’affaire Manzanas Martín c. Espagne,
La Cour européenne des droits de l’homme (troisième section), siégeant en une chambre composée de :
Josep Casadevall, président,
Corneliu Bîrsan,
Alvina Gyulumyan,
Ján Šikuta,
Luis López Guerra,
Nona Tsotsoria,
Mihai Poalelungi, juges,
et de Santiago Quesada, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 13 mars 2012,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 17966/10) dirigée contre le Royaume d’Espagne et dont un ressortissant de cet État, OMISSIS (« le requérant »), a saisi la Cour le 26 mars 2010 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant est représenté par OMISSIS, avocat à Barcelone. Le gouvernement espagnol (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, F. Irurzun Montoro, avocat de l’État.
3. Le requérant se plaint que le refus de lui accorder une pension de retraite porte atteinte au principe de non-discrimination reconnu par l’article 14 de la Convention combiné avec les articles 9 de la Convention et 1 du Protocole no 1, dans la mesure où la législation interne aurait traité de manière différenciée et discriminatoire les pasteurs évangéliques et les prêtres catholiques à cet égard.
4. Le 24 février 2011, le président de la troisième section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Le requérant est né en 1926 et réside à Barcelone.
6. Entre le 1er novembre 1952 et le 30 juin 1991, le requérant exerça en tant que pasteur au sein de l’Église évangélique jusqu’au moment où il atteignit l’âge de la retraite. Pendant ces années, il perçut une rétribution payée par la commission permanente de l’Église évangélique. Celle-ci ne versa pas de cotisations à la Sécurité sociale au nom du requérant, cette possibilité n’étant pas prévue par la législation en vigueur.
7. Le requérant avait préalablement travaillé comme salarié entre le 1er janvier 1944 et le 15 octobre 1946. Après son ordination pastorale, il travailla également comme salarié entre le 13 mars 1974 et le 9 septembre 1978, sans abandonner son ministère.
8. Le requérant sollicita l’octroi d’une pension de retraite auprès de l’Institut national de la Sécurité sociale (INSS). Par une décision du 26 octobre 2004, l’INSS rejeta la demande du requérant, au motif qu’il n’avait pas atteint la période minimale de cotisation requise pour avoir droit à une pension de retraite, à savoir 15 ans (5 475 jours). En effet, l’addition des deux périodes de cotisation du requérant entre 1944 et 1946 et entre 1974 et 1978 donnait comme résultat 2 560 jours.
9. Ultérieurement, le requérant sollicita la révision de son dossier par l’INSS. Par deux décisions du 15 mars et du 23 mai 2005, l’INSS débouta le requérant de ses prétentions, confirmant sa décision initiale.
10. Le requérant entama une procédure devant les juridictions du travail à l’encontre de l’INSS sollicitant l’attribution d’une pension de retraite. Il allégua avoir fait l’objet d’une discrimination dans la mesure où la législation en vigueur permettait aux prêtres catholiques de percevoir une pension de retraite, car ils étaient rattachés au régime général de la Sécurité sociale.
11. Par un jugement du 12 décembre 2005, le juge du travail no 33 de Barcelone fit droit aux prétentions du requérant et condamna l’INSS à lui verser une pension de retraite. Analysant l’évolution de la législation applicable en la matière, le juge considéra qu’elle mettait en évidence que le législateur avait accordé un traitement de faveur aux prêtres catholiques face aux pasteurs évangéliques, ce qui était contraire au caractère aconfessionnel de l’État établi par la Constitution de 1978.
12. Le juge nota que même avant la promulgation de la Constitution, le premier paragraphe de l’article 1er du décret royal 2398/1977 du 27 août 1977 avait déjà établi que les prêtres et les ministres du culte de toutes les Églises et confessions religieuses inscrites dans le registre du ministère de l’Intérieur devaient être assimilés à des travailleurs salariés et rattachés au régime général de la Sécurité sociale. Cependant, le deuxième paragraphe de ce même article prévoyait uniquement l’assimilation immédiate des prêtres catholiques, qui fut effectuée par un ordre du ministère de la Santé et de la Sécurité sociale du 19 décembre 1977, complété ultérieurement par deux décrets royaux 487/1998 du 27 mars 1998 et 2665/1998 du 11 décembre 1998. Ces derniers permettaient aux prêtres et aux religieux catholiques sécularisés de faire prendre en considération leurs années de ministère pour le calcul de la durée de cotisation requise pour avoir droit à une pension de retraite, à condition de verser le capital correspondant aux années de cotisation ainsi reconnues. En outre, l’assimilation des pasteurs évangéliques fut effectuée vingt-deux ans plus tard que l’assimilation des prêtres catholiques, par le décret royal 369/1999 du 5 mars 1999, sans toutefois inclure la possibilité de compléter les annuités manquantes pour avoir droit à une pension de retraite comme c’était le cas pour les prêtres catholiques. Le juge observa qu’au moment de l’entrée en vigueur de ce décret, le requérant avait déjà cessé d’exercer le ministère pastoral et que conformément aux dispositions du décret, ses années d’activité pastorale ne pouvaient pas être prises en considération pour le calcul de la durée de cotisation. Le juge considéra néanmoins que le fait de priver le requérant de l’accès à une pension de retraite dans les mêmes conditions que pour les prêtres catholiques portait atteinte à ses droits à l’égalité et à la liberté religieuse reconnus par la Constitution. Le juge se référa aux articles 6 et 7 de la loi organique sur le pouvoir judiciaire (LOPJ) (voir paragraphe 16 ci-dessous) et nota que l’article 9 § 2 de la Constitution prévoit que « les pouvoirs publics sont tenus de promouvoir les conditions nécessaires pour que la liberté et l’égalité de l’individu et des groupes auxquels il s’intègre soient réelles et effectives, de supprimer les obstacles qui empêchent ou entravent leur plein épanouissement et de faciliter la participation de tous les citoyens à la vie politique, économique, culturelle et sociale ». Par conséquent, pour ménager les droits fondamentaux du requérant, le juge estima que les dispositions appliquées aux prêtres catholiques et, notamment les décrets royaux 487/1998 et 2665/1998 pouvaient être appliquées au requérant par analogie, lui permettant ainsi de remplir la durée de cotisation minimale avec ses années de ministère pastoral, à condition de verser le capital correspondant aux années de cotisation ainsi reconnues. Il reconnut une pension de retraite au requérant à compter du 22 juillet 2004 sur la base de 398,44 euros mensuels.
13. Contre cette décision, l’INSS fit appel (recours de súplica). Par un arrêt du 26 juillet 2007, le Tribunal supérieur de justice de Catalogne annula le jugement de première instance. Il nota que l’inclusion des pasteurs évangéliques dans le régime général de la Sécurité sociale avait été établie par la loi 24/1992 du 10 octobre 1992 approuvant l’Accord de coopération entre l’État et la Fédération des entités religieuses évangéliques d’Espagne (FEREDE). Le droit des pasteurs évangéliques à cotiser et à percevoir les prestations pertinentes était donc né avec cette loi et les conditions concrètes de l’intégration de ceux-ci au régime général de la Sécurité sociale avaient été fixées par le décret royal 369/1999. En l’espèce, le tribunal observa que le requérant avait atteint l’âge de la retraite en 1991, avant l’entrée en vigueur de la loi 24/1992 qui lui aurait permis de cotiser à la Sécurité sociale pour se voir reconnaître le droit à une pension. A cet égard, il estima que le fait que les années antérieures d’activité pastorale du requérant ne puissent pas être prises en considération n’était pas dû à l’inactivité de l’État, mais à l’absence de législation en raison du défaut d’accord entre l’État et les différents cultes évangéliques. Compte tenu de ces considérations, le tribunal jugea que le requérant ne remplissait pas les conditions légales pour se voir accorder une pension de retraite, ce qui relevait de la légalité ordinaire et ne constituait pas une discrimination par rapport à la situation des prêtres catholiques.
14. Le requérant forma un recours d’amparo devant le Tribunal constitutionnel. Par une décision notifiée le 29 septembre 2009, la haute juridiction déclara le recours irrecevable comme étant dépourvu de l’importance constitutionnelle spéciale requise par l’article 50 § 1 b) de la loi organique sur le Tribunal constitutionnel.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
15. Les dispositions pertinentes de la Constitution de 1978 disposent ce qui suit :
Article 14
« Les Espagnols sont égaux devant la loi ; ils ne peuvent faire l’objet d’aucune discrimination pour des raisons de naissance, de race, de sexe, de religion, d’opinion ou pour n’importe quelle autre condition ou circonstance personnelle ou sociale ».
Article 16
« 1. La liberté idéologique, religieuse et de culte des individus et des communautés est garantie, sans autres limitations, quant à ses manifestations, que celles qui sont nécessaires au maintien de l’ordre public protégé par la loi.
2. Nul ne pourra être obligé à déclarer son idéologie, sa religion ou ses croyances.
3. Aucune confession n’aura le caractère de religion d’État. Les pouvoirs publics tiendront compte des croyances religieuses de la société espagnole et entretiendront de ce fait des relations de coopération avec l’Église catholique et les autres confessions ».
16. La loi organique sur le pouvoir judiciaire dispose, dans ses parties pertinentes, comme suit :
Article 6
« Les juges et tribunaux n’appliquent pas de règlements ou autres dispositions contraires à la Constitution, à la loi ou au principe de hiérarchie des normes ».
Article 7
« Les droits et libertés reconnus par le chapitre II du Titre II de la Constitution engagent intégralement les juges et tribunaux et sont garantis par ces derniers.
En particulier, les droits énoncés par l’article 53 § 2 de la Constitution sont reconnus conformément à leur contenu constitutionnellement déclaré sans que les décisions judiciaires puissent restreindre, diminuer ou écarter l’application de ce contenu (…) ».
17. Le décret royal 2398/1977, du 27 août 1977, qui règle la sécurité sociale du clergé dispose, dans ses dispositions pertinentes, comme suit :
Article 1
« 1. Les prêtres de l’Église catholique ainsi que les ministres des autres Églises et Confessions religieuses dûment inscrites dans le registre du ministère de l’Intérieur seront inclus dans le domaine d’application du Régime général de la Sécurité sociale, selon les conditions qui seront réglementairement déterminées.
2. Les prêtres diocésains de l’Église catholique seront assimilés aux travailleurs salariés, aux fins de leur inclusion dans le Régime général de la Sécurité sociale, de la manière établie par le présent décret royal ».
18. L’ordre ministériel du 19 décembre 1977 (en vigueur depuis le 1er janvier 1978), qui règle certains aspects relatifs à l’inclusion des prêtres diocésains de l’Église catholique dans le Régime général de la Sécurité sociale dispose, dans ses dispositions pertinentes, comme suit :
Article 1
« Les prêtres diocésains de l’Église catholique seront assimilés aux travailleurs salariés, aux fins de leur inclusion dans le Régime général de la Sécurité sociale. Il faut comprendre par des tels prêtres ceux qui mènent leur activité pastorale au service d’Organisme diocésains ou supra diocésains (…) et perçoivent pour cela une rémunération de base pour subvenir à leurs besoins ».
Première disposition transitoire
« Aux fins de la reconnaissance du droit aux prestations d’invalidité permanente, retraite et décès (…), les prêtes qui, le 1er janvier 1978 sont inclus dans l’article 1 du présent Ordre, peuvent verser la fraction du quota du Régime général fixée pour les situations citées, qui correspond à des périodes antérieures à l’entrée en vigueur de cet Ordre, (…), moyennant le respect des conditions suivantes :
1. s’ils ont atteint l’âge de cinquante-cinq ans le 1er janvier 1978, ils peuvent verser le montant en cause pour ce qui est des périodes comprises entre le 1er janvier 1978 et le jour où le prêtre a atteint ledit âge, jusqu’à la date du 1er janvier 1967.
(…) ».
19. Aux termes de la loi organique 7/1980 du 5 juillet 1980 sur la liberté religieuse, l’État peut conclure des accords de collaboration avec des Églises, et ce en fonction du nombre de leurs fidèles, de leur implantation dans la société espagnole et des croyances majoritaires de celle-ci.
20. La loi 24/1992 du 10 novembre 1992 approuvant l’Accord de coopération entre l’État et la Fédération des entités religieuses évangéliques d’Espagne (FEREDE) régit les questions suivantes : le statut des ministres du culte évangélique ; la protection juridique des lieux de culte ; la reconnaissance sur le plan civil des mariages célébrés selon le rite évangélique ; l’assistance religieuse dans les centres ou établissements publics ; l’enseignement religieux évangélique dans les centres scolaires ; les avantages fiscaux applicables à certains biens et activités des Églises membres de la FEREDE. Ses dispositions pertinentes se lisent comme suit :
Article 3 § 1
« A tous effets légaux, les ministres du culte des Églises appartenant à la FEREDE sont des personnes physiques se consacrant, de manière stable, aux fonctions de culte ou d’assistance religieuse, qui démontrent remplir ces conditions par le biais d’un certificat délivré par l’Église concernée avec l’accord de la Commission permanente de la FEREDE ».
Article 5
« Conformément à ce qui est prévu à l’article 1 du décret royal 2398/1977, du 27 août 1977, les ministres du culte des Églises appartenant à la FEREDE qui remplissent les conditions exposées à l’article 3 du présent Accord, seront affiliés au Régime général de la Sécurité sociale. Ils seront assimilés aux travailleurs salariés.
Les Églises respectives assumeront les droits et les obligations établies pour les employeurs dans le Régime général de la Sécurité sociale ».
21. Le décret royal 487/1998 du 17 mars 1998 portant sur la reconnaissance, aux fins des cotisations à la Sécurité sociale, des périodes d’activité religieuse des prêtres ou de religieux ou religieuses de l’Église catholique sécularisés dispose, dans ses parties pertinentes, ce qui suit :
Article 1
« Le présent décret s’applique à ceux qui, ayant eu la condition de prêtres ou de religieux ou religieuses de l’Église catholique, ont été sécularisés ou ont cessé d’exercer la profession religieuse avant le 1er janvier 1997, s’ils réunissent les conditions suivantes :
(…) »
Article 2
« 1. Sur leur demande et afin d’accéder à la pension de retraite, les personnes auxquelles fait référence l’article précédent se verront reconnaître, comme ayant cotisé à la Sécurité sociale, le nombre d’années d’exercice nécessaires en tant que prêtres ou religieux ainsi que l’ajout du nombre d’années de cotisation effective afin qu’elles puissent, le cas échéant, parvenir au nombre global de quinze ans de cotisation.
(…) ».
22. Le décret royal 2665/1998 du 11 décembre 1998, qui complète le décret royal 487/1998, dispose comme suit :
Article 1
« Le présent décret s’applique à ceux qui, ayant eu la condition de prêtres ou de religieux ou religieuses de l’Église catholique, ont été sécularisés ou ont cessé d’exercer la profession religieuse avant le 1er janvier 1997.
Article 2
« Sur leur demande, les personnes auxquelles fait référence l’article précédent se verront reconnaître, comme ayant cotisé à la Sécurité sociale pour les périodes d’exercice en tant que prêtres ou religieux avant les dates suivantes :
a) pour les prêtres sécularisés : le 1er janvier 1978.
b) pour les personnes ayant abandonné la profession religieuse : le 1er mai 1982 ».
Article 4
« 1. Dans les cas de reconnaissance initiale de la pension de retraite, les intéressés doivent abonner le capital-coût de la partie de la pension dérivée des années d’exercice en tant que prêtres ou religieux ayant été reconnus comme cotisants à la Sécurité sociale.
A cette fin, la partie de la pension à capitaliser sera le résultat de l’application à la base régulatrice des pourcentages suivants :
(…)
3. Le versement du capital-coût pourra être déféré pour une période maximale de quinze ans et fractionné en versements mensuels déductibles de chaque mensualité de la pension. (…) ».
23. Le décret royal 369/1999 du 5 mars 1999, qui règle l’intégration dans le régime de la Sécurité sociale des ministres du culte des Églises appartenant à la FEREDE dispose comme suit :
Article 5
« Aux fins du présent décret royal, les Églises ou fédérations d’Églises respectives assumeront les droits et les obligations établies pour les employeurs dans le Régime général de la Sécurité sociale ».
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 14 DE LA CONVENTION COMBINÉ AVEC L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
24. Le requérant expose que le refus de lui accorder une pension de retraite porte atteinte au principe de non-discrimination reconnu par l’article 14 de la Convention combiné avec l’article 1 du Protocole no 1. Il estime que la législation interne a traité de manière différenciée et discriminatoire les pasteurs évangéliques par rapport aux prêtres catholiques, dans la mesure où ces derniers ont été inclus plus tôt dans le régime général de la Sécurité sociale. Il fait valoir qu’après l’inclusion des pasteurs évangéliques dans le régime général de la Sécurité sociale, ces derniers n’ont pas eu la possibilité de compléter la période de cotisation minimale requise pour avoir droit à la pension de retraite avec les années antérieures d’activité pastorale, alors que cette possibilité était reconnue aux prêtres catholiques.
Article 14 de la Convention
« La jouissance des droits et libertés reconnus dans la (…) Convention doit être assurée, sans distinction aucune, fondée notamment sur le sexe, la race, la couleur, la langue, la religion, les opinions politiques ou toutes autres opinions, l’origine nationale ou sociale, l’appartenance à une minorité nationale, la fortune, la naissance ou toute autre situation. »
Article 1 du Protocole no 1
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international. (…) »
A. Sur la recevabilité
25. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 a) de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
a) Le requérant
26. Le requérant estime que les pasteurs évangéliques ont été traités d’une façon discriminatoire du fait que ce n’est que vingt-deux ans après le décret royal 2398/1977, relatif aux prêtres de l’Église catholique, qu’ils ont été intégrés dans le régime général de la Sécurité sociale.
27. Au-delà de ce retard, le requérant rappelle que les différences de traitement entre les prêtres catholiques et les pasteurs évangéliques persistent toujours et note qu’il n’a pas pu compléter avec ses années d’activité pastorale la période de cotisation minimale de quinze ans requise pour avoir droit à une pension de retraite en versant le capital correspondant aux annuités manquantes, alors que cette possibilité est reconnue au clergé catholique.
b) Le Gouvernement
28. Le Gouvernement note que les négociations en vue de parvenir aux accords avec les différentes confessions religieuses mentionnées dans la loi organique 7/1980 du 5 juillet 1980 furent entamées en 1982. Toutefois, en raison du peu d’enracinement des Églises évangéliques considérées séparément, un certain temps fut nécessaire. La FEREDE fut ainsi créée afin de représenter les Églises protestantes et adventistes d’Espagne et le processus de négociation ne put donc reprendre qu’en 1987. Par une loi 24/1992 du 10 novembre 1992 (voir paragraphe 20 ci-dessus), l’accord de coopération entre l’État et la FEREDE fut adopté.
29. Le Gouvernement explique que le décret royal 2398/1977 du 27 août 1977 (voir paragraphe 17 ci-dessus) procédait à l’intégration, dans le système général de la Sécurité sociale, des ministres des différentes religions, et cela avant l’entrée en vigueur de la Constitution en 1978. L’intégration du clergé catholique eut lieu de façon immédiate en raison des relations déjà établies avec l’État depuis le concordat du 27 août 1953 entre l’Espagne et le Saint-Siège. L’intégration d’autres confessions se fit au fur et à mesure que les accords avec l’État furent passés. Ainsi, par un ordre ministériel du 2 mars 1987 eut lieu l’intégration des ministres du culte de l’Union des Églises chrétiennes adventistes du septième jour en Espagne.
30. Le Gouvernement se réfère au paragraphe 53 de l’arrêt Stec et autres c. Royaume-Uni ([GC], no 65731/01, CEDH 2006-VI) et ne disconvient pas que si un État décide de créer un régime de prestations ou de pensions, il doit le faire d’une manière compatible avec l’article 14 de la Convention. Il note cependant que l’intégration des ministres du culte au régime de Sécurité sociale à des moments différents répond à des raisons objectives et non discriminatoires et rappelle, citant l’arrêt Stec (précité, § 49), que l’État dispose d’une ample marge d’appréciation en la matière. Le Gouvernement note par ailleurs que l’intégration dans le régime de la Sécurité sociale des ministres des différents cultes n’est possible que s’il existe un accord préalable avec l’État, vis-à-vis duquel la confession en cause assume certaines obligations ; il renvoie au paragraphe 23 ci-dessus.
31. Pour ce qui est de l’application des décrets de 1998 cités par le requérant, le Gouvernement observe qu’ils se référent à l’abandon, avant l’intégration au régime de la Sécurité sociale, de l’activité religieuse des prêtres catholiques pour des raisons personnelles ou de sécularisation, et non en raison de leur passage à la retraite.
2. Sur l’applicabilité de l’article 14 de la Convention combiné avec l’article 1 du Protocole no 1
32. La Cour rappelle que l’article 14 de la Convention n’a pas d’existence indépendante puisqu’il vaut uniquement pour la jouissance des droits et libertés garantis par les autres clauses normatives de la Convention et de ses Protocoles (voir, parmi beaucoup d’autres, Burden c. Royaume-Uni [GC], no 13378/05, § 58, CEDH 2008-…). L’application de l’article 14 ne présuppose pas nécessairement la violation de l’un des droits matériels garantis par la Convention. Il faut, mais il suffit que les faits de la cause tombent sous l’empire de l’un au moins des articles de la Convention (voir, parmi beaucoup d’autres, Thlimmenos c. Grèce [GC], no 34369/97, § 40, CEDH 2000-IV, Koua Poirrez c. France, no 40892/98, § 36, CEDH 2003-X et Andrejeva c. Lettonie [GC], no 55707/00, § 74, CEDH 2009-…). L’interdiction de la discrimination que consacre l’article 14 dépasse donc la jouissance des droits et libertés que la Convention et ses Protocoles imposent à chaque État de garantir. Elle s’applique également aux droits additionnels, relevant du champ d’application général de tout article de la Convention, que l’État a volontairement décidé de protéger (Stec et autres c. Royaume-Uni (déc.) [GC], nos 65731/01 et 65900/01, § 40 CEDH 2005-X).
33. Il convient dès lors de déterminer si l’intérêt du requérant à percevoir de l’État une pension de retraite tombe « sous l’empire » ou « dans le champ d’application » de l’article 1 du Protocole no 1.
34. La Cour a affirmé que tous les principes qui s’appliquent généralement aux affaires concernant l’article 1 du Protocole no 1 gardent toute leur pertinence dans le domaine des prestations sociales (Andrejeva c. Lettonie, précité, § 77). Ainsi, cette disposition ne garantit, en tant que tel, aucun droit de devenir propriétaire d’un bien (Kopecký c. Slovaquie [GC], no 44912/98, § 35 b), CEDH 2004-IX) ni, en tant que tel, aucun droit à une pension d’un montant donné (voir, par exemple, Domalewski c. Pologne (déc.), no 34610/97, CEDH 1999-V, et Janković c. Croatie (déc.), no 43440/98, CEDH 2000-X). En outre, l’article 1 du Protocole no 1 n’impose aucune restriction à la liberté pour les États contractants de décider d’instaurer ou non un régime de protection sociale ou de choisir le type ou le niveau des prestations censées être accordées au titre d’un tel régime. En revanche, dès lors qu’un État contractant met en place une législation prévoyant le versement d’une prestation sociale – que l’octroi de cette prestation dépende ou non du versement préalable de cotisations –, cette législation doit être considérée comme engendrant un intérêt patrimonial relevant du champ d’application de l’article 1 du Protocole no 1 pour les personnes remplissant ses conditions (Stec et autres, décision précitée, § 54 ; Şerife Yiğit c. Turquie [GC], no 3976/05, § 56, 2 novembre 2010).
35. Comme la Cour l’a dit dans la décision Stec et autres (précitée), « [d]ans des cas tels celui de l’espèce, où des requérants formulent sur le terrain de l’article 14 combiné avec l’article 1 du Protocole no 1 un grief aux termes duquel ils ont été privés, en tout ou en partie et pour un motif discriminatoire visé à l’article 14, d’une prestation donnée, le critère pertinent consiste à rechercher si, n’eût été la condition d’octroi litigieuse, les intéressés auraient eu un droit, sanctionnable devant les tribunaux internes, à percevoir la prestation en cause (…). Si [l’article 1 du] Protocole no 1 ne comporte pas un droit de percevoir des prestations sociales, de quelque type que ce soit, lorsqu’un État décide de créer un régime de prestations, il doit le faire d’une manière compatible avec l’article 14 » (ibidem, § 55 et Muñoz Díaz c. Espagne, no 49151/07, § 45, CEDH 2009-…).
36. En l’espèce, le requérant se plaint d’avoir été privé d’une pension de retraite pour un motif discriminatoire couvert, selon lui, par l’article 14, à savoir sa confession religieuse.
37. La Cour note qu’en application de la législation nationale en la matière, seuls les prêtres catholiques se sont vu reconnaître la possibilité de compléter la période de cotisation minimale de quinze ans requise pour avoir droit à une pension de retraite en versant le capital correspondant aux annuités manquantes.
38. Compte tenu de ce qui précède, la Cour estime que les intérêts patrimoniaux du requérant entrent dans le champ d’application de l’article 1 du Protocole no 1 et du droit au respect des biens qu’il garantit, ce qui suffit pour rendre l’article 14 de la Convention applicable.
3. Sur l’observation de l’article 14 de la Convention combiné avec l’article 1 du Protocole no 1
a) La jurisprudence de la Cour
39. Selon la jurisprudence établie de la Cour, la discrimination consiste à traiter de manière différente, sauf justification objective et raisonnable, des personnes placées dans des situations comparables. Le « manque de justification objective et raisonnable » signifie que la distinction litigieuse ne poursuit pas un « but légitime » ou qu’il n’y a pas de « rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé » (Alujer Fernandez et Caballero Garcia c. Espagne (déc.), no 53072/99, CEDH 2001-VI, D.H. et autres c. République tchèque [GC], no 57325/00, §§ 175 et 196, CEDH 2007-IV, et la jurisprudence y citée).
40. Les États contractants jouissent d’une certaine marge d’appréciation pour déterminer si et dans quelle mesure des différences entre des situations à d’autres égards analogues justifient des distinctions de traitement (voir, notamment, les arrêts Gaygusuz c. Autriche, 16 septembre 1996, § 42, Recueil des arrêts et décisions 1996-IV, et Thlimmenos, précité, § 40). L’étendue de cette marge varie selon les circonstances, les domaines et le contexte. Ainsi, par exemple, l’article 14 n’interdit pas à un État membre de traiter des groupes de manière différenciée pour corriger des « inégalités factuelles » entre eux ; de fait, dans certaines circonstances, c’est l’absence d’un traitement différencié pour corriger une inégalité qui peut, sans justification objective et raisonnable, emporter violation de la disposition en cause (Thlimmenos, § 44, Stec et autres c. Royaume-Uni [GC], précité, § 51, et D.H. et autres, précité, § 175).
41. De même, une ample marge d’appréciation est d’ordinaire laissée à l’État pour prendre des mesures d’ordre général en matière économique ou sociale. Grâce à une connaissance directe de leur société et de ses besoins, les autorités nationales se trouvent en principe mieux placées que le juge international pour déterminer ce qui est d’utilité publique en matière économique ou en matière sociale. La Cour respecte en principe la manière dont l’État conçoit les impératifs de l’utilité publique, sauf si son jugement se révèle « manifestement dépourvu de base raisonnable » (voir, par exemple, National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society et Yorkshire Building Society c. Royaume-Uni, 23 octobre 1997, § 80, Recueil des arrêts et décisions 1997-VII, et Stec et autres, précité, §§ 51-52).
42. Enfin, dans la mesure où le requérant se plaint d’inégalités dans un régime de sécurité sociale, la Cour souligne que l’article 1 du Protocole no 1 ne comporte pas un droit à acquérir des biens. Il ne limite en rien la liberté qu’ont les États contractants de décider s’il convient ou non de mettre en place un quelconque régime de sécurité sociale ou de choisir le type ou le niveau des prestations devant être accordées au titre de pareil régime.
43. En tout état de cause, en ce qui concerne la charge de la preuve sur le terrain de l’article 14 de la Convention, la Cour a déjà jugé que, lorsqu’un requérant a établi l’existence d’une différence de traitement, il incombe au Gouvernement de démontrer que cette différence de traitement était justifiée (D.H. et autres, § 177).
b) Application de la jurisprudence à la présente affaire
44. Le requérant se plaint du refus de lui accorder une pension de retraite en raison du fait que, malgré l’intégration des pasteurs protestants dans le régime général de la Sécurité sociale, il n’a pas pu remplir la durée de cotisation minimale requise afin de bénéficier d’une telle pension en faisant prendre en compte ses années de ministère religieux alors que cette possibilité est reconnue aux prêtres catholiques. Il estime que cela constitue une discrimination fondée sur la religion contraire à l’article 14 de la Convention combiné avec l’article 1 du Protocole no 1.
45. La Cour observe qu’avant même la promulgation de la Constitution de 1978, le décret royal 2398/1977 (voir paragraphe 17 ci-dessus) avait déjà prévu que les prêtres et les ministres du culte de toutes les Églises et confessions religieuses inscrites au registre du ministère de l’Intérieur devaient être assimilés à des travailleurs salariés et rattachés au régime général de la Sécurité sociale. L’assimilation des prêtres catholiques fut effectuée de manière immédiate. L’assimilation des pasteurs évangéliques fut effectuée vingt-deux ans plus tard en 1999, à la suite de la conclusion en 1992 de l’accord de coopération entre l’État et la FEREDE.
46. En 1991, lorsque le requérant atteignit l’âge de la retraite, aucun droit à une pension de retraite n’avait été reconnu aux pasteurs évangéliques conformément à la législation en vigueur ; en effet, d’une part le requérant ne se trouvait pas, en tant que pasteur évangélique, inclus dans le régime général de la Sécurité sociale et, d’autre part, comme l’INSS l’a précisé dans sa décision du 26 octobre 2004, il n’avait pas rempli la durée minimale de cotisation requise pour avoir droit à une pension de retraite, à savoir 15 ans, les années pendant lesquelles il avait travaillé en tant que salarié n’étant pas suffisantes pour atteindre ladite durée (voir paragraphes 7 et 8 ci-dessus).
47. Au vu de ce qui précède, la question qui se pose dans la présente affaire est celle de savoir si le fait pour le requérant de s’être vu dénier le droit de percevoir une pension de retraite révèle un traitement discriminatoire par rapport à la façon dont la législation traite de situations que le requérant estime analogues.
48. Le requérant base sa prétention, d’une part, sur le retard injustifié de vingt-deux ans pour procéder à l’assimilation des pasteurs évangéliques par rapport à la date d’assimilation des prêtres catholiques et, d’autre part, sur l’impossibilité pour les pasteurs évangéliques de compléter par la prise en compte de leurs services religieux leurs annuités manquantes pour atteindre la durée minimale de cotisation requise pour avoir droit à une pension de retraite comme c’était le cas pour les prêtres catholiques.
49. La Cour observe que le législateur espagnol a pris en effet beaucoup de retard pour intégrer les pasteurs évangéliques au régime général de la Sécurité sociale, et reconnaître ainsi leur droit à percevoir les mêmes prestations que les prêtres catholiques. Par ailleurs, à supposer même que le droit à percevoir une pension de retraite existât pour les pasteurs évangéliques au moment du départ à la retraite du requérant, ce dernier se serait vu toutefois dans l’impossibilité de compléter avec ses années d’activité pastorale les annuités manquantes pour atteindre la durée de cotisation minimale requise pour avoir droit à une pension de retraite en versant le capital correspondant aux années de cotisation manquantes.
50. La Cour constate que, dans son jugement rendu le 12 décembre 2005, le juge du travail no 33 de Barcelone a interprété la législation applicable en faveur du requérant. Le juge y notait en effet que les prêtres et les ministres du culte de toutes les Églises et confessions religieuses inscrites devaient être rattachés au régime général de la Sécurité sociale, et que cette intégration était prévue même avant la promulgation de la Constitution. Cependant, cette intégration ne fut effectuée de façon immédiate que pour les prêtres catholiques et complétée, en 1998, par deux décrets royaux qui permettaient aux prêtres et aux religieux catholiques sécularisés ou ayant cessé d’exercer la profession religieuse, de faire prendre en considération les années de ministère pendant lesquelles ils n’avaient pas cotisé à la Sécurité sociale afin de remplir la durée de cotisation requise pour avoir droit à une pension de retraite, pourvu qu’ils aient 65 ans ou plus, à condition de verser le capital correspondant aux années de cotisation ainsi reconnues. Le juge constata dans son jugement qu’à la différence de ce qui était pour les prêtres catholiques, lorsque l’assimilation des pasteurs évangéliques fut effectuée vingt-deux ans plus tard, cette possibilité de compléter les annuités jusqu’à la durée de cotisation requise pour avoir droit à une pension de retraite n’avait toutefois pas été incluse.
51. Le juge du travail considéra que le fait de priver le requérant de l’accès à la pension de retraite dans les mêmes conditions que celles offertes aux prêtres catholiques portait atteinte à ses droits à l’égalité et à la liberté religieuse reconnus par la Constitution. Il estima que la législation applicable en l’espèce accordait un traitement de faveur aux prêtres catholiques face aux pasteurs évangéliques, ce qui était contraire au caractère aconfessionnel de l’État établi par la Constitution de 1978, et se référa à l’article 6 de la LOPJ selon lequel les juges doivent écarter l’application de tout règlement ou toute autre disposition contraires à la Constitution, à la loi ou au principe de hiérarchie des normes. Pour réparer les droits fondamentaux du requérant, le juge estima que les dispositions appliquées aux prêtres catholiques et, en particulier, les décrets royaux de 1998, pouvaient être appliquées par analogie au requérant, lui permettant ainsi de compléter la période de cotisation minimale avec ses années de ministère pastoral, à condition de verser le capital correspondant aux années de cotisation ainsi reconnues.
52. Ce jugement fut toutefois infirmé par l’arrêt du 26 juillet 2007 rendu en appel. Le Tribunal supérieur de justice de Catalogne a en effet considéré (paragraphe 13 ci-dessus) que le requérant avait atteint l’âge de la retraite en 1991, avant l’entrée en vigueur de la loi 24/1992 qui lui aurait permis de cotiser à la Sécurité sociale pour se voir reconnaître le droit à une pension. Il estima que l’absence de prise en compte des années préalables d’activité pastorale du requérant n’était pas due à l’inactivité de l’État mais à l’absence de législation en raison du défaut d’accord entre l’État et les différents cultes évangéliques. Pour le Tribunal supérieur de justice, le requérant ne remplissait pas les conditions légales pour se voir accorder une pension de retraite, sans que ceci puisse être considéré comme discriminatoire par rapport à la situation des prêtres catholiques.
53. En ce qui concerne le retard pour intégrer les pasteurs évangéliques dans le Régime général de la Sécurité sociale, la Cour constate, comme le Gouvernement l’indique dans ses observations, que les négociations en vue de parvenir aux accords avec les Églises évangéliques en vertu de la loi organique 7/1980 du 5 juillet 1980 ont été subordonnées à la création de la FEREDE et que l’accord de coopération entre l’État et la FEREDE ne fut adopté qu’en 1992 (paragraphe 20 ci-dessus). Ultérieurement, le décret royal 369/1999 fixa les conditions pour l’intégration des pasteurs évangéliques dans le Régime général de la Sécurité sociale. La Cour estime, avec le Gouvernement, que l’intégration des ministres du culte au régime général de la Sécurité sociale à des moments différents répond à des raisons objectives et non discriminatoires et rappelle que l’État dispose d’une ample marge d’appréciation pour introduire de façon progressive la pleine égalité des sujets dans le système des pensions, compte tenu des implications économiques et sociales de l’évolution des systèmes de sécurité sociale, qui doit prendre en compte les particularités de chaque collectif (arrêt Stec et autres [GC], précité, § 49).
54. Toutefois, le refus de reconnaître le droit pour le requérant de percevoir une pension de retraite et de compléter à cette fin ses annuités manquantes constitue néanmoins, -tel que l’a précisé le juge du travail dans son jugement du 12 décembre 2005 (paragraphe 12 ci-dessus)- une différence par rapport au traitement donné par la loi à d’autres situations dans lesquelles se trouvent les prêtres et anciens prêtres catholiques, qui apparaissent comme similaires et dont la seule différence est celle de la confession religieuse à laquelle ils appartiennent. En effet, la législation espagnole relative au droit du travail a prévu, par des voies diverses, que les prêtres catholiques ayant eu une activité pastorale avant leur intégration au régime de la Sécurité sociale puissent, contrairement aux pasteurs évangéliques, prendre en compte leurs années de ministère religieux aux fins du calcul de leur pension de retraite. Ainsi, selon la première disposition transitoire de l’ordre ministériel du 19 décembre 1977 (paragraphe 18 ci-dessus) relative à l’intégration des prêtres catholiques au régime de la Sécurité sociale, ces derniers peuvent, aux fins de compléter les annuités manquantes pour atteindre la durée de cotisation minimale requise pour avoir droit à une pension de retraite, prendre en compte (moyennant le paiement des montants pertinents) jusqu’à dix ans avant leur intégration à la Sécurité sociale (jusqu’au 1er janvier 1967), pour ceux qui étaient alors prêtres catholique ayant atteint l’âge de cinquante-cinq ans. Concernant les prêtres catholiques sécularisés ou qui avaient cessé d’exercer la profession religieuse, ils peuvent aussi prendre en compte aux fins de la pension de retraite, les années antérieures à leur intégration au régime de la Sécurité sociale, tel qu’il résulte de la possibilité donnée par les décrets royaux 487/1998 et 2665/1998, pouvant ainsi compléter les annuités manquantes afin de remplir le nombre minimal d’années de cotisation.
55. Aucune de ces possibilités offertes aux prêtres catholiques pour la prise en compte, aux fins de pension de retraite, des années antérieures à leur intégration au régime de la Sécurité sociale n’a été accordée aux pasteurs évangéliques dans la législation espagnole. La Cour estime dès lors avéré, compte tenu des circonstances de l’espèce, que cette différence normative défavorable constitue une différence de traitement fondée sur la confession religieuse non justifiée vis-à-vis du requérant, par rapport au traitement réservé aux prêtres catholiques, dans la mesure où le requérant ne dispose d’aucun moyen pour que soient prises en compte, aux fins du calcul de sa pension de retraite, ses années d’activité pastorale en tant que pasteur évangélique avant l’intégration des pasteurs évangéliques au régime de la Sécurité sociale. La Cour relève en effet une disproportion dans le fait que l’État espagnol, qui avait reconnu en 1977 (paragraphe 17 ci-dessus) l’intégration des ministres des Églises et confessions religieuses autres que catholique au régime général de la Sécurité sociale, ne soit pas prêt à reconnaître, malgré l’intégration des pasteurs évangéliques effectuée vingt-deux ans plus tard, les effets d’une telle intégration en matière de pension de retraite dans les mêmes conditions que pour les prêtres catholiques, notamment lorsqu’il s’agit de la possibilité de compléter les annuités manquantes pour atteindre la durée de cotisation minimale moyennant le versement par le requérant du capital correspondant aux années de cotisation reconnues. Si les raisons du retard dans l’intégration des pasteurs évangéliques au régime général de la Sécurité sociale relèvent de la marge d’appréciation de l’État (paragraphe 53 ci-dessus), elle estime que le Gouvernement ne justifie toutefois pas les raisons pour lesquelles, une fois ladite intégration effectuée, une différence de traitement entre des situations similaires, fondée uniquement sur de raisons de confession religieuse, a été maintenue.
56. Pour ce qui est de l’affirmation du Gouvernement selon laquelle les décrets de 1998 visent le cas de la cessation de l’activité religieuse des prêtres catholiques pour des raisons personnelles ou de sécularisation, et non le cas de passage à la retraite, comme c’est le cas dans la présente affaire, la Cour estime, au vu de ce qui précède, qu’une telle différence n’est pas pertinente en l’espèce dans la mesure où la différence de traitement, aux fins de la pension de retraite, entre les prêtres catholiques et les pasteurs évangéliques, défavorable à ces derniers, ne se borne pas aux décrets cités par le Gouvernement. En tout état de cause, ni le juge du travail de Barcelone lorsqu’il fit droit au recours du requérant ni le Tribunal supérieur de justice lorsqu’il lui refusa la pension, n’ont fait référence à ce fait pour justifier le traitement différent donné, dans des situations similaires de manque d’années de cotisation pour remplir les durées de cotisation minimales ouvrant le droit à la pension de retraite, aux prêtres catholiques et aux pasteurs évangéliques. Ces décisions n’ont en effet aucunement exclu la situation du requérant de celles prévues in abstracto par la législation en cause qui établissait la possibilité de compléter les annuités de cotisation effective à la Sécurité Sociale.
57. En conséquence, la Cour conclut qu’il y a eu en l’espèce violation de l’article 14 de la Convention combiné avec l’article 1 du Protocole no 1.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 9 DE LA CONVENTION
58. Le requérant dénonce une violation du droit à la liberté religieuse. Il invoque l’article 9 de la Convention.
59. La Cour relève que ce grief est lié à celui examiné ci-dessus et doit donc aussi être déclaré recevable.
60. Eu égard au constat relatif aux articles 14 de la Convention combiné avec l’article 1 du Protocole no 1 (paragraphe 57 ci-dessus), la Cour estime qu’il n’y a pas lieu d’examiner s’il y a eu, en l’espèce, violation de cette disposition, (voir, entre beaucoup d’autres, Yazgül Yılmaz c. Turquie, no 36369/06, § 69, 1er février 2011).
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
61. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
1. Réparation sollicitée
62. Le requérant réclame 64 797,44 euros (EUR) au titre du préjudice matériel qu’il aurait subi. Cette somme se décompose comme suit : d’une part, 30 360,44 EUR correspondant au montant des pensions mensuelles non perçues entre la date du dépôt de sa demande de pension de retraite devant les juridictions internes le 22 juillet 2004 et l’introduction de la requête devant la Cour le 31 mars 2010, sur la base du montant de 398,44 EUR mensuels fixé par le jugement du 12 décembre 2005 du juge du travail et, d’autre part, 34 436,86 EUR correspondant au coût du capital requis pour assurer à une personne de l’âge et du sexe du requérant une pension mensuelle actualisée au 31 mars 2010 en fonction de son espérance de vie (calcul actuariel fourni).
63. Le requérant réclame également 3 000 EUR au titre du préjudice moral.
64. Concernant le préjudice matériel allégué, le Gouvernement fait valoir qu’une restitutio in integrum serait possible et que la satisfaction équitable n’a qu’un caractère subsidiaire. Aucun obstacle ne saurait être opposé au paiement du montant de la pension due. Il estime par contre que le montant correspondant au coût du capital requis pro future ne peut être indemnisé, le préjudice invoqué n’étant pas, à ce jour, effectif et réel. Le Gouvernement estime qu’en tout état de cause, comme l’a reconnu le jugement rendu par le juge du travail de Barcelone en l’espèce, lesdits montants ne seraient exigibles qu’à condition de verser le capital correspondant aux années de cotisation reconnues.
65. Concernant le dommage moral, le Gouvernement estime non justifiées tant son existence que la somme réclamée par le requérant à ce titre.
2. Conclusion de la Cour
a) Dommage matériel
66. Eu égard aux circonstances de l’espèce, la Cour ne s’estime pas suffisamment éclairée sur les critères à appliquer pour évaluer le préjudice matériel subi par le requérant, dans la mesure où elle n’a aucune information sur les montants que le requérant devrait verser pour remplir la durée de cotisation minimale requise afin de se voir octroyer la pension en cause. Elle considère dès lors que la question de l’indemnisation du dommage matériel ne se trouve pas en état, de sorte qu’il convient de la réserver en tenant compte de l’éventualité d’un accord entre l’État défendeur et le requérant.
b) Dommage moral
67. La Cour estime que le requérant a subi, en raison de la violation constatée, un dommage moral qui ne peut pas être réparé par le simple constat de violation qu’elle formule. Statuant en équité, comme le veut l’article 41 de la Convention, la Cour octroie au requérant la somme de 3 000 EUR, pour dommage moral.
B. Frais et dépens
68. Le requérant demande, notes d’honoraires et facture à l’appui, 3 976,48 EUR pour les frais et dépens engagés devant les juridictions internes et 4 000 EUR pour ceux afférents à la procédure devant la Cour. Il apporte les justificatifs de ces montants.
69. Le Gouvernement considère excessive la somme réclamée par le requérant.
70. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. En l’espèce et compte tenu des documents en sa possession et des critères susmentionnés, la Cour estime raisonnable la somme de 6 000 EUR au titre des frais et dépens exposés dans le cadre de la procédure nationale et devant la Cour, et l’accorde au requérant.
C. Intérêts moratoires
71. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 14 de la Convention combiné avec l’article 1 du Protocole no 1 ;
3. Dit qu’il n’y a pas lieu d’examiner le grief tiré de l’article 9 de la Convention ;
4. Dit que la question de l’application de l’article 41 de la Convention ne se trouve pas en état en ce qui concerne la demande du requérant pour dommage matériel et, en conséquence,
a) la réserve en entier ;
b) invite le Gouvernement et le requérant à lui soumettre par écrit leurs observations sur la question dans un délai de trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention et, en particulier, à lui donner connaissance de tout accord auquel ils pourraient aboutir ;
c) réserve la procédure ultérieure et délègue au président de la chambre le soin de la fixer au besoin ;
5. Dit
a) que l’État défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes :
i) 3 000 EUR (trois mille euros), pour dommage moral ;
ii) 6 000 EUR (six mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par le requérant, pour frais et dépens ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
6. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 3 avril 2012, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Greffier Président

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