Conclusione Violazione dell’articolo 14+P1-1 – Interdizione della Discriminazione (Articolo 14 – Discriminazione; Religione); Giustificazione Obiettiva e Ragionevole, (articolo 1 al. 1 del Protocollo n° 1 – Rispetto Dei Beni; articolo 1 del Protocollo n° 1 – Protezione della Proprietà); Danno patrimoniale – decisione riservata (Articolo 41 – Danno Patrimoniale); Danno morale – risarcimento (Articolo 41 – Danno Morale)
TERZA SEZIONE
CAUSA MANZANAS MARTÍN C. SPAGNA
( Richiesta no 17966/10)
SENTENZA
(merito)
STRASBURGO
3 aprile 2012
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma
Nella causa Manzanas Martín c. Spagna,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
Josep Casadevall, presidente,
Corneliu Bîrsan, Alvina Gyulumyan, Ján Šikuta,
Luccichi López Guerra,
Nona Tsotsoria, Mihai Poalelungi, giudici, e di Santiago Quesada, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 13 marzo 2012,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 17966/10) diretta contro il Regno della Spagna e in cui un cittadino di questo Stato, OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 26 marzo 2010 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da OMISSIS, avvocato a Barcellona. Il governo spagnolo (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, F. Irurzun Montoro, avvocato dello stato.
3. Il richiedente si lamenta che il rifiuto di accordargli una pensione lavorativa rechi offesa al principio di non discriminazione riconosciuto dall’articolo 14 della Convenzione combinata con gli articoli 9 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1, nella misura in cui la legislazione interna avrebbe trattato a questo riguardo in modo differenziata e discriminatorio i pastori evangelici ed i preti cattolici.
4. Il 24 febbraio 2011, il presidente della terza sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Siccome lo permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1926 e risiede a Barcellona.
6. Tra il 1 novembre 1952 ed il 30 giugnio 1991, il richiedente esercitò in quanto pastore in seno alla chiesa evangelica fino al momento dove raggiunse l’età della pensione. Durante questi anni, percepì una retribuzione pagata dalla commissione permanente della chiesa evangelica. Questa non versò di quote alla Previdenza sociale al nome del richiedente, questa possibilità non essendo prevista in vigore dalla legislazione.
7. Il richiedente aveva lavorato a priori come salariato tra il 1 gennaio 1944 ed i 15 ottobre 1946. Dopo il suo ordinamento pastorale, lavorò anche come salariato tra il 13 marzo 1974 ed i 9 settembre 1978, senza abbandonare il suo ministero.
8. Il richiedente sollecitò presso la concessione di una pensione di lavoro dell’istituto nazionale della Previdenza sociale (INSS). Con una decisione del 26 ottobre 2004, l’INSS respinse la domanda del richiedente, al motivo che non aveva raggiunto il periodo minimale di quota richiesta per avere diritto ad una pensione di lavoro, a sapere 15 anni (5 475 giorni. Difatti, l’addizione dei due periodi di quota del richiedente entra 1944 e 1946 e tra 1974 e 1978 dava come risultato 2 560 giorni.
9. Ulteriormente, il richiedente sollecitò la revisione della sua pratica con l’INSS. Con due decisioni del 15 marzo e del 23 maggio 2005, l’INSS respinse il richiedente delle sue pretese, confermando la sua decisione iniziale.
10. Il richiedente iniziò un procedimento dinnanzi alle giurisdizioni del lavoro contro l’INSS che sollecita l’attribuzione di una pensione di lavoro. Addusse essere stato oggetto di una discriminazione nella misura in cui la legislazione permetteva in vigore ai preti cattolici di percepire una pensione di lavoro, perché erano annessi al regime generale della Previdenza sociale.
11. Con un giudizio del 12 dicembre 2005, il giudice del lavoro no 33 di Barcellona fece diritto alle pretese del richiedente e condannò l’INSS a versargli una pensione di lavoro. Analizzando in materia l’evoluzione della legislazione applicabile, il giudice considerò che metteva in evidenza che il legislatore aveva accordato un trattamento di favore ai preti cattolica faccia ai pastori evangelici, ciò che era contrario al carattere non confessionale dello stato stabilito dalla Costituzione del 1978.
12. Il giudice notò che anche prima della promulgazione della Costituzione, il primo paragrafo dell’articolo 1 del decreto reale 2398/1977 del 27 agosto 1977 aveva stabilito già che i preti ed i ministri del culto di tutte le Chiese e confessioni religiose iscritte nel registro del ministero dell’interno dovevano essere assimilate ai lavoratori salariati e dovevano essere annesse al regime generale della Previdenza sociale. Il secondo paragrafo di questo stesso articolo contemplava però, unicamente l’assimilazione immediata dei preti cattolici che fu effettuata da un ordine del ministero della Salute e della Previdenza sociale del 19 dicembre 1977, completato ulteriormente da due decreti reali 487/1998 del 27 marzo 1998 e 2665/1998 del 11 dicembre 1998. Questi ultimi permettevano ai preti ed ai religiosi cattolici secolarizzati di fare prendere in considerazione i loro anni di ministero per il calcolo della durata di quota richiesta per avere diritto ad una pensione di lavoro, a patto di versare il capitale corrispondente agli anni di quota così riconosciute. L’assimilazione dei pastori evangelici fu effettuata inoltre, tardi ventidue anni più che l’assimilazione dei preti cattolici, col decreto reale 369/1999 del 5 marzo 1999, senza includere tuttavia la possibilità di completare le annualità mancanti per avere diritto ad una pensione di lavoro come questo era il caso per i preti cattolici. Il giudice osservò che al momento dell’entrata in vigore di questo decreto, il richiedente aveva smesso già di esercitare il ministero pastorale e che conformemente alle disposizioni del decreto, i suoi anni di attività pastorale non potevano essere presi in considerazione per il calcolo della durata di quota. Il giudice considerò tuttavia che il fatto di privare il richiedente dell’accesso ad una pensione di lavoro nelle stesse condizioni che recava offesa ai suoi diritti all’uguaglianza ed alla libertà religiosa riconosciuta con la Costituzione per i preti cattolici. Il giudice si riferì agli articoli 6 e 7 della legge organica sul potere giudiziale (LOPJ) (vedere sotto paragrafo 16, e notò che l’articolo 9 § 2 della Costituzione contemplano che “i poteri pubblici sono tenuti di promuovere le condizioni necessarie affinché la libertà e l’uguaglianza dell’individuo e dei gruppi ai quali si integra siano reali ed effettive, di annullare gli ostacoli che impediscono od ostacolano la loro piena espressione e di facilitare la partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica, economico, culturale e sociale”. Di conseguenza, per predisporre i diritti fondamentali del richiedente, il giudice stimò che le disposizioni applicate ai preti cattolici e, in particolare i decreti reali 487/1998 e 2665/1998 potevano essere applicati al richiedente con analogia, permettendogli così di assolvere la durata di quota minimale coi suoi anni di ministero pastorale, a patto di versare il capitale corrispondente agli anni di quota così riconosciute. Riconobbe una pensione di lavoro al richiedente a contare del 22 luglio 2004 sulla base di 398,44 euro mensili.
13. Contro questa decisione, l’INSS fece appello (ricorso di súplica). Con una sentenza del 26 luglio 2007, il Tribunale superiore di giustizia della Catalogna annullò il giudizio di prima istanza. Notò che l’inclusione dei pastori evangelici nel regime generale della Previdenza sociale era stata stabilita dalla legge 24/1992 del 10 ottobre 1992 approvando l’accordo di cooperazione tra lo stato e le Federazioni delle entità religiose evangeliche di Spagna (FEREDE). Il diritto dei pastori evangelici a quotarsi ed a percepire le prestazioni pertinenti era nato dunque con questa legge e le condizioni concrete dell’integrazione di questi al regime generale della Previdenza sociale erano state fissate dal decreto reale 369/1999. Nello specifico, il tribunale osservò che il richiedente aveva raggiunto l’età della pensione nel 1991, prima dell’entrata in vigore della legge 24/1992 che gli avrebbe permesso di quotarsi alla Previdenza sociale per vedersi riconoscere il diritto ad una pensione. A questo riguardo, stimò che il fatto che gli anni anteriori di attività pastorale del richiedente non possano essere presi in considerazione non era dovuto all’inattività dello stato, ma alla mancanza di legislazione in ragione del difetto di accordo tra lo stato ed i differenti culti evangelici. Tenuto conto di queste considerazioni, il tribunale giudicò che il richiedente non assolveva le condizioni legali per vedersi accordare una pensione di lavoro, ciò che rilevava della legalità ordinaria e non costituiva una discriminazione rispetto alla situazione dei preti cattolici.
14. Il richiedente formò un ricorso di amparo dinnanzi al Tribunale costituzionale. Con una decisione notificata il 29 settembre 2009, l’alta giurisdizione dichiarò il ricorso inammissibile come essendo privato dell’importanza costituzionale speciale richiesta dall’articolo 50 § 1 b, della legge organica sul Tribunale costituzionale.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
15. Le disposizioni pertinenti della Costituzione del 1978 dispongono ciò che segue:
Articolo 14
“Gli Spagnolo sono uguali dinnanzi alla legge; non possono essere oggetto di nessuna discriminazione per le ragioni di nascita, di razza, di sesso, di religione, di opinione o per non importo quale altra condizione o circostanza personale o sociale.”
Articolo 16
“1. La libertà ideologica, religiosa e di culto degli individui e delle comunità è garantito, senza altre limitazioni, in quanto alle sue manifestazioni che queste che è necessari al mantenimento dell’ordine pubblico protetto dalla legge.
2. Nessuno potuto stato obbligato a dichiarare la sua ideologia, la sua religione o le sue credenze.
3. Nessuna confessione avrà il carattere di religione di stato. I poteri pubblici terranno conto delle credenze religiose della società spagnola ed intratterranno di questo fatto delle relazioni di cooperazione con la chiesa cattolica e le altre confessioni.”
16. La legge organica sul potere giudiziale dispone, nelle sue parti pertinenti, come segue:
Articolo 6
“I giudici e i tribunali non applicano di ordinamenti o altre disposizioni contrarie alla Costituzione, alla legge o al principio di gerarchia delle norme.”
Articolo 7
“I diritti e libertà riconosciute dal capitolo II del Titolo II della Costituzione impegnano integralmente i giudici e tribunali e sono garantiti da questi ultimi.
In particolare, i diritti enunciati dall’articolo 53 § 2 della Costituzione sono riconosciuti conformemente al loro contenuto costituzionalmente dichiarato senza che le decisioni giudiziali possano restringere, sminuire o allontanare l’applicazione di questo contenuto .”
17. Il decreto reale 2398/1977, del 27 agosto 1977 che regolo la Previdenza sociale del clero dispongo, nelle sue disposizioni pertinenti, come segue:
Articolo 1
“1. I preti della chiesa cattolica così come i ministri delle altre Chiese e Confessioni religiose debitamente iscritte nel registro del ministero dell’interno saranno incluse nella tenuta di applicazione del Regime generale della Previdenza sociale, secondo le condizioni che saranno determinati in modo regolamentare.
2. I preti diocesani della chiesa cattolica saranno assimilati ai lavoratori salariati, alle fini della loro inclusione nel Regime generale della Previdenza sociale, del modo stabilito dal presente decreto reale”.
18. L’ordine ministeriale del 19 dicembre 1977, in vigore dal 1 gennaio 1978 che regolo certi aspetti relativi all’inclusione dei preti diocesani della chiesa cattolica nel Regime generale della Previdenza sociale dispongo, nelle sue disposizioni pertinenti, come segue:
Articolo 1
“I preti diocesani della chiesa cattolica saranno assimilati ai lavoratori salariati, alle fini della loro inclusione nel Regime generale della Previdenza sociale. Bisogna comprendere coi tali preti quelli che conduce la loro attività pastorale al servizio da organismo diocesano o sopra diocesani e percepiscono per ciò una rimunerazione di base per provvedere ai loro bisogni.”
Prima disposizione transitoria
“Alle fini della riconoscenza del diritto alle prestazioni di invalidità permanente, pensione e decesso, li presti che, il 1 gennaio 1978 è incluso nell’articolo 1 del presente Ordine, possono versare la frazione della quota del Regime generale fissato per le situazioni citate che corrisponde in vigore ai periodi anteriori all’entrata di questo Ordine, (…), mediante il rispetto del seguente condizioni:
1. se hanno raggiunto l’età di cinquantacinque anni il 1 gennaio 1978, possono versare l’importo in causa per ciò che è dei periodi compresi tra il 1 gennaio 1978 ed i giorni dove il prete ha raggiunto suddetto età, fino alla data del 1 gennaio 1967.
(…) .”
19. Ai termini della legge organica 7/1980 del 5 luglio 1980 sulla libertà religiosa, lo stato può concludere degli accordi di collaborazione con le Chiese, e questo in funzione del numero dei loro fedeli, del loro insediamento nella società spagnola e delle credenze maggioritarie di questa.
20. La legge 24/1992 del 10 novembre 1992 approvando l’accordo di cooperazione tra lo stato e le Federazioni delle entità religiose evangeliche di Spagna (FEREDE) regola il seguente questioni: lo statuto dei ministri del culto evangelico; la protezione giuridica dei luoghi di culto; la riconoscenza sul piano civile dei matrimoni celebrati secondo il rito evangelico; l’assistenza religiosa nei centri o determinazioni pubbliche; l’insegnamento religioso evangelico nei centri scolastici; i vantaggi fiscali applicabili a certi beni ed attività delle Chiese membri del FEREDE. Le sue disposizioni pertinenti si leggono come segue:
Articolo 3 § 1
“Ad ogni effetto legale, i ministri del culto delle Chiese che appartengono al FEREDE sono delle persone fisiche che si dedicano, in modo stabile, alle funzioni di culto o di assistenza religiosa che dimostrano assolvere queste condizioni col verso di un certificato rilasciato dalla chiesa riguardata con l’accordo della Commissione permanente del FEREDE.”
Articolo 5
“Conformemente a ciò che è contemplato all’articolo 1 del decreto reale 2398/1977, del 27 agosto 1977, i ministri del culto delle Chiese che appartengono al FEREDE che assolve le condizioni esposte all’articolo 3 del presente Accordo, saranno affiliati al Regime generale della Previdenza sociale. Saranno assimilati ai lavoratori salariati.
Le Chiese rispettive assumeranno i diritti e gli obblighi stabiliti per i datori di lavoro nel Regime generale della Previdenza sociale.”
21. Il decreto reale 487/1998 del 17 marzo 1998 cadendo sulla riconoscenza, alle fini delle quote alla Previdenza sociale, dei periodi di attività religiosa dei preti o di religiosi o religiose della chiesa cattolica secolarizzata dispongo, nelle sue parti pertinenti, ciò che segue,:
Articolo 1
“Il presente decreto si applica a quelli che, avendo avuto la condizione di preti o di religiosi o religiose della chiesa cattolica, sono stati secolarizzati o hanno cessato di esercitare la professione religiosa prima del 1 gennaio 1997, se riuniscono il seguente condizioni:
(…) “
Articolo 2
“1. Sulla loro domanda e per aderire alla pensione di lavoro, le persone alle quali fatto inserisce in campionario l’articolo precedente si vedranno riconoscere, come si essendo quotato alla Previdenza sociale, il numero di anni di esercizio necessario in quanto preti o religiosi così come l’aggiunta del numero di anni di quota effettiva affinché possano, all’occorrenza, giungere al numero globale di quindici anni di quota.
(…) .”
22. Il decreto reale 2665/1998 del 11 dicembre 1998 che completo il decreto reale 487/1998, disponi come segue:
Articolo 1
“Il presente decreto si applica a quelli che, avendo avuto la condizione di preti o di religiosi o religiose della chiesa cattolica, sono stati secolarizzati o hanno cessato di esercitare la professione religiosa prima del 1 gennaio 1997.
Articolo 2
“Sulla loro domanda, le persone alle quali fatto inserisce in campionario l’articolo precedente si vedranno riconoscere, come si essendo quotato alla Previdenza sociale per i periodi di esercizio in quanto preti o religiosi prima del seguente date:
ha, per i preti secolarizzati: il 1 gennaio 1978.
b, per le persone avendo abbandonato la professione religiosa: il 1 maggio 1982.”
Articolo 4
“1. Nei casi di riconoscenza iniziale della pensione di lavoro, gli interessati devono abbonare il capitale-costo della parte della pensione derivata degli anni di esercizio in quanto preti o religiosi essendo stato riconosciuto come sottoscrittori alla Previdenza sociale.
A questa fine, la parte della pensione a capitalizzare sarà il risultato dell’applicazione alla base regolatore delle seguenti percentuali:
(…)
3. Il versamento del capitale-costo potuto stato deferito per un periodo massimale di quindici anni e frazionato in versamenti mensili deducibili di ogni mensilità della pensione. (…) .”
23. Il decreto reale 369/1999 del 5 marzo 1999 che regolo l’integrazione nel regime della Previdenza sociale dei ministri del culto delle Chiese che appartengono al FEREDE dispongo come segue:
Articolo 5
“Alle fini del presente decreto reale, le Chiese o federazioni di chiese rispettive assumeranno i diritti e gli obblighi stabiliti per i datori di lavoro nel Regime generale della Previdenza sociale.”
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE COMBINATA CON L’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
24. Il richiedente espone che il rifiuto di accordargli una pensione di lavoro rechi offesa al principio di non discriminazione riconosciuto dall’articolo 14 della Convenzione combinata con l’articolo 1 del Protocollo no 1. Stima che la legislazione interna ha trattato in modo differenziata e discriminatorio i pastori evangelici rispetto ai preti cattolici, nella misura in cui questi ultimi sono stati inclusi più nel regime generale della Previdenza sociale presto. Fa valere che dopo l’inclusione dei pastori evangelici nel regime generale della Previdenza sociale, questi ultimi non hanno avuto la possibilità di completare il periodo di quota minimale richiesta per avere diritto alla pensione di lavoro con gli anni anteriori di attività pastorale, mentre questa possibilità era riconosciuta ai preti cattolici.
Articolo 14 della Convenzione
“Il godimento dei diritti e libertà riconobbero nel Convenzione deve essere garantita, senza distinzione nessuna, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, gli opinioni politici od ogni altra opinione, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, la fortuna, la nascita o tutta altra situazione. “
Articolo 1 del Protocollo no 1
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà che a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge ed i principi generali del diritto internazionale. (…) “
A. Sull’ammissibilità
25. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) Il richiedente
26. Il richiedente stima che i pastori evangelici sono stati trattati da un modo discriminatorio per il fatto che sono solamente ventidue anni dopo il decreto reale 2398/1977, relativo ai preti della chiesa cattolica, che sono stati integrati nel regime generale della Previdenza sociale.
27. Al di là di questo ritardo, il richiedente ricorda che le differenze di trattamento tra i preti cattolici ed i pastori evangelici persistono sempre e notino che non ha potuto completare coi suoi anni di attività pastorale il periodo di quota minimale di quindici anni richiesti per avere diritto ad una pensione di lavoro versando il capitale corrispondente alle annualità mancanti, mentre questa possibilità è riconosciuta al clero cattolico.
b) Il Governo
28. Il Governo nota che i negoziati in vista di giungere agli accordi con le differenti confessioni religiose menzionate nella legge organica 7/1980 del 5 luglio 1980 furono iniziate nel 1982. Tuttavia, in ragione del poco radicamento delle Chiese evangeliche considerate separatamente, un certo tempo fu necessario. Il FEREDE fu creato così per rappresentare le Chiese protestanti ed avventisti di Spagna ed il processo di negoziato poté riprendere dunque solo nel 1987. Con una legge 24/1992 del 10 novembre 1992 (vedere sopra paragrafo 20), l’accordo di cooperazione tra gli stati ed il FEREDE furono adottati.
29. Il Governo spiega che il decreto reale 2398/1977 del 27 agosto 1977 (vedere sopra paragrafo 17) procedeva all’integrazione, nel sistema generale della Previdenza sociale, dei ministri delle differenti religioni, e ciò prima dell’entrata in vigore della Costituzione nel 1978. L’integrazione del clero cattolico ebbe luogo già in modo immediato in ragione delle relazioni invalse con lo stato dal concordato del 27 agosto 1953 tra la Spagna e le Santa Sede. L’integrazione di altre confessioni si fece man mano che gli accordi con lo stato furono passati. Così, con un ordine ministeriale del 2 marzo 1987 ebbe luogo l’integrazione dei ministri del culto dell’unione delle Chiese cristiani avventisti del settimo giorno in Spagna.
30. Il Governo si riferisce al paragrafo 53 del sentenza Stec ed altri c. Regno Unito ([GC], no 65731/01, CEDH 2006-VI, e non nega che se un Stato decide di creare un regime di prestazioni o di pensioni, deve farlo di un modo compatibile con l’articolo 14 della Convenzione. Nota mentre l’integrazione dei ministri del culto al regime di Previdenza sociale ai momenti differenti risponde alle ragioni obiettive e non discriminatori e ricorda, citando il sentenza Stec (precitata, § 49, che lo stato dispone in materia di un ampio margine di valutazione. Il Governo nota peraltro che l’integrazione nel regime della Previdenza sociale dei ministri dei differenti culti è possibile solamente se esiste un accordo preliminare con lo stato nei confronti del quale la confessione in causa assume certi obblighi; rinvia sopra al paragrafo 23.
31. Per ciò che è dell’applicazione dei decreti di 1998 città col richiedente, il Governo osserva che essi si riferivano all’ abbandono, prima dell’integrazione al regime della Previdenza sociale, dell’attività religiosa dei preti cattolici per le ragioni personali o di secolarizzazione, e non in ragione del loro passaggio alla pensione.
2. Sull’applicabilità dell’articolo 14 della Convenzione combinata con l’articolo 1 del Protocollo no 1
32. La Corte ricorda che l’articolo 14 della Convenzione non ha esistenza indipendente poiché vale unicamente per il godimento dei diritti e libertà garantite dalle altre clausole normative della Convenzione e dei suoi Protocolli (vedere, tra molto altri, Burden c. Regno Unito [GC], no 13378/05, § 58, CEDH 2008 -…). L’applicazione dell’articolo 14 non presuppone necessariamente la violazione di uno dei diritti materiali garantiti dalla Convenzione. Occorre, ma basta che i fatti della causa cadano almeno sotto l’impero di un degli articoli della Convenzione (vedere, tra molto altri, Thlimmenos c. Grecia [GC], no 34369/97, § 40, CEDH 2000-IV, Koua Poirrez c. Francia, no 40892/98, § 36, CEDH 2003-X ed Andrejeva c. Lettonia [GC], no 55707/00, § 74, CEDH 2009 -…). L’interdizione della discriminazione che consacra l’articolo 14 supera il godimento dei diritti e libertà dunque che la Convenzione ed i suoi Protocolli impongono ad ogni Stato di garantire. Si applica anche ai diritti addizionali, rilevando del campo di applicazione prova generale di ogni articolo della Convenzione, che lo stato ha deciso volontariamente di proteggere, Stec ed altri c. Regno Unito, (dec.) [GC], i nostri 65731/01 e 65900/01, § 40 CEDH 2005-X.
33. Conviene quindi determinare se l’interesse del richiedente a percepire dello stato una pensione di lavoro cada “sotto l’impero” o “nel campo di applicazione” dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
34. La Corte ha affermato che tutti i principi che si applicano generalmente alle cause concernente l’articolo 1 del Protocollo no 1 si guardano tutta la loro pertinenza nella tenuta dagli assegni mutualistici, Andrejeva c. Lettonia, precitata, § 77. Così, questa disposizione non garantisce, in quanto tale, nessuno diritto di diventare proprietario di un bene, Kopecký c. Slovacchia [GC], no 44912/98, § 35 b, CEDH 2004-IX, né, in quanto tale, nessuno diritto ad una pensione di un importo dato (vedere, per esempio, Domalewski c. Polonia, (dec.), no 34610/97, CEDH 1999-V, e Janković c. Croazia, déc.), no 43440/98, CEDH 2000-X. Inoltre, l’articolo 1 del Protocollo no 1 non impone nessuna restrizione alla libertà per gli Stati contraenti di decidere di instaurare o non un regime di protezione sociale o di scegliere il tipo o il livello delle prestazioni supposte essere accordate a titolo di un tale regime. In compenso, dal momento che un Stato contraente mette in posto una legislazione che contempla il versamento di un assegno mutualistico -che la concessione di questa prestazione dipenda o no del versamento preliminare di quote-, questa legislazione deve essere considerata come generando un interesse patrimoniale che rileva del campo di applicazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 per le persone che assolvono le sue condizioni, Stec ed altri, decisione precitata, § 54; Şerife Yiğit c. Turchia [GC], no 3976/05, § 56, 2 novembre 2010.
35. Come la Corte l’ha detto nel decisione Stec ed altri, precitata, “[d]ans dei casi tali quello dello specifico, dove dei richiedenti formulano sul terreno dell’articolo 14 composto con l’articolo 1 del Protocollo no 1 un motivo di appello ai termini del quale sono stati privati, in tutto o partire ne e per un motivo discriminatorio mirato all’articolo 14, di una prestazione dato, il criterio pertinente consisto a ricercare se, non fosse stato la condizione di concessione controversa, gli interessati avrebbero avuto un diritto, sanzionabile dinnanzi ai tribunali interni, a percepire la prestazione in causa. Così [l’articolo 1 di lui] Protocollo no 1 non comprende un diritto di percepire degli assegni mutualistici, di qualche tipo che questo sia, quando un Stato decide di creare un regime di prestazioni, deve farlo di un modo compatibile con l’articolo 14” (ibidem, § 55 e Muñoz Díaz c. Spagna, no 49151/07, § 45, CEDH 2009 -…).
36. Nello specifico, il richiedente si lamenta di essere stato privato di una pensione di lavoro per un motivo discriminatorio coperto, secondo lui, con l’articolo 14, a sapere la sua confessione religiosa.
37. La Corte nota che in applicazione della legislazione nazionale in materia, soli i preti cattolici si sono visti riconoscere la possibilità di completare il periodo di quota minimale di quindici anni richiesti per avere diritto ad una pensione di lavoro versando il capitale corrispondente alle annualità mancanti.
38. Tenuto conto di ciò che precede, la Corte stima che gli interessi patrimoniali del richiedente introducono nel campo di applicazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 e del diritto al rispetto dei beni che garantisce, ciò che basta per rendere l’articolo 14 della Convenzione applicabile.
3. Sull’osservazione dell’articolo 14 della Convenzione combinata con l’articolo 1 del Protocollo no 1
a) La giurisprudenza della Corte
39. Secondo la giurisprudenza stabilita della Corte, la discriminazione consiste in trattare in modo differente, salvo giustificazione obiettiva e ragionevole, delle persone poste nelle situazioni comparabili. La “mancanza di giustificazione obiettiva e ragionevole” notifica che la distinzione controversa non insegue un “scopo legittimo” o che non c’è “rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto”, Alujer Fernandez e Caballero Garcia c. Spagna, déc.), no 53072/99, CEDH 2001-VI, D.H. ed altri c. Repubblica ceca [GC], no 57325/00, §§ 175 e 196, CEDH 2007-IV, e la giurisprudenza citati.
40. Gli Stati contraenti godono di un certo margine di valutazione per determinare se e delle distinzioni giustificano in quale misura delle differenze tra le situazioni ad altri riguardi analoghi di trattamento (vedere, in particolare, i sentenze Gaygusuz c. Austria, 16 settembre 1996, § 42, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-IV, e Thlimmenos, precitata, § 40. La superficie di questo margine varia secondo le circostanze, le tenute ed il contesto. Così, per esempio, l’articolo 14 non vietato ad un Stato membro trattare dei gruppi in modo differenziati per correggere dei “disuguaglianze factuelles” tra essi; di fatto, in certe circostanze, è la mancanza di un trattamento differenziato per correggere una disuguaglianza che può, senza giustificazione obiettiva e ragionevole, portare violazione della disposizione in causa (Thlimmenos, § 44, Stec ed altri c. Regno Unito [GC], precitata, § 51, e D.H. ed altri, precitata, § 175.
41. Un ampio margine di valutazione ha lasciato parimenti, di solito allo stato per prendere delle misure di ordine generale in materia economica o sociale. Grazie ad una cognizione diretta della loro società e dei suoi bisogni, le autorità nazionali si trovano in principio più meglio collocato che il giudice internazionale per determinare ciò che è di utilità pubblica in materia economica o in materia sociale. La Corte rispetta in principio il modo di cui lo stato concepisce gli imperativi dell’utilità pubblica, salvo si il suo giudizio si rivela “manifestamente privo di base ragionevole” (vedere, per esempio, Nazionale & Provinciale Edificio Society, Leeds Permanente Edificio Society e Yorkshire Edificio Society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, § 80, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VII, e Stec ed altri, precitata, §§ 51-52.
42. Infine, nella misura in cui il richiedente si lamenta di disuguaglianze in un regime di Previdenza sociale, la Corte sottolinea che l’articolo 1 del Protocollo no 1 non comprende un diritto ad acquisire dei beni. Non limita in niente la libertà che ha gli Stati contraenti di decidere se conviene o no di mettere in opera un qualsiasi regime di Previdenza sociale o di scegliere il tipo o il livello delle prestazioni dinnanzi ad essere accordate a titolo di simile regime.
43. Ad ogni modo, in ciò che riguarda il carico della prova sul terreno dell’articolo 14 della Convenzione, la Corte ha giudicato già che, quando un richiedente ha stabilito l’esistenza di una differenza di trattamento, incombe sul Governo di dimostrare che questa differenza di trattamento era giustificata, D.H. ed altri, § 177.
b) Applicazione della giurisprudenza alla presente causa
44. Il richiedente si lamenta del rifiuto di accordargli una pensione di lavoro in ragione per il fatto che, malgrado l’integrazione dei pastori protestanti nel regime generale della Previdenza sociale, non ha potuto assolvere la durata di quota minimale richiesta per beneficiare di una tale pensione facendo prendere in conto i suoi anni di ministero religioso mentre questa possibilità è riconosciuta ai preti cattolici. Stima che ciò costituisce una discriminazione fondata sulla religione contraria all’articolo 14 della Convenzione combinata con l’articolo 1 del Protocollo no 1.
45. La Corte osserva che parte anteriore anche la promulgazione della Costituzione del 1978, il decreto reale 2398/1977 (vedere sopra paragrafo 17) avevano contemplato già che i preti ed i ministri del culto di tutte le Chiese e confessioni religiose iscritte al registro del ministero dell’interno dovevano essere assimilate ai lavoratori salariati e dovevano essere annesse al regime generale della Previdenza sociale. L’assimilazione dei preti cattolici fu effettuata in modo immediata. L’assimilazione dei pastori evangelici fu effettuata ventidue anni più nel 1999 tardi, in seguito alla conclusione nel 1992 dell’accordo di cooperazione tra lo stato ed i FEREDE.
46. Nel 1991, quando il richiedente raggiunse l’età della pensione, nessuno diritto ad una pensione di lavoro non era stato riconosciuto ai pastori evangelici conformemente alla legislazione in vigore; il richiedente non si trovava difatti, da una parte, in quanto pastore evangelico, includi nel regime generale della Previdenza sociale e, altro parte, come l’INSS l’ha precisato nella sua decisione del 26 ottobre 2004, non aveva assolto la durata minimale di quota richiesta per avere diritto ad una pensione di lavoro, a sapere 15 anni, gli anni durante che aveva lavorato in quanto salariato che non è sufficienti per raggiungere suddetta durata (vedere sopra 7 e 8 paragrafi).
47. Allo visto di ciò che precede, la questione che si porsi nella presente causa è quella di sapere se lo fa per il richiedente di essere visto negare si il diritto di percepire una pensione di lavoro rivelo un trattamento discriminatorio rispetto al modo di cui la legislazione tratta da situazioni che il richiedente stima analogo.
48. Il richiedente basa la sua pretesa, da una parte, sul ritardo ingiustificato di ventidue anni per procedere all’assimilazione dei pastori evangelici rispetto alla data di assimilazione dei preti cattolici e, altro parte, sull’impossibilità per i pastori evangelici di completare con la presa in conto dei loro servizi religiosi le loro annualità mancanti per raggiungere la durata minimale di quota richiesta per avere diritto ad una pensione di lavoro come questo era il caso per i preti cattolici.
49. La Corte osserva che il legislatore spagnolo ha preso molto ritardo per integrare i pastori evangelici al regime generale della Previdenza sociale difatti, e riconoscere così il loro diritto a percepire le stesse prestazioni che i preti cattolici. Peraltro, a supporre anche che il diritto a percepire una pensione di lavoro esistesse per i pastori evangelici al momento della partenza alla pensione del richiedente, questo ultimo si sarebbe visto tuttavia nell’impossibilità di completare coi suoi anni di attività pastorale le annualità mancanti per raggiungere la durata di quota minimale richiesta per avere diritto ad una pensione di lavoro versando il capitale corrispondente agli anni di quota manchiamo.
50. La Corte constata che, nel suo giudizio reso il 12 dicembre 2005, il giudice del lavoro no 33 di Barcellona ha interpretato la legislazione applicabile in favore del richiedente. Il giudice notava difatti che i preti ed i ministri del culto di tutte le Chiese e confessioni religiose iscritte dovevano essere annessi al regime generale della Previdenza sociale, e che questa integrazione era contemplata anche prima della promulgazione della Costituzione. Però, questa integrazione non fu effettuata in modo immediata che per i preti cattolici e completata, nel 1998, con due decreti reali che permettevano ai preti ed ai religiosi cattolici secolarizzati o avendo cessato di esercitare la professione religiosa, di fare prendere in considerazione gli anni di ministero durante che non si erano quotati alla Previdenza sociale per assolvere la durata di quota richiesta per avere diritto ad una pensione di lavoro, purché abbiano 65 anni o più, a patto di versare il capitale corrispondente agli anni di quota così riconosciute. Il giudice constatò nel suo giudizio che alla differenza di ciò che era per i preti cattolici, quando l’assimilazione dei pastori evangelici fu effettuata ventidue anni più tardi, questa possibilità di completare le annualità fino alla durata di quota richiesta per avere diritto ad una pensione di lavoro non era stata inclusa tuttavia.
51. Il giudice del lavoro considerò che il fatto di privare il richiedente dell’accesso alla pensione di lavoro nelle stesse condizioni che queste offerte ai preti cattolici portava attentato ai suoi diritti all’uguaglianza ed alla libertà religiosa riconosciuta con la Costituzione. Stimò che la legislazione applicabile nello specifico accordava un trattamento di favore ai preti cattolica faccia ai pastori evangelici, ciò che era contrario al carattere non confessionale dello stato stabilito dalla Costituzione del 1978, e si riferì all’articolo 6 del LOPJ secondo che i giudici devono allontanare l’applicazione di ogni ordinamento o ogni altra disposizione contrari alla Costituzione, alla legge o al principio di gerarchia delle norme. Per riparare i diritti fondamentali del richiedente, il giudice stimò che le disposizioni applicate ai preti cattolici e, in particolare, i decreti reali del 1998, potevano essere applicate da analogia al richiedente, permettendogli così di completare il periodo di quota minimale coi suoi anni di ministero pastorale, a patto di versare il capitale corrispondente agli anni di quota così riconosciute.
52. Questo giudizio fu annullato tuttavia dalla sentenza del 26 luglio 2007 reso in appello. Il Tribunale superiore di giustizia della Catalogna ha considerato difatti, paragrafo 13 sopra, che il richiedente aveva raggiunto l’età della pensione nel 1991, prima dell’entrata in vigore della legge 24/1992 che gli avrebbe permesso di quotarsi alla Previdenza sociale per vedersi riconoscere il diritto ad una pensione. Stimò che la mancanza di presa in conto degli anni preliminari di attività pastorale del richiedente non era dovuta all’inattività dello stato ma alla mancanza di legislazione in ragione del difetto di accordo tra lo stato ed i differenti culti evangelici. Per il Tribunale superiore di giustizia, il richiedente non assolveva le condizioni legali per vedersi accordare una pensione di lavoro, senza che questo possa essere considerato come discriminatorio rispetto alla situazione dei preti cattolici.
53. In ciò che riguarda il ritardo per integrare i pastori evangelici nel Regime generale della Previdenza sociale, la Corte constata, come il Governo l’indico nelle sue osservazioni, che i negoziati in vista di giungere agli accordi con le Chiese evangeliche in virtù della legge organica 7/1980 del 5 luglio 1980 sono stati subordinati alla creazione del FEREDE e che l’accordo di cooperazione tra gli stati ed il FEREDE furono adottati solamente nel 1992, paragrafo 20 sopra. Ulteriormente, il decreto reale 369/1999 fissarono le condizioni per l’integrazione dei pastori evangelici nel Regime generale della Previdenza sociale. La Corte stima, col Governo, che l’integrazione dei ministri del culto al regime generale della Previdenza sociale ai momenti differenti risponde alle ragioni obiettive e non discriminatori e ricorda che lo stato dispone di un ampio margine di valutazione per introdurre in modo progressiva la piena uguaglianza dei motivi nel sistema delle pensioni, tenuto conto delle implicazioni economici e sociali dell’evoluzione dei sistemi di Previdenza sociale che deve prendere in conto le particolarità di ogni collettivo, sentenza Stec ed altri [GC], precitata, § 49.
54. Tuttavia, il rifiuto di riconoscere il diritto per il richiedente di percepire una pensione di lavoro e di completare a questa fine le sue annualità mancanti costituisci tuttavia, – come l’ha precisato il giudice del lavoro nel suo giudizio del 12 dicembre 2005, paragrafo 12 sopra, – una differenza rispetto al trattamento dato dalla legge ad altre situazioni in che si trovano i preti e vecchi preti cattolici che appaiono come simili e di cui la sola differenza è quella della confessione religiosa alla quale appartengono. Difatti, la legislazione spagnola relativa al diritto del lavoro ha contemplato, con le vie diverse, che i preti cattolici avendo avuto un’attività pastorale prima della loro integrazione al regime della Previdenza sociale possano, contrariamente ai pastori evangelici, prendere in conto i loro anni di ministero religioso alle fini del calcolo della loro pensione di lavoro. Così, secondo la prima disposizione transitoria dell’ordine ministeriale del 19 dicembre 1977, paragrafo 18 sopra, relativa all’integrazione dei preti cattolici al regime della Previdenza sociale, questi ultimi possono, alle fini di completare le annualità mancanti per raggiungere la durata di quota minimale richiesta per avere diritto ad una pensione di lavoro, prendere in conto, mediante il pagamento degli importi pertinenti, fino a dieci anni prima della loro integrazione alla Previdenza sociale, fino al 1 gennaio 1967, per quelli che era allora preti cattolico avendo raggiunto l’età di cinquantacinque anni. Concernente i preti cattolici secolarizzati o che avevano cessato di esercitare la professione religiosa, possono prendere anche in conto alle fini della pensione di lavoro, gli anni anteriori alla loro integrazione al regime della Previdenza sociale, come risulta dalla possibilità data dai decreti reali 487/1998 e 2665/1998, potendo così completare le annualità mancanti per assolvere il numero minimale di anni di quota.
55. Nessuna di queste possibilità offerte ai preti cattolici per la presa in conto, alle fini di pensione di lavoro, degli anni anteriori alla loro integrazione al regime della Previdenza sociale non è stata accordata ai pastori evangelici nella legislazione spagnola. La Corte stima accertato quindi, tenuto conto delle circostanze dello specifico, che questa differenza normativa sfavorevole costituisce una differenza di trattamento fondato sulla confessione religiosa non giustificata nei confronti il richiedente, rispetto al trattamento riservato ai preti cattolici, nella misura in cui il richiedente non dispone di nessuno mezzo affinché siano presi in conto, alle fini del calcolo della sua pensione di lavoro, i suoi anni di attività pastorale in quanto pastore evangelico prima dell’integrazione dei pastori evangelici al regime della Previdenza sociale. La Corte rileva una sproporzione nel fatto difatti che lo stato spagnolo che aveva riconosciuto nel 1977, paragrafo 17 sopra, l’integrazione dei ministri delle Chiese e confessioni religiose altri che cattolico al regime generale della Previdenza sociale, non sia prestito a riconoscere, malgrado l’integrazione dei pastori evangelici effettuati ventidue anni più tardi, gli effetti di una tale integrazione in materia di pensione di lavoro nelle stesse condizioni che per i preti cattolici, in particolare quando si tratta della possibilità di completare le annualità mancanti per raggiungere la durata di quota minimale mediante il versamento col richiedente del capitale corrispondente agli anni di quota riconosciuta. Se le ragioni del ritardo nell’integrazione dei pastori evangelici al regime generale della Previdenza sociale rilevano del margine di valutazione dello stato, paragrafo 53 sopra, stima che il Governo non giustifica tuttavia le ragioni per che, una volta suddetta integrazione effettuata, una differenza di trattamento tra le situazioni simili, fondate unicamente su di ragioni di confessione religiosa, è stata mantenuta.
56. Per ciò che riguarda l’affermazione del Governo secondo la quale i decreti del 1998 prevedono il caso della cessazione dell’attività religiosa dei preti cattolici per le ragioni personali o di secolarizzazione, e non il caso di passaggio alla pensione, come questo è il caso nella presente causa, la Corte stima, allo visto di ciò che precede che una tale differenza non è pertinente nello specifico nella misura in cui la differenza di trattamento, alle fini della pensione di lavoro, tra i preti cattolici ed i pastori evangelici, sfavorevole a questi ultimi, non limitarti ai decreti citati dal Governo. Ad ogni modo, né il giudice del lavoro di Barcellona quando fece diritto al ricorso del richiedente né il Tribunale superiore di giustizia quando gli rifiutò la pensione, non hanno fatto riferimento a questo fatto per giustificare il trattamento differente dato, nelle situazioni simili di mancanza di anni di quota per assolvere le durate di quota minimale che apre il diritto alla pensione di lavoro, ai preti cattolici ed ai pastori evangelici. Queste decisioni non hanno escluso difatti in nessun modo la situazione del richiedente di queste previsto in abstracto dalla legislazione in causa che stabiliva la possibilità di completare le annualità di quota effettiva alla Previdenza sociale.
57. Perciò, la Corte conclude che c’è stata nella specifico violazione dell’articolo 14 della Convenzione combinata con l’articolo 1 del Protocollo no 1.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 9 DELLA CONVENZIONE
58. Il richiedente denuncia una violazione del diritto alla libertà religiosa. Invoca l’articolo 9 della Convenzione.
59. La Corte rileva che questo motivo di appello è legato a quell’esaminato sopra e deve essere dichiarato dunque anche ammissibile.
60. Avuto riguardo alla constatazione relativa agli articoli 14 della Convenzione combinata con l’articolo 1 del Protocollo no 1, paragrafo 57 sopra, la Corte stima che non c’è luogo di esaminare se c’è stato, nello specifico, violazione di questa disposizione, (vedere, entra molto altri, Yazgül Yılmaz c. Turchia, no 36369/06, § 69, 1 febbraio 2011.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
61. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
1. Risarcimento sollecitato
62. Il richiedente richiede 64 797,44 euro (EUR) a titolo del danno patrimoniale che avrebbe subito. Questa somma si altera come segue: da una parte, 30 360,44 EUR che corrispondono all’importo delle pensioni mensili non percepiti tra le date del deposito della sua domanda di pensione di lavoro dinnanzi alle giurisdizioni interni il 22 luglio 2004 e l’introduzione della richiesta dinnanzi alla Corte il 31 marzo 2010, sulla base dell’importo di 398,44 EUR mensili fissati col giudizio del 12 dicembre 2005 del giudice del lavoro e, altro parte, 34 436,86 EUR che corrispondono al costo del capitale richiesto per garantire ad una persona dell’età e del sesso del richiedente una pensione mensile attualizzata al 31 marzo 2010 in funzione della sua speranza di vita (calcolo attuariale fornito).
63. Il richiedente richiede anche 3 000 EUR a titolo del danno morale.
64. Concernente il danno patrimoniale addotto, il Governo fa valere che un restitutio in integrum sarebbe possibile e che la soddisfazione equa ha solamente un carattere accessorio. Nessuno ostacolo saprebbe essere opposto al pagamento dell’importo della pensione dovuta. Stima invece che l’importo corrispondente al costo del capitale richiese pro futuro non può essere indennizzato, il danno invocato non essendo, a questo giorno, effettivo e reale. Il Governo stima che ad ogni modo, siccome l’ha riconosciuto il giudizio reso dal giudice del lavoro di Barcellona nello specifico, suddetti ammontati sarebbero esigibili solamente a patto di versare il capitale corrispondente agli anni di quota riconosciuta.
65. Concernente il danno morale, il Governo stima non giustificate tanto la sua esistenza che la somma richiesta dal richiedente a questo titolo.
2. Conclusione della Corte
a) Danno patrimoniale
66. Avuto riguardo alle circostanze dello specifico, la Corte non si stima sufficientemente illuminata sui criteri ad applicare per valutare il danno patrimoniale subito dal richiedente, nella misura in cui non ha nessuna informazione sugli importi che il richiedente dovrebbe versare per assolvere la durata di quota minimale richiesta per vedersi concedere la pensione in causa. Considera dal momento che la questione dell’indennizzo del danno patrimoniale non è matura, così che conviene riservarla tenendo conto dell’eventualità di un accordo tra lo stato convenuto ed i richiedenti.
b) Danno morale
67. La Corte stima che il richiedente ha subito, in ragione della violazione constatata, un danno morale che non può essere riparato dalla semplice constatazione di violazione che formula. Deliberando in equità, siccome lo vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte concede al richiedente la somma di 3 000 EUR, per danno morale.
B. Oneri e spese
68. Il richiedente chiede, note di parcella e fattura in appoggio, 3 976,48 EUR per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alle giurisdizioni interne e 4 000 EUR per quelli afferenti al procedimento dinnanzi alla Corte. Porta i giustificativi di questi importi.
69. Il Governo considera eccessivo la somma richiesta dal richiedente.
70. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri suddetti, la Corte stima ragionevole la somma di 6 000 EUR a titolo degli oneri e spese esposte nella cornice del procedimento nazionale e dinnanzi alla Corte, e l’accorda al richiedente.
C. Interessi moratori
71. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 14 della Convenzione combinato con l’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce che non c’è luogo di esaminare il motivo di appello derivato dall’articolo 9 della Convenzione;
4. Stabilisce che la questione dell’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione non è matura per ciò che riguarda l’istanza del richiedente per danno patrimoniale e, perciò,
a) la riserva per intero;
b) invita il Governo ed il richiedente a sottoporle per iscritto le loro osservazioni sulla questione entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione e, in particolare, a darle cognizione di ogni accordo al quale potrebbero arrivare;
c) riserva il procedimento ulteriore e delega al presidente della camera la cura di fissarlo all’occorrenza;
5. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i, 3 000 EUR (tremila euro) per danno morale;
ii, 6 000 EUR (seimila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
6. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 3 aprile 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Cancelliere Presidente