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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE MAIOLI c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, P1-1
Numero: 18290/02/2011
Stato: Italia
Data: 2011-07-12 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Parzialmente inammissibile; Violazione di P1-1; Danno patrimoniale e danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA MAIOLI C. ITALIA
( Richiesta no 18290/02)
SENTENZA
STRASBURGO
12 luglio 2011
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Maioli c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, Giorgio Malinverni, Işıl Karakaş, Guido Raimondi, Paulo Pinto di Albuquerque, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 21 giugno 2011,
Rende la sentenza che ha adottata in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 18290/02) diretta contro la Repubblica italiana e in cui due cittadini di questo Stato, OMISSIS (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 29 aprile 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da OMISSIS, avvocato a Cesena. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo ex coagente aggiunto, il Sig. Lettieri.
3. I richiedenti adducono in particolare un attentato al loro diritto al rispetto dei beni viste le limitazioni che colpiscono il loro terreno.
4. Il 24 novembre 2004, il Presidente della quarta sezione ha deciso di comunicare il motivo di appello derivato da un attentato al diritto al rispetto dei beni al Governo. Come permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo. In seguito alla ricomposizione delle sezioni, la causa è stata assegnata alla seconda sezione della Corte.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1936 e 1939 e risiedono a Ravenna. La madre dei richiedenti (infra AM) era la proprietaria di 99 999 metri quadrati di terreno a Ravenna.
6. L’ 11 luglio 1962, la municipalità di Ravenna adottò un piano generale di urbanistica (“piano regolatore generale”) che colpiva con un permesso di espropriazione insieme ad un’interdizione a costruire (“vincolo di inedificabilità preordinato all’esproprio”) circa il 65% del terreno. Questa parte era destinata alla creazione di “zone di riserva” ed alla viabilità stradale. Il piano di urbanistica fu approvato con un decreto del Presidente della Repubblica del 2 febbraio 1966.
7. Il 31 luglio 1973, la municipalità di Ravenna adottò un nuovo piano generale di urbanistica ed impose sulla totalità del terreno di AM dei permessi di espropriazione insieme ad un’interdizione a costruire. I terreni erano soggetti in parte alla creazione di una zona verde, denominata “
Parco Baronio”, e in parte alle attrezzature pubbliche urbane, uffici dell’amministrazione, ed una parte alla viabilità stradale (stazione di autobus). Questo piano fu approvato il 23 settembre 1975 dalla regione Emilia-Romagna.
8. Il 2 dicembre 1975, 35 370 metri quadrati di terreno che dovevano essere espropriati furono ceduti alla municipalità di Ravenna in compenso di un’indennità.
9. Il 30 novembre 1982, la municipalità di Ravenna pronunciò l’espropriazione di 11 310 metri quadrati di terreno per costruire una strada. AM introdusse un ricorso dinnanzi al tribunale amministrativo regionale per ottenere una decisione che riconoscesse l’illegalità dell’espropriazione e, per questo fatto, ottenere un risarcimento. Il tribunale gli diede guadagno di causa, con una decisione del 1 dicembre 1989.
10. Il 21 aprile 1983, la municipalità di Ravenna adottò un nuovo piano generale di urbanistica, sottoponendo di nuovo la totalità dei terreni ad un’interdizione a costruire, finalizzata all’espropriazione. Questo piano di urbanistica fu approvato il 25 giugno 1985 dalla regione Emilia-Romagna.
11. Il 26 novembre 1985, AM introdusse un ricorso dinnanzi al tribunale amministrativo regionale per contestare la reiterazione delle limitazioni che colpivano il suo terreno. Questo procedimento si concluse il 22 novembre 2004 con una decisione di non luogo a procedere a deliberare, considerando i cambiamenti intervenuti.
12. Nel frattempo, il 16 giugno 1983 e il 5 gennaio 1985, AM aveva iniziato due procedimenti per danno-interessi contro la municipalità di Ravenna in ragione dell’occupazione illegale di 879 metri quadrati e 1344 metri quadrati di terreno. Questi procedimenti si conclusero con gli ordinamenti amichevoli conclusi negli anni 1990.
13. Il 10 aprile 1986, AM decedette. I richiedenti ereditarono il restante dei terreni.
14. Il 3 marzo 1987, il prefetto di Ravenna autorizzò la società OMISSIS, munita di una concessione dell’amministrazione delle poste e telecomunicazioni, ad occupare una parte del terreno per costruire degli uffici. Il 18 ottobre 1990, i richiedenti conclusero in compenso un accordo di cessione di indennizzo e, in seguito, rinunciarono al ricorso che avevano introdotto dinnanzi al tribunale amministrativo per lamentarsi della privazione illegale del terreno.
15. L’ 11 giugno 1991, la municipalità di Ravenna modificò la destinazione di una parte del terreno e decise che questa sarebbe stata utilizzata come “zona sanitaria.” I richiedenti introdussero un ricorso per opposizione dinnanzi al tribunale amministrativo regionale. La conclusione di questo procedimento non è conosciuta; ad ogni modo la destinazione contestata non fu mantenuta (vedere sotto paragrafo 17).
16. Il 24 dicembre 1993, la municipalità di Ravenna adottò un nuovo piano generale di urbanistica che fu approvata il 12 luglio 1996 dalla regione. I permessi di espropriazione furono reiterati sulla quasi – totalità del terreno.
17. Trattandosi degli appezzamenti che non erano più soggetti al permesso di espropriazione, e che erano destinate precedentemente a “zona sanitaria”, furono destinate a “zone terziarie o a servizi privati di interesse pubblico.” I richiedenti poterono venderli al prezzo di mercato in data
del 21 aprile 2000.
18. Trattandosi di nuovo del terreno colpito da queste limitazioni, il 23 dicembre 1996, i richiedenti introdussero un ricorso dinnanzi al tribunale amministrativo per lamentarsene. I richiedenti rinunciarono a questo procedimento il 28 febbraio 2006.
19. Conformemente al piano di urbanistica del 1993, il terreno in questione aveva un potenziale edificabile teorico di 0,1 metro quadrato su 1 metro quadrato realizzabile a distanza, ossia altrove su dei terreni situati ed edificabili, purché il terreno controverso venisse ceduto gratuitamente alla municipalità. Questa situazione dipendeva dal sistema della perequazione in materia di urbanistica (vedere sotto paragrafo 27).
20. Nel 2000, la legge della regione Emilia-Romagna no 20/2000 entrò in vigore. Conformemente a questa legge, il nuovo piano generale di urbanistica sarebbe stato chiamato piano strutturale comunale (piano strutturale comunale, infra PSC).
21. Nei sei mesi precedenti la data di introduzione della richiesta, o il 29 aprile 2002, i richiedenti erano proprietari di 25 121 metri quadrati di un terreno, assegnato alla creazione del “Parco Baronio”, e registrato al catasto foglio 102, appezzamenti 394 e 395.
22. Nella cornice della preparazione del nuovo piano di urbanistica (PSC), il 1 luglio 2003, la municipalità di Ravenna pubblicò un parere di presentazione di offerte ai sensi dell’articolo 18 della legge 20/2000. Conformemente a questa disposizione, permettendo ai richiedenti di trattare la vendita del loro coefficiente di edificabilità – provocando anche la vendita del terreno nell’occorrenza – da parte dei proprietari di terreni situati in zone edificabili, i richiedenti dichiararono il loro interesse alla municipalità, in data 6 agosto 2003, ed iniziarono la ricerca di partner interessati. Le disposizioni in vigore permettevano ai richiedenti di utilizzare il loro coefficiente di edificabilità nello scompartimento”Antica Milizia/Stradone.” I terreni di questo scompartimento appartenevano per la quasi – totalità a due società, OMISSIS.
23. Il 28 aprile 2005, i richiedenti firmarono un accordo preliminare di vendita del terreno controverso e del suo coefficiente di edificabilità con le società OMISSIS. Si trattava di un accordo sotto condizione, perché affinché divenisse effettivo occorreva che le autorità l’integrassero nel PSC e che questo ultimo venisse approvato. La validità di questo accordo preliminare fu fissata fino al 30 maggio 2008.
24. Il 23 giugno 2005, l’accordo negoziato dai richiedenti fu inseriti nel PSC, che la municipalità di Ravenna adottò lo stesso giorno. Questo designava il terreno controverso come destinato alla creazione di una cintura verde intorno alla città. I terreni destinati alla creazione del parco Baronio tra cui il terreno dei richiedenti, avrebbero dovuto essere ceduti gratuitamente al comune. Peraltro, nel caso in cui le parti private avessero rinunciato all’accordo, l’amministrazione si riservava il diritto di inseguire in ogni caso l’interesse pubblico e gli obiettivi definiti dal PSC.
25. In seguito alle dimissioni del sindaco di Ravenna, il consiglio comunale fu sciolto ed il procedimento finalizzato all’approvazione del PSC conobbe un rallentamento. Il 24 febbraio 2006, i richiedenti ricevettero una comunicazione della municipalità di Ravenna, che li informava che l’amministrazione comunale non era stata in grado di approvare il PSC e che incombeva sul futuro consiglio comunale farlo. Gli accordi pattuiti da qui ad allora e presi in conto dall’amministrazione avrebbero potuto esporre i loro effetti solo dopo l’approvazione definitiva del PSC da parte dei nuovi eletti. Il nuovo consiglio comunale eletto nel maggio 2006 riprese il procedimento ed approvò il PSC con una decisione del 27 febbraio 2007, pubblicata il 26 aprile 2007 sul bollettino regionale.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
26. Il diritto e le pratica interna relative ai permessi di espropriazione ed alle interdizioni a costruire relative sono esposte nella causa Scordino c. Italia (no 2),( no 36815/97, §§ 25-45, 15 luglio 2004).
27. Ai fini della presente causa, conviene precisare la nozione di perequazione in materia di urbanistica. Spesso il piano di sviluppo del territorio richiede l’acquisizione di importanti lotti di terreno. Il sistema dell’espropriazione e quello dell’acquisto al prezzo di mercato cozza contro i costi elevati. Invece, il sistema della perequazione permette alle municipalità di acquisire gratuitamente un terreno gratuitamente o a basso prezzo ( gratuitamente nella presente causa). Secondo il sistema della perequazione, le municipalità identificano un insieme di terreni (le “zone”) ai quali assegnano lo stesso coefficiente di edificabilità. Ogni tipo di zona è diviso poi in settori (“scompartimenti”) all’interno dai quali i proprietari devono negoziare e devono accordarsi per sfruttare i loro diritti di costruzione relativamente ai volumi che sono assegnati loro. I proprietari dei terreni non sono liberi di sfruttare questi diritti di costruzione, ma devono seguire le indicazioni del piano territoriale elaborato dalla municipalità. Secondo i casi, i diritti di costruzione possono essere sfruttati dal proprietario, sul terreno che gli appartiene o su dei terreni che appartengono a terzi. Così, quando il proprietario di un terreno di cui la municipalità prevede l’espropriazione si vede assegnare dei diritti di costruzione teorici che può vendere ad un terzo che li utilizzerà altrove, la vendita dei diritti è sottoposta alla cessione del terreno alla municipalità. Questa cessione può essere diretta, come nello specifico, o indiretta, ossia il terreno è venduto al terzo acquirente dei diritti di costruzione, ed è questo ultimo che cederà il terreno alla municipalità.
28. Ai termini della legge della regione Emilia-Romagna no 20 di 2000 e del piano comunale strutturale di Ravenna che seguì, affinché siano effettivi, gli accordi intervenuti tra individui devono essere integrati nel piano di urbanistica (PSC); espongono i loro effetti solo dopo che questo ultimo è stato approvato. Una volta sfruttati i diritti di costruzione, il proprietario deve cedere gratuitamente il terreno non utilizzato alla municipalità. Nel caso in cui gli individui non avessero aderito o non rinunciato agli accordi in questione, la municipalità di Ravenna si era riservata il diritto di inseguire ad ogni modo l’interesse pubblico e gli obiettivi definiti dal PSC.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
29. Invocando l’articolo 1 del Protocollo no 1 e 13 della Convenzione, i richiedenti si lamentano della lunga durata dei permessi di espropriazione, abbinati ad interdizioni a costruire che colpiscono il loro terreno. Adducono che questa situazione equivale ad un’espropriazione de facto, senza indennizzo. I richiedenti adducono inoltre l’inesistenza in diritto interno di un ricorso effettivo che permette di ovviare alla situazione controversa.
La Corte stima che alla vista della loro natura, e per il fatto che l’aspetto procedurale si confonde con l’aspetto sostanziale, questi motivi di appello devono essere esaminati unicamente sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, (Rossitto c. Italia, no 7977/03, § 50, 26 maggio 2009. Ai termini di questa disposizione:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
30. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
1. La prima eccezione del Governo
31. Il Governo solleva un’eccezione derivata di non-esaurimento delle vie di ricorso interne, al motivo che i richiedenti non hanno attaccato dinnanzi al tribunale amministrativo tutte le decisioni di approvazione dei piani di urbanistica che provocavano le limitazioni controverse, o nella misura in cui questi procedimenti, sebbene impegnati, erano ancora pendenti.
32. I richiedenti affermano che tali ricorsi non sono efficaci.
33. La Corte osserva di avere esaminato già delle eccezioni simili e di avere concluso che un procedimento giudiziale che prevede l’annullamento di un determinato piano di urbanistica non potrebbe avere un’incidenza sulla presente richiesta, dato che i richiedenti si lamentano della durata e delle ripercussioni delle limitazioni che colpiscono il loro terreno in mancanza di indennizzo (Scordino c. Italia (no 2), (déc.), no 36815/97, 12 dicembre 2002). Peraltro, il Governo non ha dimostrato che i richiedenti disponevano di un ricorso accessibile ed efficace per contestare le disposizioni che avevano limitato il loro diritto di proprietà in modo continuo ed indeterminato (Terazzi S.r.l. c. Italia, (déc.), no 27265/95, 30 marzo 1999).
34. Di conseguenza, c’è luogo di respingere la prima eccezione sollevata dal Governo convenuto.
2. La seconda eccezione del Governo
35. Il Governo fa osservare poi che tra tutti i terreni menzionati dai richiedenti, solo quello che appartiene loro ancora e che è stato destinato alla creazione del Parco Baronio, o una superficie di 25 121 metri quadrati, può essere oggetto della presente richiesta.
36. I richiedenti contestano questa tesi.
37. La Corte rileva che eccetto il terreno di 25 121 metri quadrati tutti gli altri terreni a proposito dei quali i richiedenti hanno sollevato dei motivi di appello sono stati venduti sopra, o espropriati o ceduti o in ogni caso persi più di sei mesi prima del 29 aprile 2002, data di introduzione della richiesta. Quindi, i motivi di appello relativi a questi altri terreni devono essere respinti come tardivi ai sensi dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione
38. Trattandosi del motivo di appello relativo al terreno restante, e che è l’oggetto della richiesta, la Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
1. Tesi dei richiedenti
39. I richiedenti sostengono che la situazione denunciata non è conforme all’articolo 1 del Protocollo no 1. Sottolineano che l’ingerenza nel loro diritto al rispetto del loro beni dura dagli anni 1970. A partire da questa epoca il terreno in questione è stato sottomesso ai permessi di espropriazione abbinati ad interdizioni a costruire, in attesa che l’amministrazione procedesse all’espropriazione. Si lamentano dell’incertezza che ne risulta e della mancanza totale di indennizzo per il sacrificio che è stato imposto loro. Affermano che, per l’effetto combinato delle interdizioni a costruire in vista dell’espropriazione del terreno, il loro diritto di proprietà “è stato congelato” durante tutto questo periodo: hanno perso il pieno godimento del terreno ed il valore di questo è stato ridotto a nulla.
40. In quanto alla possibilità di utilizzare il terreno sotto l’influenza delle misure controverse, i richiedenti osservano che, in passato, una grande parte dei terreni appartenuta alla loro famiglia era sfruttata ai fini agricoli. Spiegano del resto che si trova una fattoria sul terreno in questione,
(casa colonica) abbandonata in seguito alle vicissitudini che i terreni di AM hanno conosciuto.
41. Negli anni 2000 (avviso di presentazione di offerte del 1 luglio 2003) la municipalità ha dato loro la possibilità di vendere i diritti a costruire che il piano di urbanistica del 1993 aveva contemplato teoricamente, 0,1 metro quadrato per metro quadrato, ma questa vendita può farsi solo ad un prezzo inferiore del 75% rispetto al prezzo di mercato. Il prezzo pattuito, largamente inferiore al prezzo del mercato, non rappresenta in ogni caso un indennizzo per il periodo di quasi quarant’ anni durante il quale il terreno è stato sottomesso ad incertezza totale ed alle limitazioni a costruire.
42. I richiedenti sottolineano che anche dopo la firma dell’accordo preliminare di vendita che hanno concluso, degli anni sono trascorsi prima dell’approvazione del piano strutturale comunale, e che l’accordo non ha potuto esporre prima i suoi effetti. Adducono che, affinché sia effettivo, questo accordo dovrebbe aspettare ancora l’approvazione del piano di urbanistica dettagliato.
43. Malgrado l’attribuzione del coefficiente di edificabilità controverso nel 1993, il terreno ha conservato una finalità pubblica e questo è confermato dai due seguenti elementi. Da una parte, nel caso in cui gli interessati riuscissero a trovare un acquirente, il terreno sarebbe ceduto in seguito gratuitamente. D’altra parte, nel caso in cui i richiedenti non fossero arrivati ad un accordo o avessero rinunciato, l’amministrazione essendosi riservata il diritto di realizzare in ogni caso l’interesse pubblico e gli obiettivi del piano di urbanistica, avrebbe potuto espropriare.
44. Tenuto conto della gravità dell’attentato al loro diritto di proprietà, i richiedenti affermano che c’è stata rottura del giusto equilibrio e chiedono alla Corte di concludere alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
2. Tesi del Governo
45. Il Governo sostiene, che la situazione denunciata dai richiedenti è compatibile con l’articolo 1 del Protocollo no 1. A questo riguardo, fa osservare che la situazione controversa non si analizza in una privazione di proprietà e non può essere assimilata a questa. Poi, le limitazioni che ledono il terreno dei richiedenti sono previste dalla legge e rispondono all’interesse pubblico, poiché si tratta di creare dei parchi pubblici.
46. Trattandosi del giusto equilibrio, il Governo ammette che il progetto di acquisizione del terreno controverso da parte dell’amministrazione non è stato realizzato per molto tempo. Stima, tuttavia che dall’approvazione del piano di urbanistica del 1993, assegnando al terreno dei richiedenti un potenziale edificabile realizzabile a distanza, la situazione sarebbe stata risanata, una volta il piano strutturale comunale approvato.
47. La possibilità di vendere il terreno non è stata peraltro, mai inesistente, il che è confermato dagli accordi sottoscritti dai richiedenti.
48. Inoltre, i richiedenti avrebbero potuto fare un uso agricolo del loro terreno.
49. Avuto riguardo a queste considerazioni, il Governo afferma che non c’è stata rottura del giusto equilibrio nello specifico ed egli chiede alla Corte di concludere alla non-violazione dell’articolo 1 del Protocollo nº 1.
3. Valutazione della Corte
50. La Corte nota che le parti si accordano per dire che c’è stata ingerenza nel diritto dei richiedenti al rispetto dei loro beni.
51. Resta da esaminare se suddetta ingerenza ha infranto o meno l’articolo 1 del Protocollo no 1.
52. A questo riguardo, la Corte rileva che gli effetti denunciati dai richiedenti derivano tutti dalla diminuzione della disponibilità del bene in causa. Risultano delle limitazioni portate al diritto di proprietà così come delle conseguenze di queste sul valore dell’immobile. Tuttavia, sebbene abbia perso della sua sostanza, il diritto in causa non è sparito interamente. Gli effetti delle misure in questione non sono tali da assimilarli ad una privazione di proprietà. La Corte nota a questo motivo che i richiedenti non hanno perso l’accesso al terreno né la padronanza di questo e che in principio la possibilità di vendere il terreno, anche resa più ardua, è rimasta. Stima quindi che non c’è stata espropriazione di fatto e che la seconda frase del primo capoverso non si trova dunque ad applicare nello specifico (Scordino c. Italia (no 2), no 36815/97, § 70, 15 luglio 2004;
Elia S.r.l. c. Italia, no 37710/97, § 56, CEDH 2001-IX; Matos e Silva, Lda, ed altri c. Portogallo, 16 settembre 1996, § 89, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-IV).
53. La Corte è del parere che le misure controverse non rilevano neanche della regolamentazione dell’uso dei beni, ai sensi del secondo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Difatti, se è vero che si tratta di interdizioni a costruire che regolamentano l’uso dei beni (Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 64, serie A no 52) non ne rimane meno che le stesse misure miravano all’espropriazione finale del terreno.
54. Quindi, la Corte stima che la situazione denunciata dal richiedenti dipende dalla prima frase dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Sporrong e Lönnroth, precitata, § 65; Elia Srl, precitata, § 57; Scordino c. Italia no 2, precitata, § 73).
55. La Corte giudica naturale che, in una tenuta anche complessa e difficile come il piano di sviluppo del territorio, gli Stati contraenti godono di un grande margine di valutazione per condurre la loro politica urbanistica (Sporrong e Lönnroth, precitata, § 69). Tiene per stabilito che l’ingerenza nel diritto dei richiedenti al rispetto dei loro beni soddisfaceva le esigenze dell’interesse generale. Non potrebbe sottrarsi per tanto al suo dovere di controllo. Le appartiene di verificare che l’equilibrio voluto è stato preservato tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo, (sentenze Sporrong e Lönnroth, precitata, § 69, e Phocas c. Francia, 23 aprile 1996, § 53, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-II).
56. A questo riguardo, la Corte constata che il terreno dei richiedenti è stato sottomesso ad un permesso di espropriazione abbinato ad un’interdizione a costruire in virtù del piano generale di urbanistica approvato il 23 settembre 1975. Poi, il permesso di espropriazione è stato rinnovato in differenti riprese.
57. È vero che, nella cornice della perequazione in materia di urbanistica, dei diritti a costruire realizzabili a distanza sono stati assegnati al terreno controverso dal piano di urbanistica del 1993, e confermati poi dal piano strutturale comunale adottato nel 2003. La Corte deve analizzare le ripercussioni che questa situazione ha avuto sul terreno dei richiedenti.
58. In quanto al punto di sapere se i diritti di costruzione controversi hanno tolto o meno la finalità pubblica del terreno, la Corte nota che il bene in questione è restato costantemente assegnato alla realizzazione di un parco pubblico, e dunque era destinato ad essere acquistato al patrimonio della città di Ravenna.
Questo è confermato dal fatto del resto che ai termini delle disposizioni applicabili nello specifico, l’amministrazione beneficia dell’acquisizione gratuita del terreno una volta l’accordo di vendita concluso coi richiedenti diventa effettivo. Per di più, la Corte rileva che l’amministrazione non ha rinunciato al suo potere di espropriazione, e che al contrario, si è riservata il diritto di realizzare ad ogni modo l’interesse pubblico, conformemente agli obiettivi fissati nel piano strutturale comunale, per il caso in cui i richiedenti non avessero aderito all’offerta del 2003 o avessero rinunciato agli accordi.
Agli occhi della Corte, questo vuole dire che, dall’approvazione del piano di urbanistica del 1993 il terreno in questione è restato soggetto al potere di espropriazione dell’amministrazione.
59. In quanto al punto di sapere se l’attribuzione dei diritti a costruire realizzabili a distanza ha tolto l’interdizione a costruire che colpiva il terreno, la Corte constata che il terreno è restato inedificabile in vista della sua destinazione alla realizzazione di un spazio verde pubblico.
60. Infine, la Corte è del parere che l’attribuzione dei diritti a costruire teorici controversi non costituiscono una forma di indennizzo per le limitazioni che hanno colpito il terreno in questione.
61. Queste limitazioni sono in principio finite nel 2007-2008. Difatti, gli accordi preliminari di vendita dei diritti a costruire e del terreno, conclusi nel 2005 e validi fino al 30 maggio 2008, contemplavano che i loro effetti venissero esposti a condizione che il PSC venisse approvato. Questo piano di urbanistica essendo stato approvato il 27 febbraio 2007 ed essendo stato pubblicato anche il 26 aprile 2007, la Corte, sul bollettino regionale in mancanza di informazione delle parti in quanto agli sviluppi ulteriori, constata che in seguito a questa approvazione, nessuno ostacolo sembra rimanere in principio allo spiegamento degli effetti degli accordi in questione.
62. Ne risulta che il terreno controverso è stato colpito da permesso di espropriazione e da limitazioni a costruire in modo continuo dal 1975 (Terazzi c. Italia, precitata, § 83) e fino nel 2008, o per circa trentatre anni.
63. La Corte stima che durante tutto il periodo riguardato, AM da prima e poi i richiedenti sono restati in un’incertezza totale in quanto alla sorte della loro proprietà, potendo avere luogo l’espropriazione in ogni momento e potendo essere colpito il terreno da un’altra interdizione in vista della sua espropriazione dal piano seguente di urbanistica.
64. La Corte nota che il diritto interno non ha permesso di ovviare all’incertezza che lede il terreno degli interessati.
65. Stima inoltre che l’esistenza, durante tutto il periodo riguardato, di interdizioni a costruire sul terreno ha ostacolato il pieno godimento del diritto di proprietà dei richiedenti e ha accentuato le ripercussioni dannose sulla situazione di questi indebolendo considerevolmente, tra l’altro, le probabilità di vendere il terreno.
66. Infine, constata che i richiedenti non hanno avuto indennizzo.
67. Le circostanze della causa, in particolare l’incertezza e l’inesistenza di ogni ricorso interno effettivo suscettibile di ovviare alla situazione controversa, combinate con l’ostacolo al pieno godimento del diritto di proprietà e alla mancanza di indennizzo, portano la Corte a considerare che i richiedenti hanno dovuto sopportare un carico speciale ed esorbitante che ha rotto il giusto equilibrio che deve regnare tra, da una parte, le esigenze dell’interesse generale e, dall’altra parte, la salvaguardia del diritto al rispetto dei beni (sentenze Sporrong e Lönnroth, precitata, p; 28, §§ 73-74; Erkner e Hofauer, precitata, §§ 78-79; Elia, precitata, § 83; Rossitto, precitata, §§ 45-46. Vedere anche lw seguenti cause: Skibińscy c. Polonia, no 52589/99, 14 novembre 2006; Buczkiewicz c. Polonia, no10446/03, 26 febbraio 2008; Skrzyński c. Polonia, no 38672/02, 6 settembre 2007; Rosiński c. Polonia, no 17373/02, 17 luglio 2007; Tarnawczyk c. Polonia, no 27480/02, 7 dicembre 2010; Debelianovi c. Bulgaria, no 61951/00, 29 marzo 2007 e, ha contrario, SCEA Ferme di Fresnoy c. Francia, déc.), no 61093/00, CEDH 2005-XIII (brani)).
68. In conclusione, c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI DELLA CONVENZIONE
69. I richiedenti invocano anche l’articolo 6 della Convenzione, a proposito della durata dei numerosi procedimenti che hanno iniziato a livello nazionale. Trattandosi dei procedimenti finiti più di sei mesi prima dell’introduzione della richiesta, la Corte stima che questo motivo di appello è tardivo. In quanto ai due procedimenti che erano pendenti al momento dell’introduzione della richiesta, i richiedenti non hanno precisato se si sono avvalsi del rimedio introdotto dalla legge Pinto. Questo motivo di appello è quindi inammissibile per non esaurimento delle vie di ricorso interne. Ne segue che questa parte della richiesta deve essere respinta ai sensi dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
70. I richiedenti invocano l’articolo 14 della Convenzione, per lamentarsi che il loro terreno ha ottenuto un coefficiente di edificabilità inferiore rispetto ai terreni limitrofi. Vedono in questa differenza di trattamento e nelle decisioni delle autorità un accanimento discriminatorio al loro riguardo. Alla luce degli elementi della pratica, e nella misura in cui è competente per conoscerne, la Corte non ha rilevato nessuna apparenza di violazione di questa disposizione. Ne segue che questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
71. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno patrimoniale
72. I richiedenti richiedono un’indennità per il danno patrimoniale. Hanno depositato un documento della municipalità di Ravenna che fa stato del valore venale al 20 maggio 1963 della totalità dei terreni
(99 999 metri quadrati) appartenenti a loro madre. Riferendosi alla superficie che apparteneva loro ancora al momento dell’introduzione della richiesta (25 121 metri quadrati) i richiedenti formulano tre ipotesi alternative di indennizzo che hanno come punto di partenza 1973, data dell’adozione del piano di urbanistica che sottopose il terreno al permesso di espropriazione per la prima volta.
73. In primo luogo, i richiedenti stimano che potrebbero essere indennizzati come se fossero stati espropriati nel 1973, applicando un interesse sulla somma che sarebbe stata versata loro in caso di espropriazione, indicizzata (925 594,05 EUR). In secondo luogo, potrebbero essere indennizzati come se avessero venduto il terreno giusto prima che venisse colpito dalle limitazioni controverse e, su base della stima del valore venale del terreno fatto dalla municipalità nel 1963, indicizzando il valore ed applicando gli interessi su questo (873 623,51 EUR).
In terzo luogo, richiedono la differenza tra gli importi che potranno ottenere su base degli accordi negoziati nella cornice della perequazione ed il prezzo che avrebbero potuto ottenere in caso di vendita al prezzo del mercato (2 512 200 EUR).
74. Peraltro, i richiedenti hanno depositato un rapporto di perizia, che fa stato di un danno patrimoniale di 5 542 110 EUR, concernente la totalità dei terreni che appartenevano ad AM e risultante della differenza tra l’ importo incassato a titolo di indennità, risarcimenti e prezzi delle vendite, e l’importo che i richiedenti avrebbero potuto incassare se fossero stati liberi di sfruttare i terreni in causa.
75. Il Governo si oppone e fa osservare in primo luogo che la vendita dei diritti a edificare potrà compensare il danno. In secondo luogo, le pretese sono eccessive e non si basano su un metodo di calcolo accettabile. Ad ogni modo, la Corte dovrà tenere conto del fatto che l’uso agricolo del terreno era possibile.
76. La Corte ricorda che una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico di mettere un termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire tanto quanto si può fare la situazione anteriore a questa (Iatridis c. Grecia (soddisfazione equa) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI). Se la natura della violazione permette una restitutio in integrum, incombe sullo stato convenuto di realizzarla, non avendo la Corte né la competenza né la possibilità pratica di compierla lei stessa. Se il diritto nazionale non permette, in compenso, o permette solamente imperfettamente di cancellare le conseguenze della violazione, l’articolo 41 abilita la Corte ad accordare, se c’è luogo, alla parte lesa la soddisfazione che gli sembra appropriata (Brumarescu c. Romania (soddisfazione equa) [GC], no 28342/95, § 20, CEDH 2000-I).
77. La Corte ha detto che l’ingerenza controversa soddisfaceva le esigenze dell’interesse generale, paragrafo 55 sopra.
78. In quanto all’indennizzo da fissare nello specifico, questa non dovrà quindi riflettere l’idea di una cancellazione totale delle conseguenze dell’ingerenza controversa (Papamichalopoulos ed altri c. Grecia (articolo 50), 31 ottobre 1995, §§ 36 e 39, serie A no 330-B; Ex-re di Grecia ed altri c. Grecia [GC] (soddisfazione equa), no 25701/94, § 78, 28 novembre 2002) in mancanza di una constatazione di illegalità.
79. La Corte stima poi che le circostanze della causa non suscitano una valutazione precisa del danno patrimoniale. Il tipo di danno di cui è questione presenta un carattere intrinsecamente aleatorio, il che rende impossibile un calcolo preciso delle somme necessarie al suo risarcimento (Lallement c. Francia (soddisfazione equa), no 46044/99, § 16, 12 giugno 2003; Sporrong e Lönnroth c. Svezia (articolo 50), 18 dicembre 1984, § 32, serie A no 88).
80. Per calcolare, in equità, il danno, la Corte prenderà in considerazione che la constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 non riguarda i permessi di espropriazioni e le interdizioni a costruire in quanto tali ma delle restrizioni alla disponibilità del terreno a contare dal settembre 1975, ossia dall’approvazione del piano generale di urbanistica che colpiva il terreno (Elia S.r.l. c. Italia (soddisfazione equa), no 37710/97, § 23, 22 luglio 2004).
81. Il punto di partenza del ragionamento deve essere il valore probabile del terreno a questa stessa epoca e la Corte allontana per questo fatto le pretese dei richiedenti nella misura in cui queste sono fondate sul valore reale o attualizzato del terreno (sentenza Scordino (no 2), precitata, § 121).
82. Per valutare il valore del terreno nel 1975, la Corte stima opportuno partire dalla stima del terreno effettuata nel 1963 dalla municipalità di Ravenna. Secondo questa, la totalità dei terreni che appartenevano ad AM (99 999 metri quadrati) valeva all’epoca 293 480 000 Lire italiane. Quindi, il terreno oggetto della richiesta (25 121 metri quadrati) valeva, nel 1963, 61 986 530 ITL, o 32 013,37 euro (EUR). Questo importo indicizzato al mese di settembre 1975 equivaleva a 64 642 EUR.
83. Una volte determinato il valore del terreno nel 1975, la Corte considera che in mancanza di altri elementi, il danno che deriva dall’indisponibilità del terreno durante il periodo considerato può essere compensato dal versamento di una somma che corrisponde all’interesse legale durante tutto questo periodo applicato al controvalore del terreno così determinato (vedere Terazzi S.r.l. c. Italia (soddisfazione equa), no 27265/95, § 37, 26 ottobre 2004; Elia S.r.l. c. Italia (soddisfazione equa), precitata, § 25).
84. Alla luce di queste considerazioni, e deliberando in equità come vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte accorda 75 000 EUR a ciascuno dei richiedenti, o una somma globale di 150 000 EUR.
B. Danno morale
85. I richiedenti richiedono un milione di euro a titolo del danno morale che avrebbero subito a causa dell’incertezza che regna sui loro terreni e del sentimento di essere stati discriminati rispetto ai loro vicini.
86. Il Governo si oppone.
87. Tenuto conto delle circostanze della causa, la Corte considera che la violazione della Convenzione ha portato ai richiedenti un torto morale che risulta dall’incertezza della situazione controversa (Scordino (no 2), precitata, § 127). La Corte assegna congiuntamente ai richiedenti la somma globale di 5 000 EUR.
C. Oneri e spese
88. In quanto agli oneri impegnati nel procedimento dinnanzi alla Corte, i richiedenti non formulano nessuna domanda. Chiedono il rimborso degli oneri e spese impegnati dinnanzi alle numerose giurisdizioni interne che hanno investito nel periodo riguardato.
89. Il Governo si oppone.
90. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico, tenuto conto dei documenti in suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte respinge la domanda relativa agli oneri e spese del procedimento nazionale.
D. Interessi moratori
91. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1, nella misura in cui riguarda il terreno di 25 121 metri quadrati destinati al Parco Baronio, ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce, che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce,
a) che lo stato convenuto deve versare congiuntamente ai richiedenti, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 150 000 EUR (centocinquanta mila euro) per danno patrimoniale, e 5 000 EUR (cinquemila euro) per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 12 luglio 2011,
in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Francesca Tulkens
Cancelliere Presidentessa

Testo Tradotto

Conclusion Partiellement irrecevable ; Violation de P1-1 ; Dommage matériel et préjudice moral – réparation
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE MAIOLI c. ITALIE
(Requête no 18290/02)
ARRÊT
STRASBOURG
12 juillet 2011
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Maioli c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
Giorgio Malinverni,
Işıl Karakaş,
Guido Raimondi,
Paulo Pinto de Albuquerque, juges,
et de Stanley Naismith, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 21 juin 2011,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 18290/02) dirigée contre la République italienne et dont deux ressortissants de cet Etat, OMISSIS (« les requérants »), ont saisi la Cour le 29 avril 2002 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales
(« la Convention »).
2. Les requérants sont représentés par Me OMISSIS, avocat à Cesena. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, Mme E. Spatafora, et par son ancien coagent adjoint, M. Lettieri.
3. Les requérants allèguent en particulier une atteinte à leur droit au respect des biens au vu des limitations frappant leur terrain.
4. Le 24 novembre 2004, le Président de la quatrième section a décidé de communiquer au Gouvernement le grief tiré d’une atteinte au droit au respect des biens. Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond. A la suite de la recomposition des sections, l’affaire a été attribuée à la deuxième section de la Cour.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Les requérants sont nés respectivement en 1936 et 1939 et résident à Ravenne. La mère des
requérants (infra AM) était propriétaire de 99 999 mètres carrés de terrain à Ravenne.
6. Le 11 juillet 1962, la municipalité de Ravenne adopta un plan général d’urbanisme (« piano regolatore generale ») frappant d’un permis d’exproprier assorti d’une interdiction de construire (« vincolo di inedificabilità preordinato all’esproprio ») environ 65% du terrain. Cette partie était affectée à la création de « zones de réserve » et à la viabilité routière. Le plan d’urbanisme fut approuvé par un décret du Président de la République du 2 février 1966.
7. Le 31 juillet 1973, la municipalité de Ravenne adopta un nouveau plan général d’urbanisme et imposa sur la totalité du terrain d’AM des permis d’exproprier assortis d’une interdiction de construire. Les terrains étaient affectés en partie à la création d’une zone verte, dénommée
« Parc Baronio », en partie à des équipements publics urbains (bureaux de l’administration), et une partie à la viabilité routière (gare d’autobus). Ce plan fut approuvé le 23 septembre 1975 par la région Émilie-Romagne.
8. Le 2 décembre 1975, 35 370 mètres carrés de terrain devant être expropriés furent cédés à la municipalité de Ravenne en contrepartie d’une indemnité.
9. Le 30 novembre 1982, la municipalité de Ravenne prononça l’expropriation de 11 310 mètres carrés de terrain afin d’y construire une route. AM introduisit un recours devant le tribunal administratif régional afin d’obtenir une décision reconnaissant l’illégalité de l’expropriation et, de ce fait, d’obtenir un dédommagement. Le tribunal lui donna gain de cause, par une décision du 1er décembre 1989.
10. Le 21 avril 1983, la municipalité de Ravenne adopta un nouveau plan général d’urbanisme, soumettant à nouveau la totalité des terrains à une interdiction de construire finalisée à l’expropriation. Ce plan d’urbanisme fut approuvé le 25 juin 1985 par la région Émilie-Romagne.
11. Le 26 novembre 1985, AM introduisit un recours devant le tribunal administratif régional pour contester la réitération des limitations frappant son terrain. Cette procédure se termina le 22 novembre 2004 par une décision de non-lieu à statuer, étant donné les changements intervenus depuis.
12. Entre-temps (les 16 juin 1983 et 5 janvier 1985), AM avait entamé deux procédures en dommages-intérêts à l’encontre de la municipalité de Ravenne en raison de l’occupation illégale de 879 mètres carrés et 1344 mètres carrés de terrain. Ces procédures se terminèrent par des règlements amiables conclus dans les années 1990.
13. Le 10 avril 1986, AM décéda. Les requérants héritèrent le restant des terrains.
14. Le 3 mars 1987, le préfet de Ravenne autorisa la société OMISSIS, munie d’une concession de l’administration des postes et télécommunications, à occuper une partie du terrain afin d’y construire des bureaux. Le 18 octobre 1990, les requérants conclurent un accord de cession en contrepartie d’indemnisation et, par la suite, renoncèrent au recours qu’ils avaient introduit devant le tribunal administratif pour se plaindre de la privation illégale du terrain.
15. Le 11 juin 1991, la municipalité de Ravenne modifia l’affectation d’une partie du terrain et décida que celle-ci serait utilisée comme « zone sanitaire ». Les requérants introduisirent un recours en opposition devant le tribunal administratif régional. L’issue de cette procédure n’est pas connue ; en tout état de cause l’affectation contestée ne fut pas maintenue (voir paragraphe 17 ci-dessous).
16. Le 24 décembre 1993, la municipalité de Ravenne adopta un nouveau plan général d’urbanisme, qui fut approuvé le 12 juillet 1996 par la région. Les permis d’exproprier furent réitérés sur la quasi-totalité du terrain.
17. S’agissant des parcelles qui n’étaient plus assujetties au permis d’exproprier, et qui étaient précédemment affectées à « zone sanitaire », elles furent destinées à « zones tertiaires ou à services privés d’intérêt public ». Les requérants purent les vendre au prix du marché en date
du 21 avril 2000.
18. S’agissant du terrain frappé à nouveau par ces limitations, le 23 décembre 1996, les requérants introduisirent un recours devant le tribunal administratif pour s’en plaindre. Les requérants renoncèrent à cette procédure le 28 février 2006.
19. Conformément au plan d’urbanisme de 1993, le terrain en question avait un potentiel constructible théorique de 0,1 mètre carré sur 1 mètre carré réalisable à distance, à savoir sur des terrains situés ailleurs et constructibles, à condition que le terrain litigieux soit cédé gratuitement à la municipalité. Cette situation relevait du système de la péréquation en matière d’urbanisme (voir paragraphe 27 ci-dessous).
20. En 2000, la loi de la région Émilie-Romagne no 20/2000 entra en vigueur. Conformément à cette loi, le nouveau plan général d’urbanisme serait appelé plan structurel communal (piano strutturale comunale, infra PSC).
21. Dans les six mois précédant la date d’introduction de la requête, soit le 29 avril 2002, les requérants étaient propriétaires de 25 121 mètres carrés d’un terrain, affecté à la création du « Parc Baronio », et enregistré au cadastre feuille 102, parcelles 394 et 395.
22. Dans le cadre de la préparation du nouveau plan d’urbanisme (PSC), le 1er juillet 2003, la municipalité de Ravenne publia un avis de présentation d’offres au sens de l’article 18 de la loi 20/2000. Conformément à cette disposition, permettant aux requérants de négocier la vente de leur coefficient de constructibilité – entraînant aussi la vente du terrain en l’occurrence- avec les propriétaires de terrains situés en zones constructibles, les requérants déclarèrent leur intérêt à la municipalité, en date du 6 août 2003, et entamèrent la recherche de partenaires intéressés. Les dispositions en vigueur permettaient aux requérants d’utiliser leur coefficient de constructibilité dans le compartiment « Antica Milizia/Stradone ». Les terrains de ce compartiment appartenaient pour la quasi-totalité à deux sociétés (OMISSIS).
23. Le 28 avril 2005, les requérants signèrent un accord préliminaire de vente du terrain litigieux et de son coefficient de constructibilité avec les sociétés OMISSIS. Il s’agissait d’un accord sous condition, car pour qu’il devienne effectif il fallait que les autorités l’intègrent dans le PSC et que ce dernier soit approuvé. La validité de cet accord préliminaire fut fixée jusqu’au 30 mai 2008.
24. Le 23 juin 2005, l’accord négocié par les requérants futs inséré dans le PSC, que la municipalité de Ravenne adopta le même jour. Celui-ci désignait le terrain litigieux comme étant affecté à la création d’une ceinture verte autour de la ville. Les terrains destinés à la création du parc Baronio, dont le terrain des requérants, devraient être cédés gratuitement à la commune. Par ailleurs, au cas où les parties privées se désisteraient de l’accord, l’administration se réservait le droit de poursuivre en tout cas l’intérêt public et les objectifs définis par le PSC.
25. A la suite de la démission du maire de Ravenne, le conseil communal fut dissout et la procédure finalisée à l’approbation du PSC connut un ralentissement. Le 24 février 2006, les requérants reçurent une communication de la municipalité de Ravenne, les informant que l’administration communale n’avait pas été en mesure d’approuver le PSC et qu’il incombait au futur conseil communal de le faire. Les accords négociés d’ici là et pris en compte par l’administration ne pourraient déployer leurs effets qu’après l’approbation définitive du PSC par les nouveaux élus. Le nouveau conseil communal élu en mai 2006 reprit la procédure et approuva le PSC par une décision du 27 février 2007, publiée le 26 avril 2007 au bulletin régional.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
26. Le droit et la pratique internes relatifs aux permis d’exproprier et aux interdictions de construire y relatives sont exposés dans l’affaire Scordino c. Italie (no 2), no 36815/97, §§ 25-45, 15 juillet 2004.
27. Pour les besoins de la présente affaire, il convient de préciser la notion de péréquation en matière d’urbanisme. Souvent l’aménagement du territoire requiert l’acquisition d’importants lots de terrain. Le système de l’expropriation et celui de l’achat au prix du marché se heurtent à des coûts élevés. Par contre, le système de la péréquation permet aux municipalités d’acquérir un terrain gratuitement ou à bas prix (gratuitement dans la présente affaire). Selon le système de la péréquation, les municipalités identifient un ensemble de terrains (les « zones ») auxquels ils attribuent le même coefficient de constructibilité. Chaque type de zone est ensuite divisé en secteurs (« compartiments») à l’intérieur desquels les propriétaires doivent négocier et s’entendre pour exploiter leurs droits de construire relativement aux volumes qui leur sont attribués. Les propriétaires des terrains ne sont pas libres d’exploiter ces droits de construire, mais ils doivent suivre les indications du plan territorial élaboré par la municipalité. Selon les cas, les droits de construire peuvent être exploités par le propriétaire, sur le terrain lui appartenant ou bien sur des terrains appartenant à des tiers. Ainsi, lorsque le propriétaire d’un terrain dont la municipalité envisage l’expropriation se voit attribuer des droits de construction théoriques qu’il peut vendre à un tiers qui les utilisera ailleurs, la vente des droits est soumise à la cession du terrain à la municipalité. Cette cession peut être directe, comme en l’espèce, ou bien indirecte, à savoir le terrain est vendu au tiers acquéreur des droits de construire, et c’est ce dernier qui cédera le terrain à la municipalité.
28. Aux termes de la loi de la région Émilie-Romagne no 20 de 2000 et du plan communal structurel de Ravenne qui s’ensuivit, pour qu’ils soient effectifs, les accords intervenus entre particuliers doivent être intégrés dans le plan d’urbanisme (PSC); ils ne déploient leurs effets qu’après que ce dernier ait été approuvé. Une fois les droits de construire exploités, le propriétaire doit céder gratuitement le terrain non utilisé à la municipalité. Au cas où les particuliers n’adhèreraient pas ou se désisteraient des accords en question, la municipalité de Ravenne s’est réservé le droit de poursuivre en tout état de cause l’intérêt public et les objectifs définis par le PSC.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
29. Invoquant l’article 1 du Protocole no 1 et 13 de la Convention, les requérants se plaignent de la longue durée des permis d’exproprier, assortis d’interdictions de construire, qui frappent leur terrain. Ils allèguent que cette situation équivaut à une expropriation de facto, sans indemnisation. Les requérants allèguent en outre l’inexistence en droit interne d’un recours effectif permettant de remédier à la situation litigieuse.
La Cour estime qu’au vu de leur nature, et du fait que l’aspect procédural se confond avec l’aspect substantiel, ces griefs doivent être examinés uniquement sous l’angle de l’article 1 du Protocole no 1, (Rossitto c. Italie, no 7977/03, § 50, 26 mai 2009). Aux termes de cette disposition :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
30. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
1. La première exception du Gouvernement
31. Le Gouvernement soulève une exception tirée du non-épuisement des voies de recours internes, au motif que les requérants n’ont pas attaqué devant le tribunal administratif toutes les décisions d’approbation des plans d’urbanisme entraînant les limitations litigieuses, ou dans la mesure où ces procédures, bien qu’engagées, étaient encore pendantes.
32. Les requérants affirment que de tels recours ne sont pas efficaces.
33. La Cour observe avoir déjà examiné des exceptions similaires et avoir conclu qu’une procédure judiciaire visant l’annulation d’un plan d’urbanisme déterminé ne pourrait avoir une incidence sur la présente requête, étant donné que les requérants se plaignent de la durée et des répercussions des limitations frappant leur terrain en l’absence d’indemnisation (Scordino c. Italie (no 2), (déc.), no 36815/97, 12 décembre 2002). Par ailleurs, le Gouvernement n’a pas démontré que les requérants disposaient d’un recours accessible et efficace pour contester les dispositions ayant limité leur droit de propriété de manière continue et indéterminée (Terazzi S.r.l. c. Italie, (déc.), no 27265/95, 30 mars 1999).
34. Par conséquent, il y a lieu de rejeter la première exception soulevée par le Gouvernement défendeur.
2. La deuxième exception du Gouvernement
35. Le Gouvernement fait ensuite observer que parmi tous les terrains évoqués par les requérants, seul celui qui leur appartient encore et qui a été destiné à la création du Parc Baronio (soit une surface de 25 121 mètres carrés) peut faire l’objet de la présente requête.
36. Les requérants contestent cette thèse.
37. La Cour relève qu’à l’exception du terrain de 25 121 mètres carrés ci-dessus, tous les autres terrains à propos desquels les requérants ont soulevé des griefs ont été vendus ou expropriés ou cédés ou en tout cas perdus bien plus de six mois avant le 29 avril 2002, date d’introduction de la requête. Dès lors, les griefs relatifs à ces autres terrains doivent être rejetés comme étant tardifs au sens de l’article 35 §§ 1 et 4 de la Convention
38. S’agissant du grief relatif au terrain restant, et qui fait l’objet de la requête, la Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Thèse des requérants
39. Les requérants soutiennent que la situation dénoncée n’est pas conforme à l’article 1 du Protocole no 1. Ils soulignent que l’ingérence dans leur droit au respect de leurs biens dure depuis les années 1970. A partir de cette époque le terrain en question a été soumis à des permis d’exproprier assortis d’interdictions de construire, en attendant que l’administration procède à l’expropriation. Ils se plaignent de l’incertitude qui en résulte et de l’absence totale d’indemnisation pour le sacrifice qui leur a été imposé. Ils affirment que, par l’effet combiné des interdictions de construire en vue de l’expropriation du terrain, leur droit de propriété a été « gelé » pendant toute cette période : ils ont perdu la pleine jouissance du terrain et la valeur de celui-ci a été réduite à néant.
40. Quant à la possibilité d’utiliser le terrain sous le coup des mesures litigieuses, les requérants observent que, dans le passé, une grande partie des terrains ayant appartenu à leur famille était exploitée à des fins agricoles. Ils expliquent d’ailleurs que sur le terrain en question se trouve une ferme (casa colonica) abandonnée suite aux vicissitudes que les terrains d’AM ont connues.
41. Dans les années 2000 (avis de présentation d’offres du 1er juillet 2003), la municipalité leur a donné la possibilité de vendre les droits de construire que le plan d’urbanisme de 1993 avait théoriquement prévus (0,1 mètre carré par mètre carré), mais cette vente ne peut se faire qu’à un prix inférieur de 75% par rapport au prix du marché. Le prix négocié, largement inférieur au prix du marché, ne représente en tout cas pas une indemnisation pour la période de presque quarante ans pendant laquelle le terrain a été soumis à une incertitude totale et aux limitations de construire.
42. Les requérants soulignent que même après la signature de l’accord préliminaire de vente qu’ils ont conclu, des années se sont écoulées avant l’approbation du plan structurel communal, et que l’accord n’a pu déployer ses effets auparavant. Ils allèguent que, pour qu’il soit effectif, cet accord devrait encore attendre l’approbation du plan d’urbanisme détaillé.
43. Malgré l’attribution du coefficient de constructibilité litigieux en 1993, le terrain a conservé depuis une finalité publique et ceci est confirmé par les deux éléments suivants. D’une part, au cas où les intéressés réussiraient à trouver un acheteur, le terrain serait par la suite cédé gratuitement. D’autre part, au cas où les requérants n’auraient pas abouti à un accord ou se seraient désistés, l’administration s’étant réservé le droit de réaliser en tout cas l’intérêt public et les objectifs du plan d’urbanisme, elle aurait pu exproprier.
44. Compte tenu de la gravité de l’atteinte à leur droit de propriété, les requérants affirment qu’il y a eu rupture du juste équilibre et demandent à la Cour de conclure à la violation de l’article 1 du Protocole no 1.
2. Thèse du Gouvernement
45. Le Gouvernement soutient, que la situation dénoncée par les requérants est compatible avec l’article 1 du Protocole no 1. A cet égard, il fait observer que la situation litigieuse ne s’analyse pas en une privation de propriété et ne peut pas être assimilée à celle-ci. Ensuite, les limitations affectant le terrain des requérants sont prévues par la loi et répondent à l’intérêt public, puisqu’il s’agit de créer des parcs publics.
46. S’agissant du juste équilibre, le Gouvernement admet que le projet d’acquisition du terrain litigieux par l’administration n’a pas été réalisé pendant longtemps. Il estime, toutefois, que depuis l’approbation du plan d’urbanisme de 1993, attribuant au terrain des requérants un potentiel constructible réalisable à distance, la situation serait redressée, une fois le plan structurel communal approuvé.
47. Par ailleurs, la possibilité de vendre le terrain n’a jamais été inexistante, ce qui est confirmé par les accords souscrits par les requérants.
48. En outre, les requérants auraient pu faire un usage agricole de leur terrain.
49. Eu égard à ces considérations, le Gouvernement affirme qu’il n’y a pas eu rupture du juste équilibre en l’espèce et il demande à la Cour de conclure à la non-violation de l’article 1 du Protocole nº 1.
3. Appréciation de la Cour
50. La Cour note que les parties s’accordent pour dire qu’il y a eu ingérence dans le droit des requérants au respect de leurs biens.
51. Il reste à examiner si ladite ingérence a enfreint ou non l’article 1 du Protocole no 1.
52. A cet égard, la Cour relève que les effets dénoncés par les requérants découlent tous de la diminution de la disponibilité du bien en cause. Ils résultent des limitations apportées au droit de propriété ainsi que des conséquences de celles-ci sur la valeur de l’immeuble. Pourtant, bien qu’il ait perdu de sa substance, le droit en cause n’a pas entièrement disparu. Les effets des mesures en question ne sont pas tels qu’on puisse les assimiler à une privation de propriété. La Cour note à ce sujet que les requérants n’ont perdu ni l’accès au terrain ni la maîtrise de celui-ci et qu’en principe la possibilité de vendre le terrain, même rendue plus malaisée, a subsisté. Elle estime dès lors qu’il n’y a pas eu d’expropriation de fait et que la seconde phrase du premier alinéa ne trouve donc pas à s’appliquer en l’espèce (Scordino c. Italie (no 2), no 36815/97, § 70, 15 juillet 2004 ;
Elia S.r.l. c. Italie, no 37710/97, § 56, CEDH 2001-IX ; Matos e Silva, Lda., et autres c. Portugal, 16 septembre 1996, § 89, Recueil des arrêts et décisions 1996-IV).
53. La Cour est d’avis que les mesures litigieuses ne relèvent pas non plus de la réglementation de l’usage des biens, au sens du second alinéa de l’article 1 du Protocole no 1. En effet, s’il est vrai qu’il s’agit d’interdictions de construire réglementant l’usage des biens (Sporrong et Lönnroth c. Suède, 23 septembre 1982, § 64, série A no 52), il n’en demeure pas moins que les mêmes mesures visaient au final l’expropriation du terrain.
54. Dès lors, la Cour estime que la situation dénoncée par les requérants relève de la première phrase de l’article 1 du Protocole no 1 (Sporrong et Lönnroth, précité, § 65 ; Elia Srl, précité, § 57 ; Scordino c. Italie no 2, précité, § 73).
55. La Cour juge naturel que, dans un domaine aussi complexe et difficile que l’aménagement du territoire, les Etats contractants jouissent d’une grande marge d’appréciation pour mener leur politique urbanistique (Sporrong et Lönnroth, précité, § 69). Elle tient pour établi que l’ingérence dans le droit des requérants au respect de leurs biens répondait aux exigences de l’intérêt général. Elle ne saurait se soustraire pour autant à son devoir de contrôle. Il lui appartient de vérifier que l’équilibre voulu a été préservé entre les exigences de l’intérêt général de la communauté et les impératifs de la sauvegarde des droits fondamentaux de l’individu
(arrêts Sporrong et Lönnroth, précité, § 69, et Phocas c. France,
23 avril 1996, § 53, Recueil des arrêts et décisions 1996-II).
56. A cet égard, la Cour constate que le terrain des requérants a été soumis à un permis d’exproprier assorti d’une interdiction de construire en vertu du plan général d’urbanisme approuvé le 23 septembre 1975. Depuis, le permis d’exproprier a été renouvelé à différentes reprises.
57. Il est vrai que, dans le cadre de la péréquation en matière d’urbanisme, des droits de construire réalisables à distance ont été attribués au terrain litigieux par le plan d’urbanisme de 1993, et puis confirmés par le plan structurel communal adopté en 2003. La Cour doit analyser les répercussions que cette situation a eues sur le terrain des requérants.
58. Quant au point de savoir si les droits de construire litigieux ont retiré ou non la finalité publique du terrain, la Cour note que le bien en question est resté constamment affecté à la réalisation d’un parc public, et donc il était destiné à être acquis au patrimoine de la ville de Ravenne.
Ceci est d’ailleurs confirmé par le fait qu’aux termes des dispositions applicables en l’espèce, l’administration bénéficie de l’acquisition gratuite du terrain une fois l’accord de vente conclu par les requérants devenu effectif. De surcroît, la Cour relève que l’administration n’a pas renoncé à son pouvoir d’exproprier, et qu’au contraire, elle s’est réservé le droit de réaliser en tout état de cause l’intérêt public, conformément aux objectifs fixés dans le plan structurel communal, pour le cas où les requérants n’adhèreraient pas à l’offre de 2003 ou se désisteraient des accords.
Aux yeux de la Cour, ceci revient à dire que, depuis l’approbation du plan d’urbanisme de 1993 le terrain en question est resté assujetti au pouvoir d’expropriation de l’administration.
59. Quant au point de savoir si l’attribution des droits de construire réalisables à distance a retiré l’interdiction de construire frappant le terrain, la Cour constate que le terrain est resté inconstructible au vu de son affectation à la réalisation d’un espace vert public.
60. Enfin, la Cour est d’avis que l’attribution des droits de construire théoriques litigieux ne constitue pas une forme d’indemnisation pour les limitations qui ont frappé le terrain en question.
61. Ces limitations se sont en principe terminées en 2007-2008. En effet, les accords préliminaires de vente des droits de construire et du terrain, conclus en 2005 et valides jusqu’au 30 mai 2008, prévoyaient que leurs effets soient déployés à la condition que le PSC soit approuvé. Ce plan d’urbanisme ayant été approuvé le 27 février 2007 et publié au bulletin régional le 26 avril 2007, la Cour, même en l’absence d’informations des parties quant aux développements ultérieurs, constate qu’à la suite de cette approbation, aucun obstacle ne semble subsister en principe au déploiement des effets des accords en question.
62. Il en résulte que le terrain litigieux a été frappé de permis d’exproprier et de limitations de construire de manière continue de 1975 (Terazzi c. Italie, précité, § 83) et jusqu’en 2008, soit pendant environ trente-trois ans.
63. La Cour estime que pendant toute la période concernée, AM d’abord et ensuite les requérants sont restés dans une incertitude totale quant au sort de leur propriété, l’expropriation pouvant avoir lieu à tout moment et le terrain pouvant être frappé d’une autre interdiction en vue de son expropriation par le plan d’urbanisme suivant.
64. La Cour note que le droit interne n’a pas permis de remédier à l’incertitude affectant le terrain des intéressés.
65. Elle estime en outre que l’existence, pendant toute la période concernée, d’interdictions de construire sur le terrain a entravé la pleine jouissance du droit de propriété des requérants et a accentué les répercussions dommageables sur la situation de ceux-ci en affaiblissant considérablement, entre autres, les chances de vendre le terrain.
66. Enfin, elle constate que les requérants n’ont pas eu d’indemnisation.
67. Les circonstances de la cause, notamment l’incertitude et l’inexistence de tout recours interne effectif susceptible de remédier à la situation litigieuse, combinées avec l’entrave à la pleine jouissance du droit de propriété et l’absence d’indemnisation, amènent la Cour à considérer que les requérants ont eu à supporter une charge spéciale et exorbitante qui a rompu le juste équilibre devant régner entre, d’une part, les exigences de l’intérêt général et, d’autre part, la sauvegarde du droit au respect des biens (arrêts Sporrong et Lönnroth, précité, p ; 28, §§ 73-74 ; Erkner et Hofauer, précité, §§ 78-79 ; Elia, précité, § 83 ; Rossitto, précité, §§ 45-46. Voir également les affaires suivantes : Skibińscy c. Pologne, no 52589/99, 14 novembre 2006; Buczkiewicz c. Pologne, no10446/03, 26 février 2008 ; Skrzyński c. Pologne, no 38672/02, 6 septembre 2007 ; Rosiński c. Pologne, no 17373/02, 17 juillet 2007; Tarnawczyk c. Pologne, no 27480/02, 7 décembre 2010 ; Debelianovi c. Bulgarie, no 61951/00, 29 mars 2007 et, a contrario, SCEA Ferme de Fresnoy c. France (déc.), no 61093/00, CEDH 2005-XIII (extraits)).
68. En conclusion, il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1.
II. SUR LES AUTRES VIOLATIONS DE LA CONVENTION
69. Les requérants invoquent également l’article 6 de la Convention, à propos de la durée des nombreuses procédures qu’ils ont entamées au niveau national. S’agissant des procédures s’étant terminées plus de six mois avant l’introduction de la requête, la Cour estime que ce grief est tardif. Quant aux deux procédures qui étaient pendantes au moment de l’introduction de la requête, les requérants n’ont pas précisé s’ils se sont prévalus du remède introduit par la loi Pinto. Ce grief est dès lors irrecevable pour non épuisement des voies de recours internes. Il s’ensuit que cette partie de la requête doit être rejetée au sens de l’article 35 §§ 1 et 4 de la Convention.
70. Les requérants invoquent l’article 14 de la Convention, pour se plaindre que leur terrain a obtenu un coefficient de constructibilité inférieur par rapport aux terrains limitrophes. Ils voient dans cette différence de traitement et dans les décisions des autorités un acharnement discriminatoire à leur égard. A la lumière des éléments du dossier, et dans la mesure où elle est compétente pour en connaître, la Cour n’a relevé aucune apparence de violation de cette disposition. Il s’ensuit que ce grief est manifestement mal fondé et doit être rejeté en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
71. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage matériel
72. Les requérants réclament une indemnité pour le préjudice matériel. Ils ont déposé un document de la municipalité de Ravenne faisant état de la valeur vénale au 20 mai 1963 de la totalité des terrains
(99 999 mètres carrés) appartenant à leur mère. Se rapportant à la superficie qui leur appartenait encore au moment de l’introduction de la requête (25 121 mètres carrés), les requérants formulent trois hypothèses alternatives d’indemnisation, qui ont comme point de départ 1973, date de l’adoption du plan d’urbanisme qui soumit le terrain au permis d’exproprier pour la première fois.
73. En premier lieu, les requérants estiment qu’ils pourraient être indemnisés comme s’ils avaient été expropriés en 1973, en appliquant un intérêt sur la somme qui leur aurait été versée en cas d’expropriation, indexée (925 594,05 EUR). En deuxième lieu, ils pourraient être indemnisés comme s’ils avaient vendu le terrain juste avant qu’il ne soit frappé par les limitations litigieuses et, sur base de l’estimation de la valeur vénale du terrain faite par la municipalité en 1963, en indexant la valeur et en appliquant les intérêts sur celle-ci (873 623,51 EUR).
En troisième lieu, ils réclament la différence entre le montant qu’ils pourront obtenir sur base des accords négociés dans le cadre de la péréquation et le prix qu’ils auraient pu obtenir en cas de vente au prix du marché (2 512 200 EUR).
74. Par ailleurs, les requérants ont déposé un rapport d’expertise, faisant état d’un préjudice matériel de 5 542 110 EUR, concernant la totalité des terrains qui appartenaient à AM et résultant de la différence entre le montant encaissé au titre d’indemnités, dédommagements et prix des ventes, et le montant que les requérants auraient pu encaisser s’ils avaient été libres d’exploiter les terrains en cause.
75. Le Gouvernement s’oppose et fait observer en premier lieu que la vente des droits d’édifier pourra compenser le dommage. En deuxième lieu, les prétentions sont excessives et ne se fondent pas sur une méthode de calcul acceptable. En tout état de cause, la Cour devra tenir compte du fait que l’usage agricole du terrain était possible.
76. La Cour rappelle qu’un arrêt constatant une violation entraîne pour l’Etat défendeur l’obligation juridique de mettre un terme à la violation et d’en effacer les conséquences de manière à rétablir autant que faire se peut la situation antérieure à celle-ci (Iatridis c. Grèce (satisfaction équitable) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI). Si la nature de la violation permet une restitutio in integrum, il incombe à l’Etat défendeur de la réaliser, la Cour n’ayant ni la compétence ni la possibilité pratique de l’accomplir elle-même. Si, en revanche, le droit national ne permet pas ou ne permet qu’imparfaitement d’effacer les conséquences de la violation, l’article 41 habilite la Cour à accorder, s’il y a lieu, à la partie lésée la satisfaction qui lui semble appropriée (Brumarescu c. Roumanie (satisfaction équitable) [GC], no 28342/95, § 20, CEDH 2000-I).
77. La Cour a dit que l’ingérence litigieuse répondait aux exigences de l’intérêt général (paragraphe 55 ci-dessus).
78. Quant à l’indemnisation à fixer en l’espèce, celle-ci n’aura dès lors pas à refléter l’idée d’un effacement total des conséquences de l’ingérence litigieuse (Papamichalopoulos et autres c. Grèce (article 50), 31 octobre 1995, §§ 36 et 39, série A no 330-B ; Ex-roi de Grèce et autres c. Grèce [GC] (satisfaction équitable), no 25701/94, § 78, 28 novembre 2002), à défaut d’un constat d’illégalité.
79. La Cour estime ensuite que les circonstances de la cause ne se prêtent pas à une évaluation précise du dommage matériel. Le type de préjudice dont il est question présente un caractère intrinsèquement aléatoire, ce qui rend impossible un calcul précis des sommes nécessaires à sa réparation (Lallement c. France (satisfaction équitable), no 46044/99, § 16, 12 juin 2003 ; Sporrong et Lönnroth c. Suède (article 50),
18 décembre 1984, § 32, série A no 88).
80. Pour calculer, en équité, le dommage, la Cour prendra en considération que le constat de violation de l’article 1 du Protocole no 1 ne concerne pas les permis d’exproprier et les interdictions de construire en tant que tels mais des restrictions à la disponibilité du terrain à compter de septembre 1975, à savoir depuis l’approbation du plan général d’urbanisme affectant le terrain (Elia S.r.l. c. Italie (satisfaction équitable), no 37710/97, § 23, 22 juillet 2004).
81. Le point de départ du raisonnement doit être la valeur probable du terrain à cette même époque et la Cour écarte de ce fait les prétentions des requérants dans la mesure où celles-ci sont fondées sur la valeur actuelle ou actualisée du terrain (arrêt Scordino (no 2), précité, § 121).
82. Pour apprécier la valeur du terrain en 1975, la Cour estime opportun de partir de l’estimation du terrain effectuée en 1963 par la municipalité de Ravenne. Selon celle-ci, la totalité des terrains appartenant à AM
(99 999 mètres carrés) valait à l’époque 293 480 000 Lires italiennes. Dès lors, le terrain objet de la requête (25 121 mètres carrés) valait, en 1963, 61 986 530 ITL, soit 32 013,37 euros (EUR). Ce montant indexé au mois de septembre 1975 équivalait à 64 642 EUR.
83. Une fois déterminée la valeur du terrain en 1975, la Cour considère qu’en l’absence d’autres éléments, le préjudice découlant de l’indisponibilité du terrain pendant la période considérée peut être compensé par le versement d’une somme correspondant à l’intérêt légal pendant toute cette période appliqué à la contre-valeur du terrain ainsi déterminée
(voir Terazzi S.r.l. c. Italie (satisfaction équitable), no 27265/95, § 37,
26 octobre 2004 ; Elia S.r.l. c. Italie (satisfaction équitable), précité, § 25).
84. A la lumière de ces considérations, et statuant en équité comme le veut l’article 41 de la Convention, la Cour accorde 75 000 EUR à chacun des requérants, soit une somme globale de 150 000 EUR.
B. Dommage moral
85. Les requérants réclament un million d’euros au titre du préjudice moral qu’ils auraient subi à cause de l’incertitude régnant sur leurs terrains et du sentiment d’avoir été discriminés par rapport à leurs voisins.
86. Le Gouvernement s’y oppose.
87. Compte tenu des circonstances de la cause, la Cour considère que la violation de la Convention a porté aux requérants un tort moral résultant de l’incertitude de la situation litigieuse (Scordino (no 2), précité, § 127). La Cour alloue aux requérants conjointement la somme globale de 5 000 EUR.
C. Frais et dépens
88. Quant aux frais engagés dans la procédure devant la Cour, les requérants ne formulent aucune demande. Ils demandent le remboursement des frais et dépens engagés devant les nombreuses juridictions internes qu’ils ont saisies dans la période concernée.
89. Le Gouvernement s’y oppose.
90. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. En l’espèce, compte tenu des documents en sa possession et de sa jurisprudence, la Cour rejette la demande relative aux frais et dépens de la procédure nationale.
D. Intérêts moratoires
91. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant au grief tiré de l’article 1 du Protocole no 1, dans la mesure où il concerne le terrain de 25 121 mètres carrés destiné au Parc Baronio, et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit, qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
3. Dit,
a) que l’Etat défendeur doit verser aux requérants conjointement, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 150 000 EUR
(cent-cinquante mille euros), pour dommage matériel, et 5 000 EUR (cinq mille euros) pour dommage moral, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
4. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 12 juillet 2011,
en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Stanley Naismith Françoise Tulkens
Greffier Présidente

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