Conclusione Parzialmente inammissibile; Violazione di P1-1; Danno patrimoniale e danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA MAIOLI C. ITALIA
( Richiesta no 18290/02)
SENTENZA
STRASBURGO
12 luglio 2011
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Maioli c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, Giorgio Malinverni, Işıl Karakaş, Guido Raimondi, Paulo Pinto di Albuquerque, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 21 giugno 2011,
Rende la sentenza che ha adottata in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 18290/02) diretta contro la Repubblica italiana e in cui due cittadini di questo Stato, OMISSIS (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 29 aprile 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da OMISSIS, avvocato a Cesena. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo ex coagente aggiunto, il Sig. Lettieri.
3. I richiedenti adducono in particolare un attentato al loro diritto al rispetto dei beni viste le limitazioni che colpiscono il loro terreno.
4. Il 24 novembre 2004, il Presidente della quarta sezione ha deciso di comunicare il motivo di appello derivato da un attentato al diritto al rispetto dei beni al Governo. Come permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo. In seguito alla ricomposizione delle sezioni, la causa è stata assegnata alla seconda sezione della Corte.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1936 e 1939 e risiedono a Ravenna. La madre dei richiedenti (infra AM) era la proprietaria di 99 999 metri quadrati di terreno a Ravenna.
6. L’ 11 luglio 1962, la municipalità di Ravenna adottò un piano generale di urbanistica (“piano regolatore generale”) che colpiva con un permesso di espropriazione insieme ad un’interdizione a costruire (“vincolo di inedificabilità preordinato all’esproprio”) circa il 65% del terreno. Questa parte era destinata alla creazione di “zone di riserva” ed alla viabilità stradale. Il piano di urbanistica fu approvato con un decreto del Presidente della Repubblica del 2 febbraio 1966.
7. Il 31 luglio 1973, la municipalità di Ravenna adottò un nuovo piano generale di urbanistica ed impose sulla totalità del terreno di AM dei permessi di espropriazione insieme ad un’interdizione a costruire. I terreni erano soggetti in parte alla creazione di una zona verde, denominata “
Parco Baronio”, e in parte alle attrezzature pubbliche urbane, uffici dell’amministrazione, ed una parte alla viabilità stradale (stazione di autobus). Questo piano fu approvato il 23 settembre 1975 dalla regione Emilia-Romagna.
8. Il 2 dicembre 1975, 35 370 metri quadrati di terreno che dovevano essere espropriati furono ceduti alla municipalità di Ravenna in compenso di un’indennità.
9. Il 30 novembre 1982, la municipalità di Ravenna pronunciò l’espropriazione di 11 310 metri quadrati di terreno per costruire una strada. AM introdusse un ricorso dinnanzi al tribunale amministrativo regionale per ottenere una decisione che riconoscesse l’illegalità dell’espropriazione e, per questo fatto, ottenere un risarcimento. Il tribunale gli diede guadagno di causa, con una decisione del 1 dicembre 1989.
10. Il 21 aprile 1983, la municipalità di Ravenna adottò un nuovo piano generale di urbanistica, sottoponendo di nuovo la totalità dei terreni ad un’interdizione a costruire, finalizzata all’espropriazione. Questo piano di urbanistica fu approvato il 25 giugno 1985 dalla regione Emilia-Romagna.
11. Il 26 novembre 1985, AM introdusse un ricorso dinnanzi al tribunale amministrativo regionale per contestare la reiterazione delle limitazioni che colpivano il suo terreno. Questo procedimento si concluse il 22 novembre 2004 con una decisione di non luogo a procedere a deliberare, considerando i cambiamenti intervenuti.
12. Nel frattempo, il 16 giugno 1983 e il 5 gennaio 1985, AM aveva iniziato due procedimenti per danno-interessi contro la municipalità di Ravenna in ragione dell’occupazione illegale di 879 metri quadrati e 1344 metri quadrati di terreno. Questi procedimenti si conclusero con gli ordinamenti amichevoli conclusi negli anni 1990.
13. Il 10 aprile 1986, AM decedette. I richiedenti ereditarono il restante dei terreni.
14. Il 3 marzo 1987, il prefetto di Ravenna autorizzò la società OMISSIS, munita di una concessione dell’amministrazione delle poste e telecomunicazioni, ad occupare una parte del terreno per costruire degli uffici. Il 18 ottobre 1990, i richiedenti conclusero in compenso un accordo di cessione di indennizzo e, in seguito, rinunciarono al ricorso che avevano introdotto dinnanzi al tribunale amministrativo per lamentarsi della privazione illegale del terreno.
15. L’ 11 giugno 1991, la municipalità di Ravenna modificò la destinazione di una parte del terreno e decise che questa sarebbe stata utilizzata come “zona sanitaria.” I richiedenti introdussero un ricorso per opposizione dinnanzi al tribunale amministrativo regionale. La conclusione di questo procedimento non è conosciuta; ad ogni modo la destinazione contestata non fu mantenuta (vedere sotto paragrafo 17).
16. Il 24 dicembre 1993, la municipalità di Ravenna adottò un nuovo piano generale di urbanistica che fu approvata il 12 luglio 1996 dalla regione. I permessi di espropriazione furono reiterati sulla quasi – totalità del terreno.
17. Trattandosi degli appezzamenti che non erano più soggetti al permesso di espropriazione, e che erano destinate precedentemente a “zona sanitaria”, furono destinate a “zone terziarie o a servizi privati di interesse pubblico.” I richiedenti poterono venderli al prezzo di mercato in data
del 21 aprile 2000.
18. Trattandosi di nuovo del terreno colpito da queste limitazioni, il 23 dicembre 1996, i richiedenti introdussero un ricorso dinnanzi al tribunale amministrativo per lamentarsene. I richiedenti rinunciarono a questo procedimento il 28 febbraio 2006.
19. Conformemente al piano di urbanistica del 1993, il terreno in questione aveva un potenziale edificabile teorico di 0,1 metro quadrato su 1 metro quadrato realizzabile a distanza, ossia altrove su dei terreni situati ed edificabili, purché il terreno controverso venisse ceduto gratuitamente alla municipalità. Questa situazione dipendeva dal sistema della perequazione in materia di urbanistica (vedere sotto paragrafo 27).
20. Nel 2000, la legge della regione Emilia-Romagna no 20/2000 entrò in vigore. Conformemente a questa legge, il nuovo piano generale di urbanistica sarebbe stato chiamato piano strutturale comunale (piano strutturale comunale, infra PSC).
21. Nei sei mesi precedenti la data di introduzione della richiesta, o il 29 aprile 2002, i richiedenti erano proprietari di 25 121 metri quadrati di un terreno, assegnato alla creazione del “Parco Baronio”, e registrato al catasto foglio 102, appezzamenti 394 e 395.
22. Nella cornice della preparazione del nuovo piano di urbanistica (PSC), il 1 luglio 2003, la municipalità di Ravenna pubblicò un parere di presentazione di offerte ai sensi dell’articolo 18 della legge 20/2000. Conformemente a questa disposizione, permettendo ai richiedenti di trattare la vendita del loro coefficiente di edificabilità – provocando anche la vendita del terreno nell’occorrenza – da parte dei proprietari di terreni situati in zone edificabili, i richiedenti dichiararono il loro interesse alla municipalità, in data 6 agosto 2003, ed iniziarono la ricerca di partner interessati. Le disposizioni in vigore permettevano ai richiedenti di utilizzare il loro coefficiente di edificabilità nello scompartimento”Antica Milizia/Stradone.” I terreni di questo scompartimento appartenevano per la quasi – totalità a due società, OMISSIS.
23. Il 28 aprile 2005, i richiedenti firmarono un accordo preliminare di vendita del terreno controverso e del suo coefficiente di edificabilità con le società OMISSIS. Si trattava di un accordo sotto condizione, perché affinché divenisse effettivo occorreva che le autorità l’integrassero nel PSC e che questo ultimo venisse approvato. La validità di questo accordo preliminare fu fissata fino al 30 maggio 2008.
24. Il 23 giugno 2005, l’accordo negoziato dai richiedenti fu inseriti nel PSC, che la municipalità di Ravenna adottò lo stesso giorno. Questo designava il terreno controverso come destinato alla creazione di una cintura verde intorno alla città. I terreni destinati alla creazione del parco Baronio tra cui il terreno dei richiedenti, avrebbero dovuto essere ceduti gratuitamente al comune. Peraltro, nel caso in cui le parti private avessero rinunciato all’accordo, l’amministrazione si riservava il diritto di inseguire in ogni caso l’interesse pubblico e gli obiettivi definiti dal PSC.
25. In seguito alle dimissioni del sindaco di Ravenna, il consiglio comunale fu sciolto ed il procedimento finalizzato all’approvazione del PSC conobbe un rallentamento. Il 24 febbraio 2006, i richiedenti ricevettero una comunicazione della municipalità di Ravenna, che li informava che l’amministrazione comunale non era stata in grado di approvare il PSC e che incombeva sul futuro consiglio comunale farlo. Gli accordi pattuiti da qui ad allora e presi in conto dall’amministrazione avrebbero potuto esporre i loro effetti solo dopo l’approvazione definitiva del PSC da parte dei nuovi eletti. Il nuovo consiglio comunale eletto nel maggio 2006 riprese il procedimento ed approvò il PSC con una decisione del 27 febbraio 2007, pubblicata il 26 aprile 2007 sul bollettino regionale.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
26. Il diritto e le pratica interna relative ai permessi di espropriazione ed alle interdizioni a costruire relative sono esposte nella causa Scordino c. Italia (no 2),( no 36815/97, §§ 25-45, 15 luglio 2004).
27. Ai fini della presente causa, conviene precisare la nozione di perequazione in materia di urbanistica. Spesso il piano di sviluppo del territorio richiede l’acquisizione di importanti lotti di terreno. Il sistema dell’espropriazione e quello dell’acquisto al prezzo di mercato cozza contro i costi elevati. Invece, il sistema della perequazione permette alle municipalità di acquisire gratuitamente un terreno gratuitamente o a basso prezzo ( gratuitamente nella presente causa). Secondo il sistema della perequazione, le municipalità identificano un insieme di terreni (le “zone”) ai quali assegnano lo stesso coefficiente di edificabilità. Ogni tipo di zona è diviso poi in settori (“scompartimenti”) all’interno dai quali i proprietari devono negoziare e devono accordarsi per sfruttare i loro diritti di costruzione relativamente ai volumi che sono assegnati loro. I proprietari dei terreni non sono liberi di sfruttare questi diritti di costruzione, ma devono seguire le indicazioni del piano territoriale elaborato dalla municipalità. Secondo i casi, i diritti di costruzione possono essere sfruttati dal proprietario, sul terreno che gli appartiene o su dei terreni che appartengono a terzi. Così, quando il proprietario di un terreno di cui la municipalità prevede l’espropriazione si vede assegnare dei diritti di costruzione teorici che può vendere ad un terzo che li utilizzerà altrove, la vendita dei diritti è sottoposta alla cessione del terreno alla municipalità. Questa cessione può essere diretta, come nello specifico, o indiretta, ossia il terreno è venduto al terzo acquirente dei diritti di costruzione, ed è questo ultimo che cederà il terreno alla municipalità.
28. Ai termini della legge della regione Emilia-Romagna no 20 di 2000 e del piano comunale strutturale di Ravenna che seguì, affinché siano effettivi, gli accordi intervenuti tra individui devono essere integrati nel piano di urbanistica (PSC); espongono i loro effetti solo dopo che questo ultimo è stato approvato. Una volta sfruttati i diritti di costruzione, il proprietario deve cedere gratuitamente il terreno non utilizzato alla municipalità. Nel caso in cui gli individui non avessero aderito o non rinunciato agli accordi in questione, la municipalità di Ravenna si era riservata il diritto di inseguire ad ogni modo l’interesse pubblico e gli obiettivi definiti dal PSC.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
29. Invocando l’articolo 1 del Protocollo no 1 e 13 della Convenzione, i richiedenti si lamentano della lunga durata dei permessi di espropriazione, abbinati ad interdizioni a costruire che colpiscono il loro terreno. Adducono che questa situazione equivale ad un’espropriazione de facto, senza indennizzo. I richiedenti adducono inoltre l’inesistenza in diritto interno di un ricorso effettivo che permette di ovviare alla situazione controversa.
La Corte stima che alla vista della loro natura, e per il fatto che l’aspetto procedurale si confonde con l’aspetto sostanziale, questi motivi di appello devono essere esaminati unicamente sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, (Rossitto c. Italia, no 7977/03, § 50, 26 maggio 2009. Ai termini di questa disposizione:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
30. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
1. La prima eccezione del Governo
31. Il Governo solleva un’eccezione derivata di non-esaurimento delle vie di ricorso interne, al motivo che i richiedenti non hanno attaccato dinnanzi al tribunale amministrativo tutte le decisioni di approvazione dei piani di urbanistica che provocavano le limitazioni controverse, o nella misura in cui questi procedimenti, sebbene impegnati, erano ancora pendenti.
32. I richiedenti affermano che tali ricorsi non sono efficaci.
33. La Corte osserva di avere esaminato già delle eccezioni simili e di avere concluso che un procedimento giudiziale che prevede l’annullamento di un determinato piano di urbanistica non potrebbe avere un’incidenza sulla presente richiesta, dato che i richiedenti si lamentano della durata e delle ripercussioni delle limitazioni che colpiscono il loro terreno in mancanza di indennizzo (Scordino c. Italia (no 2), (déc.), no 36815/97, 12 dicembre 2002). Peraltro, il Governo non ha dimostrato che i richiedenti disponevano di un ricorso accessibile ed efficace per contestare le disposizioni che avevano limitato il loro diritto di proprietà in modo continuo ed indeterminato (Terazzi S.r.l. c. Italia, (déc.), no 27265/95, 30 marzo 1999).
34. Di conseguenza, c’è luogo di respingere la prima eccezione sollevata dal Governo convenuto.
2. La seconda eccezione del Governo
35. Il Governo fa osservare poi che tra tutti i terreni menzionati dai richiedenti, solo quello che appartiene loro ancora e che è stato destinato alla creazione del Parco Baronio, o una superficie di 25 121 metri quadrati, può essere oggetto della presente richiesta.
36. I richiedenti contestano questa tesi.
37. La Corte rileva che eccetto il terreno di 25 121 metri quadrati tutti gli altri terreni a proposito dei quali i richiedenti hanno sollevato dei motivi di appello sono stati venduti sopra, o espropriati o ceduti o in ogni caso persi più di sei mesi prima del 29 aprile 2002, data di introduzione della richiesta. Quindi, i motivi di appello relativi a questi altri terreni devono essere respinti come tardivi ai sensi dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione
38. Trattandosi del motivo di appello relativo al terreno restante, e che è l’oggetto della richiesta, la Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
1. Tesi dei richiedenti
39. I richiedenti sostengono che la situazione denunciata non è conforme all’articolo 1 del Protocollo no 1. Sottolineano che l’ingerenza nel loro diritto al rispetto del loro beni dura dagli anni 1970. A partire da questa epoca il terreno in questione è stato sottomesso ai permessi di espropriazione abbinati ad interdizioni a costruire, in attesa che l’amministrazione procedesse all’espropriazione. Si lamentano dell’incertezza che ne risulta e della mancanza totale di indennizzo per il sacrificio che è stato imposto loro. Affermano che, per l’effetto combinato delle interdizioni a costruire in vista dell’espropriazione del terreno, il loro diritto di proprietà “è stato congelato” durante tutto questo periodo: hanno perso il pieno godimento del terreno ed il valore di questo è stato ridotto a nulla.
40. In quanto alla possibilità di utilizzare il terreno sotto l’influenza delle misure controverse, i richiedenti osservano che, in passato, una grande parte dei terreni appartenuta alla loro famiglia era sfruttata ai fini agricoli. Spiegano del resto che si trova una fattoria sul terreno in questione,
(casa colonica) abbandonata in seguito alle vicissitudini che i terreni di AM hanno conosciuto.
41. Negli anni 2000 (avviso di presentazione di offerte del 1 luglio 2003) la municipalità ha dato loro la possibilità di vendere i diritti a costruire che il piano di urbanistica del 1993 aveva contemplato teoricamente, 0,1 metro quadrato per metro quadrato, ma questa vendita può farsi solo ad un prezzo inferiore del 75% rispetto al prezzo di mercato. Il prezzo pattuito, largamente inferiore al prezzo del mercato, non rappresenta in ogni caso un indennizzo per il periodo di quasi quarant’ anni durante il quale il terreno è stato sottomesso ad incertezza totale ed alle limitazioni a costruire.
42. I richiedenti sottolineano che anche dopo la firma dell’accordo preliminare di vendita che hanno concluso, degli anni sono trascorsi prima dell’approvazione del piano strutturale comunale, e che l’accordo non ha potuto esporre prima i suoi effetti. Adducono che, affinché sia effettivo, questo accordo dovrebbe aspettare ancora l’approvazione del piano di urbanistica dettagliato.
43. Malgrado l’attribuzione del coefficiente di edificabilità controverso nel 1993, il terreno ha conservato una finalità pubblica e questo è confermato dai due seguenti elementi. Da una parte, nel caso in cui gli interessati riuscissero a trovare un acquirente, il terreno sarebbe ceduto in seguito gratuitamente. D’altra parte, nel caso in cui i richiedenti non fossero arrivati ad un accordo o avessero rinunciato, l’amministrazione essendosi riservata il diritto di realizzare in ogni caso l’interesse pubblico e gli obiettivi del piano di urbanistica, avrebbe potuto espropriare.
44. Tenuto conto della gravità dell’attentato al loro diritto di proprietà, i richiedenti affermano che c’è stata rottura del giusto equilibrio e chiedono alla Corte di concludere alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
2. Tesi del Governo
45. Il Governo sostiene, che la situazione denunciata dai richiedenti è compatibile con l’articolo 1 del Protocollo no 1. A questo riguardo, fa osservare che la situazione controversa non si analizza in una privazione di proprietà e non può essere assimilata a questa. Poi, le limitazioni che ledono il terreno dei richiedenti sono previste dalla legge e rispondono all’interesse pubblico, poiché si tratta di creare dei parchi pubblici.
46. Trattandosi del giusto equilibrio, il Governo ammette che il progetto di acquisizione del terreno controverso da parte dell’amministrazione non è stato realizzato per molto tempo. Stima, tuttavia che dall’approvazione del piano di urbanistica del 1993, assegnando al terreno dei richiedenti un potenziale edificabile realizzabile a distanza, la situazione sarebbe stata risanata, una volta il piano strutturale comunale approvato.
47. La possibilità di vendere il terreno non è stata peraltro, mai inesistente, il che è confermato dagli accordi sottoscritti dai richiedenti.
48. Inoltre, i richiedenti avrebbero potuto fare un uso agricolo del loro terreno.
49. Avuto riguardo a queste considerazioni, il Governo afferma che non c’è stata rottura del giusto equilibrio nello specifico ed egli chiede alla Corte di concludere alla non-violazione dell’articolo 1 del Protocollo nº 1.
3. Valutazione della Corte
50. La Corte nota che le parti si accordano per dire che c’è stata ingerenza nel diritto dei richiedenti al rispetto dei loro beni.
51. Resta da esaminare se suddetta ingerenza ha infranto o meno l’articolo 1 del Protocollo no 1.
52. A questo riguardo, la Corte rileva che gli effetti denunciati dai richiedenti derivano tutti dalla diminuzione della disponibilità del bene in causa. Risultano delle limitazioni portate al diritto di proprietà così come delle conseguenze di queste sul valore dell’immobile. Tuttavia, sebbene abbia perso della sua sostanza, il diritto in causa non è sparito interamente. Gli effetti delle misure in questione non sono tali da assimilarli ad una privazione di proprietà. La Corte nota a questo motivo che i richiedenti non hanno perso l’accesso al terreno né la padronanza di questo e che in principio la possibilità di vendere il terreno, anche resa più ardua, è rimasta. Stima quindi che non c’è stata espropriazione di fatto e che la seconda frase del primo capoverso non si trova dunque ad applicare nello specifico (Scordino c. Italia (no 2), no 36815/97, § 70, 15 luglio 2004;
Elia S.r.l. c. Italia, no 37710/97, § 56, CEDH 2001-IX; Matos e Silva, Lda, ed altri c. Portogallo, 16 settembre 1996, § 89, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-IV).
53. La Corte è del parere che le misure controverse non rilevano neanche della regolamentazione dell’uso dei beni, ai sensi del secondo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Difatti, se è vero che si tratta di interdizioni a costruire che regolamentano l’uso dei beni (Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 64, serie A no 52) non ne rimane meno che le stesse misure miravano all’espropriazione finale del terreno.
54. Quindi, la Corte stima che la situazione denunciata dal richiedenti dipende dalla prima frase dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Sporrong e Lönnroth, precitata, § 65; Elia Srl, precitata, § 57; Scordino c. Italia no 2, precitata, § 73).
55. La Corte giudica naturale che, in una tenuta anche complessa e difficile come il piano di sviluppo del territorio, gli Stati contraenti godono di un grande margine di valutazione per condurre la loro politica urbanistica (Sporrong e Lönnroth, precitata, § 69). Tiene per stabilito che l’ingerenza nel diritto dei richiedenti al rispetto dei loro beni soddisfaceva le esigenze dell’interesse generale. Non potrebbe sottrarsi per tanto al suo dovere di controllo. Le appartiene di verificare che l’equilibrio voluto è stato preservato tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo, (sentenze Sporrong e Lönnroth, precitata, § 69, e Phocas c. Francia, 23 aprile 1996, § 53, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-II).
56. A questo riguardo, la Corte constata che il terreno dei richiedenti è stato sottomesso ad un permesso di espropriazione abbinato ad un’interdizione a costruire in virtù del piano generale di urbanistica approvato il 23 settembre 1975. Poi, il permesso di espropriazione è stato rinnovato in differenti riprese.
57. È vero che, nella cornice della perequazione in materia di urbanistica, dei diritti a costruire realizzabili a distanza sono stati assegnati al terreno controverso dal piano di urbanistica del 1993, e confermati poi dal piano strutturale comunale adottato nel 2003. La Corte deve analizzare le ripercussioni che questa situazione ha avuto sul terreno dei richiedenti.
58. In quanto al punto di sapere se i diritti di costruzione controversi hanno tolto o meno la finalità pubblica del terreno, la Corte nota che il bene in questione è restato costantemente assegnato alla realizzazione di un parco pubblico, e dunque era destinato ad essere acquistato al patrimonio della città di Ravenna.
Questo è confermato dal fatto del resto che ai termini delle disposizioni applicabili nello specifico, l’amministrazione beneficia dell’acquisizione gratuita del terreno una volta l’accordo di vendita concluso coi richiedenti diventa effettivo. Per di più, la Corte rileva che l’amministrazione non ha rinunciato al suo potere di espropriazione, e che al contrario, si è riservata il diritto di realizzare ad ogni modo l’interesse pubblico, conformemente agli obiettivi fissati nel piano strutturale comunale, per il caso in cui i richiedenti non avessero aderito all’offerta del 2003 o avessero rinunciato agli accordi.
Agli occhi della Corte, questo vuole dire che, dall’approvazione del piano di urbanistica del 1993 il terreno in questione è restato soggetto al potere di espropriazione dell’amministrazione.
59. In quanto al punto di sapere se l’attribuzione dei diritti a costruire realizzabili a distanza ha tolto l’interdizione a costruire che colpiva il terreno, la Corte constata che il terreno è restato inedificabile in vista della sua destinazione alla realizzazione di un spazio verde pubblico.
60. Infine, la Corte è del parere che l’attribuzione dei diritti a costruire teorici controversi non costituiscono una forma di indennizzo per le limitazioni che hanno colpito il terreno in questione.
61. Queste limitazioni sono in principio finite nel 2007-2008. Difatti, gli accordi preliminari di vendita dei diritti a costruire e del terreno, conclusi nel 2005 e validi fino al 30 maggio 2008, contemplavano che i loro effetti venissero esposti a condizione che il PSC venisse approvato. Questo piano di urbanistica essendo stato approvato il 27 febbraio 2007 ed essendo stato pubblicato anche il 26 aprile 2007, la Corte, sul bollettino regionale in mancanza di informazione delle parti in quanto agli sviluppi ulteriori, constata che in seguito a questa approvazione, nessuno ostacolo sembra rimanere in principio allo spiegamento degli effetti degli accordi in questione.
62. Ne risulta che il terreno controverso è stato colpito da permesso di espropriazione e da limitazioni a costruire in modo continuo dal 1975 (Terazzi c. Italia, precitata, § 83) e fino nel 2008, o per circa trentatre anni.
63. La Corte stima che durante tutto il periodo riguardato, AM da prima e poi i richiedenti sono restati in un’incertezza totale in quanto alla sorte della loro proprietà, potendo avere luogo l’espropriazione in ogni momento e potendo essere colpito il terreno da un’altra interdizione in vista della sua espropriazione dal piano seguente di urbanistica.
64. La Corte nota che il diritto interno non ha permesso di ovviare all’incertezza che lede il terreno degli interessati.
65. Stima inoltre che l’esistenza, durante tutto il periodo riguardato, di interdizioni a costruire sul terreno ha ostacolato il pieno godimento del diritto di proprietà dei richiedenti e ha accentuato le ripercussioni dannose sulla situazione di questi indebolendo considerevolmente, tra l’altro, le probabilità di vendere il terreno.
66. Infine, constata che i richiedenti non hanno avuto indennizzo.
67. Le circostanze della causa, in particolare l’incertezza e l’inesistenza di ogni ricorso interno effettivo suscettibile di ovviare alla situazione controversa, combinate con l’ostacolo al pieno godimento del diritto di proprietà e alla mancanza di indennizzo, portano la Corte a considerare che i richiedenti hanno dovuto sopportare un carico speciale ed esorbitante che ha rotto il giusto equilibrio che deve regnare tra, da una parte, le esigenze dell’interesse generale e, dall’altra parte, la salvaguardia del diritto al rispetto dei beni (sentenze Sporrong e Lönnroth, precitata, p; 28, §§ 73-74; Erkner e Hofauer, precitata, §§ 78-79; Elia, precitata, § 83; Rossitto, precitata, §§ 45-46. Vedere anche lw seguenti cause: Skibińscy c. Polonia, no 52589/99, 14 novembre 2006; Buczkiewicz c. Polonia, no10446/03, 26 febbraio 2008; Skrzyński c. Polonia, no 38672/02, 6 settembre 2007; Rosiński c. Polonia, no 17373/02, 17 luglio 2007; Tarnawczyk c. Polonia, no 27480/02, 7 dicembre 2010; Debelianovi c. Bulgaria, no 61951/00, 29 marzo 2007 e, ha contrario, SCEA Ferme di Fresnoy c. Francia, déc.), no 61093/00, CEDH 2005-XIII (brani)).
68. In conclusione, c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI DELLA CONVENZIONE
69. I richiedenti invocano anche l’articolo 6 della Convenzione, a proposito della durata dei numerosi procedimenti che hanno iniziato a livello nazionale. Trattandosi dei procedimenti finiti più di sei mesi prima dell’introduzione della richiesta, la Corte stima che questo motivo di appello è tardivo. In quanto ai due procedimenti che erano pendenti al momento dell’introduzione della richiesta, i richiedenti non hanno precisato se si sono avvalsi del rimedio introdotto dalla legge Pinto. Questo motivo di appello è quindi inammissibile per non esaurimento delle vie di ricorso interne. Ne segue che questa parte della richiesta deve essere respinta ai sensi dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
70. I richiedenti invocano l’articolo 14 della Convenzione, per lamentarsi che il loro terreno ha ottenuto un coefficiente di edificabilità inferiore rispetto ai terreni limitrofi. Vedono in questa differenza di trattamento e nelle decisioni delle autorità un accanimento discriminatorio al loro riguardo. Alla luce degli elementi della pratica, e nella misura in cui è competente per conoscerne, la Corte non ha rilevato nessuna apparenza di violazione di questa disposizione. Ne segue che questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
71. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno patrimoniale
72. I richiedenti richiedono un’indennità per il danno patrimoniale. Hanno depositato un documento della municipalità di Ravenna che fa stato del valore venale al 20 maggio 1963 della totalità dei terreni
(99 999 metri quadrati) appartenenti a loro madre. Riferendosi alla superficie che apparteneva loro ancora al momento dell’introduzione della richiesta (25 121 metri quadrati) i richiedenti formulano tre ipotesi alternative di indennizzo che hanno come punto di partenza 1973, data dell’adozione del piano di urbanistica che sottopose il terreno al permesso di espropriazione per la prima volta.
73. In primo luogo, i richiedenti stimano che potrebbero essere indennizzati come se fossero stati espropriati nel 1973, applicando un interesse sulla somma che sarebbe stata versata loro in caso di espropriazione, indicizzata (925 594,05 EUR). In secondo luogo, potrebbero essere indennizzati come se avessero venduto il terreno giusto prima che venisse colpito dalle limitazioni controverse e, su base della stima del valore venale del terreno fatto dalla municipalità nel 1963, indicizzando il valore ed applicando gli interessi su questo (873 623,51 EUR).
In terzo luogo, richiedono la differenza tra gli importi che potranno ottenere su base degli accordi negoziati nella cornice della perequazione ed il prezzo che avrebbero potuto ottenere in caso di vendita al prezzo del mercato (2 512 200 EUR).
74. Peraltro, i richiedenti hanno depositato un rapporto di perizia, che fa stato di un danno patrimoniale di 5 542 110 EUR, concernente la totalità dei terreni che appartenevano ad AM e risultante della differenza tra l’ importo incassato a titolo di indennità, risarcimenti e prezzi delle vendite, e l’importo che i richiedenti avrebbero potuto incassare se fossero stati liberi di sfruttare i terreni in causa.
75. Il Governo si oppone e fa osservare in primo luogo che la vendita dei diritti a edificare potrà compensare il danno. In secondo luogo, le pretese sono eccessive e non si basano su un metodo di calcolo accettabile. Ad ogni modo, la Corte dovrà tenere conto del fatto che l’uso agricolo del terreno era possibile.
76. La Corte ricorda che una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico di mettere un termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire tanto quanto si può fare la situazione anteriore a questa (Iatridis c. Grecia (soddisfazione equa) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI). Se la natura della violazione permette una restitutio in integrum, incombe sullo stato convenuto di realizzarla, non avendo la Corte né la competenza né la possibilità pratica di compierla lei stessa. Se il diritto nazionale non permette, in compenso, o permette solamente imperfettamente di cancellare le conseguenze della violazione, l’articolo 41 abilita la Corte ad accordare, se c’è luogo, alla parte lesa la soddisfazione che gli sembra appropriata (Brumarescu c. Romania (soddisfazione equa) [GC], no 28342/95, § 20, CEDH 2000-I).
77. La Corte ha detto che l’ingerenza controversa soddisfaceva le esigenze dell’interesse generale, paragrafo 55 sopra.
78. In quanto all’indennizzo da fissare nello specifico, questa non dovrà quindi riflettere l’idea di una cancellazione totale delle conseguenze dell’ingerenza controversa (Papamichalopoulos ed altri c. Grecia (articolo 50), 31 ottobre 1995, §§ 36 e 39, serie A no 330-B; Ex-re di Grecia ed altri c. Grecia [GC] (soddisfazione equa), no 25701/94, § 78, 28 novembre 2002) in mancanza di una constatazione di illegalità.
79. La Corte stima poi che le circostanze della causa non suscitano una valutazione precisa del danno patrimoniale. Il tipo di danno di cui è questione presenta un carattere intrinsecamente aleatorio, il che rende impossibile un calcolo preciso delle somme necessarie al suo risarcimento (Lallement c. Francia (soddisfazione equa), no 46044/99, § 16, 12 giugno 2003; Sporrong e Lönnroth c. Svezia (articolo 50), 18 dicembre 1984, § 32, serie A no 88).
80. Per calcolare, in equità, il danno, la Corte prenderà in considerazione che la constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 non riguarda i permessi di espropriazioni e le interdizioni a costruire in quanto tali ma delle restrizioni alla disponibilità del terreno a contare dal settembre 1975, ossia dall’approvazione del piano generale di urbanistica che colpiva il terreno (Elia S.r.l. c. Italia (soddisfazione equa), no 37710/97, § 23, 22 luglio 2004).
81. Il punto di partenza del ragionamento deve essere il valore probabile del terreno a questa stessa epoca e la Corte allontana per questo fatto le pretese dei richiedenti nella misura in cui queste sono fondate sul valore reale o attualizzato del terreno (sentenza Scordino (no 2), precitata, § 121).
82. Per valutare il valore del terreno nel 1975, la Corte stima opportuno partire dalla stima del terreno effettuata nel 1963 dalla municipalità di Ravenna. Secondo questa, la totalità dei terreni che appartenevano ad AM (99 999 metri quadrati) valeva all’epoca 293 480 000 Lire italiane. Quindi, il terreno oggetto della richiesta (25 121 metri quadrati) valeva, nel 1963, 61 986 530 ITL, o 32 013,37 euro (EUR). Questo importo indicizzato al mese di settembre 1975 equivaleva a 64 642 EUR.
83. Una volte determinato il valore del terreno nel 1975, la Corte considera che in mancanza di altri elementi, il danno che deriva dall’indisponibilità del terreno durante il periodo considerato può essere compensato dal versamento di una somma che corrisponde all’interesse legale durante tutto questo periodo applicato al controvalore del terreno così determinato (vedere Terazzi S.r.l. c. Italia (soddisfazione equa), no 27265/95, § 37, 26 ottobre 2004; Elia S.r.l. c. Italia (soddisfazione equa), precitata, § 25).
84. Alla luce di queste considerazioni, e deliberando in equità come vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte accorda 75 000 EUR a ciascuno dei richiedenti, o una somma globale di 150 000 EUR.
B. Danno morale
85. I richiedenti richiedono un milione di euro a titolo del danno morale che avrebbero subito a causa dell’incertezza che regna sui loro terreni e del sentimento di essere stati discriminati rispetto ai loro vicini.
86. Il Governo si oppone.
87. Tenuto conto delle circostanze della causa, la Corte considera che la violazione della Convenzione ha portato ai richiedenti un torto morale che risulta dall’incertezza della situazione controversa (Scordino (no 2), precitata, § 127). La Corte assegna congiuntamente ai richiedenti la somma globale di 5 000 EUR.
C. Oneri e spese
88. In quanto agli oneri impegnati nel procedimento dinnanzi alla Corte, i richiedenti non formulano nessuna domanda. Chiedono il rimborso degli oneri e spese impegnati dinnanzi alle numerose giurisdizioni interne che hanno investito nel periodo riguardato.
89. Il Governo si oppone.
90. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico, tenuto conto dei documenti in suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte respinge la domanda relativa agli oneri e spese del procedimento nazionale.
D. Interessi moratori
91. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1, nella misura in cui riguarda il terreno di 25 121 metri quadrati destinati al Parco Baronio, ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce, che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce,
a) che lo stato convenuto deve versare congiuntamente ai richiedenti, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 150 000 EUR (centocinquanta mila euro) per danno patrimoniale, e 5 000 EUR (cinquemila euro) per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 12 luglio 2011,
in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Francesca Tulkens
Cancelliere Presidentessa