A.N.P.T.ES. Associazione Nazionale per la Tutela degli Espropriati. Oltre 5.000 espropri trattati in 15 anni di attività.
Qui trovi tutto cio che ti serve in tema di espropriazione per pubblica utilità.

Se desideri chiarimenti in tema di espropriazione compila il modulo cliccando qui e poi chiamaci ai seguenti numeri: 06.91.65.04.018 - 340.95.85.515

Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE LOMBARDI VALLAURI c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 1
Articoli: 41, 35, 06, 10
Numero: 39128/05/2009
Stato: Italia
Data: 2009-10-20 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Parzialmente inammissibile; Violazione dell’art. 10; violazione dell’art. 6-1; danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA LOMBARDI VALLAURI C. ITALIA
( Richiesta no 39128/05)
SENTENZA
STRASBURGO
20 ottobre 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa L. V. c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 15 settembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 39128/05) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. L. L. V. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 17 ottobre 2005 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da S. G. e F. S., avvocati rispettivamente a Firenze ed a Roma. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato successivamente dai suoi agenti, il Sig. I.M. Braguglia, il Sig. R. Adam e la Sig.ra E. Spatafora, e dai suoi coagenti, i Sigg. V. Esposito e F. Crisafulli, così come dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 7 ottobre 2008, la Corte ha deciso di comunicare i motivi di appello tratti dagli articoli 6 § 1, 10 e 14 della Convenzione al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1936 e risiede a Firenze.
5. A partire dal 1976, il richiedente fu incaricato dell’insegnamento di Filosofia del diritto in seno alla Facoltà di Diritto dell’università Cattolica del Sacro-Cuore di Milano (qui di seguito, “l’università”), sulla base di contratti rinnovati ogni anno. Il richiedente era incaricato anche dell’insegnamento di Filosofia del diritto in seno all’università di Firenze.
6. In seguito alla pubblicazione dell’avviso di concorso per l’anno accademico 1998-1999, il richiedente vi si candidò.
7. Il 23 ottobre 1998, una ebbe luogo un colloquio informale tra il richiedente ed un interlocutore della Congregazione.
8. Con una lettera del 26 ottobre 1998 indirizzata al presidente dell’università (Rettore), la Congregazione per l’educazione Cattolica (qui di seguito, “la Congregazione”), organismo della Santa Sede, comunicò a questo che certe posizioni del richiedente “si [opponevano] nettamente alla dottrina cattolica” e che, “nel rispetto della verità, del bene degli studenti e di quello dell’università [anche]”, il richiedente non doveva insegnare più in seno a questa Università.
9. Con una lettera del 28 ottobre 1998, il presidente dell’università informò il decano della Facoltà di Diritto (Preside) della posizione della Congregazione.
10. Il 4 novembre 1998, il Consiglio della Facoltà di Diritto dell’università, qui di seguito “il Consiglio di Facoltà”) si riunisce e, constatando che la Santa Sede non aveva dato il suo accordo in quanto alla nomina del richiedente, decise di non prendere in considerazione la candidatura di questo ultimo.
11. Il testo integrale del verbale di questa riunione si legge come segue:
i. “Concernente l’insegnamento di Filosofia del diritto, il decano [della Facoltà di Diritto] (Preside) annuncia che le domande di candidatura dei professori L. L.i V., B.M. ed A.T. sono state depositate nel termine stabilito dall’avviso di concorso del 29 settembre 1998. I due ultimi candidati hanno richiesto espressamente che le loro domande venissero prese in conto solo nel caso di non-presentazione della domanda da parte del professore L. L. V., o, nel caso dove questo non ottenesse il consenso necessario della Santa Sede.
ii. Il decano indica di avere ricevuto poi una lettera del presidente dell’università datata 26 ottobre 1998 che spiegava che la Congregazione per l’educazione Cattolica ha stimato che, in ragione del contenuto di certi scritti e dell’insegnamento nella cornice del corso di Filosofia del diritto del professore L. L. V., questo non deve continuare ad insegnare nella Facoltà. Il decano legge il testo della lettera:
iii. “Caro decano, ho ricevuto una lettera della Congregazione per l’educazione Cattolica del 26 ottobre [1998] con la quale mi si informa di ciò che segue a proposito del professore L. L. V. e del suo corso di Filosofia del diritto presso la Facoltà di Diritto.
iv. Dopo avere rilevato che certe posizioni del Sig. L. V. si oppongono nettamente alla dottrina cattolica”, la Congregazione scrive: “si stima pertanto che, nel rispetto della verità, del bene degli studenti e di quello dell’università Cattolica del Sacro-Cuore, il professore L. L. V. non deve continuare ad insegnare in seno a questa università.”
v. La Congregazione mi invita a comunicare il contenuto di questa lettera al decano della Facoltà di Diritto ed al professore L. L. V.. Procedo di conseguenza [a questa comunicazione] ed io ti prego di riportare [il contenuto di questa lettera] alla Facoltà, per la parte, che dipende dalla sua competenza”.
vi. Di conseguenza, il Consiglio di Facoltà prende atto, ai sensi dell’articolo 10 dell’accordo di revisione del Concordato e dell’articolo 45 dello Statuto dell’università, che il consenso necessario della Santa Sede nei confronti il professore L. L. V. fa adesso difetto (“è venuto meno”).
vii. Il decano legge poi la lettera del professore M.R che è assente.
viii. Il professore M.R, prendendo atto della decisione della Congregazione e nel rispetto della sua competenza specifica, esprime la sua piena solidarietà al professore L. L. V. ; gli dispiace profondamente che la Facoltà non sia più in grado di rinnovare la sua fiducia ad un insegnante di grande apertura culturale ed umana; esprime al suo distinto collega ed amico, uno degli insegnanti più brillanti, che ha fiancheggiato durante una carriera di più di trent’ anni di insegnamento, la sua gratitudine per l’impegno e la devozione mostrata durante gli anni passati nella nostra Università. Il professore C. ed il professore S. si associano a questa dichiarazione.
ix. La Facoltà esprime poi all’unanimità il suo dispiacere di non potere prendere in considerazione la richiesta del professore L. V. e ringrazia il loro collega per il lungo e prezioso incarico di insegnamento mostrato a profitto della Facoltà nel campo della Filosofia del diritto.
x. Il professore D.M. propone che la Facoltà inviti il presidente dell’università a chiedere alla Congregazione di indicare le ragioni della misura presa contro il professore L. V. . Il professore D.M. indica che questa domanda si giustifica con l’interesse degli insegnanti della Facoltà di ricevere delle indicazioni concernenti gli aspetti degli studi e degli insegnamenti del professore L. V. che sono stati considerati come incompatibili con l’ispirazione cattolica della Facoltà. I professori C., Co. e D. si associano a questa proposta.
xi. Il professore S. osserva che la Facoltà non è autorizzata a chiedere le ragioni che fondano la decisione. [Questa] è un atto di un ordine [giuridico] esterno a quello della Facoltà che ha il dovere di valutare l’attitudine scientifica e di formazione degli insegnanti che hanno ottenuto l’approvazione dell’autorità religiosa. Il professore V. rileva che tale domanda porterebbe attentato al diritto alla confidenzialità del professore L. V. . Il professore B. osserva che ogni insegnante potrebbe avere un interesse a conoscere le ragioni della misura controversa per sapere la condotta a cui attenersi, ma [questo interesse] non dipende dalla competenza di un organismo collegiale, come il Consiglio di Facoltà.
xii. La proposta del professore D.M. è oggetto di un voto, alla fine della cui discussione i risultati sono i successivi,:
A favore: dieci
Contro: dodici
Astenuti: uno. “
12. Il 25 gennaio 1999, il richiedente introdusse un ricorso dinnanzi al tribunale amministrativo regionale della Lombardia (“T.A.R. “) per ottenere, tra l’altro, l’annullamento della decisione del Consiglio di Facoltà del 4 novembre 1998 di non prendere in considerazione la sua candidatura così come dell’atto dell’autorità ecclesiale che nega di dare il suo consenso in quanto alla sua nomina. Il richiedente fece valere anche che le decisioni attaccate erano incostituzionali per il fatto che violavano il suo diritto all’uguaglianza, la sua libertà di insegnamento e la sua libertà religiosa.
13. Con un giudizio del 26 ottobre 2001, il T.A.R. respinse l’istanza del richiedente.
14. Rilevò da prima che la decisione del Consiglio di Facoltà di non prendere in considerazione la sua candidatura era stata debitamente motivata, avendo comunicato il presidente dell’università la lettera della Congregazione che fa stato del rifiuto del consenso dell’autorità ecclesiale. Il tribunale indicò anche che l’accordo di revisione del concordato tra la Santa Sede e la Repubbliche italiana, qui di seguito “l’accordo”) non contemplava nessuno obbligo di menzionare i motivi religiosi alla base del rifiuto del consenso.
15. Il T.A.R. considera poi che l’esame della legittimità della decisione della Santa Sede non rientrava né nel suo campo di competenza né in quello del Consiglio di Facoltà, provenendo questo atto da un Stato estero.
16. Il tribunale stimò infine che essendo libera la scelta degli insegnanti di aderire ai principi della religione cattolica, l’articolo 10 dell’accordo non provocava nessuna violazione del diritto all’uguaglianza, della libertà di insegnamento e della libertà religiosa garantito rispettivamente dagli articoli 3, 19 e 33 della Costituzione. Alla luce, tra l’altro, della sentenza della Corte costituzionale no 195 del 14 dicembre 1972 (vedere paragrafo 21 sotto), respinse dunque le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal richiedente.
17. Il 9 dicembre 2002, il richiedente interpose appello dinnanzi al Consiglio di stato reiterando il difetto di motivazione della decisione del Consiglio di Facoltà di non prendere in considerazione la sua candidatura. Il richiedente contestò il difetto di competenza in materia del giudice amministrativo e sostenne che la mancanza di comunicazione delle ragioni alla base della decisione della Congregazione aveva recato offesa al principio del contraddittorio ed al suo diritto alla difesa, come garantito, tra l’altro, dall’articolo 6 della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo.
18. Con una sentenza depositata il 18 giugno 2005, il Consiglio di stato respinse l’appello del richiedente. Affermò che “le autorità amministrative e giurisdizionali della Repubblica non potrebbero scostarsi dalla sentenza della Corte costituzionale no 195 del 14 dicembre 1972 nell’applicazione dell’articolo 10 dell’Accordo e del suo Protocollo addizionale.” Il Consiglio di stato rilevò anche che “nessuna autorità della Repubblica non potrebbe giudicare le valutazioni dell’autorità ecclesiale”, tenuto conto anche del fatto che il consenso della Congregazione, provenente dal Vaticano, si trova fuori dal loro campo di competenza. Il Consiglio di stato indicò che il Consiglio di Facoltà si era limitato a buon diritto a prendere atto del fatto che in mancanza del consenso richiesto, la candidatura del richiedente non era semplicemente suscettibile di essere presa in conto.
II. IL DIRITTO INTERNO E COMUNITARIO PERTINENTE ED LA RACOMANDAZIONE DELL’ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL CONSIGLIO D’EUROPE
19. La legge no 121 del 25 marzo 1985
L’articolo 10 no 3 dell’accordo di revisione del concordato tra la Santa Sede e la Repubblica italiane, firmato il 18 febbraio 1984 e ratificato dalla legge no 121 del 25 marzo 1985, dispone così:
“Le nomine dei professori dell’università Cattolica del Sacro-Cuore sono subordinate al consenso (gradimento), sotto l’aspetto religioso, dell’autorità ecclesiastica competente. “
20. Il Protocollo addizionale alla legge no 121 del 25 marzo 1985
L’articolo 6 di questo Protocollo è formulato così:
Interpretando l’articolo 10 no 3 della legge no 121 del 25 marzo 1985 che non ha modificato l’articolo 38 del Concordato del 1 febbraio 1929, la Repubblica terrà conto della sentenza della Corte costituzionale no 195 del 14 dicembre 1972, riguardante lo stesso articolo”.
21. La sentenza della Corte costituzionale no 195 del 14 dicembre 1972
In questa sentenza, la Corte costituzionale si è espressa sulla questione di sapere se la subordinazione della nomina dei professori dell’università Cattolica al consenso della Santa Sede è compatibile con gli articoli 33 e 19 della Costituzione, che garantiscono rispettivamente la libertà di insegnare e la libertà religiosa. Le parti pertinenti di questa sentenza si leggono così:
“La creazione di università libere, di tipo confessionale o appartenenti ad una data ideologia, non è in contraddizione con l’articolo 33 della Costituzione. Ne deriva che la libertà dei professori di insegnare, pienamente garantito nelle università statali, è sottoposta, nelle università private, alle limitazioni necessarie alla realizzazione delle finalità di queste. Difatti, la libertà di un’università sarebbe violata se non potesse più scegliere i suoi professori sulla base di una valutazione della loro personalità o se non potesse rescindere un contratto quando le posizioni religiose o ideologiche di un professore contraddicono quelle pronunciate dall’università stessa.
Questi poteri provocano certo, indirettamente la limitazione della libertà personale del professore. Tuttavia, non ne costituiscono una violazione, perché l’insegnante resta libero di aderire alle finalità particolari dell’università e di rescindere il contratto di impiego quando non condivide più queste.
Le stesse motivazioni dimostrano il difetto manifesto di fondamento della questione sollevata sotto l’angolo dell’articolo 19 della Costituzione. L’esistenza di università libere, caratterizzate dalla finalità di diffondere una fede religiosa, costituisce difatti, sicuramente un strumento di libertà. Se il sistema giuridico obbligasse l’università a nominare degli insegnanti che professano una fede differente da quella alla quale l’università aderisce, ciò provocherebbe la violazione della libertà religiosa di questa ultima. La libertà dei cattolici sarebbe compromessa molto se l’università Cattolica non potesse rescindere un contratto di lavoro con un insegnante che non condivide più le finalità fondamentali che la caratterizzano. “
22. Lo statuto dell’università Cattolica del Sacro-Cuore, D.R. 24 ottobre 1996,
Articolo 1
“(…) L’università Cattolica del Sacro-Cuore è una persona giuridica di diritto pubblico.
L’università Cattolica è una comunità accademica che contribuisce allo sviluppo degli studi, della ricerca scientifica ed alla preparazione dei giovani alla ricerca, all’insegnamento, alle posizioni pubbliche e private ed alle libere professioni, conformemente ai principi della dottrina cattolica, alla natura universale del cattolicesimo ed alle alte e specifiche esigenze di libertà.
L’università Cattolica (..) insegue l’obiettivo di garantire nel mondo universitario e culturale la presenza di persone impegnate a fare fronte ed a decidere, alla luce del messaggio cristiano e dei principi giuridici, i problemi della società e della cultura. (…) “
Articolo 44
“(…) L’attività di insegnamento in seno all’università Cattolica provoca il rispetto dei principi fondatori dell’università stessa. “
Articolo 45
“Le nomine del personale titolare dell’insegnamento dell’università Cattolica sono subordinate al consenso, sotto l’aspetto religioso, dell’autorità ecclesiastica competente che viene rilasciato sulla base dell’articolo 10 no 3 dell’accordo di revisione del concordato tra la Santa Sede e la Repubblica italiana, firmato il 18 febbraio 1984 e ratificato dalla legge no 121 del 25 marzo 1985.
Nell’applicazione dell’articolo 10 no 3 dell’accordo di revisione del concordato tra la Santa Sede e la Repubblica italiana, l’università Cattolica, conformemente a ciò che è previsto dal Protocollo addizionale allo stesso accordo, si conformerà alla sentenza della Corte costituzionale no 195 del 14 dicembre 1972, riguardante lo stesso articolo. “
23. La direttiva 78/2000/CE
Articolo 4
“(…) Gli Stati membri possono contemplare che una differenza di trattamento fondato sulla [religione o sulle convinzioni] non costituisce una discriminazione quando, in ragione della natura di un’attività professionale o delle condizioni del suo esercizio, la caratteristica in causa costituisce un’esigenza professionale essenziale e determinante, per quanto l’obiettivo sia legittimo e l’esigenza sia proporzionata.
Gli Stati membri possono mantenere in vigore nella loro legislazione nazionale in data dell’ adozione della presente direttiva o possono contemplare in una legislazione futura che riprende delle pratiche nazionali esistenti in di adozione della presente direttiva delle disposizioni in virtù dalle quali, nel caso delle attività professionali di chiese e di altre organizzazioni pubbliche o private la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni, una differenza di trattamento fondato sulla religione o sulle convinzioni di una persona non costituisca una discriminazione quando, per la natura di queste attività o per il contesto in cui sono esercitate, la religione o le convinzioni costituiscono un’esigenza professionale essenziale, legittima e giustificata avuto riguardo all’etica dell’organizzazione. (…) “
24. La Raccomandazione no 1762(2006, dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa: “Libertà accademica ed autonomia delle università”
“(…)
4. Conformemente alla Magna Charta Universitatum, l’assemblea riafferma il diritto delle università alla libertà accademica ed all’autonomia, diritto che ricopre i seguenti principi,:
4.1. la libertà accademica, nella ricerca come nell’insegnamento, dovrebbe garantire la libertà di espressione e di azione, la libertà di comunicare delle informazione come quella di ricercare e di diffondere senza restrizione lo scibile e la verità;
4.2. l’autonomia istituzionale delle università dovrebbe ricoprire un impegno indipendente verso la loro missione culturale e sociale tradizionale, sempre essenziale oggi, attraverso una politica di arricchimento degli scibili, un buon governo ed una gestione efficace;
4.3. la storia ha mostrato che gli attentati alla libertà accademica ed all’autonomia delle università hanno sempre provocato un distacco sul piano intellettuale, e dunque una stagnazione economica e sociale;
(…)
6. Con l’avvento della società dello scibile, è oggi evidente che, per rispondere alle nuove evoluzioni, un nuovo contratto tra università e società è necessario. Le libertà universitarie devono essere considerate come corredate di una contropartita inevitabile: la responsabilità sociale e culturale delle università, ed il loro obbligo di rendere dei conti al pubblico e di fare stato della loro propria missione. “
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 10 DELLA CONVENZIONE
25. Il richiedente si lamenta del fatto che la decisione dell’università Cattolica del Sacro-Cuore, priva di motivazione e presa in mancanza di un reale dibattito contraddittorio, ha violato la sua libertà di espressione, come garantita dall’articolo 10 della Convenzione. Questo articolo è formulato così nei suoi passaggi pertinenti:
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di opinione e la libertà di comunicare delle informazione o delle idee senza che ci possa essere ingerenza da parte di autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. (…)
2. L’esercizio di queste libertà che comprendono dei doveri e delle responsabilità può essere sottomesso a certe condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge che costituiscono delle misure necessarie, in una società democratica, (…) alla protezione dei diritti di altrui. “
A. Sull’ammissibilità
26. Il Governo fa valere innanzitutto che l’università del Sacro-Cuore “è un’istituzione privata, incorniciata nell’ordine giuridico pubblico di un Stato estero”, ossia, la Santa Sede.
27. Osserva poi che il non-proseguimento del contratto di lavoro del richiedente tiene all’interesse di questo di accedere ad un impiego, interesse che si trova fuori dal campo di applicazione della Convenzione. Riferendosi alla giurisprudenza della Corte Glasenapp c. Germania,( 28 agosto 1986, serie A no 104, § 50) e Kosiek c. Germania, (28 agosto 1986, serie A no 105, § 36,), il Governo sostiene che questa parte della richiesta dovrebbe essere respinta in quanto incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione.
28. Il richiedente contesta le posizioni del Governo.
29. La Corte si riferisce al primo colpo al testo dell’articolo 1 dello Statuto dell’università secondo cui “L’università Cattolica del Sacro-Cuore è una persona giuridica di diritto pubblico.” In più, la Corte considera che la competenza delle giurisdizioni amministrative interne, tribunale amministrativo regionale e Consiglio di stato, per decidere la questione controversa elimina ogni dubbio che può sorgere in quanto alla natura pubblica dell’istituzione in causa (vedere, mutatis mutandis, Rommelfanger c. Repubblica Federale della Germania, richiesta no 12242/86, (dec.), 6 settembre 1989).
30. In quanto all’applicabilità dell’articolo 10, la Corte rileva di avere affermato, nelle cause Glasenapp c. Germania (precitata, § 50) e Kosiek c. Germania (precitata, § 36) che l’articolo 10 della Convenzione “entra certo in fila di conto” coi fatti dello specifico e di aver concluso alla mancanza di un’ingerenza nell’esercizio del diritto protetto dal paragrafo 1 dell’articolo 10. La Corte constata che la protezione dell’articolo 10 della Convenzione si estende alla sfera professionale degli insegnanti dunque. Peraltro, i fatti all’origine del non-rinnovo del contratto del richiedente erano costituiti da “certe posizioni che si opponevano nettamente alla dottrina cattolica” (vedere sopra paragrafo 8), che dipendevano, evidentemente, dall’esercizio della libertà di espressione di questo. Pertanto, l’eccezione del Governo tratta dall’incompatibilità ratione materiae di questo motivo di appello con le disposizioni della Convenzione deve essere respinta.
31. La Corte constata dunque che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Tesi delle parti
a) Il Governo
32. Il Governo contesta l’esistenza di un’ingerenza nella libertà di espressione del richiedente. Rileva che questo non era “titolare” di una posiziona in seno all’università Cattolica: aveva firmato dei contratti annuali, rinnovati sulla base di una selezione effettuata tra parecchi candidati ogni anno. La situazione del richiedente si avvicinerebbe a quella delle cause Glasenapp c. Germania e Kosiek c. Germania (precitate) dove la Corte aveva stimato che, trattandosi del rifiuto delle autorità di ammettere le interessate nella funzione pubblica, in mancanza di uno dei requisiti richiesti, ossia, la difesa del regime liberale e democratico, l’accesso all’impiego si trovava al centro del problema (vedere Vogt c. Germania 26 settembre 1995, § 44, serie A no 323). Aveva concluso dunque alla mancanza di ingerenza nel loro diritto protetto dall’articolo 10 della Convenzione.
33. Comunque, secondo il Governo, anche supponendo che ci sia stata un’ingerenza nello specifico, questa era prevista dalla legge, inseguiva un scopo legittimo, ossia, la protezione del diritto dell’università ad offrire un insegnamento ispirato alla dottrina cattolica agli studenti ed era proporzionata a questo obiettivo, tenuto conto in particolare del fatto che il richiedente ha continuato ad esercitare la sua attività di insegnamento in seno all’università di Firenze.
b) Il richiedente
34. Il richiedente non mette in questione il fatto che la legge italiana contempli che le nomine degli insegnanti dell’università Cattolica del Sacro-Cuore siano subordinate al consenso, sotto l’aspetto religioso, dell’autorità ecclesiastica competente, né che questa misura non insegua un obiettivo legittimo.
35. Osserva tuttavia che al termine del procedimento dinnanzi alla Congregazione, condotto in mancanza di dibattito contraddittorio, il Consiglio di Facoltà ha deciso di non rinnovare il suo contratto omettendo di indicare gli aspetti delle sue opinioni che sarebbero state in contraddizione con la dottrina cattolica. Il richiedente fa valere anche che il suo rinvio ha avuto luogo sulla base di una misura totalmente sottratta al controllo dei giudici nazionali.
c) La terza parte intervenuta
36. L’università Cattolica del Sacro-Cuore, intervenuta in quanto terza parte nel procedimento, rileva che il richiedente ha avuto cognizione delle motivazioni religiose alla base del suo rinvio all’epoca di un colloquio con un interlocutore della Congregazione che ha avuto luogo il 23 ottobre 1998 ed in occasione del quale il richiedente ha esercitato il suo diritto al contraddittorio.
37. La terza parte aderisce alle osservazioni del Governo in quanto alla proporzionalità della misura controversa.
2. Valutazione della Corte
a) Sull’esistenza di un’ingerenza
38. Contrariamente alla tesi del Governo, la Corte rileva innanzitutto che le circostanze del presente caso non sono comparabili a quelle incontrate nelle cause Glasenapp c. Germania e Kosiek c. Germania, precitate. Difatti, se è vero che il richiedente era ogni volta firmatario di contratti temporanei, il rinnovo di questi per più di vent’ anni e la riconoscenza dei requisiti scientifici del richiedente da parte suoi colleghi testimonia della solidità della sua situazione professionale (vedere sopra la citazione al paragrafo 11, punti i, viii ed ix,). Secondo la Corte, i fatti nello specifico si avvicinano piuttosto a quelli descritte nella sentenza Vogt c. Germania (precitata, § 44). In questa sentenza, la Corte aveva concluso all’esistenza di un’ingerenza dello stato nella libertà di espressione del richiedente tenuto conto del fatto che, contrariamente alla situazione dei richiedenti nelle cause Glasenapp c. Germania e Kosiek c. Germania (precitate, vedere sopra paragrafo 32) la Sig.ra V. era funzionario titolare della sua posizione di insegnante da parecchi anni. Pertanto, le considerazioni del Governo che tendono ad allontanare l’esistenza di un’ingerenza nel diritto del richiedente garantito dall’articolo 10 della Convenzione non possono essere accolte.
39. La Corte considera dunque che la decisione del Consiglio della Facoltà di non prendere in considerazione la candidatura del richiedente ha costituito un’ingerenza nel diritto di questo garantito dall’articolo 10 della Convenzione.
b) Giustificazione dell’ingerenza
i) “Prevista dalla legge” ed ispirata da uno “scopo legittimo”
40. Ai termini del secondo capoverso dell’articolo 10 della Convenzione, simile intromissione era “prevista dalla legge”, ossia l’articolo 10 no 3 della legge no 121 del 25 marzo 1985.
41. In quanto all’obiettivo perseguito, la Corte rileva che la misura controversa prevedeva la realizzazione delle finalità proprie all’università, ispirate dalla dottrina cattolica e che la Corte costituzionale, nella sua sentenza del 14 dicembre 1972, ha stimato che la subordinazione della nomina dei professori dell’università Cattolica al consenso della Santa Sede era compatibile con gli articoli 33 e 19 della Costituzione (vedere sopra paragrafo 21). Nota anche che, in certe determinazioni, la religione può costituire un’esigenza professionale, avuto riguardo all’etica dell’organizzazione (vedere, al paragrafo 23, l’articolo 4 della direttiva comunitaria, 78/2000/CE). In queste condizioni, la Corte stima che la decisione del Consiglio della Facoltà poteva essere considerata come ispirata dallo scopo legittimo di proteggere un “diritto altrui” che si manifesta nell’interesse dell’università di ispirare il suo insegnamento alla dottrina cattolica.
ii, “Necessaria in una società democratica”,
α) Principi generali
42. La Corte ricorda che, nella sua sentenza Vogt c. Germania (precitata, § 52) ha riassunto come segue i principi fondamentali che si liberano dalla sua giurisprudenza relativa all’articolo 10 della Convenzione (vedere anche Sunday Time c. Regno Unito (no 2), 26 novembre 1991, § 50, serie A no 217 e Perna c. Italia [GC], no 48898/99, § 39, CEDH 2003-V):
“i. La libertà di espressione costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica, una delle condizioni fondamentali del suo progresso e dell’espressione di ciascuno. Sotto riserva del paragrafo 2, vale non solo per le “informazioni” o le “idee” accolte con favore o considerate come innocue o indifferenti, ma anche per quelle che urtano, scioccano o inquietano: così vuole il pluralismo, la tolleranza e lo spirito di apertura senza i quali non vi è “società democratica.” Come consacra l’articolo 10, viene abbinata ad eccezioni che richiamano tuttavia un’interpretazione stretta, ed il bisogno di restringerla deve essere stabilito in modo convincente.
ii. L’aggettivo “necessario”, ai sensi dell’articolo 10 § 2, implica un “bisogno sociale imperioso.” Gli Stati contraenti godono di un certo margine di valutazione per giudicare dell’esistenza di tale bisogno, ma si accompagna ad un controllo europeo che riguarda al tempo stesso la legge e le decisioni che l’applicano, anche quando provengono da una giurisdizione indipendente. La Corte ha competenza per deliberare sul punto di sapere da ultimo dunque se una “restrizione” si concilia con la libertà di espressione protetta dall’articolo 10.
iii. La Corte non ha per compito, quando esercita il suo controllo, di sostituirsi alle giurisdizioni interne competenti, ma di verificare sotto l’angolo dell’articolo 10 le decisioni che hanno reso in virtù del loro potere di valutazione. Non ne segue che si debba limitare a ricercare se lo stato convenuto si è avvalso di questo potere in buona fede, con cura ed in modo ragionevole: occorre anche considerare l’ingerenza controversa alla luce dell’insieme della causa per determinare se era “proporzionata allo scopo legittimo perseguito” e se i motivi invocati dalle autorità nazionali per giustificarla appaiono “pertinenti e sufficienti.” Ciò facendo, la Corte deve convincersi che le autorità nazionali hanno applicato delle regole conformi ai principi consacrati all’articolo 10 e questo, per di più, basandosi su una valutazione accettabile dei fatti pertinenti. “
β,)Applicazione di questi principi al caso specifico
43. La Corte rileva al primo colpo l’importanza accordata nella sua giurisprudenza così come, ad un livello più generale, dall’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, alla libertà accademica, questa dovendo garantire la libertà di espressione e di azione, la libertà di comunicare delle informazioni come quella di “ricercare e di diffondere senza restrizione lo scibile e la verità” (vedere Sorguç c. Turchia, no 17089/03, § 35, 23 giugno 2009) così come la raccomandazione 1762(2006, dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (paragrafo 24 sopra).
44. Nel caso specifico, per valutare se la misura controversa era “necessaria in una società democratica”, la Corte dovrà prendere in considerazione, da una parte, il diritto del richiedente alla libertà di espressione che implica quello di trasmettere delle cognizioni senza restrizione e, dall’altra parte, l’interesse dell’università di dispensare un insegnamento che segua delle convinzioni religiose che sono loro proprie. Così vuole il principio del pluralismo “senza del quale non vi è società democratica” (vedere Handyside c. Regno Unito, 7 dicembre 1976, § 49, serie A no 24).
45. La Corte ricorda che, nell’ambito della libertà di espressione, il margine di valutazione di cui gli Stati contraenti godono va di pari passo ad un controllo europeo particolarmente rigoroso in ragione dell’importanza di questa libertà, molte volte sottolineato dalla Corte. Il bisogno di restringerla deve trovarsi stabilito in modo convincente dunque (vedere Radio ABC c. Austria, 20 ottobre 1997, § 30, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VI ed Informationsverein Lentia ed altri c. Austria, 24 novembre 1993, § 35, serie a no 276).
46. Per ricercare se tale era il caso nell’occorrenza, c’è luogo di valutare se, nella fase amministrativa dinnanzi al Consiglio della Facoltà, il richiedente ha goduto di garanzie procedurali adeguate, tenendo in particolare presente le ragioni della limitazione del suo diritto alla libertà di espressione e della possibilità di metterli in questione. Per di più, nel caso specifico, queste garanzie riguardano anche la fase, ulteriore, del controllo giurisdizionale del procedimento amministrativo e, in particolare, l’efficacia di questo. A questo riguardo, è utile ricordare che la Corte ha concluso già alla violazione dell’articolo 10 della Convenzione sotto il suo risvolto procedurale in ragione della portata vaga della misura che limita la libertà di espressione o della mancanza di una motivazione dettagliata di questa corredata dalla mancanza di un controllo giurisdizionale adeguato sulla sua applicazione (vedere, mutatis mutandis, Associazione Ekin c. Francia, no 39288/98, § 58, CEDH 2001-VIII e Saygılı e Seyman c. Turchia, no 51041/99, §§ 24-25, 27 giugno 2006).
47. Per ciò che riguarda il primo aspetto, la Corte rileva da prima che nella sua decisione di non prendere in considerazione la candidatura del richiedente, il Consiglio della Facoltà non ha comunicato a questo ultimo, né non ha valutato, in quale misura le opinioni presumibilmente eterodosse che gli erano rimproverate si riflettevano nella sua attività di insegnamento e come, per questo fatto, queste erano suscettibili di ledere l’interesse dell’università di dispensare un insegnamento ispirato alle convinzioni religiose che gli sono proprie.
48. Poi, in un modo più generale, la Corte nota che il contenuto anche di queste “posizioni” è restato totalmente sconosciuto. Solo figura, nella lettera della Congregazione la cui parte pertinente del testo è citata nella lettera mandata dal presidente dell’università al decano della Facoltà di Diritto, il riferimento a certe posizioni del Sig. L. V. che si oppongono nettamente alla dottrina cattolica” (vedere sopra paragrafo 11, punto iv,).
49. La Corte può rilevare solamente il carattere vago ed incerto di tale indicazione e può constatare che la decisione del Consiglio della Facoltà, al di là del semplice riferimento alla mancanza di consenso della Santa Sede il cui contenuto è restato segreto, è priva di motivazione. In questo contesto, il colloquio tra il richiedente ed un interlocutore della Congregazione non toglie niente a questa constatazione, avendo avuto luogo questo colloquio in modo informale, senza che nessuno resoconto ufficiale venisse preparato.
50. Per ciò che riguarda il secondo aspetto riguardante l’efficacia del controllo giurisdizionale sul procedimento amministrativo, la Corte ricorda al primo colpo che la valutazione da parte degli Stati della legittimità delle convinzioni religiose o delle modalità di espressione di queste deve essere in principio escluso (vedere, mutatis mutandis, Chiesa metropolitana di Bessarabie ed altri c. Moldova, no 45701/99, § 117, CEDH 2001-XII): nel presente caso, la Corte stima che non apparteneva alle autorità nazionali esaminare la sostanza della decisione proveniente dalla Congregazione.
51. La Corte rileva tuttavia che le giurisdizioni amministrative interne hanno limitato il loro esame della legittimità della decisione controversa al fatto che il Consiglio della Facoltà aveva constatato l’esistenza di tale decisione.
52. Ciò facendo, i giudici nazionali hanno negato di mettere in questione il fatto che il Consiglio della Facoltà non aveva comunicato le opinioni che erano rimproverate al richiedente. Lontano dall’implicare che le autorità giudiziali si concedano loro stesse ad un giudizio sulla compatibilità tra le posizioni del richiedente e la dottrina cattolica, la comunicazione di questi elementi avrebbe permesso a questo di conoscere e quindi di contestare il legame esistente tra le sue opinioni e le sue attività di insegnante.
53. Del resto, pure rilevando che gli articoli 10 dell’accordo e 45 dello Statuto non impongono nessuno obbligo di indicare le ragioni che giustificano il collocamento lontano dalla candidatura del richiedente, la Corte osserva che l’opportunità di tale indicazione era considerata già all’epoca dei fatti. All’epoca della riunione del Consiglio della Facoltà, uno dei professori, sostenuto da tre altri, ha chiesto “di indicare le ragioni della misura presa contro il professore L. V. . (…) questa domanda si giustifica con l’interesse degli insegnanti della Facoltà di ricevere delle indicazioni concernenti gli aspetti degli studi e degli insegnamenti del professore L. V. che sono stati considerati come incompatibili con l’ispirazione cattolica della Facoltà.” Questa proposta, collocata ai voti, è stata respinta da una ristretta maggioranza: dodici voci contro dieci, con un’astensione, vedere sopra paragrafo 11, x, xi e xii,).
54. In più, la Corte constata che la mancanza di cognizione da parte del richiedente delle ragioni alla base del suo allontanamento ha, in sé, aperto ogni possibilità di esercizio di un dibattito contraddittorio. Questo aspetto non è stato neanche oggetto di un esame da parte dei tribunali interni. Secondo la Corte, il controllo giurisdizionale sull’applicazione della misura controversa non è stato dunque adeguato nello specifico.
55. In conclusione, la Corte stima che l’interesse dell’università di dispensare un insegnamento ispirato alla dottrina cattolica non poteva estendersi fino a raggiungere la sostanza stessa delle garanzie procedurali di cui il richiedente gode ai sensi dell’articolo 10 della Convenzione.
56. Di conseguenza, la Corte stima che, nelle circostanze particolari della causa, l’ingerenza nel diritto alla libertà di espressione del richiedente non era “necessaria in una società democratica”, così che c’è stata violazione dell’articolo 10 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 9 DELLA CONVENZIONE
57. Il richiedente si lamenta anche del fatto che la decisione dell’università Cattolica del Sacro-Cuore, priva di motivazione e presa in mancanza di un reale contraddittorio, ha violato la sua libertà di pensiero, di coscienza e di religione, protetta dall’articolo 9 della Convenzione. Questo articolo è formulato così nelle sue parti pertinenti:
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; questo diritto implica la libertà di cambiare religione o convinzione, così come la libertà di esprimere individualmente la sua religione o la sua convinzione o collettivamente, in pubblico o in privato, tramite il culto, l’insegnamento, le pratiche ed il compimento dei riti.
2. La libertà di esprimere la sua religione o le sue convinzioni non può essere oggetto di altre restrizioni se non quelle che, previste dalla legge, costituiscono delle misure necessarie, in una società democratica, alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. “
58. La Corte stima che il motivo di appello è ammissibile ma che non si pone, sotto l’angolo dell’articolo 9 della Convenzione, nessuna questione che non è stata già trattata nel contesto dall’articolo 10 della Convenzione. Giudica perciò che non si impone di esaminare separatamente questo motivo di appello.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
59. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, sotto l’angolo dell’equità del procedimento e del diritto di accesso ad un tribunale, il richiedente denuncia il fatto che i tribunali interni hanno omesso di deliberare sulla mancanza di motivazione della decisione del Consiglio di Facoltà, limitando così la sua possibilità di attaccare questa ultima e di instaurare un dibattito contraddittorio. Il richiedente si lamenta anche del fatto che il Consiglio della Facoltà si è limitato a prendere atto della decisione della Congregazione, presa, anche, in mancanza di ogni contraddittorio.
Questo articolo è formulato così nelle sue parti pertinenti:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
A. Sull’ammissibilità
60. Il Governo contesta al primo colpo l’esistenza di un “diritto”, ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, nella misura in cui la rivendicazione del richiedente riguarda il rinnovo di un contratto venuto a scadenza. Rileva poi che in ragione del carattere non-giurisdizionale della decisione della Congregazione, i principi del “processo equo” non erano applicabili nello specifico e che le giurisdizioni nazionali non avevano obbligo di verificare il rispetto di tali principi. Il Governo sostiene che non c’era “contestazione” su un diritto di carattere civile. L’articolo 6 § 1 non sarebbe dunque applicabile nel presente caso.
61. Il richiedente contesta la tesi del Governo ed afferma che il suo diritto a partecipare ad un concorso aperto da una persona giuridica di diritto pubblico si qualifica come “diritto di carattere civile”, ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
62. La Corte rileva che non si presta a controversia il fatto che il richiedente beneficiava di un “diritto” di partecipare al concorso controverso riconosciuto in diritto interno. Difatti, ai termini dell’articolo 97, terzo capoverso, della Costituzione, “si accede tramite concorso agli impieghi nelle amministrazioni pubbliche.” Inoltre, non si potrebbe affermare che le contestazioni del richiedente, reali e serie, non riguardavano questo diritto (vedere Silva Neves c. Portogallo, 27 aprile 1989, § 37, serie A no 153-a). In più, la Corte constata che le giurisdizioni amministrative internano non hanno escluso l’esame della causa introdotta dal richiedente, il che implica l’applicabilità dell’articolo 6 (vedere, mutatis mutandis, Vilho Eskelinen ed altri c. Finlandia [GC], no 63235/00, § 62, CEDH 2007-IV). Di conseguenza, l’articolo 6 della Convenzione si trova ad applicare nello specifico. In più, il richiedente beneficiava di un diritto riconosciuto dalla Convenzione, ossia quello alla libertà di espressione garantito dall’articolo 10 (vedere sopra paragrafi30 e 39).
63. La Corte constata dunque che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Tesi delle parti
64. Il Governo osserva che il diritto di accesso ad un tribunale può subire delle limitazioni, in particolare concernenti il difetto di competenza delle giurisdizioni nazionali per deliberare su un atto di un Stato estero.
65. Il richiedente sostiene di non avere potuto investire dei giudici per verificare se il suo allontanamento dall’università era legittimo in quanto fondato su delle motivazioni di antura religiosa.
2. Valutazione della Corte
66. La Corte si riferisce ai principi generali che si liberano dalla sua giurisprudenza in materia di diritto di accesso ad un tribunale (vedere Golder c. Regno Unito del 21 febbraio 1975 ed Ashingdane c. Regno Unito del 28 maggio 1985, serie A no 18, p. 18, § 36, e no 93, pp. 24–25, § 57). Esaminerà la presente causa alla luce di questi principi.
67. In quanto alla superficie dell’esame della questione in causa, la Corte rileva da prima che, nella misura in cui il ricevimento di un atto proveniente da un paese non parte alla Convenzione ha prodotto degli effetti giuridici nella cornice della decisione del Consiglio della Facoltà, che ricadeva, questa, sotto la competenza delle autorità giudiziali interne, le tocca verificare se le decisioni di queste ultime sono state conformi ai diritti del richiedente garantiti dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.
68. La Corte osserva poi che tanto il tribunale amministrativo regionale che il Consiglio di stato hanno limitato il loro esame di legittimità della decisione controversa al fatto che il Consiglio della Facoltà avesse constatato l’esistenza della decisione della Congregazione. Detto diversamente, le giurisdizioni interne hanno stimato di non potere deliberare sulla legittimità della decisione amministrativa incriminata, a partire dal momento in cui era stata fatta menzione della decisione della Santa Sede.
69. Secondo la Corte, ciò ha costituito una limitazione del diritto del richiedente di accedere effettivamente ad un tribunale la quale è ammessa dall’articolo 6 della Convenzione, purché tenda ad un scopo legittimo e sia proporzionata a questo ultimo. Questa limitazione non potrebbe provocare comunque l’esclusione del diritto del richiedente che è in questione.
70. Per ciò che riguarda la proporzionalità della misura in causa, la Corte deve esaminare questa alla luce delle circostanze particolari dello specifico (Waite e Kennedy c. Germania [GC], no 26083/94, § 64, CEDH 1999-I). Ricorda a questo riguardo che non le spetta esaminare in abstracto la legislazione e la pratica pertinente, ma ricercare se il modo in cui hanno toccato il richiedente ha infranto la Convenzione. In particolare, non ha per compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne. Appartiene al primo capo alle autorità nazionali, ed in particolare ai corsi e ai tribunali, interpretare la legislazione interna (vedere, tra altre, Pérez di Rada Cavanilles c. Spagna, sentenza del 28 ottobre 1998, Raccolta 1998-VIII, p. 3255, § 43). Il ruolo della Corte si limita a verificare la compatibilità con la Convenzione degli effetti di simile interpretazione (Ernst ed altri c. Belgio, no 33400/96, § 51, 15 luglio 2003).
71. In questa ricerca, la Corte si riferisce alle considerazioni sviluppate sul merito del motivo di appello sollevato sotto l’angolo dell’articolo 10 della Convenzione (vedere sopra paragrafi 50-54). Reitera che i giudici nazionali hanno negato di mettere in questione l’omissione dell’indicazione, da una parte, dei punti di pretesa eterodossia del richiedente e, dall’altra parte, del legame esistente tra le opinioni espresse da questo e la sua attività di insegnamento. In più, la mancanza di cognizione da parte di questo ultimo delle ragioni alla base del suo allontanamento ha, in sé, aperto ogni possibilità di esercizio di un contraddittorio. Anche questo aspetto non è stato oggetto di un esame da parte dei tribunali interni. Secondo la Corte, il controllo giurisdizionale sull’applicazione della misura controversa non era dunque adeguato nello specifico (vedere, mutatis mutandis, Pellegrini c. Italia, no 30882/96, CEDH 2001-VIII).
72. Alla vista di queste osservazioni, la Corte stima che il richiedente non ha beneficiato di un diritto di accesso effettivo ad un tribunale. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE
73. Sotto l’angolo dell’articolo 13 della Convenzione, il richiedente denuncia la violazione del suo diritto ad un ricorso effettivo per lamentarsi delle violazioni della Convenzione che adduce. Il testo di questo articolo si legge così:
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
74. Questa parte della richiesta deve essere dichiarata anche ammissibile. Tuttavia, la Corte ricorda che quando il diritto rivendicato presenta un carattere civile, l’articolo 6 § 1 della Convenzione costituisce un lex specialis rispetto all’articolo 13 le cui garanzie si trovano assorbite da questo (vedere, mutatis mutandis, la sentenza Brualla Gómez de la Torre c. Spagna del 19 dicembre 1997, Raccolta 1997-VIII, p. 2957, § 41 e Vasilescu c. Romania, 22 maggio 1998, § 43, Raccolta 1998-III).
75. Avuto riguardo alla constatazione di violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, la Corte non giudica necessario pronunciarsi separatamente sul motivo di appello del richiedente derivato dall’articolo 13 della Convenzione.
V. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE
76. Invocando l’articolo 14 della Convenzione, il richiedente si lamenta di avere subito una discriminazione fondata sulla religione nella misura in cui, in quanto professore di un’università libera, è stato sottomesso ad una disciplina differente da quella applicabile ai professori delle università laiche. Il richiedente denuncia in particolare il fatto di non avere avuto cognizione delle motivazioni religiose alla base del suo allontanamento in violazione del suo diritto alla difesa e del principio del contraddittorio. Il testo di questo articolo si legge come segue:
“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione deve essere garantito, senza nessuna distinzione, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche od ogni altra opinione, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, la fortuna, la nascita od ogni altra situazione. “
77. Per la parte del motivo di appello nella quale il richiedente denuncia di essere stato sottomesso ad una disciplina speciale, la Corte rileva che, nelle sue osservazioni riguardanti la violazione addotta dell’art. 10 della Convenzione, il richiedente afferma lui stesso di non contestare la previsione di tale disciplina in diritto interno in vista di garantire la protezione del diritto dell’università di offrire agli studenti un insegnamento ispirato alla dottrina cattolica (vedere sopra paragrafo 34).
78. La Corte aderisce alle considerazioni sviluppate nella sentenza della Corte costituzionale no 195 del 14 dicembre 1972 (vedere sopra paragrafo 21) e nell’articolo 4 della direttiva comunitaria (paragrafo 23 sopra). Stima dunque che questa parte del motivo di appello è priva di fondamento e deve essere respinta conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
79. In compenso, in quanto al risvolto procedurale di questo motivo di appello, riguardante la mancanza di esplicitazione delle motivazioni religiose alla base del non-proseguimento del contratto del richiedente, sulla tutela del diritto alla difesa di questo e sul rispetto del principio del contraddittorio, la Corte considera che questo motivo di appello è ammissibile. Tuttavia, alla vista della constatazione di violazione della libertà di espressione del richiedente e del suo diritto di accesso ad un tribunale (paragrafi 56 e 72 sopra) non c’è luogo di esaminarlo separatamente.
VI. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
80. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
81. Il richiedente afferma di avere subito un danno morale e si rimette alla Corte affinché ne stabilisca l’importo.
82. Il Governo si oppone a questa pretesa.
83. La Corte, deliberando in equità, considera che c’è luogo di concedere al richiedente 10 000 euro (EUR, a titolo del danno morale).
B. Oneri e spese
84. Il richiedente chiede anche 30 000 EUR per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alla Corte, senza produrre tuttavia una fattura in appoggio.
85. Il Governo contesta questa pretesa osservando in particolare che il richiedente non ha giustificato e suddiviso la sua richiesta.
86. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico, tenuto conto dei suddetti criteri e del fatto che il richiedente non ha prodotto nessuna fattura, la Corte respinge la richiesta relativa agli oneri e alle spese del procedimento dinnanzi alla Corte.
C. Interessi moratori
87. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Dichiara, all’unanimità, la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello tratti dagli articoli 6 § 1, 9, 10, 13 e 14 (risvolto procedurale) della Convenzione ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce per sei voci contro una, che c’è stata violazione dell’articolo 10 della Convenzione;
3. Stabilisce, per sei voci contro una, che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione
4. Stabilisce, all’unanimità, che non c’è luogo di esaminare separatamente i motivi di appello derivati dagli articoli 9, 13 e 14 (risvolto procedurale, della Convenzione,);
5. Stabilisce, per sei voci contro una,
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 10 000 EUR (diecimila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
6. Respinge, all’unanimità, la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 20 ottobre 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione dissidente del giudice Cabral Barreto.
F.T.
S.D.

OPINIONE DISSIDENTE DEL GIUDICE CABRAL BARRETO
Mi dispiace di non potere seguire la maggioranza quando conclude alla violazione degli articoli 10 e 6 della Convenzione in questa causa, e questo per le ragioni esposte qui sotto.
I
Articolo 10
1. Sull’esistenza di un’ingerenza, la maggioranza sostiene che la situazione del richiedente è più vicino a quella esaminata nella sentenza Vogt che a quelle incontrate nelle cause Glasenapp e Kosiek, come lo sostiene il Governo (paragrafo 38 della sentenza).
Faccio fatica a seguire questo approccio.
Anche se riconosco che il contratto del richiedente è stato rinnovato per vent’ anni, la verità è che il suo legame con l’università cattolica del Sacro-Cuore di Milano era precario, soggetto ad una valutazione annua, e dunque molto lontano dalla situazione stabile e permanente che conoscono i funzionari, come la Sig.ra V. che era titolare della sua posizione di insegnante da parecchi anni.
Malgrado tutto, il richiedente veniva assunto ogni anno, seguendo una procedura prescritto, sia per quelli che venivano assunti per la prima volta sia per quelli che rinnovavano il loro contratto.
Il fatto che il richiedente abbia insegnato per vent’ anni non gli dava nessuno diritto di natura differente da quelli dei nuovi arrivati poiché, siccome è probabile che ci sia un’evoluzione delle idee, l’esame dei requisiti dei candidati per insegnare all’università deve effettuarsi alla luce del loro pensiero reale.
Va da sé che un professore che ha insegnato per degli gli anni perché aveva i requisiti richiesti deve vedersi rifiutare la continuazione del suo lavoro se ha nel frattempo ha perso questi requisiti.
Per limitarmi al caso specifico, immaginiamo un professore fedele alla chiesa cattolica ma che, ad un dato momento, cambia il suo modo vedere, la sua dottrina ed i suoi dogmi; mi sembra chiaro che, malgrado tutti gli anni che ha consacrato all’università cattolica, questa può stimare che non deve continuare ad insegnare.
Se la maggioranza sembra essere d’ accordo con questo ragionamento-che non è contestato da nessuno del resto-ne bisognava derivare le conclusioni adeguate.
2. È vero che le sentenze Glasenapp e Kosiek sono vecchie, ed è probabile che la tesi che dichiarava che l’articolo 10 non si applicava al procedimento dell’ “assunzione dei funzionari” non sia più valida alla luce delle condizioni di vita reale.
Così, per i bisogni del mio ragionamento e per permettermi di andare in fondo alla posizione della maggioranza, parto dal principio che l’articolo 10 si applica alla situazione del richiedente, anche se avrei gradito che la maggioranza avesse consacrato alcune riflessioni alla natura giuridica del legame tra il richiedente e l’ università rispetto al legame che unisce un professore ed una Università dello stato.
Difatti, mi sembra che tale esercizio avrebbe il piacere di mostrare chiaramente che la libertà accademica proclamata dall’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (paragrafi 24 e 43 della sentenza) è limitata dall’interesse dell’università cattolica di dispensare un insegnamento ispirato alle convinzioni religiose che le sono proprie (paragrafo 47 della sentenza).
3. Per venire all’essenziale, la maggioranza critica il fatto che la Congregazione per l’educazione cattolica, quando ha negato di dare il suo consenso, condizione sine qua non per il rinnovo del contratto del richiedente, non ha dato le ragioni del suo rifiuto, il che ha impedito l’apertura di un dibattito contraddittorio a livello dei tribunali interni su questo punto.
Se ho compreso bene la posizione della maggioranza, la pertinenza delle opinioni del richiedente avanzate per rifiutare il consenso non poteva essere esaminata dai tribunali; l’esame dei tribunali si limitava al legame di causalità tra le opinioni e le attività di insegnante (paragrafo 52 della sentenza).
Per mostrare a che punto trovo completamente irrealistica la posizione della maggioranza che chiede alle parti un onere della prova impossibile ed ai tribunali delle decisioni che dipendono da un tipo di utopia, prendo come motivo di analisi il fatto che il rifiuto del consenso era dovuto alla ricusazione di un dogma da parte di un candidato.
Tuttavia, la Congregazione avrebbe dovuto motivare il suo rifiuto sostenendo che, in uno scritto, il candidato aveva negato uno dei dogmi della chiesa cattolica e che per lei questa posizione era incompatibile con l’insegnamento in una Università cattolica.
In una tale sceneggiatura, il dibattito contraddittorio di natura giuridica ed una decisione giudiziale, richieste dalla maggioranza, avrebbero difficoltà a tenersi nella cornice di un procedimento che si crede equo.
Il legame di causalità tra le posizioni del candidato ed il suo insegnamento, anche se si fa appello alle regole dell’esperienza presenti nella teoria della causalità adeguata, sarà difficile addirittura impossibile da scoprire poiché la situazione richiede un pronostico sul comportamento di una persona ed una valutazione dei suoi requisiti.
La Corte ha sempre sostenuto che la valutazione “delle cognizioni e dell’ esperienza necessarie per esercitare una certa professione sotto un certo titolo si avvicinano ad un esame di tipo scolastico o universitario e si allontanano tanto dal compito normale del giudice che le garanzie dell’articolo 6 non potrebbero prevedere delle dispute su simile materia” (Van Marle ed altri c. Paesi Bassi, 26 giugno 1986, § 36, serie A nº 101; vedere anche, tra altre, San Juan c. Francia, (dec.), no 43956/98, CEDH 2002-III e, mutatis mutandis, Chevrol c. Francia, no 49636/99, § 50, CEDH 2003-III).
Siccome la maggioranza ha concluso alla violazione dell’articolo 10 trattandosi delle garanzie procedurali (paragrafo 55 della sentenza), le considerazioni emesse dalla Corte sulle limitazioni dei compiti dei giudici sotto l’angolo dell’articolo 6 sono direttamente trasportabili per l’esame del motivo di appello derivato dall’articolo 10, il che mi permette di concludere che il richiedente ha beneficiato di un procedimento contraddittorio quanto possibile nelle circostanze dello specifico.
II
Articolo 6
Visto le conclusioni precedenti, mi sembra anche che il procedimento interno è stato equo, avendo esaminato i tribunali la “contestazione” nei limiti ammissibili.
E ciò che non dipende dal compito del giudice-valutare i requisiti professionali necessari per esercitare una certa professione sotto un certo titolo-non può essere analizzato sotto l’angolo dell’articolo 6.

Testo Tradotto

Conclusion Partiellement irrecevable ; Violation de l’art. 10 ; Violation de l’art. 6-1 ; Préjudice moral – réparation
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE LOMBARDI VALLAURI C. ITALIE
(Requête no 39128/05)
ARRÊT
STRASBOURG
20 octobre 2009
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire L. V. c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş, juges,
et de Sally Dollé, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 15 septembre 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 39128/05) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet Etat, M. L. L. V. (« le requérant »), a saisi la Cour le 17 octobre 2005 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant est représenté par Mes S. G. et F. S., avocats respectivement à Florence et à Rome. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté successivement par ses agents, M. I.M. Braguglia, M. R. Adam et Mme E. Spatafora, et ses coagents, MM. V. Esposito et F. Crisafulli, ainsi que par son coagent adjoint, M. N. Lettieri.
3. Le 7 octobre 2008, la Cour a décidé de communiquer les griefs tirés des articles 6 § 1, 10 et 14 de la Convention au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
4. Le requérant est né en 1936 et réside à Florence.
5. A partir de 1976, le requérant fut chargé de l’enseignement de la Philosophie du droit au sein de la Faculté de Droit de l’Université Catholique du Sacré-Cœur de Milan (ci-après, « l’Université »), sur la base de contrats renouvelés tous les ans. Le requérant était également chargé de l’enseignement de la Philosophie du droit au sein de l’Université de Florence.
6. Suite à la publication de l’avis de concours pour l’année académique 1998-1999, le requérant se porta candidat.
7. Le 23 octobre 1998, un entretien informel entre le requérant et un interlocuteur de la Congrégation eut lieu.
8. Par une lettre du 26 octobre 1998 adressée au président de l’Université (Rettore), la Congrégation pour l’Education Catholique (ci-après, « la Congrégation »), organisme du Saint-Siège, communiqua à celui-ci que certaines positions du requérant « s’oppos[ai]ent nettement à la doctrine catholique » et que, « dans le respect de la vérité, du bien des étudiants et de celui de l’Université [même] », le requérant ne devait plus enseigner au sein de cette Université.
9. Par une lettre du 28 octobre 1998, le président de l’Université informa le doyen de la Faculté de Droit (Preside) de la position de la Congrégation.
10. Le 4 novembre 1998, le Conseil de la Faculté de Droit de l’Université (ci-après « le Conseil de Faculté ») se réunit et, constatant que le Saint-Siège n’avait pas donné son accord quant à la nomination du requérant, décida de ne pas prendre en considération la candidature de ce dernier.
11. Le texte intégral du procès-verbal de cette réunion se lit comme suit :
i. « Concernant l’enseignement de la Philosophie du droit, le doyen [de la Faculté de Droit] (Preside) annonce que les demandes de candidature des professeurs L. L. V., B.M. et A.T. ont été déposées dans le délai (…) établi dans l’avis de concours du 29 septembre 1998. Les deux derniers candidats ont expressément requis que leurs demandes ne soient prises en compte que dans le cas de non-présentation de la demande de la part du professeur L.L. V., ou bien, dans le cas où celui-ci n’obtiendrait pas l’agrément nécessaire du Saint-Siège.
ii. Le doyen indique ensuite avoir reçu une lettre du président de l’Université datée du 26 octobre 1998 expliquant que la Congrégation pour l’Education Catholique a estimé que, en raison du contenu de certains écrits et de l’enseignement dans le cadre du cours de la Philosophie du droit du professeur Luigi Lombardi Vallauri, celui-ci ne doit pas continuer à enseigner dans la Faculté. Le doyen lit le texte de la lettre :
iii. “Cher doyen, j’ai reçu une lettre de la Congrégation pour l’Education Catholique du 26 octobre [1998] par laquelle on m’informe de ce qui suit au sujet du professeur L. L. V. et de son cours de Philosophie du droit près la Faculté de Droit.
iv. Après avoir relevé que certaines positions de M. L. V. “s’opposent nettement à la doctrine catholique”, la Congrégation écrit : “on estime partant que, dans le respect de la vérité, du bien des étudiants et de celui de l’Université Catholique du Sacré-Cœur, le professeur L. L. V. ne doit pas continuer à enseigner au sein de cette université”.
v. La Congrégation m’invite à communiquer le contenu de cette lettre au doyen de la Faculté de Droit et au professeur L. L. V.. Je procède par conséquent [à cette communication] et je te prie de rapporter [le contenu de cette lettre] à la Faculté, pour la partie, relevant de sa compétence”.
vi. Par conséquent, le Conseil de Faculté prend acte, au sens de l’article 10 de l’Accord de révision du Concordat et de l’article 45 du Statut de l’Université, que l’agrément nécessaire du Saint-Siège vis-à-vis du professeur L. L. V. fait maintenant défaut (« è venuto meno »).
vii. Le doyen lit ensuite la lettre du professeur M.R., qui est absent.
viii. Le professeur M.R., prenant acte de la décision de la Congrégation et dans le respect de sa compétence spécifique, exprime sa pleine solidarité au professeur L. L. V. ; il regrette profondément que la Faculté ne soit plus en mesure de renouveler sa confiance à un enseignant de grande ouverture culturelle et humaine ; il manifeste à son distingué collègue et ami, un des enseignants les plus brillants, qu’il a pu côtoyer au cours d’une carrière de plus de trente ans d’enseignement, sa gratitude pour l’engagement et le dévouement déployés pendant les années passées dans notre Université. Le professeur C. et le professeur S. s’associent à cette déclaration.
ix. La Faculté exprime ensuite à l’unanimité son regret de ne pas pouvoir prendre en considération la demande du professeur L. V. et remercie leur collègue pour la longue et précieuse charge d’enseignement déployée au profit de la Faculté dans le domaine de la Philosophie du droit.
x. Le professeur D.M. propose que la Faculté invite le président de l’Université à demander à la Congrégation d’indiquer les raisons de la mesure prise à l’encontre du professeur L. V.. Le professeur D.M. indique que cette demande se justifie par l’intérêt des enseignants de la Faculté de recevoir des indications concernant les aspects des études et des enseignements du professeur L. V. qui ont été considérés comme étant incompatibles avec l’inspiration catholique de la Faculté. Les professeurs C., Co. et D. s’associent à cette proposition.
xi. Le professeur S. observe que la Faculté n’est pas autorisée à demander les raisons fondant la décision. [Celle-ci] est un acte d’un ordre [juridique] externe à celui de la Faculté, laquelle a le devoir d’évaluer l’aptitude scientifique et de formation des enseignants ayant obtenu l’approbation de l’autorité religieuse. Le professeur V. relève qu’une telle demande porterait atteinte au droit à la confidentialité du professeur L. V.. Le professeur B. observe que tout enseignant pourrait avoir un intérêt à connaître les raisons de la mesure litigieuse afin de savoir la conduite à tenir, mais [cet intérêt] ne relève pas de la compétence d’un organisme collégiale, tel que le Conseil de Faculté.
xii. La proposition du professeur D.M. fait l’objet d’un vote, à la fin de la discussion, dont les résultats sont les suivants :
Pour : dix
Contre : douze
Abstenu : un. »
12. Le 25 janvier 1999, le requérant introduisit un recours devant le tribunal administratif régional de la Lombardie (« T.A.R. ») afin d’obtenir, entre autres, l’annulation de la décision du Conseil de Faculté du 4 novembre 1998 de ne pas prendre en considération sa candidature ainsi que de l’acte de l’autorité ecclésiale refusant de donner son agrément quant à sa nomination. Le requérant fit aussi valoir que les décisions attaquées étaient inconstitutionnelles en ce qu’elles violaient son droit à l’égalité, sa liberté d’enseignement et sa liberté religieuse.
13. Par un jugement du 26 octobre 2001, le T.A.R. rejeta la demande du requérant.
14. Il releva d’abord que la décision du Conseil de Faculté de ne pas prendre en considération sa candidature avait été dûment motivée, le président de l’Université ayant communiqué la lettre de la Congrégation faisant état du refus de l’agrément de l’autorité ecclésiale. Le tribunal indiqua aussi que l’accord de révision du concordat entre le Saint-Siège et la République italienne (ci-après « l’Accord ») ne prévoyait aucune obligation de mentionner les motifs religieux à la base du refus d’agrément.
15. Le T.A.R. considéra ensuite que l’examen de la légitimité de la décision du Saint-Siège ne rentrait ni dans son champ de compétence ni dans celui du Conseil de Faculté, cet acte émanant d’un Etat étranger.
16. Le tribunal estima enfin que le choix des enseignants d’adhérer aux principes de la religion catholique étant libre, l’article 10 de l’Accord n’entraînait aucune violation du droit à l’égalité, de la liberté d’enseignement et de la liberté religieuse garantis respectivement par les articles 3, 19 et 33 de la Constitution. A la lumière, entre autres, de l’arrêt de la Cour constitutionnelle no 195 du 14 décembre 1972 (voir paragraphe 21 ci-dessous), il rejeta donc les questions de légitimité constitutionnelle soulevées par le requérant.
17. Le 9 décembre 2002, le requérant interjeta appel devant le Conseil d’Etat réitérant le défaut de motivation de la décision du Conseil de Faculté de ne pas prendre en considération sa candidature. Le requérant contesta le défaut de compétence du juge administratif en la matière et soutint que l’absence de communication des raisons à la base de la décision de la Congrégation avait porté atteinte au principe du contradictoire et à son droit à la défense, tels que garantis, entre autres, par l’article 6 de la Convention Européenne des Droits de l’Homme.
18. Par un arrêt déposé le 18 juin 2005, le Conseil d’Etat rejeta l’appel du requérant. Il affirma que « les autorités administratives et juridictionnelles de la République ne sauraient s’écarter de l’arrêt de la Cour constitutionnelle no 195 du 14 décembre 1972 dans l’application de l’article 10 de l’Accord et de son Protocole additionnel ». Le Conseil d’Etat releva aussi qu’« aucune autorité de la République ne saurait juger les évaluations de l’autorité ecclésiale », compte tenu aussi de ce que l’agrément de la Congrégation, émanant du Vatican, se situe hors de leur champ de compétence. Le Conseil d’Etat indiqua que le Conseil de Faculté s’était à juste titre limité à prendre acte du fait qu’en l’absence de l’agrément requis, la candidature du requérant n’était simplement pas susceptible d’être prise en compte.
II. LE DROIT INTERNE ET COMMUNAUTAIRE PERTINENT ET LA RECOMMENDATION DE L’ASSEMBLÉE PARLEMENTAIRE DU CONSEIL DE L’EUROPE
19. La loi no 121 du 25 mars 1985
L’article 10 no 3 de l’Accord de révision du concordat entre le Saint-Siège et la République italienne (signé le 18 février 1984 et ratifié par loi no 121 du 25 mars 1985) dispose ainsi :
« Les nominations des professeurs de l’Université Catholique du Sacré-Cœur (…) sont subordonnées à l’agrément (gradimento), sous l’aspect religieux, de l’autorité ecclésiastique compétente. »
20. Le Protocole additionnel à la loi no 121 du 25 mars 1985
L’article 6 de ce Protocole est ainsi libellé :
« En interprétant l’article 10 no 3 de la loi no 121 du 25 mars 1985, lequel n’a pas modifié l’article 38 du Concordat du 1er février 1929, la République tiendra compte de l’arrêt de la Cour constitutionnelle no 195 du 14 décembre 1972, portant sur le même article ».
21. L’arrêt de la Cour constitutionnelle no 195 du 14 décembre 1972
Dans cet arrêt, la Cour constitutionnelle s’est exprimée sur la question de savoir si la subordination de la nomination des professeurs de l’Université Catholique à l’agrément du Saint-Siège est compatible avec les articles 33 et 19 de la Constitution (garantissant respectivement la liberté d’enseigner et la liberté religieuse). Les parties pertinentes de cet arrêt se lisent ainsi :
« La création d’universités libres, de type confessionnel ou bien appartenant à une idéologie donnée, n’est pas en contradiction avec l’article 33 de la Constitution. Il en découle que la liberté des professeurs d’enseigner (pleinement garantie dans les universités étatiques) est soumise, dans les universités privées, à des limitations nécessaires à la réalisation des finalités de celles-ci. En effet, la liberté d’une université serait violée si elle ne pouvait plus choisir ses professeurs sur la base d’une évaluation de leur personnalité ou bien si elle ne pouvait pas résilier un contrat lorsque les positions religieuses ou idéologiques d’un professeur contredisent celles prononcées par l’université même.
Certes, ces pouvoirs entraînent indirectement la limitation de la liberté personnelle du professeur. Toutefois, elles n’en constituent pas une violation, car l’enseignant reste libre d’adhérer aux finalités particulières de l’université et de résilier le contrat d’emploi lorsqu’il ne partage plus celles-ci.
Les mêmes motivations démontrent le défaut manifeste de fondement de la question soulevée sous l’angle de l’article 19 de la Constitution. En effet, l’existence d’universités libres, caractérisées par la finalité de diffuser une foi religieuse, constitue sans aucun doute un instrument de liberté. Si le système juridique obligeait l’université à nommer des enseignants professant une foi différente de celle à laquelle l’université adhère, cela entraînerait la violation de la liberté religieuse de cette dernière (…). La liberté des catholiques serait fortement compromise si l’Université Catholique ne pouvait pas résilier un contrat de travail avec un enseignant qui ne partagerait plus les finalités fondamentales qui la caractérisent. »
22. Le statut de l’Université Catholique du Sacré-Cœur (D.R. 24 octobre 1996)
Article 1
« (…) L’Université Catholique du Sacré-Cœur (…) est une personne juridique de droit public (…).
L’Université Catholique est une communauté académique qui contribue au développement des études, de la recherche scientifique et à la préparation des jeunes à la recherche, à l’enseignement, aux postes publics et privés et aux professions libérales (…) conformément aux principes de la doctrine catholique, à la nature universelle du catholicisme et aux hautes et spécifiques exigences de liberté.
L’Université Catholique (..) poursuit l’objectif d’assurer dans le monde universitaire et culturel la présence de personnes engagées à faire face et à résoudre, à la lumière du message chrétien et des principes moraux, les problèmes de la société et de la culture. (…) »
Article 44
« (…) L’activité d’enseignement au sein de l’Université Catholique entraîne le respect des principes fondateurs de l’Université même. »
Article 45
« Les nominations du personnel titulaire de l’enseignement de l’Université Catholique sont subordonnées á l’agrément, sous l’aspect religieux, de l’autorité ecclésiastique compétente, qui est délivré sur la base de l’article 10 no 3 de l’Accord de révision du concordat entre le Saint-Siège et la République italienne, signé le 18 février 1984 et ratifié par la loi no 121 du 25 mars 1985.
Dans l’application de l’article 10 no 3 de l’Accord de révision du concordat entre le Saint-Siège et la République italienne, l’Université Catholique, conformément à ce qui est prévu par le Protocole additionnel au même accord, se conformera à l’arrêt de la Cour constitutionnelle no 195 du 14 décembre 1972, portant sur le même article. »
23. La directive 78/2000/CE
Article 4
« (…) Les États membres peuvent prévoir qu’une différence de traitement fondée sur [la religion ou les convictions] ne constitue pas une discrimination lorsque, en raison de la nature d’une activité professionnelle ou des conditions de son exercice, la caractéristique en cause constitue une exigence professionnelle essentielle et déterminante, pour autant que l’objectif soit légitime et que l’exigence soit proportionnée.
Les États membres peuvent maintenir dans leur législation nationale en vigueur à la date d’adoption de la présente directive ou prévoir dans une législation future reprenant des pratiques nationales existant à la date d’adoption de la présente directive des dispositions en vertu desquelles, dans le cas des activités professionnelles d’églises et d’autres organisations publiques ou privées dont l’éthique est fondée sur la religion ou les convictions, une différence de traitement fondée sur la religion ou les convictions d’une personne ne constitue pas une discrimination lorsque, par la nature de ces activités ou par le contexte dans lequel elles sont exercées, la religion ou les convictions constituent une exigence professionnelle essentielle, légitime et justifiée eu égard à l’éthique de l’organisation. (…) »
24. La Recommandation no 1762(2006) de l’Assemblée parlementaire du Conseil de l’Europe : « Liberté académique et autonomie des universités »
« (…)
4. Conformément à la Magna Charta Universitatum, l’Assemblée réaffirme le droit des universités à la liberté académique et à l’autonomie, droit qui recouvre les principes suivants:
4.1. la liberté académique, dans la recherche comme dans l’enseignement, devrait garantir la liberté d’expression et d’action, la liberté de communiquer des informations de même que celle de rechercher et de diffuser sans restriction le savoir et la vérité;
4.2. l’autonomie institutionnelle des universités devrait recouvrir un engagement indépendant envers leur mission culturelle et sociale traditionnelle, toujours essentielle aujourd’hui, à travers une politique d’enrichissement des savoirs, une bonne gouvernance et une gestion efficace;
4.3. l’Histoire a montré que les atteintes à la liberté académique et à l’autonomie des universités ont toujours entraîné un recul sur le plan intellectuel, et donc une stagnation économique et sociale;
(…)
6. Avec l’avènement de la société du savoir, il est aujourd’hui évident que, pour répondre aux nouvelles évolutions, un nouveau contrat entre université et société est nécessaire. Les libertés universitaires doivent être considérées comme s’accompagnant d’une contrepartie inévitable: la responsabilité sociale et culturelle des universités, et leur obligation de rendre des comptes au public et de faire état de leur propre mission. »
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 10 DE LA CONVENTION
25. Le requérant se plaint du fait que la décision de l’Université Catholique du Sacré-Cœur, dépourvue de motivation et prise en l’absence d’un réel débat contradictoire, a violé sa liberté d’expression, telle que garantie par l’article 10 de la Convention. Cet article est ainsi libellé dans ses passages pertinents :
« 1. Toute personne a droit à la liberté d’expression. Ce droit comprend la liberté d’opinion et la liberté de (…) communiquer des informations ou des idées sans qu’il puisse y avoir ingérence d’autorités publiques et sans considération de frontière. (…)
2. L’exercice de ces libertés comportant des devoirs et des responsabilités peut être soumis à certaines (…) conditions, restrictions ou sanctions prévues par la loi, qui constituent des mesures nécessaires, dans une société démocratique, (…) à la protection (…) des droits d’autrui (…). »
A. Sur la recevabilité
26. Le Gouvernement fait valoir tout d’abord que l’Université du Sacré-Cœur « est une institution privée, encadrée dans l’ordre juridique public d’un Etat étranger », à savoir, le Saint-Siège.
27. Il observe ensuite que la non-reconduction du contrat de travail du requérant tient à l’intérêt de celui-ci d’accéder à un emploi, intérêt qui se situe hors du champ d’application de la Convention. Se référant à la jurisprudence de la Cour Glasenapp c. Allemagne (28 août 1986, série A no 104, § 50) et Kosiek c. Allemagne (28 août 1986, série A no 105, § 36,), le Gouvernement soutient que cette partie de la requête devrait être rejetée en tant qu’incompatible ratione materiae avec les dispositions de la Convention.
28. Le requérant conteste les positions du Gouvernement.
29. La Cour se réfère d’emblée au texte de l’article 1 du Statut de l’Université, selon lequel « L’Université Catholique du Sacré-Cœur (…) est une personne juridique de droit public ». De plus, la Cour considère que la compétence des juridictions administratives internes (tribunal administratif régional et Conseil d’Etat) pour trancher la question litigieuse élimine tout doute pouvant surgir quant à la nature publique de l’institution en cause (voir, mutatis mutandis, Rommelfanger c. République Fédérale d’Allemagne, requête no 12242/86, déc. 6 septembre 1989).
30. Quant à l’applicabilité de l’article 10, la Cour relève avoir affirmé, dans les affaires Glasenapp c. Allemagne (précité, § 50) et Kosiek c. Allemagne (précité, § 36), que l’article 10 de la Convention « entre certes en ligne de compte » avec les faits d’espèce et avoir conclu à l’absence d’une ingérence dans l’exercice du droit protégé par le paragraphe 1 de l’article 10. La Cour constate que la protection de l’article 10 de la Convention s’étend donc à la sphère professionnelle des enseignants. Par ailleurs, les faits à l’origine du non-renouvellement du contrat du requérant étaient constitués par « certaines positions s’opposant nettement à la doctrine catholique » (voir paragraphe 8 ci-dessus) qui relèvent, de toute évidence, de l’exercice de la liberté d’expression de celui-ci. Partant, l’exception du Gouvernement tirée de l’incompatibilité ratione materiae de ce grief avec les dispositions de la Convention doit être rejetée.
31. La Cour constate donc que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Thèses des parties
a) Le Gouvernement
32. Le Gouvernement conteste l’existence d’une ingérence dans la liberté d’expression du requérant. Il relève que celui-ci n’était pas « titulaire » d’un poste au sein de l’Université Catholique : il avait signé des contrats annuels, renouvelés tous les ans sur la base d’une sélection effectuée parmi plusieurs candidats. La situation du requérant se rapprocherait des affaires Glasenapp c. Allemagne et Kosiek c. Allemagne (précités) où la Cour avait estimé que, s’agissant du refus des autorités d’admettre les intéressées dans la fonction publique, faute d’une des qualités requises (à savoir, la défense du régime libéral et démocratique), c’était l’accès à l’emploi qui se trouvait au centre du problème (voir Vogt c. Allemagne 26 septembre 1995, § 44, série A no 323). Elle avait donc conclu à l’absence d’ingérence dans leur droit protégé par l’article 10 de la Convention.
33. De toute manière, de l’avis du Gouvernement, même à supposer qu’il y ait eu une ingérence en l’espèce, celle-ci était prévue par la loi, poursuivait un but légitime, à savoir, la protection du droit de l’Université à offrir aux étudiants un enseignement inspiré de la doctrine catholique et était proportionnée à cet objectif, compte tenu notamment de ce que le requérant a continué à exercer son activité d’enseignement au sein de l’Université de Florence.
b) Le requérant
34. Le requérant ne met pas en question le fait que la loi italienne prévoit que les nominations des enseignants de l’Université Catholique du Sacré-Cœur soient subordonnées à l’agrément, sous l’aspect religieux, de l’autorité ecclésiastique compétente, ni que cette mesure poursuit un objectif légitime.
35. Il observe toutefois qu’à l’issue de la procédure devant la Congrégation, menée en l’absence de débat contradictoire, le Conseil de Faculté a décidé de ne pas renouveler son contrat en omettant d’indiquer les aspects de ses opinions qui auraient été en contradiction avec la doctrine catholique. Le requérant fait aussi valoir que son renvoi a eu lieu sur la base d’une mesure totalement soustraite au contrôle des juges nationaux.
c) La tierce partie intervenante
36. L’Université Catholique du Sacré-Cœur, intervenue en tant que tierce partie dans la procédure, relève que le requérant a eu connaissance des motivations religieuses à la base de son renvoi lors de l’entretien avec un interlocuteur de la Congrégation ayant eu lieu le 23 octobre 1998 et à l’occasion duquel le requérant a exercé son droit au contradictoire.
37. La tierce partie se rallie aux observations du Gouvernement quant à la proportionnalité de la mesure litigieuse.
2. Appréciation de la Cour
a) Sur l’existence d’une ingérence
38. Contrairement à la thèse du Gouvernement, la Cour relève tout d’abord que les circonstances de la présente espèce ne sont pas comparables à celles rencontrées dans les affaires Glasenapp c. Allemagne et Kosiek c. Allemagne (précités). En effet, s’il est vrai que le requérant était à chaque fois signataire de contrats temporaires, le renouvellement de ceux-ci pendant plus de vingt ans et la reconnaissance des qualités scientifiques du requérant par ses collègues témoignent de la solidité de sa situation professionnelle (voir la citation au paragraphe 11, points i, viii et ix, ci-dessus). De l’avis de la Cour, les faits d’espèce s’apparentent plutôt à ceux décrits dans l’arrêt Vogt c. Allemagne (précité, § 44). Dans cet arrêt, la Cour avait conclu à l’existence d’une ingérence de l’Etat dans la liberté d’expression de la requérante compte tenu du fait que, contrairement à la situation des requérants dans les affaires Glasenapp c. Allemagne et Kosiek c. Allemagne (précités, voir paragraphe 32 ci-dessus), Mme V. était fonctionnaire titulaire de son poste d’enseignante depuis plusieurs années. Partant, les considérations du Gouvernement tendant à écarter l’existence d’une ingérence dans le droit du requérant garanti par l’article 10 de la Convention ne peuvent être accueillies.
39. La Cour considère donc que la décision du Conseil de Faculté de ne pas prendre en considération la candidature du requérant a bien constitué une ingérence dans le droit de celui-ci garanti par l’article 10 de la Convention.
b) Justification de l’ingérence
i) « Prévue par la loi » et inspirée par un « but légitime »
40. Aux termes du deuxième alinéa de l’article 10 de la Convention, pareille immixtion était « prévue par la loi », à savoir l’article 10 no 3 de la loi no 121 du 25 mars 1985.
41. Quant à l’objectif poursuivi, la Cour relève que la mesure litigieuse visait la réalisation des finalités propres à l’Université, inspirée de la doctrine catholique et que la Cour constitutionnelle, dans son arrêt du 14 décembre 1972, a estimé que la subordination de la nomination des professeurs de l’Université Catholique à l’agrément du Saint-Siège était compatible avec les articles 33 et 19 de la Constitution (voir paragraphe 21 ci-dessus). Elle note aussi que, dans certains établissements, la religion peut constituer une exigence professionnelle, eu égard à l’éthique de l’organisation (voir, au paragraphe 23, l’article 4 de la directive communautaire, 78/2000/CE). Dans ces conditions, la Cour estime que la décision du Conseil de Faculté pouvait être considérée comme inspirée par le but légitime de protéger un « droit d’autrui », qui se manifeste dans l’intérêt de l’Université d’inspirer son enseignement de la doctrine catholique.
ii) « Nécessaire dans une société démocratique »
α) Principes généraux
42. La Cour rappelle que, dans son arrêt Vogt c. Allemagne (précité, § 52), elle a résumé comme suit les principes fondamentaux qui se dégagent de sa jurisprudence relative à l’article 10 de la Convention (voir aussi Sunday Times c. Royaume-Uni (no 2), 26 novembre 1991, § 50, série A no 217 et Perna c. Italie [GC], no 48898/99, § 39, CEDH 2003-V) :
« i. La liberté d’expression constitue l’un des fondements essentiels d’une société démocratique, l’une des conditions primordiales de son progrès et de l’épanouissement de chacun. Sous réserve du paragraphe 2, elle vaut non seulement pour les « informations » ou « idées » accueillies avec faveur ou considérées comme inoffensives ou indifférentes, mais aussi pour celles qui heurtent, choquent ou inquiètent : ainsi le veulent le pluralisme, la tolérance et l’esprit d’ouverture sans lesquels il n’est pas de « société démocratique ». Telle que la consacre l’article 10, elle est assortie d’exceptions qui appellent toutefois une interprétation étroite, et le besoin de la restreindre doit se trouver établi de manière convaincante.
ii. L’adjectif « nécessaire », au sens de l’article 10 § 2, implique un « besoin social impérieux ». Les Etats contractants jouissent d’une certaine marge d’appréciation pour juger de l’existence d’un tel besoin, mais elle se double d’un contrôle européen portant à la fois sur la loi et sur les décisions qui l’appliquent, même quand elles émanent d’une juridiction indépendante. La Cour a donc compétence pour statuer en dernier lieu sur le point de savoir si une « restriction » se concilie avec la liberté d’expression que protège l’article 10.
iii. La Cour n’a point pour tâche, lorsqu’elle exerce son contrôle, de se substituer aux juridictions internes compétentes, mais de vérifier sous l’angle de l’article 10 les décisions qu’elles ont rendues en vertu de leur pouvoir d’appréciation. Il ne s’ensuit pas qu’elle doive se borner à rechercher si l’Etat défendeur a usé de ce pouvoir de bonne foi, avec soin et de façon raisonnable : il lui faut considérer l’ingérence litigieuse à la lumière de l’ensemble de l’affaire pour déterminer si elle était « proportionnée au but légitime poursuivi » et si les motifs invoqués par les autorités nationales pour la justifier apparaissent « pertinents et suffisants ». Ce faisant, la Cour doit se convaincre que les autorités nationales ont appliqué des règles conformes aux principes consacrés à l’article 10 et ce, de surcroît, en se fondant sur une appréciation acceptable des faits pertinents. »
β) Application de ces principes au cas d’espèce
43. La Cour relève d’emblée l’importance accordée dans sa jurisprudence ainsi que, à un niveau plus général, par l’Assemblée parlementaire du Conseil de l’Europe, à la liberté académique, celle-ci devant garantir la liberté d’expression et d’action, la liberté de communiquer des informations de même que celle de « rechercher et de diffuser sans restriction le savoir et la vérité » (voir Sorguç c. Turquie, no 17089/03, § 35, 23 juin 2009, ainsi que la recommandation 1762(2006) de l’Assemblée parlementaire du Conseil de l’Europe, paragraphe 24 ci-dessus).
44. Dans le cas d’espèce, pour apprécier si la mesure litigieuse était « nécessaire dans une société démocratique », la Cour devra prendre en considération, d’une part, le droit du requérant à la liberté d’expression qui implique celui de transmettre des connaissances sans restriction et, d’autre part, l’intérêt de l’Université de dispenser un enseignement suivant des convictions religieuses qui leur sont propres. Ainsi le veut le principe du pluralisme « sans lequel il n’est pas de société démocratique » (voir Handyside c. Royaume-Uni, 7 décembre 1976, § 49, série A no 24).
45. La Cour rappelle que, dans le domaine de la liberté d’expression, la marge d’appréciation dont les Etats contractants jouissent va de pair avec un contrôle européen particulièrement strict en raison de l’importance de cette liberté, maintes fois soulignée par la Cour. Le besoin de la restreindre doit donc se trouver établi de manière convaincante (voir Radio ABC c. Autriche, 20 octobre 1997, § 30, Recueil des arrêts et décisions 1997-VI et Informationsverein Lentia et autres c. Autriche, 24 novembre 1993, § 35, série A no 276).
46. Pour rechercher si tel était le cas en l’occurrence, il y a lieu d’évaluer si, dans la phase administrative devant le Conseil de Faculté, le requérant a joui de garanties procédurales adéquates, tenant notamment à la connaissance des raisons de la limitation de son droit à la liberté d’expression et à la possibilité de les mettre en question. De surcroît, dans le cas d’espèce, ces garanties touchent aussi à la phase, ultérieure, du contrôle juridictionnel de la procédure administrative et, en particulier, à l’efficacité de celui-ci. A cet égard, il est utile de rappeler que la Cour a déjà conclu à la violation de l’article 10 de la Convention sous son volet procédural en raison de la portée vague de la mesure limitant la liberté d’expression ou de l’absence d’une motivation détaillée de celle-ci accompagnée par le manque d’un contrôle juridictionnel adéquat sur son application (voir, mutatis mutandis, Association Ekin c. France, no 39288/98, § 58, CEDH 2001-VIII et Saygılı et Seyman c. Turquie, no 51041/99, §§ 24-25, 27 juin 2006).
47. En ce qui concerne le premier aspect, la Cour relève d’abord que dans sa décision de ne pas prendre en considération la candidature du requérant, le Conseil de Faculté n’a pas communiqué à ce dernier (ni n’a évalué) dans quelle mesure les opinions prétendument hétérodoxes qui lui étaient reprochées se reflétaient dans son activité d’enseignement et comment, de ce fait, celles-ci étaient susceptibles d’affecter l’intérêt de l’Université de dispenser un enseignement inspiré des convictions religieuses qui lui sont propres.
48. Ensuite, d’une manière plus générale, la Cour remarque que le contenu même de ces « positions » est resté totalement inconnu. Seule figure, dans la lettre de la Congrégation (dont la partie pertinente du texte est citée dans la lettre envoyée par le président de l’Université au doyen de la Faculté de Droit) la référence à certaines positions de M. L. V. qui « s’opposent nettement à la doctrine catholique » (voir paragraphe 11, point iv, ci-dessus).
49. La Cour ne peut que relever le caractère vague et incertain d’une telle indication et constater que la décision du Conseil de Faculté, au-delà de la simple référence au manque d’agrément du Saint-Siège, dont le contenu est resté secret, est dépourvue de motivation. Dans ce contexte, l’entretien entre le requérant et un interlocuteur de la Congrégation n’enlève rien à ce constat, cet entretien ayant eu lieu de façon informelle, sans qu’aucun compte-rendu officiel ne soit dressé.
50. En ce qui concerne le second aspect portant sur l’efficacité du contrôle juridictionnel sur la procédure administrative, la Cour rappelle d’emblée que l’appréciation par les Etats de la légitimité des convictions religieuses ou des modalités d’expression de celles-ci doit être en principe exclue (voir, mutatis mutandis, Eglise métropolitaine de Bessarabie et autres c. Moldova, no 45701/99, § 117, CEDH 2001-XII) : dans la présente espèce, la Cour estime qu’il n’appartenait pas aux autorités nationales d’examiner la substance de la décision émanant de la Congrégation.
51. La Cour relève toutefois que les juridictions administratives internes ont limité leur examen de la légitimité de la décision litigieuse au fait que le Conseil de Faculté avait constaté l’existence d’une telle décision.
52. Ce faisant, les juges nationaux ont refusé de mettre en question le fait que le Conseil de Faculté n’ait pas communiqué au requérant les opinions qui lui étaient reprochées. Loin d’impliquer que les autorités judiciaires se livrent elles-mêmes à un jugement sur la compatibilité entre les positions du requérant et la doctrine catholique, la communication de ces éléments aurait permis à celui-ci de connaître et dès lors de contester le lien existant entre ses opinions et son activité d’enseignant.
53. Au demeurant, tout en relevant que les articles 10 de l’Accord et 45 du Statut n’imposent aucune obligation d’indiquer les raisons justifiant la mise à l’écart de la candidature du requérant, la Cour observe que l’opportunité d’une telle indication était déjà envisagée à l’époque des faits. Lors de la réunion du Conseil de Faculté, l’un des professeurs, soutenu par trois autres, a demandé « d’indiquer les raisons de la mesure prise à l’encontre du professeur Lombardi Vallauri. (…) cette demande se justifie par l’intérêt des enseignants de la Faculté de recevoir des indications concernant les aspects des études et des enseignements du professeur L. V. qui ont été considérés comme étant incompatibles avec l’inspiration catholique de la Faculté ». Cette proposition, mise aux votes, a été rejetée par une courte majorité : douze voix contre dix, avec une abstention (voir paragraphe 11, x, xi et xii, ci-dessus).
54. De plus, la Cour constate que le manque de connaissance de la part du requérant des raisons à la base de son éloignement a, en lui-même, écarté toute possibilité d’exercice d’un débat contradictoire. Cet aspect non plus n’a fait l’objet d’un examen par les tribunaux internes. De l’avis de la Cour, le contrôle juridictionnel sur l’application de la mesure litigieuse n’a donc pas été pas adéquat en l’espèce.
55. En conclusion, la Cour estime que l’intérêt de l’Université de dispenser un enseignement inspiré de la doctrine catholique ne pouvait pas s’étendre jusqu’à atteindre la substance même des garanties procédurales dont le requérant jouit au sens de l’article 10 de la Convention.
56. Par conséquent, la Cour estime que, dans les circonstances particulières de l’affaire, l’ingérence dans le droit à la liberté d’expression du requérant n’était pas « nécessaire dans une société démocratique », de sorte qu’il y a eu violation de l’article 10 de la Convention.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 9 DE LA CONVENTION
57. Le requérant se plaint aussi du fait que la décision de l’Université Catholique du Sacré-Cœur, dépourvue de motivation et prise en l’absence d’un réel contradictoire, a violé sa liberté de pensée, de conscience et de religion, protégée par l’article 9 de la Convention. Cet article est ainsi libellé dans ses parties pertinentes :
« 1. Toute personne a droit à la liberté de pensée, de conscience et de religion ; ce droit implique la liberté de changer de religion ou de conviction, ainsi que la liberté de manifester sa religion ou sa conviction individuellement ou collectivement, en public ou en privé, par le culte, l’enseignement, les pratiques et l’accomplissement des rites.
2. La liberté de manifester sa religion ou ses convictions ne peut faire l’objet d’autres restrictions que celles qui, prévues par la loi, constituent des mesures nécessaires, dans une société démocratique (…) à la protection des droits et libertés d’autrui. »
58. La Cour estime que le grief est recevable mais qu’il ne se pose, sous l’angle de l’article 9 de la Convention, aucune question n’ayant pas déjà été traitée dans le contexte de l’article 10 de la Convention. Elle juge en conséquence qu’il ne s’impose pas d’examiner ce grief séparément.
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
59. Invoquant l’article 6 § 1 de la Convention, sous l’angle de l’équité de la procédure et du droit d’accès à un tribunal, le requérant dénonce le fait que les tribunaux internes ont omis de statuer sur le manque de motivation de la décision du Conseil de Faculté, limitant ainsi sa possibilité d’attaquer cette dernière et d’instaurer un débat contradictoire. Le requérant se plaint aussi de ce que le Conseil de Faculté s’est limité à prendre acte de la décision de la Congrégation, prise, également, en l’absence de tout contradictoire.
Cet article est ainsi libellé dans ses parties pertinentes :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement (…) par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) »
A. Sur la recevabilité
60. Le Gouvernement conteste d’emblée l’existence d’un « droit », au sens de l’article 6 § 1 de la Convention, dans la mesure où la revendication du requérant porte sur le renouvellement d’un contrat venu à échéance. Il relève ensuite qu’en raison du caractère non-juridictionnel de la décision de la Congrégation, les principes du « procès équitable » n’étaient pas applicables en l’espèce et que les juridictions nationales n’avaient pas d’obligation de vérifier le respect de tels principes. Le Gouvernement soutient qu’il n’y avait pas de « contestation » sur un droit de caractère civil. L’article 6 § 1 ne serait donc pas applicable dans le cas présent.
61. Le requérant conteste la thèse du Gouvernement et affirme que son droit de participer à un concours ouvert par une personne juridique de droit public se qualifie de « droit de caractère civil », au sens de l’article 6 § 1 de la Convention.
62. La Cour relève qu’il ne prête pas à controverse que le requérant bénéficiait d’un « droit » de participer au concours litigieux reconnu en droit interne. En effet, aux termes de l’article 97, troisième alinéa, de la Constitution, « on accède par concours aux emplois dans les administrations publiques ». En outre, on ne saurait affirmer que les contestations du requérant, réelles et sérieuses, ne portaient pas sur ce droit (voir Silva Neves c. Portugal, 27 avril 1989, § 37, série A no 153-A). De plus, la Cour constate que les juridictions administratives internes n’ont pas exclu l’examen de l’affaire introduite par le requérant, cela impliquant l’applicabilité de l’article 6 (voir, mutatis mutandis, Vilho Eskelinen et autres c. Finlande [GC], no 63235/00, § 62, CEDH 2007-IV). Par conséquent, l’article 6 de la Convention trouve à s’appliquer en l’espèce. De plus, le requérant bénéficiait d’un droit reconnu par la Convention, à savoir celui à la liberté d’expression garanti par l’article 10 (voir paragraphes 30 et 39 ci-dessus).
63. La Cour constate donc que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Thèses des parties
64. Le Gouvernement observe que le droit d’accès à un tribunal peut subir des limitations, notamment concernant le défaut de compétence des juridictions nationales pour statuer sur un acte d’un Etat étranger.
65. Le requérant soutient ne pas avoir pu saisir des juges afin de vérifier si son écartement de l’Université était légitime en tant que fondé sur des motivations de nature religieuse.
2. Appréciation de la Cour
66. La Cour se réfère aux principes généraux qui se dégagent de sa jurisprudence en matière de droit d’accès à un tribunal (voir Golder c. Royaume-Uni du 21 février 1975 et Ashingdane c. Royaume-Uni du 28 mai 1985, série A no 18, p. 18, § 36, et no 93, pp. 24–25, § 57). Elle examinera la présente affaire à la lumière de ces principes.
67. Quant à l’étendue de l’examen de la question en cause, la Cour relève d’abord que, dans la mesure où la réception d’un acte émanant d’un pays non partie à la Convention a produit des effets juridiques dans le cadre de la décision de Conseil de Faculté, tombant, celle-ci, sous la compétence des autorités judiciaires internes, il lui incombe de vérifier si les décisions de ces dernières ont été conformes aux droits du requérant garantis par l’article 6 § 1 de la Convention.
68. La Cour observe ensuite que tant le tribunal administratif régional que le Conseil d’Etat ont limité leur examen de légitimité de la décision litigieuse au fait que le Conseil de Faculté ait constaté l’existence de la décision de la Congrégation. Autrement dit, les juridictions internes ont estimé ne pas pouvoir statuer sur la légitimité de la décision administrative incriminée, à partir du moment où mention était faite de la décision du Saint-Siège.
69. De l’avis de la Cour, cela a constitué une limitation du droit du requérant d’accéder effectivement à un tribunal, laquelle est admise par l’article 6 de la Convention, pourvu qu’elle tende à un but légitime et soit proportionnée à ce dernier. Cette limitation ne saurait de toute manière entraîner l’exclusion du droit du requérant dont il est question.
70. Pour ce qui est de la proportionnalité de la mesure en cause, la Cour doit examiner celle-ci à la lumière des circonstances particulières de l’espèce (Waite et Kennedy c. Allemagne [GC], no 26083/94, § 64, CEDH 1999-I). Elle rappelle à cet égard qu’il lui incombe non pas d’examiner in abstracto la législation et la pratique pertinentes, mais de rechercher si la manière dont elles ont touché le requérant a enfreint la Convention. En particulier, elle n’a pas pour tâche de se substituer aux juridictions internes. C’est au premier chef aux autorités nationales, et notamment aux cours et tribunaux, qu’il incombe d’interpréter la législation interne (voir, entre autres, Pérez de Rada Cavanilles c. Espagne, arrêt du 28 octobre 1998, Recueil 1998-VIII, p. 3255, § 43). Le rôle de la Cour se limite à vérifier la compatibilité avec la Convention des effets de pareille interprétation (Ernst et autres c. Belgique, no 33400/96, § 51, 15 juillet 2003).
71. Dans cette recherche, la Cour se réfère aux considérations développées sur le fond du grief soulevé sous l’angle de l’article 10 de la Convention (voir paragraphes 50-54 ci-dessus). Elle réitère que les juges nationaux ont refusé de mettre en question l’omission de l’indication, d’une part, des points de prétendue hétérodoxie du requérant et, d’autre part, du lien existant entre les opinions exprimées par celui-ci et son activité d’enseignement. De plus, le manque de connaissance de la part de ce dernier des raisons à la base de son éloignement a, en soi, écarté toute possibilité d’exercice d’un contradictoire. Cet aspect, non plus, n’a pas fait l’objet d’un examen par les tribunaux internes. De l’avis de la Cour, le contrôle juridictionnel sur l’application de la mesure litigieuse n’était donc pas adéquat en l’espèce (voir, mutatis mutandis, Pellegrini c. Italie, no 30882/96, CEDH 2001-VIII).
72. Au vu de ces observations, la Cour estime que le requérant n’a pas bénéficié d’un droit d’accès effectif à un tribunal. Partant, il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention.
IV. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 13 DE LA CONVENTION
73. Sous l’angle de l’article 13 de la Convention, le requérant dénonce la violation de son droit à un recours effectif afin de se plaindre des violations de la Convention qu’il allègue. Le texte de cet article se lit ainsi :
« Toute personne dont les droits et libertés reconnus dans la (…) Convention ont été violés, a droit à l’octroi d’un recours effectif devant une instance nationale, alors même que la violation aurait été commise par des personnes agissant dans l’exercice de leurs fonctions officielles. »
74. Cette partie de la requête doit également être déclarée recevable. Toutefois, la Cour rappelle que lorsque le droit revendiqué présente un caractère civil, l’article 6 § 1 de la Convention constitue une lex specialis par rapport à l’article 13, dont les garanties se trouvent absorbées par celle-ci (voir, mutatis mutandis, l’arrêt Brualla Gómez de la Torre c. Espagne du 19 décembre 1997, Recueil 1997-VIII, p. 2957, § 41 et Vasilescu c. Roumanie, 22 mai 1998, § 43, Recueil 1998-III).
75. Eu égard au constat de violation de l’article 6 § 1 de la Convention, la Cour ne juge pas nécessaire de se prononcer séparément sur le grief du requérant tiré de l’article 13 de la Convention.
V. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 14 DE LA CONVENTION
76. Invoquant l’article 14 de la Convention, le requérant se plaint d’avoir subi une discrimination fondée sur la religion dans la mesure où, en tant que professeur d’une université libre, il a été soumis à une discipline différente de celle applicable aux professeurs des universités laïques. Le requérant dénonce notamment le fait de ne pas avoir eu connaissance des motivations religieuses à la base de son éloignement en violation de son droit de défense et du principe du contradictoire. Le texte de cet article se lit comme suit :
« La jouissance des droits et libertés reconnus dans la (…) Convention doit être assurée, sans distinction aucune, fondée notamment sur le sexe, la race, la couleur, la langue, la religion, les opinions politiques ou toutes autres opinions, l’origine nationale ou sociale, l’appartenance à une minorité nationale, la fortune, la naissance ou toute autre situation. »
77. Pour la partie du grief dans laquelle le requérant dénonce avoir été soumis à une discipline spéciale, la Cour relève que, dans ses observations portant sur la violation alléguée de l’art 10 de la Convention, le requérant affirme lui-même ne pas contester la prévision d’une telle discipline en droit interne en vue de garantir la protection du droit de l’Université d’offrir aux étudiants un enseignement inspiré de la doctrine catholique (voir paragraphe 34 ci-dessus).
78. La Cour se rallie aux considérations développées dans l’arrêt de la Cour constitutionnelle no 195 du 14 décembre 1972 (voir paragraphe 21 ci-dessus) et dans l’article 4 de la directive communautaire (paragraphe 23 ci-dessus). Elle estime donc que cette partie du grief est dépourvue de fondement et doit être rejeté conformément à l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
79. En revanche, quant au volet procédural de ce grief, portant sur le manque d’explicitation des motivations religieuses à la base de la non-reconduction du contrat du requérant, sur la tutelle du droit à la défense de celui-ci et sur le respect du principe du contradictoire, la Cour considère que ce grief est recevable. Toutefois, au vu du constat de violation de la liberté d’expression du requérant et de son droit d’accès à un tribunal (paragraphes 56 et 72 ci-dessus), il n’y a pas lieu de l’examiner séparément.
VI. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
80. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
81. Le requérant affirme avoir subi un préjudice moral et s’en remet à la Cour pour qu’elle en établisse le montant.
82. Le Gouvernement s’oppose à cette prétention.
83. La Cour, statuant en équité, considère qu’il y a lieu d’octroyer au requérant 10 000 euros (EUR) au titre du préjudice moral.
B. Frais et dépens
84. Le requérant demande également 30 000 EUR pour les frais et dépens engagés devant la Cour, sans toutefois produire une facture à l’appui.
85. Le Gouvernement conteste cette prétention observant notamment que le requérant n’a pas ventilé sa demande.
86. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. En l’espèce, compte tenu des critères susmentionnés et de ce que le requérant n’a produit aucune facture, la Cour rejette la demande relative aux frais et dépens de la procédure devant la Cour.
C. Intérêts moratoires
87. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR,
1. Déclare, à l’unanimité, la requête recevable quant aux griefs tirés des articles 6 § 1, 9, 10, 13 et 14 (volet procédural) de la Convention et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit, par six voix contre une, qu’il y a eu violation de l’article 10 de la Convention ;
3. Dit, par six voix contre une, qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention
4. Dit, à l’unanimité, qu’il n’y a pas lieu d’examiner séparément les griefs tirés des articles 9, 13 et 14 (volet procédural) de la Convention ;
5. Dit, par six voix contre une,
a) que l’Etat défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 10 000 EUR (dix mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour dommage moral ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ce montant sera à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
6. Rejette, à l’unanimité, la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 20 octobre 2009, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Sally Dollé Françoise Tulkens
Greffière Présidente
Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l’exposé de l’opinion dissidente du juge Cabral Barreto.
F.T.
S.D.

OPINION DISSIDENTE DU JUGE CABRAL BARRETO
Je regrette de ne pas pouvoir suivre la majorité quand elle conclut à la violation des articles 10 et 6 de la Convention dans cette affaire, et ce pour les raisons exposées ci-dessous.
I
Article 10
1. Sur l’existence d’une ingérence, la majorité soutient que la situation du requérant est plus proche de celle examinée dans l’arrêt Vogt que de celles rencontrées dans les affaires Glasenapp et Kosiek, comme le soutient le Gouvernement (paragraphe 38 de l’arrêt).
J’ai du mal à suivre cette approche.
Même si je reconnais que le contrat du requérant a été renouvelé pendant vingt ans, la vérité est que son lien avec l’Université catholique du Sacré-Cœur de Milan était précaire, assujetti à une évaluation annuelle, et donc très loin de la situation stable et permanente que connaissent les fonctionnaires, telle Mme V., qui était titulaire de son poste d’enseignante depuis plusieurs années.
Malgré tout, le requérant était engagé chaque année, en suivant une procédure prescrite soit pour ceux qui étaient engagés pour la première fois soit pour ceux qui renouvelaient leur contrat.
Le fait que le requérant ait enseigné pendant vingt ans ne lui donnait aucun droit d’une nature différente de ceux des nouveaux arrivés puisque, comme il se peut qu’il y ait une évolution des idées, l’examen des qualités des candidats pour enseigner à l’Université doit se faire à la lumière de leur pensée actuelle.
Il va de soi qu’un professeur qui a enseigné pendant des années parce qu’il avait les qualités requises doit se voir refuser la continuation de son travail s’il a entretemps perdu ces qualités.
Pour me limiter au cas d’espèce, imaginons un professeur fidèle à l’Eglise catholique mais qui, à un moment donné, change sa façon de voir, sa doctrine et ses dogmes ; il me paraît clair que, malgré toutes les années qu’il a consacrées à l’Université catholique, celle-ci peut estimer qu’il ne doit pas continuer à y enseigner.
Si la majorité semble être d’accord avec ce raisonnement – qui d’ailleurs n’est contesté par personne – il fallait en tirer les conclusions adéquates.
2. Il est vrai que les arrêts Glasenapp et Kosiek sont anciens, et il se peut que la thèse déclarant que l’article 10 ne s’applique pas à la procédure d’« engagement des fonctionnaires » ne soit plus valable à la lumière des conditions de vie actuelles.
Ainsi, pour les besoins de mon raisonnement et pour me permettre d’aller au fond de la position de la majorité, je pars du principe que l’article 10 s’applique à la situation du requérant, même si j’aurais aimé que la majorité consacre quelques réflexions à la nature juridique du lien entre le requérant et l’Université par rapport au lien qui unit un professeur et une Université de l’Etat.
En effet, il me semble qu’un tel exercice aurait l’avantage de montrer clairement que la liberté académique proclamée par l’Assemblée parlementaire du Conseil de l’Europe (paragraphes 24 et 43 de l’arrêt) est limitée par l’intérêt de l’Université catholique à dispenser un enseignement inspiré des convictions religieuses qui lui sont propres (paragraphe 47 de l’arrêt).
3. Pour en venir à l’essentiel, la majorité critique le fait que la Congrégation pour l’Education catholique, quand elle a refusé de donner son agrément, condition sine qua non pour le renouvellement du contrat du requérant, n’a pas donné les raisons de son refus, ce qui a empêché l’ouverture d’un débat contradictoire au niveau des tribunaux internes sur ce point.
Si j’ai bien compris la position de la majorité, la pertinence des opinions du requérant avancées pour refuser l’agrément ne pouvait pas être examinée par les tribunaux ; l’examen des tribunaux se limitait au lien de causalité entre les opinions et l’activité d’enseignant (paragraphe 52 de l’arrêt).
Pour montrer à quel point je trouve tout à fait irréaliste la position de la majorité qui demande aux parties une charge de la preuve impossible et aux tribunaux des décisions qui relèvent d’une sorte d’utopie, je prends comme sujet d’analyse le fait que le refus de l’agrément était dû à la récusation d’un dogme par un candidat.
Pourtant, la Congrégation aurait dû motiver son refus en soutenant que, dans un écrit, le candidat avait nié l’un des dogmes de l’Eglise catholique et que pour elle cette position était incompatible avec l’enseignement dans une Université catholique.
Dans un tel scénario, le débat contradictoire de nature juridique et une décision judiciaire, réclamés par la majorité, auraient du mal à se tenir dans le cadre d’une procédure se voulant équitable.
Le lien de causalité entre les positions du candidat et son enseignement, même si l’on fait appel aux règles de l’expérience présentes dans la théorie de la causalité adéquate, sera difficile voire impossible à déceler puisque la situation demande un pronostic sur le comportement d’une personne et une évaluation de ses qualités.
La Cour a toujours soutenu que l’évaluation « des connaissances et de l’expérience nécessaires pour exercer une certaine profession sous un certain titre s’apparente à un examen de type scolaire ou universitaire et s’éloigne tant de la tâche normale du juge que les garanties de l’article 6 ne sauraient viser des différends sur pareille matière » (Van Marle et autres c. Pays-Bas, 26 juin 1986, § 36, série A nº 101 ; voir aussi, entre autres, San Juan c. France (déc.), no 43956/98, CEDH 2002-III et, mutatis mutandis, Chevrol c. France, no 49636/99, § 50, CEDH 2003-III).
Comme la majorité a conclu à la violation de l’article 10 s’agissant des garanties procédurales (paragraphe 55 de l’arrêt), les considérations émises par la Cour sur les limitations des tâches des juges sous l’angle de l’article 6 sont transposables directement pour l’examen du grief tiré de l’article 10, ce qui me permet de conclure que le requérant a bénéficié d’une procédure aussi contradictoire que possible dans les circonstances de l’espèce.
II
Article 6
Vu les conclusions précédentes, il me semble aussi que la procédure interne a été équitable, les tribunaux ayant examiné la « contestation » dans les limites admissibles.
Et ce qui ne relève pas de la tâche du juge – évaluer les qualités professionnelles nécessaires pour exercer une certaine profession sous un certain titre – ne peut pas être analysé sous l’angle de l’article 6.

A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza

Il Diritto dell'Espropriazione è una materia molto complessa e poco conosciuta, che "ingloba" parti importanti di molteplici rami del diritto. Per tutelarsi è quindi essenziale farsi assistere da un Professionista (con il quale si consiglia di concordare in anticipo i costi da sostenere, come ormai consentito dalle leggi in vigore).

Se l'espropriato ha già un Professionista di sua fiducia, può comunicagli che sul nostro sito trova strumenti utili per il suo lavoro.
Per capire come funziona la procedura, quando intervenire e i costi da sostenere, si consiglia di consultare la Sezione B.6 - Come tutelarsi e i Costi da sostenere in TRE Passi.

  • La consulenza iniziale, con esame di atti e consigli, è sempre gratuita
    - Per richiederla cliccate qui: Colloquio telefonico gratuito
  • Un'eventuale successiva assistenza, se richiesta, è da concordare
    - Con accordo SCRITTO che garantisce l'espropriato
    - Con pagamento POSTICIPATO (si paga con i soldi che si ottengono dall'Amministrazione)
    - Col criterio: SE NON OTTIENI NON PAGHI

Se l'espropriato è assistito da un Professionista aderente all'Associazione pagherà solo a risultato raggiunto, "con i soldi" dell'Amministrazione. Non si deve pagare se non si ottiene il risultato stabilito. Tutto ciò viene pattuito, a garanzia dell'espropriato, con un contratto scritto. è ammesso solo un rimborso spese da concordare: ad. es. 1.000 euro per il DAP (tutelarsi e opporsi senza contenzioso) o 2.000 euro per il contenzioso. Per maggiori dettagli si veda la pagina 20 del nostro Vademecum gratuito.

La data dell'ultimo controllo di validità dei testi è la seguente: 06/10/2024