Conclusione Parzialmente inammissibile; Violazione dell’art. 10; violazione dell’art. 6-1; danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA LOMBARDI VALLAURI C. ITALIA
( Richiesta no 39128/05)
SENTENZA
STRASBURGO
20 ottobre 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa L. V. c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 15 settembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 39128/05) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. L. L. V. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 17 ottobre 2005 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da S. G. e F. S., avvocati rispettivamente a Firenze ed a Roma. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato successivamente dai suoi agenti, il Sig. I.M. Braguglia, il Sig. R. Adam e la Sig.ra E. Spatafora, e dai suoi coagenti, i Sigg. V. Esposito e F. Crisafulli, così come dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 7 ottobre 2008, la Corte ha deciso di comunicare i motivi di appello tratti dagli articoli 6 § 1, 10 e 14 della Convenzione al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1936 e risiede a Firenze.
5. A partire dal 1976, il richiedente fu incaricato dell’insegnamento di Filosofia del diritto in seno alla Facoltà di Diritto dell’università Cattolica del Sacro-Cuore di Milano (qui di seguito, “l’università”), sulla base di contratti rinnovati ogni anno. Il richiedente era incaricato anche dell’insegnamento di Filosofia del diritto in seno all’università di Firenze.
6. In seguito alla pubblicazione dell’avviso di concorso per l’anno accademico 1998-1999, il richiedente vi si candidò.
7. Il 23 ottobre 1998, una ebbe luogo un colloquio informale tra il richiedente ed un interlocutore della Congregazione.
8. Con una lettera del 26 ottobre 1998 indirizzata al presidente dell’università (Rettore), la Congregazione per l’educazione Cattolica (qui di seguito, “la Congregazione”), organismo della Santa Sede, comunicò a questo che certe posizioni del richiedente “si [opponevano] nettamente alla dottrina cattolica” e che, “nel rispetto della verità, del bene degli studenti e di quello dell’università [anche]”, il richiedente non doveva insegnare più in seno a questa Università.
9. Con una lettera del 28 ottobre 1998, il presidente dell’università informò il decano della Facoltà di Diritto (Preside) della posizione della Congregazione.
10. Il 4 novembre 1998, il Consiglio della Facoltà di Diritto dell’università, qui di seguito “il Consiglio di Facoltà”) si riunisce e, constatando che la Santa Sede non aveva dato il suo accordo in quanto alla nomina del richiedente, decise di non prendere in considerazione la candidatura di questo ultimo.
11. Il testo integrale del verbale di questa riunione si legge come segue:
i. “Concernente l’insegnamento di Filosofia del diritto, il decano [della Facoltà di Diritto] (Preside) annuncia che le domande di candidatura dei professori L. L.i V., B.M. ed A.T. sono state depositate nel termine stabilito dall’avviso di concorso del 29 settembre 1998. I due ultimi candidati hanno richiesto espressamente che le loro domande venissero prese in conto solo nel caso di non-presentazione della domanda da parte del professore L. L. V., o, nel caso dove questo non ottenesse il consenso necessario della Santa Sede.
ii. Il decano indica di avere ricevuto poi una lettera del presidente dell’università datata 26 ottobre 1998 che spiegava che la Congregazione per l’educazione Cattolica ha stimato che, in ragione del contenuto di certi scritti e dell’insegnamento nella cornice del corso di Filosofia del diritto del professore L. L. V., questo non deve continuare ad insegnare nella Facoltà. Il decano legge il testo della lettera:
iii. “Caro decano, ho ricevuto una lettera della Congregazione per l’educazione Cattolica del 26 ottobre [1998] con la quale mi si informa di ciò che segue a proposito del professore L. L. V. e del suo corso di Filosofia del diritto presso la Facoltà di Diritto.
iv. Dopo avere rilevato che certe posizioni del Sig. L. V. si oppongono nettamente alla dottrina cattolica”, la Congregazione scrive: “si stima pertanto che, nel rispetto della verità, del bene degli studenti e di quello dell’università Cattolica del Sacro-Cuore, il professore L. L. V. non deve continuare ad insegnare in seno a questa università.”
v. La Congregazione mi invita a comunicare il contenuto di questa lettera al decano della Facoltà di Diritto ed al professore L. L. V.. Procedo di conseguenza [a questa comunicazione] ed io ti prego di riportare [il contenuto di questa lettera] alla Facoltà, per la parte, che dipende dalla sua competenza”.
vi. Di conseguenza, il Consiglio di Facoltà prende atto, ai sensi dell’articolo 10 dell’accordo di revisione del Concordato e dell’articolo 45 dello Statuto dell’università, che il consenso necessario della Santa Sede nei confronti il professore L. L. V. fa adesso difetto (“è venuto meno”).
vii. Il decano legge poi la lettera del professore M.R che è assente.
viii. Il professore M.R, prendendo atto della decisione della Congregazione e nel rispetto della sua competenza specifica, esprime la sua piena solidarietà al professore L. L. V. ; gli dispiace profondamente che la Facoltà non sia più in grado di rinnovare la sua fiducia ad un insegnante di grande apertura culturale ed umana; esprime al suo distinto collega ed amico, uno degli insegnanti più brillanti, che ha fiancheggiato durante una carriera di più di trent’ anni di insegnamento, la sua gratitudine per l’impegno e la devozione mostrata durante gli anni passati nella nostra Università. Il professore C. ed il professore S. si associano a questa dichiarazione.
ix. La Facoltà esprime poi all’unanimità il suo dispiacere di non potere prendere in considerazione la richiesta del professore L. V. e ringrazia il loro collega per il lungo e prezioso incarico di insegnamento mostrato a profitto della Facoltà nel campo della Filosofia del diritto.
x. Il professore D.M. propone che la Facoltà inviti il presidente dell’università a chiedere alla Congregazione di indicare le ragioni della misura presa contro il professore L. V. . Il professore D.M. indica che questa domanda si giustifica con l’interesse degli insegnanti della Facoltà di ricevere delle indicazioni concernenti gli aspetti degli studi e degli insegnamenti del professore L. V. che sono stati considerati come incompatibili con l’ispirazione cattolica della Facoltà. I professori C., Co. e D. si associano a questa proposta.
xi. Il professore S. osserva che la Facoltà non è autorizzata a chiedere le ragioni che fondano la decisione. [Questa] è un atto di un ordine [giuridico] esterno a quello della Facoltà che ha il dovere di valutare l’attitudine scientifica e di formazione degli insegnanti che hanno ottenuto l’approvazione dell’autorità religiosa. Il professore V. rileva che tale domanda porterebbe attentato al diritto alla confidenzialità del professore L. V. . Il professore B. osserva che ogni insegnante potrebbe avere un interesse a conoscere le ragioni della misura controversa per sapere la condotta a cui attenersi, ma [questo interesse] non dipende dalla competenza di un organismo collegiale, come il Consiglio di Facoltà.
xii. La proposta del professore D.M. è oggetto di un voto, alla fine della cui discussione i risultati sono i successivi,:
A favore: dieci
Contro: dodici
Astenuti: uno. “
12. Il 25 gennaio 1999, il richiedente introdusse un ricorso dinnanzi al tribunale amministrativo regionale della Lombardia (“T.A.R. “) per ottenere, tra l’altro, l’annullamento della decisione del Consiglio di Facoltà del 4 novembre 1998 di non prendere in considerazione la sua candidatura così come dell’atto dell’autorità ecclesiale che nega di dare il suo consenso in quanto alla sua nomina. Il richiedente fece valere anche che le decisioni attaccate erano incostituzionali per il fatto che violavano il suo diritto all’uguaglianza, la sua libertà di insegnamento e la sua libertà religiosa.
13. Con un giudizio del 26 ottobre 2001, il T.A.R. respinse l’istanza del richiedente.
14. Rilevò da prima che la decisione del Consiglio di Facoltà di non prendere in considerazione la sua candidatura era stata debitamente motivata, avendo comunicato il presidente dell’università la lettera della Congregazione che fa stato del rifiuto del consenso dell’autorità ecclesiale. Il tribunale indicò anche che l’accordo di revisione del concordato tra la Santa Sede e la Repubbliche italiana, qui di seguito “l’accordo”) non contemplava nessuno obbligo di menzionare i motivi religiosi alla base del rifiuto del consenso.
15. Il T.A.R. considera poi che l’esame della legittimità della decisione della Santa Sede non rientrava né nel suo campo di competenza né in quello del Consiglio di Facoltà, provenendo questo atto da un Stato estero.
16. Il tribunale stimò infine che essendo libera la scelta degli insegnanti di aderire ai principi della religione cattolica, l’articolo 10 dell’accordo non provocava nessuna violazione del diritto all’uguaglianza, della libertà di insegnamento e della libertà religiosa garantito rispettivamente dagli articoli 3, 19 e 33 della Costituzione. Alla luce, tra l’altro, della sentenza della Corte costituzionale no 195 del 14 dicembre 1972 (vedere paragrafo 21 sotto), respinse dunque le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal richiedente.
17. Il 9 dicembre 2002, il richiedente interpose appello dinnanzi al Consiglio di stato reiterando il difetto di motivazione della decisione del Consiglio di Facoltà di non prendere in considerazione la sua candidatura. Il richiedente contestò il difetto di competenza in materia del giudice amministrativo e sostenne che la mancanza di comunicazione delle ragioni alla base della decisione della Congregazione aveva recato offesa al principio del contraddittorio ed al suo diritto alla difesa, come garantito, tra l’altro, dall’articolo 6 della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo.
18. Con una sentenza depositata il 18 giugno 2005, il Consiglio di stato respinse l’appello del richiedente. Affermò che “le autorità amministrative e giurisdizionali della Repubblica non potrebbero scostarsi dalla sentenza della Corte costituzionale no 195 del 14 dicembre 1972 nell’applicazione dell’articolo 10 dell’Accordo e del suo Protocollo addizionale.” Il Consiglio di stato rilevò anche che “nessuna autorità della Repubblica non potrebbe giudicare le valutazioni dell’autorità ecclesiale”, tenuto conto anche del fatto che il consenso della Congregazione, provenente dal Vaticano, si trova fuori dal loro campo di competenza. Il Consiglio di stato indicò che il Consiglio di Facoltà si era limitato a buon diritto a prendere atto del fatto che in mancanza del consenso richiesto, la candidatura del richiedente non era semplicemente suscettibile di essere presa in conto.
II. IL DIRITTO INTERNO E COMUNITARIO PERTINENTE ED LA RACOMANDAZIONE DELL’ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL CONSIGLIO D’EUROPE
19. La legge no 121 del 25 marzo 1985
L’articolo 10 no 3 dell’accordo di revisione del concordato tra la Santa Sede e la Repubblica italiane, firmato il 18 febbraio 1984 e ratificato dalla legge no 121 del 25 marzo 1985, dispone così:
“Le nomine dei professori dell’università Cattolica del Sacro-Cuore sono subordinate al consenso (gradimento), sotto l’aspetto religioso, dell’autorità ecclesiastica competente. “
20. Il Protocollo addizionale alla legge no 121 del 25 marzo 1985
L’articolo 6 di questo Protocollo è formulato così:
Interpretando l’articolo 10 no 3 della legge no 121 del 25 marzo 1985 che non ha modificato l’articolo 38 del Concordato del 1 febbraio 1929, la Repubblica terrà conto della sentenza della Corte costituzionale no 195 del 14 dicembre 1972, riguardante lo stesso articolo”.
21. La sentenza della Corte costituzionale no 195 del 14 dicembre 1972
In questa sentenza, la Corte costituzionale si è espressa sulla questione di sapere se la subordinazione della nomina dei professori dell’università Cattolica al consenso della Santa Sede è compatibile con gli articoli 33 e 19 della Costituzione, che garantiscono rispettivamente la libertà di insegnare e la libertà religiosa. Le parti pertinenti di questa sentenza si leggono così:
“La creazione di università libere, di tipo confessionale o appartenenti ad una data ideologia, non è in contraddizione con l’articolo 33 della Costituzione. Ne deriva che la libertà dei professori di insegnare, pienamente garantito nelle università statali, è sottoposta, nelle università private, alle limitazioni necessarie alla realizzazione delle finalità di queste. Difatti, la libertà di un’università sarebbe violata se non potesse più scegliere i suoi professori sulla base di una valutazione della loro personalità o se non potesse rescindere un contratto quando le posizioni religiose o ideologiche di un professore contraddicono quelle pronunciate dall’università stessa.
Questi poteri provocano certo, indirettamente la limitazione della libertà personale del professore. Tuttavia, non ne costituiscono una violazione, perché l’insegnante resta libero di aderire alle finalità particolari dell’università e di rescindere il contratto di impiego quando non condivide più queste.
Le stesse motivazioni dimostrano il difetto manifesto di fondamento della questione sollevata sotto l’angolo dell’articolo 19 della Costituzione. L’esistenza di università libere, caratterizzate dalla finalità di diffondere una fede religiosa, costituisce difatti, sicuramente un strumento di libertà. Se il sistema giuridico obbligasse l’università a nominare degli insegnanti che professano una fede differente da quella alla quale l’università aderisce, ciò provocherebbe la violazione della libertà religiosa di questa ultima. La libertà dei cattolici sarebbe compromessa molto se l’università Cattolica non potesse rescindere un contratto di lavoro con un insegnante che non condivide più le finalità fondamentali che la caratterizzano. “
22. Lo statuto dell’università Cattolica del Sacro-Cuore, D.R. 24 ottobre 1996,
Articolo 1
“(…) L’università Cattolica del Sacro-Cuore è una persona giuridica di diritto pubblico.
L’università Cattolica è una comunità accademica che contribuisce allo sviluppo degli studi, della ricerca scientifica ed alla preparazione dei giovani alla ricerca, all’insegnamento, alle posizioni pubbliche e private ed alle libere professioni, conformemente ai principi della dottrina cattolica, alla natura universale del cattolicesimo ed alle alte e specifiche esigenze di libertà.
L’università Cattolica (..) insegue l’obiettivo di garantire nel mondo universitario e culturale la presenza di persone impegnate a fare fronte ed a decidere, alla luce del messaggio cristiano e dei principi giuridici, i problemi della società e della cultura. (…) “
Articolo 44
“(…) L’attività di insegnamento in seno all’università Cattolica provoca il rispetto dei principi fondatori dell’università stessa. “
Articolo 45
“Le nomine del personale titolare dell’insegnamento dell’università Cattolica sono subordinate al consenso, sotto l’aspetto religioso, dell’autorità ecclesiastica competente che viene rilasciato sulla base dell’articolo 10 no 3 dell’accordo di revisione del concordato tra la Santa Sede e la Repubblica italiana, firmato il 18 febbraio 1984 e ratificato dalla legge no 121 del 25 marzo 1985.
Nell’applicazione dell’articolo 10 no 3 dell’accordo di revisione del concordato tra la Santa Sede e la Repubblica italiana, l’università Cattolica, conformemente a ciò che è previsto dal Protocollo addizionale allo stesso accordo, si conformerà alla sentenza della Corte costituzionale no 195 del 14 dicembre 1972, riguardante lo stesso articolo. “
23. La direttiva 78/2000/CE
Articolo 4
“(…) Gli Stati membri possono contemplare che una differenza di trattamento fondato sulla [religione o sulle convinzioni] non costituisce una discriminazione quando, in ragione della natura di un’attività professionale o delle condizioni del suo esercizio, la caratteristica in causa costituisce un’esigenza professionale essenziale e determinante, per quanto l’obiettivo sia legittimo e l’esigenza sia proporzionata.
Gli Stati membri possono mantenere in vigore nella loro legislazione nazionale in data dell’ adozione della presente direttiva o possono contemplare in una legislazione futura che riprende delle pratiche nazionali esistenti in di adozione della presente direttiva delle disposizioni in virtù dalle quali, nel caso delle attività professionali di chiese e di altre organizzazioni pubbliche o private la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni, una differenza di trattamento fondato sulla religione o sulle convinzioni di una persona non costituisca una discriminazione quando, per la natura di queste attività o per il contesto in cui sono esercitate, la religione o le convinzioni costituiscono un’esigenza professionale essenziale, legittima e giustificata avuto riguardo all’etica dell’organizzazione. (…) “
24. La Raccomandazione no 1762(2006, dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa: “Libertà accademica ed autonomia delle università”
“(…)
4. Conformemente alla Magna Charta Universitatum, l’assemblea riafferma il diritto delle università alla libertà accademica ed all’autonomia, diritto che ricopre i seguenti principi,:
4.1. la libertà accademica, nella ricerca come nell’insegnamento, dovrebbe garantire la libertà di espressione e di azione, la libertà di comunicare delle informazione come quella di ricercare e di diffondere senza restrizione lo scibile e la verità;
4.2. l’autonomia istituzionale delle università dovrebbe ricoprire un impegno indipendente verso la loro missione culturale e sociale tradizionale, sempre essenziale oggi, attraverso una politica di arricchimento degli scibili, un buon governo ed una gestione efficace;
4.3. la storia ha mostrato che gli attentati alla libertà accademica ed all’autonomia delle università hanno sempre provocato un distacco sul piano intellettuale, e dunque una stagnazione economica e sociale;
(…)
6. Con l’avvento della società dello scibile, è oggi evidente che, per rispondere alle nuove evoluzioni, un nuovo contratto tra università e società è necessario. Le libertà universitarie devono essere considerate come corredate di una contropartita inevitabile: la responsabilità sociale e culturale delle università, ed il loro obbligo di rendere dei conti al pubblico e di fare stato della loro propria missione. “
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 10 DELLA CONVENZIONE
25. Il richiedente si lamenta del fatto che la decisione dell’università Cattolica del Sacro-Cuore, priva di motivazione e presa in mancanza di un reale dibattito contraddittorio, ha violato la sua libertà di espressione, come garantita dall’articolo 10 della Convenzione. Questo articolo è formulato così nei suoi passaggi pertinenti:
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di opinione e la libertà di comunicare delle informazione o delle idee senza che ci possa essere ingerenza da parte di autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. (…)
2. L’esercizio di queste libertà che comprendono dei doveri e delle responsabilità può essere sottomesso a certe condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge che costituiscono delle misure necessarie, in una società democratica, (…) alla protezione dei diritti di altrui. “
A. Sull’ammissibilità
26. Il Governo fa valere innanzitutto che l’università del Sacro-Cuore “è un’istituzione privata, incorniciata nell’ordine giuridico pubblico di un Stato estero”, ossia, la Santa Sede.
27. Osserva poi che il non-proseguimento del contratto di lavoro del richiedente tiene all’interesse di questo di accedere ad un impiego, interesse che si trova fuori dal campo di applicazione della Convenzione. Riferendosi alla giurisprudenza della Corte Glasenapp c. Germania,( 28 agosto 1986, serie A no 104, § 50) e Kosiek c. Germania, (28 agosto 1986, serie A no 105, § 36,), il Governo sostiene che questa parte della richiesta dovrebbe essere respinta in quanto incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione.
28. Il richiedente contesta le posizioni del Governo.
29. La Corte si riferisce al primo colpo al testo dell’articolo 1 dello Statuto dell’università secondo cui “L’università Cattolica del Sacro-Cuore è una persona giuridica di diritto pubblico.” In più, la Corte considera che la competenza delle giurisdizioni amministrative interne, tribunale amministrativo regionale e Consiglio di stato, per decidere la questione controversa elimina ogni dubbio che può sorgere in quanto alla natura pubblica dell’istituzione in causa (vedere, mutatis mutandis, Rommelfanger c. Repubblica Federale della Germania, richiesta no 12242/86, (dec.), 6 settembre 1989).
30. In quanto all’applicabilità dell’articolo 10, la Corte rileva di avere affermato, nelle cause Glasenapp c. Germania (precitata, § 50) e Kosiek c. Germania (precitata, § 36) che l’articolo 10 della Convenzione “entra certo in fila di conto” coi fatti dello specifico e di aver concluso alla mancanza di un’ingerenza nell’esercizio del diritto protetto dal paragrafo 1 dell’articolo 10. La Corte constata che la protezione dell’articolo 10 della Convenzione si estende alla sfera professionale degli insegnanti dunque. Peraltro, i fatti all’origine del non-rinnovo del contratto del richiedente erano costituiti da “certe posizioni che si opponevano nettamente alla dottrina cattolica” (vedere sopra paragrafo 8), che dipendevano, evidentemente, dall’esercizio della libertà di espressione di questo. Pertanto, l’eccezione del Governo tratta dall’incompatibilità ratione materiae di questo motivo di appello con le disposizioni della Convenzione deve essere respinta.
31. La Corte constata dunque che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Tesi delle parti
a) Il Governo
32. Il Governo contesta l’esistenza di un’ingerenza nella libertà di espressione del richiedente. Rileva che questo non era “titolare” di una posiziona in seno all’università Cattolica: aveva firmato dei contratti annuali, rinnovati sulla base di una selezione effettuata tra parecchi candidati ogni anno. La situazione del richiedente si avvicinerebbe a quella delle cause Glasenapp c. Germania e Kosiek c. Germania (precitate) dove la Corte aveva stimato che, trattandosi del rifiuto delle autorità di ammettere le interessate nella funzione pubblica, in mancanza di uno dei requisiti richiesti, ossia, la difesa del regime liberale e democratico, l’accesso all’impiego si trovava al centro del problema (vedere Vogt c. Germania 26 settembre 1995, § 44, serie A no 323). Aveva concluso dunque alla mancanza di ingerenza nel loro diritto protetto dall’articolo 10 della Convenzione.
33. Comunque, secondo il Governo, anche supponendo che ci sia stata un’ingerenza nello specifico, questa era prevista dalla legge, inseguiva un scopo legittimo, ossia, la protezione del diritto dell’università ad offrire un insegnamento ispirato alla dottrina cattolica agli studenti ed era proporzionata a questo obiettivo, tenuto conto in particolare del fatto che il richiedente ha continuato ad esercitare la sua attività di insegnamento in seno all’università di Firenze.
b) Il richiedente
34. Il richiedente non mette in questione il fatto che la legge italiana contempli che le nomine degli insegnanti dell’università Cattolica del Sacro-Cuore siano subordinate al consenso, sotto l’aspetto religioso, dell’autorità ecclesiastica competente, né che questa misura non insegua un obiettivo legittimo.
35. Osserva tuttavia che al termine del procedimento dinnanzi alla Congregazione, condotto in mancanza di dibattito contraddittorio, il Consiglio di Facoltà ha deciso di non rinnovare il suo contratto omettendo di indicare gli aspetti delle sue opinioni che sarebbero state in contraddizione con la dottrina cattolica. Il richiedente fa valere anche che il suo rinvio ha avuto luogo sulla base di una misura totalmente sottratta al controllo dei giudici nazionali.
c) La terza parte intervenuta
36. L’università Cattolica del Sacro-Cuore, intervenuta in quanto terza parte nel procedimento, rileva che il richiedente ha avuto cognizione delle motivazioni religiose alla base del suo rinvio all’epoca di un colloquio con un interlocutore della Congregazione che ha avuto luogo il 23 ottobre 1998 ed in occasione del quale il richiedente ha esercitato il suo diritto al contraddittorio.
37. La terza parte aderisce alle osservazioni del Governo in quanto alla proporzionalità della misura controversa.
2. Valutazione della Corte
a) Sull’esistenza di un’ingerenza
38. Contrariamente alla tesi del Governo, la Corte rileva innanzitutto che le circostanze del presente caso non sono comparabili a quelle incontrate nelle cause Glasenapp c. Germania e Kosiek c. Germania, precitate. Difatti, se è vero che il richiedente era ogni volta firmatario di contratti temporanei, il rinnovo di questi per più di vent’ anni e la riconoscenza dei requisiti scientifici del richiedente da parte suoi colleghi testimonia della solidità della sua situazione professionale (vedere sopra la citazione al paragrafo 11, punti i, viii ed ix,). Secondo la Corte, i fatti nello specifico si avvicinano piuttosto a quelli descritte nella sentenza Vogt c. Germania (precitata, § 44). In questa sentenza, la Corte aveva concluso all’esistenza di un’ingerenza dello stato nella libertà di espressione del richiedente tenuto conto del fatto che, contrariamente alla situazione dei richiedenti nelle cause Glasenapp c. Germania e Kosiek c. Germania (precitate, vedere sopra paragrafo 32) la Sig.ra V. era funzionario titolare della sua posizione di insegnante da parecchi anni. Pertanto, le considerazioni del Governo che tendono ad allontanare l’esistenza di un’ingerenza nel diritto del richiedente garantito dall’articolo 10 della Convenzione non possono essere accolte.
39. La Corte considera dunque che la decisione del Consiglio della Facoltà di non prendere in considerazione la candidatura del richiedente ha costituito un’ingerenza nel diritto di questo garantito dall’articolo 10 della Convenzione.
b) Giustificazione dell’ingerenza
i) “Prevista dalla legge” ed ispirata da uno “scopo legittimo”
40. Ai termini del secondo capoverso dell’articolo 10 della Convenzione, simile intromissione era “prevista dalla legge”, ossia l’articolo 10 no 3 della legge no 121 del 25 marzo 1985.
41. In quanto all’obiettivo perseguito, la Corte rileva che la misura controversa prevedeva la realizzazione delle finalità proprie all’università, ispirate dalla dottrina cattolica e che la Corte costituzionale, nella sua sentenza del 14 dicembre 1972, ha stimato che la subordinazione della nomina dei professori dell’università Cattolica al consenso della Santa Sede era compatibile con gli articoli 33 e 19 della Costituzione (vedere sopra paragrafo 21). Nota anche che, in certe determinazioni, la religione può costituire un’esigenza professionale, avuto riguardo all’etica dell’organizzazione (vedere, al paragrafo 23, l’articolo 4 della direttiva comunitaria, 78/2000/CE). In queste condizioni, la Corte stima che la decisione del Consiglio della Facoltà poteva essere considerata come ispirata dallo scopo legittimo di proteggere un “diritto altrui” che si manifesta nell’interesse dell’università di ispirare il suo insegnamento alla dottrina cattolica.
ii, “Necessaria in una società democratica”,
α) Principi generali
42. La Corte ricorda che, nella sua sentenza Vogt c. Germania (precitata, § 52) ha riassunto come segue i principi fondamentali che si liberano dalla sua giurisprudenza relativa all’articolo 10 della Convenzione (vedere anche Sunday Time c. Regno Unito (no 2), 26 novembre 1991, § 50, serie A no 217 e Perna c. Italia [GC], no 48898/99, § 39, CEDH 2003-V):
“i. La libertà di espressione costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica, una delle condizioni fondamentali del suo progresso e dell’espressione di ciascuno. Sotto riserva del paragrafo 2, vale non solo per le “informazioni” o le “idee” accolte con favore o considerate come innocue o indifferenti, ma anche per quelle che urtano, scioccano o inquietano: così vuole il pluralismo, la tolleranza e lo spirito di apertura senza i quali non vi è “società democratica.” Come consacra l’articolo 10, viene abbinata ad eccezioni che richiamano tuttavia un’interpretazione stretta, ed il bisogno di restringerla deve essere stabilito in modo convincente.
ii. L’aggettivo “necessario”, ai sensi dell’articolo 10 § 2, implica un “bisogno sociale imperioso.” Gli Stati contraenti godono di un certo margine di valutazione per giudicare dell’esistenza di tale bisogno, ma si accompagna ad un controllo europeo che riguarda al tempo stesso la legge e le decisioni che l’applicano, anche quando provengono da una giurisdizione indipendente. La Corte ha competenza per deliberare sul punto di sapere da ultimo dunque se una “restrizione” si concilia con la libertà di espressione protetta dall’articolo 10.
iii. La Corte non ha per compito, quando esercita il suo controllo, di sostituirsi alle giurisdizioni interne competenti, ma di verificare sotto l’angolo dell’articolo 10 le decisioni che hanno reso in virtù del loro potere di valutazione. Non ne segue che si debba limitare a ricercare se lo stato convenuto si è avvalso di questo potere in buona fede, con cura ed in modo ragionevole: occorre anche considerare l’ingerenza controversa alla luce dell’insieme della causa per determinare se era “proporzionata allo scopo legittimo perseguito” e se i motivi invocati dalle autorità nazionali per giustificarla appaiono “pertinenti e sufficienti.” Ciò facendo, la Corte deve convincersi che le autorità nazionali hanno applicato delle regole conformi ai principi consacrati all’articolo 10 e questo, per di più, basandosi su una valutazione accettabile dei fatti pertinenti. “
β,)Applicazione di questi principi al caso specifico
43. La Corte rileva al primo colpo l’importanza accordata nella sua giurisprudenza così come, ad un livello più generale, dall’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, alla libertà accademica, questa dovendo garantire la libertà di espressione e di azione, la libertà di comunicare delle informazioni come quella di “ricercare e di diffondere senza restrizione lo scibile e la verità” (vedere Sorguç c. Turchia, no 17089/03, § 35, 23 giugno 2009) così come la raccomandazione 1762(2006, dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (paragrafo 24 sopra).
44. Nel caso specifico, per valutare se la misura controversa era “necessaria in una società democratica”, la Corte dovrà prendere in considerazione, da una parte, il diritto del richiedente alla libertà di espressione che implica quello di trasmettere delle cognizioni senza restrizione e, dall’altra parte, l’interesse dell’università di dispensare un insegnamento che segua delle convinzioni religiose che sono loro proprie. Così vuole il principio del pluralismo “senza del quale non vi è società democratica” (vedere Handyside c. Regno Unito, 7 dicembre 1976, § 49, serie A no 24).
45. La Corte ricorda che, nell’ambito della libertà di espressione, il margine di valutazione di cui gli Stati contraenti godono va di pari passo ad un controllo europeo particolarmente rigoroso in ragione dell’importanza di questa libertà, molte volte sottolineato dalla Corte. Il bisogno di restringerla deve trovarsi stabilito in modo convincente dunque (vedere Radio ABC c. Austria, 20 ottobre 1997, § 30, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VI ed Informationsverein Lentia ed altri c. Austria, 24 novembre 1993, § 35, serie a no 276).
46. Per ricercare se tale era il caso nell’occorrenza, c’è luogo di valutare se, nella fase amministrativa dinnanzi al Consiglio della Facoltà, il richiedente ha goduto di garanzie procedurali adeguate, tenendo in particolare presente le ragioni della limitazione del suo diritto alla libertà di espressione e della possibilità di metterli in questione. Per di più, nel caso specifico, queste garanzie riguardano anche la fase, ulteriore, del controllo giurisdizionale del procedimento amministrativo e, in particolare, l’efficacia di questo. A questo riguardo, è utile ricordare che la Corte ha concluso già alla violazione dell’articolo 10 della Convenzione sotto il suo risvolto procedurale in ragione della portata vaga della misura che limita la libertà di espressione o della mancanza di una motivazione dettagliata di questa corredata dalla mancanza di un controllo giurisdizionale adeguato sulla sua applicazione (vedere, mutatis mutandis, Associazione Ekin c. Francia, no 39288/98, § 58, CEDH 2001-VIII e Saygılı e Seyman c. Turchia, no 51041/99, §§ 24-25, 27 giugno 2006).
47. Per ciò che riguarda il primo aspetto, la Corte rileva da prima che nella sua decisione di non prendere in considerazione la candidatura del richiedente, il Consiglio della Facoltà non ha comunicato a questo ultimo, né non ha valutato, in quale misura le opinioni presumibilmente eterodosse che gli erano rimproverate si riflettevano nella sua attività di insegnamento e come, per questo fatto, queste erano suscettibili di ledere l’interesse dell’università di dispensare un insegnamento ispirato alle convinzioni religiose che gli sono proprie.
48. Poi, in un modo più generale, la Corte nota che il contenuto anche di queste “posizioni” è restato totalmente sconosciuto. Solo figura, nella lettera della Congregazione la cui parte pertinente del testo è citata nella lettera mandata dal presidente dell’università al decano della Facoltà di Diritto, il riferimento a certe posizioni del Sig. L. V. che si oppongono nettamente alla dottrina cattolica” (vedere sopra paragrafo 11, punto iv,).
49. La Corte può rilevare solamente il carattere vago ed incerto di tale indicazione e può constatare che la decisione del Consiglio della Facoltà, al di là del semplice riferimento alla mancanza di consenso della Santa Sede il cui contenuto è restato segreto, è priva di motivazione. In questo contesto, il colloquio tra il richiedente ed un interlocutore della Congregazione non toglie niente a questa constatazione, avendo avuto luogo questo colloquio in modo informale, senza che nessuno resoconto ufficiale venisse preparato.
50. Per ciò che riguarda il secondo aspetto riguardante l’efficacia del controllo giurisdizionale sul procedimento amministrativo, la Corte ricorda al primo colpo che la valutazione da parte degli Stati della legittimità delle convinzioni religiose o delle modalità di espressione di queste deve essere in principio escluso (vedere, mutatis mutandis, Chiesa metropolitana di Bessarabie ed altri c. Moldova, no 45701/99, § 117, CEDH 2001-XII): nel presente caso, la Corte stima che non apparteneva alle autorità nazionali esaminare la sostanza della decisione proveniente dalla Congregazione.
51. La Corte rileva tuttavia che le giurisdizioni amministrative interne hanno limitato il loro esame della legittimità della decisione controversa al fatto che il Consiglio della Facoltà aveva constatato l’esistenza di tale decisione.
52. Ciò facendo, i giudici nazionali hanno negato di mettere in questione il fatto che il Consiglio della Facoltà non aveva comunicato le opinioni che erano rimproverate al richiedente. Lontano dall’implicare che le autorità giudiziali si concedano loro stesse ad un giudizio sulla compatibilità tra le posizioni del richiedente e la dottrina cattolica, la comunicazione di questi elementi avrebbe permesso a questo di conoscere e quindi di contestare il legame esistente tra le sue opinioni e le sue attività di insegnante.
53. Del resto, pure rilevando che gli articoli 10 dell’accordo e 45 dello Statuto non impongono nessuno obbligo di indicare le ragioni che giustificano il collocamento lontano dalla candidatura del richiedente, la Corte osserva che l’opportunità di tale indicazione era considerata già all’epoca dei fatti. All’epoca della riunione del Consiglio della Facoltà, uno dei professori, sostenuto da tre altri, ha chiesto “di indicare le ragioni della misura presa contro il professore L. V. . (…) questa domanda si giustifica con l’interesse degli insegnanti della Facoltà di ricevere delle indicazioni concernenti gli aspetti degli studi e degli insegnamenti del professore L. V. che sono stati considerati come incompatibili con l’ispirazione cattolica della Facoltà.” Questa proposta, collocata ai voti, è stata respinta da una ristretta maggioranza: dodici voci contro dieci, con un’astensione, vedere sopra paragrafo 11, x, xi e xii,).
54. In più, la Corte constata che la mancanza di cognizione da parte del richiedente delle ragioni alla base del suo allontanamento ha, in sé, aperto ogni possibilità di esercizio di un dibattito contraddittorio. Questo aspetto non è stato neanche oggetto di un esame da parte dei tribunali interni. Secondo la Corte, il controllo giurisdizionale sull’applicazione della misura controversa non è stato dunque adeguato nello specifico.
55. In conclusione, la Corte stima che l’interesse dell’università di dispensare un insegnamento ispirato alla dottrina cattolica non poteva estendersi fino a raggiungere la sostanza stessa delle garanzie procedurali di cui il richiedente gode ai sensi dell’articolo 10 della Convenzione.
56. Di conseguenza, la Corte stima che, nelle circostanze particolari della causa, l’ingerenza nel diritto alla libertà di espressione del richiedente non era “necessaria in una società democratica”, così che c’è stata violazione dell’articolo 10 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 9 DELLA CONVENZIONE
57. Il richiedente si lamenta anche del fatto che la decisione dell’università Cattolica del Sacro-Cuore, priva di motivazione e presa in mancanza di un reale contraddittorio, ha violato la sua libertà di pensiero, di coscienza e di religione, protetta dall’articolo 9 della Convenzione. Questo articolo è formulato così nelle sue parti pertinenti:
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; questo diritto implica la libertà di cambiare religione o convinzione, così come la libertà di esprimere individualmente la sua religione o la sua convinzione o collettivamente, in pubblico o in privato, tramite il culto, l’insegnamento, le pratiche ed il compimento dei riti.
2. La libertà di esprimere la sua religione o le sue convinzioni non può essere oggetto di altre restrizioni se non quelle che, previste dalla legge, costituiscono delle misure necessarie, in una società democratica, alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. “
58. La Corte stima che il motivo di appello è ammissibile ma che non si pone, sotto l’angolo dell’articolo 9 della Convenzione, nessuna questione che non è stata già trattata nel contesto dall’articolo 10 della Convenzione. Giudica perciò che non si impone di esaminare separatamente questo motivo di appello.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
59. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, sotto l’angolo dell’equità del procedimento e del diritto di accesso ad un tribunale, il richiedente denuncia il fatto che i tribunali interni hanno omesso di deliberare sulla mancanza di motivazione della decisione del Consiglio di Facoltà, limitando così la sua possibilità di attaccare questa ultima e di instaurare un dibattito contraddittorio. Il richiedente si lamenta anche del fatto che il Consiglio della Facoltà si è limitato a prendere atto della decisione della Congregazione, presa, anche, in mancanza di ogni contraddittorio.
Questo articolo è formulato così nelle sue parti pertinenti:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
A. Sull’ammissibilità
60. Il Governo contesta al primo colpo l’esistenza di un “diritto”, ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, nella misura in cui la rivendicazione del richiedente riguarda il rinnovo di un contratto venuto a scadenza. Rileva poi che in ragione del carattere non-giurisdizionale della decisione della Congregazione, i principi del “processo equo” non erano applicabili nello specifico e che le giurisdizioni nazionali non avevano obbligo di verificare il rispetto di tali principi. Il Governo sostiene che non c’era “contestazione” su un diritto di carattere civile. L’articolo 6 § 1 non sarebbe dunque applicabile nel presente caso.
61. Il richiedente contesta la tesi del Governo ed afferma che il suo diritto a partecipare ad un concorso aperto da una persona giuridica di diritto pubblico si qualifica come “diritto di carattere civile”, ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
62. La Corte rileva che non si presta a controversia il fatto che il richiedente beneficiava di un “diritto” di partecipare al concorso controverso riconosciuto in diritto interno. Difatti, ai termini dell’articolo 97, terzo capoverso, della Costituzione, “si accede tramite concorso agli impieghi nelle amministrazioni pubbliche.” Inoltre, non si potrebbe affermare che le contestazioni del richiedente, reali e serie, non riguardavano questo diritto (vedere Silva Neves c. Portogallo, 27 aprile 1989, § 37, serie A no 153-a). In più, la Corte constata che le giurisdizioni amministrative internano non hanno escluso l’esame della causa introdotta dal richiedente, il che implica l’applicabilità dell’articolo 6 (vedere, mutatis mutandis, Vilho Eskelinen ed altri c. Finlandia [GC], no 63235/00, § 62, CEDH 2007-IV). Di conseguenza, l’articolo 6 della Convenzione si trova ad applicare nello specifico. In più, il richiedente beneficiava di un diritto riconosciuto dalla Convenzione, ossia quello alla libertà di espressione garantito dall’articolo 10 (vedere sopra paragrafi30 e 39).
63. La Corte constata dunque che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Tesi delle parti
64. Il Governo osserva che il diritto di accesso ad un tribunale può subire delle limitazioni, in particolare concernenti il difetto di competenza delle giurisdizioni nazionali per deliberare su un atto di un Stato estero.
65. Il richiedente sostiene di non avere potuto investire dei giudici per verificare se il suo allontanamento dall’università era legittimo in quanto fondato su delle motivazioni di antura religiosa.
2. Valutazione della Corte
66. La Corte si riferisce ai principi generali che si liberano dalla sua giurisprudenza in materia di diritto di accesso ad un tribunale (vedere Golder c. Regno Unito del 21 febbraio 1975 ed Ashingdane c. Regno Unito del 28 maggio 1985, serie A no 18, p. 18, § 36, e no 93, pp. 24–25, § 57). Esaminerà la presente causa alla luce di questi principi.
67. In quanto alla superficie dell’esame della questione in causa, la Corte rileva da prima che, nella misura in cui il ricevimento di un atto proveniente da un paese non parte alla Convenzione ha prodotto degli effetti giuridici nella cornice della decisione del Consiglio della Facoltà, che ricadeva, questa, sotto la competenza delle autorità giudiziali interne, le tocca verificare se le decisioni di queste ultime sono state conformi ai diritti del richiedente garantiti dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.
68. La Corte osserva poi che tanto il tribunale amministrativo regionale che il Consiglio di stato hanno limitato il loro esame di legittimità della decisione controversa al fatto che il Consiglio della Facoltà avesse constatato l’esistenza della decisione della Congregazione. Detto diversamente, le giurisdizioni interne hanno stimato di non potere deliberare sulla legittimità della decisione amministrativa incriminata, a partire dal momento in cui era stata fatta menzione della decisione della Santa Sede.
69. Secondo la Corte, ciò ha costituito una limitazione del diritto del richiedente di accedere effettivamente ad un tribunale la quale è ammessa dall’articolo 6 della Convenzione, purché tenda ad un scopo legittimo e sia proporzionata a questo ultimo. Questa limitazione non potrebbe provocare comunque l’esclusione del diritto del richiedente che è in questione.
70. Per ciò che riguarda la proporzionalità della misura in causa, la Corte deve esaminare questa alla luce delle circostanze particolari dello specifico (Waite e Kennedy c. Germania [GC], no 26083/94, § 64, CEDH 1999-I). Ricorda a questo riguardo che non le spetta esaminare in abstracto la legislazione e la pratica pertinente, ma ricercare se il modo in cui hanno toccato il richiedente ha infranto la Convenzione. In particolare, non ha per compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne. Appartiene al primo capo alle autorità nazionali, ed in particolare ai corsi e ai tribunali, interpretare la legislazione interna (vedere, tra altre, Pérez di Rada Cavanilles c. Spagna, sentenza del 28 ottobre 1998, Raccolta 1998-VIII, p. 3255, § 43). Il ruolo della Corte si limita a verificare la compatibilità con la Convenzione degli effetti di simile interpretazione (Ernst ed altri c. Belgio, no 33400/96, § 51, 15 luglio 2003).
71. In questa ricerca, la Corte si riferisce alle considerazioni sviluppate sul merito del motivo di appello sollevato sotto l’angolo dell’articolo 10 della Convenzione (vedere sopra paragrafi 50-54). Reitera che i giudici nazionali hanno negato di mettere in questione l’omissione dell’indicazione, da una parte, dei punti di pretesa eterodossia del richiedente e, dall’altra parte, del legame esistente tra le opinioni espresse da questo e la sua attività di insegnamento. In più, la mancanza di cognizione da parte di questo ultimo delle ragioni alla base del suo allontanamento ha, in sé, aperto ogni possibilità di esercizio di un contraddittorio. Anche questo aspetto non è stato oggetto di un esame da parte dei tribunali interni. Secondo la Corte, il controllo giurisdizionale sull’applicazione della misura controversa non era dunque adeguato nello specifico (vedere, mutatis mutandis, Pellegrini c. Italia, no 30882/96, CEDH 2001-VIII).
72. Alla vista di queste osservazioni, la Corte stima che il richiedente non ha beneficiato di un diritto di accesso effettivo ad un tribunale. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE
73. Sotto l’angolo dell’articolo 13 della Convenzione, il richiedente denuncia la violazione del suo diritto ad un ricorso effettivo per lamentarsi delle violazioni della Convenzione che adduce. Il testo di questo articolo si legge così:
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
74. Questa parte della richiesta deve essere dichiarata anche ammissibile. Tuttavia, la Corte ricorda che quando il diritto rivendicato presenta un carattere civile, l’articolo 6 § 1 della Convenzione costituisce un lex specialis rispetto all’articolo 13 le cui garanzie si trovano assorbite da questo (vedere, mutatis mutandis, la sentenza Brualla Gómez de la Torre c. Spagna del 19 dicembre 1997, Raccolta 1997-VIII, p. 2957, § 41 e Vasilescu c. Romania, 22 maggio 1998, § 43, Raccolta 1998-III).
75. Avuto riguardo alla constatazione di violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, la Corte non giudica necessario pronunciarsi separatamente sul motivo di appello del richiedente derivato dall’articolo 13 della Convenzione.
V. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE
76. Invocando l’articolo 14 della Convenzione, il richiedente si lamenta di avere subito una discriminazione fondata sulla religione nella misura in cui, in quanto professore di un’università libera, è stato sottomesso ad una disciplina differente da quella applicabile ai professori delle università laiche. Il richiedente denuncia in particolare il fatto di non avere avuto cognizione delle motivazioni religiose alla base del suo allontanamento in violazione del suo diritto alla difesa e del principio del contraddittorio. Il testo di questo articolo si legge come segue:
“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione deve essere garantito, senza nessuna distinzione, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche od ogni altra opinione, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, la fortuna, la nascita od ogni altra situazione. “
77. Per la parte del motivo di appello nella quale il richiedente denuncia di essere stato sottomesso ad una disciplina speciale, la Corte rileva che, nelle sue osservazioni riguardanti la violazione addotta dell’art. 10 della Convenzione, il richiedente afferma lui stesso di non contestare la previsione di tale disciplina in diritto interno in vista di garantire la protezione del diritto dell’università di offrire agli studenti un insegnamento ispirato alla dottrina cattolica (vedere sopra paragrafo 34).
78. La Corte aderisce alle considerazioni sviluppate nella sentenza della Corte costituzionale no 195 del 14 dicembre 1972 (vedere sopra paragrafo 21) e nell’articolo 4 della direttiva comunitaria (paragrafo 23 sopra). Stima dunque che questa parte del motivo di appello è priva di fondamento e deve essere respinta conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
79. In compenso, in quanto al risvolto procedurale di questo motivo di appello, riguardante la mancanza di esplicitazione delle motivazioni religiose alla base del non-proseguimento del contratto del richiedente, sulla tutela del diritto alla difesa di questo e sul rispetto del principio del contraddittorio, la Corte considera che questo motivo di appello è ammissibile. Tuttavia, alla vista della constatazione di violazione della libertà di espressione del richiedente e del suo diritto di accesso ad un tribunale (paragrafi 56 e 72 sopra) non c’è luogo di esaminarlo separatamente.
VI. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
80. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
81. Il richiedente afferma di avere subito un danno morale e si rimette alla Corte affinché ne stabilisca l’importo.
82. Il Governo si oppone a questa pretesa.
83. La Corte, deliberando in equità, considera che c’è luogo di concedere al richiedente 10 000 euro (EUR, a titolo del danno morale).
B. Oneri e spese
84. Il richiedente chiede anche 30 000 EUR per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alla Corte, senza produrre tuttavia una fattura in appoggio.
85. Il Governo contesta questa pretesa osservando in particolare che il richiedente non ha giustificato e suddiviso la sua richiesta.
86. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico, tenuto conto dei suddetti criteri e del fatto che il richiedente non ha prodotto nessuna fattura, la Corte respinge la richiesta relativa agli oneri e alle spese del procedimento dinnanzi alla Corte.
C. Interessi moratori
87. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Dichiara, all’unanimità, la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello tratti dagli articoli 6 § 1, 9, 10, 13 e 14 (risvolto procedurale) della Convenzione ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce per sei voci contro una, che c’è stata violazione dell’articolo 10 della Convenzione;
3. Stabilisce, per sei voci contro una, che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione
4. Stabilisce, all’unanimità, che non c’è luogo di esaminare separatamente i motivi di appello derivati dagli articoli 9, 13 e 14 (risvolto procedurale, della Convenzione,);
5. Stabilisce, per sei voci contro una,
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 10 000 EUR (diecimila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
6. Respinge, all’unanimità, la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 20 ottobre 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione dissidente del giudice Cabral Barreto.
F.T.
S.D.
OPINIONE DISSIDENTE DEL GIUDICE CABRAL BARRETO
Mi dispiace di non potere seguire la maggioranza quando conclude alla violazione degli articoli 10 e 6 della Convenzione in questa causa, e questo per le ragioni esposte qui sotto.
I
Articolo 10
1. Sull’esistenza di un’ingerenza, la maggioranza sostiene che la situazione del richiedente è più vicino a quella esaminata nella sentenza Vogt che a quelle incontrate nelle cause Glasenapp e Kosiek, come lo sostiene il Governo (paragrafo 38 della sentenza).
Faccio fatica a seguire questo approccio.
Anche se riconosco che il contratto del richiedente è stato rinnovato per vent’ anni, la verità è che il suo legame con l’università cattolica del Sacro-Cuore di Milano era precario, soggetto ad una valutazione annua, e dunque molto lontano dalla situazione stabile e permanente che conoscono i funzionari, come la Sig.ra V. che era titolare della sua posizione di insegnante da parecchi anni.
Malgrado tutto, il richiedente veniva assunto ogni anno, seguendo una procedura prescritto, sia per quelli che venivano assunti per la prima volta sia per quelli che rinnovavano il loro contratto.
Il fatto che il richiedente abbia insegnato per vent’ anni non gli dava nessuno diritto di natura differente da quelli dei nuovi arrivati poiché, siccome è probabile che ci sia un’evoluzione delle idee, l’esame dei requisiti dei candidati per insegnare all’università deve effettuarsi alla luce del loro pensiero reale.
Va da sé che un professore che ha insegnato per degli gli anni perché aveva i requisiti richiesti deve vedersi rifiutare la continuazione del suo lavoro se ha nel frattempo ha perso questi requisiti.
Per limitarmi al caso specifico, immaginiamo un professore fedele alla chiesa cattolica ma che, ad un dato momento, cambia il suo modo vedere, la sua dottrina ed i suoi dogmi; mi sembra chiaro che, malgrado tutti gli anni che ha consacrato all’università cattolica, questa può stimare che non deve continuare ad insegnare.
Se la maggioranza sembra essere d’ accordo con questo ragionamento-che non è contestato da nessuno del resto-ne bisognava derivare le conclusioni adeguate.
2. È vero che le sentenze Glasenapp e Kosiek sono vecchie, ed è probabile che la tesi che dichiarava che l’articolo 10 non si applicava al procedimento dell’ “assunzione dei funzionari” non sia più valida alla luce delle condizioni di vita reale.
Così, per i bisogni del mio ragionamento e per permettermi di andare in fondo alla posizione della maggioranza, parto dal principio che l’articolo 10 si applica alla situazione del richiedente, anche se avrei gradito che la maggioranza avesse consacrato alcune riflessioni alla natura giuridica del legame tra il richiedente e l’ università rispetto al legame che unisce un professore ed una Università dello stato.
Difatti, mi sembra che tale esercizio avrebbe il piacere di mostrare chiaramente che la libertà accademica proclamata dall’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (paragrafi 24 e 43 della sentenza) è limitata dall’interesse dell’università cattolica di dispensare un insegnamento ispirato alle convinzioni religiose che le sono proprie (paragrafo 47 della sentenza).
3. Per venire all’essenziale, la maggioranza critica il fatto che la Congregazione per l’educazione cattolica, quando ha negato di dare il suo consenso, condizione sine qua non per il rinnovo del contratto del richiedente, non ha dato le ragioni del suo rifiuto, il che ha impedito l’apertura di un dibattito contraddittorio a livello dei tribunali interni su questo punto.
Se ho compreso bene la posizione della maggioranza, la pertinenza delle opinioni del richiedente avanzate per rifiutare il consenso non poteva essere esaminata dai tribunali; l’esame dei tribunali si limitava al legame di causalità tra le opinioni e le attività di insegnante (paragrafo 52 della sentenza).
Per mostrare a che punto trovo completamente irrealistica la posizione della maggioranza che chiede alle parti un onere della prova impossibile ed ai tribunali delle decisioni che dipendono da un tipo di utopia, prendo come motivo di analisi il fatto che il rifiuto del consenso era dovuto alla ricusazione di un dogma da parte di un candidato.
Tuttavia, la Congregazione avrebbe dovuto motivare il suo rifiuto sostenendo che, in uno scritto, il candidato aveva negato uno dei dogmi della chiesa cattolica e che per lei questa posizione era incompatibile con l’insegnamento in una Università cattolica.
In una tale sceneggiatura, il dibattito contraddittorio di natura giuridica ed una decisione giudiziale, richieste dalla maggioranza, avrebbero difficoltà a tenersi nella cornice di un procedimento che si crede equo.
Il legame di causalità tra le posizioni del candidato ed il suo insegnamento, anche se si fa appello alle regole dell’esperienza presenti nella teoria della causalità adeguata, sarà difficile addirittura impossibile da scoprire poiché la situazione richiede un pronostico sul comportamento di una persona ed una valutazione dei suoi requisiti.
La Corte ha sempre sostenuto che la valutazione “delle cognizioni e dell’ esperienza necessarie per esercitare una certa professione sotto un certo titolo si avvicinano ad un esame di tipo scolastico o universitario e si allontanano tanto dal compito normale del giudice che le garanzie dell’articolo 6 non potrebbero prevedere delle dispute su simile materia” (Van Marle ed altri c. Paesi Bassi, 26 giugno 1986, § 36, serie A nº 101; vedere anche, tra altre, San Juan c. Francia, (dec.), no 43956/98, CEDH 2002-III e, mutatis mutandis, Chevrol c. Francia, no 49636/99, § 50, CEDH 2003-III).
Siccome la maggioranza ha concluso alla violazione dell’articolo 10 trattandosi delle garanzie procedurali (paragrafo 55 della sentenza), le considerazioni emesse dalla Corte sulle limitazioni dei compiti dei giudici sotto l’angolo dell’articolo 6 sono direttamente trasportabili per l’esame del motivo di appello derivato dall’articolo 10, il che mi permette di concludere che il richiedente ha beneficiato di un procedimento contraddittorio quanto possibile nelle circostanze dello specifico.
II
Articolo 6
Visto le conclusioni precedenti, mi sembra anche che il procedimento interno è stato equo, avendo esaminato i tribunali la “contestazione” nei limiti ammissibili.
E ciò che non dipende dal compito del giudice-valutare i requisiti professionali necessari per esercitare una certa professione sotto un certo titolo-non può essere analizzato sotto l’angolo dell’articolo 6.