A.N.P.T.ES. Associazione Nazionale per la Tutela degli Espropriati. Oltre 5.000 espropri trattati in 15 anni di attività.
Qui trovi tutto cio che ti serve in tema di espropriazione per pubblica utilità.

Se desideri chiarimenti in tema di espropriazione compila il modulo cliccando qui e poi chiamaci ai seguenti numeri: 06.91.65.04.018 - 340.95.85.515

Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE LEONE c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 30506/07/2010
Stato: Italia
Data: 2010-02-02 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

SECONDA SEZIONE
CAUSA LEONE C. ITALIA
( Richiesta no 30506/07)
SENTENZA
STRASBURGO
2 febbraio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Leone c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, giudici, e di Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 12 gennaio 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 30506/07) diretta contro la Repubblica italiana e in cui tre cittadini di questo Stato, i Sigg. P. e D. L. e la Sig.ra F. I. M. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 13 luglio 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da L. E., avvocato a Tarantoo. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, ed il suo coagente, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 9 marzo 2009, la presidentessa della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1937, 1963 e 1940 e risiedono a San Giorgio Jonico.
5. Il 4 gennaio 2001, in ragione dei sospetti che pesavano su M.A, genero del primo richiedente e del terzo richiedente e cognato del secondo richiedente, che davano a pensare che fosse membro di un’organizzazione criminale coinvolta nel traffico illecito di stupefacenti, la procura di Taranto iniziò un procedimento in vista dell’applicazione delle misure di prevenzione stabilite dalla legge no 575 del 1965, come modificata dalla legge no 646 del 13 settembre 1982.
6. Con un’ordinanza del 12 giugno 2002, la camera del tribunale di Taranto specializzata nell’applicazione delle misure di prevenzione (qui di seguito “il tribunale”) ordinò il sequestro di numerosi beni. Tra immobili che figuravano nell’elenco dei beni sequestrati, parecchie automobili ed un conto bancario appartenente ai richiedenti.
7. In seguito, il procedimento dinnanzi al tribunale si svolse in camera del consiglio. I richiedenti, assistiti da avvocati di loro scelta, furono invitati a partecipare al procedimento in qualità di terze persone toccate dalla misura ed ebbero la facoltà di presentare delle memorie e dei mezzi di prova.
8. Con un’ordinanza del 12 giugno 2002, il tribunale decise di sottoporre M.A. ad una misura di libertà sotto controllo di polizia per una durata di tre anni. Il tribunale ordinò inoltre la confisca dei beni precedentemente sequestrati.
Il tribunale affermò che, alla luce dei numerosi indizi a carico di M.A, c’era luogo di constatare la sua partecipazione ad attività dell’associazione di malviventi ed il pericolo sociale che rappresentava. In quanto alla posizione specifica dei richiedenti, il tribunale sostenne tra la’ltro che le attività esercitate ed i redditi dichiarati da questi, verificati con l’aiuto di una perizia tecnica, non potevano giustificare l’acquisizione dei beni di cui erano proprietari.
9. I richiedenti, così come M.A. interposero appello contro l’ordinanza del tribunale. Addussero che questo ultimo aveva avuto torto a presupporre l’esistenza di una coabitazione con M.A e non aveva stabilito debitamente la provenienza illegittima dei loro beni confiscati.
10. Con un’ordinanza del 3 ottobre 2005, la camera competente della corte di appello di Lecce respinse il ricorso dei richiedenti e confermò la confisca dei loro beni. Affermò che mancava la prova della provenienza legale dei beni confiscati e che alla vista della natura dei rapporti dei richiedenti con M.A, c’era luogo di concludere che questo ultimo avrebbe potuto direttamente o indirettamente disporne. Del resto, il tribunale non aveva considerato che i richiedenti coabitavano con M.A.
11. I richiedenti ricorsero in cassazione. Contestarono l’interpretazione che la corte di appello aveva dato all’articolo 2 ter § 3 della legge no 575 del 1965 e fecero valere che la confisca dei loro beni non era giustificata.
12. Con una sentenza del 16 gennaio 2007 il cui il testo fu depositato alla cancelleria il 7 febbraio 2007, la Corte di cassazione, stimando che la corte di appello di Lecce aveva motivato in un modo logico e corretto tutti i punti controversi, respinse i richiedenti dei loro ricorsi.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
13. Il diritto interno pertinente è descritto nella causa Bocellari e Rizza c. Italia,( no 399/02, §§ 25 e 26, 13 novembre 2007).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE IN QUANTO AL DIFETTO DI PUBBLICITÀ DELLE UDIENZE
14. I richiedenti si lamentano della mancanza di pubblicità del procedimento di applicazione delle misure di prevenzione. Invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, si legge come segue:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita, pubblicamente, da un tribunale indipendente ed imparziale, stabilito dalla legge che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile. Il giudizio deve essere reso pubblicamente, ma l’accesso della sala dell’ udienza può essere vietato alla stampa ed al pubblico durante la totalità o una parte del processo nell’interesse della moralità, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando gli interessi dei minorenni o la protezione della vita privata delle parti al processo lo esigono, o nella misura giudicata rigorosamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità sarebbe di natura tale da recare offesa agli interessi della giustizia.”
15. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
16. Il Governo eccepisce della tardività della richiesta sotto un doppio aspetto. Innanzitutto, considera che i richiedenti avrebbero dovuto introdurre la loro richiesta entro sei mesi a contare dal 3 ottobre 2005, ossia la data della sentenza della corte di appello di Lecce. Facendo valere che il difetto di pubblicità delle udienze nel procedimento di Cassazione non può essere messo in causa dinnanzi alla Corte, sostiene che questa ultima fase del procedimento nazionale non dovrebbe entrare in fila di conto nel calcolo del termine dei sei mesi. In secondo luogo, il Governo rileva che, sebbene la prima comunicazione dei richiedenti con la Corte data 13 luglio 2007, il formulario della richiesta porta la data del 23 gennaio 2008. Invita la Corte a considerare questa ultima data come la data di introduzione della richiesta ed a respingere questa in quanto tardiva.
17. Infine, il Governo sostiene che questa parte della richiesta è inammissibile in ragione del fatto che gli interessati non hanno sollecitato un’udienza pubblica presso le autorità nazionali.
18. Trattandosi del primo risvolto dell’eccezione di tardività del Governo, la Corte ricorda che in virtù dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, può essere investita di una causa solo “entro sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva” cioè dell’atto che chiude il processo di “esaurimento delle vie di ricorso interne”, ai sensi della stessa disposizione (Kadiÿis c. Lettonia (no 2) (dec.), no 62393/00, 25 settembre 2003).
Nello specifico, osserva che il procedimento controverso si è svolto in tre fasi, conformemente alle regole del sistema giudiziale italiano, e si è concluso dinnanzi alla Corte di cassazione. La Corte considera che la “decisione interna definitiva” è la sentenza dell’alta giurisdizione italiana del 16 gennaio 2007, depositata alla cancelleria il 7 febbraio 2007.
19. In quanto al secondo risvolto dell’eccezione, la Corte constata che la richiesta è stata introdotta in una prima lettera del 13 luglio 2007 con la quale gli interessati avevano sollevato in modo dettagliato le loro lamentele. Il 23 gennaio 2008, hanno mandato poi, il loro formulario di richiesta debitamente compilato.
La Corte ricorda a questo proposito la pratica consolidata degli organi della Convenzione che vuole che la data di introduzione di una richiesta sia quella della prima lettera con la quale il richiedente formula il motivo di appello che intende sollevare (Nee c. Irlanda, (dec.), no 52787/99, 30 gennaio 2003, ed Ataman c. Turchia, (dec.), no 46252/99, 11 settembre 2001). Certo, un scarto troppo importante tra i momenti della prima comunicazione inviata alla Corte e la formalizzazione della richiesta potrebbe porre dei problemi in quanto alla determinazione della data di introduzione di questa.
Peṛ, la Corte considera che il termine messo dai richiedenti per formalizzare la loro richiesta non è irragionevole. Pertanto, la data da prendere in considerazione nello specifico come data di introduzione della richiesta è quella della suddetta prima lettera.
Ne segue che i due risvolti dell’eccezione di tardività del Governo non possono essere considerati.
20. In quanto all’ultima eccezione sollevata dal Governo, la Corte ricorda che nella causa Bocellari e Rizza (sentenza precitata, § 38,)aveva constatato che:
“Lo svolgimento in camera del consiglio dei procedimenti che prevedono l’applicazione delle misure di prevenzione, tanto in prima istanza che in appello, è previsto espressamente dall’articolo 4 della legge no 1423 del 1956 e le parti non hanno la possibilità di chiedere e di ottenere un’udienza pubblica. Del resto, il Governo stesso esprime dei dubbi in quanto alle probabilità di successo di un’eventuale richiesta di dibattimenti pubblici proveniente dalle parti.”
Non vede nessuna ragione di scostarsi da questa conclusione in quanto alla possibilità per i richiedenti di chiedere e di ottenere un’udienza pubblica nel procedimento di applicazione delle misure di prevenzione.
21. Alla vista di ciò che precede, la Corte respinge le eccezioni sollevate dal Governo. Constata peraltro che questa parte della richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
22. I richiedenti adducono che il procedimento controverso si è svolto in camera del consiglio, e dunque in modo non pubblico.
23. Il Governo afferma che i richiedenti hanno beneficiato di un procedimento equo. Fa valere che la pubblicità dei dibattimenti non è sempre un elemento cruciale nella valutazione dell’equità di un procedimento. Al contrario, riveste importanza sotto il terreno della Convenzione solo quando contribuisce in modo reale ed effettivo allo svolgimento equo del procedimento.
24. Per il Governo, il procedimento in camera del consiglio era, nello specifico, auspicabile in ragione dell’oggetto del procedimento, essenzialmente tecnico e contabile. Inoltre, gli elementi della causa erano gli stessi di quelli del procedimento penale principale che si era svolto in modo pubblico.
25. Tenuto conto di questi elementi, il Governo sostiene che un’udienza orale che permetteva alle parti interessate di intervenire e di esporre i loro argomenti, anche senza dibattimenti pubblici, soddisfaceva le condizioni richieste dall’articolo 6 della Convenzione.
26. La Corte osserva che il presente caso è simile alla causa Bocellari e Rizza precitata nella quale ha esaminato la compatibilità dei procedimenti di applicazione delle misure di prevenzione con le esigenze del processo equo previsto dall’articolo 6 della Convenzione (vedere anche Perre ed altri c. Italia, no 1905/05, 8 luglio 200)8.
27. La Corte ha osservato che lo svolgimento in camera del consiglio dei procedimenti che prevedono l’applicazione delle misure di prevenzione, tanto in prima istanza che in appello, è previsto espressamente dall’articolo 4 della legge no 1423 del 1956 e che le parti non hanno la possibilità di chiedere e di ottenere un’udienza pubblica.
28. Peraltro, questo genere di procedimento prevede l’applicazione di una misura di confisca di beni e di capitali, il che mette direttamente e sostanzialmente in causa la situazione patrimoniale del giudicabile. In questo contesto, si potrebbe pretendere che il controllo del pubblico non sia una condizione necessaria alla garanzia del rispetto dei diritti dell’interessato.
29. Pure ammettendo che gli interessi superiori ed il grado elevato di tecnicità possano talvolta entrare in gioco in questo genere di procedimenti, la Corte ha giudicato essenziale, tenuto conto in particolare della posta dei procedimenti di applicazione delle misure di prevenzione e degli effetti che sono suscettibili di produrre sulla situazione personale delle persone implicate, che i giudicabili si vedano offrire perlomeno la possibilità di sollecitare un’udienza pubblica dinnanzi alle camere specializzate dei tribunali e dei corsi di appello.
30. La Corte considera che la presente causa non presenta elementi suscettibili di distinguerla dalla causa Bocellari e Rizza.
31. Conclude, di conseguenza, alla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
32. Invocando l’articolo 6 della Convenzione, i richiedenti si lamentano dell’iniquità del procedimento che ha portato alla confisca dei loro beni in mancanza di ogni condanna a loro carico. In particolare, adducono che le autorità giudiziarie non hanno esaminato debitamente gli elementi di prova che dimostravano la provenienza legittima dei loro beni.
33. La Corte ricorda innanzitutto che l’articolo 6 si applica ai procedimenti di applicazione delle misure di prevenzione sotto il suo risvolto civile, tenuto conto in particolare del loro oggetto “patrimoniale” (Arcuri c. Italia, precitata; Riela ed altri c. Italia precitata; Bocellari e Rizza c. Italia, (dec.), no 399/02, 28 ottobre 2004 e 16 marzo 2006).
34. Ricorda poi che non le spetta conoscere gli errori di fatto o di diritto presumibilmente commessi da una giurisdizione interna, salvo se e nella misura in cui abbia potuto portare attentato ai diritti e libertà salvaguardate dalla Convenzione (vedere García Ruiz c. Spagna [GC], no 30544/96, § 28, CEDH 1999-I). In più, l’ammissibilità delle prove dipende al primo capo dalle regole del diritto nazionale, e spetta in principio alle giurisdizioni interne, ed in particolare ai tribunali, interpretare questa legislazione (vedere, tra molte altre, Brualla Gómez del Torre c. Spagna, sentenza del 19 dicembre 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VII, p. 2955, § 31). Il ruolo della Corte si limita a verificare la compatibilità con la Convenzione degli effetti di simile interpretazione (Edificaciones March Gallego S.p.A. c. Spagna, sentenza del 19 febbraio 1998, Raccolta 1998-I, p. 290, § 33).
35. Nello specifico, i richiedenti, rappresentati da un avvocato di loro scelta, parteciparono al procedimento ed ebbero la possibilità di presentare delle memorie e dei mezzi di prova che hanno stimato necessari per salvaguardare i loro interessi. La Corte rileva che il procedimento concernente l’applicazione delle misure di prevenzione si è svolto in modo contraddittorio dinnanzi a tre giurisdizioni successive.
36. La Corte osserva inoltre che le giurisdizioni italiane non potevano basarsi su dei semplici sospetti. Dovevano stabilire e dovevano valutare obiettivamente i fatti esposti dalle parti e niente nella pratica permette di credere che abbiano valutato in modo arbitrario gli elementi che sono stati sottoposti loro.
37. I giudici nazionali si sono basati sulle informazioni raccolte su M.A, il genero del primo richiedente e del terzo richiedente e cognato del secondo richiedente, da cui risultava che questo era membro di un’associazione di malviventi e disponeva di risorse finanziarie sproporzionate rispetto ai suoi redditi. I tribunali nazionali hanno analizzato inoltre la situazione finanziaria dei richiedenti e la natura delle loro relazioni con M.A. e hanno concluso che l’acquisizione dei beni confiscati aveva potuto avere luogo solo con l’impiego di profitti illeciti di colui che li gestiva de facto. In più, conformemente all’articolo 2ter della legge del 1965, la presunzione non era irrefragabile, potendo essere contraddetta dalla prova del contrario (vedere diritto interno pertinente).
38. Ne segue che questo motivo di appello deve essere respinto come manifestamente mal fondato, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
39. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
40. I richiedenti richiedono 1 161 452 EUR circa a titolo del danno patrimoniale, ossia il rimborso del valore dei beni confiscati, e 50 000 EUR per il danno morale subito.
41. Il Governo contesta queste pretese.
42. La Corte non vede legame di causalità tra la violazione constatata ed il danno patrimoniale addotto e respingi questa richiesta. In quanto al danno morale subito dai richiedenti, la Corte stima che, nelle circostanze particolari dello specifico, si trova riparato sufficientemente dalla constatazione di violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione al quale giunge (vedere, tra numerosi altre, le sentenze Yvon c. Francia, del 24 aprile 2003, no 44962/98, CEDH 2003-V e Bocellari, precitata, § 46).
B. Oneri e spese
43. Giustificativi in appoggio, i richiedenti sollecitano 14 000 EUR per il rimborso della perizia tecnica stabilita a livello nazionale. Chiedono anche 10 000 EUR per gli oneri e le spese impegnate dinnanzi alla Corte.
44. Il Governo si oppone.
45. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso.
Nello specifico, la Corte considera che non c’è luogo di rimborsare ai richiedenti gli oneri incorsi dinnanzi alle giurisdizioni interne, perché non sono stati esposti per ovviare alla violazione constatata. Per ciò che riguarda gli oneri e le spese riferiti al presente procedimento, la Corte giudica eccessiva la richiesta dei richiedenti e decide di assegnare loro, congiuntamente, 3 000 EUR a questo titolo.
C. Interessi moratori
46. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello tratto dall’articolo 6 § 1, in quanto al difetto di pubblicità delle udienze, ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare ai richiedenti, congiuntamente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 3 000 EUR (tremila euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto dai richiedenti, a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 2 febbraio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa

Testo Tradotto

DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE LEONE c. ITALIE
(Requête no 30506/07)
ARRÊT
STRASBOURG
2 février 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Leone c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nona Tsotsoria, juges,
et de Françoise Elens-Passos, greffière adjointe de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 12 janvier 2010,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 30506/07) dirigée contre la République italienne et dont trois ressortissants de cet Etat, MM. P. et D. L. et Mme F. I. M. (« les requérants »), ont saisi la Cour le 13 juillet 2007 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérants sont représentés par Me L. E., avocat à Tarant. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, Mme E. Spatafora, et son coagent, M. N. Lettieri.
3. Le 9 mars 2009, la présidente de la deuxième section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
4. Les requérants sont nés respectivement en 1937, 1963 et 1940 et résident à San Giorgio Jonico.
5. Le 4 janvier 2001, en raison des soupçons qui pesaient sur M.A., beau-fils du premier requérant et de la troisième requérante et beau-frère du deuxième requérant, donnant à penser qu’il était membre d’une organisation criminelle visant le trafic illicite de stupéfiants, le parquet de Tarant entama une procédure en vue de l’application des mesures de prévention établies par la loi no 575 de 1965, telle que modifiée par la loi no 646 du 13 septembre 1982.
6. Par une ordonnance du 12 juin 2002, la chambre du tribunal de Tarant spécialisée dans l’application des mesures de prévention (ci-après « le tribunal ») ordonna la saisie de nombreux biens. Dans la liste des biens saisis figuraient des immeubles, plusieurs voitures et un compte bancaire appartenant aux requérants.
7. Par la suite, la procédure devant le tribunal se déroula en chambre du conseil. Les requérants, assistés par des avocats de leur choix, furent invités à participer à la procédure en qualité de tierces personnes touchées par la mesure et eurent la faculté de présenter des mémoires et des moyens de preuve.
8. Par une ordonnance du 12 juin 2002, le tribunal décida de soumettre M.A. à une mesure de liberté sous contrôle de police pour une durée de trois ans. Le tribunal ordonna en outre la confiscation des biens précédemment saisis.
Le tribunal affirma que, à la lumière des nombreux indices à la charge de M.A., il y avait lieu de constater sa participation aux activités de l’association de malfaiteurs et le danger social qu’il représentait. Quant à la position spécifique des requérants, le tribunal soutint entre autres que les activités exercées et les revenus déclarés par ceux-ci, vérifiés à l’aide d’une expertise technique, ne pouvaient pas justifier l’acquisition des biens dont ils étaient propriétaires.
9. Les requérants, ainsi que M.A. interjetèrent appel contre l’ordonnance du tribunal. Ils alléguèrent que ce dernier avait eu tort de présupposer l’existence d’une cohabitation avec M.A et n’avait pas dûment établi la provenance illégitime de leurs biens confisqués.
10. Par une ordonnance du 3 octobre 2005, la chambre compétente de la cour d’appel de Lecce rejeta le recours des requérants et confirma la confiscation de leurs biens. Elle affirma qu’il manquait la preuve de la provenance légale des biens confisqués et, qu’au vu de la nature des rapports des requérants avec M.A., il y avait lieu de conclure que ce dernier pouvait directement ou indirectement en disposer. D’ailleurs, le tribunal n’avait pas considéré que les requérants cohabitaient avec M.A.
11. Les requérants se pourvurent en cassation. Ils contestèrent l’interprétation que la cour d’appel avait donnée à l’article 2 ter § 3 de la loi no 575 de 1965 et firent valoir que la confiscation de leurs biens n’était pas justifiée.
12. Par un arrêt du 16 janvier 2007, dont le texte fut déposé au greffe le 7 février 2007, la Cour de cassation, estimant que la cour d’appel de Lecce avait motivé d’une façon logique et correcte tous les points controversés, débouta les requérants de leurs pourvois.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
13. Le droit interne pertinent est décrit dans l’affaire Bocellari et Rizza c. Italie, no 399/02, §§ 25 et 26, 13 novembre 2007.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION QUANT AU DÉFAUT DE PUBLICITÉ DES AUDIENCES
14. Les requérants se plaignent du manque de publicité de la procédure d’application des mesures de prévention. Ils invoquent l’article 6 § 1 de la Convention qui, dans ses parties pertinentes, se lit comme suit :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement, publiquement (…), par un tribunal indépendant et impartial, établi par la loi, qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…). Le jugement doit être rendu publiquement, mais l’accès de la salle d’audience peut être interdit à la presse et au public pendant la totalité ou une partie du procès dans l’intérêt de la moralité, de l’ordre public ou de la sécurité nationale dans une société démocratique, lorsque les intérêts des mineurs ou la protection de la vie privée des parties au procès l’exigent, ou dans la mesure jugée strictement nécessaire par le tribunal, lorsque dans des circonstances spéciales la publicité serait de nature à porter atteinte aux intérêts de la justice ».
15. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
16. Le Gouvernement excipe de la tardiveté de la requête sous un double aspect. Tout d’abord, il considère que les requérants auraient dû introduire leur requête dans un délai de six mois à compter du 3 octobre 2005, à savoir la date de l’arrêt de la cour d’appel de Lecce. Faisant valoir que le défaut de publicité des audiences dans la procédure de Cassation ne peut pas être mis en cause devant la Cour, il soutient que cette dernière phase de la procédure nationale ne devrait pas entrer en ligne de compte dans le calcul du délai des six mois. En deuxième lieu, le Gouvernement relève que, bien que la première communication des requérants avec la Cour date du 13 juillet 2007, le formulaire de la requête porte la date du 23 janvier 2008. Il invite la Cour à considérer cette dernière date comme date d’introduction de la requête et à rejeter celle-ci en tant que tardive.
17. Enfin, le Gouvernement soutient que cette partie de la requête est irrecevable en raison du fait que les intéressés n’ont pas sollicité une audience publique auprès des autorités nationales.
18. S’agissant du premier volet de l’exception de tardivité du Gouvernement, la Cour rappelle qu’en vertu de l’article 35 § 1 de la Convention, elle ne peut être saisie d’une affaire que « dans un délai de six mois à partir de la date de la décision interne définitive » c’est-à-dire de l’acte clôturant le processus d’« épuisement des voies de recours internes », au sens de la même disposition (Kadiÿis c. Lettonie (no 2) (déc.), no 62393/00, 25 septembre 2003).
En l’espèce, elle observe que la procédure litigieuse s’est déroulée en trois phases, conformément aux règles du système judiciaire italien, et s’est terminée devant la Cour de cassation. La Cour considère que la « décision interne définitive » est l’arrêt de la haute juridiction italienne du 16 janvier 2007, déposé au greffe le 7 février 2007.
19. Quant au deuxième volet de l’exception, la Cour constate que la requête a été introduite dans une première lettre du 13 juillet 2007, par laquelle les intéressés avaient soulevé de manière détaillée leurs doléances. Ensuite, le 23 janvier 2008, ils ont envoyé leur formulaire de requête dûment rempli.
La Cour rappelle à ce propos la pratique constante des organes de la Convention, qui veut que la date d’introduction d’une requête est celle de la première lettre par laquelle le requérant formule le grief qu’il entend soulever (Nee c. Irlande (déc.), no 52787/99, 30 janvier 2003, et Ataman c. Turquie (déc.), no 46252/99, 11 septembre 2001). Certes, un écart trop important entre le moment de la première communication envoyée à la Cour et la formalisation de la requête pourrait poser des problèmes quant à la détermination de la date d’introduction de celle-ci.
Cependant, la Cour considère que le délai mis par les requérants pour formaliser leur requête n’est pas déraisonnable. Partant, la date à prendre en considération en l’espèce comme date d’introduction de la requête est celle de la première lettre susmentionnée.
Il s’ensuit que les deux volets de l’exception de tardivité du Gouvernement ne peuvent pas être retenus.
20. Quant à la dernière exception soulevée par le Gouvernement, la Cour rappelle que dans l’affaire Bocellari et Rizza (arrêt précité, § 38) elle avait constaté que :
« Le déroulement en chambre du conseil des procédures visant l’application des mesures de prévention, tant en première instance qu’en appel, est expressément prévu par l’article 4 de la loi no 1423 de 1956 et les parties n’ont pas la possibilité de demander et d’obtenir une audience publique. D’ailleurs, le Gouvernement lui-même exprime des doutes quant aux chances de succès d’une éventuelle demande de débats publics provenant des parties ».
Elle ne voit aucune raison de s’écarter de cette conclusion quant à la possibilité pour les requérants de demander et d’obtenir une audience publique dans la procédure d’application des mesures de prévention.
21. Au vu de ce qui précède, la Cour rejette les exceptions soulevées par le Gouvernement. Elle constate par ailleurs que cette partie de la requête n’est pas manifestement mal fondée au sens de l’article 35 § 3 de la Convention et qu’elle ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de la déclarer recevable.
B. Sur le fond
22. Les requérants allèguent que la procédure litigieuse s’est déroulée en chambre du conseil, et donc de façon non publique.
23. Le Gouvernement affirme que les requérants ont bénéficié d’une procédure équitable. Il fait valoir que la publicité des débats n’est pas toujours un élément crucial dans l’appréciation de l’équité d’une procédure. Au contraire, elle ne revêt de l’importance sous le terrain de la Convention que lorsqu’elle contribue de manière réelle et effective au déroulement équitable de la procédure.
24. Pour le Gouvernement, la procédure en chambre du conseil était, en l’espèce, souhaitable en raison de l’objet de la procédure, essentiellement technique et comptable. En outre, les éléments de l’affaire étaient les mêmes que ceux de la procédure pénale principale, qui s’était déroulée de façon publique.
25. Compte tenu de ces éléments, le Gouvernement soutient qu’une audience orale permettant aux parties intéressées d’intervenir et d’exposer leurs arguments, même sans débats publics, satisfaisait aux conditions requises par l’article 6 de la Convention.
26. La Cour observe que la présente espèce est similaire à l’affaire Bocellari et Rizza précitée dans laquelle elle a examiné la compatibilité des procédures d’application des mesures de prévention avec les exigences du procès équitable prévues par l’article 6 de la Convention (voir également Perre et autres c. Italie, no 1905/05, 8 juillet 2008).
27. La Cour a observé que le déroulement en chambre du conseil des procédures visant l’application des mesures de prévention, tant en première instance qu’en appel, est expressément prévu par l’article 4 de la loi no 1423 de 1956 et que les parties n’ont pas la possibilité de demander et d’obtenir une audience publique.
28. Par ailleurs, ce genre de procédure vise l’application d’une mesure de confiscation de biens et de capitaux, ce qui met directement et substantiellement en cause la situation patrimoniale du justiciable. Dans ce contexte, on ne saurait prétendre que le contrôle du public ne soit pas une condition nécessaire à la garantie du respect des droits de l’intéressé.
29. Tout en admettant que des intérêts supérieurs et le degré élevé de technicité peuvent parfois entrer en jeu dans ce genre de procédures, la Cour a jugé essentiel, compte tenu notamment de l’enjeu des procédures d’application des mesures de prévention et des effets qu’elles sont susceptibles de produire sur la situation personnelle des personnes impliquées, que les justiciables se voient pour le moins offrir la possibilité de solliciter une audience publique devant les chambres spécialisées des tribunaux et des cours d’appel.
30. La Cour considère que la présente affaire ne présente pas d’éléments susceptibles de la distinguer de l’affaire Bocellari et Rizza.
31. Elle conclut, par conséquent, à la violation de l’article 6 § 1 de la Convention.
II. SUR LES AUTRES VIOLATIONS ALLÉGUÉES DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
32. Invoquant l’article 6 de la Convention, les requérants se plaignent de l’iniquité de la procédure qui a amené à la confiscation de leurs biens en l’absence de toute condamnation à leur encontre. En particulier, ils allèguent que les autorités judicaires n’ont pas dûment examiné les éléments de preuve démontrant la provenance légitime de leurs biens.
33. La Cour rappelle tout d’abord que l’article 6 s’applique aux procédures d’application des mesures de prévention sous son volet civil, compte tenu notamment de leur objet « patrimonial » (Arcuri c. Italie, précitée ; Riela et autres c. Italie précitée ; Bocellari et Rizza c. Italie (déc.), no 399/02, 28 octobre 2004 et 16 mars 2006)
34. Elle rappelle ensuite qu’il ne lui appartient pas de connaître des erreurs de fait ou de droit prétendument commises par une juridiction interne, sauf si et dans la mesure où elles pourraient avoir porté atteinte aux droits et libertés sauvegardés par la Convention (voir García Ruiz c. Espagne [GC], no 30544/96, § 28, CEDH 1999-I). De plus, la recevabilité des preuves relève au premier chef des règles du droit national, et il revient en principe aux juridictions internes, et notamment aux tribunaux, d’interpréter cette législation (voir, parmi beaucoup d’autres, Brualla Gómez de la Torre c. Espagne, arrêt du 19 décembre 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-VII, p. 2955, § 31). Le rôle de la Cour se limite à vérifier la compatibilité avec la Convention des effets de pareille interprétation (Edificaciones March Gallego S.A. c. Espagne, arrêt du 19 février 1998, Recueil 1998-I, p. 290, § 33).
35. En l’espèce, les requérants, représentés par un avocat de leur choix, participèrent à la procédure et eurent la possibilité de présenter des mémoires et des moyens de preuve qu’ils ont estimés nécessaires pour sauvegarder leurs intérêts. La Cour relève que la procédure concernant l’application des mesures de prévention s’est déroulée de manière contradictoire devant trois juridictions successives.
36. La Cour observe en outre que les juridictions italiennes ne pouvaient pas se fonder sur de simples soupçons. Elles devaient établir et évaluer objectivement les faits exposés par les parties et rien dans le dossier ne permet de croire qu’elles aient apprécié de façon arbitraire les éléments qui leur ont été soumis.
37. Les juges nationaux se sont fondés sur les informations recueillies sur M.A., le beau-fils du premier requérant et de la troisième requérante et beau-frère du deuxième requérant, d’où il ressortait que celui-ci était membre d’une association de malfaiteurs et disposait de ressources financières disproportionnées par rapport à ses revenus. Les tribunaux nationaux ont en outre analysé la situation financière des requérants et la nature de leurs relations avec M.A. et ont conclu que l’acquisition des biens confisqués n’avait pu avoir lieu que par l’emploi de profits illicites de celui-ci, qui les gérait de facto. De plus, conformément à l’article 2ter de la loi de 1965, la présomption n’était pas irréfragable, pouvant être contredite par la preuve du contraire (voir droit interne pertinent).
38. Il s’ensuit que ce grief doit être rejeté comme manifestement mal fondé, en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
39. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
40. Les requérants réclament 1 161 452 EUR environ au titre du préjudice matériel, à savoir le remboursement de la valeur des biens confisqués, et 50 000 EUR pour le dommage moral subi.
41. Le Gouvernement conteste ces prétentions.
42. La Cour n’aperçoit pas de lien de causalité entre la violation constatée et le dommage matériel allégué et rejette cette demande. Quant au préjudice moral subi par les requérants, la Cour estime que, dans les circonstances particulières de l’espèce, il se trouve suffisamment réparé par le constat de violation de l’article 6 § 1 de la Convention auquel elle parvient (voir, parmi de nombreux autres, les arrêts Yvon c. France, du 24 avril 2003, no 44962/98, CEDH 2003-V et Bocellari, précité, § 46).
B. Frais et dépens
43. Justificatifs à l’appui, les requérants sollicitent 14 000 EUR pour le remboursement de l’expertise technique établie au niveau national. Ils demandent également 10 000 EUR pour les frais et dépens engagés devant la Cour.
44. Le Gouvernement s’y oppose.
45. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux.
En l’espèce, la Cour considère qu’il n’y a pas lieu de rembourser aux requérants les frais encourus devant les juridictions internes, car ils n’ont pas été exposés pour remédier à la violation constatée. Pour ce qui est des frais et dépens se rapportant à la présente procédure, la Cour juge excessive la demande des requérants et décide de leur allouer, conjointement, 3 000 EUR à ce titre.
C. Intérêts moratoires
46. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant au grief tiré de l’article 6 § 1, quant au défaut de publicité des audiences, et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention ;
3. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser aux requérants, conjointement, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 3 000 EUR (trois mille euros) pour frais et dépens, plus tout montant pouvant être dû par les requérants, à titre d’impôt ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ce montant sera à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
4. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 2 février 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Françoise Elens-Passos Françoise Tulkens
Greffière adjointe Présidente

A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza

Il Diritto dell'Espropriazione è una materia molto complessa e poco conosciuta, che "ingloba" parti importanti di molteplici rami del diritto. Per tutelarsi è quindi essenziale farsi assistere da un Professionista (con il quale si consiglia di concordare in anticipo i costi da sostenere, come ormai consentito dalle leggi in vigore).

Se l'espropriato ha già un Professionista di sua fiducia, può comunicagli che sul nostro sito trova strumenti utili per il suo lavoro.
Per capire come funziona la procedura, quando intervenire e i costi da sostenere, si consiglia di consultare la Sezione B.6 - Come tutelarsi e i Costi da sostenere in TRE Passi.

  • La consulenza iniziale, con esame di atti e consigli, è sempre gratuita
    - Per richiederla cliccate qui: Colloquio telefonico gratuito
  • Un'eventuale successiva assistenza, se richiesta, è da concordare
    - Con accordo SCRITTO che garantisce l'espropriato
    - Con pagamento POSTICIPATO (si paga con i soldi che si ottengono dall'Amministrazione)
    - Col criterio: SE NON OTTIENI NON PAGHI

Se l'espropriato è assistito da un Professionista aderente all'Associazione pagherà solo a risultato raggiunto, "con i soldi" dell'Amministrazione. Non si deve pagare se non si ottiene il risultato stabilito. Tutto ciò viene pattuito, a garanzia dell'espropriato, con un contratto scritto. è ammesso solo un rimborso spese da concordare: ad. es. 1.000 euro per il DAP (tutelarsi e opporsi senza contenzioso) o 2.000 euro per il contenzioso. Per maggiori dettagli si veda la pagina 20 del nostro Vademecum gratuito.

La data dell'ultimo controllo di validità dei testi è la seguente: 17/01/2025