Conclusione Non – violazione dell’art. 6-1; parzialmente inammissibile
EX QUINTA SEZIONE
CAUSA LEGRAND C. FRANCIA
( Richiesta no 23228/08)
SENTENZA
STRASBURGO
26 maggio 2011
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Legrand c. Francia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, anziana quinta sezione, riunendosi in una camera composta da:
Peer Lorenzen, presidente, Karel Jungwiert, Jean-Paul Costa, Marco Villiger, Isabelle Berro-Lefèvre, Mirjana Lazarova Trajkovska, Ganna Yudkivska, giudici,
e da Claudia Westerdiek, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 3 maggio 2011,
Rende la sentenza che ha adottata in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 23228/08) diretta contro la Repubblica francese e in cui due cittadini di questo Stato, OMISSIS,(“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 18 aprile 2008 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da OMISSIS avvocati al Consiglio di stato ed alla Corte di cassazione. Il governo francese (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Belliard, direttrice delle cause giuridiche al ministero delle Cause estere.
3. I richiedenti adducevano di avere subito un attentato al loro diritto ad un processo equo, garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, a causa dell’applicazione retroattiva di un cambiamento improvviso di giurisprudenza.
4. Il 15 settembre 2009, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1960 e 1965 e hanno eletto come domicilio lo studio dei loro consiglieri a Parigi.
6. I fatti della causa, come sono stati esposti dai richiedenti, si possono riepilogare come segue.
7. In seguito ad un liposuzione praticata il 21 settembre 1989, il richiedente contrasse una cancrena gassosa evoluta, infezione nosocomiale che necessitò sette interventi chirurgici.
8. Con un’ordinanza del 15 marzo 1990, il presidente della corte di Rouen fece diritto ad un’istanza di perizia presentata dal richiedente. Il rapporto, depositato il 3 ottobre 1990, concluse alla pratica, da parte del medico che aveva proceduto all’operazione di liposuzione, di cure coscienziose, attente e conformi ai dati reali della scienza.
9. Il richiedente depositò querela costituendosi parte civile dinnanzi al giudice istruttore della corte d’appello di Rouen.
10. Con un’ordinanza del 3 dicembre 1998, il giudice istruttore rinviò il medico dinnanzi al tribunale correzionale sotto la prevenzione di lesioni involontarie che avevano provocato un’incapacità totale di lavoro superiore a tre mesi e truffa. I richiedenti si costituirono parte civile dinnanzi al tribunale.
11. Con un giudizio del 20 dicembre 2000, il tribunale correzionale di Rouen prosciolse il medico e, per questo fatto, respinse le istanze indennizzanti dei richiedenti. Il richiedente interpose appello al giudizio, ma rinunciò in seguito, ciò di cui prese atto la corte di appello di Rouen con una sentenza del 22 novembre 2001.
12. Nel giugno 2002, i richiedenti citarono il medico, la sua compagnia di assicurazione e la cassa di assicurazione contro le malattie del richiedente dinnanzi alla corte d’appello di Rouen, in vista di ottenere dei danno-interessi.
13. Con un giudizio del 21 novembre 2003, il tribunale respinse l’eccezione, sollevata dal medico, derivata dall’autorità di cosa giudicata al penale sul civile, ai motivi che il giudizio reso dalla giurisdizione penale il 20 dicembre 2000 aveva deliberato sulla responsabilità “da delitto” del medico, mentre i richiedenti fondavano la loro azione dinnanzi al giudice civile sulla responsabilità “contrattuale.” Sul merito, il tribunale respinse tuttavia i richiedenti.
14. Con una sentenza del 28 giugno 2006, la corte di appello di Rouen confermò il rigetto della fine di no-ricevere sollevata dal medico allo sguardo dell’autorità della cosa giudicata al penale sul civile, rilevando che la giurisdizione penale aveva deliberato solamente sulla responsabilità da delitto. Sul fondo, annullò il giudizio e condannò l’esperto a pagare 79 000 euros (EUR) al richiedente in risarcimento dei danni subiti e 15 000 EUR al richiedente, esagera 2 200 EUR ai richiedenti per indennizzare il loro danno patrimoniale e 10 000 euros a titolo degli oneri e spese.
15. Il medico formò un ricorso in cassazione. All’appoggio del suo ricorso, invocò, in un mezzo unico, l’utile di una sentenza resa dalla Corte di cassazione in assemblea plenaria il 7 luglio 2006, ai termini del quale, spettando su una sentenza resa nel 1994 dalla stessa formazione, la Corte di cassazione aveva giudicato che incomba sul richiedente di presentare fin dall’istanza relativa alla prima domanda l’insieme dei mezzi che stima di natura tale da fondare questa. I richiedenti contestarono la possibilità di applicare questa giurisprudenza al loro procedimento in corso, arguendo in particolare della differenza di finalità delle due azioni impegnate rispettivamente dinnanzi ai giudici penali e civile, e chiedendo alla Corte di cassazione, ad ogni modo, di allontanare l’applicazione ai fatti anteriori di una giurisprudenza nuova che avrebbe per effetto di privarli del loro diritto di accesso ad un giudice per ottenere risarcimento. Invocarono in particolare il diritto ad un processo equo garantito con l’articolo 6 § 1 della Convenzione.
16. Con una sentenza del 25 ottobre 2007, la Corte di cassazione annullò la sentenza della corte di appello, ai motivi che spettava al richiedente presentare fin dall’istanza relativa alla prima richiesta l’insieme dei mezzi che stimava di natura tale da fondare questa e che, nello specifico, la corte di appello era investita di un’istanza che, come la richiesta originaria, era formata tra le stesse parti e tendeva all’indennizzo dei danni che risultavano dall’intervento medico.
II. IL DIRITTO E LA GIURISPRUDENZA INTERNA PERTINENTI
A. Il cambiamento improvviso di giurisprudenza in causa
1. La disposizione legale applicabile
17. L’articolo 1351 del codice civile è redatto come segue:
“L’autorità di cosa giudicata ha luogo solo a riguardo di ciò che è stato oggetto del giudizio. Occorre che la cosa chiesta sia la stessa; che l’istanza sia fondata sulla stessa causa; che l’istanza sia tra le stesse parti, e formata da esse e contro esse nella stessa qualità. “
2. Le sentenze del 3 giugno 1994 e del 21 gennaio 2003
18. Con una sentenza del 3 giugno 1994 resa in formazione di assemblea plenaria (ricorso no 92-12.157, Bull. 1994, Ass. Plén, no 4) la Corte di cassazione ha giudicato che l’autorità di cosa giudicata annessa ad una sentenza che, ordinando la regolarizzazione di una vendita con atto autentico, ha deciso solamente la questione della realtà e della validità del consenso delle parti, non spotrebbe fare ostacolo all’azione in nullità di questa stessa vendita fondata sul difetto di prezzo reale e serietà.
19. In continuità con questa sentenza, la prima camera civile ha reso il 21 gennaio 2003 una sentenza (ricorso no 00-15.781, Bull. 2003, I, no 18) da cui risulta che è a buono diritto che una corte di appello, dopo avere rilevato che un giudizio aveva precisato che era sul solo fondamento della responsabilità da delitto che i richiedenti avevano formato delle pretese che respingeva loro, ha scartato la fine di non-ricevere derivata dall’autorità di cosa giudicata sulla constatazione del fatto che le reali pretese del richiedente erano fondate sulla responsabilità contrattuale fino là esclusa dai dibattimenti.
3. L’evoluzione della giurisprudenza a partire dal 2004
20. Con una sentenza del 4 marzo 2004 (ricorso no 02-12.141, Bull. 2004, II, no 84) la seconda camera civile della Corte di cassazione ha considerato che una corte di appello, avendo constatato che in un procedimento anteriore come in quello pendente dinnanzi a lei, una parte intendeva ottenere il rimborso di somme prestate e che la sua istanza era stata respinta da una precedente decisione, ha considerato a buon diritto che questa parte che invocava nella seconda istanza il mandato, la gestione di cause, la garanzia personale, la cauzione, il patto di costituto, la ripetizione dell’indebito o l’arricchimento senza causa, sviluppava solamente dei nuovi mezzi e che la sua nuova richiesta cozzava di conseguenza contro l’autorità di cosa giudicata. Una soluzione simile era considerata dalla stessa camera in una sentenza del 23 settembre 2004 (ricorso no 02-19.882, Bull. 2004, II, no 413). La prima camera civile della Corte di cassazione giudicò a sua volta, in una sentenza dell’ 8 marzo 2005 (ricorso no 02-16.197, Bull. 2005, I, no 113) che un’azione per nullità ed un’azione per inopponibilità di un stesso atto tende tutti due a vederlo dichiarato senza effetto e che quindi, esiste un’identità di oggetto tra le due azioni e l’ autorità di cosa giudicata annessa alla prima fa ostacolo all’ammissibilità delòòs seconda.
4. Il cambiamento improvviso di giurisprudenza del 7 luglio 2006
21. Il 7 luglio 2006, l’assemblea plenaria della Corte di cassazione ha reso una sentenza (ricorso no 04-10.672, Bull. 2006, Ass. Plén, no 8) in cui giudica:
“(…) avendo constatato che, come la domanda originaria, la domanda di cui era investita, formata tra le stesse parti, tendeva ad ottenere pagamento di una somma di denaro a titolo di rimunerazione di un lavoro presumibilmente effettuato senza contropartita finanziaria, la corte di appello ne ha dedotto esattamente che [il richiedente] non poteva essere ammesso a contestare l’identità di causa delle due domande invocando un fondamento giuridico che si era astenuto da sollevare in tempo utile, così che la domanda cozzava contro la cosa precedentemente giudicata relativamente alla stessa contestazione. “
B. L’applicazione nel tempo dei cambiamenti improvvisi di giurisprudenza
22. La Corte di cassazione ha avuto l’occasione di pronunciarsi sugli effetti nel tempo della sua propria giurisprudenza allo sguardo dell’equità del processo. Con una sentenza dell’ 8 luglio 2004 (ricorso no 01-10.426, Bull. 2004, no 387) ha giudicato che:
“secondo l’articolo 65-1 della legge del 29 luglio 1881, le azioni civili fondate su un attentato al rispetto della presunzione di innocenza commesso da uno dei mezzi mirati all’articolo 23 di questa legge sono prescritte dopo tre mesi compiuti a contare dal giorno dell’atto di pubblicità; che queste disposizioni speciali, di ordine pubblico, derogando al diritto comune, il termine di tre mesi decorre di nuovo a contare da ogni atto d’interruzione della prescrizione abbreviata prevista da questo testo;
(…) se è a torto che la corte di appello ha deciso che il richiedente non avrebbe dovuto reiterare trimestralmente la sua intenzione di proseguire l’azione impegnata, la censura della sua decisione non è incorsa per questo capo, dal momento che l’applicazione immediata di questa regola di prescrizione nell’istanza in corso arriverebbe a privare la vittima di un processo equo, ai sensi dell’articolo 6.1 della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.”
23. Questa soluzione è stata riaffermata, trattandosi di una controversia riguardante l’applicazione della stessa disposizione, il 21 dicembre 2006 in una sentenza resa dalla Corte di cassazione nella sua formazione di assemblea plenaria (ricorso no 00-20.493, Bull. 2006, Ass. Plén, no 15) precisando che:
“(…) se è a torto che una corte di appello ha allontanato il mezzo di prescrizione, mentre constatava che il richiedente in giustizia non aveva compiuto nessun atto d’interruzione di prescrizione entro i tre mesi seguenti la dichiarazione di appello fatta dalle parti condannate, nella censura della sua decisione non è incorsa sotto questo capo, dal momento che l’applicazione immediata di questa regola di prescrizione nell’istanza in corso arriverebbe a privare la vittima di un processo equo, ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ne che gli vieta l’accesso al giudice. “
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
24. I richiedenti si lamentano di una violazione del loro diritto ad un processo equo, in ragione del carattere retroattivo della sentenza della Corte di cassazione del 7 ottobre 2006. Invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione di cui il brano pertinente si legge come segue:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
A. Tesi delle parti
1. I richiedenti
25. I richiedenti, se non contestano di avere potuto sottoporre le loro osservazioni alla Corte di cassazione, stimano di essere stati in compenso privati del loro diritto ad un processo equo, e più in particolare del loro diritto di accesso ad un tribunale.
26. Considerano che il cambiamento improvviso di giurisprudenza da cui è risultata la fine di no-ricevere che è stato opposto loro era assolutamente imprevedibile, non solo quando hanno rinunciato al loro appello per investire il giudice civile, ma anche poi. A questo riguardo, per loro, le sentenze della Corte di cassazione intervenute tra il 2004 e il 2006 si iscrivevano ancora nella stirpe della concezione precedente secondo la quale l’autorità di cosa giudicata poteva essere solamente opposta all’azione fondata su una stessa causa, contrariamente, secondo loro, a ciò che considera la sentenza del 2006.
27. Peraltro, i richiedenti sostengono che l’applicazione alla loro controversia del cambiamento improvviso di giurisprudenza intervenuto nel 2006 ha portato attentato in modo certo ai loro diritti. Stimano che, se questa fine di non-ricevere non fosse stata opposta alla loro azione, avrebbero potuto in modo certo, tenuto conto delle regole applicabili in materia di responsabilità medica al momento dei fatti, ottenere risarcimento del loro danno sul fondamento dell’obbligo del risultato del chirurgo, come interpretato dalla giurisprudenza.
28. Infine, i richiedenti che stimano di avere agito in ogni lealtà procedurale investendo il giudice naturalmente competente in materia di responsabilità contrattuale, stimano che la fine di non-ricevere che è stata opposta loro non aveva nessuna giustificazione di interesse pubblico, trattandosi di una controversia di ordine privato.
2. Il Governo
29. Il Governo fa per da parte sua valere che un cambiamento improvviso di giurisprudenza è per natura retroattivo e porta, quindi, in una certa misura, attentato al principio di sicurezza giuridica. Per tanto, il Governo sottolinea che i cambiamenti improvvisi di giurisprudenza sono inerenti all’ufficio del giudice, non riconoscendo d’altronde la Corte alcun diritto acquistato ad una giurisprudenza consolidata. Precisa che, in queste condizioni, la modulazione nel tempo dei cambiamenti improvvisi di giurisprudenza deve restare eccezionale e fondata su delle circostanze molto particolari, ciò che è oggetto di un largo consenso tra i giudici europei del resto. Tutta altra scelta spetterebbe, secondo il Governo, a conferire al giudice un potere regolamentare contrario alle disposizioni del diritto francese. Il Governo osserva peraltro che il caso dei cambiamenti improvvisi di giurisprudenza si distingue da quello delle leggi di convalida che costituiscono un’ingerenza del potere legislativo nell’esercizio delle prerogative dell’autorità giudiziale.
30. Il Governo afferma che, in queste condizioni, l’attentato portato da un cambiamento improvviso di giurisprudenza al principio di sicurezza giuridica deve, per essere conforme all’articolo 6 § 1 della Convenzione, rispettare l’equilibrio degli interessi in gioco. Ora, nello specifico, per il Governo, l’applicazione del cambiamento improvviso controverso alla causa dei richiedenti non ha recato offesa ai loro diritti. Difatti, i richiedenti che non potevano avvalersi di nessuna certezza di ottenere guadagno di causa, non sono stati privati né della possibilità di chiedere risarcimento dinnanzi al giudice penale, né poi di discutere dinnanzi alla Corte di cassazione degli effetti di un cambiamento improvviso che era anteriore al ricorso in causa. Il Governo aggiunge che l’applicazione del cambiamento improvviso era legittima; rispondeva ad un imperativo di buona amministrazione della giustizia, al tempo stesso in termini di sicurezza giuridica, dando una definizione unificata della nozione di “causa”, ed in termini di lealtà procedurale, permettendo di prevenire l’opportunismo di una parte. Infine, il Governo fa valere che il cambiamento improvviso era prevedibile, avendolo iniziato parecchie sentenze anteriori della Corte di cassazione dal 2004.
31. Il Governo ne deduce che nello specifico l’equilibrio degli interessi in gioco è stato rispettato, e che in queste condizioni, il motivo di appello derivato da una violazione del diritto dei richiedenti ad un processo equo è manifestamente mal fondato.
B. Sull’ammissibilità
32. La Corte constata che la richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione. Rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
C. Valutazione della Corte
33. La Corte ricorda che uno degli elementi fondamentali della preminenza del diritto, alla luce della quale si interpreta il diritto ad un processo equo garantito dall’articolo 6 § 1, è il principio della sicurezza dei rapporti giuridici. Questo principio implica, tra l’altro, che la soluzione data in modo definitivo ad ogni controversia dai tribunali non sia rimessa più in causa (Brumărescu c. Romania [GC], no 28342/95, § 61, CEDH 1999-VII).
34. In più, l’accessibilità, la chiarezza ed la prevedibilità delle disposizioni legali e della giurisprudenza garantiscono l’effettività del diritto di accesso ad un tribunale, trattandosi in particolare delle regole di forma, di termini di ricorso e di prescrizione (De Geouffre de la Pradelle c. Francia, 16 dicembre 1992, § 33, serie A no 253-B, Bellet c. Francia, 4 dicembre 1995, § 37, serie A no 333-B, e Brumărescu, precitato, § 65).
35. La Corte ha giudicato peraltro, nella sentenza Marckx c. Belgio (13 giugno 1979, § 58, serie A no 31) che il principio di sicurezza giuridica, necessariamente inerente al diritto della Convenzione come al diritto comunitario, dispensava lo stato belga di rimettere in causa gli atti o le situazioni anteriori alla pronunzia della sentenza della Corte, ma si trattava là di un obiter dictum in risposta all’interesse che aveva espresso il Governo belga a conoscere la portata nel tempo della sentenza della Corte in questa causa (Unédic c. Francia, no 20153/04, § 73, 18 dicembre 2008).
36. Pertanto la Corte ha ugualmente stimato che le esigenze della sicurezza giuridica e di protezione della fiducia legittima dei giudicabili non consacrano un diritto acquisito ad una giurisprudenza consolidata (Unédic, precitata, § 71). In questa causa, ha così giudicato, trattandosi di un cambiamento improvviso che riguardava l’applicazione di una regola di fondo, che nessuno ostacolo era stato portato ad uno dei diritti garantiti dall’articolo 6 (Unédic, precitata, §§ 75 e 78).
37. Ricorda a questo riguardo che un’evoluzione della giurisprudenza non è in sé contraria ad una buona amministrazione della giustizia, dal momento che la mancanza di un approccio dinamico ed evolutivo impedirebbe ogni cambiamento o miglioramento (Atanasovski c. “l’ex-repubblica iugoslava di Macedonia”, no 36815/03, § 38, 14 gennaio 2010).
38. E’ così che nella sentenza Marckx, la Corte si è basata su due principi generali di diritto ricordati dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee: “le conseguenze pratiche di ogni decisione giurisdizionale dovrebbero essere soppesate con cura”, ma “non si potrebbe andare fino a piegare l’obiettività del diritto e compromettere la sua applicazione futura in ragione delle ripercussioni che una decisione di giustizia può provocare per il passato” (precitata, § 58.)
39. Nello specifico, la Corte nota che i richiedenti non potevano avvalersi definitivamente di un diritto acquisito , dal momento che la sentenza della corte di appello di Rouen che aveva condannato il loro avversario ad indennizzarli era, ad ogni modo, suscettibile di ricorso secondo le forme e i termini previsti dal diritto interno.
40. È questo ricorso che ha esercitato l’avversario dei richiedenti del resto, siccome ne aveva legalmente la possibilità, in seguito ad un cambiamento improvviso di giurisprudenza della Corte di cassazione, intervenuto in un’altra controversia ed in un senso che gli era favorevole. Ora il nuovo stato del diritto introdotto da questo cambiamento improvviso, intervenuto in assemblea plenaria, formazione più solenne della Corte di cassazione, in seguito a divergenze apparse fin dal 2004 tra parecchie camere della giurisdizione (vedere sopra “il diritto interno pertinente”), era conosciuto perfettamente da tutte le parti quando ha esercitato il suo ricorso (vedere, mutatis mutandis, Unédic, precitata, § 75). Quindi, agli occhi della Corte, non esisteva nessuna incertezza sullo stato del diritto quando la Corte di cassazione ha deliberato (Unédic, precitata, § 78).
41. In quanto all’incidenza della soluzione considerata dalla Corte di cassazione, se la Corte prende in considerazione gli imperativi, avanzati dal Governo, di buona amministrazione della giustizia, di sicurezza giuridica e di lealtà procedurale, non intende pronunciarsi sull’opportunità di questa scelta che dipende dall’applicazione del diritto interno. Nota, ad ogni modo, che la sentenza della Corte di cassazione non ha avuto per effetto di privare, anche in modo retroattivo, i richiedenti del loro diritto di accesso ad un tribunale. Non ha rimesso in causa la loro immissione nel processo iniziale del giudice penale, considerando unicamente che avrebbero dovuto sottoporre a questo l’insieme dei mezzi tesi all’indennizzo dei loro danni. Da questo punto di vista, la loro rinuncia all’ appello del giudizio del tribunale correzionale per investire, poi, il giudice civile su un altro fondamento, dipende da una scelta procedurale personale di cui apparteneva al primo capo ai giudici interni valutarne la portata allo sguardo degli imperativi precitati.
42. La Corte deduce da ciò che precede che i richiedenti non hanno subito nessun attentato al loro diritto ad un processo equo, trattandosi in particolare del loro diritto di accesso ad un tribunale.
43. ne segue che non c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
44. I richiedenti si lamentano del fatto che il cambiamento improvviso di giurisprudenza della Corte di cassazione farebbe subire loro un’ingerenza sproporzionata nel godimento dei loro beni, nello specifico un credito indennizzante. Invocano l’articolo 1 del Protocollo no 1 che dispone:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
45. I richiedenti che stimano che avrebbero avuto la certezza di essere indennizzati se il cambiamento improvviso di giurisprudenza non fosse stato applicato loro, contestano, in mancanza di slealtà da parte loro, ogni legittimità all’intervento delle autorità in una controversia privata.
46. Il Governo stima da parte sua che i richiedenti non disponevano di nessun bene, in mancanza di giustificare un credito constatato e liquidato da una decisione giudiziale definitiva, o di una speranza legittima, in mancanza di una giurisprudenza ben radicatasi, come dimostra la divergenza tra i giudizi di prima istanza e la sentenza di appello.
47. Sussidiariamente, il Governo stima che l’ingerenza delle autorità era legittima come rispondente ad un imperativo di interesse generale fondato su una migliore amministrazione della giustizia e degli obiettivi di sicurezza giuridica e di lealtà procedurale.
48. La Corte osserva che il motivo di appello sollevato dai richiedenti sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 si confonde in una misura molto larga con quello derivato dall’articolo 6 della Convenzione. A questo riguardo, stima che i richiedenti che non disponevano nello specifico di un credito esigibile, nella misura in cui la sentenza della corte di appello non aveva acquisito un carattere irrevocabile (vedere sopra paragrafo 39), non avevano in più una “speranza legittima” di essere indennizzati. Difatti, la Corte osserva che nello specifico, c’era controversia sul modo in cui il diritto interno doveva essere interpretato ed applicato, e che gli argomenti sviluppati a questo riguardo dai richiedenti sono stati respinti in definitiva dalle giurisdizioni nazionali (Kopecký c,. Slovacchia [GC], no 44912/98, § 50, CEDH 2004-IX, ed Anheuser-Busch Inc. c. Portogallo [GC], no 73049/01, § 65, CEDH 2007 -…).
49. In queste condizioni, i richiedenti non potevano avvalersi di un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
50. Pertanto, questo motivo di appello è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 ha, e 4 della Convenzione.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello tratto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che non c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 26 maggio 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Claudia Westerdiek Peer Lorenzen
Cancelliera Presidente