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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE LEFTER NITA c. ROUMANIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 9410/04/2010
Stato: Italia
Data: 2010-04-06 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Violazione di P1-1
TERZA SEZIONE
CAUSA LEFTER NIŢĂ C. ROMANIA
( Richiesta no 9410/04)
SENTENZA
STRASBURGO
6 aprile 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Lefter Niţă c. Romania,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
Josep Casadevall, presidente, Corneliu Bîrsan, Boštjan il Sig. Zupančič, Egbert Myjer, Ineta Ziemele, Luccichi López Guerra, Ann Power, giudici,
e da Santiago Quesada, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 16 marzo 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 9410/04) diretta contro la Romania e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. L. N. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 19 gennaio 2004 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il governo rumeno (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, il Sig. Răzvan-Horaţiu Radu, del ministero delle Cause estere.
3. Il 2 maggio 2007, il presidente della terza sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronnciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1949 e risiede a Râmnicu Sărat.
5. Il 27 novembre 2001, il richiedente, militare alla pensione, investe il tribunale dipartimentale di Vrancea (“il tribunale dipartimentale”) di un’azione contro il ministero della Difesa Nazionale (“il ministero”), per vedersi rimborsare l’imposta considerata su un’indennità di pensionamento. Con un giudizio del 20 dicembre 2001, il tribunale dipartimentale fece diritto all’azione e condannò il ministero a versargli 45 642 613 lei rumeni (o circa 1 620 euro) in questa data. Questo giudizio diventò definitivo in seguito ad una sentenza del 5 marzo 2002 della corte di appello di Galaþi (“la corte di appello”) che dichiarò nullo il ricorso del ministero.
6. Il 4 giugno 2002, il richiedente percepì la somma in causa.
7. Il procuratore generale della Romania introdusse un ricorso per annullamento (ricorso straordinario) dinnanzi alla Corte suprema di giustizia, al motivo che le suddette giurisdizioni non avevano interpretato correttamente il diritto applicabile nello specifico. Con una sentenza del 22 aprile 2003, la Corte suprema fece diritto al ricorso per annullamento e respinse l’azione del richiedente. La sentenza della Corte suprema fu scritta in bella copia il 14 luglio 2003. Il 22 ottobre 2003, la pratica completa della causa fu restituita alla cancelleria del tribunale dipartimentale.
8. In seguito ad una sentenza definitiva del tribunale dipartimentale di Buzau del 4 aprile 2007, condannando il richiedente a restituire la somma percepita, attualizzata ed includendo gli oneri di giustizia, nel gennaio 2008 cominciò a rimborsare la somma in causa con rate mensili di
300 nuovi lei rumeni, o circa 80 EUR.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
9. La legislazione interna pertinente è descritta nella sentenza Stere ed altri c. Romania (no 25632/02, §§ 19-24, 23 febbraio 2006,).
10. Secondo l’articolo 261 § 3 del Codice rumeno di procedura civile (CPC), solo le decisioni rese in prima istanza ed in appello vengono comunicate alle parti. Le decisioni definitive rese in ultima istanza non vengono comunicate agli interessati ai quali tocca fare i passi necessari per prenderne cognizione. In virtù dell’articolo 264 § 1 del CPC le sentenze devono essere motivate entro 30 giorni dalla pronunzia. Tuttavia, dopo essere stata redatta, la sentenza segue una strada che implica firme dei giudici, archiviazione da parte della cancelleria alla pratica e rinvio di questa ultima o direttamente alla cancelleria del tribunale che ha esaminato la causa in prima giurisdizione (archiviazione finale), o-in caso di ricorso straordinario pendente – alle differenti giurisdizioni competenti (Ordinamento sull’organizzazione ed il funzionamento della Corte Suprema di Giustizia).
IN DIRITTO
I. SULL’ECCEZIONE PRELIMINARE DEL GOVERNO
A. Tesi delle parti
11. Il Governo sostiene che introducendo la sua richiesta il 19 gennaio 2004, il richiedente non ha rispettato il termine dei sei mesi previsto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione. Considera che in mancanza di passi della sua parte presso la cancelleria dell’Alta Corte di Cassazione e Giustizia per ottenere una copia della sentenza del 22 aprile 2003, questo termine è cominciato a decorrere al più tardi il 14 luglio 2003, data in cui la sentenza è stata redatta (mutatis mutandis, Z.Y. c. Turchia (déc), no 27532/95, 9 giugno 2001) ed a partire dalla quale il richiedente ha avuto la possibilità di sollecitare una fotocopia. Il Governo sottopone a questo riguardo un indirizzo dell’Alta Corte di Giustizia e di Cassazione secondo cui la sentenza redatta fu depositata ai suoi archivi il 14 luglio 2003 ed il 22 luglio 2003 la pratica completa fu mandata alla corte di appello del Galati.
12. Il richiedente combatte questa tesi ed adduce che solamente dopo il 21 ottobre 2003 ha avuto la possibilità di prendere cognizione della motivazione della sentenza, quando la pratica arrivò al tribunale dipartimentale. Così, versa alla pratica un certificato redatto dalla cancelleria del tribunale dipartimentale secondo cui la pratica gli fu restituita dall’Alta Corte di Cassazione e Giustizia il 21 ottobre 2003.
B. Valutazione della Corte
13. La Corte nota che la decisione interna definitiva è la sentenza della Corte suprema di giustizia del 22 aprile 2003. Visto che il diritto interno non contempla l’ obbligo di notificare le decisioni rese in ultima istanza alle parti, resta da stabilire, in mancanza di una notifica, la data in cui questa sentenza è stata messa effettivamente a disposizione delle parti (mutatis mutandis, Partidul comuniştilor, nepecerişti, ed Ungureanu c. Romania (dec.), no 46626/99, 16 dicembre 2003, e Potop c. Romania, no 35882/97, § 32, 25 novembre 2003). Ora, la Corte rileva che, se la data della redazione della sentenza, o il 14 luglio 2003, non è contestata, in compenso, niente permette di sapere la data in cui il richiedente avrebbe potuto prendere ragionevolmente cognizione del suono contenuto.
14. A questo riguardo, la Corte nota che la data in cui una sentenza viene redatta e depositata alla cancelleria non viene comunicata neanche alle parti. Il diritto interno contempla un termine di 30 giorni per la redazione di una sentenza, ma, come nello specifico, questo termine non viene sempre rispettato. Non si può considerare dunque, che la data di 14 luglio 2003 fosse prevedibile per il richiedente come data a partire dalla quale avrebbe potuto chiedere una copia della sentenza. In più, bisogna notare che in pratica delle copie delle sentenze definitive vengono messe a disposizione delle parti dalla cancelleria del tribunale che ha esaminato la causa in prima istanza, dove la pratica della causa è archiviata. Ora, nello specifico, la pratica della causa fu restituita alla cancelleria del tribunale dipartimentale solo il 23 ottobre 2003. Nelle circostanze dello specifico, la Corte non vede nessuna ragione di giudicare irragionevole il periodo che è trascorso per prendere cognizione della motivazione della sentenza in causa.
15. Di conseguenza, la Corte considera che la presente richiesta introdotta il 19 gennaio 2004, ossia nei sei mesi dalla cognizione da parte del richiedente del contenuto della sentenza della Corte suprema, non era tardiva ai sensi dell’articolo 35 § 1 Convenzione.
Pertanto, conviene respingere l’eccezione preliminare del Governo derivata dalla tardività della richiesta.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
16. Il richiedente si lamenta di un attentato al suo diritto al rispetto dei beni, in ragione dell’obbligo di restituire la somma percepita in virtù di una decisione passata in giudicato. Invoca l’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione ai termini del quale:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Sull’ammissibilità
17. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva anche che questo non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
18. Il Governo riconosce che l’annullamento da parte della Corte suprema di giustizia della sentenza definitiva del 5 marzo 2002 costituisce un’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni del richiedente. Stima tuttavia che questa ingerenza è compatibile con le disposizioni del secondo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1, dal momento che è legale e che è proporzionata allo scopo legittimo previsto.
19. Il richiedente stima che l’imposta del suo sussidio non aveva base legale.
20. La Corte nota innanzitutto che non è contestato che in virtù della sentenza definitiva del 5 marzo 2002, il richiedente aveva un credito nei confronti dello stato sufficientemente stabilito da essere esigibile. Il ministero gli ha versato la somma in questione di cui ha potuto godere del resto fino alla sentenza della Corte suprema di giustizia del 22 aprile 2003 con cui la sua azione fu respinta. Questa sentenza ha costituito un’ingerenza nell’esercizio da parte del richiedente del suo diritto di credito dunque, e, pertanto, nel suo diritto al rispetto dei suoi beni.
21. La Corte ricorda di avere già concluso, nella causa Stere ed altri precitata, che l’intervento del procuratore generale, dopo la fine di un procedimento a cui non era parte e che ha condotto all’annullamento integrale dei crediti nei confronti dello stato, rompeva il giusto equilibro da predisporre tra la protezione del diritto al rispetto dei beni e le esigenze dell’interesse generale. Nella presente causa, essendo simili i fatti, niente giustifica che la Corte si scosti da questa conclusione.
22. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
III. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
23. Invocando gli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione, il richiedente si lamenta del rigetto della sua azione, in seguito ad un ricorso per annullamento e del fatto che la Corte suprema non sarebbe stata indipendente ed imparziale e non avrebbe tenuto conto del diritto applicabile. Adduce anche che il procedimento dinnanzi alla Corte suprema sarebbe stato iniquo. Sotto l’angolo dell’articolo 14 della Convenzione, il richiedente stima di essere stato vittima di una discriminazione rispetto ad altre persone che, trovandosi in una situazione simile, non sono state condannate a restituire la somma percepita, nella misura in cui il procuratore generale non ha introdotto alcun ricorso per annullamento contro le decisioni che erano favorevoli a loro.
24. Tenuto conto della constatazione al quale è giunta sopra ai paragrafi 21 e 22, la Corte stima che non c’è luogo di deliberare sull’ammissibilità e la fondatezza di questi motivi di appello.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
25. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
26. Il richiedente chiede che lo stato rinunci all’esecuzione costretta a suo carico. Richiede anche la restituzione delle somme che ha già versato allo stato, facendo valere che a partire dal gennaio 2008 ha cominciato a pagare delle mensilità di circa 80 euro (EUR), depositando alla pratica delle copie dei versamenti effettuati nei primi quattro mesi del 2008. Con una lettera del 19 maggio 2009, precisa che ha continuato a pagare queste mensilità per tutto questo tempo. A titolo di danno patrimoniale, chiede secondariamente la concessione di una somma di 1 000 EUR che rappresentano il profitto che avrebbe potuto realizzare tra il 1 giugni 2000 (data del suo collocamento in pensione) ed il 4 giugno 2002 (data in cui si è visto pagato la somma corrispondente all’imposta considerata dal ministero). Richiede in più dei danni morali il cui importo è stato lasciato alla valutazione della Corte.
27. Il Governo espone che nessuno procedimento di esecuzione forzata fu intentato contro il richiedente per ricuperare la somma controversa. Concede tuttavia che se una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 viene constatato, il migliore risarcimento è di mettere un termine al procedimento di esecuzione forzata o di restituire la somma già pagata dal richiedente, all’occorrenza. Sulla seconda richiesta a titolo del danno patrimoniale, nota che non c’è un legame di causalità tra la somma richiesta e la presunta violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 che è oggetto della controversia dinnanzi alla Corte. In quanto al danno morale, ricorda in materia la giurisprudenza della Corte, citando le cause Stere,( precitata, § 62); Stîngaciu e Tudor c. Romania, (no 21351/03, § 47, 3 agosto 2006) e Valer Pop c. Romania,( no 26511/04, § 42, 13 dicembre 2007).
28. La Corte ricorda che una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico allo sguardo della Convenzione di mettere un termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze. Se il diritto interno permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, l’articolo 41 della Convenzione conferisce alla Corte il potere di accordare un risarcimento alla parte lesa dall’atto o dall’omissione a proposito dai quali una violazione della Convenzione è stata constatata.
29. Avuto riguardo all’insieme degli elementi che si trovano in suo possesso e, deliberando in equità, come vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte assegna al richiedente 2 800 euro, ogni danno compreso.
B. Oneri e spese
30. Il richiedente non chiede nessuna somma a titolo di oneri e spese.
C. Interessi moratori
31. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione;
3. Stabilisce che non c’è luogo di pronunciarsi sull’ammissibilità e la fondatezza degli altri motivi di appello;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, deve versare al richiedente la somma di 2 800 EUR (duemila otto cento euro) ogni danno compreso, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, da convertire nella moneta nazionale al tasso applicabile in data dell’ordinamento;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 6 aprile 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Cancelliere Presidente

Testo Tradotto

Conclusion Violation de P1-1
TROISIÈME SECTION
AFFAIRE LEFTER NIŢĂ c. ROUMANIE
(Requête no 9410/04)
ARRÊT
STRASBOURG
6 avril 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Lefter Niţă c. Roumanie,
La Cour européenne des droits de l’homme (troisième section), siégeant en une chambre composée de :
Josep Casadevall, président,
Corneliu Bîrsan,
Boštjan M. Zupančič,
Egbert Myjer,
Ineta Ziemele,
Luis López Guerra,
Ann Power, juges,
et de Santiago Quesada, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 16 mars 2010,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 9410/04) dirigée contre la Roumanie et dont un ressortissant de cet Etat, M. L. N. (« le requérant »), a saisi la Cour le 19 janvier 2004 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le gouvernement roumain (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, M. Răzvan-Horaţiu Radu, du ministère des Affaires étrangères.
3. Le 2 mai 2007, le président de la troisième section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
4. Le requérant est né en 1949 et réside à Râmnicu Sărat.
5. Le 27 novembre 2001, le requérant, militaire à la retraite, saisit le tribunal départemental de Vrancea (« le tribunal départemental ») d’une action contre le ministère de la Défense Nationale (« le ministère »), afin de se voir rembourser l’impôt retenu sur une indemnité de départ à la retraite. Par un jugement du 20 décembre 2001, le tribunal départemental fit droit à l’action et condamna le ministère à lui verser 45 642 613 lei roumains, soit environ 1 620 euros à cette date. Ce jugement devint définitif suite à un arrêt du 5 mars 2002 de la cour d’appel de Galaţi (« la cour d’appel »), qui déclara nul le recours du ministère.
6. Le 4 juin 2002, le requérant perçut la somme en cause.
7. Le procureur général de la Roumanie introduisit un recours en annulation (pourvoi extraordinaire) devant la Cour suprême de justice, au motif que les juridictions susmentionnées n’avaient pas interprété correctement le droit applicable en l’espèce. Par un arrêt du 22 avril 2003, la Cour suprême fit droit au recours en annulation et rejeta l’action du requérant. L’arrêt de la Cour suprême fut mis au net le 14 juillet 2003. Le 22 octobre 2003, le dossier complet de l’affaire fut retourné au greffe du tribunal départemental.
8. A la suite d’un arrêt définitif du tribunal départemental de Buzau du 4 avril 2007, condamnant le requérant à restituer la somme perçue, actualisée et incluant les frais de justice, en janvier 2008 il commença à rembourser la somme en cause par des tranches mensuelles de
300 nouveaux lei roumains, soit environ 80 EUR.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
9. La législation interne pertinente est décrite dans l’arrêt Stere et autres c. Roumanie (no 25632/02, §§ 19-24, 23 février 2006).
10. Selon l’article 261 § 3 du Code roumain de procédure civile (CPC), seules les décisions rendues en première instance et en appel sont communiquées aux parties. Les décisions définitives rendues en dernier ressort ne sont pas communiquées aux intéressés, auxquels il incombe de faire les démarches nécessaires pour en prendre connaissance. En vertu de l’article 264 § 1 du CPC les arrêts doivent être motivés dans un délai de 30 jours du prononcé. Néanmoins, après être rédigé, l’arrêt suit un chemin impliquant signatures par les juges, classement par le greffe au dossier et renvoi de ce dernier soit directement au greffe du tribunal ayant examiné l’affaire en premier ressort (archivage final), soit – en cas de recours extraordinaire pendant – aux différentes juridictions compétentes (le Règlement sur l’organisation et le fonctionnement de la Cour Suprême de Justice).
EN DROIT
I. SUR L’EXCEPTION PRÉLIMINAIRE DU GOUVERNEMENT
A. Thèses des parties
11. Le Gouvernement soutient qu’en introduisant sa requête le 19 janvier 2004, le requérant n’a pas respecté le délai de six mois prévu par l’article 35 § 1 de la Convention. Il considère qu’en l’absence de démarches de sa part auprès du greffe de la Haute Cour de Cassation et Justice pour obtenir une copie de l’arrêt du 22 avril 2003, ce délai a commencé à courir au plus tard le 14 juillet 2003, date à laquelle l’arrêt a été rédigé (mutatis mutandis, Z.Y. c. Turquie (déc), no 27532/95, 9 juin 2001) et à partir de laquelle le requérant a eu la possibilité de solliciter une photocopie. Le Gouvernement soumet à cet égard une adresse de la Haute Cour de Justice et de Cassation selon laquelle l’arrêt rédigé fut déposé à ses archives le 14 juillet 2003 et le 22 juillet 2003 le dossier complet fut envoyé à la cour d’appel du Galati.
12. Le requérant combat cette thèse et allègue que ce n’est qu’après le 21 octobre 2003 qu’il a eu la possibilité de prendre connaissance de la motivation de l’arrêt, lorsque le dossier arriva au tribunal départemental. Ainsi, il verse au dossier un certificat issu par le greffe du tribunal départemental selon lequel le dossier lui fut restitué par la Haute Cour de Cassation et Justice le 21 octobre 2003.
B. Appréciation de la Cour
13. La Cour note que la décision interne définitive est l’arrêt de la Cour suprême de justice du 22 avril 2003. Vu que le droit interne ne prévoit pas d’obligation de notifier aux parties les décisions rendues en dernier ressort, il reste à établir, à défaut d’une notification, la date à laquelle cet arrêt a été effectivement mis à la disposition des parties (mutatis mutandis, Partidul comuniştilor (nepecerişti) et Ungureanu c. Roumanie (déc.), no 46626/99, 16 décembre 2003, et Potop c. Roumanie, no 35882/97, § 32, 25 novembre 2003). Or, la Cour relève que, si la date de la rédaction de l’arrêt, soit le 14 juillet 2003, n’est pas contestée, en revanche, rien ne permet de savoir la date à laquelle le requérant aurait pu raisonnablement prendre connaissance du son contenu.
14. A cet égard, la Cour note que la date où un arrêt est rédigé et déposé au greffe n’est pas non plus communiquée aux parties. Le droit interne prévoit un délai de 30 jours pour la rédaction d’un arrêt, mais, comme en l’espèce, ce délai n’est pas toujours respecté. Donc, on ne peut pas considérer que la date de 14 juillet 2003 était prévisible pour le requérant comme date à partir de laquelle il aurait pu demander une copie de l’arrêt. De plus, il faut noter qu’en pratique des copies des arrêts définitifs sont mises à la disposition des parties par le greffe du tribunal ayant examiné l’affaire en première instance, où le dossier de l’affaire est archivé. Or, en l’espèce, le dossier de l’affaire ne fut retourné au greffe du tribunal départemental que le 23 octobre 2003. Dans les circonstances de l’espèce, la Cour ne voit aucune raison de juger déraisonnable la période qui s’est écoulée pour prendre connaissance de la motivation de l’arrêt en cause.
15. Par conséquent, la Cour considère que la présente requête introduite le 19 janvier 2004, à savoir dans les six mois de la connaissance par le requérant du contenu de l’arrêt de la Cour suprême, n’était pas tardive au sens de l’article 35 § 1 Convention.
Partant, il convient de rejeter l’exception préliminaire du Gouvernement tirée de la tardiveté de la requête.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
16. Le requérant se plaint d’une atteinte à son droit au respect des biens, en raison de l’obligation de restituer la somme perçue en vertu d’une décision passée en force de chose jugée. Il invoque l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention aux termes duquel :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
A. Sur la recevabilité
17. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève également que celui-ci ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
18. Le Gouvernement reconnaît que l’annulation par la Cour suprême de justice de l’arrêt définitif du 5 mars 2002 constitue une ingérence dans le droit au respect des biens du requérant. Il estime toutefois que cette ingérence est compatible avec les dispositions du second alinéa de l’article 1 du Protocole no 1, dès lors qu’elle est légale et qu’elle est proportionnée au but légitime visé.
19. Le requérant estime que l’imposition de son allocation n’avait pas de base légale.
20. La Cour note tout d’abord qu’il n’est pas contesté qu’en vertu de l’arrêt définitif du 5 mars 2002, le requérant avait une créance sur l’Etat suffisamment établie pour être exigible. Le ministère lui a d’ailleurs versé la somme en question, dont il a pu jouir jusqu’à l’arrêt de la Cour suprême de justice du 22 avril 2003, par laquelle son action fut rejetée. Cet arrêt a donc constitué une ingérence dans l’exercice par le requérant de son droit de créance, et, partant, dans son droit au respect de ses biens.
21. La Cour rappelle avoir déjà conclu, dans l’affaire Stere et autres précitée, que l’intervention du procureur général, après la fin d’une procédure à laquelle il n’était pas partie et conduisant à l’annulation intégrale des créances sur l’Etat, rompait le juste équilibre à ménager entre la protection du droit au respect des biens et les exigences de l’intérêt général. Dans la présente affaire, les faits étant similaires, rien ne justifie que la Cour s’écarte de cette conclusion.
22. Partant, il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1.
III. SUR LES AUTRES VIOLATIONS ALLÉGUÉES
23. Invoquant les articles 6 § 1 et 13 de la Convention, le requérant se plaint du rejet de son action, à la suite d’un recours en annulation et de ce que la Cour suprême n’aurait pas été indépendante et impartiale et n’aurait pas tenu compte du droit applicable. Il allègue aussi que la procédure devant la Cour suprême aurait été inéquitable. Sous l’angle de l’article 14 de la Convention, le requérant estime avoir été victime d’une discrimination par rapport à d’autres personnes qui, se trouvant dans une situation similaire, n’ont pas été condamnées à restituer les sommes perçues, dans la mesure où le procureur général n’a pas introduit de recours en annulation contre les décisions qui leur étaient favorables
24. Compte tenu du constat auquel elle est parvenue aux paragraphes 21 et 22 ci-dessus, la Cour estime qu’il n’y a pas lieu de statuer sur la recevabilité et le bien-fondé de ces griefs.
IV. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
25. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
26. Le requérant demande que l’Etat renonce à l’exécution forcée à son encontre. Il réclame aussi la restitution des sommes qu’il a déjà versées à l’Etat, faisant valoir qu’à partir de janvier 2008 il a commencé à payer des mensualités d’environ 80 euros (EUR), et déposant au dossier des copies des versements effectués les premiers quatre mois du 2008. Par une lettre du 19 mai 2009, il précise qu’il a continué à payer ces mensualités pendant tout ce temps. A titre de préjudice matériel, il demande deuxièmement l’octroi d’une somme de 1 000 EUR représentant le profit qu’il aurait pu réaliser entre le 1er juin 2000 (date de sa mise à la retraite) et le 4 juin 2002 (date à laquelle il s’est vu payé la somme correspondante à l’impôt retenu par le ministère). Il réclame en plus des dommages moraux dont le montant est laissé à l’appréciation de la Cour.
27. Le Gouvernement expose qu’aucune procédure d’exécution forcée ne fut déclenchée contre le requérant pour récupérer la somme litigieuse. Il concède néanmoins, que si une violation de l’article 1 du Protocole no 1 est constatée, la meilleure réparation est de mettre un terme à la procédure d’exécution forcée ou de restituer les sommes payées déjà par le requérant, le cas échéant. Sur la deuxième demande au titre du préjudice matériel, il note qu’il n’y a pas un lien de causalité entre la somme requise et la prétendue violation de l’article 1 du Protocole no 1 faisant l’objet du litige devant la Cour. Quant au préjudice moral, il rappelle la jurisprudence de la Cour en la matière, en citant les affaires Stere, précité, § 62 ; Stîngaciu et Tudor c. Roumanie, no 21351/03, § 47, 3 août 2006, et Valer Pop c. Roumanie, no 26511/04, § 42, 13 décembre 2007.
28. La Cour rappelle qu’un arrêt constatant une violation entraîne pour l’Etat défendeur l’obligation juridique au regard de la Convention de mettre un terme à la violation et d’en effacer les conséquences. Si le droit interne ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, l’article 41 de la Convention confère à la Cour le pouvoir d’accorder une réparation à la partie lésée par l’acte ou l’omission à propos desquels une violation de la Convention a été constatée.
29. Eu égard à l’ensemble des éléments se trouvant en sa possession et, statuant en équité, comme le veut l’article 41 de la Convention, la Cour alloue au requérant 2 800 euros, tous préjudices confondus.
B. Frais et dépens
30. Le requérant ne demande aucune somme au titre de frais et dépens.
C. Intérêts moratoires
31. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant au grief tiré de l’article 1 du Protocole no 1 ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention ;
3. Dit qu’il n’y a pas lieu de se prononcer sur la recevabilité et le bien-fondé des autres griefs ;
4. Dit
a) que l’Etat défendeur, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, doit verser au requérant la somme de 2 800 EUR (deux mille huit cents euros) tous préjudices confondus, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, à convertir dans la monnaie nationale au taux applicable à la date du règlement ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ce montant sera à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
5. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 6 avril 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Greffier Président

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