Conclusione Violazione di P1-1
TERZA SEZIONE
CAUSA LEFTER NIŢĂ C. ROMANIA
( Richiesta no 9410/04)
SENTENZA
STRASBURGO
6 aprile 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Lefter Niţă c. Romania,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
Josep Casadevall, presidente, Corneliu Bîrsan, Boštjan il Sig. Zupančič, Egbert Myjer, Ineta Ziemele, Luccichi López Guerra, Ann Power, giudici,
e da Santiago Quesada, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 16 marzo 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 9410/04) diretta contro la Romania e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. L. N. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 19 gennaio 2004 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il governo rumeno (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, il Sig. Răzvan-Horaţiu Radu, del ministero delle Cause estere.
3. Il 2 maggio 2007, il presidente della terza sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronnciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1949 e risiede a Râmnicu Sărat.
5. Il 27 novembre 2001, il richiedente, militare alla pensione, investe il tribunale dipartimentale di Vrancea (“il tribunale dipartimentale”) di un’azione contro il ministero della Difesa Nazionale (“il ministero”), per vedersi rimborsare l’imposta considerata su un’indennità di pensionamento. Con un giudizio del 20 dicembre 2001, il tribunale dipartimentale fece diritto all’azione e condannò il ministero a versargli 45 642 613 lei rumeni (o circa 1 620 euro) in questa data. Questo giudizio diventò definitivo in seguito ad una sentenza del 5 marzo 2002 della corte di appello di Galaþi (“la corte di appello”) che dichiarò nullo il ricorso del ministero.
6. Il 4 giugno 2002, il richiedente percepì la somma in causa.
7. Il procuratore generale della Romania introdusse un ricorso per annullamento (ricorso straordinario) dinnanzi alla Corte suprema di giustizia, al motivo che le suddette giurisdizioni non avevano interpretato correttamente il diritto applicabile nello specifico. Con una sentenza del 22 aprile 2003, la Corte suprema fece diritto al ricorso per annullamento e respinse l’azione del richiedente. La sentenza della Corte suprema fu scritta in bella copia il 14 luglio 2003. Il 22 ottobre 2003, la pratica completa della causa fu restituita alla cancelleria del tribunale dipartimentale.
8. In seguito ad una sentenza definitiva del tribunale dipartimentale di Buzau del 4 aprile 2007, condannando il richiedente a restituire la somma percepita, attualizzata ed includendo gli oneri di giustizia, nel gennaio 2008 cominciò a rimborsare la somma in causa con rate mensili di
300 nuovi lei rumeni, o circa 80 EUR.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
9. La legislazione interna pertinente è descritta nella sentenza Stere ed altri c. Romania (no 25632/02, §§ 19-24, 23 febbraio 2006,).
10. Secondo l’articolo 261 § 3 del Codice rumeno di procedura civile (CPC), solo le decisioni rese in prima istanza ed in appello vengono comunicate alle parti. Le decisioni definitive rese in ultima istanza non vengono comunicate agli interessati ai quali tocca fare i passi necessari per prenderne cognizione. In virtù dell’articolo 264 § 1 del CPC le sentenze devono essere motivate entro 30 giorni dalla pronunzia. Tuttavia, dopo essere stata redatta, la sentenza segue una strada che implica firme dei giudici, archiviazione da parte della cancelleria alla pratica e rinvio di questa ultima o direttamente alla cancelleria del tribunale che ha esaminato la causa in prima giurisdizione (archiviazione finale), o-in caso di ricorso straordinario pendente – alle differenti giurisdizioni competenti (Ordinamento sull’organizzazione ed il funzionamento della Corte Suprema di Giustizia).
IN DIRITTO
I. SULL’ECCEZIONE PRELIMINARE DEL GOVERNO
A. Tesi delle parti
11. Il Governo sostiene che introducendo la sua richiesta il 19 gennaio 2004, il richiedente non ha rispettato il termine dei sei mesi previsto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione. Considera che in mancanza di passi della sua parte presso la cancelleria dell’Alta Corte di Cassazione e Giustizia per ottenere una copia della sentenza del 22 aprile 2003, questo termine è cominciato a decorrere al più tardi il 14 luglio 2003, data in cui la sentenza è stata redatta (mutatis mutandis, Z.Y. c. Turchia (déc), no 27532/95, 9 giugno 2001) ed a partire dalla quale il richiedente ha avuto la possibilità di sollecitare una fotocopia. Il Governo sottopone a questo riguardo un indirizzo dell’Alta Corte di Giustizia e di Cassazione secondo cui la sentenza redatta fu depositata ai suoi archivi il 14 luglio 2003 ed il 22 luglio 2003 la pratica completa fu mandata alla corte di appello del Galati.
12. Il richiedente combatte questa tesi ed adduce che solamente dopo il 21 ottobre 2003 ha avuto la possibilità di prendere cognizione della motivazione della sentenza, quando la pratica arrivò al tribunale dipartimentale. Così, versa alla pratica un certificato redatto dalla cancelleria del tribunale dipartimentale secondo cui la pratica gli fu restituita dall’Alta Corte di Cassazione e Giustizia il 21 ottobre 2003.
B. Valutazione della Corte
13. La Corte nota che la decisione interna definitiva è la sentenza della Corte suprema di giustizia del 22 aprile 2003. Visto che il diritto interno non contempla l’ obbligo di notificare le decisioni rese in ultima istanza alle parti, resta da stabilire, in mancanza di una notifica, la data in cui questa sentenza è stata messa effettivamente a disposizione delle parti (mutatis mutandis, Partidul comuniştilor, nepecerişti, ed Ungureanu c. Romania (dec.), no 46626/99, 16 dicembre 2003, e Potop c. Romania, no 35882/97, § 32, 25 novembre 2003). Ora, la Corte rileva che, se la data della redazione della sentenza, o il 14 luglio 2003, non è contestata, in compenso, niente permette di sapere la data in cui il richiedente avrebbe potuto prendere ragionevolmente cognizione del suono contenuto.
14. A questo riguardo, la Corte nota che la data in cui una sentenza viene redatta e depositata alla cancelleria non viene comunicata neanche alle parti. Il diritto interno contempla un termine di 30 giorni per la redazione di una sentenza, ma, come nello specifico, questo termine non viene sempre rispettato. Non si può considerare dunque, che la data di 14 luglio 2003 fosse prevedibile per il richiedente come data a partire dalla quale avrebbe potuto chiedere una copia della sentenza. In più, bisogna notare che in pratica delle copie delle sentenze definitive vengono messe a disposizione delle parti dalla cancelleria del tribunale che ha esaminato la causa in prima istanza, dove la pratica della causa è archiviata. Ora, nello specifico, la pratica della causa fu restituita alla cancelleria del tribunale dipartimentale solo il 23 ottobre 2003. Nelle circostanze dello specifico, la Corte non vede nessuna ragione di giudicare irragionevole il periodo che è trascorso per prendere cognizione della motivazione della sentenza in causa.
15. Di conseguenza, la Corte considera che la presente richiesta introdotta il 19 gennaio 2004, ossia nei sei mesi dalla cognizione da parte del richiedente del contenuto della sentenza della Corte suprema, non era tardiva ai sensi dell’articolo 35 § 1 Convenzione.
Pertanto, conviene respingere l’eccezione preliminare del Governo derivata dalla tardività della richiesta.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
16. Il richiedente si lamenta di un attentato al suo diritto al rispetto dei beni, in ragione dell’obbligo di restituire la somma percepita in virtù di una decisione passata in giudicato. Invoca l’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione ai termini del quale:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Sull’ammissibilità
17. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva anche che questo non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
18. Il Governo riconosce che l’annullamento da parte della Corte suprema di giustizia della sentenza definitiva del 5 marzo 2002 costituisce un’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni del richiedente. Stima tuttavia che questa ingerenza è compatibile con le disposizioni del secondo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1, dal momento che è legale e che è proporzionata allo scopo legittimo previsto.
19. Il richiedente stima che l’imposta del suo sussidio non aveva base legale.
20. La Corte nota innanzitutto che non è contestato che in virtù della sentenza definitiva del 5 marzo 2002, il richiedente aveva un credito nei confronti dello stato sufficientemente stabilito da essere esigibile. Il ministero gli ha versato la somma in questione di cui ha potuto godere del resto fino alla sentenza della Corte suprema di giustizia del 22 aprile 2003 con cui la sua azione fu respinta. Questa sentenza ha costituito un’ingerenza nell’esercizio da parte del richiedente del suo diritto di credito dunque, e, pertanto, nel suo diritto al rispetto dei suoi beni.
21. La Corte ricorda di avere già concluso, nella causa Stere ed altri precitata, che l’intervento del procuratore generale, dopo la fine di un procedimento a cui non era parte e che ha condotto all’annullamento integrale dei crediti nei confronti dello stato, rompeva il giusto equilibro da predisporre tra la protezione del diritto al rispetto dei beni e le esigenze dell’interesse generale. Nella presente causa, essendo simili i fatti, niente giustifica che la Corte si scosti da questa conclusione.
22. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
III. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
23. Invocando gli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione, il richiedente si lamenta del rigetto della sua azione, in seguito ad un ricorso per annullamento e del fatto che la Corte suprema non sarebbe stata indipendente ed imparziale e non avrebbe tenuto conto del diritto applicabile. Adduce anche che il procedimento dinnanzi alla Corte suprema sarebbe stato iniquo. Sotto l’angolo dell’articolo 14 della Convenzione, il richiedente stima di essere stato vittima di una discriminazione rispetto ad altre persone che, trovandosi in una situazione simile, non sono state condannate a restituire la somma percepita, nella misura in cui il procuratore generale non ha introdotto alcun ricorso per annullamento contro le decisioni che erano favorevoli a loro.
24. Tenuto conto della constatazione al quale è giunta sopra ai paragrafi 21 e 22, la Corte stima che non c’è luogo di deliberare sull’ammissibilità e la fondatezza di questi motivi di appello.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
25. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
26. Il richiedente chiede che lo stato rinunci all’esecuzione costretta a suo carico. Richiede anche la restituzione delle somme che ha già versato allo stato, facendo valere che a partire dal gennaio 2008 ha cominciato a pagare delle mensilità di circa 80 euro (EUR), depositando alla pratica delle copie dei versamenti effettuati nei primi quattro mesi del 2008. Con una lettera del 19 maggio 2009, precisa che ha continuato a pagare queste mensilità per tutto questo tempo. A titolo di danno patrimoniale, chiede secondariamente la concessione di una somma di 1 000 EUR che rappresentano il profitto che avrebbe potuto realizzare tra il 1 giugni 2000 (data del suo collocamento in pensione) ed il 4 giugno 2002 (data in cui si è visto pagato la somma corrispondente all’imposta considerata dal ministero). Richiede in più dei danni morali il cui importo è stato lasciato alla valutazione della Corte.
27. Il Governo espone che nessuno procedimento di esecuzione forzata fu intentato contro il richiedente per ricuperare la somma controversa. Concede tuttavia che se una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 viene constatato, il migliore risarcimento è di mettere un termine al procedimento di esecuzione forzata o di restituire la somma già pagata dal richiedente, all’occorrenza. Sulla seconda richiesta a titolo del danno patrimoniale, nota che non c’è un legame di causalità tra la somma richiesta e la presunta violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 che è oggetto della controversia dinnanzi alla Corte. In quanto al danno morale, ricorda in materia la giurisprudenza della Corte, citando le cause Stere,( precitata, § 62); Stîngaciu e Tudor c. Romania, (no 21351/03, § 47, 3 agosto 2006) e Valer Pop c. Romania,( no 26511/04, § 42, 13 dicembre 2007).
28. La Corte ricorda che una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico allo sguardo della Convenzione di mettere un termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze. Se il diritto interno permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, l’articolo 41 della Convenzione conferisce alla Corte il potere di accordare un risarcimento alla parte lesa dall’atto o dall’omissione a proposito dai quali una violazione della Convenzione è stata constatata.
29. Avuto riguardo all’insieme degli elementi che si trovano in suo possesso e, deliberando in equità, come vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte assegna al richiedente 2 800 euro, ogni danno compreso.
B. Oneri e spese
30. Il richiedente non chiede nessuna somma a titolo di oneri e spese.
C. Interessi moratori
31. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione;
3. Stabilisce che non c’è luogo di pronunciarsi sull’ammissibilità e la fondatezza degli altri motivi di appello;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, deve versare al richiedente la somma di 2 800 EUR (duemila otto cento euro) ogni danno compreso, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, da convertire nella moneta nazionale al tasso applicabile in data dell’ordinamento;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 6 aprile 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Cancelliere Presidente