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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE KOZACIOGLU c. TURQUIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 1
Articoli: 41, 35, P1-1
Numero: 2334/03/2009
Stato: Turchia
Data: 2009-02-19 00:00:00
Organo: Grande Camera
Testo Originale

Conclusione: obbiezione preliminare respinta (non esaurimento delle vie di ricorso interne, ritardo di sei mesi);Violazione di P1-1; Danno materiale: riparazione; Danno morale- costatazione di violazione sufficiente.

GRANDE CAMERA
CAUSA KOZACIOĞLU C. TURCHIA
( Richiesta no 2334/03)
SENTENZA
STRASBURGO
19 febbraio 2009
Questa sentenza è definitiva. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Kozacıoğlu c. Turchia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, riunendosi in una Grande Camera composta da:
Jean-Paul Costa, presidente, Christos Rozakis, Peer Lorenzen, Josep Casadevall, Giovanni Bonello, Karel Jungwiert, Nina Vajić, Rait Maruste, Ljiljana Mijović, Dean Spielmann, Renate Jaeger, George Nicolaou, Mirjana Lazarova Trajkovska, Nona Tsotsoria, Ann Power, Işıl Karakaş, Mihai Poalelungi, giudici,
e da Michael O’Boyle, cancelliere aggiunto,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 2 luglio 2008 e il 28 gennaio 2009, rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 2334/03) diretta contro la Repubblica della Turchia e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. İ. K. (“il richiedente”), ha investito la Corte l’11 novembre 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”). Il richiedente è deceduto il 9 maggio 2005. Il 10 aprile 2007, i suoi eredi, Sigg. S. K., A. K. e K. K., così come le Sig.re N. K., (G.), P. K. (Ç.), S. K. (T., e K. K.) (M.), hanno espresso il desiderio di continuare l’istanza dinnanzi alla Corte. Per ragioni di ordine pratico, la presente sentenza continuerà a chiamare il Sig. İ. K. il “richiedente” benché occorra assegnare oggi questa qualità ai suoi eredi (vedere Dalban c. Romania [GC], no 28114/95, § 1, CEDH 1999-VI).
2. Il richiedente è stato rappresentato da T. A., A. A. e Ö. Y. avvocati di Ankara. Il governo turco (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente.
3. Invocando l’articolo 1 del Protocollo no 1, il richiedente si lamentava di un attentato al suo diritto al rispetto dei suoi beni. Adduceva anche una violazione dell’articolo 6 della Convenzione.
4. La richiesta è stata assegnata ad una camera della seconda sezione della Corte (articolo 52 § 1 dell’ordinamento) composta da Francesca Tulkens, Ireneu Cabral Barreto, Rıza Türmen, Mindia Ugrekhelidze, Vladimiro Zagrebelsky, Antonella Mularoni e Dragoljub Popović, giudici, e da Sally Dollé, cancelliera di sezione. Il 31 luglio 2007, la camera ha reso una sentenza che decideva, a maggioranza, l’ammissibilità della richiesta; per quattro voci contro tre, la violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1; e, per quattro voci contro tre, la mancanza di necessità di esaminare separatamente il motivo di appello derivato dall’articolo 6 della Convenzione.
5. Il 31 marzo 2008, in seguito ad una domanda del Governo del 31 ottobre 2007, il collegio della Grande Camera ha deciso di rinviare la causa alla Grande Camera in virtù dell’articolo 43 della Convenzione.
6. La composizione della Grande Camera è stata decisa conformemente agli articoli 27 §§ 2 e 3 della Convenzione e 24 dell’ordinamento.
7. Tanto il richiedente che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte sul merito della causa.
8. Un’udienza si è svolta in pubblico al Palazzo dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, il 2 luglio 2008 (articolo 59 § 3 dell’ordinamento).
Sono comparsi:
-per il Governo
Sig.re D. Akçay, co-agente,
Ö. GazÝalem, A. Emüler, V. SÝrmen, D. AKPAK, Sigg. A. DemÝr, il Sig. Gürül, la Sig.ra F. Karaman, Sig. T. Sariaslan, consiglieri,;
-per il richiedente
Sigg. T. A., A. A., Ö. Y., consulenti.
La Corte ha sentito il Sig. A. ed il Sig. A. così come la Sig.ra Akçay nelle loro dichiarazioni ed in risposta alle domande di parecchi giudici.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
9. Cittadino turco nato nel 1903 e deceduto nel 2005, il richiedente risiedeva ad Adana al momento dei fatti.
10. Negli anni 1930, acquistò a titolo oneroso nella sotto-prefettura di Tarsus, dipartimento di İçel, un immobile di due piani in pietra da taglio costruito nel 1906. Di una superficie totale di 516,34 m², l’immobile presentava un interesse architettonico in quanto tale.
11. Il 1 novembre 1990, la Commissione per la protezione del patrimonio culturale e naturale di Adana decise di classificarlo come “bene culturale” ai sensi della legge no 2863 del 21 luglio 1983 concernente la protezione del patrimonio culturale e naturale. Il 23 novembre 1998, fu incluso nel progetto di pianificazione dell’ambiente urbano. Fu iscritto anche nell’inventario della protezione del patrimonio culturale e naturale del Consiglio d’Europa.
12. Il 4 aprile 2000, il consiglio esecutivo del dipartimento di İçel decretò la sua espropriazione nella cornice del “Progetto di riorganizzazione ambientalista e di risanamento delle vie intorno al pozzo di San Paolo.” Basandosi sul rapporto di valutazione preparato il 21 marzo 2000 da una commissione di periti (qui di seguito “la commissione no 1”) composta da tre rappresentanti dell’amministrazione e due rappresentanti dei proprietari, fissò il valore dell’immobile a 36 856 865 000 lire turche (TRL) (circa 65 326 euro (EUR)1) secondo l’indice dei prezzi delle costruzioni di categoria “immobili di qualità” pubblicato dal ministero dell’urbanistica. Questo importo fu versato al richiedente in data del trasferimento di proprietà.
13. Il 12 ottobre 2000, il richiedente introdusse presso la corte d’appello di Tarsus un ricorso per maggiorazione dell’indennità di espropriazione dell’immobile. Chiedeva che una nuova commissione di periti in seno alla quale desiderava vedere riunirsi un perito qualificato in storia dell’arte, rivalutasse l’immobile prendendo in considerazione il suo valore storico ed architettonico. Richiedeva la somma di 1 000 000 000 000 TRL (circa 1 728 750 EUR) a titolo di indennità complementare.
14. Il 26 febbraio 2001, il tribunale tenne un’udienza e respinse la domanda del richiedente che tendeva alla rivalutazione dell’immobile in funzione del suo valore storico. Considerò in particolare che, secondo l’articolo 11 § 1 della legge no 2942 relativo all’espropriazione (paragrafo 29 sotto) la commissione di periti responsabili della valutazione dell’immobile poteva valutare il bene solamente basandosi su dei dati obiettivi ben definiti. Accettò in compenso di affidare questa valutazione ad una nuova commissione di periti, composta da un ingegnere del genio civile, da un architetto e da un rappresentante dei proprietari.
15. Il 10 maggio 2001, dopo una visita dei luoghi, la commissione di periti costituita dal tribunale (qui di seguito “la commissione no 2”) rese il suo rapporto. In quanto ai requisiti ed elementi che influenzavano il valore di questo bene, si esprimeva come segue:
“Il bene in questione è ubicato nel quartiere di Camicedit, annesso a Tarsus, distretto di Mersin. È iscritto nel registro fondiario come casa di costruzione solida con corte. Situato in una zona urbana, figura come immobile classificato nel piano di salvaguardia del patrimonio urbano. La decisione di archiviazione è stata adottata dal Consiglio della protezione del patrimonio culturale e naturale di Adana il 1 novembre 1990
Il bene oggetto della controversia è situato al centro città, all’angolo di due vie, e le sue facciate a sud e ad est danno sulla carreggiata. (…) È localizzato in un quartiere d’affari e commerciale a densità molto elevata. (…) Costeggia il lato nord dell’appezzamento che ripara il pozzo di San Paolo. Di un’importanza maggiore dal punto di vista storico e turistico, questo ultimo è considerato da anni come sacro dal mondo cristiano e viene visitato. Si trovava così, prima della sua espropriazione, al centro di “turismo religioso”.
Secondo gli studi archeologici, il distretto di Tarsus fa parte dei luoghi di abitazione che sono stati eretti negli anni 4 000-10 000 prima di Cristo. Possiede così una ricchezza storica e culturale. Accanto ai monumenti storici visibili in superficie, le rovine di una città antica sono state scoperte all’epoca dei lavori di sterramento realizzato di fianco al palazzo di giustizia, ed il settore è stato messo sotto protezione. “
16. Per determinare il valore dell’immobile, la commissione no 2 si basò innanzitutto sull’indizio dei prezzi delle costruzioni pubblicati dal ministero dell’urbanistica, nella categoria “immobili da restaurare”. Si espresse in particolare come segue:
“L’immobile che si trova sul terreno controverso è composto da due piani di una superficie abitabile di 258,17 m² ciascuno, essendo così la sua superficie totale di 516.34 m². È costruito in pietra da taglio e l’architettura dei locali intermedi è di stile Bagdadien. È stato concepito come un immobile ad uso di abitazione. Il pianterreno è [di un’architettura] semplice ed il primo piano presenta le caratteristiche delle costruzioni in pietra da taglio. C’è un balcone al primo piano. La pietra da taglio delle arcate delle finestre e del balcone del primo piano è molto ornata. Il bene controverso presenta così le caratteristiche degli immobili, costruiti secondo la tradizione mediterranea, chiamata “case di Tarsus” (Tarsus evleri). È iscritto anche nell’inventario della protezione del patrimonio culturale e naturale del Consiglio d’Europa. È l’immobile in cui Atatürk aveva soggiornato all’epoca della sua visita a Tarsus negli anni trenta. Malgrado l’anzianità della sua costruzione, l’immobile, avuto riguardo delle suddette caratteristiche, è stato protetto e mantenuto in buono stato dai suoi proprietari. In queste condizioni, un tasso di vetustà del 50% è stato considerato. Facendo parte l’immobile di quelli della classe V, gruppo D (immobili da restaurare) secondo la circolare del ministero dell’urbanistica dell’anno 2000, il costo approssimativo di costruzione per metro quadrato è stato fissato a 351 413 000 TRL. “
17. La commissione no 2 conclude che la commissione no 1 (paragrafo 12 sopra) aveva valutato l’immobile controverso come un semplice immobile di costruzione in pietra, senza tenere conto delle sue caratteristiche architettoniche. Decise di non seguire questi criteri di valutazione ed assegnò all’immobile in questione un valore di 181 448 588 000 TRL in un primo tempo. Ridusse questa somma a 90 724 294 000 TRL, considerando che la vetustà dell’immobile giustificava una sottovalutazione del 50%. Rialzò tuttavia la somma a 181 448 588 000 TRL, stimando che le caratteristiche architettoniche, storiche e culturali dell’immobile giustificavano una maggiorazione del suo valore del 100%. Deduzione fatta già dell’indennità di espropriazione versata al richiedente, fissò l’indennità complementare a 144 591 723 000 TRL.
18. Una terza commissione di periti (qui di seguito “la commissione no 3”), rimise il 12 giugno 2001 un rapporto che confermava l’insieme delle conclusioni del secondo rapporto di perizia.
19. Il 14 giugno 2001, il richiedente chiese un rapporto di perizia complementare al motivo che i due rapporti precedenti non tenevano sufficientemente conto delle caratteristiche architettoniche e storiche dell’immobile per la determinazione del suo valore.
20. Il 15 giugno 2001, il tribunale, dopo avere respinto la domanda di una perizia complementare, diede parzialmente guadagno di causa al richiedente ed ingiunse all’amministrazione di versargli un’indennità complementare di 144 591 723 000 TRL (circa 139 728 EUR) insieme ad interessi legali a contare dal 3 ottobre 2000.
21. Il 19 novembre 2001, la Corte di cassazione annullò il giudizio. Stimò che in virtù dell’articolo 15 d, della legge no 2863 concernente la protezione del patrimonio culturale e naturale né le caratteristiche architettoniche e storiche di un immobile né quelle derivanti dalla sua rarità potessero entrare in gioco nella determinazione del valore del bene. Perciò, una maggiorazione del 100% dell’importo dell’indennità complementare non poteva passare per giustificata.
22. Il 4 dicembre 2001, il richiedente chiese alla Corte di cassazione di rettificare la sua sentenza. Contestava l’importo dell’indennità di espropriazione e sottolineava in particolare la mancanza di un criterio legale che permettesse di stabilire il valore degli immobili che costituivano il patrimonio culturale e storico del paese. Invocava a questo riguardo l’articolo 6 della Convenzione così come l’articolo 1 del Protocollo no 1.
23. Il 21 gennaio 2002, la Corte di cassazione respinse il suo ricorso in rettifica del richiedente.
24. Il 15 febbraio 2002, il tribunale si conformò alla sentenza di cassazione e fissò l’importo dell’indennità complementare a 53 867 429 000 TRL, circa 45 980 EUR, somma abbinata di interessi legali a contare del 3 ottobre 2000.
25. Il 27 maggio 2002, la Corte di cassazione confermò il giudizio del tribunale di prima istanza.
26. Il 23 dicembre 2002, il ministero delle Finanze emise un ordine di pagamento di un importo di 124 807 810 000 TRL (circa 91 905 EUR) sia 53 867 429 000 TRL per l’indennità complementare e 70 940 390 000 TRL per gli interessi moratori.
27. Risulta dalla pratica che in seguito ad un procedimento giudiziale conclusosi nel 2005 il richiedente ricevette un indennizzo separato per il terreno su cui era costruito l’immobile. Secondo le informazione prodotte dal Governo e non contestate dai rappresentanti del richiedente, l’indennità percepita in seguito all’espropriazione del terreno è di 145 460 lire turche (TRY)2 (circa 87 101 EUR,).
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
A. Legge no 2863 del 21 luglio 1983 concernente la protezione del patrimonio culturale e naturale
28. L’articolo 15 della legge no 2863 dispone:
“I beni immobiliari che fanno parte del patrimonio culturale così come il loro demanio di protezione possono essere espropriati secondo i principi qui sotto:
(…)
d) il valore dei beni derivante dalla loro anzianità, dalla loro rarità e dalle loro caratteristiche artistiche non è preso in considerazione nel calcolo dell’indennità di espropriazione. “
B. Legge no 2942 del 4 novembre 1983 relativa all’espropriazione
29. L’articolo 11 della legge no 2942 dispone:
“I criteri di determinazione dell’indennità di espropriazione
Dopo essersi recati coi giudici sul luogo dove è situato il bene da espropriare e dopo avere raccolto il parere degli interessati, la commissione di periti costituita secondo l’articolo 15 stabilisce un rapporto tenendo conto;
a) del genere e della natura del bene considerato,
b) della sua superficie,
c) delle qualità e degli elementi suscettibili di influenzare il suo valore così come della valutazione di ogni elemento,
d) della dichiarazione di imposta relativa al bene se ne esiste una,
e) dei valori determinati dalle autorità in data di espropriazione,
f) per i terreni di coltura, del profitto che si può trarre in data di espropriazione se si tiene conto dell’utilizzazione come tale e dell’area,
g) per i terreni da costruire, del valore commerciale determinato da paragone con quello di altri terreni equivalenti venduti, in condizioni normali, prima della data di espropriazione,
h) per gli edifici, del prezzo unitario ufficiale, dei costi di costruzione e del tasso di usura,
i) di ogni altro criterio obiettivo suscettibile di influenzare il valore, del bene da espropriare.
La commissione determina il valore del bene menzionando nel suo rapporto la risposta data per ogni suddetto criterio, tenendo conto delle dichiarazioni degli interessati e basandosi su un rapporto di valutazione motivata.
Per la determinazione del valore del bene, non viene tenuto conto il plusvalore generato dall’iniziativa del servizio, dell’ urbanistica o altro che è all’origine dell’espropriazione, né dei guadagni futuri in rapporto coi differenti modi di utilizzazione prevista.
(…) “
C. Giurisprudenza della Corte di cassazione
30. In numerose cause, la 18° camera civile della Corte di cassazione ha annullato i giudizi resi dalle giurisdizioni inferiori che non avevano tenuto conto del deprezzamento che i beni considerati avevano potuto subire a causa della loro classificazione (vedere, per esempio, le sentenze del 30 novembre -2004/8082 E., 2004/8946 K. -, del 20 dicembre 2004 -2004/9692 E., 2004/9893 K. -, del 5 maggio -2005/3263 E., 2005/4696 K. – e del 16 giugno 2006 -2005/3064 E., 2005/6355 K. -).
D. Convenzioni del Consiglio dell’Europa
1. La Convenzione del Consiglio d’Europa per la salvaguardia del patrimonio architettonico dell’Europa adottata il 3 ottobre 1985
31. La Convenzione si legge come segue nelle sue parti pertinenti:
Articolo 3
“Ogni Parte si impegna:
1. a mettere in opera un regime legale di protezione del patrimonio architettonico;
2. a garantire, nella cornice di questo regime e secondo le modalità proprie ad ogni Stato o regione, la protezione dei monumenti, degli insiemi architettonici e dei siti. “
Articolo 4
“Ogni Parte si mpegna:
(…)
2. ad evitare che i beni protetti non siano sfigurati, degradati o demoliti . In questa prospettiva, ogni Parte si impegna, se questo non viene già fatto, ad introdurre nella sua legislazione delle disposizioni che contemplano:
(…)
d) la possibilità di espropriare un bene protetto. “
2. La Convenzione – quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società adottata il 27 ottobre 2005 ed il rapporto esplicativo
32. Ad oggi, tredici paesi hanno firmato questa convenzione e soli tre paesi l’hanno ratificata. La Turchia non l’ha firmata. Il testo comprende le seguente disposizioni:
Articolo 1
Obiettivi della Convenzione
“Le Parti nella presente Convenzione convengono:
a) di riconoscere che il diritto al patrimonio culturale è inerente al diritto di partecipare alla vita culturale, come definito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo;
(…)
c) di fare risaltare che la conservazione del patrimonio culturale e la sua utilizzazione duratura hanno come scopo lo sviluppo umano e la qualità della vita; (…) “
Articolo 4
Diritti e responsabilità concernenti il patrimonio culturale
“Le Parti riconoscono:
(…)
c) che l’esercizio del diritto al patrimonio culturale può essere oggetto solamente delle sole restrizioni che sono necessarie in una società democratica alla protezione dell’interesse pubblico, dei diritti e delle libertà altrui. “
Articolo 6
Effetti della Convenzione
“Nessuna delle disposizioni della presente Convenzione saranno interpretate:
a) come limitanti o recanti offesa ai diritti dell’uomo ed alle libertà fondamentali che potrebbero essere salvaguardate dagli strumenti internazionali, in particolare dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dalla Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali;
b) come essendo a discapito di disposizioni più favorevoli concernenti il patrimonio culturale e l’ambiente che figurano in altri strumenti giuridici nazionali o internazionali,;
c) come creanti dei diritti esecutivi. “
33. Le parti pertinenti del rapporto esplicativo dispongono in particolare:
Articolo 4
Diritti e responsabilità concernenti il patrimonio culturale
“L’articolo 4 tratta dei diritti e delle responsabilità degli individui in materia di patrimonio culturale.
(…)
c) La clausola che autorizza una restrizione nell’esercizio di questo diritto e delle libertà che comprende, lega chiaramente la sua interpretazione allo spirito ed ai meccanismi della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali. Le considerazioni concernenti l’interesse pubblico (vedere articolo 5a), per esempio di proteggere delle componenti importanti del patrimonio culturale, devono sempre essere controbilanciate con la necessità di proteggere i diritti di proprietà individuale. “
E. Diritto comparato
34. Nei paesi membri del Consiglio d’Europa, è in principio ammesso che un compenso “equo e giusto” (Cipro), “giusto e preliminare” (Francia) “equo ed immediato” (Estonia), “adeguato” (Slovacchia) e “adeguato”, Länder tedeschi ed Austria, o sulla base del “valore” (Lituania), “valore integrale” (Albania), “valore corrente” (Finlandia), “valore commerciale” (Svezia), o del “prezzo equo” (Italia) del bene espropriato deve essere fissato per soddisfare le esigenze del principio di proporzionalità. Nel Regno Unito, il valore storico di una proprietà è considerato come facente parte dei criteri di valutazione delle sue “qualità intrinseche” (vedere Tadcaster Tower Brewery Co v). Wilson [1897] 1 Ch 705; Belton v LCC (1893) 68 LT 411). In Grecia, lo stato deve tenere conto della monumentalità eventuale dell’immobile nella valutazione dell’indennità. In Lettonia, la legge sull’espropriazione contempla che le procure pubbliche devono tenere conto di ogni caratteristica particolare dell’immobile per fissare l’importo dell’indennità. In Spagna, l’espropriazione di edifici che hanno un valore artistico, archeologico o storico è oggetto di un procedimento speciale, e l’importo dell’indennità non può essere fissato ad un livello inferiore a quello che risulterebbe dall’applicazione del procedimento generale previsto dalla legge sull’espropriazione. Nessuno dei suddetti paese ai quali si può aggiungere il Belgio ed i Paesi Bassi, esclude categoricamente la presa in conto delle caratteristiche architettoniche e storiche di un bene espropriato nella determinazione del compenso.
IN DIRITTO
I. SULLE ECCEZIONI PRELIMINARI DEL GOVERNO
A. Tesi delle parti dinnanzi alla Grande Camera
35. Dinnanzi alla camera, il Governo aveva sollevato parecchie eccezioni, che mantiene dinnanzi alla Grande Camera. Sostiene innanzitutto il non-esaurimento delle vie di ricorso interne,per mancanza da parte del richiedente di avere sollevato dinnanzi alle giurisdizioni internei il suo motivo di appello di non-designazione di periti competenti per la valutazione del suo bene. Sostiene peraltro che in seguito all’espropriazione l’interessato avrebbe potuto, introducendo un ricorso per annullamento o un ricorso di pieno contenzioso dinnanzi alle giurisdizioni amministrative, contestare la non-presa in considerazione del valore storico del suo immobile nel calcolo dell’indennità.
36. Considerando infine nel caso ci fosse stato un danno, deriverebbe da una disposizione legislativa, rimprovera al richiedente di non avere introdotto la sua richiesta nei sei mesi dalla sua espropriazione.
37. Il richiedente che aveva contestato queste tesi dinnanzi alla camera, non si è espresso a proposito di questa dinnanzi alla Grande Camera.
B. Decisione della camera
38. La camera ha concluso che il richiedente aveva fatto tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente aspettare da lui per esaurire le vie di ricorso interne e che aveva rispettato la regola dei sei mesi previsti dall’articolo 35 § 1 della Convenzione.
C. Valutazione della Corte
39. La Corte ricorda che la condizione dell’esaurimento delle vie di ricorso interne enunciata all’articolo 35 § 1 della Convenzione si basa sull’ipotesi che l’ordine interno offre un ricorso effettivo in quanto alla violazione addotta. Incombe sul Governo che eccepisce del non-esaurimento di convincere la Corte che esisteva all’epoca dei fatti un ricorso effettivo e disponibile, tanto in teoria che in pratica, vale a dire accessibile e suscettibile di offrire al richiedente delle prospettive ragionevoli di risarcimento dei suoi motivi di appello (V. c. Regno Unito [GC], no 24888/94, § 57, CEDH 1999-IX).
40. La Corte sottolinea anche che deve applicare la regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne che tengono debitamente conto del contesto: il meccanismo di salvaguardia dei diritti dell’uomo che gli Stati contraenti sono convenuti ad instaurare. Ha riconosciuto così che l’articolo 35 § 1 deve essere applicato con una certa flessibilità e senza formalismo eccessivo. Ha inoltre ammesso che questa regola non si adatta ad un’applicazione automatica e non riveste un carattere assoluto; controllando il suo rispetto, bisogna avere riguardo delle circostanze della causa. Ciò notifica in particolare che la Corte non deve tenere conto solo in modo realista dei ricorsi contemplati in teoria nel sistema giuridico dello stato contraente riguardato, ma anche del contesto in cui si trovano così come della situazione personale del richiedente. Gli occorre esaminare quindi se, tenuto conto dell’insieme delle circostanze della causa, il richiedente ha fatto tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente aspettare da lui per esaurire le vie di ricorso interne (İlhan c. Turchia [GC], no 22277/93, § 59, CEDH 2000-VII). C’è luogo di ricordare anche che un richiedente deve aver fatto verosimilmente un uso normale dei ricorsi interni efficaci e sufficienti e che, quando una via di ricorso è stata utilizzata, l’uso di un’altra via il cui scopo è praticamente lo stesso non viene richiesto (Riad ed Idiab c. Belgio, numeri 29787/03 e 29810/03, § 84, CEDH 2008 -…).
41. La Corte osserva che il richiedente ha tentato di ottenere, rivolgendosi alle giurisdizioni civili, una maggiorazione della sua indennità di espropriazione, via legale di cui nessuno contesta di non costituire un ricorso interno da esercitare ai fini della regola dell’esaurimento. Si pone quindi la questione di sapere se l’interessato avesse dovuto introdurre per di più un’azione dinnanzi ai tribunali amministrativi.
42. A questo riguardo, conviene notare che, investite dal richiedente di una domanda di invalidazione dei criteri utilizzati per valutare il suo bene e di designazione di un perito qualificato per determinare il valore storico di questo, le giurisdizioni turche hanno respinto l’interessato basandosi sull’articolo 15 d, della legge no 2863 concernente la protezione del patrimonio culturale e naturale.
43. Di conseguenza, la Corte stima, avuto riguardo delle circostanze della causa, che sarebbe eccessivo rimproverare al richiedente di non avere intentato i ricorsi menzionati dal Governo in quanto ha esercitato dinnanzi alle giurisdizioni civili un ricorso per maggiorazione dell’indennità di espropriazione nella cornice del quale ha criticato la mancanza di un perito qualificato nella commissione di valutazione del suo bene.
44. Per ciò che riguarda l’eccezione di tardività, la Corte osserva che il richiedente ha introdotto la sua richiesta nei sei mesi dalla sentenza della Corte di cassazione che confermava definitivamente il giudizio di prima istanza.
45. Tenuto conto di ciò che precede, la Corte conclude che il richiedente ha fatto tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente aspettare di lui per esaurire le vie di ricorso interne e che ha rispettato la regola dei sei mesi previsti dall’articolo 35 § 1 della Convenzione.
46. Perciò, la Corte respinge le eccezioni preliminari del Governo.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
47. Il richiedente adduce una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1, così formulato,:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. “
A. Sull’esistenza di un attentato al diritto di proprietà
48. La Corte ricorda che l’articolo 1 del Protocollo no 1 contiene tre norme distinte: la prima che si esprime nella prima frase del primo capoverso e riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, che figura nella seconda frase dello stesso capoverso, prevede la privazione di proprietà e la sottopone a certe condizioni; in quanto alla terza, registrata nel secondo capoverso, riconosce agli Stati il potere, tra altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale. Non si tratta per tanto di regole prive di rapporto tra esse. La seconda e la terza hanno fatto riferimento agli esempi particolari di attentati al diritto di proprietà; quindi, si devono interpretare alla luce del principio consacrato dalla prima (vedere, tra altri, James ed altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 37, serie A no 98 che riprende in partei termini dall’analisi sviluppati dalla Corte nella sua sentenza Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 61, serie A no 52,; vedere anche I Santi Monasteri c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 56, serie A no 301-a, Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 55, CEDH 1999-II, e Beyeler c. Italia [GC], no 33202/96, § 106, CEDH 2000-I).
49. La Corte nota che nessuno contesta la conclusione della camera secondo la quale c’è stata nello specifico privazione di proprietà ai sensi della seconda frase dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (paragrafo 32 della sentenza della camera).
50. La Corte aderisce alla conclusione della camera su questo punto. Gli occorre dunque ora ricercare se la privazione denunciata si giustifica sotto l’angolo di suddetta disposizione.
B. Sulla giustificazione della privazione di proprietà
1. “Nelle condizioni previste dalla legge”
51. Non è contestato che l’interessato sia stato privato della sua proprietà “nelle condizioni previste dalla legge.”
2. “A causa di utilità pubblica”
52. Non è contestato inoltre che la privazione in causa perseguisse uno scopo legittimo, ossia la protezione del patrimonio culturale del paese.
53. La Corte considera anche che la protezione del patrimonio culturale di un paese costituisca un scopo legittimo atto a giustificare l’espropriazione da parte dello stato di un immobile classificato come “bene culturale.” Ricorda che la decisione di adottare delle leggi che portano la privazione di proprietà presuppone di solito l’esame di questioni politiche, economiche e sociali. Stimando normale che il legislatore disponga di una grande latitudine per condurre la politica economica e sociale che gli sembra più appropriata, la Corte rispetta il modo in cui concepisce gli imperativi dell’ “utilità pubblica”, salvo se il suo giudizio si riveli manifestamente privo di base ragionevole (James ed altri, precitata, § 46, e Beyeler, precitata, § 112). Ciò vale anche mutatis mutandis per la protezione dell’ambiente o del patrimonio storico o culturale di un paese.
54. La Corte sottolinea a questo riguardo che la conservazione del patrimonio culturale e, all’occorrenza, la sua utilizzazione duratura ha per scopo, oltre il mantenimento di una certa qualità di vita, la preservazione delle radici storiche, culturali ed artistiche di una regione e dei suoi abitanti. A questo titolo, costituiscono un valore essenziale la cui difesa e promozione spettano alle procure pubbliche (vedere, mutatis mutandis, Beyeler, precitata, § 112, SCEA Ferme di Fresnoy c. Francia, (déc.), no 61093/00, CEDH 2005-XIII, e Debelianovi c. Bulgaria, no 61951/00, § 54, 29 marzo 2007; vedere anche, mutatis mutandis, Hamer c. Belgio, no 21861/03, § 79, CEDH 2007 -…). A questo riguardo, la Corte rinvia alla Convenzione per la salvaguardia del patrimonio architettonico dell’Europa che contempla delle misure concrete che riguardano in particolare il patrimonio architettonico (paragrafo 31 sopra).
55. Resta nello specifico da giudicare se il difetto totale di presa in considerazione, nella determinazione dell’indennità di espropriazione, delle caratteristiche architettoniche e storiche del bene controverso e della sua rarità può tuttavia essere considerato come proporzionato.
3. Proporzionalità della misura controversa
a) La sentenza della camera
56. La camera ha considerato che il difetto totale di presa in considerazione delle suddette caratteristiche del bene nella determinazione dell’indennità di espropriazione aveva rotto il giusto equilibrio richiesto e privato il richiedente di parte del valore del bene che risultava da queste caratteristiche. Ha giudicato che una somma ragionevolmente in rapporto con queste avrebbe dovuto essere fissata per mantenere una relazione di proporzionalità tra la privazione di proprietà controversa e lo scopo di utilità pubblica perseguito.
b) Le tesi delle parti
i. Il richiedente
57. Il richiedente si lamenta di un attentato al suo diritto al rispetto dei suoi beni, al senso dell’articolo 1 del Protocollo no 1, non corrispondendo l’importo globale dell’indennità di espropriazione fissato dalle giurisdizioni interne, secondo lui, al valore reale dell’immobile espropriato. Sostiene in particolare che il diritto turco non gli permette di ottenere un indennizzo adeguato, mancando i criteri legali che permettono di stabilire il valore degli immobili, come quello che lui era il proprietario, facendo parte del patrimonio culturale e storico del paese.
ii. Il Governo
58. Il Governo fa osservare al primo colpo che la causa esaminata qui riguarda unicamente l’immobile di cui il richiedente era il proprietario. Ora l’interessato aveva ricevuto, in seguito ad un procedimento giudiziale, un indennizzo sparato per il terreno che serviva di base a questo immobile. Si tratterebbe di un elemento importante, non solo per la valutazione del danno addotto, ma anche per la valutazione dei differenti procedimenti impegnati dal richiedente.
59. Il Governo precisa che in virtù della legge no 2863 del 21 luglio 1983 concernente la protezione del patrimonio culturale e naturale, tanto gli immobili che presentano un interesse culturale o artistico che sono di proprietà di individui che quelli che sono di proprietà di instaurazioni pubbliche sono considerati come facenti parte del demanio dello stato, al motivo che appartengono al patrimonio comune della popolazione. Di conseguenza, i loro proprietari godrebbero nei loro confronti solamente di un diritto di proprietà limitata che giocherebbe solamente per i terreni che servono da base a questi.
60. Il Governo sostiene peraltro la necessità per le autorità pubbliche di prendere delle misure atte a garantire la preservazione di questi beni per le generazioni future. Potrebbero così o procedere alla loro espropriazione per prendersi in carico la loro preservazione ed il loro restauro, o classificarli “siti storici”, il che provocherebbe tuttavia numerose restrizioni al diritto di proprietà, essendo sottoposti inoltre i proprietari agli obblighi draconiani per l’utilizzazione dei beni riguardati.
61. Il Governo fa valere che l’immobile in questione che si trovava in un demanio classificato, è stato espropriato nella cornice del “Progetto di riorganizzazione ambientalista e di risanamento delle vie intorno al pozzo di San Paolo.” Sostiene che anche se le autorità non avevano proceduto alla sua espropriazione, il suo valore sarebbe considerevolmente diminuito a causa della sua classificazione in quanto bene protetto. Il richiedente sarebbe dunque stato obbligato a venderlo ad un prezzo ben inferiore all’indennità di espropriazione ricevuta.
62. In conclusione, il Governo considera che avuto riguardo al margine di valutazione che l’articolo 1 del Protocollo no 1 lascia alle autorità nazionali, l’indennizzo fissato dalle giurisdizioni interne era ragionevolmente in rapporto col valore del bene espropriato che a ragione delle sue caratteristiche storiche e/o artistiche fa secondo lui parte dal patrimonio comune.
c) La valutazione della Corte
i. Considerazioni generali
63. Una misura che reca offesa al diritto al rispetto dei beni deve predisporre un “giusto equilibro” tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (vedere, tra altri, Sporrong e Lönnroth, precitato, § 69). La preoccupazione di garantire un tale equilibrio si riflette nella struttura dell’articolo 1 del Protocollo no 1 tutto intero, dunque anche nella seconda frase che si deve leggere alla luce del principio consacrato dalla prima. In particolare, deve esistere un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto da ogni misura applicata dallo stato, ivi comprese le misure che privano una persona della sua proprietà (Pressos Compania Naviera S.p.A. ed altri c. Belgio, 20 novembre 1995, § 38, serie A no 332, Ex-re di Grecia ed altri c. Grecia [GC], no 25701/94, §§ 89-90, CEDH 2000-XII, Sporrong e Lönnroth, precitata, § 73, e Beyeler, precitata, § 107).
64. Per determinare se la misura controversa rispetta “il gusto equilibrio” voluto e, in particolare, se non fa pesare sul richiedente un carico sproporzionato, c’è luogo di prendere in considerazione le modalità di indennizzo previste dalla legislazione interna. A questo riguardo, la Corte ha già detto che, senza il versamento di una somma ragionevolmente in rapporto col valore del bene, una privazione di proprietà costituisce normalmente un attentato eccessivo. L’articolo 1 del Protocollo no 1 non garantisce però in ogni caso il diritto ad un risarcimento integrale. Alcuni obiettivi legittimi “di utilità pubblica”, possono militare per un rimborso inferiore al pieno valore dei beni espropriati (vedere, mutatis mutandis, Lithgow ed altri c. Regno Unito, 8 luglio 1986, § 121, serie A no 102, Broniowski c. Polonia [GC], no 31443/96, § 182, CEDH 2004-V, e Scordino c. Italia (no 1) [GC], no 36813/97, § 95, CEDH 2006 -…). Secondo la Corte, la protezione del patrimonio storico e culturale fa parte di questi obiettivi.
ii. Applicazione di questi principi
65. Nello specifico, siccome è già stato stabilito che l’ingerenza controversa soddisfaceva la condizione di legalità e non era arbitraria, la mancanza di risarcimento integrale non rende illegittima in sé la confisca dello stato sul bene controverso (vedere, mutatis mutandis, Scordino (no 1), precitata, § 99) tanto che la misura è stata adottata nella cornice di un programma di protezione del patrimonio culturale del paese. Resta quindi da ricercare se, stabilendo i criteri e modalità di indennizzo del richiedente nello specifico, le autorità interne non hanno rotto il giusto equilibrio richiesto e se l’interessato non ha dovuto sopportare un carico sproporzionato ed eccessivo.
66. La Corte constata che, in un primo tempo, una commissione di periti fissò a 39 186 865 000 TRL, senza tenere conto del valore storico e culturale dell’immobile in causa, l’indennità di espropriazione da assegnare al richiedente (paragrafo 12 sopra). Investita di un ricorso da questo ultimo, la corte d’appello, nel suo giudizio del 15 giugno 2001, fece sua la stima di due commissioni di periti che avevano assegnato all’immobile un valore di 90 724 294 000 TRL, che avevano alzato poi a 181 448 588 000 TRL precisando che le caratteristiche architettoniche, storiche e culturali dell’immobile giustificavano una maggiorazione del suo valore del 100% (paragrafi 15-18 sopra). Questo giudizio fu annullato tuttavia dalla Corte di cassazione che, riferendosi all’articolo 15 d, della legge no 2863 concernente la protezione del patrimonio culturale e naturale, stimò che le caratteristiche architettoniche e storiche di un immobile o quelle derivanti della sua rarità non poteva entrare in gioco nella determinazione del suo valore (paragrafo 13 sopra).
67. Così, in applicazione dell’articolo 15 d, della legge no 2863 (paragrafo 28 sopra) né la rarità del bene espropriato né le sue caratteristiche architettoniche e storiche sono state prese in considerazione nella determinazione dell’indennità di espropriazione. A questo proposito, la Corte può aderire all’argomento del Governo che sottolinea le difficoltà esistenti nel calcolo del valore commerciale dei beni classificati come aventi un valore culturale, storico, architettonico o artistico. La determinazione di questo valore può dipendere da molteplici elementi difatti non è sempre agevole valutare tramite paragone coi beni sul mercato non sottoposi allo stesso statuto o non presentanti le stesse caratteristiche architettoniche e storiche. Considera tuttavia che queste difficoltà potrebbero giustificare che non venga tenuto nessuno conto delle caratteristiche in questione.
68. A questo riguardo, la Corte osserva che in applicazione dell’articolo 11 della legge no 2942 (paragrafo 29 sopra) i periti incaricati di valutare il prezzo di un bene da espropriare tengono conto di tutti i criteri obiettivi suscettibili di influenzare il suo valore. Rileva che nello specifico, due perizie hanno concluso che le caratteristiche del bene in questione giustificavano una maggiorazione del suo valore del 100% (paragrafi 15-18 sopra) e che quindi l’indennità di espropriazione fissata dalla prima commissione di periti senza tenere conto delle sue caratteristiche architettoniche e storiche non era sufficiente, tenuto conto in particolare del buono stato in cui sarebbe stato mantenuto dai suoi proprietari. Ne risulta che il richiedente avrebbe potuto ottenere un compenso ben superiore a quello che ha ricevuto se le caratteristiche specifiche del suo bene fossero state prese in conto nella determinazione dell’indennità di espropriazione.
69. La Corte stima difatti che al cuore della causa si trova l’impossibilità in dritto turco, trattandosi della determinazione dell’indennità di espropriazione di un bene classificato, di tenere conto del valore del bene derivante dalla sua rarità e dalle sue caratteristiche architettoniche e storiche. Il legislatore turco ha inquadrato deliberatamente questa valutazione escludendo la presa in conto di simili caratteristiche. Così, anche quando queste sembrano implicare una maggiorazione del prezzo del bene classificato, il giudice non può tenerne conto. Ora, al contrario, risulta dalla giurisprudenza della Corte di cassazione che se il valore del bene da espropriare ha subito un deprezzamento a ragione della sua classificazione, le giurisdizioni fissano un’indennità tenendo conto di questo deprezzamento (paragrafo 30 sopra).
70. La Corte rileva che questo meccanismo di valutazione è iniquo nella misura in cui presenta un netto vantaggio per lo stato. Permette di prendere in conto il valore inferiore prodotto dalla classificazione di un bene all’epoca dell’espropriazione, mentre l’eventuale plusvalore non può sostenere nessuno ruolo nella determinazione dell’indennità di espropriazione. Così, non solo rischia di punire i proprietari di beni classificati che sostengono dei pesanti oneri di manutenzione, ma li priva del valore che può derivare delle caratteristiche specifiche del loro bene.
71. Peraltro, la Corte, come la camera, osserva che la pratica dei parecchi Stati membri del Consiglio d’Europa in materia di espropriazione dei beni classificati mostra che, nonostante il difetto di una norma precisa o di criteri di valutazione comune (paragrafo 34 sopra) la possibilità di tenere conto delle caratteristiche specifiche dei beni in questione per la determinazione di un compenso adeguato non è categoricamente aperta.
72. Alla luce di ciò che precede, la Corte stima dunque che per soddisfare le esigenze di proporzionalità tra la privazione di proprietà e lo scopo di utilità pubblica perseguito, c’è luogo, in caso di espropriazione di un bene classificato, di tenere conto in una misura ragionevole delle caratteristiche specifiche del bene per determinare l’indennità dovuta al proprietario.
73. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE
74. Il richiedente si lamenta inoltre di una mancanza di equità del procedimento dinnanzi alle giurisdizioni interne, avendo queste negato di designare un perito qualificato in storia dell’arte per valutare le caratteristiche culturali e storiche dell’immobile controverso. Invoca l’articolo 6 della Convenzione.
75. Avuto riguardo alla sua conclusione sul terreno dell’articolo 1 del Protocollo no 1 ( paragrafo 73 sopra) la Corte stima che non c’è luogo di esaminare separatamente l’affermazione di violazione dell’articolo 6 della Convenzione.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
76. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
1. La sentenza della camera
77. La camera ha constatato che un “giusto equilibrio” non era stato predisposto, non essendo stato preso assolutamente in considerazione il valore storico del bene espropriato nel calcolo dell’indennità. Ha stimato peraltro che una somma di 75 000 EUR costituiva una soddisfazione equa, tenuto conto delle conclusioni delle perizie realizzate al piano interno e della considerazione che gli scopi legittimi “di utilità pubblica”, come quelli che perseguono delle misure che tendono alla conservazione del patrimonio culturale, possono giustificare un rimborso inferiore al pieno valore dei beni espropriati, ossia al loro valore che tiene conto di tutte le loro caratteristiche.
2. Le osservazioni delle parti
78. Il richiedente sollecita 1 392 000 dollari americani (USD) (l’equivalente di 907 242 940 000 TRL al tasso di cambio dell’epoca) per danno materiale. Ricorda che, secondo i periti, le caratteristiche architettoniche dell’immobile giustificavano una maggiorazione del 100% del valore dell’immobile che doveva così stabilirsi a 181 448 588 000 TRL, non tenuto conto della vetustà del bene. Considera in quanto a questo che il valore storico, artistico e culturale del suo immobile giustificherebbe in realtà una maggiorazione dell’ordine del 400%. Di conseguenza, converrebbe, secondo lui, moltiplicare l’importo di 181 448 588 000 TRL per cinque per stabilire il suo danno materiale.
79. Il Governo che contesta il buono stato dell’immobile espropriato, stima che le pretese del richiedente siano esagerate. Afferma che l’interessato è toccato il totale 307 124,67 TRY )(circa 243 104 EUR) per l’espropriazione del suo immobile e del terreno che gli serva da base. Considera peraltro che la stima del valore commerciale del bene non costituisce il buono metodo da utilizzare per fissare la soddisfazione equa, tenuto conto della natura particolare del bene.
3. Valutazione della Corte
80. La Corte ricorda che una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico di mettere un termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire tanto quanto si può fare la situazione anteriore a questa (Iatridis c. Grecia (soddisfazione equa) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI). Gli Stati contraenti parti di una causa sono in principio liberi di scegliere i mezzi che utilizzeranno per conformarsi ad una sentenza della Corte che constata una violazione. Questo potere di valutazione in quanto alle modalità di esecuzione di una sentenza traduce la libertà di scelta a cui è abbinato l’obbligo fondamentale imposto dalla Convenzione agli Stati contraenti: garantire il rispetto dei diritti e delle libertà garantite (articolo 1). Se la natura della violazione permette una restitutio in integrum, incombe sullo stato convenuto di realizzarla, non avendo la Corte né la competenza né la possibilità pratica di compierla lei stessa. Se il diritto nazionale non permette, in compenso, o permette solamente imperfettamente di cancellare le conseguenze della violazione, l’articolo 41 abilita la Corte ad accordare, se c’è luogo, alla parte lesa la soddisfazione che gli sembra appropriata (Brumarescu c. Romania (soddisfazione equa) [GC], no 28342/95, § 20, CEDH 2000-I).
81. Nello specifico, la Corte ha appena constatato che il “giusto equilibrio” non è stato rispettato ( paragrafo 72 sopra). Tuttavia, l’atto dello stato che la Corte ha stimato incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo no 1 non è la confisca del bene del richiedente, non intrinsecamente illegale, ma l’applicazione dell’articolo 15 d, della legge no 2863 che escludeva la presa in conto del valore legato alle caratteristiche storiche e culturali del bene nella determinazione dell’indennità di espropriazione. In queste condizioni, stima che la natura della violazione constatata non gli permette di partire dal principio di una restitutio in integrum (vedere, mutatis mutandis, Papamichalopoulos ed altri c. Grecia (articolo 50), 31 ottobre 1995, serie A no 330-B, e Scordino c. Italia (no 1), precitata, § 249).
82. Per determinare l’importo del risarcimento adeguato, la Corte deve ispirarsi ai criteri generali enunciati nella sua giurisprudenza relativa all’articolo 1 del Protocollo no 1 e secondo cui, senza il versamento di una somma ragionevolmente in rapporto col valore del bene, una privazione di proprietà costituisce di solito un attentato eccessivo che non si potrebbe giustificare sul terreno dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (James ed altri, precitata, § 54). Inoltre, ha appena constatato che gli scopi legittimi “di utilità pubblica”, come quelli perseguiti dalle misure che tendono alla conservazione del patrimonio storico o culturale di un paese, possono giustificare un rimborso inferiore al pieno valore dei beni espropriati (paragrafo 64 sopra).
83. Per tanto, la Corte stima che il livello del risarcimento deve tenere conto del valore legato alle caratteristiche specifiche del bene espropriato. Considerando che nello specifico, queste sono di natura tale da conferire un plusvalore al bene controverso (paragrafo 68 sopra) non aderisce all’argomento del Governo secondo cui la somma di 307 124,67 TRY (circa 243 104 EUR) ricevuta dal richiedente per l’espropriazione del suo immobile e del terreno che serve a base a questo costituisca un giusto risarcimento. Importa sottolineare che questa somma comprende non solo gli interessi moratori, ossia 70 940 390 000 TRL (circa 52 240 EUR) ma anche l’indennità di 145 460 TRY (circa 87 101 EUR) percepita per l’espropriazione del terreno stesso. Del resto, il fatto che il richiedente abbia ottenuto un’indennità di espropriazione per il suo terreno è senza effetto sul valore risultante dalle caratteristiche specifiche dell’immobile in questione.
84. Trattandosi del metodo di valutazione proposta dal richiedente (paragrafo 78 sopra) la Corte osserva che non è fondato su nessun dato obiettivo e che non è sostenuto da nessuna perizia. Non potrebbe dunque essere accettato.
85. Per determinare il risarcimento che deve essere assegnato al richiedente, la Corte, come la camera, stima opportuno basarsi sulle conclusioni delle perizie effettuate durante il procedimento nazionale, anche se non si stima legata all’importo al quale sono arrivate. Tenuto conto di questi elementi-ivi compreso l’obiettivo legittimo di utilità pubblica perseguito dall’espropriazione controversa- e deliberando in equità, giudica ragionevole, come la camera, accordare al richiedente la somma di 75 000 EUR, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta su questa somma.
86. In quanto al danno morale, la Corte stima che, nelle circostanze dello specifico, la constatazione di una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 costituisce di per sé una soddisfazione equa sufficiente.
B. Oneri e spese
1. Tesi delle parti
87. Il richiedente sollecita 5 000 USD (circa 3 837 EUR) per oneri e spese impegnati da lui nel procedimento interno ed in quello seguito dinnanzi alla Corte, senza sottoporre tuttavia il minimo documento a sostegno della sua pretesa. Conviene rilevare che l’interessato ha reiterato la domanda presentata da lui dinnanzi alla camera.
88. Il Governo contesta la fondatezza della pretesa, stimando che questa non è stata supportata.
2. La sentenza della camera
89. La camera ha assegnato al richiedente 1 000 EUR per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta su questa somma.
3. La valutazione della Corte
90. Secondo la giurisprudenza ben stabilita della Corte, il sussidio di oneri e spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si vengano stabilite la loro realtà, la loro necessità e, inoltre, il carattere ragionevole del loro tasso. Inoltre, gli oneri sono recuperabili solamente nella misura in cui si riferiscono alla violazione constatata (vedere articolo 60 dell’ordinamento della Corte e, tra altri, Beyeler c. Italia (soddisfazione equa) [GC], no 33202/96, § 27, 28 maggio 2002, e Sahin c. Germania [GC], no 30943/96, § 105, CEDH 2003-VIII).
91. Alla luce di ciò che precede, la Corte accorda al richiedente la somma che la camera gli aveva già assegnato, ossia 1 000 EUR, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta su questa somma dal richiedente.
C. Interessi moratori
92. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Respinge, all’unanimità, le eccezioni preliminari del Governo;
2. Stabilisce, per sedici voci contro una, che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce, all’unanimità, che non c’è luogo di esaminare il motivo di appello derivato dell’articolo 6 della Convenzione;
4. Stabilisce, all’unanimità, che la constatazione di una violazione fornisce di per sé una soddisfazione equa sufficiente per il danno morale subito dal richiedente;
5. Stabilisce, per sedici voci contro una,
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi, le seguenti somme, da convertire in lire turche al tasso applicabile in data dell’ordinamento,:
i. 75 000 EUR (settantacinque mila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno materiale,;
ii. 1 000 EUR (mille euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese,;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale,;
6. Respinge, all’unanimità, la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese ed in inglese, poi pronunziato in udienza pubblica al Palazzo dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, il 19 febbraio 2009.
Michael O’Boyle Jean-Paul Costa
Cancelliere aggiunto Presidente
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione dissidente del giudice Maruste.
J. – P.C.
M.O’B.

OPINIONE DISSIDENTE DEL GIUDICE MARUSTE
(Traduzione)
Il richiedente nello specifico si lamentava di non avere percepito un’indennità che tenesse conto del valore culturale e storico del suo immobile espropriato. La Grande Camera ha giudicato il suo motivo di appello ben fondato. Considera che c’è un diritto manifesto di ottenere simile compenso, che esistono certi elementi obiettivi che permettono di valutare il valore unico di un bene e che una giurisdizione internazionale costituisce un foro ben posto per deliberare su simile questione. La Grande Camera sembra dire che la legislazione turca pertinente era chiaramente deficiente e che perciò la conclusione del procedimento seguito dinnanzi alle giurisdizioni interne era in contraddizione con la Convenzione. Ho delle serie riserve concernenti questa conclusione.
Il richiedente ottenne l’acquisizione dell’immobile controverso nel corso degli anni 1930. Non si sa se il valore culturale e storico del bene giocò all’epoca un ruolo pecuniario, e questo punto non è mai stato sollevato dal richiedente. Ciò che è chiaro, è che l’argomento derivato dal valore culturale del bene fu avanzato dopo che lo stato ebbe deciso, il 1 novembre 1990, di classificare l’immobile come “bene culturale” e poi di espropriarlo. È del tutto chiaro perciò che il valore particolare del bene non doveva niente al richiedente stesso: questo si era accontentato di prendersene cura, come avrebbe fatto ogni buon concittadino che si crede responsabile. In realtà, lo statuto specifico di bene culturale fu accordato all’immobile in questione dallo stato nell’interesse generale, e non ai fini commerciali.
La legalità dell’espropriazione non ha dato luogo a dibattito tra le parti, e la Grande Camera non vede nessuna ragione di metterla in dubbio. Perciò, la misura dipendeva dal secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Prima di abbordare questa questione, gradirei porne tuttavia una di carattere più generale: il valore culturale e la cronistoria unica di un bene conferiscono una legittimità nel rivendicare un dritto ad ottenere in generale un compenso pecuniario in virtù del diritto internazionale, ed in virtù della Convenzione in particolare? Un breve esame degli elementi esposti ai paragrafi 31 a 34 della sentenza permette di dubitarne. I documenti pertinenti del Consiglio d’Europa indicano in particolare che gli Stati sono invitati a contemplare la possibilità “di espropriare un bene protetto” (paragrafo 31) e che la protezione del patrimonio culturale non crea dei “diritti esecutivi” (paragrafo 32). Allo stesso modo, l’ idea molto superficiale di diritto comparato comparsa al paragrafo 34 della sentenza non fa risultare una chiara comunità di punti di vista tra gli Stati membri del Consiglio dell’Europa su questo punto. Inoltre, i riferimenti che figurano riguardano solamente delle situazioni ordinarie, e solo alcuni degli esempi dati si riferiscono a situazioni o circostanze analoghe a quelle del presente genere.
La ragione per cui non esistono né regole chiare né norme comuni risiede nella difficoltà evidente-addirittura l’impossibilità-di stimare e di calcolare il valore pecuniario di oggetti storici e culturali uniques3. Per ciò che riguarda i beni ordinari, il loro valore è evidente e chiaro: si tratta del loro valore commerciale medio che può essere calcolato sulla base di un’analisi statistica del mercato. Quando si tratta di un bene unico che fa parte del patrimonio culturale, questo metodo non può essere utilizzato. Il valore del bene è questione di valutazione, soggettiva, e, in caso di disaccordo, la questione viene sottoposta al giudice. Mi occorre segnalare, a questo stadio, che il richiedente si è potuto appellare a tre rapporti di periti indipendenti e portare la sua causa dinnanzi alle giurisdizioni interne. Al termine dei procedimenti giudiziali condotti da lui, la somma inizialmente offerta dallo stato è stata raddoppiata, stabilendosi l’importo versato in definitiva a 243 104 EUR (paragrafo 79 della sentenza). Ma ciò non bastava al richiedente.
Supponendo anche che la somma offerta e versata non fosse adeguata, sufficiente o equa, bisogna bene confrontarla con qualche cosa. Si sarebbe potuto stabilire così un paragone col prezzo al metro quadrato delle case del vicinato che si trovavano in un stato analogo o comparabile. Simile paragone non è stato effettuato. Come un giudice internazionale, che sede a migliaia di chilometri dal sito in questione, che non l’ha visto e che non conosce niente del contesto e della situazione del mercato nella regione riguardata, può determinare l’importo di una soddisfazione equa? Per me, ciò è semplicemente impossibile.
Ciò non notifica che sono contro il principio di un giusto equilibro e di un compenso adeguato. Il mio argomento consiste nel dire che considerando la sua natura unica e molto specifica il problema deve essere lasciato alla valutazione delle autorità nazionali, dovendo limitarsi il nostro compito in questo genere di controversia a verificare che un procedimento equo sia stato seguito. Non dovremmo entrare certamente nella valutazione delle prove e dovremmo concedere delle indennità “adeguate” o “eque” in simili casi, salvo in mancanza di equità flagrante e sconveniente. Sembra che simile mancanza di equità sia assente nello specifico, o, almeno, non disponiamo di nessuno elemento che giustifichi la conclusione inversa.
Non è puro caso se, in materia di protezione dei beni, la Convenzione ha lasciato un ampio margine di valutazione agli Stati. Come dice il testo del secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, le disposizioni relative alla protezione della proprietà non recano offesa al diritto posseduto dagli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale .” Lo stato convenuto nello specifico aveva adottato una legge specifica che gli era sembrata completamente adattata. Anche se questa legge sembra molto restrittiva di primo acchito , poiché esclude la presa in conto delle caratteristiche architettoniche e storiche di un immobile per la valutazione del suo valore, non impedisce che spetti allo stato decidere il modo in cui conviene trattare questo problema e indennizzare le parti interessate. La posizione ben stabilita della Corte è che non debba propendere per una valutazione sulla legislazione pertinente degli Stati contraenti. Così come risulta chiaramente dei fatti dello specifico, i periti disponevano di facto di una libertà considerevole per condurre le loro valutazioni e formulare le loro proposte, e le giurisdizioni disponevano parimenti di un’ampia latitudine per l’utilizzazione di queste. Tutto ciò è sfociato nello specifico in un risultato che mi sembra sensato e ragionevole.
Infine, non posso trattenermi dal rilevare che la Corte ha assegnato una somma di 1 000 EUR per oneri e spese mentre il richiedente non aveva sottoposto a questo riguardo assolutamente nessun documento a sostegno della sua richiesta. Trovo ciò spiacevole e sconcertante, perché è una regola che va di sé in materia giudiziale che gli oneri devono essere stabiliti, provati. L’ordinamento della Corte (articolo 60 § 2) comprende la stessa esigenza, poiché enuncia esplicitamente che il richiedente deve sottoporre le sue pretese in cifre e ripartite in voci, ed accompagnate dai giustificativi pertinenti, nel termine che gli è stato assegnato .” Tenuto conto delle circostanze, nessuna somma avrebbe dovuto essere concessa a titolo di oneri e spese in questa causa di diritto di proprietà, e la Corte avrebbe dovuto lasciare al richiedente la cura di regolare la questione coi suoi avvocati.
1. Tutte le conversioni in euro in questa sentenza sono state fatte secondo il tasso di cambio in vigore all’epoca pertinente.

2. Il 1 gennaio 2005, la lira turca (TRY che sostituisce la vecchia lira turca (TRL)) è entrato in vigore. 1 TRY vale un milione di TRL.

3. Quale è il valore di rarità della Torre Eiffel o del Palazzo di Westminster? La risposta è che simile valore di rarità è inesistente, perché non ci sono altre Torri Eiffel o Palazzi di Westminster sul mercato.

Testo Tradotto

Conclusion Exception préliminaire rejetée (non-épuisement des voies de recours internes, délai de six mois) ; Violation de P1-1 ; Dommage matériel – réparation ; Préjudice moral – constat de violation suffisant
GRANDE CHAMBRE
AFFAIRE KOZACIOĞLU c. TURQUIE
(Requête no 2334/03)
ARRÊT
STRASBOURG
19 février 2009
Cet arrêt est définitif. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Kozacıoğlu c. Turquie,
La Cour européenne des droits de l’homme, siégeant en une Grande Chambre composée de :
Jean-Paul Costa, président,
Christos Rozakis,
Peer Lorenzen,
Josep Casadevall,
Giovanni Bonello,
Karel Jungwiert,
Nina Vajić,
Rait Maruste,
Ljiljana Mijović,
Dean Spielmann,
Renate Jaeger,
George Nicolaou,
Mirjana Lazarova Trajkovska,
Nona Tsotsoria,
Ann Power,
Işıl Karakaş,
Mihai Poalelungi, juges,
et de Michael O’Boyle, greffier adjoint,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil les 2 juillet 2008 et 28 janvier 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette dernière date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 2334/03) dirigée contre la République de Turquie et dont un ressortissant de cet Etat, M. İbrahim Kozacıoğlu (« le requérant »), a saisi la Cour le 11 novembre 2002 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »). Le requérant est décédé le 9 mai 2005. Le 10 avril 2007, ses héritiers, MM. Sait Kozacıoğlu, Aydın Kozacıoğlu et Kenan Kozacıoğlu, ainsi que Mmes Necla Kozacıoğlu (Güzey), Perihan Kozacıoğlu (Çetin), Süheyla Kozacıoğlu (Tuna) et Keriman Kozacıoğlu (Milli), ont exprimé le souhait de continuer l’instance devant la Cour. Pour des raisons d’ordre pratique, le présent arrêt continuera d’appeler M. İbrahim Kozacıoğlu le « requérant » bien qu’il faille aujourd’hui attribuer cette qualité à ses héritiers (voir Dalban c. Roumanie [GC], no 28114/95, § 1, CEDH 1999-VI).
2. Le requérant a été représenté par Mes T. Akıllıoğlu, A. Aktay et Ö. Yılmaz avocats à Ankara. Le gouvernement turc (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent.
3. Invoquant l’article 1 du Protocole no 1, le requérant se plaignait d’une atteinte à son droit au respect de ses biens. Il alléguait également une violation de l’article 6 de la Convention.
4. La requête a été attribuée à une chambre de la deuxième section de la Cour (article 52 § 1 du règlement), composée de Françoise Tulkens, Ireneu Cabral Barreto, Rıza Türmen, Mindia Ugrekhelidze, Vladimiro Zagrebelsky, Antonella Mularoni et Dragoljub Popović, juges, et de Sally Dollé, greffière de section. Le 31 juillet 2007, la chambre a rendu un arrêt concluant, à la majorité, à la recevabilité de la requête ; par quatre voix contre trois, à la violation de l’article 1 du Protocole no 1 ; et, par quatre voix contre trois, à l’absence de nécessité d’examiner séparément le grief tiré de l’article 6 de la Convention.
5. Le 31 mars 2008, à la suite d’une demande du Gouvernement en date du 31 octobre 2007, le collège de la Grande Chambre a décidé de renvoyer l’affaire à la Grande Chambre en vertu de l’article 43 de la Convention.
6. La composition de la Grande Chambre a été arrêtée conformément aux articles 27 §§ 2 et 3 de la Convention et 24 du règlement.
7. Tant le requérant que le Gouvernement ont déposé des observations écrites sur le fond de l’affaire.
8. Une audience s’est déroulée en public au Palais des droits de l’homme, à Strasbourg, le 2 juillet 2008 (article 59 § 3 du règlement).
Ont comparu :
– pour le Gouvernement
Mmes D. Akçay, co-agent,
Ö. Gazİalem,
A. Emüler,
V. Sİrmen,
D. AKPAK,
MM. A. Demİr,
M. Gürül,
Mme F. Karaman,
M. T. Sariaslan, conseillers ;
– pour le requérant
MM. T. Akillioğlu,
A. Aktay,
Ö. Yilmaz, conseils.
La Cour a entendu M. Akıllıoğlu et M. Aktay ainsi que Mme Akçay en leurs déclarations et en réponse aux questions de plusieurs juges.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
9. Ressortissant turc né en 1903 et décédé en 2005, le requérant résidait à Adana au moment des faits.
10. Dans les années 1930, il acquit à titre onéreux dans la sous-préfecture de Tarsus, département d’İçel, un immeuble de deux étages en pierre de taille construit en 1906. D’une superficie totale de 516,34 m², l’immeuble présente un intérêt architectural en tant que tel.
11. Le 1er novembre 1990, la Commission pour la protection du patrimoine culturel et naturel d’Adana décida de le classer « bien culturel » au sens de la loi no 2863 du 21 juillet 1983 concernant la protection du patrimoine culturel et naturel. Le 23 novembre 1998, il fut inclus dans le projet d’aménagement de l’environnement urbain. Il fut également inscrit à l’inventaire de la protection du patrimoine culturel et naturel du Conseil de l’Europe.
12. Le 4 avril 2000, le conseil exécutif du département d’İçel décréta son expropriation dans le cadre du « Projet de réorganisation environnementale et d’assainissement des rues autour du puits de Saint Paul ». Se fondant sur le rapport d’évaluation dressé le 21 mars 2000 par une commission d’experts (ci-après « la commission no 1 ») composée de trois représentants de l’administration et deux représentants des propriétaires, il fixa la valeur de l’immeuble à 36 856 865 000 livres turques (TRL) (environ 65 326 euros (EUR)1) selon l’indice des prix des constructions de la catégorie « immeubles de qualité » publié par le ministère de l’Urbanisme. Ce montant fut versé au requérant à la date du transfert de propriété.
13. Le 12 octobre 2000, le requérant introduisit auprès du tribunal de grande instance de Tarsus un recours en majoration de l’indemnité d’expropriation de l’immeuble. Il y demandait qu’une nouvelle commission d’experts, au sein de laquelle il souhaitait voir siéger un expert qualifié en histoire de l’art, réévaluât l’immeuble en prenant en considération sa valeur historique et architecturale. Il réclamait la somme de 1 000 000 000 000 TRL (environ 1 728 750 EUR) à titre d’indemnité complémentaire.
14. Le 26 février 2001, le tribunal tint une audience et rejeta la demande du requérant tendant à voir l’immeuble réévalué en fonction de sa valeur historique. Il considéra notamment que, selon l’article 11 § 1 de la loi no 2942 relative à l’expropriation (paragraphe 29 ci-dessous), la commission d’experts responsable de l’évaluation de l’immeuble ne pouvait évaluer le bien qu’en se fondant sur des données objectives bien définies. Il accepta en revanche de confier cette évaluation à une nouvelle commission d’experts, composée d’un ingénieur du génie civil, d’un architecte et d’un représentant des propriétaires.
15. Le 10 mai 2001, après une visite des lieux, la commission d’experts constituée par le tribunal (ci-après « la commission no 2 ») rendit son rapport. Quant aux qualités et éléments influençant la valeur de ce bien, elle s’exprimait comme suit :
« Le bien en question est sis dans le quartier de Camicedit, rattaché à Tarsus, district de Mersin. Il est inscrit au registre foncier comme maison de construction en dur avec cour. Situé dans une zone urbaine, il figure comme immeuble classé dans le plan de sauvegarde du patrimoine urbain. La décision de classement a été adoptée par le Conseil de la protection du patrimoine culturel et naturel d’Adana le 1er novembre 1990 (…)
Le bien objet du litige (…) est situé (…) au centre-ville, à l’angle de deux rues, et ses façades sud et est donnent sur la chaussée. (…) Il est localisé dans un quartier d’affaires et commercial à très forte densité. (…) Il borde le côté nord de la parcelle abritant le puits de Saint Paul. D’une importance majeure du point de vue historique et touristique, ce dernier est depuis des années considéré comme sacré par le monde chrétien et visité. Il se trouvait ainsi, avant son expropriation, au centre du « tourisme religieux ».
Selon des études archéologiques, le district de Tarsus fait partie des lieux d’habitation qui ont été érigés dans les années 4 000 – 10 000 avant J.-C. Il possède ainsi une richesse historique et culturelle. A côté des monuments historiques visibles en surface, les ruines d’une ville antique ont été découvertes lors de travaux de terrassement réalisés en bordure du palais de justice (…), et le secteur a été mis sous protection. »
16. Afin de déterminer la valeur de l’immeuble, la commission no 2 se fonda tout d’abord sur l’indice des prix des constructions publié par le ministère de l’Urbanisme, dans la catégorie « immeubles à restaurer ». Elle s’exprima notamment comme suit :
« L’immeuble qui se trouve sur le terrain litigieux est composé de deux étages d’une superficie habitable de 258,17 m² chacun, sa superficie totale étant ainsi de 516.34 m². Il est construit en pierre de taille et l’architecture des pièces intermédiaires est de style Bagdadien. Il a été conçu comme un immeuble à usage d’habitation. Le rez-de-chaussée est [d’une architecture] simple et le premier étage présente les caractéristiques des constructions en pierre de taille. Il y a un balcon (…) au premier étage. La pierre de taille des arcades des fenêtres et du balcon du premier étage est très ornementée. Le bien litigieux présente ainsi les caractéristiques des immeubles (…), construits selon la tradition méditerranéenne, appelés « maisons de Tarsus » (Tarsus evleri). Il est également inscrit à l’inventaire de la protection du patrimoine culturel et naturel du Conseil de l’Europe. Il est l’immeuble dans lequel Atatürk avait séjourné lors de sa visite de Tarsus dans les années trente. Malgré l’ancienneté de sa construction, l’immeuble a, eu égard aux caractéristiques susmentionnées, été protégé et maintenu en bon état par ses propriétaires. Dans ces conditions, un taux de vétusté de 50 % a été retenu. L’immeuble faisant partie de ceux de la classe V, groupe D (immeubles à restaurer), selon la circulaire du ministère de l’Urbanisme de l’année 2000 (…), le coût approximatif de construction par mètre carré (…) a été fixé à 351 413 000 TRL. »
17. La commission no 2 conclut que la commission no 1 (paragraphe 12 ci-dessus) avait évalué l’immeuble litigieux comme un simple immeuble de construction en pierre, sans tenir compte de ses caractéristiques architecturales. Elle décida de ne pas suivre ces critères d’évaluation et attribua à l’immeuble en question une valeur de 181 448 588 000 TRL dans un premier temps. Elle réduisit cette somme à 90 724 294 000 TRL, considérant que la vétusté de l’immeuble justifiait une minoration de 50 %. Elle releva toutefois la somme à 181 448 588 000 TRL, estimant que les caractéristiques architecturales, historiques et culturelles de l’immeuble justifiaient une majoration de sa valeur de 100 %. Déduction faite de l’indemnité d’expropriation déjà versée au requérant, elle fixa l’indemnité complémentaire à 144 591 723 000 TRL.
18. Une troisième commission d’experts (ci-après « la commission no 3 »), remit le 12 juin 2001 un rapport confirmant l’ensemble des conclusions du second rapport d’expertise.
19. Le 14 juin 2001, le requérant demanda un rapport d’expertise complémentaire au motif que les deux rapports précédents ne tenaient pas suffisamment compte des caractéristiques architecturales et historiques de l’immeuble pour la détermination de sa valeur.
20. Le 15 juin 2001, le tribunal, après avoir rejeté la demande d’une expertise complémentaire, donna partiellement gain de cause au requérant et enjoignit à l’administration de lui verser une indemnité complémentaire de 144 591 723 000 TRL (environ 139 728 EUR), assortie d’intérêts légaux à compter du 3 octobre 2000.
21. Le 19 novembre 2001, la Cour de cassation infirma le jugement. Elle estima qu’en vertu de l’article 15 d) de la loi no 2863 concernant la protection du patrimoine culturel et naturel ni les caractéristiques architecturales et historiques d’un immeuble ni celles découlant de sa rareté ne pouvaient entrer en jeu dans la détermination de la valeur du bien. En conséquence, une majoration de 100 % du montant de l’indemnité complémentaire ne pouvait passer pour justifiée.
22. Le 4 décembre 2001, le requérant demanda à la Cour de cassation à rectifier son arrêt. Il contestait le montant de l’indemnité d’expropriation et soulignait notamment l’absence d’un critère légal permettant d’établir la valeur des immeubles constituant le patrimoine culturel et historique du pays. Il invoquait à cet égard l’article 6 de la Convention ainsi que l’article 1 du Protocole no 1.
23. Le 21 janvier 2002, la Cour de cassation débouta le requérant de son recours en rectification.
24. Le 15 février 2002, le tribunal se conforma à l’arrêt de cassation et fixa le montant de l’indemnité complémentaire à 53 867 429 000 TRL (environ 45 980 EUR), somme assortie d’intérêts légaux à compter du 3 octobre 2000.
25. Le 27 mai 2002, la Cour de cassation confirma le jugement du tribunal de première instance.
26. Le 23 décembre 2002, le ministère des Finances émit un ordre de paiement d’un montant de 124 807 810 000 TRL (environ 91 905 EUR), soit 53 867 429 000 TRL pour l’indemnité complémentaire et 70 940 390 000 TRL pour les intérêts moratoires.
27. Il ressort du dossier qu’à la suite d’une procédure judiciaire s’étant achevée en 2005 le requérant reçut une indemnisation séparée pour le terrain sur lequel était construit l’immeuble. Selon les informations produites par le Gouvernement et non contestées par les représentants du requérant, l’indemnité perçue à la suite de l’expropriation du terrain est de 145 460 livres turques (TRY)2 (environ 87 101 EUR).
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
A. Loi no 2863 du 21 juillet 1983 concernant la protection du patrimoine culturel et naturel
28. L’article 15 de la loi no 2863 dispose :
« Les biens immobiliers faisant partie du patrimoine culturel ainsi que leur domaine de protection peuvent être expropriés selon les principes ci-dessous :
(…)
d) la valeur des biens découlant de leur ancienneté, de leur rareté et de leurs caractéristiques artistiques n’est pas prise en considération dans le calcul de l’indemnité d’expropriation. »
B. Loi no 2942 du 4 novembre 1983 relative à l’expropriation
29. L’article 11 de la loi no 2942 dispose :
« Les critères de détermination de l’indemnité d’expropriation
Après s’être rendue avec les juges sur le lieu où est situé (…) le bien à exproprier et après avoir recueilli l’avis des intéressés, la commission d’experts constituée selon l’article 15 établit un rapport en tenant compte ;
a) du genre et de la nature du bien considéré,
b) de sa superficie,
c) des qualités et éléments susceptibles d’influencer sa valeur ainsi que de l’évaluation de chaque élément,
d) de la déclaration d’impôt relative au bien s’il en existe une,
e) des valeurs déterminées par les autorités à la date d’expropriation,
f) pour les terrains de culture, du profit que l’on peut tirer à la date d’expropriation si l’on tient compte de l’utilisation telle quelle et de l’emplacement,
g) pour les terrains à construire, de la valeur marchande déterminée par comparaison avec celle d’autres terrains équivalents vendus, dans des conditions normales, avant la date d’expropriation,
h) pour les bâtiments, du prix unitaire officiel, des coûts de construction et du taux d’usure,
i) de tous autres critères objectifs susceptibles d’influencer la valeur (…) du bien à exproprier.
La commission détermine la valeur du bien en mentionnant dans son rapport la réponse donnée pour chaque critère susmentionné, en tenant compte des déclarations des intéressés et en se fondant sur un rapport d’appréciation motivé.
Pour la détermination de la valeur du bien, il n’est pas tenu compte de la plus-value générée par l’initiative du service, d’urbanisme ou autre, qui est à l’origine de l’expropriation, ni des gains futurs en rapport avec les différents modes d’utilisation envisagés.
(…) »
C. Jurisprudence de la Cour de cassation
30. Dans de nombreuses affaires, la 18e chambre civile de la Cour de cassation a infirmé les jugements rendus par des juridictions inférieures qui n’avaient pas tenu compte de la dépréciation que les biens considérés avaient pu subir du fait de leur classement (voir, par exemple, les arrêts des 30 novembre -2004/8082 E., 2004/8946 K.-, 20 décembre 2004 -2004/9692 E., 2004/9893 K.-, des 5 mai -2005/3263 E., 2005/4696 K.- et 16 juin 2006 -2005/3064 E., 2005/6355 K.-).
D. Conventions du Conseil de l’Europe
1. La Convention du Conseil de l’Europe pour la sauvegarde du patrimoine architectural de l’Europe adoptée le 3 octobre 1985
31. La Convention se lit comme suit en ses parties pertinentes :
Article 3
« Chaque Partie s’engage :
1. à mettre en œuvre un régime légal de protection du patrimoine architectural ;
2. à assurer, dans le cadre de ce régime et selon des modalités propres à chaque Etat ou région, la protection des monuments, des ensembles architecturaux et des sites. »
Article 4
« Chaque Partie s’engage :
(…)
2. à éviter que des biens protégés ne soient défigurés, dégradés ou démolis. Dans cette perspective, chaque Partie s’engage, si ce n’est pas déjà fait, à introduire dans sa législation des dispositions prévoyant :
(…)
d) la possibilité d’exproprier un bien protégé. »
2. La Convention-cadre du Conseil de l’Europe sur la valeur du patrimoine culturel pour la société adoptée le 27 octobre 2005 et le rapport explicatif
32. A ce jour, treize pays ont signé cette convention et seuls trois pays l’ont ratifié. La Turquie ne l’a pas signée. Le texte comporte les dispositions suivantes :
Article 1
Objectifs de la Convention
« Les Parties à la présente Convention conviennent :
a) de reconnaître que le droit au patrimoine culturel est inhérent au droit de participer à la vie culturelle, tel que défini dans la Déclaration universelle des droits de l’homme ;
(…)
c) de faire ressortir que la conservation du patrimoine culturel et son utilisation durable ont comme but le développement humain et la qualité de la vie ; (…) »
Article 4
Droits et responsabilités concernant le patrimoine culturel
« Les Parties reconnaissent :
(…)
c) que l’exercice du droit au patrimoine culturel ne peut faire l’objet que des seules restrictions qui sont nécessaires dans une société démocratique à la protection de l’intérêt public, des droits et des libertés d’autrui. »
Article 6
Effets de la Convention
« Aucune des dispositions de la présente Convention ne sera interprétée :
a) comme limitant ou portant atteinte aux droits de l’homme et aux libertés fondamentales qui pourraient être sauvegardés par des instruments internationaux, notamment par la Déclaration universelle des droits de l’homme et par la Convention de sauvegarde des Droits de l’Homme et des Libertés fondamentales ;
b) comme affectant les dispositions plus favorables concernant le patrimoine culturel et l’environnement qui figurent dans d’autres instruments juridiques nationaux ou internationaux ;
c) comme créant des droits exécutoires. »
33. Les parties pertinentes du rapport explicatif disposent notamment :
Article 4
Droits et responsabilités concernant le patrimoine culturel
« L’article 4 traite des droits et des responsabilités des individus en matière de patrimoine culturel.
(…)
c) La clause autorisant une restriction dans l’exercice de ce droit et des libertés qu’il comporte, lie clairement son interprétation à l’esprit et aux mécanismes de la Convention de sauvegarde des Droits de l’Homme et des Libertés fondamentales. Les considérations concernant l’intérêt public (voir article 5a), par exemple pour protéger des composantes importantes du patrimoine culturel, doivent toujours être contrebalancées avec la nécessité de protéger les droits de propriété individuelle. »
E. Droit comparé
34. Dans les pays membres du Conseil de l’Europe, il est en principe admis qu’une compensation « équitable et juste » (Chypre), « juste et préalable » (France), « équitable et immédiate » (Estonie), « adéquate » (Slovaquie) et « appropriée » (Länder allemands et Autriche) ou sur la base de la « valeur » (Lituanie), « valeur intégrale » (Albanie), « valeur courante » (Finlande), « valeur marchande » (Suède), ou du « prix équitable » (Italie) du bien exproprié doit être fixée afin de satisfaire aux exigences du principe de proportionnalité. Au Royaume-Uni, la valeur historique d’une propriété est considérée comme faisant partie des critères d’évaluation de ses « qualités intrinsèques » (voir Tadcaster Tower Brewery Co v. Wilson [1897] 1 Ch 705; Belton v LCC (1893) 68 LT 411). En Grèce, l’Etat doit tenir compte de la monumentalité éventuelle de l’immeuble dans l’évaluation de l’indemnité. En Lettonie, la loi sur l’expropriation prévoit que les pouvoirs publics doivent tenir compte de toute caractéristique particulière de l’immeuble pour fixer le montant de l’indemnité. En Espagne, l’expropriation de bâtiments ayant une valeur artistique, archéologique ou historique fait l’objet d’une procédure spéciale, et le montant de l’indemnité ne peut être fixé à un niveau inférieur à celui qui résulterait de l’application de la procédure générale prévue par la loi sur l’expropriation. Aucun desdits pays, auxquels on peut ajouter la Belgique et les Pays-Bas, n’exclut catégoriquement la prise en compte des caractéristiques architecturales et historiques d’un bien exproprié dans la détermination de la compensation.
EN DROIT
I. SUR LES EXCEPTIONS PRÉLIMINAIRES DU GOUVERNEMENT
A. Thèse des parties devant la Grande Chambre
35. Devant la chambre, le Gouvernement avait soulevé plusieurs exceptions, qu’il maintient devant la Grande Chambre. Il plaide tout d’abord le non-épuisement des voies de recours internes, faute pour le requérant d’avoir soulevé devant les juridictions internes son grief de non-désignation d’experts compétents pour l’évaluation de son bien. Il soutient par ailleurs qu’à la suite de l’expropriation l’intéressé aurait pu, en introduisant un recours en annulation ou un recours de plein contentieux devant les juridictions administratives, contester la non-prise en considération de la valeur historique de son immeuble dans le calcul de l’indemnité.
36. Considérant enfin que si préjudice il y a eu, il découle d’une disposition législative, il reproche au requérant de n’avoir pas introduit sa requête dans les six mois de son expropriation.
37. Le requérant, qui avait contesté ces thèses devant la chambre, ne s’est pas exprimé à leur sujet devant la Grande Chambre.
B. Décision de la chambre
38. La chambre a conclu que le requérant avait fait tout ce que l’on pouvait raisonnablement attendre de lui pour épuiser les voies de recours internes et qu’il avait respecté la règle de six mois prévue par l’article 35 § 1 de la Convention.
C. Appréciation de la Cour
39. La Cour rappelle que la condition de l’épuisement des voies de recours internes énoncée à l’article 35 § 1 de la Convention se fonde sur l’hypothèse que l’ordre interne offre un recours effectif quant à la violation alléguée. Il incombe au Gouvernement excipant du non-épuisement de convaincre la Cour qu’il existait à l’époque des faits un recours effectif et disponible, tant en théorie qu’en pratique, c’est-à-dire accessible et susceptible d’offrir au requérant des perspectives raisonnables de réparation de ses griefs (V. c. Royaume-Uni [GC], no 24888/94, § 57, CEDH 1999-IX).
40. La Cour souligne également qu’elle doit appliquer la règle de l’épuisement des voies de recours internes en tenant dûment compte du contexte : le mécanisme de sauvegarde des droits de l’homme que les Etats contractants sont convenus d’instaurer. Elle a ainsi reconnu que l’article 35 § 1 doit être appliqué avec une certaine souplesse et sans formalisme excessif. Elle a de plus admis que cette règle ne s’accommode pas d’une application automatique et ne revêt pas un caractère absolu ; en contrôlant son respect, il faut avoir égard aux circonstances de la cause. Cela signifie notamment que la Cour doit tenir compte de manière réaliste non seulement des recours prévus en théorie dans le système juridique de l’Etat contractant concerné, mais également du contexte dans lequel ils se situent ainsi que de la situation personnelle du requérant. Il lui faut dès lors examiner si, compte tenu de l’ensemble des circonstances de la cause, le requérant a fait tout ce que l’on pouvait raisonnablement attendre de lui pour épuiser les voies de recours internes (İlhan c. Turquie [GC], no 22277/93, § 59, CEDH 2000-VII). Il y a lieu de rappeler également qu’un requérant doit avoir fait un usage normal des recours internes vraisemblablement efficaces et suffisants et que, lorsqu’une voie de recours a été utilisée, l’usage d’une autre voie dont le but est pratiquement le même n’est pas exigé (Riad et Idiab c. Belgique, nos 29787/03 et 29810/03, § 84, CEDH 2008-…).
41. La Cour observe que le requérant a tenté d’obtenir, en s’adressant aux juridictions civiles, une majoration de son indemnité d’expropriation, voie de droit dont nul ne conteste qu’elle constitue un recours interne à exercer aux fins de la règle de l’épuisement. La question se pose dès lors de savoir si l’intéressé devait de surcroît introduire une action devant les tribunaux administratifs.
42. A cet égard, il convient de noter que, saisies par le requérant d’une demande d’invalidation des critères utilisés pour évaluer son bien et de désignation d’un expert qualifié pour déterminer la valeur historique de celui-ci, les juridictions turques ont débouté l’intéressé en se fondant sur l’article 15 d) de la loi no 2863 concernant la protection du patrimoine culturel et naturel.
43. Par conséquent, la Cour estime, eu égard aux circonstances de la cause, qu’il serait excessif de reprocher au requérant de n’avoir pas intenté les recours mentionnés par le Gouvernement alors qu’il a exercé devant les juridictions civiles un recours en majoration de l’indemnité d’expropriation dans le cadre duquel il a critiqué l’absence d’un expert qualifié dans la commission d’évaluation de son bien.
44. En ce qui concerne l’exception de tardiveté, la Cour observe que le requérant a introduit sa requête dans les six mois de l’arrêt de la Cour de cassation qui confirmait définitivement le jugement de première instance.
45. Compte tenu de ce qui précède, la Cour conclut que le requérant a fait tout ce que l’on pouvait raisonnablement attendre de lui pour épuiser les voies de recours internes et qu’il a respecté la règle de six mois prévue par l’article 35 § 1 de la Convention.
46. En conséquence, la Cour rejette les exceptions préliminaires du Gouvernement.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
47. Le requérant allègue une violation de l’article 1 du Protocole no 1, ainsi libellé :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international. »
A. Sur l’existence d’une atteinte au droit de propriété
48. La Cour rappelle que l’article 1 du Protocole no 1 contient trois normes distinctes : la première, qui s’exprime dans la première phrase du premier alinéa et revêt un caractère général, énonce le principe du respect de la propriété ; la deuxième, figurant dans la seconde phrase du même alinéa, vise la privation de propriété et la soumet à certaines conditions ; quant à la troisième, consignée dans le second alinéa, elle reconnaît aux Etats le pouvoir, entre autres, de réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général. Il ne s’agit pas pour autant de règles dépourvues de rapport entre elles. La deuxième et la troisième ont trait à des exemples particuliers d’atteintes au droit de propriété ; dès lors, elles doivent s’interpréter à la lumière du principe consacré par la première (voir, entre autres, James et autres c. Royaume-Uni, 21 février 1986, § 37, série A no 98, qui reprend en partie les termes de l’analyse développée par la Cour dans son arrêt Sporrong et Lönnroth c. Suède (23 septembre 1982, § 61, série A no 52) ; voir aussi Les Saints Monastères c. Grèce, 9 décembre 1994, § 56, série A no 301-A, Iatridis c. Grèce [GC], no 31107/96, § 55, CEDH 1999-II, et Beyeler c. Italie [GC], no 33202/96, § 106, CEDH 2000-I).
49. La Cour note que nul ne conteste la conclusion de la chambre selon laquelle il y a eu en l’espèce privation de propriété au sens de la seconde phrase de l’article 1 du Protocole no 1 (paragraphe 32 de l’arrêt de la chambre).
50. La Cour souscrit à la conclusion de la chambre sur ce point. Il lui faut donc à présent rechercher si la privation dénoncée se justifie sous l’angle de ladite disposition.
B. Sur la justification de la privation de propriété
1. « Dans les conditions prévues par la loi »
51. Il n’est pas contesté que l’intéressé a été privé de sa propriété « dans les conditions prévues par la loi ».
2. « Pour cause d’utilité publique »
52. Il n’est pas davantage contesté que la privation en cause poursuivait un but légitime, à savoir la protection du patrimoine culturel du pays.
53. La Cour considère elle aussi que la protection du patrimoine culturel d’un pays constitue un but légitime propre à justifier l’expropriation par l’Etat d’un immeuble classé « bien culturel ». Elle rappelle que la décision d’adopter des lois portant privation de propriété présuppose d’ordinaire l’examen de questions politiques, économiques et sociales. Estimant normal que le législateur dispose d’une grande latitude pour mener la politique économique et sociale qui lui paraît la plus appropriée, la Cour respecte la manière dont il conçoit les impératifs de l’« utilité publique », sauf si son jugement se révèle manifestement dépourvu de base raisonnable (James et autres, précité, § 46, et Beyeler, précité, § 112). Cela vaut également mutatis mutandis pour la protection de l’environnement ou du patrimoine historique ou culturel d’un pays.
54. La Cour souligne à cet égard que la conservation du patrimoine culturel et, le cas échéant, son utilisation durable ont pour but, outre le maintien d’une certaine qualité de vie, la préservation des racines historiques, culturelles et artistiques d’une région et de ses habitants. A ce titre, elles constituent une valeur essentielle dont la défense et la promotion incombent aux pouvoirs publics (voir, mutatis mutandis, Beyeler, précité, § 112, SCEA Ferme de Fresnoy c. France (déc.), no 61093/00, CEDH 2005-XIII, et Debelianovi c. Bulgarie, no 61951/00, § 54, 29 mars 2007 ; voir aussi, mutatis mutandis, Hamer c. Belgique, no 21861/03, § 79, CEDH 2007-…). A cet égard, la Cour renvoie à la Convention pour la sauvegarde du patrimoine architectural de l’Europe, qui prévoit des mesures concrètes visant notamment le patrimoine architectural (paragraphe 31 ci-dessus).
55. Reste en l’espèce à juger si le défaut total de prise en considération, dans la détermination de l’indemnité d’expropriation, des caractéristiques architecturales et historiques du bien litigieux et de sa rareté peut néanmoins être considéré comme proportionné.
3. Proportionnalité de la mesure litigieuse
a) L’arrêt de la chambre
56. La chambre a considéré que le défaut total de prise en considération des caractéristiques susmentionnées du bien dans la détermination de l’indemnité d’expropriation avait rompu le juste équilibre requis et privé le requérant de la part de la valeur du bien qui résultait de ces caractéristiques. Elle a jugé qu’une somme raisonnablement en rapport avec celles-ci aurait dû être fixée afin de maintenir une relation de proportionnalité entre la privation de propriété litigieuse et le but d’utilité publique poursuivi.
b) Les thèses des parties
i. Le requérant
57. Le requérant se plaint d’une atteinte à son droit au respect de ses biens, au sens de l’article 1 du Protocole no 1, le montant global de l’indemnité d’expropriation fixé par les juridictions internes ne correspondant pas, selon lui, à la valeur réelle de l’immeuble exproprié. Il soutient notamment que le droit turc ne lui permet pas d’obtenir une indemnisation adéquate, faute de critères légaux permettant d’établir la valeur des immeubles, tel celui dont il était propriétaire, faisant partie du patrimoine culturel et historique du pays.
ii. Le Gouvernement
58. Le Gouvernement fait observer d’emblée que l’affaire ici examinée concerne uniquement l’immeuble dont le requérant était propriétaire. Or l’intéressé avait reçu, à la suite d’une procédure judiciaire, une indemnisation distincte pour le terrain servant d’assiette à cet immeuble. Il s’agirait là d’un élément important, non seulement pour l’évaluation du préjudice allégué, mais également pour l’appréciation des différentes procédures engagées par le requérant.
59. Le Gouvernement précise qu’en vertu de la loi no 2863 du 21 juillet 1983 concernant la protection du patrimoine culturel et naturel, tant les immeubles présentant un intérêt culturel ou artistique qui sont la propriété de particuliers que ceux qui sont la propriété d’établissements publics sont considérés comme faisant partie du domaine de l’Etat, au motif qu’ils appartiennent au patrimoine commun de la population. Par conséquent, leurs propriétaires ne jouiraient à leur égard que d’un droit de propriété limité, qui ne jouerait que pour les terrains leur servant d’assiette.
60. Le Gouvernement plaide par ailleurs la nécessité pour les autorités publiques de prendre des mesures aptes à assurer la préservation de ces biens pour les générations futures. Elles pourraient ainsi soit procéder à leur expropriation afin de prendre en charge leur préservation et leur restauration, soit les classer « sites historiques », ce qui entraînerait toutefois de nombreuses restrictions au droit de propriété, les propriétaires étant en outre soumis à des obligations draconiennes pour l’utilisation des biens concernés.
61. Le Gouvernement fait valoir que l’immeuble en question, qui se trouvait dans un domaine classé, a été exproprié dans le cadre du « Projet de réorganisation environnementale et d’assainissement des rues autour du puits de Saint Paul ». Il soutient que même si les autorités n’avaient pas procédé à son expropriation, sa valeur aurait diminué considérablement du fait de son classement en tant que bien protégé. Le requérant aurait donc été obligé de le vendre à un prix bien inférieur à l’indemnité d’expropriation reçue.
62. En conclusion, le Gouvernement considère qu’eu égard à la marge d’appréciation que l’article 1 du Protocole no 1 laisse aux autorités nationales, l’indemnisation fixée par les juridictions internes était raisonnablement en rapport avec la valeur du bien exproprié, qui à raison de ses caractéristiques historiques et/ou artistiques fait selon lui partie du patrimoine commun.
c) L’appréciation de la Cour
i. Considérations générales
63. Une mesure portant atteinte au droit au respect des biens doit ménager un « juste équilibre » entre les exigences de l’intérêt général de la communauté et les impératifs de la sauvegarde des droits fondamentaux de l’individu (voir, parmi d’autres, Sporrong et Lönnroth, précité, § 69). Le souci d’assurer un tel équilibre se reflète dans la structure de l’article 1 du Protocole no 1 tout entier, donc aussi dans la seconde phrase, qui doit se lire à la lumière du principe consacré par la première. En particulier, il doit exister un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé par toute mesure appliquée par l’Etat, y compris les mesures privant une personne de sa propriété (Pressos Compania Naviera S.A. et autres c. Belgique, 20 novembre 1995, § 38, série A no 332, Ex-roi de Grèce et autres c. Grèce [GC], no 25701/94, §§ 89-90, CEDH 2000-XII, Sporrong et Lönnroth, précité, § 73, et Beyeler, précité, § 107).
64. Afin de déterminer si la mesure litigieuse respecte le « juste équilibre » voulu et, notamment, si elle ne fait pas peser sur le requérant une charge disproportionnée, il y a lieu de prendre en considération les modalités d’indemnisation prévues par la législation interne. A cet égard, la Cour a déjà dit que, sans le versement d’une somme raisonnablement en rapport avec la valeur du bien, une privation de propriété constitue normalement une atteinte excessive. L’article 1 du Protocole no 1 ne garantit cependant pas dans tous les cas le droit à une réparation intégrale. Des objectifs légitimes « d’utilité publique », peuvent militer pour un remboursement inférieur à la pleine valeur des biens expropriés (voir, mutatis mutandis, Lithgow et autres c. Royaume-Uni, 8 juillet 1986, § 121, série A no 102, Broniowski c. Pologne [GC], no 31443/96, § 182, CEDH 2004-V, et Scordino c. Italie (no 1) [GC], no 36813/97, § 95, CEDH 2006-…). De l’avis de la Cour, la protection du patrimoine historique et culturel fait partie de ces objectifs.
ii. Application de ces principes
65. En l’espèce, comme il est déjà établi que l’ingérence litigieuse satisfaisait à la condition de légalité et n’était pas arbitraire, l’absence de réparation intégrale ne rend pas illégitime en soi la mainmise de l’Etat sur le bien litigieux (voir, mutatis mutandis, Scordino (no 1), précité, § 99), d’autant que la mesure a été adoptée dans le cadre d’un programme de protection du patrimoine culturel du pays. Il reste dès lors à rechercher si, en arrêtant les critères et modalités d’indemnisation du requérant en l’espèce, les autorités internes n’ont pas rompu le juste équilibre requis et si l’intéressé n’a pas eu à supporter une charge disproportionnée et excessive.
66. La Cour constate que, dans un premier temps, une commission d’experts fixa à 39 186 865 000 TRL, sans tenir compte de la valeur historique et culturelle de l’immeuble en cause, l’indemnité d’expropriation à allouer au requérant (paragraphe 12 ci-dessus). Saisi d’un recours par ce dernier, le tribunal de grande instance, dans son jugement du 15 juin 2001, fit sienne l’estimation de deux commissions d’experts qui avaient attribué à l’immeuble une valeur de 90 724 294 000 TRL, qu’ils avaient ensuite élevée à 181 448 588 000 TRL en précisant que les caractéristiques architecturales, historiques et culturelles de l’immeuble justifiaient une majoration de sa valeur de 100 % (paragraphes 15-18 ci-dessus). Ce jugement fut toutefois infirmé par la Cour de cassation, qui, se référant à l’article 15 d) de la loi no 2863 concernant la protection du patrimoine culturel et naturel, estima que les caractéristiques architecturales et historiques d’un immeuble ou celles découlant de sa rareté ne pouvaient entrer en jeu dans la détermination de sa valeur (paragraphe 13 ci-dessus).
67. Ainsi, en application de l’article 15 d) de la loi no 2863 (paragraphe 28 ci-dessus), ni la rareté du bien exproprié ni ses caractéristiques architecturales et historiques n’ont été prises en considération dans la détermination de l’indemnité d’expropriation. A ce sujet, la Cour peut souscrire à l’argument du Gouvernement qui souligne les difficultés qu’il y a à calculer la valeur marchande des biens classés comme ayant une valeur culturelle, historique, architecturale ou artistique. La détermination de cette valeur peut en effet dépendre de multiples éléments et il n’est pas toujours aisé d’évaluer par comparaison avec des biens sur le marché non soumis au même statut ou ne présentant pas les mêmes caractéristiques architecturales et historiques. Elle considère toutefois que ces difficultés ne sauraient justifier qu’il ne soit tenu aucun compte des caractéristiques en question.
68. A cet égard, la Cour observe qu’en application de l’article 11 de la loi no 2942 (paragraphe 29 ci-dessus), les experts chargés d’évaluer le prix d’un bien à exproprier tiennent compte de tous les critères objectifs susceptibles d’influencer sa valeur. Elle relève qu’en l’espèce, deux expertises ont conclu que les caractéristiques du bien en question justifiaient une majoration de sa valeur de 100 % (paragraphes 15-18 ci-dessus) et que dès lors l’indemnité d’expropriation fixée par la première commission d’experts sans tenir compte de ses caractéristiques architecturales et historiques n’était pas suffisante, compte tenu notamment du bon état dans lequel il aurait été maintenu par ses propriétaires. Il en résulte que le requérant aurait pu obtenir une compensation bien supérieure à celle qu’il a reçue si les caractéristiques spécifiques de son bien avaient été prises en compte dans la détermination de l’indemnité d’expropriation.
69. La Cour estime en effet qu’au cœur de l’affaire se trouve l’impossibilité en droit turc, s’agissant de la détermination de l’indemnité d’expropriation d’un bien classé, de tenir compte de la valeur du bien découlant de sa rareté et de ses caractéristiques architecturales et historiques. Le législateur turc a délibérément encadré cette évaluation en excluant la prise en compte de pareilles caractéristiques. Ainsi, même lorsque celles-ci semblent impliquer une majoration du prix du bien classé, le juge ne peut en tenir compte. Or, à l’inverse, il ressort de la jurisprudence de la Cour de cassation que si la valeur du bien à exproprier a subi une dépréciation à raison de son classement, les juridictions fixent une indemnité en tenant compte de cette dépréciation (paragraphe 30 ci-dessus).
70. La Cour relève que ce mécanisme d’évaluation est inéquitable dans la mesure où il présente un net avantage pour l’Etat. Il permet de prendre en compte la moins-value produite par le classement d’un bien lors de l’expropriation, alors que l’éventuelle plus-value ne peut jouer aucun rôle dans la détermination de l’indemnité d’expropriation. Ainsi, non seulement il risque de punir les propriétaires de biens classés qui assument de lourds frais d’entretien, mais il les prive de la valeur pouvant découler des caractéristiques spécifiques de leur bien.
71. Par ailleurs, la Cour, à l’instar de la chambre, observe que la pratique des plusieurs Etats membres du Conseil de l’Europe en matière d’expropriation des biens classés montre que, nonobstant le défaut d’une norme précise ou de critères d’évaluation communs (paragraphe 34 ci-dessus), la possibilité de tenir compte des caractéristiques spécifiques des biens en question pour la détermination d’une compensation adéquate n’est pas catégoriquement écartée.
72. A la lumière de ce qui précède, la Cour estime donc que pour satisfaire aux exigences de proportionnalité entre la privation de propriété et le but d’utilité publique poursuivi, il y a lieu, en cas d’expropriation d’un bien classé, de tenir compte dans une mesure raisonnable des caractéristiques spécifiques du bien pour déterminer l’indemnité due au propriétaire.
73. Partant, il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1.
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 DE LA CONVENTION
74. Le requérant se plaint en outre d’un manque d’équité de la procédure devant les juridictions internes, celles-ci ayant refusé de désigner un expert qualifié en histoire de l’art pour évaluer les caractéristiques culturelles et historiques de l’immeuble litigieux. Il invoque l’article 6 de la Convention.
75. Eu égard à sa conclusion sur le terrain de l’article 1 du Protocole no 1 (paragraphe 73 ci-dessus), la Cour estime qu’il n’y a pas lieu d’examiner séparément l’allégation de violation de l’article 6 de la Convention.
IV. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
76. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
1. L’arrêt de la chambre
77. La chambre a constaté qu’un « juste équilibre » n’avait pas été ménagé, la valeur historique du bien exproprié n’ayant absolument pas été prise en considération dans le calcul de l’indemnité. Elle a estimé par ailleurs qu’une somme de 75 000 EUR constituait une satisfaction équitable, compte tenu des conclusions des expertises réalisées au plan interne et de la considération que des buts légitimes « d’utilité publique », tels ceux que poursuivent des mesures tendant à la conservation du patrimoine culturel, peuvent justifier un remboursement inférieur à la pleine valeur des biens expropriés, c’est-à-dire à leur valeur tenant compte de toutes leurs caractéristiques.
2. Les observations des parties
78. Le requérant sollicite 1 392 000 dollars américains (USD) (l’équivalent de 907 242 940 000 TRL au taux de change de l’époque) pour préjudice matériel. Il rappelle que, selon les experts, les caractéristiques architecturales de l’immeuble justifiaient une majoration de 100 % de la valeur de l’immeuble, laquelle devait ainsi s’établir à 181 448 588 000 TRL, compte non tenu de la vétusté du bien. Il considère quant à lui que la valeur historique, artistique et culturelle de son immeuble justifierait en réalité une majoration de l’ordre de 400 %. Par conséquent, il conviendrait, selon lui, de multiplier le montant de 181 448 588 000 TRL par cinq pour établir son dommage matériel.
79. Le Gouvernement, qui conteste le bon état de l’immeuble exproprié, estime que les prétentions du requérant sont exagérées. Il affirme que l’intéressé a touché au total 307 124,67 TRY (environ 243 104 EUR) pour l’expropriation de son immeuble et du terrain lui servant d’assiette. Il considère par ailleurs que l’estimation de la valeur marchande du bien ne constitue pas la bonne méthode à utiliser pour fixer la satisfaction équitable, compte tenu de la nature particulière du bien.
3. Appréciation de la Cour
80. La Cour rappelle qu’un arrêt constatant une violation entraîne pour l’Etat défendeur l’obligation juridique de mettre un terme à la violation et d’en effacer les conséquences de manière à rétablir autant que faire se peut la situation antérieure à celle-ci (Iatridis c. Grèce (satisfaction équitable) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI). Les Etats contractants parties à une affaire sont en principe libres de choisir les moyens dont ils useront pour se conformer à un arrêt de la Cour constatant une violation. Ce pouvoir d’appréciation quant aux modalités d’exécution d’un arrêt traduit la liberté de choix dont est assortie l’obligation primordiale imposée par la Convention aux Etats contractants : assurer le respect des droits et libertés garantis (article 1). Si la nature de la violation permet une restitutio in integrum, il incombe à l’Etat défendeur de la réaliser, la Cour n’ayant ni la compétence ni la possibilité pratique de l’accomplir elle-même. Si, en revanche, le droit national ne permet pas ou ne permet qu’imparfaitement d’effacer les conséquences de la violation, l’article 41 habilite la Cour à accorder, s’il y a lieu, à la partie lésée la satisfaction qui lui semble appropriée (Brumarescu c. Roumanie (satisfaction équitable) [GC], no 28342/95, § 20, CEDH 2000-I).
81. En l’espèce, la Cour vient de constater que le « juste équilibre » n’a pas été respecté (paragraphe 72 ci-dessus). Toutefois, l’acte de l’Etat que la Cour a estimé incompatible avec l’article 1 du Protocole no 1 n’est pas la mainmise sur le bien du requérant, non intrinsèquement illégale, mais l’application de l’article 15 d) de la loi no 2863, qui excluait la prise en compte de la valeur liée aux caractéristiques historiques et culturelles du bien dans la détermination de l’indemnité d’expropriation. Dans ces conditions, elle estime que la nature de la violation constatée ne lui permet pas de partir du principe d’une restitutio in integrum (voir, mutatis mutandis, Papamichalopoulos et autres c. Grèce (article 50), 31 octobre 1995, série A no 330-B, et Scordino c. Italie (no 1), précité, § 249).
82. Pour déterminer le montant de la réparation adéquate, la Cour doit s’inspirer des critères généraux énoncés dans sa jurisprudence relative à l’article 1 du Protocole no 1 et selon lesquels, sans le versement d’une somme raisonnablement en rapport avec la valeur du bien, une privation de propriété constitue d’ordinaire une atteinte excessive qui ne saurait se justifier sur le terrain de l’article 1 du Protocole no 1 (James et autres, précité, § 54). En outre, elle vient de constater que des buts légitimes « d’utilité publique », tels ceux que poursuivent des mesures tendant à la conservation du patrimoine historique ou culturel d’un pays, peuvent justifier un remboursement inférieur à la pleine valeur des biens expropriés (paragraphe 64 ci-dessus).
83. Pour autant, la Cour estime que le niveau de la réparation doit tenir compte de la valeur liée aux caractéristiques spécifiques du bien exproprié. Considérant qu’en l’espèce, celles-ci sont de nature à conférer une plus-value au bien litigieux (paragraphe 68 ci-dessus), elle ne souscrit pas à l’argument du Gouvernement selon lequel la somme de 307 124,67 TRY (environ 243 104 EUR) reçue par le requérant pour l’expropriation de son immeuble et du terrain servant d’assiette à celui-ci constitue une juste réparation. Il importe de souligner que cette somme comprend non seulement les intérêts moratoires, à savoir 70 940 390 000 TRL (environ 52 240 EUR), mais aussi l’indemnité de 145 460 TRY (environ 87 101 EUR) perçue pour l’expropriation du terrain lui-même. Au demeurant, le fait que le requérant ait obtenu une indemnité d’expropriation pour son terrain est sans effet sur la valeur résultant des caractéristiques spécifiques de l’immeuble en question.
84. S’agissant de la méthode d’évaluation proposée par le requérant (paragraphe 78 ci-dessus), la Cour observe qu’elle n’est fondée sur aucune donnée objective et qu’elle n’est appuyée par aucune expertise. Elle ne saurait donc être acceptée.
85. Afin de déterminer la réparation devant être allouée au requérant, la Cour, à l’instar de la chambre, estime opportun de se baser sur les conclusions des expertises effectuées au cours de la procédure nationale, même si elle ne s’estime pas liée par le montant auquel elles ont abouti. Compte tenu de ces éléments – y compris l’objectif légitime d’utilité publique poursuivi par l’expropriation litigieuse – et statuant en équité, elle juge raisonnable, comme la chambre, d’accorder au requérant la somme de 75 000 EUR, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt sur cette somme.
86. Quant au dommage moral, la Cour estime que, dans les circonstances de l’espèce, le constat d’une violation de l’article 1 du Protocole no 1 constitue en soi une satisfaction équitable suffisante.
B. Frais et dépens
1. Thèses des parties
87. Le requérant sollicite 5 000 USD (environ 3 837 EUR) pour les frais et dépens engagés par lui dans la procédure interne et dans celle suivie devant la Cour, sans toutefois soumettre le moindre document à l’appui de sa prétention. Il convient de relever que l’intéressé a réitéré la demande présentée par lui devant la chambre.
88. Le Gouvernement conteste le bien-fondé de la prétention, estimant que celle-ci n’a pas été étayée.
2. L’arrêt de la chambre
89. La chambre a alloué au requérant 1 000 EUR pour frais et dépens, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt sur cette somme.
3. L’appréciation de la Cour
90. D’après la jurisprudence bien établie de la Cour, l’allocation de frais et dépens au titre de l’article 41 présuppose que se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et, de plus, le caractère raisonnable de leur taux. En outre, les frais ne sont recouvrables que dans la mesure où ils se rapportent à la violation constatée (voir article 60 du règlement de la Cour et, parmi d’autres, Beyeler c. Italie (satisfaction équitable) [GC], no 33202/96, § 27, 28 mai 2002, et Sahin c. Allemagne [GC], no 30943/96, § 105, CEDH 2003-VIII).
91. A la lumière de ce qui précède, la Cour accorde au requérant la somme que la chambre lui avait déjà allouée, à savoir 1 000 EUR, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt sur cette somme par le requérant.
C. Intérêts moratoires
92. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR
1. Rejette, à l’unanimité, les exceptions préliminaires du Gouvernement ;
2. Dit, par seize voix contre une, qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
3. Dit, à l’unanimité, qu’il n’y a pas lieu d’examiner le grief tiré de l’article 6 de la Convention ;
4. Dit, à l’unanimité, que le constat d’une violation fournit en soi une satisfaction équitable suffisante pour le dommage moral subi par le requérant ;
5. Dit, par seize voix contre une,
a) que l’Etat défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois, les sommes suivantes, à convertir en livres turques au taux applicable à la date du règlement :
i. 75 000 EUR (soixante-quinze mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour dommage matériel ;
ii. 1 000 EUR (mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par le requérant, pour frais et dépens ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
6. Rejette, à l’unanimité, la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français et en anglais, puis prononcé en audience publique au Palais des droits de l’homme, à Strasbourg, le 19 février 2009.
Michael O’Boyle Jean-Paul Costa
Greffier adjoint Président
Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l’exposé de l’opinion dissidente du juge Maruste.
J.-P.C.
M.O’B.

OPINION DISSIDENTE DU JUGE MARUSTE
(Traduction)
Le requérant en l’espèce se plaignait de ne pas avoir perçu une indemnité tenant compte de la valeur culturelle et historique de son immeuble exproprié. La Grande Chambre a jugé son grief bien fondé. Elle considère qu’il y a un droit manifeste à obtenir pareille compensation, qu’il existe certains éléments objectifs permettant d’apprécier la valeur unique d’un bien et qu’une juridiction internationale constitue un forum bien placé pour statuer sur pareille question. La Grande Chambre semble dire que la législation turque pertinente était clairement déficiente et qu’en conséquence l’issue de la procédure suivie devant les juridictions internes était en contradiction avec la Convention. J’ai de sérieuses réserves concernant cette conclusion.
Le requérant fit l’acquisition de l’immeuble litigieux dans le courant des années 1930. On ne sait pas si la valeur culturelle et historique du bien joua à l’époque un rôle pécuniaire, et ce point n’a jamais été soulevé par le requérant. Ce qui est clair, c’est que l’argument tiré de la valeur culturelle du bien fut avancé après que l’Etat eut décidé, le 1er novembre 1990, de classer l’immeuble « bien culturel » puis de l’exproprier. Il est tout aussi clair que la valeur particulière du bien ne devait rien au requérant lui-même : celui-ci s’était contenté d’en prendre soin, comme l’aurait fait tout bon concitoyen se voulant responsable. En réalité, le statut spécifique de bien culturel fut accordé à l’immeuble en question par l’Etat dans l’intérêt général (et non à des fins commerciales).
La légalité de l’expropriation n’a pas donné lieu à débat entre les parties, et la Grande Chambre n’aperçoit aucune raison de la mettre en doute. En conséquence, la mesure relevait du second paragraphe de l’article 1 du Protocole no 1. Avant d’aborder cette question, j’aimerais toutefois en poser une de caractère plus général : la valeur culturelle et historique unique d’un bien confère-t-elle une légitimité à revendiquer/un droit à obtenir une compensation pécuniaire en vertu du droit international en général, et en vertu de la Convention en particulier ? Un bref examen des éléments exposés aux paragraphes 31 à 34 de l’arrêt permet d’en douter. Les documents pertinents du Conseil de l’Europe indiquent notamment que les Etats sont invités à prévoir la possibilité « d’exproprier un bien protégé » (paragraphe 31) et que la protection du patrimoine culturel ne crée pas des « droits exécutoires » (paragraphe 32). De même, le très superficiel aperçu de droit comparé figurant au paragraphe 34 de l’arrêt ne fait pas ressortir une claire communauté de vues entre les Etats membres du Conseil de l’Europe sur ce point. Qui plus est, les références qui y figurent ne concernent que des situations ordinaires, et seuls quelques uns des exemples

donnés se rapportent à des situations ou circonstances analogues à celles de la présente espèce.
La raison pour laquelle il n’existe ni règles claires ni normes communes réside dans la difficulté évidente – voire l’impossibilité – d’estimer et de calculer la valeur pécuniaire d’objets historiques et culturels uniques3. En ce qui concerne les biens ordinaires, leur valeur est évidente et claire : il s’agit de leur valeur marchande moyenne, laquelle peut être calculée sur la base d’une analyse statistique du marché. Lorsqu’il s’agit d’un bien unique qui fait partie du patrimoine culturel, cette méthode ne peut être utilisée. La valeur du bien est question d’appréciation (subjective) et, en cas de désaccord, la question est soumise au juge. Il me faut signaler, à ce stade, que le requérant a pu s’appuyer sur trois rapports d’experts indépendants et porter sa cause devant les juridictions internes. A l’issue des procédures judiciaires menées par lui, la somme initialement offerte par l’Etat a été doublée, le montant versé en définitive s’établissant à 243 104 EUR (paragraphe 79 de l’arrêt). Mais cela ne suffisait pas au requérant.
A supposer même que la somme offerte et versée ne fût pas adéquate, suffisante ou équitable, il faut bien la comparer avec quelque chose. On aurait ainsi pu établir une comparaison avec le prix au mètre carré des maisons du voisinage se trouvant dans un état analogue ou comparable. Pareille comparaison n’a pas été effectuée. Comment un juge international, qui siège à des milliers de kilomètres du site en question, qui ne l’a pas vu et qui ne connait rien du contexte et de la situation du marché dans la région concernée, peut-il déterminer le montant d’une satisfaction équitable ? Pour moi, cela est tout simplement impossible.
Cela ne signifie pas que je sois contre le principe d’un juste équilibre et d’une compensation adéquate. Mon argument consiste à dire qu’étant donné sa nature unique et très spécifique le problème doit être laissé à l’appréciation des autorités nationales, notre tâche dans ce genre de litige devant se borner à vérifier qu’une procédure équitable a été suivie. Nous ne devrions certainement pas entrer dans l’appréciation des preuves et octroyer des indemnités « adéquates » ou « équitables » dans de tels cas, sauf manque d’équité flagrant et choquant. Il semble que pareil manque d’équité soit absent en l’espèce, ou, tout au moins, nous ne disposons d’aucun élément justifiant la conclusion inverse.
Ce n’est pas pur hasard si, en matière de protection des biens, la Convention a laissé une ample marge d’appréciation aux Etats. Comme le dit le texte du second paragraphe de l’article 1 du Protocole no 1, les dispositions relatives à la protection de la propriété « ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général (…) ». L’Etat défendeur en l’espèce avait adopté une loi spécifique lui paraissant tout à fait adaptée. Même si cette loi semble très restrictive au premier abord, puisqu’elle exclut la prise en compte des caractéristiques architecturales et historiques d’un immeuble pour l’appréciation de sa valeur, il n’empêche que c’est à l’Etat qu’il appartient de décider de la manière dont il convient de traiter ce problème et d’indemniser les parties intéressées. La position bien établie de la Cour est qu’elle n’a pas à porter une appréciation sur la législation pertinente des Etats contractants. Ainsi qu’il ressort clairement des faits de l’espèce, les experts disposaient de facto d’une liberté considérable pour mener leurs appréciations et formuler leurs propositions, et les juridictions disposaient de même d’une ample latitude pour l’utilisation de celles-ci. Tout cela a débouché en l’espèce sur un résultat qui me paraît sensé et raisonnable.
Enfin, je ne puis m’empêcher de relever que la Cour a alloué une somme de 1 000 EUR pour frais et dépens alors que le requérant n’avait soumis absolument aucun document à l’appui de sa demande à cet égard. Je trouve cela regrettable et déroutant, car c’est une règle qui va de soi en matière judiciaire que les frais doivent être établis (prouvés). Le règlement de la Cour (article 60 § 2) comporte la même exigence, puisqu’il énonce explicitement que le requérant « doit soumettre ses prétentions chiffrées et ventilées par rubrique, et accompagnées des justificatifs pertinents, dans le délai qui lui a été imparti (…) ». Compte tenu des circonstances, aucune somme n’aurait dû être octroyée au titre des frais et dépens dans cette affaire de droit de propriété, et la Cour aurait dû laisser au requérant le soin de régler la question avec ses avocats.
1. Toutes les conversions en euros dans cet arrêt ont été faites suivant le taux de change en vigueur à l’époque pertinente.

2. Le 1er janvier 2005, la livre turque (TRY), qui remplace l’ancienne livre turque (TRL), est entrée en vigueur. 1 TRY vaut un million TRL.

3. Quelle est la valeur de rareté de la Tour Eiffel ou du Palais de Westminster ? La réponse est que pareille valeur de rareté est inexistante, parce qu’il n’y a pas d’autres Tours Eiffel ou Palais de Westminster sur le marché.

A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza

Il Diritto dell'Espropriazione è una materia molto complessa e poco conosciuta, che "ingloba" parti importanti di molteplici rami del diritto. Per tutelarsi è quindi essenziale farsi assistere da un Professionista (con il quale si consiglia di concordare in anticipo i costi da sostenere, come ormai consentito dalle leggi in vigore).

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