Conclusione: obbiezione preliminare respinta (non esaurimento delle vie di ricorso interne, ritardo di sei mesi);Violazione di P1-1; Danno materiale: riparazione; Danno morale- costatazione di violazione sufficiente.
GRANDE CAMERA
CAUSA KOZACIOĞLU C. TURCHIA
( Richiesta no 2334/03)
SENTENZA
STRASBURGO
19 febbraio 2009
Questa sentenza è definitiva. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Kozacıoğlu c. Turchia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, riunendosi in una Grande Camera composta da:
Jean-Paul Costa, presidente, Christos Rozakis, Peer Lorenzen, Josep Casadevall, Giovanni Bonello, Karel Jungwiert, Nina Vajić, Rait Maruste, Ljiljana Mijović, Dean Spielmann, Renate Jaeger, George Nicolaou, Mirjana Lazarova Trajkovska, Nona Tsotsoria, Ann Power, Işıl Karakaş, Mihai Poalelungi, giudici,
e da Michael O’Boyle, cancelliere aggiunto,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 2 luglio 2008 e il 28 gennaio 2009, rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 2334/03) diretta contro la Repubblica della Turchia e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. İ. K. (“il richiedente”), ha investito la Corte l’11 novembre 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”). Il richiedente è deceduto il 9 maggio 2005. Il 10 aprile 2007, i suoi eredi, Sigg. S. K., A. K. e K. K., così come le Sig.re N. K., (G.), P. K. (Ç.), S. K. (T., e K. K.) (M.), hanno espresso il desiderio di continuare l’istanza dinnanzi alla Corte. Per ragioni di ordine pratico, la presente sentenza continuerà a chiamare il Sig. İ. K. il “richiedente” benché occorra assegnare oggi questa qualità ai suoi eredi (vedere Dalban c. Romania [GC], no 28114/95, § 1, CEDH 1999-VI).
2. Il richiedente è stato rappresentato da T. A., A. A. e Ö. Y. avvocati di Ankara. Il governo turco (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente.
3. Invocando l’articolo 1 del Protocollo no 1, il richiedente si lamentava di un attentato al suo diritto al rispetto dei suoi beni. Adduceva anche una violazione dell’articolo 6 della Convenzione.
4. La richiesta è stata assegnata ad una camera della seconda sezione della Corte (articolo 52 § 1 dell’ordinamento) composta da Francesca Tulkens, Ireneu Cabral Barreto, Rıza Türmen, Mindia Ugrekhelidze, Vladimiro Zagrebelsky, Antonella Mularoni e Dragoljub Popović, giudici, e da Sally Dollé, cancelliera di sezione. Il 31 luglio 2007, la camera ha reso una sentenza che decideva, a maggioranza, l’ammissibilità della richiesta; per quattro voci contro tre, la violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1; e, per quattro voci contro tre, la mancanza di necessità di esaminare separatamente il motivo di appello derivato dall’articolo 6 della Convenzione.
5. Il 31 marzo 2008, in seguito ad una domanda del Governo del 31 ottobre 2007, il collegio della Grande Camera ha deciso di rinviare la causa alla Grande Camera in virtù dell’articolo 43 della Convenzione.
6. La composizione della Grande Camera è stata decisa conformemente agli articoli 27 §§ 2 e 3 della Convenzione e 24 dell’ordinamento.
7. Tanto il richiedente che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte sul merito della causa.
8. Un’udienza si è svolta in pubblico al Palazzo dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, il 2 luglio 2008 (articolo 59 § 3 dell’ordinamento).
Sono comparsi:
-per il Governo
Sig.re D. Akçay, co-agente,
Ö. GazÝalem, A. Emüler, V. SÝrmen, D. AKPAK, Sigg. A. DemÝr, il Sig. Gürül, la Sig.ra F. Karaman, Sig. T. Sariaslan, consiglieri,;
-per il richiedente
Sigg. T. A., A. A., Ö. Y., consulenti.
La Corte ha sentito il Sig. A. ed il Sig. A. così come la Sig.ra Akçay nelle loro dichiarazioni ed in risposta alle domande di parecchi giudici.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
9. Cittadino turco nato nel 1903 e deceduto nel 2005, il richiedente risiedeva ad Adana al momento dei fatti.
10. Negli anni 1930, acquistò a titolo oneroso nella sotto-prefettura di Tarsus, dipartimento di İçel, un immobile di due piani in pietra da taglio costruito nel 1906. Di una superficie totale di 516,34 m², l’immobile presentava un interesse architettonico in quanto tale.
11. Il 1 novembre 1990, la Commissione per la protezione del patrimonio culturale e naturale di Adana decise di classificarlo come “bene culturale” ai sensi della legge no 2863 del 21 luglio 1983 concernente la protezione del patrimonio culturale e naturale. Il 23 novembre 1998, fu incluso nel progetto di pianificazione dell’ambiente urbano. Fu iscritto anche nell’inventario della protezione del patrimonio culturale e naturale del Consiglio d’Europa.
12. Il 4 aprile 2000, il consiglio esecutivo del dipartimento di İçel decretò la sua espropriazione nella cornice del “Progetto di riorganizzazione ambientalista e di risanamento delle vie intorno al pozzo di San Paolo.” Basandosi sul rapporto di valutazione preparato il 21 marzo 2000 da una commissione di periti (qui di seguito “la commissione no 1”) composta da tre rappresentanti dell’amministrazione e due rappresentanti dei proprietari, fissò il valore dell’immobile a 36 856 865 000 lire turche (TRL) (circa 65 326 euro (EUR)1) secondo l’indice dei prezzi delle costruzioni di categoria “immobili di qualità” pubblicato dal ministero dell’urbanistica. Questo importo fu versato al richiedente in data del trasferimento di proprietà.
13. Il 12 ottobre 2000, il richiedente introdusse presso la corte d’appello di Tarsus un ricorso per maggiorazione dell’indennità di espropriazione dell’immobile. Chiedeva che una nuova commissione di periti in seno alla quale desiderava vedere riunirsi un perito qualificato in storia dell’arte, rivalutasse l’immobile prendendo in considerazione il suo valore storico ed architettonico. Richiedeva la somma di 1 000 000 000 000 TRL (circa 1 728 750 EUR) a titolo di indennità complementare.
14. Il 26 febbraio 2001, il tribunale tenne un’udienza e respinse la domanda del richiedente che tendeva alla rivalutazione dell’immobile in funzione del suo valore storico. Considerò in particolare che, secondo l’articolo 11 § 1 della legge no 2942 relativo all’espropriazione (paragrafo 29 sotto) la commissione di periti responsabili della valutazione dell’immobile poteva valutare il bene solamente basandosi su dei dati obiettivi ben definiti. Accettò in compenso di affidare questa valutazione ad una nuova commissione di periti, composta da un ingegnere del genio civile, da un architetto e da un rappresentante dei proprietari.
15. Il 10 maggio 2001, dopo una visita dei luoghi, la commissione di periti costituita dal tribunale (qui di seguito “la commissione no 2”) rese il suo rapporto. In quanto ai requisiti ed elementi che influenzavano il valore di questo bene, si esprimeva come segue:
“Il bene in questione è ubicato nel quartiere di Camicedit, annesso a Tarsus, distretto di Mersin. È iscritto nel registro fondiario come casa di costruzione solida con corte. Situato in una zona urbana, figura come immobile classificato nel piano di salvaguardia del patrimonio urbano. La decisione di archiviazione è stata adottata dal Consiglio della protezione del patrimonio culturale e naturale di Adana il 1 novembre 1990
Il bene oggetto della controversia è situato al centro città, all’angolo di due vie, e le sue facciate a sud e ad est danno sulla carreggiata. (…) È localizzato in un quartiere d’affari e commerciale a densità molto elevata. (…) Costeggia il lato nord dell’appezzamento che ripara il pozzo di San Paolo. Di un’importanza maggiore dal punto di vista storico e turistico, questo ultimo è considerato da anni come sacro dal mondo cristiano e viene visitato. Si trovava così, prima della sua espropriazione, al centro di “turismo religioso”.
Secondo gli studi archeologici, il distretto di Tarsus fa parte dei luoghi di abitazione che sono stati eretti negli anni 4 000-10 000 prima di Cristo. Possiede così una ricchezza storica e culturale. Accanto ai monumenti storici visibili in superficie, le rovine di una città antica sono state scoperte all’epoca dei lavori di sterramento realizzato di fianco al palazzo di giustizia, ed il settore è stato messo sotto protezione. “
16. Per determinare il valore dell’immobile, la commissione no 2 si basò innanzitutto sull’indizio dei prezzi delle costruzioni pubblicati dal ministero dell’urbanistica, nella categoria “immobili da restaurare”. Si espresse in particolare come segue:
“L’immobile che si trova sul terreno controverso è composto da due piani di una superficie abitabile di 258,17 m² ciascuno, essendo così la sua superficie totale di 516.34 m². È costruito in pietra da taglio e l’architettura dei locali intermedi è di stile Bagdadien. È stato concepito come un immobile ad uso di abitazione. Il pianterreno è [di un’architettura] semplice ed il primo piano presenta le caratteristiche delle costruzioni in pietra da taglio. C’è un balcone al primo piano. La pietra da taglio delle arcate delle finestre e del balcone del primo piano è molto ornata. Il bene controverso presenta così le caratteristiche degli immobili, costruiti secondo la tradizione mediterranea, chiamata “case di Tarsus” (Tarsus evleri). È iscritto anche nell’inventario della protezione del patrimonio culturale e naturale del Consiglio d’Europa. È l’immobile in cui Atatürk aveva soggiornato all’epoca della sua visita a Tarsus negli anni trenta. Malgrado l’anzianità della sua costruzione, l’immobile, avuto riguardo delle suddette caratteristiche, è stato protetto e mantenuto in buono stato dai suoi proprietari. In queste condizioni, un tasso di vetustà del 50% è stato considerato. Facendo parte l’immobile di quelli della classe V, gruppo D (immobili da restaurare) secondo la circolare del ministero dell’urbanistica dell’anno 2000, il costo approssimativo di costruzione per metro quadrato è stato fissato a 351 413 000 TRL. “
17. La commissione no 2 conclude che la commissione no 1 (paragrafo 12 sopra) aveva valutato l’immobile controverso come un semplice immobile di costruzione in pietra, senza tenere conto delle sue caratteristiche architettoniche. Decise di non seguire questi criteri di valutazione ed assegnò all’immobile in questione un valore di 181 448 588 000 TRL in un primo tempo. Ridusse questa somma a 90 724 294 000 TRL, considerando che la vetustà dell’immobile giustificava una sottovalutazione del 50%. Rialzò tuttavia la somma a 181 448 588 000 TRL, stimando che le caratteristiche architettoniche, storiche e culturali dell’immobile giustificavano una maggiorazione del suo valore del 100%. Deduzione fatta già dell’indennità di espropriazione versata al richiedente, fissò l’indennità complementare a 144 591 723 000 TRL.
18. Una terza commissione di periti (qui di seguito “la commissione no 3”), rimise il 12 giugno 2001 un rapporto che confermava l’insieme delle conclusioni del secondo rapporto di perizia.
19. Il 14 giugno 2001, il richiedente chiese un rapporto di perizia complementare al motivo che i due rapporti precedenti non tenevano sufficientemente conto delle caratteristiche architettoniche e storiche dell’immobile per la determinazione del suo valore.
20. Il 15 giugno 2001, il tribunale, dopo avere respinto la domanda di una perizia complementare, diede parzialmente guadagno di causa al richiedente ed ingiunse all’amministrazione di versargli un’indennità complementare di 144 591 723 000 TRL (circa 139 728 EUR) insieme ad interessi legali a contare dal 3 ottobre 2000.
21. Il 19 novembre 2001, la Corte di cassazione annullò il giudizio. Stimò che in virtù dell’articolo 15 d, della legge no 2863 concernente la protezione del patrimonio culturale e naturale né le caratteristiche architettoniche e storiche di un immobile né quelle derivanti dalla sua rarità potessero entrare in gioco nella determinazione del valore del bene. Perciò, una maggiorazione del 100% dell’importo dell’indennità complementare non poteva passare per giustificata.
22. Il 4 dicembre 2001, il richiedente chiese alla Corte di cassazione di rettificare la sua sentenza. Contestava l’importo dell’indennità di espropriazione e sottolineava in particolare la mancanza di un criterio legale che permettesse di stabilire il valore degli immobili che costituivano il patrimonio culturale e storico del paese. Invocava a questo riguardo l’articolo 6 della Convenzione così come l’articolo 1 del Protocollo no 1.
23. Il 21 gennaio 2002, la Corte di cassazione respinse il suo ricorso in rettifica del richiedente.
24. Il 15 febbraio 2002, il tribunale si conformò alla sentenza di cassazione e fissò l’importo dell’indennità complementare a 53 867 429 000 TRL, circa 45 980 EUR, somma abbinata di interessi legali a contare del 3 ottobre 2000.
25. Il 27 maggio 2002, la Corte di cassazione confermò il giudizio del tribunale di prima istanza.
26. Il 23 dicembre 2002, il ministero delle Finanze emise un ordine di pagamento di un importo di 124 807 810 000 TRL (circa 91 905 EUR) sia 53 867 429 000 TRL per l’indennità complementare e 70 940 390 000 TRL per gli interessi moratori.
27. Risulta dalla pratica che in seguito ad un procedimento giudiziale conclusosi nel 2005 il richiedente ricevette un indennizzo separato per il terreno su cui era costruito l’immobile. Secondo le informazione prodotte dal Governo e non contestate dai rappresentanti del richiedente, l’indennità percepita in seguito all’espropriazione del terreno è di 145 460 lire turche (TRY)2 (circa 87 101 EUR,).
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
A. Legge no 2863 del 21 luglio 1983 concernente la protezione del patrimonio culturale e naturale
28. L’articolo 15 della legge no 2863 dispone:
“I beni immobiliari che fanno parte del patrimonio culturale così come il loro demanio di protezione possono essere espropriati secondo i principi qui sotto:
(…)
d) il valore dei beni derivante dalla loro anzianità, dalla loro rarità e dalle loro caratteristiche artistiche non è preso in considerazione nel calcolo dell’indennità di espropriazione. “
B. Legge no 2942 del 4 novembre 1983 relativa all’espropriazione
29. L’articolo 11 della legge no 2942 dispone:
“I criteri di determinazione dell’indennità di espropriazione
Dopo essersi recati coi giudici sul luogo dove è situato il bene da espropriare e dopo avere raccolto il parere degli interessati, la commissione di periti costituita secondo l’articolo 15 stabilisce un rapporto tenendo conto;
a) del genere e della natura del bene considerato,
b) della sua superficie,
c) delle qualità e degli elementi suscettibili di influenzare il suo valore così come della valutazione di ogni elemento,
d) della dichiarazione di imposta relativa al bene se ne esiste una,
e) dei valori determinati dalle autorità in data di espropriazione,
f) per i terreni di coltura, del profitto che si può trarre in data di espropriazione se si tiene conto dell’utilizzazione come tale e dell’area,
g) per i terreni da costruire, del valore commerciale determinato da paragone con quello di altri terreni equivalenti venduti, in condizioni normali, prima della data di espropriazione,
h) per gli edifici, del prezzo unitario ufficiale, dei costi di costruzione e del tasso di usura,
i) di ogni altro criterio obiettivo suscettibile di influenzare il valore, del bene da espropriare.
La commissione determina il valore del bene menzionando nel suo rapporto la risposta data per ogni suddetto criterio, tenendo conto delle dichiarazioni degli interessati e basandosi su un rapporto di valutazione motivata.
Per la determinazione del valore del bene, non viene tenuto conto il plusvalore generato dall’iniziativa del servizio, dell’ urbanistica o altro che è all’origine dell’espropriazione, né dei guadagni futuri in rapporto coi differenti modi di utilizzazione prevista.
(…) “
C. Giurisprudenza della Corte di cassazione
30. In numerose cause, la 18° camera civile della Corte di cassazione ha annullato i giudizi resi dalle giurisdizioni inferiori che non avevano tenuto conto del deprezzamento che i beni considerati avevano potuto subire a causa della loro classificazione (vedere, per esempio, le sentenze del 30 novembre -2004/8082 E., 2004/8946 K. -, del 20 dicembre 2004 -2004/9692 E., 2004/9893 K. -, del 5 maggio -2005/3263 E., 2005/4696 K. – e del 16 giugno 2006 -2005/3064 E., 2005/6355 K. -).
D. Convenzioni del Consiglio dell’Europa
1. La Convenzione del Consiglio d’Europa per la salvaguardia del patrimonio architettonico dell’Europa adottata il 3 ottobre 1985
31. La Convenzione si legge come segue nelle sue parti pertinenti:
Articolo 3
“Ogni Parte si impegna:
1. a mettere in opera un regime legale di protezione del patrimonio architettonico;
2. a garantire, nella cornice di questo regime e secondo le modalità proprie ad ogni Stato o regione, la protezione dei monumenti, degli insiemi architettonici e dei siti. “
Articolo 4
“Ogni Parte si mpegna:
(…)
2. ad evitare che i beni protetti non siano sfigurati, degradati o demoliti . In questa prospettiva, ogni Parte si impegna, se questo non viene già fatto, ad introdurre nella sua legislazione delle disposizioni che contemplano:
(…)
d) la possibilità di espropriare un bene protetto. “
2. La Convenzione – quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società adottata il 27 ottobre 2005 ed il rapporto esplicativo
32. Ad oggi, tredici paesi hanno firmato questa convenzione e soli tre paesi l’hanno ratificata. La Turchia non l’ha firmata. Il testo comprende le seguente disposizioni:
Articolo 1
Obiettivi della Convenzione
“Le Parti nella presente Convenzione convengono:
a) di riconoscere che il diritto al patrimonio culturale è inerente al diritto di partecipare alla vita culturale, come definito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo;
(…)
c) di fare risaltare che la conservazione del patrimonio culturale e la sua utilizzazione duratura hanno come scopo lo sviluppo umano e la qualità della vita; (…) “
Articolo 4
Diritti e responsabilità concernenti il patrimonio culturale
“Le Parti riconoscono:
(…)
c) che l’esercizio del diritto al patrimonio culturale può essere oggetto solamente delle sole restrizioni che sono necessarie in una società democratica alla protezione dell’interesse pubblico, dei diritti e delle libertà altrui. “
Articolo 6
Effetti della Convenzione
“Nessuna delle disposizioni della presente Convenzione saranno interpretate:
a) come limitanti o recanti offesa ai diritti dell’uomo ed alle libertà fondamentali che potrebbero essere salvaguardate dagli strumenti internazionali, in particolare dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dalla Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali;
b) come essendo a discapito di disposizioni più favorevoli concernenti il patrimonio culturale e l’ambiente che figurano in altri strumenti giuridici nazionali o internazionali,;
c) come creanti dei diritti esecutivi. “
33. Le parti pertinenti del rapporto esplicativo dispongono in particolare:
Articolo 4
Diritti e responsabilità concernenti il patrimonio culturale
“L’articolo 4 tratta dei diritti e delle responsabilità degli individui in materia di patrimonio culturale.
(…)
c) La clausola che autorizza una restrizione nell’esercizio di questo diritto e delle libertà che comprende, lega chiaramente la sua interpretazione allo spirito ed ai meccanismi della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali. Le considerazioni concernenti l’interesse pubblico (vedere articolo 5a), per esempio di proteggere delle componenti importanti del patrimonio culturale, devono sempre essere controbilanciate con la necessità di proteggere i diritti di proprietà individuale. “
E. Diritto comparato
34. Nei paesi membri del Consiglio d’Europa, è in principio ammesso che un compenso “equo e giusto” (Cipro), “giusto e preliminare” (Francia) “equo ed immediato” (Estonia), “adeguato” (Slovacchia) e “adeguato”, Länder tedeschi ed Austria, o sulla base del “valore” (Lituania), “valore integrale” (Albania), “valore corrente” (Finlandia), “valore commerciale” (Svezia), o del “prezzo equo” (Italia) del bene espropriato deve essere fissato per soddisfare le esigenze del principio di proporzionalità. Nel Regno Unito, il valore storico di una proprietà è considerato come facente parte dei criteri di valutazione delle sue “qualità intrinseche” (vedere Tadcaster Tower Brewery Co v). Wilson [1897] 1 Ch 705; Belton v LCC (1893) 68 LT 411). In Grecia, lo stato deve tenere conto della monumentalità eventuale dell’immobile nella valutazione dell’indennità. In Lettonia, la legge sull’espropriazione contempla che le procure pubbliche devono tenere conto di ogni caratteristica particolare dell’immobile per fissare l’importo dell’indennità. In Spagna, l’espropriazione di edifici che hanno un valore artistico, archeologico o storico è oggetto di un procedimento speciale, e l’importo dell’indennità non può essere fissato ad un livello inferiore a quello che risulterebbe dall’applicazione del procedimento generale previsto dalla legge sull’espropriazione. Nessuno dei suddetti paese ai quali si può aggiungere il Belgio ed i Paesi Bassi, esclude categoricamente la presa in conto delle caratteristiche architettoniche e storiche di un bene espropriato nella determinazione del compenso.
IN DIRITTO
I. SULLE ECCEZIONI PRELIMINARI DEL GOVERNO
A. Tesi delle parti dinnanzi alla Grande Camera
35. Dinnanzi alla camera, il Governo aveva sollevato parecchie eccezioni, che mantiene dinnanzi alla Grande Camera. Sostiene innanzitutto il non-esaurimento delle vie di ricorso interne,per mancanza da parte del richiedente di avere sollevato dinnanzi alle giurisdizioni internei il suo motivo di appello di non-designazione di periti competenti per la valutazione del suo bene. Sostiene peraltro che in seguito all’espropriazione l’interessato avrebbe potuto, introducendo un ricorso per annullamento o un ricorso di pieno contenzioso dinnanzi alle giurisdizioni amministrative, contestare la non-presa in considerazione del valore storico del suo immobile nel calcolo dell’indennità.
36. Considerando infine nel caso ci fosse stato un danno, deriverebbe da una disposizione legislativa, rimprovera al richiedente di non avere introdotto la sua richiesta nei sei mesi dalla sua espropriazione.
37. Il richiedente che aveva contestato queste tesi dinnanzi alla camera, non si è espresso a proposito di questa dinnanzi alla Grande Camera.
B. Decisione della camera
38. La camera ha concluso che il richiedente aveva fatto tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente aspettare da lui per esaurire le vie di ricorso interne e che aveva rispettato la regola dei sei mesi previsti dall’articolo 35 § 1 della Convenzione.
C. Valutazione della Corte
39. La Corte ricorda che la condizione dell’esaurimento delle vie di ricorso interne enunciata all’articolo 35 § 1 della Convenzione si basa sull’ipotesi che l’ordine interno offre un ricorso effettivo in quanto alla violazione addotta. Incombe sul Governo che eccepisce del non-esaurimento di convincere la Corte che esisteva all’epoca dei fatti un ricorso effettivo e disponibile, tanto in teoria che in pratica, vale a dire accessibile e suscettibile di offrire al richiedente delle prospettive ragionevoli di risarcimento dei suoi motivi di appello (V. c. Regno Unito [GC], no 24888/94, § 57, CEDH 1999-IX).
40. La Corte sottolinea anche che deve applicare la regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne che tengono debitamente conto del contesto: il meccanismo di salvaguardia dei diritti dell’uomo che gli Stati contraenti sono convenuti ad instaurare. Ha riconosciuto così che l’articolo 35 § 1 deve essere applicato con una certa flessibilità e senza formalismo eccessivo. Ha inoltre ammesso che questa regola non si adatta ad un’applicazione automatica e non riveste un carattere assoluto; controllando il suo rispetto, bisogna avere riguardo delle circostanze della causa. Ciò notifica in particolare che la Corte non deve tenere conto solo in modo realista dei ricorsi contemplati in teoria nel sistema giuridico dello stato contraente riguardato, ma anche del contesto in cui si trovano così come della situazione personale del richiedente. Gli occorre esaminare quindi se, tenuto conto dell’insieme delle circostanze della causa, il richiedente ha fatto tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente aspettare da lui per esaurire le vie di ricorso interne (İlhan c. Turchia [GC], no 22277/93, § 59, CEDH 2000-VII). C’è luogo di ricordare anche che un richiedente deve aver fatto verosimilmente un uso normale dei ricorsi interni efficaci e sufficienti e che, quando una via di ricorso è stata utilizzata, l’uso di un’altra via il cui scopo è praticamente lo stesso non viene richiesto (Riad ed Idiab c. Belgio, numeri 29787/03 e 29810/03, § 84, CEDH 2008 -…).
41. La Corte osserva che il richiedente ha tentato di ottenere, rivolgendosi alle giurisdizioni civili, una maggiorazione della sua indennità di espropriazione, via legale di cui nessuno contesta di non costituire un ricorso interno da esercitare ai fini della regola dell’esaurimento. Si pone quindi la questione di sapere se l’interessato avesse dovuto introdurre per di più un’azione dinnanzi ai tribunali amministrativi.
42. A questo riguardo, conviene notare che, investite dal richiedente di una domanda di invalidazione dei criteri utilizzati per valutare il suo bene e di designazione di un perito qualificato per determinare il valore storico di questo, le giurisdizioni turche hanno respinto l’interessato basandosi sull’articolo 15 d, della legge no 2863 concernente la protezione del patrimonio culturale e naturale.
43. Di conseguenza, la Corte stima, avuto riguardo delle circostanze della causa, che sarebbe eccessivo rimproverare al richiedente di non avere intentato i ricorsi menzionati dal Governo in quanto ha esercitato dinnanzi alle giurisdizioni civili un ricorso per maggiorazione dell’indennità di espropriazione nella cornice del quale ha criticato la mancanza di un perito qualificato nella commissione di valutazione del suo bene.
44. Per ciò che riguarda l’eccezione di tardività, la Corte osserva che il richiedente ha introdotto la sua richiesta nei sei mesi dalla sentenza della Corte di cassazione che confermava definitivamente il giudizio di prima istanza.
45. Tenuto conto di ciò che precede, la Corte conclude che il richiedente ha fatto tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente aspettare di lui per esaurire le vie di ricorso interne e che ha rispettato la regola dei sei mesi previsti dall’articolo 35 § 1 della Convenzione.
46. Perciò, la Corte respinge le eccezioni preliminari del Governo.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
47. Il richiedente adduce una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1, così formulato,:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. “
A. Sull’esistenza di un attentato al diritto di proprietà
48. La Corte ricorda che l’articolo 1 del Protocollo no 1 contiene tre norme distinte: la prima che si esprime nella prima frase del primo capoverso e riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, che figura nella seconda frase dello stesso capoverso, prevede la privazione di proprietà e la sottopone a certe condizioni; in quanto alla terza, registrata nel secondo capoverso, riconosce agli Stati il potere, tra altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale. Non si tratta per tanto di regole prive di rapporto tra esse. La seconda e la terza hanno fatto riferimento agli esempi particolari di attentati al diritto di proprietà; quindi, si devono interpretare alla luce del principio consacrato dalla prima (vedere, tra altri, James ed altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 37, serie A no 98 che riprende in partei termini dall’analisi sviluppati dalla Corte nella sua sentenza Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 61, serie A no 52,; vedere anche I Santi Monasteri c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 56, serie A no 301-a, Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 55, CEDH 1999-II, e Beyeler c. Italia [GC], no 33202/96, § 106, CEDH 2000-I).
49. La Corte nota che nessuno contesta la conclusione della camera secondo la quale c’è stata nello specifico privazione di proprietà ai sensi della seconda frase dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (paragrafo 32 della sentenza della camera).
50. La Corte aderisce alla conclusione della camera su questo punto. Gli occorre dunque ora ricercare se la privazione denunciata si giustifica sotto l’angolo di suddetta disposizione.
B. Sulla giustificazione della privazione di proprietà
1. “Nelle condizioni previste dalla legge”
51. Non è contestato che l’interessato sia stato privato della sua proprietà “nelle condizioni previste dalla legge.”
2. “A causa di utilità pubblica”
52. Non è contestato inoltre che la privazione in causa perseguisse uno scopo legittimo, ossia la protezione del patrimonio culturale del paese.
53. La Corte considera anche che la protezione del patrimonio culturale di un paese costituisca un scopo legittimo atto a giustificare l’espropriazione da parte dello stato di un immobile classificato come “bene culturale.” Ricorda che la decisione di adottare delle leggi che portano la privazione di proprietà presuppone di solito l’esame di questioni politiche, economiche e sociali. Stimando normale che il legislatore disponga di una grande latitudine per condurre la politica economica e sociale che gli sembra più appropriata, la Corte rispetta il modo in cui concepisce gli imperativi dell’ “utilità pubblica”, salvo se il suo giudizio si riveli manifestamente privo di base ragionevole (James ed altri, precitata, § 46, e Beyeler, precitata, § 112). Ciò vale anche mutatis mutandis per la protezione dell’ambiente o del patrimonio storico o culturale di un paese.
54. La Corte sottolinea a questo riguardo che la conservazione del patrimonio culturale e, all’occorrenza, la sua utilizzazione duratura ha per scopo, oltre il mantenimento di una certa qualità di vita, la preservazione delle radici storiche, culturali ed artistiche di una regione e dei suoi abitanti. A questo titolo, costituiscono un valore essenziale la cui difesa e promozione spettano alle procure pubbliche (vedere, mutatis mutandis, Beyeler, precitata, § 112, SCEA Ferme di Fresnoy c. Francia, (déc.), no 61093/00, CEDH 2005-XIII, e Debelianovi c. Bulgaria, no 61951/00, § 54, 29 marzo 2007; vedere anche, mutatis mutandis, Hamer c. Belgio, no 21861/03, § 79, CEDH 2007 -…). A questo riguardo, la Corte rinvia alla Convenzione per la salvaguardia del patrimonio architettonico dell’Europa che contempla delle misure concrete che riguardano in particolare il patrimonio architettonico (paragrafo 31 sopra).
55. Resta nello specifico da giudicare se il difetto totale di presa in considerazione, nella determinazione dell’indennità di espropriazione, delle caratteristiche architettoniche e storiche del bene controverso e della sua rarità può tuttavia essere considerato come proporzionato.
3. Proporzionalità della misura controversa
a) La sentenza della camera
56. La camera ha considerato che il difetto totale di presa in considerazione delle suddette caratteristiche del bene nella determinazione dell’indennità di espropriazione aveva rotto il giusto equilibrio richiesto e privato il richiedente di parte del valore del bene che risultava da queste caratteristiche. Ha giudicato che una somma ragionevolmente in rapporto con queste avrebbe dovuto essere fissata per mantenere una relazione di proporzionalità tra la privazione di proprietà controversa e lo scopo di utilità pubblica perseguito.
b) Le tesi delle parti
i. Il richiedente
57. Il richiedente si lamenta di un attentato al suo diritto al rispetto dei suoi beni, al senso dell’articolo 1 del Protocollo no 1, non corrispondendo l’importo globale dell’indennità di espropriazione fissato dalle giurisdizioni interne, secondo lui, al valore reale dell’immobile espropriato. Sostiene in particolare che il diritto turco non gli permette di ottenere un indennizzo adeguato, mancando i criteri legali che permettono di stabilire il valore degli immobili, come quello che lui era il proprietario, facendo parte del patrimonio culturale e storico del paese.
ii. Il Governo
58. Il Governo fa osservare al primo colpo che la causa esaminata qui riguarda unicamente l’immobile di cui il richiedente era il proprietario. Ora l’interessato aveva ricevuto, in seguito ad un procedimento giudiziale, un indennizzo sparato per il terreno che serviva di base a questo immobile. Si tratterebbe di un elemento importante, non solo per la valutazione del danno addotto, ma anche per la valutazione dei differenti procedimenti impegnati dal richiedente.
59. Il Governo precisa che in virtù della legge no 2863 del 21 luglio 1983 concernente la protezione del patrimonio culturale e naturale, tanto gli immobili che presentano un interesse culturale o artistico che sono di proprietà di individui che quelli che sono di proprietà di instaurazioni pubbliche sono considerati come facenti parte del demanio dello stato, al motivo che appartengono al patrimonio comune della popolazione. Di conseguenza, i loro proprietari godrebbero nei loro confronti solamente di un diritto di proprietà limitata che giocherebbe solamente per i terreni che servono da base a questi.
60. Il Governo sostiene peraltro la necessità per le autorità pubbliche di prendere delle misure atte a garantire la preservazione di questi beni per le generazioni future. Potrebbero così o procedere alla loro espropriazione per prendersi in carico la loro preservazione ed il loro restauro, o classificarli “siti storici”, il che provocherebbe tuttavia numerose restrizioni al diritto di proprietà, essendo sottoposti inoltre i proprietari agli obblighi draconiani per l’utilizzazione dei beni riguardati.
61. Il Governo fa valere che l’immobile in questione che si trovava in un demanio classificato, è stato espropriato nella cornice del “Progetto di riorganizzazione ambientalista e di risanamento delle vie intorno al pozzo di San Paolo.” Sostiene che anche se le autorità non avevano proceduto alla sua espropriazione, il suo valore sarebbe considerevolmente diminuito a causa della sua classificazione in quanto bene protetto. Il richiedente sarebbe dunque stato obbligato a venderlo ad un prezzo ben inferiore all’indennità di espropriazione ricevuta.
62. In conclusione, il Governo considera che avuto riguardo al margine di valutazione che l’articolo 1 del Protocollo no 1 lascia alle autorità nazionali, l’indennizzo fissato dalle giurisdizioni interne era ragionevolmente in rapporto col valore del bene espropriato che a ragione delle sue caratteristiche storiche e/o artistiche fa secondo lui parte dal patrimonio comune.
c) La valutazione della Corte
i. Considerazioni generali
63. Una misura che reca offesa al diritto al rispetto dei beni deve predisporre un “giusto equilibro” tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (vedere, tra altri, Sporrong e Lönnroth, precitato, § 69). La preoccupazione di garantire un tale equilibrio si riflette nella struttura dell’articolo 1 del Protocollo no 1 tutto intero, dunque anche nella seconda frase che si deve leggere alla luce del principio consacrato dalla prima. In particolare, deve esistere un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto da ogni misura applicata dallo stato, ivi comprese le misure che privano una persona della sua proprietà (Pressos Compania Naviera S.p.A. ed altri c. Belgio, 20 novembre 1995, § 38, serie A no 332, Ex-re di Grecia ed altri c. Grecia [GC], no 25701/94, §§ 89-90, CEDH 2000-XII, Sporrong e Lönnroth, precitata, § 73, e Beyeler, precitata, § 107).
64. Per determinare se la misura controversa rispetta “il gusto equilibrio” voluto e, in particolare, se non fa pesare sul richiedente un carico sproporzionato, c’è luogo di prendere in considerazione le modalità di indennizzo previste dalla legislazione interna. A questo riguardo, la Corte ha già detto che, senza il versamento di una somma ragionevolmente in rapporto col valore del bene, una privazione di proprietà costituisce normalmente un attentato eccessivo. L’articolo 1 del Protocollo no 1 non garantisce però in ogni caso il diritto ad un risarcimento integrale. Alcuni obiettivi legittimi “di utilità pubblica”, possono militare per un rimborso inferiore al pieno valore dei beni espropriati (vedere, mutatis mutandis, Lithgow ed altri c. Regno Unito, 8 luglio 1986, § 121, serie A no 102, Broniowski c. Polonia [GC], no 31443/96, § 182, CEDH 2004-V, e Scordino c. Italia (no 1) [GC], no 36813/97, § 95, CEDH 2006 -…). Secondo la Corte, la protezione del patrimonio storico e culturale fa parte di questi obiettivi.
ii. Applicazione di questi principi
65. Nello specifico, siccome è già stato stabilito che l’ingerenza controversa soddisfaceva la condizione di legalità e non era arbitraria, la mancanza di risarcimento integrale non rende illegittima in sé la confisca dello stato sul bene controverso (vedere, mutatis mutandis, Scordino (no 1), precitata, § 99) tanto che la misura è stata adottata nella cornice di un programma di protezione del patrimonio culturale del paese. Resta quindi da ricercare se, stabilendo i criteri e modalità di indennizzo del richiedente nello specifico, le autorità interne non hanno rotto il giusto equilibrio richiesto e se l’interessato non ha dovuto sopportare un carico sproporzionato ed eccessivo.
66. La Corte constata che, in un primo tempo, una commissione di periti fissò a 39 186 865 000 TRL, senza tenere conto del valore storico e culturale dell’immobile in causa, l’indennità di espropriazione da assegnare al richiedente (paragrafo 12 sopra). Investita di un ricorso da questo ultimo, la corte d’appello, nel suo giudizio del 15 giugno 2001, fece sua la stima di due commissioni di periti che avevano assegnato all’immobile un valore di 90 724 294 000 TRL, che avevano alzato poi a 181 448 588 000 TRL precisando che le caratteristiche architettoniche, storiche e culturali dell’immobile giustificavano una maggiorazione del suo valore del 100% (paragrafi 15-18 sopra). Questo giudizio fu annullato tuttavia dalla Corte di cassazione che, riferendosi all’articolo 15 d, della legge no 2863 concernente la protezione del patrimonio culturale e naturale, stimò che le caratteristiche architettoniche e storiche di un immobile o quelle derivanti della sua rarità non poteva entrare in gioco nella determinazione del suo valore (paragrafo 13 sopra).
67. Così, in applicazione dell’articolo 15 d, della legge no 2863 (paragrafo 28 sopra) né la rarità del bene espropriato né le sue caratteristiche architettoniche e storiche sono state prese in considerazione nella determinazione dell’indennità di espropriazione. A questo proposito, la Corte può aderire all’argomento del Governo che sottolinea le difficoltà esistenti nel calcolo del valore commerciale dei beni classificati come aventi un valore culturale, storico, architettonico o artistico. La determinazione di questo valore può dipendere da molteplici elementi difatti non è sempre agevole valutare tramite paragone coi beni sul mercato non sottoposi allo stesso statuto o non presentanti le stesse caratteristiche architettoniche e storiche. Considera tuttavia che queste difficoltà potrebbero giustificare che non venga tenuto nessuno conto delle caratteristiche in questione.
68. A questo riguardo, la Corte osserva che in applicazione dell’articolo 11 della legge no 2942 (paragrafo 29 sopra) i periti incaricati di valutare il prezzo di un bene da espropriare tengono conto di tutti i criteri obiettivi suscettibili di influenzare il suo valore. Rileva che nello specifico, due perizie hanno concluso che le caratteristiche del bene in questione giustificavano una maggiorazione del suo valore del 100% (paragrafi 15-18 sopra) e che quindi l’indennità di espropriazione fissata dalla prima commissione di periti senza tenere conto delle sue caratteristiche architettoniche e storiche non era sufficiente, tenuto conto in particolare del buono stato in cui sarebbe stato mantenuto dai suoi proprietari. Ne risulta che il richiedente avrebbe potuto ottenere un compenso ben superiore a quello che ha ricevuto se le caratteristiche specifiche del suo bene fossero state prese in conto nella determinazione dell’indennità di espropriazione.
69. La Corte stima difatti che al cuore della causa si trova l’impossibilità in dritto turco, trattandosi della determinazione dell’indennità di espropriazione di un bene classificato, di tenere conto del valore del bene derivante dalla sua rarità e dalle sue caratteristiche architettoniche e storiche. Il legislatore turco ha inquadrato deliberatamente questa valutazione escludendo la presa in conto di simili caratteristiche. Così, anche quando queste sembrano implicare una maggiorazione del prezzo del bene classificato, il giudice non può tenerne conto. Ora, al contrario, risulta dalla giurisprudenza della Corte di cassazione che se il valore del bene da espropriare ha subito un deprezzamento a ragione della sua classificazione, le giurisdizioni fissano un’indennità tenendo conto di questo deprezzamento (paragrafo 30 sopra).
70. La Corte rileva che questo meccanismo di valutazione è iniquo nella misura in cui presenta un netto vantaggio per lo stato. Permette di prendere in conto il valore inferiore prodotto dalla classificazione di un bene all’epoca dell’espropriazione, mentre l’eventuale plusvalore non può sostenere nessuno ruolo nella determinazione dell’indennità di espropriazione. Così, non solo rischia di punire i proprietari di beni classificati che sostengono dei pesanti oneri di manutenzione, ma li priva del valore che può derivare delle caratteristiche specifiche del loro bene.
71. Peraltro, la Corte, come la camera, osserva che la pratica dei parecchi Stati membri del Consiglio d’Europa in materia di espropriazione dei beni classificati mostra che, nonostante il difetto di una norma precisa o di criteri di valutazione comune (paragrafo 34 sopra) la possibilità di tenere conto delle caratteristiche specifiche dei beni in questione per la determinazione di un compenso adeguato non è categoricamente aperta.
72. Alla luce di ciò che precede, la Corte stima dunque che per soddisfare le esigenze di proporzionalità tra la privazione di proprietà e lo scopo di utilità pubblica perseguito, c’è luogo, in caso di espropriazione di un bene classificato, di tenere conto in una misura ragionevole delle caratteristiche specifiche del bene per determinare l’indennità dovuta al proprietario.
73. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE
74. Il richiedente si lamenta inoltre di una mancanza di equità del procedimento dinnanzi alle giurisdizioni interne, avendo queste negato di designare un perito qualificato in storia dell’arte per valutare le caratteristiche culturali e storiche dell’immobile controverso. Invoca l’articolo 6 della Convenzione.
75. Avuto riguardo alla sua conclusione sul terreno dell’articolo 1 del Protocollo no 1 ( paragrafo 73 sopra) la Corte stima che non c’è luogo di esaminare separatamente l’affermazione di violazione dell’articolo 6 della Convenzione.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
76. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
1. La sentenza della camera
77. La camera ha constatato che un “giusto equilibrio” non era stato predisposto, non essendo stato preso assolutamente in considerazione il valore storico del bene espropriato nel calcolo dell’indennità. Ha stimato peraltro che una somma di 75 000 EUR costituiva una soddisfazione equa, tenuto conto delle conclusioni delle perizie realizzate al piano interno e della considerazione che gli scopi legittimi “di utilità pubblica”, come quelli che perseguono delle misure che tendono alla conservazione del patrimonio culturale, possono giustificare un rimborso inferiore al pieno valore dei beni espropriati, ossia al loro valore che tiene conto di tutte le loro caratteristiche.
2. Le osservazioni delle parti
78. Il richiedente sollecita 1 392 000 dollari americani (USD) (l’equivalente di 907 242 940 000 TRL al tasso di cambio dell’epoca) per danno materiale. Ricorda che, secondo i periti, le caratteristiche architettoniche dell’immobile giustificavano una maggiorazione del 100% del valore dell’immobile che doveva così stabilirsi a 181 448 588 000 TRL, non tenuto conto della vetustà del bene. Considera in quanto a questo che il valore storico, artistico e culturale del suo immobile giustificherebbe in realtà una maggiorazione dell’ordine del 400%. Di conseguenza, converrebbe, secondo lui, moltiplicare l’importo di 181 448 588 000 TRL per cinque per stabilire il suo danno materiale.
79. Il Governo che contesta il buono stato dell’immobile espropriato, stima che le pretese del richiedente siano esagerate. Afferma che l’interessato è toccato il totale 307 124,67 TRY )(circa 243 104 EUR) per l’espropriazione del suo immobile e del terreno che gli serva da base. Considera peraltro che la stima del valore commerciale del bene non costituisce il buono metodo da utilizzare per fissare la soddisfazione equa, tenuto conto della natura particolare del bene.
3. Valutazione della Corte
80. La Corte ricorda che una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico di mettere un termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire tanto quanto si può fare la situazione anteriore a questa (Iatridis c. Grecia (soddisfazione equa) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI). Gli Stati contraenti parti di una causa sono in principio liberi di scegliere i mezzi che utilizzeranno per conformarsi ad una sentenza della Corte che constata una violazione. Questo potere di valutazione in quanto alle modalità di esecuzione di una sentenza traduce la libertà di scelta a cui è abbinato l’obbligo fondamentale imposto dalla Convenzione agli Stati contraenti: garantire il rispetto dei diritti e delle libertà garantite (articolo 1). Se la natura della violazione permette una restitutio in integrum, incombe sullo stato convenuto di realizzarla, non avendo la Corte né la competenza né la possibilità pratica di compierla lei stessa. Se il diritto nazionale non permette, in compenso, o permette solamente imperfettamente di cancellare le conseguenze della violazione, l’articolo 41 abilita la Corte ad accordare, se c’è luogo, alla parte lesa la soddisfazione che gli sembra appropriata (Brumarescu c. Romania (soddisfazione equa) [GC], no 28342/95, § 20, CEDH 2000-I).
81. Nello specifico, la Corte ha appena constatato che il “giusto equilibrio” non è stato rispettato ( paragrafo 72 sopra). Tuttavia, l’atto dello stato che la Corte ha stimato incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo no 1 non è la confisca del bene del richiedente, non intrinsecamente illegale, ma l’applicazione dell’articolo 15 d, della legge no 2863 che escludeva la presa in conto del valore legato alle caratteristiche storiche e culturali del bene nella determinazione dell’indennità di espropriazione. In queste condizioni, stima che la natura della violazione constatata non gli permette di partire dal principio di una restitutio in integrum (vedere, mutatis mutandis, Papamichalopoulos ed altri c. Grecia (articolo 50), 31 ottobre 1995, serie A no 330-B, e Scordino c. Italia (no 1), precitata, § 249).
82. Per determinare l’importo del risarcimento adeguato, la Corte deve ispirarsi ai criteri generali enunciati nella sua giurisprudenza relativa all’articolo 1 del Protocollo no 1 e secondo cui, senza il versamento di una somma ragionevolmente in rapporto col valore del bene, una privazione di proprietà costituisce di solito un attentato eccessivo che non si potrebbe giustificare sul terreno dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (James ed altri, precitata, § 54). Inoltre, ha appena constatato che gli scopi legittimi “di utilità pubblica”, come quelli perseguiti dalle misure che tendono alla conservazione del patrimonio storico o culturale di un paese, possono giustificare un rimborso inferiore al pieno valore dei beni espropriati (paragrafo 64 sopra).
83. Per tanto, la Corte stima che il livello del risarcimento deve tenere conto del valore legato alle caratteristiche specifiche del bene espropriato. Considerando che nello specifico, queste sono di natura tale da conferire un plusvalore al bene controverso (paragrafo 68 sopra) non aderisce all’argomento del Governo secondo cui la somma di 307 124,67 TRY (circa 243 104 EUR) ricevuta dal richiedente per l’espropriazione del suo immobile e del terreno che serve a base a questo costituisca un giusto risarcimento. Importa sottolineare che questa somma comprende non solo gli interessi moratori, ossia 70 940 390 000 TRL (circa 52 240 EUR) ma anche l’indennità di 145 460 TRY (circa 87 101 EUR) percepita per l’espropriazione del terreno stesso. Del resto, il fatto che il richiedente abbia ottenuto un’indennità di espropriazione per il suo terreno è senza effetto sul valore risultante dalle caratteristiche specifiche dell’immobile in questione.
84. Trattandosi del metodo di valutazione proposta dal richiedente (paragrafo 78 sopra) la Corte osserva che non è fondato su nessun dato obiettivo e che non è sostenuto da nessuna perizia. Non potrebbe dunque essere accettato.
85. Per determinare il risarcimento che deve essere assegnato al richiedente, la Corte, come la camera, stima opportuno basarsi sulle conclusioni delle perizie effettuate durante il procedimento nazionale, anche se non si stima legata all’importo al quale sono arrivate. Tenuto conto di questi elementi-ivi compreso l’obiettivo legittimo di utilità pubblica perseguito dall’espropriazione controversa- e deliberando in equità, giudica ragionevole, come la camera, accordare al richiedente la somma di 75 000 EUR, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta su questa somma.
86. In quanto al danno morale, la Corte stima che, nelle circostanze dello specifico, la constatazione di una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 costituisce di per sé una soddisfazione equa sufficiente.
B. Oneri e spese
1. Tesi delle parti
87. Il richiedente sollecita 5 000 USD (circa 3 837 EUR) per oneri e spese impegnati da lui nel procedimento interno ed in quello seguito dinnanzi alla Corte, senza sottoporre tuttavia il minimo documento a sostegno della sua pretesa. Conviene rilevare che l’interessato ha reiterato la domanda presentata da lui dinnanzi alla camera.
88. Il Governo contesta la fondatezza della pretesa, stimando che questa non è stata supportata.
2. La sentenza della camera
89. La camera ha assegnato al richiedente 1 000 EUR per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta su questa somma.
3. La valutazione della Corte
90. Secondo la giurisprudenza ben stabilita della Corte, il sussidio di oneri e spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si vengano stabilite la loro realtà, la loro necessità e, inoltre, il carattere ragionevole del loro tasso. Inoltre, gli oneri sono recuperabili solamente nella misura in cui si riferiscono alla violazione constatata (vedere articolo 60 dell’ordinamento della Corte e, tra altri, Beyeler c. Italia (soddisfazione equa) [GC], no 33202/96, § 27, 28 maggio 2002, e Sahin c. Germania [GC], no 30943/96, § 105, CEDH 2003-VIII).
91. Alla luce di ciò che precede, la Corte accorda al richiedente la somma che la camera gli aveva già assegnato, ossia 1 000 EUR, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta su questa somma dal richiedente.
C. Interessi moratori
92. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Respinge, all’unanimità, le eccezioni preliminari del Governo;
2. Stabilisce, per sedici voci contro una, che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce, all’unanimità, che non c’è luogo di esaminare il motivo di appello derivato dell’articolo 6 della Convenzione;
4. Stabilisce, all’unanimità, che la constatazione di una violazione fornisce di per sé una soddisfazione equa sufficiente per il danno morale subito dal richiedente;
5. Stabilisce, per sedici voci contro una,
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi, le seguenti somme, da convertire in lire turche al tasso applicabile in data dell’ordinamento,:
i. 75 000 EUR (settantacinque mila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno materiale,;
ii. 1 000 EUR (mille euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese,;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale,;
6. Respinge, all’unanimità, la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese ed in inglese, poi pronunziato in udienza pubblica al Palazzo dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, il 19 febbraio 2009.
Michael O’Boyle Jean-Paul Costa
Cancelliere aggiunto Presidente
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione dissidente del giudice Maruste.
J. – P.C.
M.O’B.
OPINIONE DISSIDENTE DEL GIUDICE MARUSTE
(Traduzione)
Il richiedente nello specifico si lamentava di non avere percepito un’indennità che tenesse conto del valore culturale e storico del suo immobile espropriato. La Grande Camera ha giudicato il suo motivo di appello ben fondato. Considera che c’è un diritto manifesto di ottenere simile compenso, che esistono certi elementi obiettivi che permettono di valutare il valore unico di un bene e che una giurisdizione internazionale costituisce un foro ben posto per deliberare su simile questione. La Grande Camera sembra dire che la legislazione turca pertinente era chiaramente deficiente e che perciò la conclusione del procedimento seguito dinnanzi alle giurisdizioni interne era in contraddizione con la Convenzione. Ho delle serie riserve concernenti questa conclusione.
Il richiedente ottenne l’acquisizione dell’immobile controverso nel corso degli anni 1930. Non si sa se il valore culturale e storico del bene giocò all’epoca un ruolo pecuniario, e questo punto non è mai stato sollevato dal richiedente. Ciò che è chiaro, è che l’argomento derivato dal valore culturale del bene fu avanzato dopo che lo stato ebbe deciso, il 1 novembre 1990, di classificare l’immobile come “bene culturale” e poi di espropriarlo. È del tutto chiaro perciò che il valore particolare del bene non doveva niente al richiedente stesso: questo si era accontentato di prendersene cura, come avrebbe fatto ogni buon concittadino che si crede responsabile. In realtà, lo statuto specifico di bene culturale fu accordato all’immobile in questione dallo stato nell’interesse generale, e non ai fini commerciali.
La legalità dell’espropriazione non ha dato luogo a dibattito tra le parti, e la Grande Camera non vede nessuna ragione di metterla in dubbio. Perciò, la misura dipendeva dal secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Prima di abbordare questa questione, gradirei porne tuttavia una di carattere più generale: il valore culturale e la cronistoria unica di un bene conferiscono una legittimità nel rivendicare un dritto ad ottenere in generale un compenso pecuniario in virtù del diritto internazionale, ed in virtù della Convenzione in particolare? Un breve esame degli elementi esposti ai paragrafi 31 a 34 della sentenza permette di dubitarne. I documenti pertinenti del Consiglio d’Europa indicano in particolare che gli Stati sono invitati a contemplare la possibilità “di espropriare un bene protetto” (paragrafo 31) e che la protezione del patrimonio culturale non crea dei “diritti esecutivi” (paragrafo 32). Allo stesso modo, l’ idea molto superficiale di diritto comparato comparsa al paragrafo 34 della sentenza non fa risultare una chiara comunità di punti di vista tra gli Stati membri del Consiglio dell’Europa su questo punto. Inoltre, i riferimenti che figurano riguardano solamente delle situazioni ordinarie, e solo alcuni degli esempi dati si riferiscono a situazioni o circostanze analoghe a quelle del presente genere.
La ragione per cui non esistono né regole chiare né norme comuni risiede nella difficoltà evidente-addirittura l’impossibilità-di stimare e di calcolare il valore pecuniario di oggetti storici e culturali uniques3. Per ciò che riguarda i beni ordinari, il loro valore è evidente e chiaro: si tratta del loro valore commerciale medio che può essere calcolato sulla base di un’analisi statistica del mercato. Quando si tratta di un bene unico che fa parte del patrimonio culturale, questo metodo non può essere utilizzato. Il valore del bene è questione di valutazione, soggettiva, e, in caso di disaccordo, la questione viene sottoposta al giudice. Mi occorre segnalare, a questo stadio, che il richiedente si è potuto appellare a tre rapporti di periti indipendenti e portare la sua causa dinnanzi alle giurisdizioni interne. Al termine dei procedimenti giudiziali condotti da lui, la somma inizialmente offerta dallo stato è stata raddoppiata, stabilendosi l’importo versato in definitiva a 243 104 EUR (paragrafo 79 della sentenza). Ma ciò non bastava al richiedente.
Supponendo anche che la somma offerta e versata non fosse adeguata, sufficiente o equa, bisogna bene confrontarla con qualche cosa. Si sarebbe potuto stabilire così un paragone col prezzo al metro quadrato delle case del vicinato che si trovavano in un stato analogo o comparabile. Simile paragone non è stato effettuato. Come un giudice internazionale, che sede a migliaia di chilometri dal sito in questione, che non l’ha visto e che non conosce niente del contesto e della situazione del mercato nella regione riguardata, può determinare l’importo di una soddisfazione equa? Per me, ciò è semplicemente impossibile.
Ciò non notifica che sono contro il principio di un giusto equilibro e di un compenso adeguato. Il mio argomento consiste nel dire che considerando la sua natura unica e molto specifica il problema deve essere lasciato alla valutazione delle autorità nazionali, dovendo limitarsi il nostro compito in questo genere di controversia a verificare che un procedimento equo sia stato seguito. Non dovremmo entrare certamente nella valutazione delle prove e dovremmo concedere delle indennità “adeguate” o “eque” in simili casi, salvo in mancanza di equità flagrante e sconveniente. Sembra che simile mancanza di equità sia assente nello specifico, o, almeno, non disponiamo di nessuno elemento che giustifichi la conclusione inversa.
Non è puro caso se, in materia di protezione dei beni, la Convenzione ha lasciato un ampio margine di valutazione agli Stati. Come dice il testo del secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, le disposizioni relative alla protezione della proprietà non recano offesa al diritto posseduto dagli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale .” Lo stato convenuto nello specifico aveva adottato una legge specifica che gli era sembrata completamente adattata. Anche se questa legge sembra molto restrittiva di primo acchito , poiché esclude la presa in conto delle caratteristiche architettoniche e storiche di un immobile per la valutazione del suo valore, non impedisce che spetti allo stato decidere il modo in cui conviene trattare questo problema e indennizzare le parti interessate. La posizione ben stabilita della Corte è che non debba propendere per una valutazione sulla legislazione pertinente degli Stati contraenti. Così come risulta chiaramente dei fatti dello specifico, i periti disponevano di facto di una libertà considerevole per condurre le loro valutazioni e formulare le loro proposte, e le giurisdizioni disponevano parimenti di un’ampia latitudine per l’utilizzazione di queste. Tutto ciò è sfociato nello specifico in un risultato che mi sembra sensato e ragionevole.
Infine, non posso trattenermi dal rilevare che la Corte ha assegnato una somma di 1 000 EUR per oneri e spese mentre il richiedente non aveva sottoposto a questo riguardo assolutamente nessun documento a sostegno della sua richiesta. Trovo ciò spiacevole e sconcertante, perché è una regola che va di sé in materia giudiziale che gli oneri devono essere stabiliti, provati. L’ordinamento della Corte (articolo 60 § 2) comprende la stessa esigenza, poiché enuncia esplicitamente che il richiedente deve sottoporre le sue pretese in cifre e ripartite in voci, ed accompagnate dai giustificativi pertinenti, nel termine che gli è stato assegnato .” Tenuto conto delle circostanze, nessuna somma avrebbe dovuto essere concessa a titolo di oneri e spese in questa causa di diritto di proprietà, e la Corte avrebbe dovuto lasciare al richiedente la cura di regolare la questione coi suoi avvocati.
1. Tutte le conversioni in euro in questa sentenza sono state fatte secondo il tasso di cambio in vigore all’epoca pertinente.
2. Il 1 gennaio 2005, la lira turca (TRY che sostituisce la vecchia lira turca (TRL)) è entrato in vigore. 1 TRY vale un milione di TRL.
3. Quale è il valore di rarità della Torre Eiffel o del Palazzo di Westminster? La risposta è che simile valore di rarità è inesistente, perché non ci sono altre Torri Eiffel o Palazzi di Westminster sul mercato.