PRIMA SEZIONE
CAUSA KOTOV C. RUSSIA
( Richiesta no 54522/00)
SENTENZA
STRASBURGO
14 gennaio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Kotov c. Russia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, riunendosi in una camera composta da:
Christos Rozakis, presidente, Nina Vajić, Anatoly Kovler, Elisabetta Steiner, Khanlar Hajiyev, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens, giudici,
e da Søren Nielsen, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 4 maggio 2006 e il 15 dicembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottata in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 54522/00) diretta contro la Federazione della Russia e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. V. M. K. (“il richiedente”), aveva investito la Commissione europea dei diritti dell’uomo (“la Commissione”) il 15 luglio 1998 in virtù del vecchio articolo 25 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il governo russo (“il Governo”) è stato rappresentato dal Sig. P. Laptev, rappresentante presso la Federazione della Russia della Corte europea dei diritti dell’uomo.
3. Il richiedente adduceva in particolare l’impossibilità di ottenere il rimborso effettivo del suo credito nella cornice del procedimento di liquidazione di una banca privata.
4. La richiesta è stata trasmessa alla Corte il 1 novembre 1998, data di entrata in vigore del Protocollo no 11 alla Convenzione (articolo 5 § 2 del Protocollo no 11).
5. Con una decisione del 4 maggio 2006, la camera ha dichiarato la richiesta parzialmente ammissibile.
6. Il Governo ha depositato delle osservazioni scritte complementari (articolo 59 § 1 dell’ordinamento) ma non il richiedente.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
7. Il richiedente è nato nel 1948 e risiede a Krasnodar.
1. Procedimento di restituzione degli averi contro la banca
8. Il 15 aprile 1994, il richiedente depositò 3 330 nuovi rubli (“rubli”) su un conto di risparmio della banca commerciale “Yurak” (“la banca”) con un tasso di interesse del 200% con anno. Tra l’aprile e il luglio 1994, tolse una somma di 555 rubli, accumulati sul conto a titolo di interessi. In seguito alla modifica del tasso di interesse da parte della banca, il richiedente chiese nell’agosto 1994 la chiusura del conto, ma la banca l’informò dell’impossibilità di restituirgli l’importo primitivo del suo deposito così come gli interessi dovuti, in ragione della mancanza di fondi.
9. Il richiedente citò la banca in giustizia e richiese il rimborso dell’importo primitivo del deposito, aumentato di interessi, il versamento delle penalità del 3% al giorno ed il compenso del danno patrimoniale, subito in ragione della costruzione di una casa, e morale, dovuto al deterioramento della sua salute.
10. Il 20 febbraio 1995, il tribunale del distretto di Oktyabrskii della città di Krasnodar fece parzialmente dritto a queste istanze. Stabilì che alla chiusura del conto, la banca doveva al richiedente una somma di 3 607 rubli, corrispondenti all’importo primitivo del deposito ed agli interessi a titolo del mese di agosto 1994. Procedendo all’indicizzazione di questa somma, il tribunale condannò la banca a pagare 6 276 rubli al richiedente. Ordinò peraltro il versamento di 3 330 rubli a titolo di penalità e di 500 rubli come compenso morale,ammontando la somma totale a 10 156 rubli.
11. Questa decisione fu confermata in ultima istanza il 21 marzo 1995.
12. Con una decisione del tribunale di Oktyabrskii del 5 aprile 1996, la suddetta somma fu portata a 17 983 rubli, tenuto conto della mancanza di versamento dei 10 156 rubli e del tasso di inflazione.
13. Nel frattempo, il 16 giugno 1995, su richiesta della Banca Centrale e della Banca di risparmio della Russia, la corte di arbitraggio della regione di Krasnodar dichiarò la banca in fallimento.
14. Il 19 luglio 1995, il procedimento di fallimento fu aperto dalla stessa corte ed fu nominato un liquidatore per procedere alle operazioni di liquidazione.
2. Primo procedimento di contestazione della distribuzione illegale degli attivi ai creditori
15. L’ 11 gennaio 1996, la corte di arbitraggio omologò il bilancio provvisorio di liquidazione secondo lo stato di tesoreria al 28 dicembre 1995.
16. Sul fondamento di questo bilancio, il comitato dei creditori della banca decise il 18 gennaio e il 13 marzo 1996 di fare distribuire gli attivi in primo luogo ad una certa categoria di creditori. Così, degli invalidi, veterani della Seconda guerra mondiale, persone in situazione di bisogno e persone che avevano partecipato attivamente alle operazioni di liquidazione, o 700 persone (il 10% dei creditori circa) furono rimborsati dal liquidatore al 100% dell’importo indicizzato dei loro depositi con interessi. Fu deciso di rimborsare gli altri creditori secondo le stesse modalità, secondo la costituzione degli attivi.
17. Il richiedente indirizzò al liquidatore una richiesta di rimborso del suo credito di 17 983 rubli. In seguito a questa richiesta, una somma di 140 rubli gli fu versata il 6 aprile 1998.
18. Il 22 aprile 1998, il richiedente contestò dinnanzi alla corte di arbitraggio il rimborso al 100% degli altri creditori, mentre, in quanto creditore di primo posto, aveva ricevuto solamente 140 rubli. Invocando gli articoli 15 e 30 della legge relativa all’insolvenza delle imprese del 1992 (“legge del 1992”), chiese il rimborso del restante del suo credito conformemente al principio di proporzionalità. L’articolo 30 di questa legge contemplava, in caso di insufficienza di attivi per liquidare tutti i creditori, il rimborso dei creditori parimenti posti proporzionalmente alla somma dovuta a ciascuno di essi. Nello specifico, in data della richiesta del richiedente, 2 305 000 rubli erano stati prelevati in seguito alle operazioni di liquidazione che erano servite a rimborsare al 100% le suddette differenti categorie di creditori (vedere sopra il paragrafo 16).
19. Il 6 luglio 1998, il richiedente fu respinto in prima istanza, al motivo che la somma del suo credito (17 983 rubli, corrispondeva al 0,78% degli attivi di un importo totale di 2 305 000 rubli che, prelevati in seguito alle operazioni di liquidazione, erano serviti per liquidare una certa categoria di creditori. Secondo la regola di proporzionalità, poteva ricevere dunque solo lol 0,78% di 17 983 rubli, o 140 rubli. Questa somma gli era stata versata già il 6 aprile 1998, mentre il restante del suo credito gli sarebbe stato rimborsato nei limiti dei fondi prelevati seguito alle operazioni di liquidazione a venire.
20. In appello, il 26 agosto 1998, la corte regionale di arbitraggio constatò che, contrariamente alle esigenze dell’articolo 27 della legge del 1992, il liquidatore non aveva redatto l’elenco dei creditori che permetteva di identificare i creditori da rimborsare in primo luogo e le somme corrispondenti da versare separatamente a ciascuno di essi. Seguendo i documenti prodotti dal liquidatore, non era possibile sapere quale era il posto di precedenza del richiedente tra tutti i creditori, affermando il liquidatore stesso oralmente che si trattava di un creditore al quinto posto. La corte regionale considerò che decidendo di rimborsare al 100% una certa categoria di creditori, il comitato dei creditori aveva superato i limiti delle sue competenze stabilite dall’articolo 23 della legge del 1992. Eseguendo tale decisione e distribuendo gli attivi in questo modo, il liquidatore aveva da parte sua infranto le esigenze degli articoli 15 e 30 della legge precitata. Ricordando che il 30 di questa legge non suscitava un’interpretazione ampia dei suoi termini, la corte regionale ingiunse al liquidatore di ovviare alle violazioni constatate entro un mese e di informarla a questo riguardo delle misure prese.
21. Il liquidatore ricorse in cassazione dinnanzi alla corte federale di arbitraggio del Caucaso del Nord e sostenne che aveva proceduto alla distribuzione degli attivi in esecuzione della decisione del comitato dei creditori, che questa distribuzione aveva avuto luogo conformemente all’articolo 64 del codice civile e che non era, per questo fatto, contraria alle esigenze dell’articolo 30 della legge del 1992 (vedere sotto i paragrafi 33 e 34). Il 12 novembre 1998, il suo ricorso fu respinto. Confermando la decisione del 26 agosto 1998, l’istanza di cassazione precisò che il liquidatore non avrebbe dovuto procedere all’esecuzione di una decisione resa dal comitato dei creditori in violazione della legge.
22. L’esecuzione della decisione del 26 agosto 1998 e, in particolare, la correzione della situazione finanziaria del richiedente, non furono possibili in ragione della mancanza di attivi.
3. Secondo procedimento di contestazione della distribuzione illegale degli attivi ai creditori
23. Messo a di fronte alla mancanza di esecuzione della decisione del 26 agosto 1998, il richiedente depositò dinnanzi alla corte di arbitraggio una querela del 2 settembre 1998 che completò in seguito con una querela del 27 gennaio 1999. Chiese che il liquidatore in persona gli rimborsasse la somma indicizzata del restante del suo credito di 17 983 rubli, con interessi, così come compenso del danno morale causato dalla sua azione illegale.
24. Le querele in questione furono esaminate nella cornice del procedimento di fallimento aperto contro la banca.
25. Il 4 febbraio 1999, la corte regionale di arbitraggio respinse la richiesta del richiedente al motivo che, il 20 febbraio 1995 e il 5 aprile 1996, il tribunale di distretto di Oktyabrskii aveva assegnato al richiedente una somma di 17 983 rubli a titolo dell’ordinamento del suo credito e di danni ed interessi, e che la corte non poteva pronunciarsi per la seconda volta sulle stesse richieste. La corte regionale stabilì che il richiedente figurava sotto il numero 519 dell’elenco dei creditori e che al titolo del deposito propriamente detto, la banca gli doveva una somma residua di 8 813 rubli. Ricordò che questa somma poteva essergli versata secondo le condizioni contemplate all’articolo 64 del codice civile.
26. Il 31 marzo 1999, una formazione della corte regionale di arbitraggio, deliberando in appello, confermò la decisione del 4 febbraio 1999 e ricordò che, conformemente alla legge del 1998, in vigore al momento dell’esame delle querele del richiedente, solo i crediti costituiti all’epoca del funzionamento della banca potevano essere oggetto di un rimborso. Di conseguenza, le richieste tese al versamento delle diverse somme alle quali il richiedente avrebbe acquisito il diritto dopo il fallimento della banca e durante la sua liquidazione, non potevano essere accolte. L’istanza di appello constatò che in virtù delle decisioni giudiziali, il richiedente si era visto riconoscere il diritto ad un credito di 17 983 rubli, ciò che corrispondeva al danno causato dalla banca prima del suo fallimento. Precisò che era lecito per richiedente ricuperare questa somma una volta prelevati gli attivi sufficienti in seguito alle operazioni di liquidazione. La querela del richiedente si riassumeva, agli occhi dell’istanza di appello, a richiedere la somma precitata, aumentata di penalità in ragione del suo non-ricevimento.
27. Il 9 giugno 1999, la corte federale di arbitraggio del Caucaso del Nord respinse il ricorso in cassazione del richiedente ai seguenti motivi:
“La decisione del comitato dei creditori e l’azione del liquidatore relativa al rimborso al 100% dei crediti a favore solamente di 700 creditori, sui 7 567 creditori della banca i cui crediti ammontano a 24 875 000 rubli, hanno in effetto violato il principio dell’ordinamento proporzionale dei crediti posti parimenti, ma non hanno recato il danno addotto al Sig. K., perché la soddisfazione al 100% di tutti i creditori al 1 posto non era possibile in ragione dell’insufficienza degli attivi suscettibili di essere distribuiti. La somma rimborsata al Sig. K. fu calcolata difatti, proporzionalmente all’importo del suo credito ed alla massa finanziaria emanata all’epoca del procedimento di liquidazione “
28. La giurisdizione di cassazione ricordò anche che il procedimento di liquidazione era ancora pendente e che il richiedente aveva la possibilità di ricevere il suo credito.
29. Il 17 giugno 1999, la corte regionale di arbitraggio omologò il bilancio di liquidazione, presentato dal liquidatore ed approvato dall’assemblea dei creditori, e chiuse il procedimento di fallimento per insufficienza di attivi.
4. Procedimento di supervisione
30. Dopo la comunicazione della richiesta al Governo, il presidente della Corte suprema di arbitraggio della Federazione della Russia formò, il 31 gennaio 2001, un ricorso per supervisione (protest) contro le decisioni del 4 febbraio, 31 marzo e 9 giugno 1999 (vedere sopra i paragrafi 25-27), al motivo che erano state rese in violazione dell’articolo 22 del codice di procedimento di arbitraggio (“CPA”) che determinava la competenza delle giurisdizioni di arbitraggio. In particolare, l’esame delle querele del richiedente del 2 settembre 1998 e del27 gennaio 1999 nella cornice del procedimento di fallimento aperto contro la banca sarebbe stato contrario alla legge del 1992 che aveva regolato questo procedimento. Le querele in questione che dipendono da una controversia che oppone il richiedente al liquidatore, non erano in rapporto col procedimento di fallimento in quanto tale ed il richiedente li avrebbe dovuti introdurre dinnanzi alle giurisdizioni di diritto comune.
31. Per questi motivi, il presidente richiese l’annullamento delle decisioni controverse e la chiusura dell’istanza relativa alle suddette querele. Il 17 aprile 2001, il Présidium della Corte suprema di arbitraggio della Federazione della Russia fece interamente dritto a queste domande facendo suoi gli argomenti invocati nel ricorso.
32. Il 1 giugno 2001, il richiedente investì lo stesso Présidium di un’istanza di revisione della decisione del 17 aprile 2001. Il 4 luglio 2001, questa istanza fu respinta dal vicepresidente della Corte suprema di arbitraggio per difetto di fondamento.
II. IL DIRITTO E LE PRATICA INTERNA PERTINENTI
1. Codice civile del 1994
33. Conformemente all’articolo 63, dopo la scadenza del termine in cui i creditori devono fare le loro domande, la commissione di liquidazione stabilisce un bilancio di liquidazione provvisorio contenente le informazioni relative al patrimonio del fallito, alle domande presentate dai creditori ed ai risultati dell’esame di queste. Questo bilancio deve essere approvato dall’organo che ha preso la decisione di procedere alla liquidazione dell’impresa. Se la massa pecuniaria di cui dispone l’impresa non è sufficiente per soddisfare le domande dei creditori, la commissione di liquidazione procede alla vendita del suo patrimonio all’ asta. La distribuzione degli attivi ai creditori può cominciare conformemente al bilancio provvisorio una volta approvato questo, eccetto i creditori di quinto posto che possono ricevere la somma dovuta solo alla scadenza del termine di un mese a partire dall’approvazione di questo bilancio. Una volta compiute tutte le operazioni di pagamento, viene preparato ed approvato il bilancio di liquidazione definitiva secondo le stesse vie. In caso di insufficienza di attivi, i creditori lesi possono investire i tribunali chiedendo che il proprietario dell’impresa li liquidi coi suoi propri denari.
L’articolo 64 del codice civile, come in vigore prima del 20 febbraio 1996, distingueva cinque categorie di creditori, ciascuna che doveva essere rimborsata una volta disinteressata la categoria precedente. Secondo questa archiviazione, il richiedente dipendeva dalla quinta categoria “di altri creditori.” L’articolo 64 non menziona la categoria dei creditori pensionati, veterani della Seconda guerra mondiale né quella di persone in situazione di bisogno.
Ai termini del nuovo capoverso, introdotto in questo articolo il 20 febbraio 1996, all’epoca della liquidazione di una banca o di un’altra struttura di credito, gli individui che avevano depositato del denaro venivano rimborsati in primo luogo.
L’articolo 64 precisava inoltre che in caso di insufficienza di attivi della persona giuridica in liquidazione, questi dovevano essere distribuiti proporzionalmente ai loro crediti tra i creditori di posto parimenti.
2. Legge del 19 novembre 1992 (“legge del 1992”), relativa all’insolvenza delle imprese, applicabile ai procedimenti di fallimento aperti prima del 1 marzo 1998
34. Conformemente all’articolo 3 §§ 1 e 2, le cause di fallimento dipendono dalla competenza delle giurisdizioni di arbitraggio che li esaminano secondo le regole previste da questa legge e, in mancanza di tali regole, conformemente al codice di procedimento di arbitraggio della Federazione della Russia.
Secondo l’articolo 15 della legge, il procedimento di fallimento è aperto allo scopo di soddisfare proporzionalmente le domande dei creditori, di dichiarare il fallito esonerato dai suoi obblighi e di proteggere le parti dalle azioni illecite tra loro.
Ai termini dell’articolo 18 § 2, a partire dalla dichiarazione di insolvenza dell’impresa e dell’apertura del procedimento di fallimento a suo carico, ogni pretesa di carattere patrimoniale può essere presentata unicamente a questa impresa nella cornice del procedimento di fallimento.
Secondo l’articolo 19, le giurisdizioni di arbitraggio nominano il liquidatore e, nei casi previsti da questa legge, esaminano il carattere lecito degli atti delle parti al procedimento di fallimento. Secondo l’articolo 20, queste parti sono il liquidatore, il comitato dei creditori, il creditore, ecc.
Ai termini dell’articolo 21 § 1, il liquidatore dispone dei beni del fallito, analizza la sua situazione finanziaria, esamina la fondatezza delle domande dei creditori, accetta o respinge queste, procedi alle operazioni di liquidazione in vista della costituzione degli attivi, dirige la struttura in fallimento, forma e dirige la commissione di liquidazione, convoca l’assemblea dei creditori.
Conformemente all’articolo 21 § 2 composto con l’articolo 12 § 4, il candidato alla posizione di liquidatore deve essere un economista o un giurista o deve avere un’esperienza di gestione di impresa. Deve avere il casellario giudiziario vergine. Non può essere nominata liquidatore la persona che detiene una posizione di responsabilità in seno all’impresa debitrice o creditrice. Il candidato alla posizione di liquidatore deve presentare la dichiarazione dei suoi redditi e della sua situazione patrimoniale.
Secondo l’articolo 21 § 3, il liquidatore può investire la corte di arbitraggio contro le decisioni dell’assemblea, del comitato, dei creditori, quando queste escono dal campo di competenza dell’assemblea, del comitato.
Secondo l’articolo 27 § 1, dopo la scadenza del termine di due mesi in cui i creditori devono presentare le loro pretese allo sguardo del fallito, il liquidatore redige un elenco di pretese ammesse e respinte indicando l’importo corrispondente a queste che è stato ammesso così come il posto di precedenza per ciascuna di esse. Questo elenco deve essere indirizzato ai creditori entro due mesi.
L’articolo 30 stabilisce i differenti posti di precedenza in vista della divisione del prodotto della liquidazione. Si procede al versamento delle somme dovute a profitto dei creditori di un certo posto solo dopo il disinteresse dei creditori del posto precedente (paragrafo 3). In caso di insufficienza di attivi per soddisfare le domande di tutti i creditori di un dato posto, questi sono liquidati proporzionalmente ai loro rispettivi crediti (paragrafo 4). L’articolo 30 non menziona la categoria dei creditori invalidi o veterani della Seconda guerra mondiale né quella di persone in situazione di bisogno. Il suo paragrafo 1 dispone che gli oneri necessari allo svolgimento delle operazioni di liquidazione, alla rimunerazione del liquidatore ed al mantenimento di funzionamento dell’impresa debitrice sono prioritari rispetto ai creditori di primo posto.
L’articolo 31 contempla la possibilità per un creditore di contestare dinnanzi alle giurisdizioni di arbitraggio la decisione del liquidatore che, secondo lui, ignora i suoi diritti ed interessi legittimi.
Secondo l’articolo 35 § 3, le esigenze non soddisfatte in ragione dell’insufficienza del prodotto della liquidazione vengono considerate come estinte.
L’articolo 38 dispone che il fallito venga reputato liquidato a partire dalla sua esclusione dal registro nazionale corrispondente, in virtù della decisione della corte di arbitraggio che conclude alla chiusura del procedimento di fallimento.
3. Legge federale dell’ 8 gennaio 1998, relativa all’insolvenza (“legge del 1998”), applicabile ai procedimenti di fallimento aperti dopo il 1 marzo 1998
35. L’articolo 21 § 3 di questa legge dispone che i creditori hanno il diritto di esigere dal liquidatore il compenso del danno che questo avrebbe causato loro con un’azione o un’omissione contraria alla legge.
Conformemente al capoverso 7 dell’articolo 98 § 1 di questa legge, ogni pretesa verso il fallito può essere presentata unicamente nella cornice del procedimento di fallimento (vedere anche l’articolo della legge 18 § 2 del 1992).
L’articolo 114 contempla gli stessi principi di distribuzione e di proporzionalità dell’articolo 30 della legge del 1992.
4. Codice di procedura di arbitraggio del 1995 (“CPA”), come in vigore all’epoca dei fatti
36. Ai termini dell’articolo 131, ingiungendo alla parte convenuta di compiere un atto definito che non dipende dalla trasmissione di un bene o di un versamento di una somma pecuniaria, la corte di arbitraggio indica che, dove ed in che termini deve compiere questo atto.
Secondo l’articolo 143, le cause di fallimento sono esaminate dai corsi di arbitraggio conformemente al presente codice e secondo le particolarità previste dalla legge relativa al fallimento.
5. Sentenza della Corte costituzionale del 12 marzo 2001
37. Il paragrafo 4 relativo alla costituzionalità dell’articolo 18 § 2 della legge del 1992, articolo 98 § 1 in combinazione con gli articoli 15 § 4 e 55 § 1 della legge del 1998, si legge così:
“(…) all’epoca dell’esame delle querele degli individui creditori, le giurisdizioni di arbitraggio non hanno la competenza per decretare contro il liquidatore delle direttive obbligatorie di carattere patrimoniale, portando riconoscenza di un credito o di un diritto a favore di questi creditori. Questa limitazione non si deve interpretare come se impedisse alle giurisdizioni di diritto comune di esaminare al merito le domande di carattere patrimoniale di questi creditori, conformemente alla legislazione relativa all’insolvenza.
Le disposizioni controverse non contengono peraltro clausole che impedirebbero alle giurisdizioni di arbitraggio di rendere delle decisioni che permettono agli interessati di realizzare pienamente il loro diritto alla protezione giudiziale nella cornice del procedimento di fallimento, tanto più che altre disposizioni della legge federale relativa all’insolvenza, il fallimento, contemplano proprio l’ordinamento di controversie tramite via giudiziale, (articoli 41, 44, 57, 107, 108 ed altri).
Il rifiuto di una corte di arbitraggio di esaminare la querela a causa di incompetenza non impedisce al creditore di investire le giurisdizioni di diritto comune in vista della protezione dei suoi diritti. Il diritto alla protezione giudiziale, consacrata dalla Costituzione, si deve realizzare anche in caso di mancanza di norme legislative che precisano la divisione di competenze tra le giurisdizioni di arbitraggio e quelle di diritto comune.
In seguito a questa interpretazione, [le disposizioni in questione] non impediscono né alle giurisdizioni di diritto comune di esaminare le domande dei creditori che non sono delle imprese individuali, dirette contro il liquidatore e tese (…) al compenso del danno, né le giurisdizioni di arbitraggio di garantire l’esecuzione, conformemente alla legge federale precitata, delle decisioni rese dalle giurisdizioni di diritto comune. (…) “
IN DIRITTO
38. Il richiedente denuncia l’impossibilità di ottenere il rimborso effettivo del suo credito in ragione della distribuzione illegale degli attivi da parte del liquidatore. L’articolo 1 del Protocollo no 1 è formulato così:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
I. SULL’ECCEZIONE PRELIMINARE DEL GOVERNO
39. Il Governo reitera la sua eccezione di inammissibilità, respinta anteriormente dalla Corte (vedere Kotov c. Russia (déc), no 54522/00, 4 maggio 2006) per sostenere che il motivo di appello del richiedente cozza contro un problema di non-esaurimento delle vie di ricorso interne. In particolare, stima che il richiedente avrebbe dovuto impegnare, nella cornice di un procedimento indipendente dinnanzi alle giurisdizioni di diritto comune, la responsabilità personale del liquidatore conformemente al capitolo 59 del codice civile (“Obblighi in seguito al danno causato”) per denunciare la distribuzione illegale degli attivi della banca. Questo tanto più che le decisioni del 4 febbraio, 31 marzo e 9 giugno 1999, rese a proposito delle querele del richiedente, tese ad ottenere il risarcimento del danno causato dal liquidatore in persona, erano state annullate il 17 aprile 2001 in ragione dell’incompetenza del giudice di arbitraggio in materia. Essendo stato riconosciuto Il carattere illegale dell’azione del liquidatore dalle giurisdizioni di arbitraggio nel 1998, secondo il Governo, il compenso del danno causato sarebbe stato più facile tramite un procedimento di diritto comune diretto contro il liquidatore in quanto individuo.
40. La Corte ricorda che gli stessi argomenti del Governo sono stati esaminati già in dettaglio allo stadio di ammissibilità prima di venire respinti nei suoi termini:
“(…) Le decisioni del 4 febbraio, 31 marzo e 9 giugno 1999, passate in giudicato, furono annullate nel 2001 in seguito ad un ricorso per supervisione (protest). La Corte tiene a ricordare che tale pratica pone in sé un grave problema sul piano del principio della sicurezza giuridica, uno degli elementi fondamentali della preminenza del diritto (Brumărescu c. Romania [GC], no 28342/95, §§ 61 e 62, CEDH 1999-VII; Riabykh c. Russia, no 52854/99, § 57, CEDH 2003-IX). Per di più, l’annullamento in questione intervenne nello specifico dopo la comunicazione della richiesta al governo convenuto e servì a questo per sollevare un’eccezione derivata dal non-esaurimento delle vie di ricorso interne. Ora, la Corte non stima che tale eccezione possa essere tratta validamente dall’annullamento delle decisioni del 1999, poiché, nella cornice del precedente procedimento, il richiedente aveva denunciato, secondo le vie legali, l’attentato portato al suo diritto al rispetto dei suoi beni dall’azione del liquidatore.
In particolare, conformemente all’articolo 31 della legge di 1992, quella che regola il procedimento di fallimento nello specifico, il richiedente contestò dinnanzi alle giurisdizioni di arbitraggio la distribuzione degli attivi da parte del liquidatore che, secondo lui, ignorava i suoi diritti ed interessi legittimi. Nella cornice di questo procedimento finito dalla decisione di cassazione del 12 novembre 1998, ottenne guadagno di causa, avendo riconosciuto le giurisdizioni di arbitraggio, in appello come in cassazione, la violazione dei suoi diritti da parte del liquidatore. Constatarono da una parte differenti vizi nella condotta del procedimento da parte del liquidatore e, dall’altra parte, affermarono chiaramente che avendo proceduto all’esecuzione delle decisioni prese dal comitato dei creditori in incomprensione della legge del 1992, il liquidatore si era reso colpevole di una distribuzione illegale del prodotto della liquidazione. Ordinarono che si ovviasse a queste violazioni entro un mese. Si è obbligati a constatare dunque che le giurisdizioni interne, competenti in materia di fallimento, esaminarono le pretese del richiedente al merito. Non solo riconobbero l’incomprensione dei diritti dell’interessato, ma ordinarono anche che le conseguenze venissero cancellate. (…)
Avuto riguardo a ciò che precede, la Corte stima che, malgrado l’annullamento delle decisioni rese nel 1999, il Governo non ha basi per opporre un’eccezione derivata dal non-esaurimento delle vie di ricorso interne al richiedente, il procedimento di arbitraggio precedente, finito dalla decisione di cassazione del 12 novembre 1998, essendo sufficiente a soddisfare le esigenze dell’articolo 35 § 1 della Convenzione ai fini del motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1. “
41. In queste condizioni, e visto che niente giustifica di scostarsi da questa conclusione, la Corte respinge l’eccezione preliminare del Governo.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
1. Argomenti del Governo
42. Nelle sue osservazioni complementari, il Governo reitera che lo stato non ha nessuna responsabilità nel fallimento delle relazioni commerciali liberamente acconsentite tra il richiedente ed una banca privata. Lo stato non si intromise mai nell’esercizio del diritto del richiedente al rispetto dei suoi beni. L’ingerenza controversa nello specifico provenne dalla banca e dal liquidatore senza che lo stato fosse stato tenuto dalla legge ad indennizzare il richiedente per le perdite subite.
43. Peraltro, il Governo ricorda che l’articolo 1 del Protocollo no 1 non obbliga lo stato a mantenere il potere di acquisto rappresentato dalle somme depositate negli istituti finanziari (vedere, tra altre, Riabykh c. Russia, no 52854/99, § 63, CEDH 2003-IX). Secondo lui, la responsabilità dello stato è limitata a stabilire le regole di proporzionalità in vista della distribuzione della massa emanata all’epoca della liquidazione delle imprese private. Il fatto che, malgrado l’esistenza di queste regole, il richiedente non abbia potuto ricuperare la somma dovuta in ragione del fallimento della banca e della mancanza di attivi sufficienti non potrebbe dunque essere imputabile allo stato.
44. Il Governo sostiene che il liquidatore realizzava le sue attività a titolo individuale e che, conformemente all’articolo 21 della legge del 1992, era personalmente responsabile dell’inadempimento o dell’esecuzione inadatta dei suoi obblighi. Nel 2002, un emendamento all’articolo 20 di questa legge rinforzò del resto questo dispositivo introducendo un’esigenza di aderire ad un’assicurazione per le mancanze commesse dal liquidatore. Il fatto che lo stato non era responsabile degli atti illegali di questa persona sarebbe stato confermato, secondo il Governo, dalla Corte costituzionale nella sua sentenza del 12 marzo 2001 e dal Présidium della Corte suprema di arbitraggio nella sua decisione del 17 aprile 2001. Il controllo degli atti del liquidatore e del rispetto del principio della distribuzione proporzionale dei fondi incombeva sulle giurisdizioni di arbitraggio, competenti per esaminare le controversie nate all’epoca del procedimento di liquidazione tra i creditori ed i liquidatori.
45. In riassunto, per il Governo, lo stato rispettò i suoi obblighi a titolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 stabilendo le regole legali di ripartizione equa di fondi ed instaurando delle vie di ricorso per palliare alle insufficienze del procedimento di liquidazione o alle illegalità commesse all’epoca di questa.
46. Il richiedente, sebbene mantenga la sua richiesta, non presentò osservazioni complementari (vedere sopra 5 e 6 i paragrafi).
2. Valutazione della Corte
47. La Corte ricorda che l’articolo 1 del Protocollo no 1 contiene tre norme distinte: la prima che si esprime nella prima frase del primo capoverso e riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, che figura nella seconda frase dello stesso capoverso, prevede la privazione di proprietà e la sottopone a certe condizioni; in quanto alla terza, registrata nel secondo capoverso, riconosce agli Stati contraenti il potere, tra l’altro, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale. La seconda e la terza che hanno fatto riferimento agli esempi particolari di attentati al diritto di proprietà, si devono interpretare alla luce del principio consacrato dalla prima (Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 55, CEDH 1999-II).
48. La Corte nota che nello specifico, in virtù delle decisioni giudiziali del 20 febbraio 1995 e del 5 aprile 1996 (vedere sopra i paragrafi 10 e 12), il richiedente era titolare di un credito esigibile di 10 156 rubli, portato a 17 983 rubli che costituiva un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Bourdov c. Russia, no 59498/00, § 40, CEDH 2002-III). Questo del resto non ha suscitato controversia tra le parti.
49. La Corte rileva poi che il richiedente non poté ottenere il versamento di questo credito, poiché nel frattempo, il 16 giugno 1995, il debitore – una banca privata – fu dichiarato in fallimento. Un liquidatore fu nominato allora il 19 luglio 1995 dalle giurisdizioni di arbitraggio per procedere alle operazioni di liquidazione. Così, in seguito alla dichiarazione di fallimento, l’ingerenza nel diritto del richiedente al rispetto dei suoi beni si analizzava in una regolamentazione dell’uso dei beni ai sensi del secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Luordo c. Italia, no 32190/96, § 67, CEDH 2003-IX). In virtù dell’articolo 15 della legge del 1992, questo procedimento di fallimento prevedeva, da una parte, a liquidare i creditori e, dall’altra parte, a proteggere le parti dagli atti illeciti tra loro. L’ingerenza in questione inseguiva dunque uno scopo legittimo e conforme all’interesse generale, ossia la protezione dei diritti di altrui.( ibid § 68). In queste condizioni, e visto le difficoltà incontrate all’epoca della costituzione del prodotto della liquidazione, la Corte non è convinta che il richiedente avrebbe potuto sperare, con un grado ragionevole di certezza, di ricuperare la totalità del suo credito come definito dai tribunali di diritto comune il 20 febbraio 1995 e poi il 5 aprile 1996, anche se le giurisdizioni di arbitraggio, competenti in materia di fallimento, confermarono parecchie volte che l’importo di questo credito ammontava a 17 983 rubli.
50. Comunque sia, per la Corte, il problema non risiede, nello specifico, nel procedimento di fallimento in quanto tale e non si pone dunque sotto l’angolo della “regolamentazione dell’uso dei beni.” Si pone sul terreno del primo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, considerando la privazione definitiva dei beni di cui il richiedente fu oggetto nella cornice di questo procedimento.
51. La Corte, come il Governo, non dubita che lo stato non potrebbe essere ritenuto responsabile degli obblighi di un istituto privato che, caduto in fallimento, non è in grado di liberarsi dai suoi debiti (Bobrova c. Russia, no 24654/03, § 16, 17 novembre 2005). Conviene tuttavia studiare se ed in quale misura la responsabilità dello stato può essere assunta a causa di un atto o di un’omissione del liquidatore i cui atti illegali sono denunciati nello specifico (mutatis mutandis, Katsyuk c. Ucraina, no 58928/00, § 38 in fine, 5 aprile 2005). Difatti, il richiedente non invoca come tale responsabilità dello stato nell’ambito delle relazioni contrattuali tra lui e le banche private. I suoi motivi di appello sono fondati sull’azione illegale del liquidatore e sull’impossibilità di fare valere i suoi diritti di fronte all’abuso di potere da parte di questo.
52. A differenza del Governo, la Corte stima che il liquidatore può essere considerato come un rappresentante dello stato, avuto in particolare riguardo al suo statuto come definito dagli articoli 19 e 21 della legge del 1992. Queste disposizioni determinano le condizioni richieste per il candidato alla posizione di liquidatore e le caratteristiche che deve possedere senza precisare tuttavia se si deve trattare di una persona privata o di un funzionario. Anche se si tratta di una persona privata, vista la natura delle funzioni del liquidatore e la sua abilitazione da parte delle giurisdizioni interne per esercitare queste, la Corte non stima che lo stato possa sottrarsi alla ̀sua responsabilità ́delegando i suoi obblighi a questo individuo (mutatis mutandis, Costello-Roberts c. Regno Unito, sentenza del 25 marzo 1993, serie A no 247-C, p. 58, § 27 in fine). Difatti, secondo le disposizioni precitate, questo non è un liquidatore professionale ma un economista o un giurista abilitato dalle giurisdizioni interne a condurre il procedimento di fallimento. Queste stesse giurisdizioni del resto sorvegliano le sue attività (vedere, a contrario, Katsyuk, precitata, § 39.) Nella cornice dei suoi poteri che sono definiti dalla legge dunque, il liquidatore esercita delle funzioni che dipendono dal potere pubblico e si trova investito della missione di predisporre un “giusto equilibrio” tra gli imperativi dell’interesse generale e quelli della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (vedere, tra altre, Luordo, precitats, §§ 67-69). Di conseguenza, agli occhi della Corte, i suoi atti ed omissioni impegnano, nelle circostanze dello specifico, la responsabilità dello stato (vedere, mutatis mutandis, Sychev c. Ucraina, no 4773/02, §§ 53 e 54, 11 ottobre 2005).
53. La Corte stima che gli attivi emanati in seguito alle prime operazioni di liquidazione (2 305 000 rubli) avrebbero potuto bastare per soddisfare il credito del richiedente, almeno una parte considerevole di questa, se il liquidatore avesse agito verso l’interessato, creditore di primo posto, conformemente alla legge. L’impossibilità definitiva per il richiedente di ricuperare il suo credito per un importo superiore a 140 rubli (vedere sopra il paragrafo 17) derivò direttamente anche dall’abuso di potere da parte del liquidatore, rendendo questo abuso impossibile l’esecuzione, parziale, delle decisioni del 20 febbraio 1995 e del 5 aprile 1996 ed allo stesso tempo togliendo ogni effetto utile alle decisioni di arbitraggio del 26 agosto e del 12 novembre 1998 (vedere sopra i paragrafi 20-22). Difatti, queste decisioni del 1998 che conclusero all’illegalità dell’azione del liquidatore ed ordinarono la correzione della situazione del richiedente, non poterono essere eseguite, avendo proceduto il liquidatore già nel 1996 alla distribuzione quasi integrale del prodotto della liquidazione.
54. Secondo la legge russa, in caso di insufficienza del prodotto della liquidazione per liquidare l’insieme dei creditori, questo prodotto deve essere ripartito tra i creditori parimenti posti in proporzione dei loro crediti. I creditori di un dato posto non possono essere liquidati prima del rimborso dei creditori del posto precedente (vedere, ai paragrafi 33 e 34 sopra, articolo 30 §§ 3 e 4 della legge di 1992 ed articolo 64 del codice civile del 1994).
55. Ai termini dell’articolo 64 del codice civile del 1994, come emendato il 20 febbraio 1996, all’epoca della liquidazione di una banca o di un altro istituto di credito, gli individui che avevano depositato del denaro vengono rimborsati in primo luogo. Il richiedente era dunque, a partire dal 20 febbraio 1996, un creditore di primo posto e gli obblighi della banca verso di lui avrebbero dovuto essere perciò onorati. Ora, la distribuzione dei fondi emanati dal liquidatore intervenne in seguito alle decisioni del comitato dei creditori del 18 gennaio e del 13 marzo 1996 senza che il richiedente percepisse alcuna somma di denaro.
56. Anche se, al 4 febbraio 1999 (vedere sopra il paragrafo 25), il richiedente disponeva di un numero personale sull’elenco dei creditori da rimborsare, risulta dalla decisione del 26 agosto 1998 che in questa ultima data, il liquidatore non aveva redatto ancora l’elenco dei creditori conformemente alle esigenze dell’articolo 27 della legge del 1992, mentre il procedimento di fallimento era aperto dal 19 luglio 1995. Il posto di precedenza del richiedente non era così, sempre chiaro e, di conseguenza, questo non era in grado di contemplare il rimborso del suo debito dopo il disinteresse della categoria precedente di creditori. Il liquidatore affermò all’epoca dell’udienza del 26 agosto 1998 che si trattava di un creditore di quinto posto, questo che, agli occhi della Corte, potrebbe corrispondere eventualmente all’articolo 106 della legge del 1998. Ora il procedimento di fallimento nello specifico non era regolato da questa legge ma da quella e3l 1992 e dal codice civile del 1994 (vedere, i paragrafi 20, 21, 30, 34 e 35 sopra).
57. Così, essendo un creditore di primo posto ed avendo appreso che una certa categoria di creditori era stata rimborsata al 100% con interessi ed indicizzazione, il richiedente investì il liquidatore per fare valere i suoi diritti. In seguito a questa domanda, il richiedente ricevette il 6 aprile 1998 140 rubli, o lo 0,78% del suo credito, al motivo che il suo credito di un importo di 17 983 rubli rappresentava lo 0,78% del prodotto della liquidazione di 2 305 000 rubli. Tuttavia, secondo l’articolo 30 § 4 della legge del 1992, vista l’insufficienza di attivi, i creditori che hanno lo stesso posto del richiedente avrebbero dovuto essere liquidati proporzionalmente ai loro rispettivi crediti e, per determinare la somma da versare a ciascuno di loro, l’importo di ogni credito avrebbe dovuto essere riportato non al prodotto della liquidazione, ma all’importo totale dei crediti del posto dato.
58. La Corte nota che, non solo il principio legale di proporzionalità, che regola la distribuzione degli attivi tra i creditori di pari posto, è stato ignorata nello specifico, ma né l’articolo 30 della legge di 1992 né l’articolo 64 del codice civile conoscono la categoria dei creditori (invalidi, veterani della Seconda guerra mondiale, persone in situazione di bisogno) che fu liquidata dal liquidatore al 100%, con interessi ed indicizzazione. Non risulta da questi testi che i 700 creditori riguardati erano dei creditori della stessa categoria del richiedente. Il Governo non fornisce a questo riguardo nessuna spiegazione. Il primo paragrafo dell’articolo 30 precitato dispone unicamente che gli oneri necessari allo svolgimento delle operazioni di liquidazione, alla rimunerazione del liquidatore ed al mantenimento di funzionamento dell’impresa debitrice, sono prioritari rispetto ai creditori di primo posto. Supponendo anche che le “persone che hanno partecipato attivamente alle operazioni di liquidazione”, rimborsate anche interamente dal liquidatore, si dispongano in questa categoria, resta sconosciuto quale era la base legale del rimborso al 100% degli altri creditori sopra menzionati e quella della privazione del richiedente della somma dovutagli secondo il principio di proporzionalità (vedere, mutatis mutandis, Vasilescu c. Romania, sentenza del 22 maggio 1998, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-III, §§ 50-53). Ora, la Corte ricorda a questo riguardo che l’articolo 1 del Protocollo no 1 esige, innanzitutto e soprattutto, che un’ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni abbia una base legale (Gravina c. Italia, no 60124/00, § 79, 15 novembre 2005) e che la preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, è inerente all’insieme degli articoli della Convenzione (Iatridis, precitata, § 58).
59. In queste condizioni, la Corte conclude che nello specifico, le attività del liquidatore si analizzarono in una privazione di proprietà, anche se il richiedente non subisce alcuna privazione di beni formali (Papamichalopoulos ed altri c. Grecia, sentenza del 24 giugno 1993, serie A no 260-B, §§ 41 e 42). Queste attività non erano conformi alla legge interna e non potevano essere giustificate dall’ “utilità pubblica”, ciò che fu confermato dalle giurisdizioni interne nelle loro decisioni del 26 agosto e del 12 novembre 1998.
60. Così, avuto riguardo all’impossibilità per il richiedente di ottenere il rimborso effettivo del suo credito secondo il principio legale di proporzionalità, come ordinato dalle giurisdizioni interne il 26 agosto e il 12 novembre 1998, mentre una certa categoria di creditori la cui esistenza non era neanche prevista dalla legge, furono liquidati interamente, la Corte stima che il richiedente abbia subito una privazione di beni irregolare, incompatibile col suo diritto al rispetto dei suoi beni.
61. C’è stata quindi violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
62. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
63. Nel suo formulario di richiesta, il richiedente affermò che valutava il danno patrimoniale a 3 000 ed il danno morale a 48 000 dollari americani. Ora, dopo la decisione sull’ammissibilità, non presentò, nel termine assegnato a questo effetto, nessuna pretesa a titolo del danno subito o a quello di oneri e spese.
64. La Corte ricorda che non concede nessuna somma a titolo di soddisfazione equa dal momento che le pretese cifrate ed i giustificativi necessari non sono stati sottoposti nel termine assegnato a questo effetto dall’articolo 60 § 1 dell’ordinamento, anche nel caso in cui la parte richiedente avesse indicato le sue pretese ad un stadio anteriore del procedimento (Fadil Yilmaz c. Turchia, no 28171/02, § 26, 21 luglio 2005).
65. In applicazione di questi principi, la Corte stima che non c’è luogo di assegnare alcuna somma a titolo di soddisfazione equa nello specifico.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Respinge l’eccezione preliminare del Governo;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce che non c’è luogo di assegnare una somma a titolo di soddisfazione equa nello specifico.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 14 gennaio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Søren Nielsen Christos Rozakis
Cancelliere Presidente