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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE KOTOV c. RUSSIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 54522/00/2010
Stato:
Data: 2010-01-14 00:00:00
Organo: Sezione Prima
Testo Originale

PRIMA SEZIONE
CAUSA KOTOV C. RUSSIA
( Richiesta no 54522/00)
SENTENZA
STRASBURGO
14 gennaio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Kotov c. Russia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, riunendosi in una camera composta da:
Christos Rozakis, presidente, Nina Vajić, Anatoly Kovler, Elisabetta Steiner, Khanlar Hajiyev, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens, giudici,
e da Søren Nielsen, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 4 maggio 2006 e il 15 dicembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottata in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 54522/00) diretta contro la Federazione della Russia e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. V. M. K. (“il richiedente”), aveva investito la Commissione europea dei diritti dell’uomo (“la Commissione”) il 15 luglio 1998 in virtù del vecchio articolo 25 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il governo russo (“il Governo”) è stato rappresentato dal Sig. P. Laptev, rappresentante presso la Federazione della Russia della Corte europea dei diritti dell’uomo.
3. Il richiedente adduceva in particolare l’impossibilità di ottenere il rimborso effettivo del suo credito nella cornice del procedimento di liquidazione di una banca privata.
4. La richiesta è stata trasmessa alla Corte il 1 novembre 1998, data di entrata in vigore del Protocollo no 11 alla Convenzione (articolo 5 § 2 del Protocollo no 11).
5. Con una decisione del 4 maggio 2006, la camera ha dichiarato la richiesta parzialmente ammissibile.
6. Il Governo ha depositato delle osservazioni scritte complementari (articolo 59 § 1 dell’ordinamento) ma non il richiedente.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
7. Il richiedente è nato nel 1948 e risiede a Krasnodar.
1. Procedimento di restituzione degli averi contro la banca
8. Il 15 aprile 1994, il richiedente depositò 3 330 nuovi rubli (“rubli”) su un conto di risparmio della banca commerciale “Yurak” (“la banca”) con un tasso di interesse del 200% con anno. Tra l’aprile e il luglio 1994, tolse una somma di 555 rubli, accumulati sul conto a titolo di interessi. In seguito alla modifica del tasso di interesse da parte della banca, il richiedente chiese nell’agosto 1994 la chiusura del conto, ma la banca l’informò dell’impossibilità di restituirgli l’importo primitivo del suo deposito così come gli interessi dovuti, in ragione della mancanza di fondi.
9. Il richiedente citò la banca in giustizia e richiese il rimborso dell’importo primitivo del deposito, aumentato di interessi, il versamento delle penalità del 3% al giorno ed il compenso del danno patrimoniale, subito in ragione della costruzione di una casa, e morale, dovuto al deterioramento della sua salute.
10. Il 20 febbraio 1995, il tribunale del distretto di Oktyabrskii della città di Krasnodar fece parzialmente dritto a queste istanze. Stabilì che alla chiusura del conto, la banca doveva al richiedente una somma di 3 607 rubli, corrispondenti all’importo primitivo del deposito ed agli interessi a titolo del mese di agosto 1994. Procedendo all’indicizzazione di questa somma, il tribunale condannò la banca a pagare 6 276 rubli al richiedente. Ordinò peraltro il versamento di 3 330 rubli a titolo di penalità e di 500 rubli come compenso morale,ammontando la somma totale a 10 156 rubli.
11. Questa decisione fu confermata in ultima istanza il 21 marzo 1995.
12. Con una decisione del tribunale di Oktyabrskii del 5 aprile 1996, la suddetta somma fu portata a 17 983 rubli, tenuto conto della mancanza di versamento dei 10 156 rubli e del tasso di inflazione.
13. Nel frattempo, il 16 giugno 1995, su richiesta della Banca Centrale e della Banca di risparmio della Russia, la corte di arbitraggio della regione di Krasnodar dichiarò la banca in fallimento.
14. Il 19 luglio 1995, il procedimento di fallimento fu aperto dalla stessa corte ed fu nominato un liquidatore per procedere alle operazioni di liquidazione.
2. Primo procedimento di contestazione della distribuzione illegale degli attivi ai creditori
15. L’ 11 gennaio 1996, la corte di arbitraggio omologò il bilancio provvisorio di liquidazione secondo lo stato di tesoreria al 28 dicembre 1995.
16. Sul fondamento di questo bilancio, il comitato dei creditori della banca decise il 18 gennaio e il 13 marzo 1996 di fare distribuire gli attivi in primo luogo ad una certa categoria di creditori. Così, degli invalidi, veterani della Seconda guerra mondiale, persone in situazione di bisogno e persone che avevano partecipato attivamente alle operazioni di liquidazione, o 700 persone (il 10% dei creditori circa) furono rimborsati dal liquidatore al 100% dell’importo indicizzato dei loro depositi con interessi. Fu deciso di rimborsare gli altri creditori secondo le stesse modalità, secondo la costituzione degli attivi.
17. Il richiedente indirizzò al liquidatore una richiesta di rimborso del suo credito di 17 983 rubli. In seguito a questa richiesta, una somma di 140 rubli gli fu versata il 6 aprile 1998.
18. Il 22 aprile 1998, il richiedente contestò dinnanzi alla corte di arbitraggio il rimborso al 100% degli altri creditori, mentre, in quanto creditore di primo posto, aveva ricevuto solamente 140 rubli. Invocando gli articoli 15 e 30 della legge relativa all’insolvenza delle imprese del 1992 (“legge del 1992”), chiese il rimborso del restante del suo credito conformemente al principio di proporzionalità. L’articolo 30 di questa legge contemplava, in caso di insufficienza di attivi per liquidare tutti i creditori, il rimborso dei creditori parimenti posti proporzionalmente alla somma dovuta a ciascuno di essi. Nello specifico, in data della richiesta del richiedente, 2 305 000 rubli erano stati prelevati in seguito alle operazioni di liquidazione che erano servite a rimborsare al 100% le suddette differenti categorie di creditori (vedere sopra il paragrafo 16).
19. Il 6 luglio 1998, il richiedente fu respinto in prima istanza, al motivo che la somma del suo credito (17 983 rubli, corrispondeva al 0,78% degli attivi di un importo totale di 2 305 000 rubli che, prelevati in seguito alle operazioni di liquidazione, erano serviti per liquidare una certa categoria di creditori. Secondo la regola di proporzionalità, poteva ricevere dunque solo lol 0,78% di 17 983 rubli, o 140 rubli. Questa somma gli era stata versata già il 6 aprile 1998, mentre il restante del suo credito gli sarebbe stato rimborsato nei limiti dei fondi prelevati seguito alle operazioni di liquidazione a venire.
20. In appello, il 26 agosto 1998, la corte regionale di arbitraggio constatò che, contrariamente alle esigenze dell’articolo 27 della legge del 1992, il liquidatore non aveva redatto l’elenco dei creditori che permetteva di identificare i creditori da rimborsare in primo luogo e le somme corrispondenti da versare separatamente a ciascuno di essi. Seguendo i documenti prodotti dal liquidatore, non era possibile sapere quale era il posto di precedenza del richiedente tra tutti i creditori, affermando il liquidatore stesso oralmente che si trattava di un creditore al quinto posto. La corte regionale considerò che decidendo di rimborsare al 100% una certa categoria di creditori, il comitato dei creditori aveva superato i limiti delle sue competenze stabilite dall’articolo 23 della legge del 1992. Eseguendo tale decisione e distribuendo gli attivi in questo modo, il liquidatore aveva da parte sua infranto le esigenze degli articoli 15 e 30 della legge precitata. Ricordando che il 30 di questa legge non suscitava un’interpretazione ampia dei suoi termini, la corte regionale ingiunse al liquidatore di ovviare alle violazioni constatate entro un mese e di informarla a questo riguardo delle misure prese.
21. Il liquidatore ricorse in cassazione dinnanzi alla corte federale di arbitraggio del Caucaso del Nord e sostenne che aveva proceduto alla distribuzione degli attivi in esecuzione della decisione del comitato dei creditori, che questa distribuzione aveva avuto luogo conformemente all’articolo 64 del codice civile e che non era, per questo fatto, contraria alle esigenze dell’articolo 30 della legge del 1992 (vedere sotto i paragrafi 33 e 34). Il 12 novembre 1998, il suo ricorso fu respinto. Confermando la decisione del 26 agosto 1998, l’istanza di cassazione precisò che il liquidatore non avrebbe dovuto procedere all’esecuzione di una decisione resa dal comitato dei creditori in violazione della legge.
22. L’esecuzione della decisione del 26 agosto 1998 e, in particolare, la correzione della situazione finanziaria del richiedente, non furono possibili in ragione della mancanza di attivi.
3. Secondo procedimento di contestazione della distribuzione illegale degli attivi ai creditori
23. Messo a di fronte alla mancanza di esecuzione della decisione del 26 agosto 1998, il richiedente depositò dinnanzi alla corte di arbitraggio una querela del 2 settembre 1998 che completò in seguito con una querela del 27 gennaio 1999. Chiese che il liquidatore in persona gli rimborsasse la somma indicizzata del restante del suo credito di 17 983 rubli, con interessi, così come compenso del danno morale causato dalla sua azione illegale.
24. Le querele in questione furono esaminate nella cornice del procedimento di fallimento aperto contro la banca.
25. Il 4 febbraio 1999, la corte regionale di arbitraggio respinse la richiesta del richiedente al motivo che, il 20 febbraio 1995 e il 5 aprile 1996, il tribunale di distretto di Oktyabrskii aveva assegnato al richiedente una somma di 17 983 rubli a titolo dell’ordinamento del suo credito e di danni ed interessi, e che la corte non poteva pronunciarsi per la seconda volta sulle stesse richieste. La corte regionale stabilì che il richiedente figurava sotto il numero 519 dell’elenco dei creditori e che al titolo del deposito propriamente detto, la banca gli doveva una somma residua di 8 813 rubli. Ricordò che questa somma poteva essergli versata secondo le condizioni contemplate all’articolo 64 del codice civile.
26. Il 31 marzo 1999, una formazione della corte regionale di arbitraggio, deliberando in appello, confermò la decisione del 4 febbraio 1999 e ricordò che, conformemente alla legge del 1998, in vigore al momento dell’esame delle querele del richiedente, solo i crediti costituiti all’epoca del funzionamento della banca potevano essere oggetto di un rimborso. Di conseguenza, le richieste tese al versamento delle diverse somme alle quali il richiedente avrebbe acquisito il diritto dopo il fallimento della banca e durante la sua liquidazione, non potevano essere accolte. L’istanza di appello constatò che in virtù delle decisioni giudiziali, il richiedente si era visto riconoscere il diritto ad un credito di 17 983 rubli, ciò che corrispondeva al danno causato dalla banca prima del suo fallimento. Precisò che era lecito per richiedente ricuperare questa somma una volta prelevati gli attivi sufficienti in seguito alle operazioni di liquidazione. La querela del richiedente si riassumeva, agli occhi dell’istanza di appello, a richiedere la somma precitata, aumentata di penalità in ragione del suo non-ricevimento.
27. Il 9 giugno 1999, la corte federale di arbitraggio del Caucaso del Nord respinse il ricorso in cassazione del richiedente ai seguenti motivi:
“La decisione del comitato dei creditori e l’azione del liquidatore relativa al rimborso al 100% dei crediti a favore solamente di 700 creditori, sui 7 567 creditori della banca i cui crediti ammontano a 24 875 000 rubli, hanno in effetto violato il principio dell’ordinamento proporzionale dei crediti posti parimenti, ma non hanno recato il danno addotto al Sig. K., perché la soddisfazione al 100% di tutti i creditori al 1 posto non era possibile in ragione dell’insufficienza degli attivi suscettibili di essere distribuiti. La somma rimborsata al Sig. K. fu calcolata difatti, proporzionalmente all’importo del suo credito ed alla massa finanziaria emanata all’epoca del procedimento di liquidazione “
28. La giurisdizione di cassazione ricordò anche che il procedimento di liquidazione era ancora pendente e che il richiedente aveva la possibilità di ricevere il suo credito.
29. Il 17 giugno 1999, la corte regionale di arbitraggio omologò il bilancio di liquidazione, presentato dal liquidatore ed approvato dall’assemblea dei creditori, e chiuse il procedimento di fallimento per insufficienza di attivi.
4. Procedimento di supervisione
30. Dopo la comunicazione della richiesta al Governo, il presidente della Corte suprema di arbitraggio della Federazione della Russia formò, il 31 gennaio 2001, un ricorso per supervisione (protest) contro le decisioni del 4 febbraio, 31 marzo e 9 giugno 1999 (vedere sopra i paragrafi 25-27), al motivo che erano state rese in violazione dell’articolo 22 del codice di procedimento di arbitraggio (“CPA”) che determinava la competenza delle giurisdizioni di arbitraggio. In particolare, l’esame delle querele del richiedente del 2 settembre 1998 e del27 gennaio 1999 nella cornice del procedimento di fallimento aperto contro la banca sarebbe stato contrario alla legge del 1992 che aveva regolato questo procedimento. Le querele in questione che dipendono da una controversia che oppone il richiedente al liquidatore, non erano in rapporto col procedimento di fallimento in quanto tale ed il richiedente li avrebbe dovuti introdurre dinnanzi alle giurisdizioni di diritto comune.
31. Per questi motivi, il presidente richiese l’annullamento delle decisioni controverse e la chiusura dell’istanza relativa alle suddette querele. Il 17 aprile 2001, il Présidium della Corte suprema di arbitraggio della Federazione della Russia fece interamente dritto a queste domande facendo suoi gli argomenti invocati nel ricorso.
32. Il 1 giugno 2001, il richiedente investì lo stesso Présidium di un’istanza di revisione della decisione del 17 aprile 2001. Il 4 luglio 2001, questa istanza fu respinta dal vicepresidente della Corte suprema di arbitraggio per difetto di fondamento.
II. IL DIRITTO E LE PRATICA INTERNA PERTINENTI
1. Codice civile del 1994
33. Conformemente all’articolo 63, dopo la scadenza del termine in cui i creditori devono fare le loro domande, la commissione di liquidazione stabilisce un bilancio di liquidazione provvisorio contenente le informazioni relative al patrimonio del fallito, alle domande presentate dai creditori ed ai risultati dell’esame di queste. Questo bilancio deve essere approvato dall’organo che ha preso la decisione di procedere alla liquidazione dell’impresa. Se la massa pecuniaria di cui dispone l’impresa non è sufficiente per soddisfare le domande dei creditori, la commissione di liquidazione procede alla vendita del suo patrimonio all’ asta. La distribuzione degli attivi ai creditori può cominciare conformemente al bilancio provvisorio una volta approvato questo, eccetto i creditori di quinto posto che possono ricevere la somma dovuta solo alla scadenza del termine di un mese a partire dall’approvazione di questo bilancio. Una volta compiute tutte le operazioni di pagamento, viene preparato ed approvato il bilancio di liquidazione definitiva secondo le stesse vie. In caso di insufficienza di attivi, i creditori lesi possono investire i tribunali chiedendo che il proprietario dell’impresa li liquidi coi suoi propri denari.
L’articolo 64 del codice civile, come in vigore prima del 20 febbraio 1996, distingueva cinque categorie di creditori, ciascuna che doveva essere rimborsata una volta disinteressata la categoria precedente. Secondo questa archiviazione, il richiedente dipendeva dalla quinta categoria “di altri creditori.” L’articolo 64 non menziona la categoria dei creditori pensionati, veterani della Seconda guerra mondiale né quella di persone in situazione di bisogno.
Ai termini del nuovo capoverso, introdotto in questo articolo il 20 febbraio 1996, all’epoca della liquidazione di una banca o di un’altra struttura di credito, gli individui che avevano depositato del denaro venivano rimborsati in primo luogo.
L’articolo 64 precisava inoltre che in caso di insufficienza di attivi della persona giuridica in liquidazione, questi dovevano essere distribuiti proporzionalmente ai loro crediti tra i creditori di posto parimenti.
2. Legge del 19 novembre 1992 (“legge del 1992”), relativa all’insolvenza delle imprese, applicabile ai procedimenti di fallimento aperti prima del 1 marzo 1998
34. Conformemente all’articolo 3 §§ 1 e 2, le cause di fallimento dipendono dalla competenza delle giurisdizioni di arbitraggio che li esaminano secondo le regole previste da questa legge e, in mancanza di tali regole, conformemente al codice di procedimento di arbitraggio della Federazione della Russia.
Secondo l’articolo 15 della legge, il procedimento di fallimento è aperto allo scopo di soddisfare proporzionalmente le domande dei creditori, di dichiarare il fallito esonerato dai suoi obblighi e di proteggere le parti dalle azioni illecite tra loro.
Ai termini dell’articolo 18 § 2, a partire dalla dichiarazione di insolvenza dell’impresa e dell’apertura del procedimento di fallimento a suo carico, ogni pretesa di carattere patrimoniale può essere presentata unicamente a questa impresa nella cornice del procedimento di fallimento.
Secondo l’articolo 19, le giurisdizioni di arbitraggio nominano il liquidatore e, nei casi previsti da questa legge, esaminano il carattere lecito degli atti delle parti al procedimento di fallimento. Secondo l’articolo 20, queste parti sono il liquidatore, il comitato dei creditori, il creditore, ecc.
Ai termini dell’articolo 21 § 1, il liquidatore dispone dei beni del fallito, analizza la sua situazione finanziaria, esamina la fondatezza delle domande dei creditori, accetta o respinge queste, procedi alle operazioni di liquidazione in vista della costituzione degli attivi, dirige la struttura in fallimento, forma e dirige la commissione di liquidazione, convoca l’assemblea dei creditori.
Conformemente all’articolo 21 § 2 composto con l’articolo 12 § 4, il candidato alla posizione di liquidatore deve essere un economista o un giurista o deve avere un’esperienza di gestione di impresa. Deve avere il casellario giudiziario vergine. Non può essere nominata liquidatore la persona che detiene una posizione di responsabilità in seno all’impresa debitrice o creditrice. Il candidato alla posizione di liquidatore deve presentare la dichiarazione dei suoi redditi e della sua situazione patrimoniale.
Secondo l’articolo 21 § 3, il liquidatore può investire la corte di arbitraggio contro le decisioni dell’assemblea, del comitato, dei creditori, quando queste escono dal campo di competenza dell’assemblea, del comitato.
Secondo l’articolo 27 § 1, dopo la scadenza del termine di due mesi in cui i creditori devono presentare le loro pretese allo sguardo del fallito, il liquidatore redige un elenco di pretese ammesse e respinte indicando l’importo corrispondente a queste che è stato ammesso così come il posto di precedenza per ciascuna di esse. Questo elenco deve essere indirizzato ai creditori entro due mesi.
L’articolo 30 stabilisce i differenti posti di precedenza in vista della divisione del prodotto della liquidazione. Si procede al versamento delle somme dovute a profitto dei creditori di un certo posto solo dopo il disinteresse dei creditori del posto precedente (paragrafo 3). In caso di insufficienza di attivi per soddisfare le domande di tutti i creditori di un dato posto, questi sono liquidati proporzionalmente ai loro rispettivi crediti (paragrafo 4). L’articolo 30 non menziona la categoria dei creditori invalidi o veterani della Seconda guerra mondiale né quella di persone in situazione di bisogno. Il suo paragrafo 1 dispone che gli oneri necessari allo svolgimento delle operazioni di liquidazione, alla rimunerazione del liquidatore ed al mantenimento di funzionamento dell’impresa debitrice sono prioritari rispetto ai creditori di primo posto.
L’articolo 31 contempla la possibilità per un creditore di contestare dinnanzi alle giurisdizioni di arbitraggio la decisione del liquidatore che, secondo lui, ignora i suoi diritti ed interessi legittimi.
Secondo l’articolo 35 § 3, le esigenze non soddisfatte in ragione dell’insufficienza del prodotto della liquidazione vengono considerate come estinte.
L’articolo 38 dispone che il fallito venga reputato liquidato a partire dalla sua esclusione dal registro nazionale corrispondente, in virtù della decisione della corte di arbitraggio che conclude alla chiusura del procedimento di fallimento.
3. Legge federale dell’ 8 gennaio 1998, relativa all’insolvenza (“legge del 1998”), applicabile ai procedimenti di fallimento aperti dopo il 1 marzo 1998
35. L’articolo 21 § 3 di questa legge dispone che i creditori hanno il diritto di esigere dal liquidatore il compenso del danno che questo avrebbe causato loro con un’azione o un’omissione contraria alla legge.
Conformemente al capoverso 7 dell’articolo 98 § 1 di questa legge, ogni pretesa verso il fallito può essere presentata unicamente nella cornice del procedimento di fallimento (vedere anche l’articolo della legge 18 § 2 del 1992).
L’articolo 114 contempla gli stessi principi di distribuzione e di proporzionalità dell’articolo 30 della legge del 1992.
4. Codice di procedura di arbitraggio del 1995 (“CPA”), come in vigore all’epoca dei fatti
36. Ai termini dell’articolo 131, ingiungendo alla parte convenuta di compiere un atto definito che non dipende dalla trasmissione di un bene o di un versamento di una somma pecuniaria, la corte di arbitraggio indica che, dove ed in che termini deve compiere questo atto.
Secondo l’articolo 143, le cause di fallimento sono esaminate dai corsi di arbitraggio conformemente al presente codice e secondo le particolarità previste dalla legge relativa al fallimento.
5. Sentenza della Corte costituzionale del 12 marzo 2001
37. Il paragrafo 4 relativo alla costituzionalità dell’articolo 18 § 2 della legge del 1992, articolo 98 § 1 in combinazione con gli articoli 15 § 4 e 55 § 1 della legge del 1998, si legge così:
“(…) all’epoca dell’esame delle querele degli individui creditori, le giurisdizioni di arbitraggio non hanno la competenza per decretare contro il liquidatore delle direttive obbligatorie di carattere patrimoniale, portando riconoscenza di un credito o di un diritto a favore di questi creditori. Questa limitazione non si deve interpretare come se impedisse alle giurisdizioni di diritto comune di esaminare al merito le domande di carattere patrimoniale di questi creditori, conformemente alla legislazione relativa all’insolvenza.
Le disposizioni controverse non contengono peraltro clausole che impedirebbero alle giurisdizioni di arbitraggio di rendere delle decisioni che permettono agli interessati di realizzare pienamente il loro diritto alla protezione giudiziale nella cornice del procedimento di fallimento, tanto più che altre disposizioni della legge federale relativa all’insolvenza, il fallimento, contemplano proprio l’ordinamento di controversie tramite via giudiziale, (articoli 41, 44, 57, 107, 108 ed altri).
Il rifiuto di una corte di arbitraggio di esaminare la querela a causa di incompetenza non impedisce al creditore di investire le giurisdizioni di diritto comune in vista della protezione dei suoi diritti. Il diritto alla protezione giudiziale, consacrata dalla Costituzione, si deve realizzare anche in caso di mancanza di norme legislative che precisano la divisione di competenze tra le giurisdizioni di arbitraggio e quelle di diritto comune.
In seguito a questa interpretazione, [le disposizioni in questione] non impediscono né alle giurisdizioni di diritto comune di esaminare le domande dei creditori che non sono delle imprese individuali, dirette contro il liquidatore e tese (…) al compenso del danno, né le giurisdizioni di arbitraggio di garantire l’esecuzione, conformemente alla legge federale precitata, delle decisioni rese dalle giurisdizioni di diritto comune. (…) “
IN DIRITTO
38. Il richiedente denuncia l’impossibilità di ottenere il rimborso effettivo del suo credito in ragione della distribuzione illegale degli attivi da parte del liquidatore. L’articolo 1 del Protocollo no 1 è formulato così:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
I. SULL’ECCEZIONE PRELIMINARE DEL GOVERNO
39. Il Governo reitera la sua eccezione di inammissibilità, respinta anteriormente dalla Corte (vedere Kotov c. Russia (déc), no 54522/00, 4 maggio 2006) per sostenere che il motivo di appello del richiedente cozza contro un problema di non-esaurimento delle vie di ricorso interne. In particolare, stima che il richiedente avrebbe dovuto impegnare, nella cornice di un procedimento indipendente dinnanzi alle giurisdizioni di diritto comune, la responsabilità personale del liquidatore conformemente al capitolo 59 del codice civile (“Obblighi in seguito al danno causato”) per denunciare la distribuzione illegale degli attivi della banca. Questo tanto più che le decisioni del 4 febbraio, 31 marzo e 9 giugno 1999, rese a proposito delle querele del richiedente, tese ad ottenere il risarcimento del danno causato dal liquidatore in persona, erano state annullate il 17 aprile 2001 in ragione dell’incompetenza del giudice di arbitraggio in materia. Essendo stato riconosciuto Il carattere illegale dell’azione del liquidatore dalle giurisdizioni di arbitraggio nel 1998, secondo il Governo, il compenso del danno causato sarebbe stato più facile tramite un procedimento di diritto comune diretto contro il liquidatore in quanto individuo.
40. La Corte ricorda che gli stessi argomenti del Governo sono stati esaminati già in dettaglio allo stadio di ammissibilità prima di venire respinti nei suoi termini:
“(…) Le decisioni del 4 febbraio, 31 marzo e 9 giugno 1999, passate in giudicato, furono annullate nel 2001 in seguito ad un ricorso per supervisione (protest). La Corte tiene a ricordare che tale pratica pone in sé un grave problema sul piano del principio della sicurezza giuridica, uno degli elementi fondamentali della preminenza del diritto (Brumărescu c. Romania [GC], no 28342/95, §§ 61 e 62, CEDH 1999-VII; Riabykh c. Russia, no 52854/99, § 57, CEDH 2003-IX). Per di più, l’annullamento in questione intervenne nello specifico dopo la comunicazione della richiesta al governo convenuto e servì a questo per sollevare un’eccezione derivata dal non-esaurimento delle vie di ricorso interne. Ora, la Corte non stima che tale eccezione possa essere tratta validamente dall’annullamento delle decisioni del 1999, poiché, nella cornice del precedente procedimento, il richiedente aveva denunciato, secondo le vie legali, l’attentato portato al suo diritto al rispetto dei suoi beni dall’azione del liquidatore.
In particolare, conformemente all’articolo 31 della legge di 1992, quella che regola il procedimento di fallimento nello specifico, il richiedente contestò dinnanzi alle giurisdizioni di arbitraggio la distribuzione degli attivi da parte del liquidatore che, secondo lui, ignorava i suoi diritti ed interessi legittimi. Nella cornice di questo procedimento finito dalla decisione di cassazione del 12 novembre 1998, ottenne guadagno di causa, avendo riconosciuto le giurisdizioni di arbitraggio, in appello come in cassazione, la violazione dei suoi diritti da parte del liquidatore. Constatarono da una parte differenti vizi nella condotta del procedimento da parte del liquidatore e, dall’altra parte, affermarono chiaramente che avendo proceduto all’esecuzione delle decisioni prese dal comitato dei creditori in incomprensione della legge del 1992, il liquidatore si era reso colpevole di una distribuzione illegale del prodotto della liquidazione. Ordinarono che si ovviasse a queste violazioni entro un mese. Si è obbligati a constatare dunque che le giurisdizioni interne, competenti in materia di fallimento, esaminarono le pretese del richiedente al merito. Non solo riconobbero l’incomprensione dei diritti dell’interessato, ma ordinarono anche che le conseguenze venissero cancellate. (…)
Avuto riguardo a ciò che precede, la Corte stima che, malgrado l’annullamento delle decisioni rese nel 1999, il Governo non ha basi per opporre un’eccezione derivata dal non-esaurimento delle vie di ricorso interne al richiedente, il procedimento di arbitraggio precedente, finito dalla decisione di cassazione del 12 novembre 1998, essendo sufficiente a soddisfare le esigenze dell’articolo 35 § 1 della Convenzione ai fini del motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1. “
41. In queste condizioni, e visto che niente giustifica di scostarsi da questa conclusione, la Corte respinge l’eccezione preliminare del Governo.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
1. Argomenti del Governo
42. Nelle sue osservazioni complementari, il Governo reitera che lo stato non ha nessuna responsabilità nel fallimento delle relazioni commerciali liberamente acconsentite tra il richiedente ed una banca privata. Lo stato non si intromise mai nell’esercizio del diritto del richiedente al rispetto dei suoi beni. L’ingerenza controversa nello specifico provenne dalla banca e dal liquidatore senza che lo stato fosse stato tenuto dalla legge ad indennizzare il richiedente per le perdite subite.
43. Peraltro, il Governo ricorda che l’articolo 1 del Protocollo no 1 non obbliga lo stato a mantenere il potere di acquisto rappresentato dalle somme depositate negli istituti finanziari (vedere, tra altre, Riabykh c. Russia, no 52854/99, § 63, CEDH 2003-IX). Secondo lui, la responsabilità dello stato è limitata a stabilire le regole di proporzionalità in vista della distribuzione della massa emanata all’epoca della liquidazione delle imprese private. Il fatto che, malgrado l’esistenza di queste regole, il richiedente non abbia potuto ricuperare la somma dovuta in ragione del fallimento della banca e della mancanza di attivi sufficienti non potrebbe dunque essere imputabile allo stato.
44. Il Governo sostiene che il liquidatore realizzava le sue attività a titolo individuale e che, conformemente all’articolo 21 della legge del 1992, era personalmente responsabile dell’inadempimento o dell’esecuzione inadatta dei suoi obblighi. Nel 2002, un emendamento all’articolo 20 di questa legge rinforzò del resto questo dispositivo introducendo un’esigenza di aderire ad un’assicurazione per le mancanze commesse dal liquidatore. Il fatto che lo stato non era responsabile degli atti illegali di questa persona sarebbe stato confermato, secondo il Governo, dalla Corte costituzionale nella sua sentenza del 12 marzo 2001 e dal Présidium della Corte suprema di arbitraggio nella sua decisione del 17 aprile 2001. Il controllo degli atti del liquidatore e del rispetto del principio della distribuzione proporzionale dei fondi incombeva sulle giurisdizioni di arbitraggio, competenti per esaminare le controversie nate all’epoca del procedimento di liquidazione tra i creditori ed i liquidatori.
45. In riassunto, per il Governo, lo stato rispettò i suoi obblighi a titolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 stabilendo le regole legali di ripartizione equa di fondi ed instaurando delle vie di ricorso per palliare alle insufficienze del procedimento di liquidazione o alle illegalità commesse all’epoca di questa.
46. Il richiedente, sebbene mantenga la sua richiesta, non presentò osservazioni complementari (vedere sopra 5 e 6 i paragrafi).
2. Valutazione della Corte
47. La Corte ricorda che l’articolo 1 del Protocollo no 1 contiene tre norme distinte: la prima che si esprime nella prima frase del primo capoverso e riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, che figura nella seconda frase dello stesso capoverso, prevede la privazione di proprietà e la sottopone a certe condizioni; in quanto alla terza, registrata nel secondo capoverso, riconosce agli Stati contraenti il potere, tra l’altro, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale. La seconda e la terza che hanno fatto riferimento agli esempi particolari di attentati al diritto di proprietà, si devono interpretare alla luce del principio consacrato dalla prima (Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 55, CEDH 1999-II).
48. La Corte nota che nello specifico, in virtù delle decisioni giudiziali del 20 febbraio 1995 e del 5 aprile 1996 (vedere sopra i paragrafi 10 e 12), il richiedente era titolare di un credito esigibile di 10 156 rubli, portato a 17 983 rubli che costituiva un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Bourdov c. Russia, no 59498/00, § 40, CEDH 2002-III). Questo del resto non ha suscitato controversia tra le parti.
49. La Corte rileva poi che il richiedente non poté ottenere il versamento di questo credito, poiché nel frattempo, il 16 giugno 1995, il debitore – una banca privata – fu dichiarato in fallimento. Un liquidatore fu nominato allora il 19 luglio 1995 dalle giurisdizioni di arbitraggio per procedere alle operazioni di liquidazione. Così, in seguito alla dichiarazione di fallimento, l’ingerenza nel diritto del richiedente al rispetto dei suoi beni si analizzava in una regolamentazione dell’uso dei beni ai sensi del secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Luordo c. Italia, no 32190/96, § 67, CEDH 2003-IX). In virtù dell’articolo 15 della legge del 1992, questo procedimento di fallimento prevedeva, da una parte, a liquidare i creditori e, dall’altra parte, a proteggere le parti dagli atti illeciti tra loro. L’ingerenza in questione inseguiva dunque uno scopo legittimo e conforme all’interesse generale, ossia la protezione dei diritti di altrui.( ibid § 68). In queste condizioni, e visto le difficoltà incontrate all’epoca della costituzione del prodotto della liquidazione, la Corte non è convinta che il richiedente avrebbe potuto sperare, con un grado ragionevole di certezza, di ricuperare la totalità del suo credito come definito dai tribunali di diritto comune il 20 febbraio 1995 e poi il 5 aprile 1996, anche se le giurisdizioni di arbitraggio, competenti in materia di fallimento, confermarono parecchie volte che l’importo di questo credito ammontava a 17 983 rubli.
50. Comunque sia, per la Corte, il problema non risiede, nello specifico, nel procedimento di fallimento in quanto tale e non si pone dunque sotto l’angolo della “regolamentazione dell’uso dei beni.” Si pone sul terreno del primo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, considerando la privazione definitiva dei beni di cui il richiedente fu oggetto nella cornice di questo procedimento.
51. La Corte, come il Governo, non dubita che lo stato non potrebbe essere ritenuto responsabile degli obblighi di un istituto privato che, caduto in fallimento, non è in grado di liberarsi dai suoi debiti (Bobrova c. Russia, no 24654/03, § 16, 17 novembre 2005). Conviene tuttavia studiare se ed in quale misura la responsabilità dello stato può essere assunta a causa di un atto o di un’omissione del liquidatore i cui atti illegali sono denunciati nello specifico (mutatis mutandis, Katsyuk c. Ucraina, no 58928/00, § 38 in fine, 5 aprile 2005). Difatti, il richiedente non invoca come tale responsabilità dello stato nell’ambito delle relazioni contrattuali tra lui e le banche private. I suoi motivi di appello sono fondati sull’azione illegale del liquidatore e sull’impossibilità di fare valere i suoi diritti di fronte all’abuso di potere da parte di questo.
52. A differenza del Governo, la Corte stima che il liquidatore può essere considerato come un rappresentante dello stato, avuto in particolare riguardo al suo statuto come definito dagli articoli 19 e 21 della legge del 1992. Queste disposizioni determinano le condizioni richieste per il candidato alla posizione di liquidatore e le caratteristiche che deve possedere senza precisare tuttavia se si deve trattare di una persona privata o di un funzionario. Anche se si tratta di una persona privata, vista la natura delle funzioni del liquidatore e la sua abilitazione da parte delle giurisdizioni interne per esercitare queste, la Corte non stima che lo stato possa sottrarsi alla ̀sua responsabilità ́delegando i suoi obblighi a questo individuo (mutatis mutandis, Costello-Roberts c. Regno Unito, sentenza del 25 marzo 1993, serie A no 247-C, p. 58, § 27 in fine). Difatti, secondo le disposizioni precitate, questo non è un liquidatore professionale ma un economista o un giurista abilitato dalle giurisdizioni interne a condurre il procedimento di fallimento. Queste stesse giurisdizioni del resto sorvegliano le sue attività (vedere, a contrario, Katsyuk, precitata, § 39.) Nella cornice dei suoi poteri che sono definiti dalla legge dunque, il liquidatore esercita delle funzioni che dipendono dal potere pubblico e si trova investito della missione di predisporre un “giusto equilibrio” tra gli imperativi dell’interesse generale e quelli della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (vedere, tra altre, Luordo, precitats, §§ 67-69). Di conseguenza, agli occhi della Corte, i suoi atti ed omissioni impegnano, nelle circostanze dello specifico, la responsabilità dello stato (vedere, mutatis mutandis, Sychev c. Ucraina, no 4773/02, §§ 53 e 54, 11 ottobre 2005).
53. La Corte stima che gli attivi emanati in seguito alle prime operazioni di liquidazione (2 305 000 rubli) avrebbero potuto bastare per soddisfare il credito del richiedente, almeno una parte considerevole di questa, se il liquidatore avesse agito verso l’interessato, creditore di primo posto, conformemente alla legge. L’impossibilità definitiva per il richiedente di ricuperare il suo credito per un importo superiore a 140 rubli (vedere sopra il paragrafo 17) derivò direttamente anche dall’abuso di potere da parte del liquidatore, rendendo questo abuso impossibile l’esecuzione, parziale, delle decisioni del 20 febbraio 1995 e del 5 aprile 1996 ed allo stesso tempo togliendo ogni effetto utile alle decisioni di arbitraggio del 26 agosto e del 12 novembre 1998 (vedere sopra i paragrafi 20-22). Difatti, queste decisioni del 1998 che conclusero all’illegalità dell’azione del liquidatore ed ordinarono la correzione della situazione del richiedente, non poterono essere eseguite, avendo proceduto il liquidatore già nel 1996 alla distribuzione quasi integrale del prodotto della liquidazione.
54. Secondo la legge russa, in caso di insufficienza del prodotto della liquidazione per liquidare l’insieme dei creditori, questo prodotto deve essere ripartito tra i creditori parimenti posti in proporzione dei loro crediti. I creditori di un dato posto non possono essere liquidati prima del rimborso dei creditori del posto precedente (vedere, ai paragrafi 33 e 34 sopra, articolo 30 §§ 3 e 4 della legge di 1992 ed articolo 64 del codice civile del 1994).
55. Ai termini dell’articolo 64 del codice civile del 1994, come emendato il 20 febbraio 1996, all’epoca della liquidazione di una banca o di un altro istituto di credito, gli individui che avevano depositato del denaro vengono rimborsati in primo luogo. Il richiedente era dunque, a partire dal 20 febbraio 1996, un creditore di primo posto e gli obblighi della banca verso di lui avrebbero dovuto essere perciò onorati. Ora, la distribuzione dei fondi emanati dal liquidatore intervenne in seguito alle decisioni del comitato dei creditori del 18 gennaio e del 13 marzo 1996 senza che il richiedente percepisse alcuna somma di denaro.
56. Anche se, al 4 febbraio 1999 (vedere sopra il paragrafo 25), il richiedente disponeva di un numero personale sull’elenco dei creditori da rimborsare, risulta dalla decisione del 26 agosto 1998 che in questa ultima data, il liquidatore non aveva redatto ancora l’elenco dei creditori conformemente alle esigenze dell’articolo 27 della legge del 1992, mentre il procedimento di fallimento era aperto dal 19 luglio 1995. Il posto di precedenza del richiedente non era così, sempre chiaro e, di conseguenza, questo non era in grado di contemplare il rimborso del suo debito dopo il disinteresse della categoria precedente di creditori. Il liquidatore affermò all’epoca dell’udienza del 26 agosto 1998 che si trattava di un creditore di quinto posto, questo che, agli occhi della Corte, potrebbe corrispondere eventualmente all’articolo 106 della legge del 1998. Ora il procedimento di fallimento nello specifico non era regolato da questa legge ma da quella e3l 1992 e dal codice civile del 1994 (vedere, i paragrafi 20, 21, 30, 34 e 35 sopra).
57. Così, essendo un creditore di primo posto ed avendo appreso che una certa categoria di creditori era stata rimborsata al 100% con interessi ed indicizzazione, il richiedente investì il liquidatore per fare valere i suoi diritti. In seguito a questa domanda, il richiedente ricevette il 6 aprile 1998 140 rubli, o lo 0,78% del suo credito, al motivo che il suo credito di un importo di 17 983 rubli rappresentava lo 0,78% del prodotto della liquidazione di 2 305 000 rubli. Tuttavia, secondo l’articolo 30 § 4 della legge del 1992, vista l’insufficienza di attivi, i creditori che hanno lo stesso posto del richiedente avrebbero dovuto essere liquidati proporzionalmente ai loro rispettivi crediti e, per determinare la somma da versare a ciascuno di loro, l’importo di ogni credito avrebbe dovuto essere riportato non al prodotto della liquidazione, ma all’importo totale dei crediti del posto dato.
58. La Corte nota che, non solo il principio legale di proporzionalità, che regola la distribuzione degli attivi tra i creditori di pari posto, è stato ignorata nello specifico, ma né l’articolo 30 della legge di 1992 né l’articolo 64 del codice civile conoscono la categoria dei creditori (invalidi, veterani della Seconda guerra mondiale, persone in situazione di bisogno) che fu liquidata dal liquidatore al 100%, con interessi ed indicizzazione. Non risulta da questi testi che i 700 creditori riguardati erano dei creditori della stessa categoria del richiedente. Il Governo non fornisce a questo riguardo nessuna spiegazione. Il primo paragrafo dell’articolo 30 precitato dispone unicamente che gli oneri necessari allo svolgimento delle operazioni di liquidazione, alla rimunerazione del liquidatore ed al mantenimento di funzionamento dell’impresa debitrice, sono prioritari rispetto ai creditori di primo posto. Supponendo anche che le “persone che hanno partecipato attivamente alle operazioni di liquidazione”, rimborsate anche interamente dal liquidatore, si dispongano in questa categoria, resta sconosciuto quale era la base legale del rimborso al 100% degli altri creditori sopra menzionati e quella della privazione del richiedente della somma dovutagli secondo il principio di proporzionalità (vedere, mutatis mutandis, Vasilescu c. Romania, sentenza del 22 maggio 1998, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-III, §§ 50-53). Ora, la Corte ricorda a questo riguardo che l’articolo 1 del Protocollo no 1 esige, innanzitutto e soprattutto, che un’ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni abbia una base legale (Gravina c. Italia, no 60124/00, § 79, 15 novembre 2005) e che la preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, è inerente all’insieme degli articoli della Convenzione (Iatridis, precitata, § 58).
59. In queste condizioni, la Corte conclude che nello specifico, le attività del liquidatore si analizzarono in una privazione di proprietà, anche se il richiedente non subisce alcuna privazione di beni formali (Papamichalopoulos ed altri c. Grecia, sentenza del 24 giugno 1993, serie A no 260-B, §§ 41 e 42). Queste attività non erano conformi alla legge interna e non potevano essere giustificate dall’ “utilità pubblica”, ciò che fu confermato dalle giurisdizioni interne nelle loro decisioni del 26 agosto e del 12 novembre 1998.
60. Così, avuto riguardo all’impossibilità per il richiedente di ottenere il rimborso effettivo del suo credito secondo il principio legale di proporzionalità, come ordinato dalle giurisdizioni interne il 26 agosto e il 12 novembre 1998, mentre una certa categoria di creditori la cui esistenza non era neanche prevista dalla legge, furono liquidati interamente, la Corte stima che il richiedente abbia subito una privazione di beni irregolare, incompatibile col suo diritto al rispetto dei suoi beni.
61. C’è stata quindi violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
62. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
63. Nel suo formulario di richiesta, il richiedente affermò che valutava il danno patrimoniale a 3 000 ed il danno morale a 48 000 dollari americani. Ora, dopo la decisione sull’ammissibilità, non presentò, nel termine assegnato a questo effetto, nessuna pretesa a titolo del danno subito o a quello di oneri e spese.
64. La Corte ricorda che non concede nessuna somma a titolo di soddisfazione equa dal momento che le pretese cifrate ed i giustificativi necessari non sono stati sottoposti nel termine assegnato a questo effetto dall’articolo 60 § 1 dell’ordinamento, anche nel caso in cui la parte richiedente avesse indicato le sue pretese ad un stadio anteriore del procedimento (Fadil Yilmaz c. Turchia, no 28171/02, § 26, 21 luglio 2005).
65. In applicazione di questi principi, la Corte stima che non c’è luogo di assegnare alcuna somma a titolo di soddisfazione equa nello specifico.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Respinge l’eccezione preliminare del Governo;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce che non c’è luogo di assegnare una somma a titolo di soddisfazione equa nello specifico.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 14 gennaio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Søren Nielsen Christos Rozakis
Cancelliere Presidente

Testo Tradotto

PREMIÈRE SECTION
AFFAIRE KOTOV c. RUSSIE
(Requête no 54522/00)
ARRÊT
STRASBOURG
14 janvier 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Kotov c. Russie,
La Cour européenne des droits de l’homme (première section), siégeant en une chambre composée de :
Christos Rozakis, président,
Nina Vajić,
Anatoly Kovler,
Elisabeth Steiner,
Khanlar Hajiyev,
Dean Spielmann,
Sverre Erik Jebens, juges,
et de Søren Nielsen, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil les 4 mai 2006 et 15 décembre 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette dernière date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 54522/00) dirigée contre la Fédération de Russie et dont un ressortissant de cet Etat, M. V. M. K. (« le requérant »), avait saisi la Commission européenne des droits de l’homme (« la Commission ») le 15 juillet 1998 en vertu de l’ancien article 25 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le gouvernement russe (« le Gouvernement ») a été représenté par M. P. Laptev, représentant de la Fédération de Russie auprès de la Cour européenne des droits de l’homme.
3. Le requérant alléguait en particulier l’impossibilité d’obtenir le remboursement effectif de sa créance dans le cadre de la procédure de liquidation d’une banque privée.
4. La requête a été transmise à la Cour le 1er novembre 1998, date d’entrée en vigueur du Protocole no 11 à la Convention (article 5 § 2 du Protocole no 11).
5. Par une décision du 4 mai 2006, la chambre a déclaré la requête partiellement recevable.
6. Le Gouvernement a déposé des observations écrites complémentaires (article 59 § 1 du règlement), mais non le requérant.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
7. Le requérant est né en 1948 et réside à Krasnodar.
1. Procédure en restitution d’avoirs contre la banque
8. Le 15 avril 1994, le requérant déposa 3 330 nouveaux roubles (« roubles ») sur un compte d’épargne de la banque commerciale « Yurak » (« la banque ») avec un taux d’intérêt de 200 % par an. Entre avril et juillet 1994, il retira une somme de 555 roubles, accumulée sur le compte au titre d’intérêts. Suite à la modification du taux d’intérêt par la banque, le requérant demanda en août 1994 la fermeture du compte, mais la banque l’informa de l’impossibilité de lui restituer le montant primitif de son dépôt ainsi que les intérêts dus, en raison de l’absence de fonds.
9. Le requérant assigna la banque en justice et requit le remboursement du montant primitif du dépôt, majoré d’intérêts, le versement des pénalités de 3 % par jour et la compensation du dommage matériel (subi en raison de la construction d’une maison) et moral (dû à la détérioration de sa santé).
10. Le 20 février 1995, le tribunal du district d’Oktyabrskii de la ville de Krasnodar fit partiellement droit à ces demandes. Il établit qu’à la fermeture du compte, la banque devait au requérant une somme de 3 607 roubles, correspondant au montant primitif du dépôt et aux intérêts au titre du mois d’août 1994. Procédant à l’indexation de cette somme, le tribunal condamna la banque à payer au requérant 6 276 roubles. Il ordonna par ailleurs le versement de 3 330 roubles au titre de pénalités et de 500 roubles comme compensation morale, la somme totale s’élevant à 10 156 roubles.
11. Cette décision fut confirmée en dernier ressort le 21 mars 1995.
12. Par une décision du tribunal d’Oktyabrskii du 5 avril 1996, la somme susmentionnée fut portée à 17 983 roubles, compte tenu de l’absence de versement de 10 156 roubles et du taux d’inflation.
13. Entre-temps, le 16 juin 1995, sur demande de la Banque Centrale et de la Banque d’Epargne de la Russie, la cour d’arbitrage de la région de Krasnodar déclara la banque en faillite.
14. Le 19 juillet 1995, la procédure de faillite fut ouverte par la même cour et un liquidateur fut nommé pour procéder aux opérations de liquidation.
2. Première procédure en contestation de la distribution illégale des actifs aux créanciers
15. Le 11 janvier 1996, la cour d’arbitrage homologua le bilan provisoire de liquidation selon l’état de trésorerie au 28 décembre 1995.
16. Sur le fondement de ce bilan, le comité des créanciers de la banque décida les 18 janvier et 13 mars 1996 de faire distribuer les actifs à une certaine catégorie de créanciers en premier lieu. Ainsi, des invalides, vétérans de la Seconde guerre mondiale, personnes en situation de besoin et personnes ayant participé activement aux opérations de liquidation, soit 700 personnes (10 % de créanciers environ), furent remboursés par le liquidateur à 100 % du montant indexé de leurs dépôts avec intérêts. Il fut décidé de rembourser les autres créanciers selon les mêmes modalités, au fur et à mesure de la constitution des actifs.
17. Le requérant adressa au liquidateur une demande de remboursement de sa créance de 17 983 roubles. Suite à cette demande, une somme de 140 roubles lui fut versée le 6 avril 1998.
18. Le 22 avril 1998, le requérant contesta devant la cour d’arbitrage le remboursement à 100 % des autres créanciers, alors que, en tant que créancier de premier rang, il n’avait reçu que 140 roubles. Invoquant les articles 15 et 30 de la loi relative à l’insolvabilité des entreprises de 1992 (« loi de 1992 »), il demanda le remboursement du restant de sa créance conformément au principe de proportionnalité. L’article 30 de cette loi prévoyait, en cas d’insuffisance d’actifs pour désintéresser tous les créanciers, le remboursement des créanciers de même rang proportionnellement à la somme due à chacun d’eux. En l’espèce, à la date de la demande du requérant, 2 305 000 roubles avaient été dégagés suite aux opérations de liquidation, qui avaient servi à rembourser à 100 % les différentes catégories susmentionnées de créanciers (voir le paragraphe 16 ci-dessus).
19. Le 6 juillet 1998, le requérant fut débouté en première instance, au motif que la somme de sa créance (17 983 roubles) correspondait à 0,78 % des actifs d’un montant total de 2 305 000 roubles qui, dégagés suite aux opérations de liquidation, avaient servi pour désintéresser une certaine catégorie de créanciers. Selon la règle de proportionnalité, il ne pouvait donc recevoir que 0,78 % de 17 983 roubles, soit 140 roubles. Cette somme lui avait déjà été versée le 6 avril 1998, alors que le restant de sa créance lui serait remboursé dans les limites des fonds dégagés suite aux opérations de liquidation à venir.
20. En appel, le 26 août 1998, la cour régionale d’arbitrage constata que, contrairement aux exigences de l’article 27 de la loi de 1992, le liquidateur n’avait pas dressé la liste de créanciers permettant d’identifier les créanciers à être remboursés en premier lieu et les sommes correspondantes à verser à chacun d’eux séparément. Suivant les documents produits par le liquidateur, il n’était pas possible de savoir quel était le rang de priorité du requérant parmi tous les créanciers, le liquidateur lui-même affirmant oralement qu’il s’agissait d’un créancier de cinquième rang. La cour régionale considéra qu’en décidant de rembourser à 100 % une certaine catégorie de créanciers, le comité des créanciers avait excédé les limites de ses compétences établies par l’article 23 de la loi de 1992. En exécutant une telle décision et distribuant les actifs de la sorte, le liquidateur avait pour sa part enfreint les exigences des articles 15 et 30 de la loi précitée. Rappelant que 30 de cette loi ne prêtait pas à une interprétation large de ses termes, la cour régionale enjoignit au liquidateur de remédier aux violations constatées dans un délai d’un mois et de l’informer des mesures prises à cet égard.
21. Le liquidateur se pourvut en cassation devant la cour fédérale d’arbitrage du Caucase du Nord et soutint qu’il avait procédé à la distribution des actifs en exécution de la décision du comité des créanciers, que cette distribution avait eu lieu conformément à l’article 64 du code civil et qu’elle n’était pas, de ce fait, contraire aux exigences de l’article 30 de la loi de 1992 (voir les paragraphes 33 et 34 ci-dessous). Le 12 novembre 1998, son pourvoi fut rejeté. Confirmant la décision du 26 août 1998, l’instance de cassation précisa que le liquidateur n’aurait pas dû procéder à l’exécution d’une décision rendue par le comité des créanciers en violation de la loi.
22. L’exécution de la décision du 26 août 1998 et, en particulier, le redressement de la situation financière du requérant, ne furent pas possibles en raison de l’absence d’actifs.
3. Seconde procédure en contestation de la distribution illégale des actifs aux créanciers
23. Confronté à l’absence d’exécution de la décision du 26 août 1998, le requérant déposa devant la cour d’arbitrage une plainte du 2 septembre 1998 qu’il compléta par la suite par une plainte du 27 janvier 1999. Il demanda que le liquidateur en personne lui rembourse la somme indexée du restant de sa créance de 17 983 roubles, avec intérêts, ainsi qu’une compensation du dommage moral causé par son action illégale.
24. Les plaintes en question furent examinées dans le cadre de la procédure de faillite ouverte contre la banque.
25. Le 4 février 1999, la cour régionale d’arbitrage rejeta la demande du requérant au motif que, les 20 février 1995 et 5 avril 1996, le tribunal d’arrondissement d’Oktyabrskii avait alloué au requérant une somme de 17 983 roubles au titre du règlement de sa créance et de dommages et intérêts, et que la cour ne pouvait se prononcer pour la deuxième fois sur les mêmes demandes. La cour régionale établit que le requérant figurait sous le numéro 519 de la liste des créanciers et qu’au titre du dépôt proprement dit, la banque lui devait une somme résiduelle de 8 813 roubles. Elle rappela que cette somme pouvait lui être versée selon les conditions prévues à l’article 64 du code civil.
26. Le 31 mars 1999, une formation de la cour régionale d’arbitrage, statuant en appel, confirma la décision du 4 février 1999 et rappela que, conformément à la loi de 1998, en vigueur au moment de l’examen des plaintes du requérant, seules les créances constituées lors du fonctionnement de la banque pouvaient faire l’objet d’un remboursement. Par conséquent, les demandes visant au versement de diverses sommes, auxquelles le requérant aurait acquis le droit après la faillite de la banque et en cours de sa liquidation, ne pouvaient être accueillies. L’instance d’appel constata qu’en vertu des décisions judiciaires, le requérant s’était vu reconnaître le droit à une créance de 17 983 roubles, ce qui correspondait au dommage causé par la banque avant sa faillite. Elle précisa qu’il était loisible au requérant de récupérer cette somme une fois les actifs suffisants dégagés suite aux opérations de liquidation. La plainte du requérant se résumait, aux yeux de l’instance d’appel, à requérir la somme précitée, majorée de pénalités en raison de sa non-réception.
27. Le 9 juin 1999, la cour fédérale d’arbitrage du Caucase du Nord rejeta le pourvoi en cassation du requérant aux motifs suivants :
« La décision du comité des créanciers et l’action du liquidateur relatives au remboursement à 100 % des créances au bénéfice de seulement 700 créanciers (sur les 7 567 créanciers de la banque dont les créances s’élèvent à 24 875 000 roubles) ont en effet violé le principe du règlement proportionnel des créances de même rang, mais n’ont pas porté à M. K. le préjudice allégué, car la satisfaction à 100 % de tous les créanciers de 1er rang n’était pas possible en raison de l’insuffisance des actifs susceptibles d’être distribués. En effet, la somme remboursée à M. K. fut calculée proportionnellement au montant de sa créance et à la masse financière dégagée lors de la procédure de liquidation (…) »
28. La juridiction de cassation rappela également que la procédure de liquidation était encore pendante et que le requérant avait la possibilité de recevoir sa créance.
29. Le 17 juin 1999, la cour régionale d’arbitrage homologua le bilan de liquidation, présenté par le liquidateur et approuvé par l’assemblée des créanciers, et clôtura la procédure de faillite pour insuffisance d’actifs.
4. Procédure en supervision
30. Après la communication de la requête au Gouvernement, le président de la Cour suprême d’arbitrage de la Fédération de Russie forma, le 31 janvier 2001, un recours en supervision (protest) contre les décisions des 4 février, 31 mars et 9 juin 1999 (voir les paragraphes 25-27 ci-dessus), au motif qu’elles avaient été rendues en violation de l’article 22 du code de procédure d’arbitrage (« CPA ») déterminant la compétence des juridictions d’arbitrage. Notamment, l’examen des plaintes du requérant des 2 septembre 1998 et 27 janvier 1999 dans le cadre de la procédure de faillite ouverte contre la banque aurait été contraire à la loi de 1992 ayant régi cette procédure. Les plaintes en question relevant d’un litige opposant le requérant au liquidateur, elles n’étaient pas en rapport avec la procédure en faillite en tant que telle et le requérant aurait dû les introduire devant les juridictions de droit commun.
31. Par ces motifs, le président requit l’annulation des décisions litigieuses et la clôture de l’instance relative aux plaintes susmentionnées. Le 17 avril 2001, le Présidium de la Cour suprême d’arbitrage de la Fédération de Russie fit entièrement droit à ces demandes en faisant les siens les arguments invoqués dans le recours.
32. Le 1er juin 2001, le requérant saisit le même Présidium d’une demande de révision de la décision du 17 avril 2001. Le 4 juillet 2001, cette demande fut rejetée par le vice-président de la Cour suprême d’arbitrage pour défaut de fondement.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
1. Code civil de 1994
33. Conformément à l’article 63, après l’expiration du délai dans lequel les créanciers doivent présenter leurs demandes, la commission de liquidation établit un bilan de liquidation provisoire contenant les informations relatives au patrimoine du failli, aux demandes présentées par les créanciers et aux résultats de l’examen de celles-ci. Ce bilan doit être approuvé par l’organe ayant pris la décision de procéder à la liquidation de l’entreprise. Si la masse pécuniaire dont dispose l’entreprise n’est pas suffisante pour satisfaire les demandes des créanciers, la commission de liquidation procède à la vente de son patrimoine aux enchères. La distribution des actifs aux créanciers peut commencer conformément au bilan provisoire une fois celui-ci approuvé, à l’exception des créanciers de cinquième rang qui ne peuvent recevoir les sommes dues qu’à l’expiration du délai d’un mois à partir de l’approbation de ce bilan. Une fois toutes les opérations de payement accomplies, le bilan de liquidation définitif est dressé et approuvé selon les mêmes voies. En cas d’insuffisance d’actifs, les créanciers lésés peuvent saisir les tribunaux demandant que le propriétaire de l’entreprise les désintéresse par ses propres deniers.
L’article 64 du code civil, tel qu’en vigueur avant le 20 février 1996, distinguait cinq catégories de créanciers, chacune devant être remboursée une fois la catégorie précédente désintéressée. Selon ce classement, le requérant relevait de la cinquième catégorie « d’autres créanciers ». L’article 64 ne mentionne pas la catégorie de créanciers retraités, vétérans de la Seconde guerre mondiale ni celles de personnes en situation de besoin.
Aux termes du nouvel alinéa, introduit dans cet article le 20 février 1996, lors de la liquidation d’une banque ou d’un autre établissement de crédit, les particuliers ayant déposé de l’argent sont remboursés en premier lieu.
L’article 64 précise en outre qu’en cas d’insuffisance d’actifs de la personne morale en liquidation, ceux-ci doivent être distribués parmi les créanciers de même rang proportionnellement à leurs créances.
2. Loi du 19 novembre 1992 (« loi de 1992 »), relative à l’insolvabilité des entreprises, applicable aux procédures de faillite ouvertes avant le 1er mars 1998
34. Conformément à l’article 3 §§ 1 et 2, les affaires de faillite relèvent de la compétence des juridictions d’arbitrage qui les examinent selon les règles prévues par cette loi et, en l’absence de telles règles, conformément au code de procédure d’arbitrage de la Fédération de Russie.
Selon l’article 15 de la loi, la procédure de faillite est ouverte dans le but de satisfaire les demandes des créanciers proportionnellement, de déclarer le failli déchargé de ses obligations et de protéger les parties des actions illicites entre elles.
Aux termes de l’article 18 § 2, à partir de la déclaration d’insolvabilité de l’entreprise et de l’ouverture de la procédure de faillite à son encontre, toute prétention de caractère patrimonial peut être présentée à cette entreprise uniquement dans le cadre de la procédure de faillite.
Selon l’article 19, les juridictions d’arbitrage nomment le liquidateur et, dans les cas prévus par cette loi, examinent le caractère licite des actes des parties à la procédure de faillite. Selon l’article 20, ces parties sont le liquidateur, le comité des créanciers, le créancier, etc.
Aux termes de l’article 21 § 1, le liquidateur dispose des biens du failli, analyse sa situation financière, examine le bien-fondé des demandes des créanciers, accepte ou rejette celles-ci, procède aux opérations de liquidation en vue de la constitution des actifs, dirige l’établissement en faillite, forme et dirige la commission de liquidation, convoque l’assemblée des créanciers.
Conformément à l’article 21 § 2 combiné avec l’article 12 § 4, la candidat au poste de liquidateur doit être un économiste ou un juriste ou avoir une expérience de gestion d’entreprise. Il doit avoir le casier judiciaire vierge. Ne peut pas être nommée liquidateur la personne détenant un poste de responsabilité au sein de l’entreprise débitrice ou créditrice. Le candidat au poste de liquidateur doit présenter la déclaration de ses revenus et de sa situation patrimoniale.
Selon l’article 21 § 3, le liquidateur peut saisir la cour d’arbitrage contre les décisions de l’assemblée (du comité) des créanciers, lorsque celles-ci sortent du champ de compétence de l’assemblée (du comité).
Selon l’article 27 § 1, après l’expiration du délai de deux mois dans lequel les créanciers doivent présenter leurs prétentions au regard du failli, le liquidateur dresse une liste de prétentions admises et rejetées en indiquant le montant correspondant à celles qui ont été admises ainsi que le rang de priorité pour chacune d’elles. Cette liste doit être adressée aux créanciers dans un délai de deux mois.
L’article 30 établit les différents rangs de priorité en vue du partage du produit de la liquidation. Il n’est procédé au versement des sommes dues au profit des créanciers d’un certain rang qu’après le désintéressement des créanciers du rang précédent (paragraphe 3). En cas d’insuffisance d’actifs pour satisfaire les demandes de tous les créanciers d’un rang donné, ceux-ci sont désintéressés proportionnellement à leurs créances respectives (paragraphe 4). L’article 30 ne mentionne pas la catégorie de créanciers invalides ou vétérans de la Seconde guerre mondiale ni celle de personnes en situation de besoin. Son paragraphe 1 dispose que les frais nécessaires au déroulement des opérations de liquidation, à la rémunération du liquidateur et au maintien de fonctionnement de l’entreprise débitrice sont prioritaires par rapport aux créanciers de premier rang.
L’article 31 prévoit la possibilité pour un créancier de contester devant les juridictions d’arbitrage la décision du liquidateur qui, selon lui, méconnaît ses droits et intérêts légitimes.
Selon l’article 35 § 3, les exigences non satisfaites en raison de l’insuffisance du produit de la liquidation sont considérées comme éteintes.
L’article 38 dispose que le failli est réputé liquidé à partir de son exclusion du registre national correspondant, en vertu de la décision de la cour d’arbitrage concluant à la clôture de la procédure de faillite.
3. Loi fédérale du 8 janvier 1998, relative à l’insolvabilité (« loi de 1998 »), applicable aux procédures de faillite ouvertes après le 1er mars 1998
35. L’article 21 § 3 de cette loi dispose que les créanciers ont le droit d’exiger du liquidateur la compensation du dommage que celui-ci leur aurait causé par une action ou une omission contraire à la loi.
Conformément à l’alinéa 7 de l’article 98 § 1 de cette loi, toute prétention envers le failli peut être présentée uniquement dans le cadre de la procédure de faillite (voir aussi l’article 18 § 2 de la loi de 1992).
L’article 114 prévoit les mêmes principes de distribution et de proportionnalité que l’article 30 de la loi de 1992.
4. Code de procédure d’arbitrage de 1995 (« CPA »), tel qu’en vigueur à l’époque des faits
36. Aux termes de l’article 131, en enjoignant à la partie défenderesse d’accomplir un acte défini qui ne relève pas de la transmission d’un bien ou de versement d’une somme pécuniaire, la cour d’arbitrage indique qui, où et dans quel délai doit accomplir cet acte.
Selon l’article 143, les affaires de faillite sont examinées par les cours d’arbitrage conformément au présent code et selon les particularités prévues par la loi relative à la faillite.
5. Arrêt de la Cour constitutionnelle du 12 mars 2001
37. Le paragraphe 4 relatif à la constitutionnalité de l’article 18 § 2 de la loi de 1992 (article 98 § 1 en combinaison avec les articles 15 § 4 et 55 § 1 de la loi de 1998) se lit ainsi :
« (…) lors de l’examen des plaintes des particuliers créanciers (…), les juridictions d’arbitrage n’ont pas la compétence pour édicter contre le liquidateur des directives obligatoires de caractère patrimonial, portant reconnaissance d’une créance ou d’un droit en faveur de ces créanciers (…). Cette limitation (…) ne doit pas s’interpréter comme empêchant les juridictions de droit commun d’examiner au fond les demandes de caractère patrimonial (…) de ces créanciers (…), conformément à législation relative à l’insolvabilité.
Les dispositions litigieuses ne contiennent pas par ailleurs de clauses qui empêcheraient les juridictions d’arbitrage de rendre des décisions permettant aux intéressés de réaliser pleinement leur droit à la protection judiciaire dans le cadre de la procédure de faillite, d’autant plus que d’autres dispositions de la loi fédérale relative à l’insolvabilité (la faillite) prévoient justement le règlement de litiges par la voie judiciaire (articles 41, 44, 57, 107, 108 et autres).
Le refus d’une cour d’arbitrage d’examiner la plainte pour cause d’incompétence (…) n’empêche pas le créancier de saisir les juridictions de droit commun en vue de la protection de ses droits (…). Le droit à la protection judiciaire, consacré par la Constitution, doit se réaliser même en cas d’absence de normes législatives précisant le partage de compétences entre les juridictions d’arbitrage et celles de droit commun.
Suivant cette interprétation, [les dispositions en question] n’empêchent ni les juridictions de droit commun d’examiner les demandes des créanciers qui ne sont pas des entreprises individuelles, dirigées contre le liquidateur et visant (…) à la compensation du dommage, ni les juridictions d’arbitrage d’assurer l’exécution, conformément à la loi fédérale précitée, des décisions rendues par les juridictions de droit commun. (…) »
EN DROIT
38. Le requérant dénonce l’impossibilité d’obtenir le remboursement effectif de sa créance en raison de la distribution illégale des actifs par le liquidateur. L’article 1 du Protocole no 1 est ainsi libellé :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
I. SUR L’EXCEPTION PRÉLIMINAIRE DU GOUVERNEMENT
39. Le Gouvernement réitère son exception d’irrecevabilité, rejetée par la Cour antérieurement (voir Kotov c. Russie (déc), no 54522/00, 4 mai 2006), pour soutenir que le grief du requérant se heurte à un problème de non-épuisement des voies de recours internes. Notamment, il estime que le requérant aurait dû engager, dans le cadre d’une procédure indépendante devant les juridictions de droit commun, la responsabilité personnelle du liquidateur conformément au chapitre 59 du code civil (« Obligations à la suite du dommage causé ») pour dénoncer la distribution illégale des actifs de la banque. Ce d’autant plus que les décisions des 4 février, 31 mars et 9 juin 1999, rendues au sujet des plaintes du requérant, visant à obtenir la réparation du dommage causé par le liquidateur en personne, avaient été annulées le 17 avril 2001 en raison de l’incompétence du juge d’arbitrage en la matière. Le caractère illégal de l’action du liquidateur ayant été reconnu par les juridictions d’arbitrage en 1998, selon le Gouvernement, la compensation du dommage causé aurait été plus facile par le biais d’une procédure de droit commun dirigée contre le liquidateur en tant qu’individu.
40. La Cour rappelle que les mêmes arguments du Gouvernement ont déjà été examinés en détail au stade de recevabilité avant d’être rejetés en ses termes :
« (…) Les décisions des 4 février, 31 mars et 9 juin 1999, passées en force de chose jugée, furent annulées en 2001 suite à un recours en supervision (protest). La Cour tient à rappeler qu’une telle pratique pose en soi un grave problème sur le plan du principe de la sécurité juridique, un des éléments fondamentaux de la prééminence du droit (Brumărescu c. Roumanie [GC], no 28342/95, §§ 61 et 62, CEDH 1999-VII ; Riabykh c. Russie, no 52854/99, § 57, CEDH 2003-IX). De surcroît, l’annulation en question intervint en l’espèce après la communication de la requête au gouvernement défendeur et servit à celui-ci pour soulever une exception tirée du non-épuisement des voies de recours internes. Or, la Cour n’estime pas qu’une telle exception puisse être valablement tirée de l’annulation des décisions de 1999, puisque, dans le cadre de la procédure précédente, le requérant avait dénoncé, selon les voies légales, l’atteinte portée à son droit au respect de ses biens par l’action du liquidateur.
Notamment, conformément à l’article 31 de la loi de 1992, celle-ci régissant la procédure de faillite en l’espèce, le requérant contesta devant les juridictions d’arbitrage la distribution des actifs par le liquidateur qui, selon lui, méconnaissait ses droits et intérêts légitimes. Dans le cadre de cette procédure terminée par la décision de cassation du 12 novembre 1998, il obtint gain de cause, les juridictions d’arbitrage, en appel comme en cassation, ayant reconnu la violation de ses droits par le liquidateur. Elles constatèrent d’une part différents vices dans la conduite de la procédure par le liquidateur et, d’autre part, affirmèrent clairement qu’en ayant procédé à l’exécution des décisions prises par le comité des créanciers en méconnaissance de la loi de 1992, le liquidateur s’était rendu coupable d’une distribution illégale du produit de la liquidation. Elles ordonnèrent qu’il soit remédié à ces violations dans un délai d’un mois. Force est donc de constater que les juridictions internes, compétentes en matière de faillite, examinèrent les prétentions du requérant au fond. Non seulement elles reconnurent la méconnaissance des droits de l’intéressé, mais ordonnèrent également que les conséquences en soient effacées. (…)
Eu égard à ce qui précède, la Cour estime que, malgré l’annulation des décisions rendues en 1999, le Gouvernement n’est pas fondé à opposer au requérant une exception tirée du non-épuisement des voies de recours internes, la procédure d’arbitrage précédente, terminée par la décision de cassation du 12 novembre 1998, suffisant à satisfaire aux exigences de l’article 35 § 1 de la Convention aux fins du grief tiré de l’article 1 du Protocole no 1. »
41. Dans ces conditions, et vu que rien ne justifie de s’écarter de cette conclusion, la Cour rejette l’exception préliminaire du Gouvernement.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
1. Arguments du Gouvernement
42. Dans ses observations complémentaires, le Gouvernement réitère que l’Etat ne porte aucune responsabilité dans l’échec des relations commerciales librement consenties entre le requérant et une banque privée. L’Etat ne s’ingéra lui-même à aucun moment dans l’exercice du droit du requérant au respect de ses biens. L’ingérence litigieuse en l’espèce provint de la banque et du liquidateur sans que l’Etat ait été tenu par la loi d’indemniser le requérant pour les pertes subies.
43. Par ailleurs, le Gouvernement rappelle que l’article 1 du Protocole no 1 n’oblige pas l’Etat à maintenir le pouvoir d’achat représenté par les sommes déposées dans les établissements financiers (voir, parmi d’autres, Riabykh c. Russie, no 52854/99, § 63, CEDH 2003-IX). Selon lui, la responsabilité de l’Etat est limitée à établir les règles de proportionnalité en vue de la distribution de la masse dégagée lors de la liquidation des entreprises privées. Le fait que, malgré l’existence de ces règles, le requérant n’ait pas pu recouvrer les sommes dues en raison de la faillite de la banque et de l’absence d’actifs suffisants ne saurait donc être imputable à l’Etat.
44. Le Gouvernement soutient que le liquidateur réalisait ses activités à titre individuel et que, conformément à l’article 21 de la loi de 1992, il était personnellement responsable de la non-exécution ou de l’exécution inappropriée de ses obligations. En 2002, un amendement à l’article 20 de cette loi vint d’ailleurs renforcer ce dispositif en introduisant une exigence de souscrire à une assurance pour les fautes commises par le liquidateur. Le fait que l’Etat n’était pas responsable des actes illégaux de cette personne aurait été confirmé, selon le Gouvernement, par la Cour constitutionnelle dans son arrêt du 12 mars 2001 et par le Présidium de la Cour suprême d’arbitrage dans sa décision du 17 avril 2001. Le contrôle des actes du liquidateur et du respect du principe de la distribution proportionnelle des fonds incombait aux juridictions d’arbitrage, compétentes pour examiner les litiges nés lors de la procédure de liquidation entre les créditeurs et le liquidateur.
45. En résumé, pour le Gouvernement, l’Etat respecta ses obligations au titre de l’article 1 du Protocole no 1 en établissant les règles légales de répartition équitable de fonds et en instaurant des voies de recours pour pallier aux insuffisances de la procédure de liquidation ou aux illégalités commises lors de celle-ci.
46. Le requérant, bien qu’il maintienne sa requête, ne présenta pas d’observations complémentaires (voir les paragraphes 5 et 6 ci-dessus).
2. Appréciation de la Cour
47. La Cour rappelle que l’article 1 du Protocole no 1 contient trois normes distinctes : la première, qui s’exprime dans la première phrase du premier alinéa et revêt un caractère général, énonce le principe du respect de la propriété ; la deuxième, figurant dans la seconde phrase du même alinéa, vise la privation de propriété et la soumet à certaines conditions ; quant à la troisième, consignée dans le second alinéa, elle reconnaît aux Etats contractants le pouvoir, entre autres, de réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général. La deuxième et la troisième, qui ont trait à des exemples particuliers d’atteintes au droit de propriété, doivent s’interpréter à la lumière du principe consacré par la première (Iatridis c. Grèce [GC], no 31107/96, § 55, CEDH 1999-II).
48. La Cour note qu’en l’espèce, en vertu des décisions judiciaires des 20 février 1995 et 5 avril 1996 (voir les paragraphes 10 et 12 ci-dessus), le requérant était titulaire d’une créance exigible de 10 156 roubles, portée à 17 983 roubles, qui constituait un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1 (Bourdov c. Russie, no 59498/00, § 40, CEDH 2002-III). Ceci n’a d’ailleurs pas prêté à une controverse entre les parties.
49. La Cour relève ensuite que le requérant ne put pas obtenir le versement de cette créance, puisqu’entre-temps, le 16 juin 1995, le débiteur – une banque privée – fut déclaré en faillite. Un liquidateur fut alors nommé le 19 juillet 1995 par les juridictions d’arbitrage pour procéder aux opérations de liquidation. Ainsi, à la suite de la déclaration de faillite, l’ingérence dans le droit du requérant au respect de ses biens s’analysait en une réglementation de l’usage des biens au sens du second paragraphe de l’article 1 du Protocole no 1 (Luordo c. Italie, no 32190/96, § 67, CEDH 2003-IX). En vertu de l’article 15 de la loi de 1992, cette procédure de faillite visait, d’une part, à désintéresser les créanciers et, d’autre part, à protéger les parties des actes illicites entre elles. L’ingérence en question poursuivait donc un but légitime et conforme à l’intérêt général, à savoir la protection des droits d’autrui (ibid., § 68). Dans ces conditions, et vu les difficultés rencontrées lors de la constitution du produit de la liquidation, la Cour n’est pas convaincue que le requérant aurait pu espérer, avec un degré raisonnable de certitude, récupérer la totalité de sa créance telle que définie par les tribunaux de droit commun le 20 février 1995 et puis le 5 avril 1996, même si les juridictions d’arbitrage, compétentes en matière de faillite, confirmèrent plusieurs fois que le montant de cette créance s’élevait à 17 983 roubles.
50. Quoi qu’il en soit, pour la Cour, le problème ne réside pas, en l’espèce, dans la procédure de faillite en tant que telle et ne se pose donc pas sous l’angle de la « réglementation de l’usage des biens ». Il se pose sur le terrain du premier paragraphe de l’article 1 du Protocole no 1, étant donné la privation définitive des biens dont le requérant fit l’objet dans le cadre de cette procédure.
51. La Cour, à l’instar du Gouvernement, ne doute pas que l’Etat ne saurait être tenu pour responsable des obligations d’un établissement privé qui, tombé en faillite, n’est pas en mesure de s’acquitter de ses dettes (Bobrova c. Russie, no 24654/03, § 16, 17 novembre 2005). Il convient toutefois d’étudier si et dans quelle mesure la responsabilité de l’Etat peut être engagée du fait d’un acte ou d’une omission du liquidateur dont les actes illégaux sont dénoncés en l’espèce (mutatis mutandis, Katsyuk c. Ukraine, no 58928/00, § 38 in fine, 5 avril 2005). En effet, le requérant n’invoque pas comme telle la responsabilité de l’Etat dans le domaine des relations contractuelles entre lui et la banque privée. Ses griefs sont fondés sur l’action illégale du liquidateur et sur l’impossibilité de faire valoir ses droits face à l’abus de pouvoir par celui-ci.
52. A la différence du Gouvernement, la Cour estime que le liquidateur peut être considéré comme un représentant de l’Etat, eu égard notamment à son statut tel que défini par les articles 19 et 21 de la loi de 1992. Ces dispositions déterminent les conditions requises pour le candidat au poste de liquidateur et les caractéristiques qu’il doit posséder sans toutefois préciser s’il doit s’agir d’une personne privée ou d’un fonctionnaire. Même s’il s’agit d’une personne privée, vu la nature des fonctions du liquidateur et son habilitation par les juridictions internes pour exercer celles-ci, la Cour n’estime pas que l’Etat puisse se soustraire à sa responsabilité en déléguant ses obligations à cet individu (mutatis mutandis, Costello-Roberts c. Royaume-Uni, arrêt du 25 mars 1993, série A no 247-C, p. 58, § 27 in fine). En effet, selon les dispositions précitées, celui-ci n’est pas un liquidateur professionnel mais un économiste ou un juriste habilité par les juridictions internes à conduire la procédure de faillite. Ces mêmes juridictions surveillent d’ailleurs ses activités (voir, a contrario, Katsyuk, précité, § 39). Dans le cadre de ses pouvoirs qui sont donc définis par la loi, le liquidateur exerce des fonctions relevant de la puissance publique et se trouve investi de la mission de ménager un « juste équilibre » entre les impératifs de l’intérêt général et ceux de la sauvegarde des droits fondamentaux de l’individu (voir, entre autres, Luordo, précité, §§ 67-69). Par conséquent, aux yeux de la Cour, ses actes et omissions engagent, dans les circonstances de l’espèce, la responsabilité de l’Etat (voir, mutatis mutandis, Sychev c. Ukraine, no 4773/02, §§ 53 et 54, 11 octobre 2005).
53. La Cour estime que les actifs dégagés à la suite des premières opérations de liquidation (2 305 000 roubles) auraient pu suffire pour satisfaire la créance du requérant, du moins une partie considérable de celle-ci, si le liquidateur avait agi envers l’intéressé, créancier de premier rang, conformément à la loi. L’impossibilité définitive pour le requérant de récupérer sa créance pour un montant supérieur à 140 roubles (voir le paragraphe 17 ci-dessus) découla directement de l’abus de pouvoir par le liquidateur, cet abus rendant impossible l’exécution, même partielle, des décisions des 20 février 1995 et 5 avril 1996 et enlevant en même temps tout effet utile aux décisions d’arbitrage des 26 août et 12 novembre 1998 (voir les paragraphes 20-22 ci-dessus). En effet, ces décisions de 1998, qui conclurent à l’illégalité de l’action du liquidateur et ordonnèrent le redressement de la situation du requérant, ne purent pas être exécutées, le liquidateur ayant déjà procédé en 1996 à la distribution quasi intégrale du produit de la liquidation.
54. Selon la loi russe, en cas d’insuffisance du produit de la liquidation pour désintéresser l’ensemble des créanciers, ce produit doit être réparti parmi les créanciers de même rang en proportion de leurs créances. Les créanciers d’un rang donné ne peuvent pas être désintéressés avant le remboursement des créanciers du rang précédent (voir, aux paragraphes 33 et 34 ci-dessus, article 30 §§ 3 et 4 de la loi de 1992 et article 64 du code civil de 1994).
55. Aux termes de l’article 64 du code civil de 1994, tel qu’amendé le 20 février 1996, lors de la liquidation d’une banque ou d’un autre établissement de crédit, les particuliers ayant déposé de l’argent sont remboursés en premier lieu. Le requérant était donc, à partir du 20 février 1996, un créancier de premier rang et les obligations de la banque envers lui auraient dû être honorées en conséquence. Or, la distribution des fonds dégagés par le liquidateur intervint suite aux décisions du comité des créanciers des 18 janvier et 13 mars 1996 sans que le requérant ne perçut aucune somme d’argent.
56. Même si, au 4 février 1999 (voir le paragraphe 25 ci-dessus), le requérant disposait d’un numéro personnel sur la liste des créanciers à être remboursés, il ressort de la décision du 26 août 1998 qu’à cette dernière date, le liquidateur n’avait pas encore dressé la liste des créanciers conformément aux exigences de l’article 27 de la loi de 1992, alors que la procédure de faillite était ouverte depuis le 19 juillet 1995. Ainsi, le rang de priorité du requérant n’était toujours pas clair et, par conséquent, celui-ci n’était pas en mesure de prévoir le remboursement de sa dette après le désintéressement de la catégorie précédente de créanciers. Le liquidateur affirma lui-même lors de l’audience du 26 août 1998 qu’il s’agissait d’un créancier de cinquième rang, ce qui, aux yeux de la Cour, pourrait éventuellement correspondre à l’article 106 de la loi de 1998. Or la procédure de faillite en l’espèce n’était pas régie par cette loi mais par celle de 1992 et le code civil de 1994 (voir, les paragraphes 20, 21, 30, 34 et 35 ci-dessus).
57. Ainsi, étant un créancier de premier rang et ayant appris qu’une certaine catégorie de créanciers avait été remboursée à 100 % avec intérêts et indexation, le requérant saisit le liquidateur pour faire valoir ses droits. Suite à cette demande, le requérant reçut le 6 avril 1998 140 roubles, soit 0,78 % de sa créance, au motif que sa créance d’un montant de 17 983 roubles représentait 0,78 % du produit de la liquidation de 2 305 000 roubles. Toutefois, selon l’article 30 § 4 de la loi de 1992, vu l’insuffisance d’actifs, les créanciers ayant le même rang que le requérant auraient dû être désintéressés proportionnellement à leurs créances respectives et, pour déterminer la somme à verser à chacun d’eux, le montant de chaque créance aurait dû être rapporté non pas au produit de la liquidation, mais au montant total des créances du rang donné.
58. La Cour note que, non seulement le principe légal de proportionnalité, régissant la distribution des actifs entre les créanciers de même rang, a été méconnu en l’espèce, mais ni l’article 30 de la loi de 1992 ni l’article 64 du code civil ne connaissent la catégorie de créanciers (invalides, vétérans de la Seconde guerre mondiale, personnes en situation de besoin) qui furent désintéressés par le liquidateur à 100 %, avec intérêts et indexation. Il ne ressort pas de ces textes que les 700 créanciers concernés étaient des créanciers de la même catégorie que le requérant. Le Gouvernement ne fournit aucune explication à cet égard. Le premier paragraphe de l’article 30 précité dispose uniquement que les frais nécessaires au déroulement des opérations de liquidation, à la rémunération du liquidateur et au maintien de fonctionnement de l’entreprise débitrice, sont prioritaires par rapport aux créanciers de premier rang. A supposer même que les « personnes ayant participé activement aux opérations de liquidation », également entièrement remboursées par le liquidateur, se rangent dans cette catégorie, il reste inconnu quelle était la base légale du remboursement à 100 % des autres créanciers mentionnés ci-dessus et celle de la privation du requérant de la somme lui étant due selon le principe de proportionnalité (voir, mutatis mutandis, Vasilescu c. Roumanie, arrêt du 22 mai 1998, Recueil des arrêts et décisions 1998-III, §§ 50-53). Or, la Cour rappelle à cet égard que l’article 1 du Protocole no 1 exige, avant tout et surtout, qu’une ingérence de l’autorité publique dans la jouissance du droit au respect des biens ait une base légale (Gravina c. Italie, no 60124/00, § 79, 15 novembre 2005) et que la prééminence du droit, l’un des principes fondamentaux d’une société démocratique, est inhérente à l’ensemble des articles de la Convention (Iatridis, précité, § 58).
59. Dans ces conditions, la Cour conclut qu’en l’espèce, les activités du liquidateur s’analysèrent en une privation de propriété, même si le requérant ne subit pas de privation de biens formelle (Papamichalopoulos et autres c. Grèce, arrêt du 24 juin 1993, série A no 260-B, §§ 41 et 42). Ces activités n’étaient pas conformes à la loi interne et ne pouvaient pas être justifiées par « l’utilité publique », ce qui fut confirmé par les juridictions internes dans leurs décisions des 26 août et 12 novembre 1998.
60. Ainsi, eu égard à l’impossibilité pour le requérant d’obtenir le remboursement effectif de sa créance selon le principe légal de proportionnalité, tel qu’ordonné par les juridictions internes les 26 août et 12 novembre 1998, alors qu’une certaine catégorie de créanciers, dont l’existence n’était même pas prévue par la loi, furent entièrement désintéressés, la Cour estime que le requérant subit une privation de biens irrégulière, incompatible avec son droit au respect de ses biens.
61. Il y a dès lors eu violation de l’article 1 du Protocole no 1.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
62. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
63. Dans son formulaire de requête, le requérant affirma qu’il évaluait le dommage matériel à 3 000 et le dommage moral à 48 000 dollars américains. Or, après la décision sur la recevabilité, il ne présenta, dans le délai imparti à cet effet, aucune prétention au titre du dommage subi ou à celui de frais et dépens.
64. La Cour rappelle qu’elle n’octroie aucune somme à titre de satisfaction équitable dès lors que les prétentions chiffrées et les justificatifs nécessaires n’ont pas été soumis dans le délai imparti à cet effet par l’article 60 § 1 du règlement, même dans le cas où la partie requérante aurait indiqué ses prétentions à un stade antérieur de la procédure (Fadil Yilmaz c. Turquie, no 28171/02, § 26, 21 juillet 2005).
65. En application de ces principes, la Cour estime qu’il n’y a pas lieu d’allouer une somme à titre de satisfaction équitable en l’espèce.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À l’UNANIMITÉ,
1. Rejette l’exception préliminaire du Gouvernement ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
3. Dit qu’il n’y a pas lieu d’allouer une somme à titre de satisfaction équitable en l’espèce.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 14 janvier 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Søren Nielsen Christos Rozakis
Greffier Président

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