PRIMA SEZIONE
CAUSA KONSTANTINOS PETROPOULOS C. GRECIA
( Richiesta no 55484/07)
SENTENZA
STRASBURGO
15 ottobre 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Konstantinos Petropoulos c. Grecia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, riunendosi in una camera composta da:
Nina Vajić, presidentessa, Christos Rozakis, Khanlar Hajiyev, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens, Giorgio Malinverni, George Nicolaou, giudici,
e da André Wampach, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 24 settembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 55484/07) diretta contro la Repubblica ellenica e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. K. P. (“il richiedente”), ha investito la Corte l’ 8 dicembre 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il governo greco (“il Governo”) è rappresentato dai delegati del suo agente, il Sig. G. Kanellopoulos, assessore presso il Consulente legale dello stato, e la Sig.ra Z. Hatzipavlou, ascoltatrice presso il Consulente legale dello stato.
3. L’ 11 settembre 2008, la presidentessa della prima sezione ha deciso di comunicare i motivi di appello derivati dell’equità e della durata del procedimento al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1955 e risiede a Patrasso. Fa l’avvocato al foro di Patrasso.
5. Il 10 dicembre 1999, il richiedente investe il tribunale di prima istanza di Patrasso di un’azione per danno-interessi contro quattro persone fisiche, richiedendo 16 425 000 dracme (48 202 euro) a titolo della parcella. L’udienza fu fissata il 13 aprile 2000, data in cui fu rinviata in ragione dello svolgersi delle elezioni legislative. Il 2 maggio 2000, il richiedente chiese la determinazione di una nuova data d’udienza. Questa fu fissata al 23 novembre 2000, data in cui fu rinviata di nuovo su richiesta della parte avversa. Il 17 maggio 2001, l’udienza fu rinviata di nuovo in ragione dello sciopero degli avvocati del foro. Il 20 maggio 2001, le parti chiesero la determinazione di una nuova data di udienza. Questa ebbe luogo il 17 gennaio 2002.
6. Il 29 marzo 2002, il tribunale dichiarò il ricorso inammissibile al motivo che i quattro convenuti non avevano la qualità di restare passivamente in giudizio (έλλειψη παθητικής νομιμοποίησης) poiché non agivano a loro proprio nome, ma in quanto membri del consiglio di amministrazione dell’associazione cooperativa di costruzione degli impiegati di banca del dipartimento di Achaïa (qui di seguito “l’associazione”). Il tribunale considerò che il richiedente era informato di questa situazione e lo condannò alle spese (decisione no 322/2003).
7. Il 25 agosto 2002, il richiedente interpose appello, sollevando undici mezzi, a lungo sviluppati nelle sue scritture. L’udienza dinnanzi alla corte di appello di Patrasso ebbe luogo il 17 aprile 2003. Il richiedente era presente e sostenne la sua causa nella sua qualità di avvocato. I convenuti non erano presenti, ma rappresentati dai loro consiglieri che difesero la causa. Le deliberazioni ebbero luogo il 26 giugno 2003.
8. Il 29 agosto 2003, con una decisione interlocutoria, la corte di appello di Patrasso, invocando gli articoli 254 e 245 del codice di procedura civile (vedere sotto), ordinò “la ripetizione dell’udienza dinnanzi a questa corte (την επανάληψη της συζητήσεως στο ακροατήριο του δικαστηρίου τούτου, affinchι) affinché le parti si presentassero di persona e dessero i chiarimenti necessari [sulla controversia]” (decisione no 896/2003). Il 17 settembre 2003, il richiedente chiese la determinazione di una nuova data di udienza.
9. Il 19 settembre 2004, la corte di appello di Patrasso, composta differentemente, dichiarò fondata l’eccezione dei convenuti derivata dalla mancanza del loro requisito di rimanere passivamente in giudizio. Difatti, riferendosi alle deposizioni dei testimoni ed ad altri documenti della pratica, la corte di appello considerò come stabilito che il richiedente aveva compiuto degli atti in qualità di mandatario dell’associazione e non come rappresentante delle quattro persone fisiche coinvolte nella sua azione; queste ultime agivano in quanto rappresentanti legali dell’associazione e non erano dunque personalmente responsabili per regolare la parcella dovuta da questa. La corte di appello considerò che le affermazioni contrarie, sollevate dal richiedente nel suo appello, erano infondate e dovevano essere respinte, senza altra precisione. Quindi, pure notando che la motivazione del tribunale di prima istanza era “un po’ differente ed insufficiente”, confermò la decisione attaccata, respinse l’appello e condannò il richiedente alle spese (decisione no 893/2004).
10. Il 19 aprile 2005, il richiedente ricorse in cassazione. Nel suo ricorso di 111 pagine, presentò da prima un riassunto della controversia e l’evoluzione del procedimento dinnanzi alle giurisdizioni del merito, poi un quadro con un riassunto dei suoi mezzi in cassazione, con riferimento agli articoli del diritto interno invocato in loro appoggio, così come ai paragrafi del suo esposto dove ogni mezzo era esposto. Il richiedente sviluppò poi i suoi nove mezzi di cassazione. Nel suo primo mezzo (esposizione di 41 pagine) cominciò con citare un brano della sentenza attaccata, menzionando la pagina, il paragrafo ed il capoverso pertinente, poi presentò i suoi propri argomenti per confutare le tesi della corte di appello. Invocò anche in dettaglio parecchie prove, lamentandosi che la corte di appello le aveva ignorate. Nel suo secondo ad ottavo mezzo, esposti in 60 pagine, il richiedente si lamentava che la corte di appello l’aveva a torto respinto e che aveva omesso di pronunciarsi su certe delle sue istanze, che dettagliava in parecchie pagine. Si lamentava inoltre che la corte di appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’eccezione dei convenuti derivata dalla mancanza del loro requisito di rimanere passivamente in giudizio, poiché questa eccezione era vaga ed era stata depositata tardivamente; il richiedente precisava a questo riguardo che aveva sollevato questo motivo di appello nel suo appello, ma che la corte di appello “l’aveva ignorato.” Sosteneva che questa giurisdizione aveva mal interpretato e mal applicato il diritto interno pertinente, basandosi su una cattiva valutazione delle deposizioni dei testimoni e di parecchi documenti della pratica, prove che il richiedente analizzava una ad una. Nel suo nono mezzo, il richiedente contestava infine la composizione della corte di appello, sostenendo che, conformemente al codice di procedimento civile, la corte di appello avrebbe dovuto avere la stessa composizione di quella che aveva ordinato la ripetizione dell’udienza. Il testo della sentenza attaccata, così come quello della decisione interlocutoria della corte di appello, erano uniti al ricorso.
11. L’udienza dinnanzi alla Corte di cassazione ebbe luogo il 21 novembre 2006. Il richiedente afferma che uno dei magistrati che faceva parte della composizione dell’alta giurisdizione decedette il 18 gennaio 2007, senza per questo essere sostituito all’epoca delle deliberazioni che seguirono, il 24 aprile 2007. Secondo il Governo, questo magistrato era stato sostituito debitamente e, con omissione manifesta, il nome del giudice che lo sostituiva non figura nel testo della sentenza resa dall’alta giurisdizione.
12. Il 31 maggio 2007, la Corte di cassazione respinse il ricorso. Riferendosi in particolare all’articolo 559 § 1 del codice di procedimento civile (vedere sotto paragrafo 13), dichiarò inammissibile i motivi di appello sollevati negli otto primi mezzi in cassazione, considerando, tra l’altro, che il richiedente non aveva precisato nel suo ricorso le circostanze di fatto su cui si era basata la corte di appello per respingergli. Trattandosi in particolare del motivo di appello del richiedente secondo cui la corte di appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’eccezione dei convenuti derivata dalla mancanza del loro requisito di rimanere passivamente in giudizio, la Corte di cassazione lo dichiarò inammissibile, al motivo che il richiedente aveva omesso di menzionare nel suo ricorso che aveva sollevato questo motivo d’ appello all’epoca del procedimento in appello. L’alta giurisdizione considerò inoltre che la corte di appello aveva motivato debitamente la sua sentenza e che aveva valutato correttamente le prove prodotte dinnanzi a lei. Trattandosi in particolare del motivo di appello del richiedente per cui la corte di appello non aveva risposto alle sue diverse istanze, la Corte di cassazione lo dichiarò inammissibile, al motivo che il richiedente aveva omesso di menzionare nel suo ricorso quale fossero queste domande. Respinse infine il nono mezzo sollevato dal richiedente, al motivo che era privo di fondamento,: secondo la Corte di cassazione, “la corte di appello non aveva ordinato la ripetizione dell’udienza, secondo l’articolo 254 del codice di procedimento civile, ma la presentazione in persona delle parti all’udienza, secondo l’articolo 245 dello stesso codice; quindi, non era necessario che la composizione della corte di appello fosse la stessa” (sentenza no 1159/2007). Questa sentenza fu messa in bella copia e fu certificata conforme il 13 giugno 2007.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
13. Le disposizioni pertinenti del codice di procedimento civile sono formulate così:
Articolo 245 § 1
“Il tribunale può, d’ufficio o su richiesta delle parti, ordinare tutto ciò che può facilitare l’esame della controversia ed in particolare la presenza in persona delle parti o dei loro rappresentanti all’udienza per rispondere alle questioni e dare i chiarimenti necessari a proposito della causa. “
Articolo 254
“Il tribunale può ordinare la ripetizione dell’udienza che è finita se, all’epoca dell’esame della causa o delle deliberazioni, appaiono delle lacune o dei punti dubbi che necessitano di essere completati o chiariti. L’udienza che viene ripetuta è considerata così come il seguito della precedente. “
Articolo 559 § 1
“Il ricorso in cassazione è autorizzato solamente se una regola di fondo è stata violata a prescindere dalla questione di sapere se si tratta di una legge o di un costume, greco o estero, del diritto interno o internazionale “
Articolo 566 §1
“Il ricorso in cassazione deve comprendere gli elementi richiesti dagli articoli 118 a 120, citare la sentenza attaccata, i mezzi di cassazione per intero o in parte della sentenza attaccata così come una richiesta in quanto al merito della causa. “
Articolo 577 § 3
“La Corte di cassazione esamina l’ammissibilità ed il merito dei motivi di cassazione se giudica il ricorso in cassazione legale ed ammissibile. “
Articolo 578
“La Corte di cassazione respinge il ricorso in cassazione se stima che i motivi della sentenza attaccata sono erronei e che il suo dispositivo è giusto. “
Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, il ricorso in cassazione deve precisare quale è la regola di fondo che è stata violata, in che cosa consiste l’errore giuridico, diversamente detto dove si trova la violazione nell’interpretazione o nell’applicazione della regola in causa, e deve comprendere anche l’esposizione dei fatti su cui si è basata la corte di appello per respingere il ricorso (Corte di cassazione, numeri 1507/1997, 290/2003, 237/2004).
IN DIRITTO
I. SULLE VIOLAZIONI ADDOTTE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE ALLO SGUARDO DELL’EQUITÀ DEL PROCEDIMENTO
14. Il richiedente si lamenta di una violazione del suo diritto ad un processo equo, come previsto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
A. Sull’ammissibilità
15. La Corte constata che questa parte della richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva inoltre che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
16. Secondo il richiedente, le giurisdizioni interne avrebbero commesso parecchi errori nell’esame della sua causa ed avrebbero ignorato alcuni suoi motivi di appello. Rimprovera più in particolare alla Corte di cassazione di avere dato prova di formalismo eccessivo dichiarando inammissibili i suoi mezzi, o al motivo che non aveva menzionato le circostanze di fatto su cui si era basata la giurisdizione di appello per respingerli, o al motivo che il suo ricorso non comprendeva gli elementi necessari per il loro esame. Vede una violazione del suo diritto di accesso ad un tribunale e considera che la Corte di cassazione ha dato prova di formalismo eccessivo e non ha letto il suo ricorso. Il richiedente si lamenta anche del rigetto del suo nono mezzo in cassazione, tratto dalla composizione della corte di appello dopo la ripetizione dell’udienza, considerando che il ragionamento della Corte di cassazione va contro il testo stesso della decisione no 896/2003 della corte di appello. Infine, il richiedente afferma che la composizione dell’alta giurisdizione non era legale, poiché un magistrato che aveva partecipato all’udienza e che sarebbe deceduto alcuni mesi più tardi, non sarebbe stato sostituito all’epoca delle deliberazioni sulla causa che seguirono. Il richiedente conclude ad una violazione del suo diritto ad un tribunale indipendente ed imparziale, tanto dinnanzi alla corte di appello che dinnanzi alla Corte di cassazione.
17. Il Governo si oppone a queste tesi. Per ciò che riguarda più in particolare il motivo di appello derivato dal diritto di accesso ad un tribunale, il Governo stima ragionevole che il richiedente in cassazione sia tenuto a presentare i fatti della causa come sono stati stabiliti dalla corte di appello dopo l’amministrazione delle prove. In caso contrario, incomberebbe sulla Corte di cassazione di ricercare lei stessa i fatti della causa che hanno condotto la corte di appello all’interpretazione controversa del diritto interno. Il Governo afferma che il modo in cui il richiedente aveva redatto il suo ricorso in cassazione nello specifico era particolarmente confuso, nella misura in cui presentò un testo che era sproporzionalmente lungo con l’oggetto, piuttosto semplice, della controversia, testo che mancava anche di struttura chiara ed in cui si mischiavano mezzi in cassazione, motivi di appello ed argomenti giuridici. Il Governo stima, tuttavia che anche se l’esame del ricorso si rivelò particolarmente complicato e laborioso, la Corte di cassazione trattò meticolosamente uno ad uno i mezzi sollevati dal richiedente, motivando pienamente la sua sentenza. Il Governo conclude che la mancanza di chiarezza e di precisione nella presentazione dei mezzi del richiedente è all’origine del loro rigetto da parte dell’alta giurisdizione. Il Governo afferma inoltre che nessuna altra violazione del diritto del richiedente ad un processo equo si trova stabilita nello specifico.
2. Valutazione della Corte
a) Principi generali
18. La Corte ricorda la sua giurisprudenza consolidata secondo la quale non ha per compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne. Appartiene al primo capo alle autorità nazionali, in particolare ai corsi e tribunali, interpretare la legislazione interna (vedere, tra molte altre, García Manibardo c. Spagna, no 38695/97, § 36, CEDH 2000-II). Peraltro, il “diritto ad un tribunale” il cui diritto di accesso costituisce un aspetto particolare, non è assoluto e si presta alle limitazioni implicitamente ammesse, in particolare in quanto alle condizioni di ammissibilità di un ricorso, perché richiama anche per sua natura una regolamentazione da parte dello stato che gode a questo riguardo di un certo margine di valutazione. Tuttavia, queste limitazioni non potrebbero restringere l’accesso aperto ad un giudicabile in modo o ad un punto tale che il suo diritto ad un tribunale se ne trovi raggiunto nella sua sostanza stessa; infine, si conciliano con l’articolo 6 § 1 solo se tendono ad uno scopo legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto (vedere, tra molte altre, Edificaciones March Gallego S.p.A. c. Spagna, 19 febbraio 1998, § 34, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-I). Difatti, il diritto di accesso ad un tribunale si trova raggiunto quando la sua regolamentazione smette di servire gli scopi di sicurezza giuridica e di buona amministrazione della giustizia e costituisce un tipo di barriera che impedisce al giudicabile di vedere la sua controversia decisa al merito dalla giurisdizione competente.
19. La Corte ricorda inoltre che l’articolo 6 della Convenzione non costringe gli Stati contraenti a creare dei corsi di appello o di cassazione (vedere, in particolare, Delcourt c. Belgio, 17 gennaio 1970, §§ 25-26, serie A no 11). Però, se tali giurisdizioni esistono, le garanzie dell’articolo 6 devono essere rispettate, in particolare per ciò che garantisce alle parti in causa un diritto effettivo di accesso ai tribunali per fare deliberare sulle contestazioni relative ai loro “diritti ed obblighi di carattere civile” (vedere, tra altre, Brualla Gómez del Torre c. Spagna, 19 dicembre 1997, § 37, Raccolta 1997-VIII). Inoltre, la compatibilità delle limitazioni previste dal diritto interno col diritto di accesso ad un tribunale riconosciuto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione dipende dalle particolarità del procedimento in causa e bisogna prendere in conto l’insieme del processo condotto nell’ordine giuridico interno ed il ruolo che ha giocato la Corte suprema, le condizioni di ammissibilità di un ricorso in cassazione che possono essere più rigorose che per un appello (Khalfaoui c. Francia, no 34791/97, CEDH 1999-IX).
20. La Corte ricorda infine che la regolamentazione relativa alle formalità per formare un ricorso mira a garantire la buona amministrazione della giustizia ed il rispetto, in particolare, del principio della sicurezza giuridica. Gli interessati devono aspettarsi che le regole vengano applicate (Miragall Escolano ed altri c. Spagna, numeri 38366/97, 38688/97, 40777/98, 40843/98, 41015/98, 41400/98, 41446/98, 41484/98, 41487/98 e 41509/98, § 33, CEDH 2000-I,).
21. Essendo così, la Corte ha concluso a più riprese che l’applicazione da parte delle giurisdizioni interne di formalità da rispettare per formare un ricorso è suscettibile di violare il diritto di accesso ad un tribunale. Ne è così quando l’interpretazione fin troppo formalista della legalità ordinaria fatta da una giurisdizione impedisce, di fatto, l’esame in fondo al ricorso esercitato dall’interessato (Běleš ed altri c. Repubblica ceca, no 47273/99, § 69, CEDH 2002-IX; Zvolský e Zvolská c. Repubblica ceca, no 46129/99, § 55, CEDH 2002-IX).
b) Applicazione nello specifico dei principi suddetti
22. Nel caso specifico, la Corte rileva innanzitutto che la Corte di cassazione dichiarò inammissibile i motivi di appello sollevati negli otto primi mezzi in cassazione sollevati dal richiedente, considerando, tra l’altro che questo non aveva menzionato nel suo ricorso le circostanze di fatto su cui si era basata la giurisdizione di appello per respingergli (vedere sopra paragrafo 12). Constata che la regola applicata dall’alta giurisdizione per pronunciarsi sull’ammissibilità dei mezzi in causa è una costruzione giurisprudenziale: non deriva da una disposizione procedurale specifica, ma bensì della combinazione di quattro articoli del codice di procedura civile. In breve, l’alta giurisdizione fissa in materia una condizione di ammissibilità riguardante la chiarezza dei mezzi in cassazione.
23. Non ne resta meno che questa regola giurisprudenziale ubbidisca, in modo generale, alle esigenze della sicurezza giuridica e della buona amministrazione della giustizia; quando il richiedente in cassazione rimprovera alla corte di appello una valutazione erronea dei fatti della causa rispetto alla regola giuridica applicata, sembra ragionevole esigere che riferisca nel suo ricorso i fatti pertinenti come sono stati ammessi dalla corte di appello. A difetto, l’alta giurisdizione non sarebbe in grado di esercitare il suo controllo di annullamento a riguardo della sentenza attaccata; sarebbe tenuta a procedere ad una nuova determinazione dei fatti pertinenti della causa e di valutarli lei stessa rispetto alla regola di diritto applicato dalla corte di appello. Questa ipotesi non può essere prevista dunque, perché equivarrebbe ad esigere che l’alta giurisdizione formuli lei stessa i mezzi di cassazione supposti di essere sottomessi al suo esame. Tutto sommato, la regola giurisprudenziale applicata nello specifico si concilia con la specificità del ruolo giocato dalla Corte di cassazione il cui controllo è limitato al rispetto del diritto (vedere, in questo senso, Brechos c. Grecia, (dec.), no 7632/04, 11 aprile 2006).
24. No si può sostenere tuttavia nell’occorrenza che il ricorso in cassazione faceva pesare sulla Corte di cassazione l’incarico di procedere ad una nuova determinazione dei fatti dello specifico che, per di più, erano relativamente semplici. La Corte nota difatti che nel suo primo mezzo (esposizione in 41 pagine) il richiedente cominciò con citare un brano della sentenza attaccata, menzionandone poi la pagina, il paragrafo ed il capoverso pertinente, presentò i suoi propri argomenti per confutare le tesi della corte di appello. La Corte nota, inoltre, che il testo della sentenza attaccata, così come quello della decisione interlocutoria della corte di appello, erano uniti al ricorso. Anche se è vero che il richiedente complicò eccessivamente la presentazione dei suoi mezzi, la Corte stima che il fatto di contestargli di non avere riferito nel suo ricorso le circostanze di fatto che la corte di appello aveva considerato per respingerlo, dipende da un approccio fin troppo formalista che, nello specifico, ha impedito l’interessato di ottenere un esame in fondo alle sue affermazioni da parte della Corte di cassazione (vedere, in questo senso, Liakopoulou, no 20627/04, 24 maggio 2006; Efstathiou ed altri, no 36998/02, 27 luglio 2006; Zouboulidis, no 77574/01, 14 dicembre 2006; Vasilakis, no 25145/05, 17 gennaio 2008; Koskina ed altri, no 2602/06, 21 febbraio 2008).
25. Alla luce delle considerazioni che precedono, la Corte stima che nello specifico, la limitazione al diritto di accesso ad un tribunale imposto dalla Corte di cassazione non era proporzionata allo scopo di garantire la sicurezza giuridica e la buona amministrazione della giustizia.
26. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione allo sguardo del diritto del richiedente di avere accesso ad un tribunale. Simile conclusione dispensa la Corte dall’ esaminare le altre lamentele sollevate dal richiedente a titolo dell’equità del procedimento controverso.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE ALLO SGUARDO DELLA DURATA DEL PROCEDIMENTO
27. Il richiedente si lamenta che la durata del procedimento ha ignorato il principio del “termine ragionevole” come previsto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.
28. Il Governo si oppone a questa tesi.
29. Il periodo da considerare è cominciato il 10 dicembre 1999, con l’immissione nel processo del tribunale di prima istanza di Patrasso, e si è concluso il 31 maggio 2007, con la sentenza no 1159/2007 della Corte di cassazione. È durato sette anni e più di cinque mesi per tre istanze dunque.
A. Sull’ammissibilità
30. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva inoltre che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
31. La Corte ricorda che il carattere ragionevole della durata di un procedimento si rivaluta secondo le circostanze della causa ed avuto riguardo ai criteri consacrati dalla sua giurisprudenza, in particolare la complessità della causa, il comportamento del richiedente e quello delle autorità competenti così come la posta della controversia per gli interessati (vedere, tra molte altre, Frydlender c. Francia [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII).
32. La Corte ha trattato a più riprese cause che sollevavano delle questioni simili a quella del caso specifico e ha constatato la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (vedere Frydlender precitata).
33. Dopo avere esaminato tutti gli elementi che le sono stati sottoposti, la Corte considera che il Governo non ha esposto nessuno fatto né argomento da poter condurre ad una conclusione differente nel caso presente. Tenuto conto della sua giurisprudenza in materia, la Corte stima che nello specifico la durata del procedimento controverso è eccessiva e non risponde all’esigenza del “termine ragionevole.”
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
34. Invocando l’articolo 1 del Protocollo no 1, il richiedente si lamenta infine di un attentato al suo diritto al rispetto dei suoi beni. Secondo lui, gli errori commessi dalle giurisdizioni interne all’epoca dell’esame della sua causa gli hanno impedito di percepire le somme richieste nella sua azione.
Sull’ammissibilità
35. La Corte stima che il preteso credito del richiedente non può passare per un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1, poiché non è stato constatato da una decisione giudiziale che ha forza di cosa giudicata. Tale è tuttavia la condizione affinché un credito sia certo ed esigibile e, pertanto, protetto dall’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere, tra altre, Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 59, serie A, no 301-B).
36. In particolare, la Corte nota che, finché la sua causa era pendente dinnanzi alle giurisdizioni interne, la sua azione non ha fatto nascere, a capo del richiedente, nessuno diritto di credito, ma unicamente l’eventualità di ottenere simile credito. Ora, ricorda che il richiedente fu respinto alla conclusione del procedimento controverso e stima che anche se il carattere equo di questo procedimento fu soggetto a critica, non potrebbe speculare tuttavia sull’esistenza di un diritto a capo del richiedente percepire le somme richieste nella sua azione. Quindi, avendo respinto le sentenze la sua istanza non hanno fatto nascere a suo capo un credito protetto dall’articolo 1 del Protocollo no 1.
37. Ne segue che questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
38. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
39. Il richiedente richiede 48 202 euro (EUR) a titolo del danno materiale. Questa somma corrisponde all’importo che era oggetto della controversia dinnanzi alle giurisdizioni nazionali. Il richiedente richiede inoltre 20 000 EUR a titolo del danno morale che avrebbe subito.
40. Il Governo invita la Corte ad allontanare la richiesta a titolo del danno materiale. Afferma inoltre che una constatazione di violazione costituirebbe in sé una soddisfazione equa sufficiente a titolo del danno morale o, accessoriamente, che la somma assegnata a questo titolo non potrebbe superare 3 000 EUR.
41. La Corte non vede alcun legame di causalità tra la violazione constatata ed un qualsiasi danno materiale di cui il richiedente avrebbe dovuto soffrire; c’è dunque luogo di respingere questo aspetto delle sue pretese. In compenso, la Corte stima che il richiedente può richiedere il risarcimento del torto morale subito in ragione della violazione del suo diritto di accesso ad un tribunale, così come del suo diritto a vedere la sua causa giudicata in un termine ragionevole. Deliberando in equità, gli accorda la somma di 6 500 EUR a questo titolo, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta.
B. Oneri e spese
42. Il richiedente chiede anche, fatture in appoggio, 3 015,93 EUR per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alle giurisdizioni interne e 595 EUR per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alla Corte. Richiede inoltre, senza produrre alcuna fattura o nota di parcella, 2 000 EUR per altri oneri e spese impegnati nella cornice del procedimento controverso, e si rimette alla saggezza della Corte per determinarne l’importo assegnato a questo titolo.
43. Il Governo afferma che la somma assegnata a questo titolo non potrebbe superare 500 EUR.
44. La Corte ricorda che il sussidio degli oneri e delle spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si stabilisca la loro realtà, la loro necessità e, in più, il carattere ragionevole del loro tasso (Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 54, CEDH 2000-XI).
45. Nello specifico, tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei suddetti criteri, la Corte giudica ragionevole assegnare al richiedente 500 EUR a questo titolo, più ogni importo che può essere dovuto da lui a titolo di imposta.
C. Interessi moratori
46. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti di percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello derivati dall’equità e dalla durata del procedimento ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione allo sguardo del diritto di accesso ad un tribunale;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione allo sguardo della durata del procedimento;
4. Stabilisce che non c’è luogo di esaminare gli altri motivi di appello tratti dall’articolo 6 § 1 della Convenzione;
5. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 6 500 EUR (seimila cinque cento euro) per danno morale e 500 EUR (cinque cento euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
6. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 15 ottobre 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
André Wampach Nina Vajić
Cancelliere aggiunto Presidentessa