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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE KONSTANTINOS PETROPOULOS c. GRECE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 55484/07/2009
Stato: Grecia
Data: 2009-10-15 00:00:00
Organo: Sezione Prima
Testo Originale

PRIMA SEZIONE
CAUSA KONSTANTINOS PETROPOULOS C. GRECIA
( Richiesta no 55484/07)
SENTENZA
STRASBURGO
15 ottobre 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Konstantinos Petropoulos c. Grecia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, riunendosi in una camera composta da:
Nina Vajić, presidentessa, Christos Rozakis, Khanlar Hajiyev, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens, Giorgio Malinverni, George Nicolaou, giudici,
e da André Wampach, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 24 settembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 55484/07) diretta contro la Repubblica ellenica e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. K. P. (“il richiedente”), ha investito la Corte l’ 8 dicembre 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il governo greco (“il Governo”) è rappresentato dai delegati del suo agente, il Sig. G. Kanellopoulos, assessore presso il Consulente legale dello stato, e la Sig.ra Z. Hatzipavlou, ascoltatrice presso il Consulente legale dello stato.
3. L’ 11 settembre 2008, la presidentessa della prima sezione ha deciso di comunicare i motivi di appello derivati dell’equità e della durata del procedimento al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1955 e risiede a Patrasso. Fa l’avvocato al foro di Patrasso.
5. Il 10 dicembre 1999, il richiedente investe il tribunale di prima istanza di Patrasso di un’azione per danno-interessi contro quattro persone fisiche, richiedendo 16 425 000 dracme (48 202 euro) a titolo della parcella. L’udienza fu fissata il 13 aprile 2000, data in cui fu rinviata in ragione dello svolgersi delle elezioni legislative. Il 2 maggio 2000, il richiedente chiese la determinazione di una nuova data d’udienza. Questa fu fissata al 23 novembre 2000, data in cui fu rinviata di nuovo su richiesta della parte avversa. Il 17 maggio 2001, l’udienza fu rinviata di nuovo in ragione dello sciopero degli avvocati del foro. Il 20 maggio 2001, le parti chiesero la determinazione di una nuova data di udienza. Questa ebbe luogo il 17 gennaio 2002.
6. Il 29 marzo 2002, il tribunale dichiarò il ricorso inammissibile al motivo che i quattro convenuti non avevano la qualità di restare passivamente in giudizio (έλλειψη παθητικής νομιμοποίησης) poiché non agivano a loro proprio nome, ma in quanto membri del consiglio di amministrazione dell’associazione cooperativa di costruzione degli impiegati di banca del dipartimento di Achaïa (qui di seguito “l’associazione”). Il tribunale considerò che il richiedente era informato di questa situazione e lo condannò alle spese (decisione no 322/2003).
7. Il 25 agosto 2002, il richiedente interpose appello, sollevando undici mezzi, a lungo sviluppati nelle sue scritture. L’udienza dinnanzi alla corte di appello di Patrasso ebbe luogo il 17 aprile 2003. Il richiedente era presente e sostenne la sua causa nella sua qualità di avvocato. I convenuti non erano presenti, ma rappresentati dai loro consiglieri che difesero la causa. Le deliberazioni ebbero luogo il 26 giugno 2003.
8. Il 29 agosto 2003, con una decisione interlocutoria, la corte di appello di Patrasso, invocando gli articoli 254 e 245 del codice di procedura civile (vedere sotto), ordinò “la ripetizione dell’udienza dinnanzi a questa corte (την επανάληψη της συζητήσεως στο ακροατήριο του δικαστηρίου τούτου, affinchι) affinché le parti si presentassero di persona e dessero i chiarimenti necessari [sulla controversia]” (decisione no 896/2003). Il 17 settembre 2003, il richiedente chiese la determinazione di una nuova data di udienza.
9. Il 19 settembre 2004, la corte di appello di Patrasso, composta differentemente, dichiarò fondata l’eccezione dei convenuti derivata dalla mancanza del loro requisito di rimanere passivamente in giudizio. Difatti, riferendosi alle deposizioni dei testimoni ed ad altri documenti della pratica, la corte di appello considerò come stabilito che il richiedente aveva compiuto degli atti in qualità di mandatario dell’associazione e non come rappresentante delle quattro persone fisiche coinvolte nella sua azione; queste ultime agivano in quanto rappresentanti legali dell’associazione e non erano dunque personalmente responsabili per regolare la parcella dovuta da questa. La corte di appello considerò che le affermazioni contrarie, sollevate dal richiedente nel suo appello, erano infondate e dovevano essere respinte, senza altra precisione. Quindi, pure notando che la motivazione del tribunale di prima istanza era “un po’ differente ed insufficiente”, confermò la decisione attaccata, respinse l’appello e condannò il richiedente alle spese (decisione no 893/2004).
10. Il 19 aprile 2005, il richiedente ricorse in cassazione. Nel suo ricorso di 111 pagine, presentò da prima un riassunto della controversia e l’evoluzione del procedimento dinnanzi alle giurisdizioni del merito, poi un quadro con un riassunto dei suoi mezzi in cassazione, con riferimento agli articoli del diritto interno invocato in loro appoggio, così come ai paragrafi del suo esposto dove ogni mezzo era esposto. Il richiedente sviluppò poi i suoi nove mezzi di cassazione. Nel suo primo mezzo (esposizione di 41 pagine) cominciò con citare un brano della sentenza attaccata, menzionando la pagina, il paragrafo ed il capoverso pertinente, poi presentò i suoi propri argomenti per confutare le tesi della corte di appello. Invocò anche in dettaglio parecchie prove, lamentandosi che la corte di appello le aveva ignorate. Nel suo secondo ad ottavo mezzo, esposti in 60 pagine, il richiedente si lamentava che la corte di appello l’aveva a torto respinto e che aveva omesso di pronunciarsi su certe delle sue istanze, che dettagliava in parecchie pagine. Si lamentava inoltre che la corte di appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’eccezione dei convenuti derivata dalla mancanza del loro requisito di rimanere passivamente in giudizio, poiché questa eccezione era vaga ed era stata depositata tardivamente; il richiedente precisava a questo riguardo che aveva sollevato questo motivo di appello nel suo appello, ma che la corte di appello “l’aveva ignorato.” Sosteneva che questa giurisdizione aveva mal interpretato e mal applicato il diritto interno pertinente, basandosi su una cattiva valutazione delle deposizioni dei testimoni e di parecchi documenti della pratica, prove che il richiedente analizzava una ad una. Nel suo nono mezzo, il richiedente contestava infine la composizione della corte di appello, sostenendo che, conformemente al codice di procedimento civile, la corte di appello avrebbe dovuto avere la stessa composizione di quella che aveva ordinato la ripetizione dell’udienza. Il testo della sentenza attaccata, così come quello della decisione interlocutoria della corte di appello, erano uniti al ricorso.
11. L’udienza dinnanzi alla Corte di cassazione ebbe luogo il 21 novembre 2006. Il richiedente afferma che uno dei magistrati che faceva parte della composizione dell’alta giurisdizione decedette il 18 gennaio 2007, senza per questo essere sostituito all’epoca delle deliberazioni che seguirono, il 24 aprile 2007. Secondo il Governo, questo magistrato era stato sostituito debitamente e, con omissione manifesta, il nome del giudice che lo sostituiva non figura nel testo della sentenza resa dall’alta giurisdizione.
12. Il 31 maggio 2007, la Corte di cassazione respinse il ricorso. Riferendosi in particolare all’articolo 559 § 1 del codice di procedimento civile (vedere sotto paragrafo 13), dichiarò inammissibile i motivi di appello sollevati negli otto primi mezzi in cassazione, considerando, tra l’altro, che il richiedente non aveva precisato nel suo ricorso le circostanze di fatto su cui si era basata la corte di appello per respingergli. Trattandosi in particolare del motivo di appello del richiedente secondo cui la corte di appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’eccezione dei convenuti derivata dalla mancanza del loro requisito di rimanere passivamente in giudizio, la Corte di cassazione lo dichiarò inammissibile, al motivo che il richiedente aveva omesso di menzionare nel suo ricorso che aveva sollevato questo motivo d’ appello all’epoca del procedimento in appello. L’alta giurisdizione considerò inoltre che la corte di appello aveva motivato debitamente la sua sentenza e che aveva valutato correttamente le prove prodotte dinnanzi a lei. Trattandosi in particolare del motivo di appello del richiedente per cui la corte di appello non aveva risposto alle sue diverse istanze, la Corte di cassazione lo dichiarò inammissibile, al motivo che il richiedente aveva omesso di menzionare nel suo ricorso quale fossero queste domande. Respinse infine il nono mezzo sollevato dal richiedente, al motivo che era privo di fondamento,: secondo la Corte di cassazione, “la corte di appello non aveva ordinato la ripetizione dell’udienza, secondo l’articolo 254 del codice di procedimento civile, ma la presentazione in persona delle parti all’udienza, secondo l’articolo 245 dello stesso codice; quindi, non era necessario che la composizione della corte di appello fosse la stessa” (sentenza no 1159/2007). Questa sentenza fu messa in bella copia e fu certificata conforme il 13 giugno 2007.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
13. Le disposizioni pertinenti del codice di procedimento civile sono formulate così:
Articolo 245 § 1
“Il tribunale può, d’ufficio o su richiesta delle parti, ordinare tutto ciò che può facilitare l’esame della controversia ed in particolare la presenza in persona delle parti o dei loro rappresentanti all’udienza per rispondere alle questioni e dare i chiarimenti necessari a proposito della causa. “
Articolo 254
“Il tribunale può ordinare la ripetizione dell’udienza che è finita se, all’epoca dell’esame della causa o delle deliberazioni, appaiono delle lacune o dei punti dubbi che necessitano di essere completati o chiariti. L’udienza che viene ripetuta è considerata così come il seguito della precedente. “
Articolo 559 § 1
“Il ricorso in cassazione è autorizzato solamente se una regola di fondo è stata violata a prescindere dalla questione di sapere se si tratta di una legge o di un costume, greco o estero, del diritto interno o internazionale “
Articolo 566 §1
“Il ricorso in cassazione deve comprendere gli elementi richiesti dagli articoli 118 a 120, citare la sentenza attaccata, i mezzi di cassazione per intero o in parte della sentenza attaccata così come una richiesta in quanto al merito della causa. “
Articolo 577 § 3
“La Corte di cassazione esamina l’ammissibilità ed il merito dei motivi di cassazione se giudica il ricorso in cassazione legale ed ammissibile. “
Articolo 578
“La Corte di cassazione respinge il ricorso in cassazione se stima che i motivi della sentenza attaccata sono erronei e che il suo dispositivo è giusto. “
Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, il ricorso in cassazione deve precisare quale è la regola di fondo che è stata violata, in che cosa consiste l’errore giuridico, diversamente detto dove si trova la violazione nell’interpretazione o nell’applicazione della regola in causa, e deve comprendere anche l’esposizione dei fatti su cui si è basata la corte di appello per respingere il ricorso (Corte di cassazione, numeri 1507/1997, 290/2003, 237/2004).
IN DIRITTO
I. SULLE VIOLAZIONI ADDOTTE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE ALLO SGUARDO DELL’EQUITÀ DEL PROCEDIMENTO
14. Il richiedente si lamenta di una violazione del suo diritto ad un processo equo, come previsto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
A. Sull’ammissibilità
15. La Corte constata che questa parte della richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva inoltre che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
16. Secondo il richiedente, le giurisdizioni interne avrebbero commesso parecchi errori nell’esame della sua causa ed avrebbero ignorato alcuni suoi motivi di appello. Rimprovera più in particolare alla Corte di cassazione di avere dato prova di formalismo eccessivo dichiarando inammissibili i suoi mezzi, o al motivo che non aveva menzionato le circostanze di fatto su cui si era basata la giurisdizione di appello per respingerli, o al motivo che il suo ricorso non comprendeva gli elementi necessari per il loro esame. Vede una violazione del suo diritto di accesso ad un tribunale e considera che la Corte di cassazione ha dato prova di formalismo eccessivo e non ha letto il suo ricorso. Il richiedente si lamenta anche del rigetto del suo nono mezzo in cassazione, tratto dalla composizione della corte di appello dopo la ripetizione dell’udienza, considerando che il ragionamento della Corte di cassazione va contro il testo stesso della decisione no 896/2003 della corte di appello. Infine, il richiedente afferma che la composizione dell’alta giurisdizione non era legale, poiché un magistrato che aveva partecipato all’udienza e che sarebbe deceduto alcuni mesi più tardi, non sarebbe stato sostituito all’epoca delle deliberazioni sulla causa che seguirono. Il richiedente conclude ad una violazione del suo diritto ad un tribunale indipendente ed imparziale, tanto dinnanzi alla corte di appello che dinnanzi alla Corte di cassazione.
17. Il Governo si oppone a queste tesi. Per ciò che riguarda più in particolare il motivo di appello derivato dal diritto di accesso ad un tribunale, il Governo stima ragionevole che il richiedente in cassazione sia tenuto a presentare i fatti della causa come sono stati stabiliti dalla corte di appello dopo l’amministrazione delle prove. In caso contrario, incomberebbe sulla Corte di cassazione di ricercare lei stessa i fatti della causa che hanno condotto la corte di appello all’interpretazione controversa del diritto interno. Il Governo afferma che il modo in cui il richiedente aveva redatto il suo ricorso in cassazione nello specifico era particolarmente confuso, nella misura in cui presentò un testo che era sproporzionalmente lungo con l’oggetto, piuttosto semplice, della controversia, testo che mancava anche di struttura chiara ed in cui si mischiavano mezzi in cassazione, motivi di appello ed argomenti giuridici. Il Governo stima, tuttavia che anche se l’esame del ricorso si rivelò particolarmente complicato e laborioso, la Corte di cassazione trattò meticolosamente uno ad uno i mezzi sollevati dal richiedente, motivando pienamente la sua sentenza. Il Governo conclude che la mancanza di chiarezza e di precisione nella presentazione dei mezzi del richiedente è all’origine del loro rigetto da parte dell’alta giurisdizione. Il Governo afferma inoltre che nessuna altra violazione del diritto del richiedente ad un processo equo si trova stabilita nello specifico.
2. Valutazione della Corte
a) Principi generali
18. La Corte ricorda la sua giurisprudenza consolidata secondo la quale non ha per compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne. Appartiene al primo capo alle autorità nazionali, in particolare ai corsi e tribunali, interpretare la legislazione interna (vedere, tra molte altre, García Manibardo c. Spagna, no 38695/97, § 36, CEDH 2000-II). Peraltro, il “diritto ad un tribunale” il cui diritto di accesso costituisce un aspetto particolare, non è assoluto e si presta alle limitazioni implicitamente ammesse, in particolare in quanto alle condizioni di ammissibilità di un ricorso, perché richiama anche per sua natura una regolamentazione da parte dello stato che gode a questo riguardo di un certo margine di valutazione. Tuttavia, queste limitazioni non potrebbero restringere l’accesso aperto ad un giudicabile in modo o ad un punto tale che il suo diritto ad un tribunale se ne trovi raggiunto nella sua sostanza stessa; infine, si conciliano con l’articolo 6 § 1 solo se tendono ad uno scopo legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto (vedere, tra molte altre, Edificaciones March Gallego S.p.A. c. Spagna, 19 febbraio 1998, § 34, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-I). Difatti, il diritto di accesso ad un tribunale si trova raggiunto quando la sua regolamentazione smette di servire gli scopi di sicurezza giuridica e di buona amministrazione della giustizia e costituisce un tipo di barriera che impedisce al giudicabile di vedere la sua controversia decisa al merito dalla giurisdizione competente.
19. La Corte ricorda inoltre che l’articolo 6 della Convenzione non costringe gli Stati contraenti a creare dei corsi di appello o di cassazione (vedere, in particolare, Delcourt c. Belgio, 17 gennaio 1970, §§ 25-26, serie A no 11). Però, se tali giurisdizioni esistono, le garanzie dell’articolo 6 devono essere rispettate, in particolare per ciò che garantisce alle parti in causa un diritto effettivo di accesso ai tribunali per fare deliberare sulle contestazioni relative ai loro “diritti ed obblighi di carattere civile” (vedere, tra altre, Brualla Gómez del Torre c. Spagna, 19 dicembre 1997, § 37, Raccolta 1997-VIII). Inoltre, la compatibilità delle limitazioni previste dal diritto interno col diritto di accesso ad un tribunale riconosciuto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione dipende dalle particolarità del procedimento in causa e bisogna prendere in conto l’insieme del processo condotto nell’ordine giuridico interno ed il ruolo che ha giocato la Corte suprema, le condizioni di ammissibilità di un ricorso in cassazione che possono essere più rigorose che per un appello (Khalfaoui c. Francia, no 34791/97, CEDH 1999-IX).
20. La Corte ricorda infine che la regolamentazione relativa alle formalità per formare un ricorso mira a garantire la buona amministrazione della giustizia ed il rispetto, in particolare, del principio della sicurezza giuridica. Gli interessati devono aspettarsi che le regole vengano applicate (Miragall Escolano ed altri c. Spagna, numeri 38366/97, 38688/97, 40777/98, 40843/98, 41015/98, 41400/98, 41446/98, 41484/98, 41487/98 e 41509/98, § 33, CEDH 2000-I,).
21. Essendo così, la Corte ha concluso a più riprese che l’applicazione da parte delle giurisdizioni interne di formalità da rispettare per formare un ricorso è suscettibile di violare il diritto di accesso ad un tribunale. Ne è così quando l’interpretazione fin troppo formalista della legalità ordinaria fatta da una giurisdizione impedisce, di fatto, l’esame in fondo al ricorso esercitato dall’interessato (Běleš ed altri c. Repubblica ceca, no 47273/99, § 69, CEDH 2002-IX; Zvolský e Zvolská c. Repubblica ceca, no 46129/99, § 55, CEDH 2002-IX).
b) Applicazione nello specifico dei principi suddetti
22. Nel caso specifico, la Corte rileva innanzitutto che la Corte di cassazione dichiarò inammissibile i motivi di appello sollevati negli otto primi mezzi in cassazione sollevati dal richiedente, considerando, tra l’altro che questo non aveva menzionato nel suo ricorso le circostanze di fatto su cui si era basata la giurisdizione di appello per respingergli (vedere sopra paragrafo 12). Constata che la regola applicata dall’alta giurisdizione per pronunciarsi sull’ammissibilità dei mezzi in causa è una costruzione giurisprudenziale: non deriva da una disposizione procedurale specifica, ma bensì della combinazione di quattro articoli del codice di procedura civile. In breve, l’alta giurisdizione fissa in materia una condizione di ammissibilità riguardante la chiarezza dei mezzi in cassazione.
23. Non ne resta meno che questa regola giurisprudenziale ubbidisca, in modo generale, alle esigenze della sicurezza giuridica e della buona amministrazione della giustizia; quando il richiedente in cassazione rimprovera alla corte di appello una valutazione erronea dei fatti della causa rispetto alla regola giuridica applicata, sembra ragionevole esigere che riferisca nel suo ricorso i fatti pertinenti come sono stati ammessi dalla corte di appello. A difetto, l’alta giurisdizione non sarebbe in grado di esercitare il suo controllo di annullamento a riguardo della sentenza attaccata; sarebbe tenuta a procedere ad una nuova determinazione dei fatti pertinenti della causa e di valutarli lei stessa rispetto alla regola di diritto applicato dalla corte di appello. Questa ipotesi non può essere prevista dunque, perché equivarrebbe ad esigere che l’alta giurisdizione formuli lei stessa i mezzi di cassazione supposti di essere sottomessi al suo esame. Tutto sommato, la regola giurisprudenziale applicata nello specifico si concilia con la specificità del ruolo giocato dalla Corte di cassazione il cui controllo è limitato al rispetto del diritto (vedere, in questo senso, Brechos c. Grecia, (dec.), no 7632/04, 11 aprile 2006).
24. No si può sostenere tuttavia nell’occorrenza che il ricorso in cassazione faceva pesare sulla Corte di cassazione l’incarico di procedere ad una nuova determinazione dei fatti dello specifico che, per di più, erano relativamente semplici. La Corte nota difatti che nel suo primo mezzo (esposizione in 41 pagine) il richiedente cominciò con citare un brano della sentenza attaccata, menzionandone poi la pagina, il paragrafo ed il capoverso pertinente, presentò i suoi propri argomenti per confutare le tesi della corte di appello. La Corte nota, inoltre, che il testo della sentenza attaccata, così come quello della decisione interlocutoria della corte di appello, erano uniti al ricorso. Anche se è vero che il richiedente complicò eccessivamente la presentazione dei suoi mezzi, la Corte stima che il fatto di contestargli di non avere riferito nel suo ricorso le circostanze di fatto che la corte di appello aveva considerato per respingerlo, dipende da un approccio fin troppo formalista che, nello specifico, ha impedito l’interessato di ottenere un esame in fondo alle sue affermazioni da parte della Corte di cassazione (vedere, in questo senso, Liakopoulou, no 20627/04, 24 maggio 2006; Efstathiou ed altri, no 36998/02, 27 luglio 2006; Zouboulidis, no 77574/01, 14 dicembre 2006; Vasilakis, no 25145/05, 17 gennaio 2008; Koskina ed altri, no 2602/06, 21 febbraio 2008).
25. Alla luce delle considerazioni che precedono, la Corte stima che nello specifico, la limitazione al diritto di accesso ad un tribunale imposto dalla Corte di cassazione non era proporzionata allo scopo di garantire la sicurezza giuridica e la buona amministrazione della giustizia.
26. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione allo sguardo del diritto del richiedente di avere accesso ad un tribunale. Simile conclusione dispensa la Corte dall’ esaminare le altre lamentele sollevate dal richiedente a titolo dell’equità del procedimento controverso.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE ALLO SGUARDO DELLA DURATA DEL PROCEDIMENTO
27. Il richiedente si lamenta che la durata del procedimento ha ignorato il principio del “termine ragionevole” come previsto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.
28. Il Governo si oppone a questa tesi.
29. Il periodo da considerare è cominciato il 10 dicembre 1999, con l’immissione nel processo del tribunale di prima istanza di Patrasso, e si è concluso il 31 maggio 2007, con la sentenza no 1159/2007 della Corte di cassazione. È durato sette anni e più di cinque mesi per tre istanze dunque.
A. Sull’ammissibilità
30. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva inoltre che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
31. La Corte ricorda che il carattere ragionevole della durata di un procedimento si rivaluta secondo le circostanze della causa ed avuto riguardo ai criteri consacrati dalla sua giurisprudenza, in particolare la complessità della causa, il comportamento del richiedente e quello delle autorità competenti così come la posta della controversia per gli interessati (vedere, tra molte altre, Frydlender c. Francia [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII).
32. La Corte ha trattato a più riprese cause che sollevavano delle questioni simili a quella del caso specifico e ha constatato la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (vedere Frydlender precitata).
33. Dopo avere esaminato tutti gli elementi che le sono stati sottoposti, la Corte considera che il Governo non ha esposto nessuno fatto né argomento da poter condurre ad una conclusione differente nel caso presente. Tenuto conto della sua giurisprudenza in materia, la Corte stima che nello specifico la durata del procedimento controverso è eccessiva e non risponde all’esigenza del “termine ragionevole.”
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
34. Invocando l’articolo 1 del Protocollo no 1, il richiedente si lamenta infine di un attentato al suo diritto al rispetto dei suoi beni. Secondo lui, gli errori commessi dalle giurisdizioni interne all’epoca dell’esame della sua causa gli hanno impedito di percepire le somme richieste nella sua azione.
Sull’ammissibilità
35. La Corte stima che il preteso credito del richiedente non può passare per un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1, poiché non è stato constatato da una decisione giudiziale che ha forza di cosa giudicata. Tale è tuttavia la condizione affinché un credito sia certo ed esigibile e, pertanto, protetto dall’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere, tra altre, Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 59, serie A, no 301-B).
36. In particolare, la Corte nota che, finché la sua causa era pendente dinnanzi alle giurisdizioni interne, la sua azione non ha fatto nascere, a capo del richiedente, nessuno diritto di credito, ma unicamente l’eventualità di ottenere simile credito. Ora, ricorda che il richiedente fu respinto alla conclusione del procedimento controverso e stima che anche se il carattere equo di questo procedimento fu soggetto a critica, non potrebbe speculare tuttavia sull’esistenza di un diritto a capo del richiedente percepire le somme richieste nella sua azione. Quindi, avendo respinto le sentenze la sua istanza non hanno fatto nascere a suo capo un credito protetto dall’articolo 1 del Protocollo no 1.
37. Ne segue che questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
38. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
39. Il richiedente richiede 48 202 euro (EUR) a titolo del danno materiale. Questa somma corrisponde all’importo che era oggetto della controversia dinnanzi alle giurisdizioni nazionali. Il richiedente richiede inoltre 20 000 EUR a titolo del danno morale che avrebbe subito.
40. Il Governo invita la Corte ad allontanare la richiesta a titolo del danno materiale. Afferma inoltre che una constatazione di violazione costituirebbe in sé una soddisfazione equa sufficiente a titolo del danno morale o, accessoriamente, che la somma assegnata a questo titolo non potrebbe superare 3 000 EUR.
41. La Corte non vede alcun legame di causalità tra la violazione constatata ed un qualsiasi danno materiale di cui il richiedente avrebbe dovuto soffrire; c’è dunque luogo di respingere questo aspetto delle sue pretese. In compenso, la Corte stima che il richiedente può richiedere il risarcimento del torto morale subito in ragione della violazione del suo diritto di accesso ad un tribunale, così come del suo diritto a vedere la sua causa giudicata in un termine ragionevole. Deliberando in equità, gli accorda la somma di 6 500 EUR a questo titolo, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta.
B. Oneri e spese
42. Il richiedente chiede anche, fatture in appoggio, 3 015,93 EUR per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alle giurisdizioni interne e 595 EUR per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alla Corte. Richiede inoltre, senza produrre alcuna fattura o nota di parcella, 2 000 EUR per altri oneri e spese impegnati nella cornice del procedimento controverso, e si rimette alla saggezza della Corte per determinarne l’importo assegnato a questo titolo.
43. Il Governo afferma che la somma assegnata a questo titolo non potrebbe superare 500 EUR.
44. La Corte ricorda che il sussidio degli oneri e delle spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si stabilisca la loro realtà, la loro necessità e, in più, il carattere ragionevole del loro tasso (Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 54, CEDH 2000-XI).
45. Nello specifico, tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei suddetti criteri, la Corte giudica ragionevole assegnare al richiedente 500 EUR a questo titolo, più ogni importo che può essere dovuto da lui a titolo di imposta.
C. Interessi moratori
46. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti di percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello derivati dall’equità e dalla durata del procedimento ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione allo sguardo del diritto di accesso ad un tribunale;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione allo sguardo della durata del procedimento;
4. Stabilisce che non c’è luogo di esaminare gli altri motivi di appello tratti dall’articolo 6 § 1 della Convenzione;
5. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 6 500 EUR (seimila cinque cento euro) per danno morale e 500 EUR (cinque cento euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
6. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 15 ottobre 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
André Wampach Nina Vajić
Cancelliere aggiunto Presidentessa

Testo Tradotto

PREMIÈRE SECTION
AFFAIRE KONSTANTINOS PETROPOULOS c. GRÈCE
(Requête no 55484/07)
ARRÊT
STRASBOURG
15 octobre 2009
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Konstantinos Petropoulos c. Grèce,
La Cour européenne des droits de l’homme (première section), siégeant en une chambre composée de :
Nina Vajić, présidente,
Christos Rozakis,
Khanlar Hajiyev,
Dean Spielmann,
Sverre Erik Jebens,
Giorgio Malinverni,
George Nicolaou, juges,
et de André Wampach, greffier adjoint de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 24 septembre 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 55484/07) dirigée contre la République hellénique et dont un ressortissant de cet Etat, M. K. P. (« le requérant »), a saisi la Cour le 8 décembre 2007 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le gouvernement grec (« le Gouvernement ») est représenté par les délégués de son agent, M. G. Kanellopoulos, assesseur auprès du Conseil juridique de l’Etat, et Mme Z. Hatzipavlou, auditrice auprès du Conseil juridique de l’Etat.
3. Le 11 septembre 2008, la présidente de la première section a décidé de communiquer les griefs tirés de l’équité et de la durée de la procédure au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
4. Le requérant est né en 1955 et réside à Patras. Il est avocat au barreau de Patras.
5. Le 10 décembre 1999, le requérant saisit le tribunal de première instance de Patras d’une action en dommages-intérêts contre quatre personnes physiques, réclamant 16 425 000 drachmes (48 202 euros) au titre des honoraires. L’audience fut fixée au 13 avril 2000, date à laquelle elle fut ajournée en raison de la tenue des élections législatives. Le 2 mai 2000, le requérant demanda la fixation d’une nouvelle date d’audience. Celle-ci fut fixée au 23 novembre 2000, date à laquelle elle fut à nouveau ajournée à la demande de la partie adverse. Le 17 mai 2001, l’audience fut à nouveau ajournée en raison de la grève des avocats du barreau. Le 20 mai 2001, les parties demandèrent la fixation d’une nouvelle date d’audience. Celle-ci eut lieu le 17 janvier 2002.
6. Le 29 mars 2002, le tribunal déclara le recours irrecevable au motif que les quatre défendeurs n’avaient pas la qualité d’ester passivement en justice (έλλειψη παθητικής νομιμοποίησης), puisqu’ils n’agissaient pas en leur propre nom, mais en tant que membres du conseil d’administration de l’Association coopérative de construction des employés de banque du département d’Achaïa (ci-après « l’association »). Le tribunal considéra que le requérant était au courant de cette situation et le condamna aux dépens (décision no 322/2003).
7. Le 25 août 2002, le requérant interjeta appel, en soulevant onze moyens, longuement développés dans ses écritures. L’audience devant la cour d’appel de Patras eut lieu le 17 avril 2003. Le requérant était présent et plaida sa cause en sa qualité d’avocat. Les défendeurs n’étaient pas présents, mais représentés par leurs conseils, qui plaidèrent l’affaire. Les délibérations eurent lieu le 26 juin 2003.
8. Le 29 août 2003, par une décision avant dire droit, la cour d’appel de Patras, invoquant les articles 254 et 245 du code de procédure civile (voir ci-dessous), ordonna « la répétition de l’audience devant cette cour (την επανάληψη της συζητήσεως στο ακροατήριο του δικαστηρίου τούτου) pour que les parties se présentent en personne et donnent les clarifications nécessaires [sur le litige] » (décision no 896/2003). Le 17 septembre 2003, le requérant demanda la fixation d’une nouvelle date d’audience.
9. Le 19 septembre 2004, la cour d’appel de Patras, composée différemment, déclara fondée l’exception des défendeurs tirée de l’absence de leur qualité d’ester passivement en justice. En effet, se référant à des dépositions de témoins et à d’autres documents du dossier, la cour d’appel considéra comme établi que le requérant avait accompli des actes en qualité de mandataire de l’association et non pas comme représentant des quatre personnes physiques visées dans son action ; ces dernières agissaient en tant que représentants légaux de l’association et n’étaient donc pas personnellement responsables pour régler les honoraires dus par celle-ci. La cour d’appel considéra que les allégations contraires, soulevées par le requérant dans son appel, était infondées et devaient être rejetées, sans autre précision. Dès lors, tout en notant que la motivation du tribunal de première instance était « quelque peu différente et insuffisante », elle confirma la décision attaquée, rejeta l’appel et condamna le requérant aux dépens (décision no 893/2004).
10. Le 19 avril 2005, le requérant se pourvut en cassation. Dans son pourvoi de 111 pages, il présenta d’abord un résumé du litige et l’évolution de la procédure devant les juridictions de fond, puis un tableau avec un résumé de ses moyens en cassation, avec référence aux articles du droit interne invoqués à leur appui, ainsi qu’aux paragraphes de son mémoire où chaque moyen était exposé. Le requérant développa ensuite ses neuf moyens de cassation. Dans son premier moyen, exposé sur 41 pages, il commença par citer un extrait de l’arrêt attaqué, en mentionnant la page, le paragraphe et l’alinéa pertinents, puis il présenta ses propres arguments pour réfuter les thèses de la cour d’appel. Il invoqua aussi en détail plusieurs preuves, en se plaignant que la cour d’appel les avait ignorées. Dans ses deuxième à huitième moyens, exposés sur 60 pages, le requérant se plaignait que la cour d’appel l’avait à tort débouté et qu’elle avait omis de se prononcer sur certaines de ses demandes, qu’il détaillait sur plusieurs pages. Il se plaignait en outre que la cour d’appel aurait dû déclarer irrecevable l’exception des défendeurs tirée de l’absence de leur qualité d’ester passivement en justice, puisque cette exception était vague et avait été déposée tardivement ; le requérant précisait à cet égard qu’il avait soulevé ce grief dans son appel, mais que la cour d’appel l’avait « ignoré ». Il soutenait que cette juridiction avait mal interprété et appliqué le droit interne pertinent, en se fondant sur une mauvaise appréciation des dépositions des témoins et de plusieurs documents du dossier, preuves que le requérant analysait une par une. Dans son neuvième moyen, le requérant contestait enfin la composition de la cour d’appel, en soutenant que, conformément au code de procédure civile, la cour d’appel aurait dû avoir la même composition que celle qui avait ordonné la répétition de l’audience. Le texte de l’arrêt attaqué, ainsi que celui de la décision avant dire droit de la cour d’appel, étaient joints au pourvoi.
11. L’audience devant la Cour de cassation eut lieu le 21 novembre 2006. Le requérant affirme que l’un des magistrats qui faisait partie de la composition de la haute juridiction décéda le 18 janvier 2007, sans pour autant être remplacé lors des délibérations qui s’ensuivirent, le 24 avril 2007. Selon le Gouvernement, ce magistrat avait été dûment remplacé et, par omission manifeste, le nom du juge remplaçant ne figure pas dans le texte de l’arrêt rendu par la haute juridiction.
12. Le 31 mai 2007, la Cour de cassation rejeta le pourvoi. Se référant notamment à l’article 559 § 1 du code de procédure civile (voir paragraphe 13 ci-dessous), elle déclara irrecevables les griefs soulevés dans les huit premiers moyens en cassation, en considérant, entre autres, que le requérant n’avait pas précisé dans son pourvoi les circonstances de fait sur lesquelles s’était fondée la cour d’appel pour le débouter. S’agissant en particulier du grief du requérant, selon lequel la cour d’appel aurait dû déclarer irrecevable l’exception des défendeurs tirée de l’absence de leur qualité d’ester passivement en justice, la Cour de cassation le déclara irrecevable, au motif que le requérant avait omis de mentionner dans son pourvoi qu’il avait soulevé ce grief lors de la procédure en appel. La haute juridiction considéra en outre que la cour d’appel avait dûment motivé son arrêt et qu’elle avait correctement apprécié les preuves produites devant elle. S’agissant en particulier du grief du requérant que la cour d’appel n’avait pas répondu à ses diverses demandes, la Cour de cassation le déclara irrecevable, au motif que le requérant avait omis de mentionner dans son pourvoi quelles étaient ces demandes. Elle rejeta enfin le neuvième moyen soulevé par le requérant, au motif qu’il était dénué de fondement : de l’avis la Cour de cassation, « la cour d’appel n’avait pas ordonné la répétition de l’audience, selon l’article 254 du code de procédure civile, mais la présentation en personne des parties à l’audience, selon l’article 245 du même code ; dès lors, il n’était pas nécessaire que la composition de la cour d’appel soit la même » (arrêt no 1159/2007). Cet arrêt fut mis au net et certifié conforme le 13 juin 2007.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
13. Les dispositions pertinentes du code de procédure civile sont ainsi libellées :
Article 245 § 1
« Le tribunal peut, d’office ou sur demande des parties, ordonner tout ce qui peut faciliter l’examen du litige et notamment la présence en personne des parties ou de leurs représentants à l’audience pour répondre à des questions et donner les clarifications nécessaires au sujet de l’affaire. »
Article 254
« Le tribunal peut ordonner la répétition de l’audience qui est terminée si, lors de l’examen de l’affaire ou des délibérations, apparaissent des lacunes ou des points douteux qui nécessitent d’être complétés ou clarifiés. L’audience qui est ainsi répétée est considérée comme la suite de la précédente. »
Article 559 § 1
« Le pourvoi en cassation est autorisé seulement si une règle de fond a été violée (…) indépendamment de la question de savoir s’il s’agit d’une loi ou d’une coutume, grecque ou étrangère, du droit interne ou international (…) »
Article 566 §1
« Le pourvoi en cassation doit comprendre les éléments exigés par les articles 118 à 120, citer l’arrêt attaqué, les moyens de cassation en entier ou en partie de l’arrêt attaqué ainsi qu’une demande quant au fond de l’affaire. »
Article 577 § 3
« La Cour de cassation examine la recevabilité et le fond des motifs de cassation si elle juge le pourvoi en cassation légal et recevable. »
Article 578
« La Cour de cassation rejette le pourvoi en cassation si elle estime que les motifs de l’arrêt attaqué sont erronés et que son dispositif est juste (…). »
Selon la jurisprudence de la Cour de cassation, le pourvoi en cassation doit préciser quelle est la règle de fond qui a été violée, en quoi consiste l’erreur juridique, autrement dit où se trouve la violation dans l’interprétation ou l’application de la règle en cause, et doit aussi comporter l’exposé des faits sur lesquels s’est fondée la cour d’appel pour rejeter le recours (Cour de cassation, nos 1507/1997, 290/2003, 237/2004).
EN DROIT
I. SUR LES VIOLATIONS ALLÉGUÉES DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION AU REGARD DE L’EQUITÉ DE LA PROCÉDURE
14. Le requérant se plaint d’une violation de son droit à un procès équitable, tel que prévu par l’article 6 § 1 de la Convention, ainsi libellé :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement (…) dans un délai raisonnable, par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) »
A. Sur la recevabilité
15. La Cour constate que cette partie de la requête n’est pas manifestement mal fondée au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève en outre qu’elle ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de la déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
16. Selon le requérant, les juridictions internes auraient commis plusieurs erreurs dans l’examen de son affaire et auraient ignoré certains de ses griefs. Il reproche plus particulièrement à la Cour de cassation d’avoir fait preuve de formalisme excessif en déclarant irrecevables ses moyens, soit au motif qu’il n’avait pas mentionné les circonstances de fait sur lesquelles s’était fondée la juridiction d’appel pour le débouter, soit au motif que son pourvoi ne comportait pas les éléments nécessaires pour leur examen. Il y voit une violation de son droit d’accès à un tribunal et considère que la Cour de cassation a fait preuve de formalisme excessif et n’a pas lu son pourvoi. Le requérant se plaint aussi du rejet de son neuvième moyen en cassation, tiré de la composition de la cour d’appel après la répétition de l’audience, en considérant que le raisonnement de la Cour de cassation va à l’encontre du texte même de la décision no 896/2003 de la cour d’appel. Enfin, le requérant affirme que la composition de la haute juridiction n’était pas légale, puisqu’un magistrat qui avait participé à l’audience et qui serait décédé quelques mois plus tard, n’aurait pas été remplacé lors des délibérations sur l’affaire qui s’ensuivirent. Le requérant conclut à une violation de son droit à un tribunal indépendant et impartial, tant devant la cour d’appel que devant la Cour de cassation.
17. Le Gouvernement s’oppose à ces thèses. Pour ce qui est plus particulièrement du grief tiré du droit d’accès à un tribunal, le Gouvernement estime raisonnable que le demandeur en cassation soit tenu de présenter les faits de la cause tels qu’ils ont été établis par la cour d’appel après l’administration des preuves. Dans le cas contraire, il incomberait à la Cour de cassation de rechercher elle-même les faits de la cause ayant conduit la cour d’appel à l’interprétation litigieuse du droit interne. Le Gouvernement affirme que la façon dont le requérant avait rédigé son pourvoi en cassation en l’espèce était particulièrement confuse, dans la mesure où il présenta un texte qui était disproportionnellement long avec l’objet, plutôt simple, du litige, texte qui manquait aussi de structure claire et dans lequel s’entremêlaient moyens en cassation, griefs et arguments juridiques. Le Gouvernement estime, toutefois, que même si l’examen du pourvoi s’avéra particulièrement compliqué et laborieux, la Cour de cassation traita méticuleusement un par un les moyens soulevés par le requérant, en motivant pleinement son arrêt. Le Gouvernement conclut que le manque de clarté et de précision dans la présentation des moyens du requérant est à l’origine de leur rejet par la haute juridiction. Le Gouvernement affirme en outre que nulle autre violation du droit du requérant à un procès équitable ne se trouve établie en l’espèce.
2. Appréciation de la Cour
a) Principes généraux
18. La Cour rappelle sa jurisprudence constante selon laquelle elle n’a pas pour tâche de se substituer aux juridictions internes. C’est au premier chef aux autorités nationales, notamment aux cours et tribunaux, qu’il incombe d’interpréter la législation interne (voir, parmi beaucoup d’autres, García Manibardo c. Espagne, no 38695/97, § 36, CEDH 2000-II). Par ailleurs, le « droit à un tribunal », dont le droit d’accès constitue un aspect particulier, n’est pas absolu et se prête à des limitations implicitement admises, notamment quant aux conditions de recevabilité d’un recours, car il appelle de par sa nature même une réglementation par l’Etat, lequel jouit à cet égard d’une certaine marge d’appréciation. Toutefois, ces limitations ne sauraient restreindre l’accès ouvert à un justiciable de manière ou à un point tels que son droit à un tribunal s’en trouve atteint dans sa substance même ; enfin, elles ne se concilient avec l’article 6 § 1 que si elles tendent à un but légitime et s’il existe un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé (voir, parmi beaucoup d’autres, Edificaciones March Gallego S.A. c. Espagne, 19 février 1998, § 34, Recueil des arrêts et décisions 1998–I). En effet, le droit d’accès à un tribunal se trouve atteint lorsque sa réglementation cesse de servir les buts de sécurité juridique et de bonne administration de la justice et constitue une sorte de barrière qui empêche le justiciable de voir son litige tranché au fond par la juridiction compétente.
19. La Cour rappelle en outre que l’article 6 de la Convention n’astreint pas les Etats contractants à créer des cours d’appel ou de cassation (voir, notamment, Delcourt c. Belgique, 17 janvier 1970, §§ 25-26, série A no 11). Cependant, si de telles juridictions existent, les garanties de l’article 6 doivent être respectées, notamment en ce qu’il assure aux plaideurs un droit effectif d’accès aux tribunaux pour faire statuer sur les contestations relatives à leurs « droits et obligations de caractère civil » (voir, parmi d’autres, Brualla Gómez de la Torre c. Espagne, 19 décembre 1997, § 37, Recueil 1997-VIII). En outre, la compatibilité des limitations prévues par le droit interne avec le droit d’accès à un tribunal reconnu par l’article 6 § 1 de la Convention dépend des particularités de la procédure en cause et il faut prendre en compte l’ensemble du procès mené dans l’ordre juridique interne et le rôle qu’y a joué la Cour suprême, les conditions de recevabilité d’un pourvoi en cassation pouvant être plus rigoureuses que pour un appel (Khalfaoui c. France, no 34791/97, CEDH 1999-IX).
20. La Cour rappelle enfin que la réglementation relative aux formalités pour former un recours vise à assurer la bonne administration de la justice et le respect, en particulier, du principe de la sécurité juridique. Les intéressés doivent s’attendre à ce que les règles soient appliquées (Miragall Escolano et autres c. Espagne, nos 38366/97, 38688/97, 40777/98, 40843/98, 41015/98, 41400/98, 41446/98, 41484/98, 41487/98 et 41509/98, § 33, CEDH 2000-I).
21. Cela étant, la Cour a conclu à plusieurs reprises que l’application par les juridictions internes de formalités à respecter pour former un recours est susceptible de violer le droit d’accès à un tribunal. Il en est ainsi quand l’interprétation par trop formaliste de la légalité ordinaire faite par une juridiction empêche, de fait, l’examen au fond du recours exercé par l’intéressé (Běleš et autres c. République tchèque, no 47273/99, § 69, CEDH 2002-IX ; Zvolský et Zvolská c. République tchèque, no 46129/99, § 55, CEDH 2002-IX).
b) Application en l’espèce des principes susmentionnés
22. Dans le cas d’espèce, la Cour relève tout d’abord que la Cour de cassation déclara irrecevables les griefs soulevés dans les huit premiers moyens en cassation soulevés par le requérant, en considérant, entre autres, que celui-ci n’avait pas mentionné dans son pourvoi les circonstances de fait sur lesquelles s’était fondée la juridiction d’appel pour le débouter (voir paragraphe 12 ci-dessus). Elle constate que la règle appliquée par la haute juridiction pour se prononcer sur la recevabilité des moyens en cause est une construction jurisprudentielle : elle ne découle pas d’une disposition procédurale spécifique, mais bien de la combinaison de quatre articles du code de procédure civile. Bref, la haute juridiction fixe en la matière une condition de recevabilité portant sur la clarté des moyens en cassation.
23. Il n’en reste pas moins que cette règle jurisprudentielle obéit, d’une manière générale, aux exigences de la sécurité juridique et de la bonne administration de la justice ; quand le demandeur en cassation reproche à la cour d’appel une appréciation erronée des faits de la cause par rapport à la règle juridique appliquée, il paraît raisonnable d’exiger qu’il relate dans son pourvoi les faits pertinents tels qu’ils ont été admis par la cour d’appel. A défaut, la haute juridiction ne serait pas en mesure d’exercer son contrôle d’annulation à l’égard de l’arrêt attaqué ; elle serait tenue de procéder à un nouvel établissement des faits pertinents de la cause et de les apprécier elle-même par rapport à la règle de droit appliquée par la cour d’appel. Cette hypothèse ne peut donc être envisagée, car elle équivaudrait à exiger de la haute juridiction qu’elle formule elle-même les moyens de cassation censés être soumis à son examen. En somme, la règle jurisprudentielle appliquée en l’espèce se concilie avec la spécificité du rôle joué par la Cour de cassation, dont le contrôle est limité au respect du droit (voir, en ce sens, Brechos c. Grèce (déc.), no 7632/04, 11 avril 2006).
24. On ne peut toutefois soutenir en l’occurrence que le pourvoi en cassation faisait peser sur la Cour de cassation la charge de procéder à un nouvel établissement des faits de l’espèce, lesquels, de surcroît, étaient relativement simples. La Cour note en effet que dans son premier moyen, exposé sur 41 pages, le requérant commença par citer un extrait de l’arrêt attaqué, en mentionnant la page, le paragraphe et l’alinéa pertinents, puis présenta ses propres arguments pour réfuter les thèses de la cour d’appel. La Cour note, en outre, que le texte de l’arrêt attaqué, ainsi que celui de la décision avant dire droit de la cour d’appel, étaient joints au pourvoi. Même s’il est vrai que le requérant compliqua excessivement la présentation de ses moyens, la Cour estime que le fait de lui opposer de ne pas avoir relaté dans son pourvoi les circonstances factuelles que la cour d’appel avait retenues pour le débouter, relève d’une approche par trop formaliste qui, en l’espèce, a empêché l’intéressé d’obtenir un examen au fond de ses allégations par la Cour de cassation (voir, en ce sens, Liakopoulou, no 20627/04, 24 mai 2006 ; Efstathiou et autres, no 36998/02, 27 juillet 2006 ; Zouboulidis, no 77574/01, 14 décembre 2006 ; Vasilakis, no 25145/05, 17 janvier 2008 ; Koskina et autres, no 2602/06, 21 février 2008).
25. A la lumière des considérations qui précèdent, la Cour estime qu’en l’espèce, la limitation au droit d’accès à un tribunal imposée par la Cour de cassation n’était pas proportionnée au but de garantir la sécurité juridique et la bonne administration de la justice.
26. Partant, il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention au regard du droit du requérant d’avoir accès à un tribunal. Pareille conclusion dispense la Cour d’examiner les autres doléances soulevées par le requérant au titre de l’équité de la procédure litigieuse.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION AU REGARD DE LA DURÉE DE LA PROCÉDURE
27. Le requérant se plaint que la durée de la procédure a méconnu le principe du « délai raisonnable » tel que prévu par l’article 6 § 1 de la Convention.
28. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
29. La période à considérer a débuté le 10 décembre 1999, avec la saisine du tribunal de première instance de Patras, et s’est terminée le 31 mai 2007, avec l’arrêt no 1159/2007 de la Cour de cassation. Elle a donc duré sept ans et plus de cinq mois pour trois instances.
A. Sur la recevabilité
30. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève en outre qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
31. La Cour rappelle que le caractère raisonnable de la durée d’une procédure s’apprécie suivant les circonstances de la cause et eu égard aux critères consacrés par sa jurisprudence, en particulier la complexité de l’affaire, le comportement du requérant et celui des autorités compétentes ainsi que l’enjeu du litige pour les intéressés (voir, parmi beaucoup d’autres, Frydlender c. France [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII).
32. La Cour a traité à maintes reprises d’affaires soulevant des questions semblables à celle du cas d’espèce et a constaté la violation de l’article 6 § 1 de la Convention (voir Frydlender précité).
33. Après avoir examiné tous les éléments qui lui ont été soumis, la Cour considère que le Gouvernement n’a exposé aucun fait ni argument pouvant mener à une conclusion différente dans le cas présent. Compte tenu de sa jurisprudence en la matière, la Cour estime qu’en l’espèce la durée de la procédure litigieuse est excessive et ne répond pas à l’exigence du « délai raisonnable ».
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
34. Invoquant l’article 1 du Protocole no 1, le requérant se plaint enfin d’une atteinte à son droit au respect de ses biens. Selon lui, les erreurs commises par les juridictions internes lors de l’examen de son affaire l’ont empêché de toucher les sommes réclamées dans son action.
Sur la recevabilité
35. La Cour estime que la prétendue créance du requérant ne peut passer pour un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1, puisque elle n’a pas été constatée par une décision judiciaire ayant force de chose jugée. Telle est pourtant la condition pour qu’une créance soit certaine et exigible et, partant, protégée par l’article 1 du Protocole no 1 (voir, parmi d’autres, Raffineries Grecques Stran et Stratis Andreadis c. Grèce, 9 décembre 1994, § 59, série A, no 301-B).
36. En particulier, la Cour note que, tant que son affaire était pendante devant les juridictions internes, son action n’a fait naître, dans le chef du requérant, aucun droit de créance, mais uniquement l’éventualité d’obtenir pareille créance. Or, elle rappelle que le requérant fut débouté à l’issue de la procédure litigieuse et estime que même si le caractère équitable de cette procédure fut sujet à critique, elle ne saurait toutefois spéculer sur l’existence d’un droit dans le chef du requérant de toucher les sommes réclamées dans son action. Dès lors, les arrêts ayant rejeté sa demande n’ont pas fait naître en son chef une créance protégée par l’article 1 du Protocole no 1.
37. Il s’ensuit que ce grief est manifestement mal fondé et doit être rejeté en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
IV. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
38. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
39. Le requérant réclame 48 202 euros (EUR) au titre du préjudice matériel. Cette somme correspond au montant qui faisait l’objet du litige devant les juridictions nationales. Le requérant réclame en outre 20 000 EUR au titre du préjudice moral qu’il aurait subi.
40. Le Gouvernement invite la Cour à écarter la demande au titre du dommage matériel. Il affirme en outre qu’un constat de violation constituerait en soi une satisfaction équitable suffisante au titre du dommage moral ou, accessoirement, que la somme allouée à ce titre ne saurait dépasser 3 000 EUR.
41. La Cour n’aperçoit pas de lien de causalité entre la violation constatée et un quelconque dommage matériel dont le requérant aurait eu à souffrir ; il y a donc lieu de rejeter cet aspect de ses prétentions. En revanche, la Cour estime que le requérant peut réclamer la réparation du tort moral subi en raison de la violation de son droit d’accès à un tribunal, ainsi que de son droit de voir sa cause jugée dans un délai raisonnable. Statuant en équité, elle lui accorde la somme de 6 500 EUR à ce titre, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt.
B. Frais et dépens
42. Le requérant demande également, factures à l’appui, 3 015,93 EUR pour les frais et dépens engagés devant les juridictions internes et 595 EUR pour les frais et dépens engagés devant la Cour. Il réclame en outre, sans produire de facture ou note d’honoraires, 2 000 EUR pour d’autres frais et dépens engagés dans le cadre de la procédure litigieuse, et s’en remet à la sagesse de la Cour pour en déterminer le montant alloué à ce titre.
43. Le Gouvernement affirme que la somme allouée à ce titre ne saurait dépasser 500 EUR.
44. La Cour rappelle que l’allocation de frais et dépens au titre de l’article 41 présuppose que se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et, de plus, le caractère raisonnable de leur taux (Iatridis c. Grèce [GC], no 31107/96, § 54, CEDH 2000-XI).
45. En l’espèce, compte tenu des éléments en sa possession et des critères susmentionnés, la Cour juge raisonnable d’allouer au requérant 500 EUR à ce titre, plus tout montant pouvant être dû par lui à titre d’impôt.
C. Intérêts moratoires
46. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant aux griefs tirés de l’équité et de la durée de la procédure et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention au regard du droit d’accès à un tribunal ;
3. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention au regard de la durée de la procédure ;
4. Dit qu’il n’y a pas lieu d’examiner les autres griefs tirés de l’article 6 § 1 de la Convention ;
5. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 6 500 EUR (six mille cinq cents euros) pour dommage moral et 500 EUR (cinq cents euros) pour frais et dépens, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
6. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 15 octobre 2009, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
André Wampach Nina Vajić
Greffier adjoint Présidente

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