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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE KLAUS ET IOURI KILADZE c. GEORGIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 1
Articoli: 41, 35, 46, P1-1
Numero: 7975/06/2010
Stato: Georgia
Data: 2010-02-02 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Parzialmente inammissibile; Eccezione preliminare respinta (ratione temporis); Eccezione preliminare parzialmente trattenuta e respinta parzialmente (ratione materiae); Violazione di P1-1; Danno patrimoniale – domanda respinta; Danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA KLAUS ED IOURI KILADZE C. GEORGIA
( Richiesta no 7975/06)
SENTENZA
STRASBURGO
2 febbraio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Klaus ed Iouri Kiladzé c. Georgia,
La Corte europea dei Diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, András Sajó, Nona Tsotsoria,
Işıl Karakaş, giudici, e dalla Sig.ra Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 15 dicembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottata in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 7975/06) diretta contro la Georgia e in cui i cittadini di questo Stato, i Sigg. K.K. ed I. K. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 22 febbraio 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati dalla Sig.ra S. D., avvocato dall’associazione dei giovani giuristi della Georgia (“SAÏA”) così come dai Sigg. P. L. e B.B., avvocati del Centro europeo per la protezione dei diritti dell’uomo a Londra (“EHRAC”). Il governo georgiano (“il Governo”) è rappresentato dal Sig. Bessarion Bokhachvili, il suo agente.
3. I richiedenti si lamentavano in particolare dell’impossibilità di fare valere i loro diritti al compenso derivante dal loro statuto di vittime di repressioni politiche.
4. Il 21 marzo 2006, la Corte ha deciso di trattare la richiesta con precedenza (articolo 41 dell’ordinamento) e, il 6 luglio 2006, ha deciso di comunicare i motivi di appello derivati dall’articolo 1 del Protocollo no 1 e dall’articolo 13 della Convenzione al Governo (articolo 54 § 2 b) dell’ordinamento). Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, la Corte ha deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
5. Tanto i richiedenti che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte (articolo 54A dell’ordinamento).
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
6. I richiedenti, due fratelli, sono nati rispettivamente nel 1926 e 1928 e risiedono a Tbilissi.
7. Giudicato il 2 ottobre 1937 per sabotaggio e terrorismo, il padre dei richiedenti fu fucilato.
8. Il 7 novembre 1938, la madre dei richiedenti fu condannata ad otto anni di detenzione per propaganda e disturbo per sollecitare il rovesciamento del regime sovietico e deportata in un campo del GOULA (Generalnoïe Oupravlenie Lagerey) all’estremo nord dell’URSS.
9. Allora dell’età rispettivamente di 12 e 10 anni i richiedenti restarono, in principio soli nell’appartamento dei loro genitori a Tbilissi, non osando nessuno vicino e prossimo avvicinarli per paura di essere arrestati. Si furono poi presi in cura per un mese e mezzo in un centro da ritenzione a Tbilissi. Essendo mal nutriti, contrassero per di più la febbre tifoide in ragione dell’insalubrità. Poi, furono mandati dalla Georgia verso la regione di Stavropol in Russia e collocati, conformemente all’ordine del commissario popolare delle cause interne dell’URSS del 15 agosto 1937 (“l’ordine del 15 agosto 1937”), in una casa per bambini senza famiglia dove trascorsero due anni. Sottoposti ad un “controllo di affinità socio-politiche”, i richiedenti furono umiliati senza tregua e percossi al tempo stesso dal personale in quanto figli di loro padre, “traditore della Patria”, e da altri bambini orfani in quanto cittadini della Georgia, paese di origine di Stalin. Erano tenuti inoltre, in condizioni deplorevoli. Dormendo 60 bambini nella stessa sala su un lungo materasso, un piumone doveva essere condiviso da cinque bambini. Un barile in legna collocato nella stessa sala serviva da servizi (“paracha”) e non c’era acqua corrente. I richiedenti presero allora dei pidocchi e la scabbia.
10. Subito dopo l’arresto della madre dei richiedenti, l’appartamento familiare di 90 m² a Tbilissi fu confiscato con l’insieme del mobilio, degli oggetti personali e familiari.
11. Nel 1940, la nonna dei richiedenti riuscì ad ottenere la loro custodia. Ritornati in Georgia, i richiedenti, ancora bambini, furono costretti a lavorare fisicamente per guadagnarsi da vivere. In seguito, per tutta la loro vita attiva sotto l’URSS, furono messi di fronte ad una pressione sociale e politica molto forte in quanto bambini di un “traditore della Patria.”
12. Nel 1945, la madre dei richiedenti fu liberata. Ritornò a Tbilissi sofferente di scorbuto, dell’età allora di 42 anni, non aveva più nessun dente, soffriva di pleurite e di gastroenterite. Il 4 maggio 1956, il tribunale militare nel Caucaso Sud annullò il giudizio di condanna della madre dei richiedenti del 7 novembre 1938 in ragione della mancanza del corpo del reato e pronunciò la sua riabilitazione. Il 30 agosto 1957, il collegio delle cause militari della Corte suprema dell’URSS annullò il giudizio del 2 ottobre 1937 per gli stessi motivi e pronunciò la riabilitazione del loro padre.
13. Il 16 marzo 1991, la madre dei richiedenti decedette.
14. Il 6 marzo 1998, i richiedenti si rivolsero al ministero della Sicurezza dello stato georgiano chiedendo delle informazione concernenti i perseguimenti penali contro i loro genitori, la confisca dei loro beni così come il loro proprio soggiorno all’orfanotrofio. Il 1 luglio 1998, fu risposto loro che nessuna informazione riguardante il loro soggiorno all’orfanotrofio era stata conservata. In quanto alle informazione sui loro genitori, gli archivi del ministero erano stati bruciati durante la guerra civile del 1991-1992. Fu consigliato loro di raccogliere parecchie testimonianze di testimoni oculari, di farle certificare da un notaio e di investire il tribunale della giurisdizione territoriale della loro residenza di un0istanza di determinazione di un fatto giuridico.
15. Il 16 marzo 1998, i richiedenti investirono il tribunale di prima istanza di Sabourthalo a Tbilissi e chiesero che i loro genitori così come loro stessi fossero dichiarati vittime di repressioni politiche.
16. Il 19 agosto 1998, la loro istanza fu accolta integralmente.
17. Sul fondamento di questa decisione che diventò definitiva il 2 settembre 1998, i richiedenti investirono il 15 marzo 2005 la corte regionale di Tbilissi di un’azione per compenso del danno patrimoniale e morale basandosi sull’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997, relativa alla riconoscenza dello statuto di vittima di repressioni politiche ai cittadini georgiani ed alla protezione sociale dei repressi (“legge dell’ 11 dicembre 1997”), entrata in vigore il 1 gennaio 1998. Mettendo l’accento sul collocamento a morte di loro padre, la separazione dalla loro madre, le loro condizioni di detenzione nel centro di ritenzione da prima ed all’orfanotrofio poi, l’attentato portato alla loro salute, l’umiliazione e la repressione subita dall’arresto dei loro genitori fino ad un’età avanzata, così come sulla confisca dei beni in seguito all’arresto di loro madre, i richiedenti chiesero che in virtù dell’articolo 9 precitato, un compenso di 515 000 laris georgiani (208 000 EUR circa1) venisse assegnato a ciascuno di loro per l’insieme del danno patrimoniale e morale subito.
18. Il rappresentante del Presidente georgiano, parte convenuta, sostenne che l’azione dei richiedenti non doveva essere accolta, dato che prima del 1997, nessun diritto ad un compenso era riconosciuto loro e che “la legge” alla quale rinviava la legge dell’ 11 dicembre 1997 non era ancora adottata.
19. Il 9 giugno 2005, la corte regionale di Tbilissi considerò come stabiliti i fatti relativi al passato dei richiedenti come esposto sopra eccetto la confisca dei beni. Appellandosi all’articolo 102 § 3 del codice di procedura civile su questo ultimo punto, la corte regionale oppose ai richiedenti la mancanza di prove documentarie che attestavano la confisca, stimando che le deposizioni scritte dei testimoni oculari che avevano prodotto non bastavano. Considerò peraltro che l’azione dei richiedenti era prescritta nella sua globalità senza indicare quale termine di prescrizione si applicava ed a partire da quando questo termine era cominciato a decorrere. Infine, la corte regionale concluse che ad ogni modo, l’istanza dei richiedenti non poteva essere accolta, poiché le “leggi” alle quali rinviavano gli articoli8 e 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997 non erano ancora adottate.
20. I richiedenti ricorsero in cassazione ricordando che in virtù dell’ordine del 15 agosto 1937 (vedere sotto il paragrafo 26), la moglie di ogni persona condannata in quanto “traditore della Patria” doveva essere a sua volta necessariamente condannata ad una pena di detenzione da cinque ad otto anni, che i loro bambini minorenni dovevano essere posti poi in case all’infuori del territorio georgiano e che i beni mobili ed immobili dovevano essere confiscati necessariamente. La condanna di loro padre coinvolgeva obbligatoriamente queste misure e, visto il contesto in cui gli avvenimenti avevano avuto luogo, il fatto di non potere presentare delle prove documentarie di confisca dei beni non poteva essere rimproverato loro. In quanto alla prescrizione, i richiedenti ricordarono che la loro azione per compenso era fondata sulla legge dell’ 11 dicembre 1997 e non poteva essere prescritta quindi nel momento in cui si era deliberato sulle loro istanze. Ad ogni modo, stimarono che avevano il diritto ad un compenso in virtù dell’articolo 1005 § 3 del codice civile. I richiedenti si lamentarono inoltre che otto anni circa erano trascorsi dall’entrata in vigore della legge dell’ 11 dicembre 1997 senza che lo stato prendesse le misure necessarie per legiferare ed indennizzare le vittime delle repressioni politiche in applicazione degli articoli 8 § 3 e 9 in fine di questa legge. Sostennero che il numero di queste vittime, tutte vecchie, diminuiva e che a loro avviso, lo stato aspettava che la loro morte risolvesse la questione del loro indennizzo. Secondo la nota esplicativa del progetto di legge che un’organizzazione non governativa presentò, in vano, al Parlamento nel 2001 per palliare il vuoto legislativo controverso, il numero delle vittime delle repressioni politiche, riguardate dall’articolo 9 precitato, variava, secondo le categorie, tra i 600 e i 16 000.
21. Il ricorso dei richiedenti fu respinto il 2 novembre 2005 dalla Corte suprema della Georgia che, confermando il ragionamento della corte regionale relativa all’insufficienza di prove documentarie in quanto alla confisca dei beni, respinse la loro istanza di compenso del danno patrimoniale. In quanto al compenso morale, la Corte suprema considerò come stabiliti i fatti relativi alla loro repressione (come esposti ai paragrafi 7-9 e 11 sopra). Stimò poi che “la legge” menzionata all’articolo 413 § 1 del codice civile era, nell’occorrenza, l’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997, lex specialis ai fini dello specifico. Conclude che ai sensi dell’articolo 9 precitato, la nozione di “compenso pecuniario” comprendeva, tra l’altro, un compenso morale. Tuttavia, dato che un atto normativo relativo al versamento del compenso in questione a cui rinviava l’articolo 9, non era adottato, la richiesta di compenso morale dei richiedenti era, al momento dato, senza fondamento e non poteva essere accolta. Non sembra che la Corte suprema abbia ripreso il ragionamento della corte regionale concernente la prescrizione dell’azione dei richiedenti.
22. I richiedenti continuarono a ricercare le prove della confisca dei beni dei loro genitori. Con una lettera del 4 dicembre 2006, il servizio del Registro dei beni immobiliari li informò che l’appartamento controverso compariva per la prima volta negli archivi solo nel 1940, in quanto proprietà dello stato. Da allora, nessuna informazione era disponibile a questo proposito.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
23. Codice civile
Articolo 147
“Ai sensi di questo codice, i beni significano ogni oggetto ed ogni bene non materiale che le persone fisiche e giuridiche possono possedere, avvalersi e disporre e che possono acquisire senza restrizioni, se questo non è vietato dalla legge o non è contrario alle regole della morale. “
Articolo 152
“I beni non materiali sono le richieste ed i diritti che possono essere trasmessi a terzi o che sono destinati a fare beneficiare presso i loro titolari di un profitto di ordine patrimoniale o di un diritto di reclamo di terzi. “
Articolo 413 § 1
“Il compenso pecuniario per un danno non patrimoniale può essere richiesto solamente nei casi espressamente previsti dalla legge e sotto forma di indennizzo ragionevole ed equo. “
Articolo 1005 § 3
“Il danno causato alla persona riabilitata a causa di una condanna, di un collocamento in esame, di una detenzione provvisoria o di un controllo giudiziale illegale, viene riparato a prescindere dallo stato dell’esistenza della mancanza nell’azione dell’inquirente, dell’istruttore, degli organi della procura o dei detentori di funzioni giudiziali. Se l’esistenza di un’intenzione o di una negligenza viene stabilita, le persone precitate e lo stato sono solidalmente responsabili. “
24. Codice di procedura civile
Articolo 102 § 3
“Le circostanze della causa che, conformemente alla legge, devono essere stabilite in funzione delle prove di un certo tipo, non potrebbero essere stabilite secondo le prove di un altro tipo. “
25. Legge dell’ 11 dicembre 1997, relativa alla riconoscenza dello statuto di vittima delle repressioni politiche ai cittadini georgiani ed alla protezione sociale dei repressi
Titolo I-“Disposizioni generali”
Articolo 1 § 2
“La presente legge si applica ai cittadini georgiani che sono stati oggetto di repressioni politiche sul territorio dell’ex-URSS dal mese di febbraio 1921 al 28 ottobre 1990 “
Titolo II-“Regole di riconoscenza dello statuto di vittima di repressioni politiche e le sue conseguenze”
Articolo 6
“Sul fondamento dei criteri definiti dalla presente legge, la persona è riconosciuta vittima delle repressioni politiche ed i suoi diritti essendo stati violati sono risanati dalla via giudiziale. “
Articolo 8 §§ 1 e 3
“La persona il cui statuto di vittima di repressioni politiche è stato riconosciuto, è ristabilita nei suoi diritti e libertà politiche, civici ed altri, misconosciuti in seguito alla repressione politica.
La regola della restaurazione dei diritti ai beni della persona riabilitata sarà determinata da una legge separata. “
Articolo 9
“La persona che ha subito una repressione sotto forma di collocamento in un luogo di detenzione, di esilio, (…), in un luogo di abitazione speciale o in una struttura psichiatrica, o che è deceduta in seguito ad una tale repressione, e che è stata riconosciuta vittima di repressioni politiche, così come i suoi eredi di primo posto, possono percepire un compenso pecuniario il cui importo e norme di versamento devono essere definite dalla legge. “
Titolo III-“La protezione sociale delle vittime delle repressioni politici”
Conformemente all’articolo 12 §§ 1 e 2, le vittime delle repressioni politiche o, in caso di decesso, i loro discendenti di primo posto ricevono una pensione mensile il cui importo e le modalità di attribuzione sono definiti dalla legge, sono esonerati dal pagamento di differenti oneri e beneficiano delle tariffe ridotte sul gas, sul’elettricità ed sultelefono.
Titolo V-“Disposizioni finali”
Articolo 14
“Questa legge entra in vigore il 1 gennaio 1998. “
Né le disposizioni transitorie né nessuna altra disposizione di questa legge indicano il termine in cui le leggi contemplate sopra agli articoli8 § 3 e 9 in fine devono essere adottate. Queste leggi fanno difetto a questo giorno.
26. L’ordine del commissario popolare delle cause interne dell’URSS in data del 15 agosto 1937(estratti pertinenti)
“Fin dal ricevimento del presente ordine, procedete alla repressione delle mogli dei traditori della Patria e dei membri delle organizzazioni di spionaggio e di sovversione del diritto trotskiste, condannati a contare del 1 agosto 1936 All’epoca del collocamento in opera di questa operazione, conformatevi alle seguente regole: (…)
3. [Che tali] persone sono arrestate. (…)
7. Tutti i beni appartenenti alla persona arrestata sono confiscati. Gli appartamenti sono sigillati.
8. Le mogli così arrestate, accompagnate di guardie, sono trasferite nelle prigioni. I bambini vengono prelevati allo stesso tempo.
12. Le mogli dei traditori delle Parti condannate saranno detenute nei campi per un periodo da cinque ad otto anni, secondo il loro grado di pericolosità. (…)
19. Tutti i bambini orfani devono essere posti in case all’infuori del territorio riguardato.
24. Tutte le città riguardate da questa operazione devono pianificare specificatamente dei centri di ritenzione dove i bambini saranno posti fin dall’arresto delle loro madri e da dove saranno rinviati nelle dimore “
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
27. I richiedenti si lamentano che tardando a dare del contenuto ai loro diritti garantiti dagli articoli 8 e 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997, lo stato li mantiene in una situazione di incertezza e di angoscia che causa loro dei tormenti e che si analizza in un trattamento degradante.
28. L’articolo 3 della Convenzione si legge così:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
29. Senza negare che l’incertezza in questione sia di natura tale da presentare degli aspetti che i richiedenti possono provare come dolorosi o ingiusti, la Corte non stima tuttavia che si traduca in un disprezzo o in una mancanza di rispetto da parte dello stato per la personalità dei richiedenti o che tenda ad ̀umiliarli o a sminuirli (vedere, tra altre, D.H. ed altri c. Repubblica ceca, (dec.), no 57325/00, 1 marzo 2005; Raninen c. Finlandia, sentenza del 16 dicembre 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VIII, § 55). La situazione denunciata non si analizza quindi, agli occhi della Corte, in un trattamento degradante ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione.
30. Questa parte della richiesta è di conseguenza manifestamente mal fondata e deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 E DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE
31. I richiedenti stimano che la mancanza di adozione delle leggi alle quali rinviano gli articoli 8 e 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997, mentre sono necessarie per rendere effettivo il loro diritto riconosciuto da queste disposizioni, porta violazione dei loro diritti garantiti dall’articolo 1 del Protocollo no 1 che è formulato così:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
32. I richiedenti stimano inoltre che le giurisdizioni interne che furono portate a respingere il loro ricorso a ragione del vuoto legislativo precitato, non offrirono loro un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione che si legge così:
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
A. in quanto all’ammissibilità
1. Eccezione del Governo tratta dall’incompatibilità ratione temporis
a) Argomenti del Governo
33. Il Governo stima che l’esame da parte della Corte del procedimento giudiziale controverso che è, secondo lui, intimamente legato ai fatti anteriori all’entrata in vigore della Convenzione e del Protocollo no 1 a riguardo della Georgia rispettivamente il 20 maggio 1999 e il 7 giugno 2002, significherebbe dare un effetto retroattivo a questi strumenti (Stamoulakatos c. Grecia (no 1), sentenza del 26 ottobre 1993, serie A no 271, p. 14, § 33; Multiplex c. Croazia, (dec.), no 58112/00, 26 settembre 2002).
34. Tanto più che nello specifico, secondo il Governo, non esiste nessuna “situazione continua” e che le differenze sostanziali ed un gran numero di fattori” oppongono la presente richiesta alla causa Almeida Garrett, Mascarenhas Falcão ed altri c. Portogallo, numeri 29813/96 e 30229/96, CEDH 2000-I).
35. Primariamente, i richiedenti non avrebbero dimostrato di essere stati proprietari di un bene di circa 60 anni prima e di essere stati oggetto di un’espropriazione. Il Governo ricorda che i richiedenti furono riconosciuti unicamente vittime di repressioni politiche in ragione delle rispettive condanne dei loro genitori, della detenzione di loro madre così come della loro propria detenzione e dell’ esilio, conformemente all’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997. Lo stato dunque non aveva l’obbligo di versare loro, a differenza della causa Almeida Garrett ed altri precitata, un risarcimento qualsiasi a titolo dell’espropriazione addotta. Il diritto al compenso fu conferito ai richiedenti in virtù dell’articolo 9 precitato cinque anni prima del 7 giugno 2002 e, per di più, sotto riserva dell’adozione di una legge susseguente che definiva le regole e le modalità della sua applicazione.
36. Secondariamente, a differenza della causa Almeida Garrett ed altri precitata, i poteri esecutivo e legislativo georgiani non adottarono, dal 7 giugno 2002, nessun testo concernente la questione di compenso controverso (vedere, a contrario, Almeida Garrett ed altri precitata, § 43) perché tale testo avrebbe avuto delle conseguenze politiche ed economiche importanti. Infine passarono solamente alcuni anni, tra il 7 giugno 2002 e le comunicazioni della presente richiesta al Governo, mentre, nella causa portoghese precitata, il periodo tra la ratifica del Protocollo no 1 da parte del Portogallo e l’esame della causa da parte della Corte superava i 20 anni.
37. In queste condizioni, il Governo invita la Corte a seguire lo stesso ragionamento della causa Aćimović, Aćimović c. Croazia, (dec.) (no 61237/00, 7 novembre 2002) per dichiarare la presente richiesta inammissibile perché incompatibile ratione temporis con le disposizioni della Convenzione.
b) Argomenti dei richiedenti
38. I richiedenti ribattono che non si lamentano dei fatti di repressione, di esilio e di espropriazione arbitraria che hanno avuto luogo sotto il regime sovietico, ma del fatto che ad oggi, lo stato georgiano manca nel definire le regole di compenso per dare del contenuto al loro diritto al compenso garantito dagli articoli 8 e 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997.
39. I richiedenti stimano che la loro richiesta è simile alla causa Broniowski, Broniowski c. Polonia [GC],( no 31443/96, CEDH 2004-V). Inoltre, a differenza del Governo, considerano che non è differente dalla causa Almeida Garrett ed altri precitata. Secondo i richiedenti, non si potrebbe rimproverare loro di non potere presentare delle prove documentarie per dimostrare la privazione dei beni, dato che l’arresto e l’esilio di loro madre provocavano obbligatoriamente, in virtù dell’ordine del 15 agosto 1937, la confisca dei beni nella loro interezza. Secondo loro, questo Ordine e le deposizioni dei testimoni oculari avrebbero dovuto essere accettati dai giudici nazionali come prove sufficienti. L’esigenza di presentazione dei documenti attestanti la confisca dei beni avrebbe imposto loro un onere di prova eccessiva. Se si doveva differenziare però la loro situazione da quella di Almeida Garrett ed altri, i richiedenti ricordano che, in questa causa, lo stato portoghese aveva, almeno, concesso ai richiedenti un compenso provvisorio (Almeida Garrett ed altri, precitata, §§ 9 e 23).
40. Tuttavia, qualunque siano gli argomenti del Governo e delle giurisdizioni interne concernenti la confisca dei beni, i richiedenti ricordano che in virtù dell’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997, hanno il diritto di ricevere un compenso a titolo più generale, in ragione del danno morale subito in ragione dell’esilio e della detenzione arbitraria. Del resto, la Corte suprema aveva confermato, negli obiter dictum della sua sentenza, l’esistenza di questo diritto.
41. I richiedenti sottolineano, per concludere, che mettono in causa il motivo di rigetto della loro azione da parte delle giurisdizioni interne, fondato sulla sola mancanza della “legge” mirata all’articolo 9 in fine della legge del 11 dicembre 1997, essendo questa mancanza il risultato dell’inattività dello stato. A differenza del Governo, non stimano che il periodo dal 7 giugno 2002 non sia sufficientemente lungo da esporli ingiustamente ad un’incertezza.
c, Valutazione della Corte
42. La Corte nota che non è chiamata ad esaminare le questioni legate alla confisca dei beni dei genitori dei richiedenti che hanno avuto luogo nel 1937 conformemente all’ordine del commissario popolare delle cause interne dell’URSS (vedere i paragrafi 38 sopra e 50 sotto). L’oggetto della presente richiesta consiste nel determinare se, in virtù degli articoli 8 § 3 (restaurazione dei diritti ai beni) e 9 (danno morale che risulta da una detenzione o da un esilio) della legge dell’ 11 dicembre 1997, i richiedenti, in quanto figli di genitori perseguitati, e loro stessi vittime di repressioni politiche, beneficiano dei diritti a carattere patrimoniale e se, in caso di esistenza di tali dritti, questi sono stati rispettati.
43. La Corte osserva a questo riguardo che la legge dell’ 11 dicembre 1997 entrò in vigore il 1 gennaio 1998. Da allora, come conferma il Governo, nessuno testo, in rapporto coi suoi articoli 8 § 3 e 9, fu adottato. Questa mancanza di ogni misura legislativa posteriore al 7 giugno 2002, data dell’entrata in vigore del Protocollo no 1 a riguardo della Georgia, non potrebbe conferire alla legge dell’ 11 dicembre 1997 un carattere “istantaneo” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere, per esempio, Blečić c. Croazia [GC], no 59532/00, § 86, CEDH 2006-III). Per la Corte, i diritti che furono conferiti ai richiedenti in virtù degli articoli 8 § 3 e 9 di questa legge prima della ratifica del Protocollo no 1 rimanevano al momento della ratifica così come, il 22 febbraio 2006, data in cui gli interessati presentarono la loro richiesta alla Corte (Broniowski, precitata, § 125; von Maltzan ed altri c. Germania,(dec.) [GC] nostri 71916/01, 71917/01 e 10260/02, § 74 d, in fine, CEDH 2005-V; Beshiri ed altri c. Albania, no 7352/03, § 82, 22 agosto 2006). Di conseguenza, la Corte può valutare, sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, la mancanza di legiferazione continua che perdurò ben oltre il 7 giugno 2002, ed al quale i richiedenti rimangono sempre messi a confronto. Se è vero che non è competente ratione temporis riguardo ad una parte di questa situazione, anteriore al 7 giugno 2002, la Corte dovrà tenere però conto di questo periodo nella cornice dell’esame dei motivi di appello di cui si trova investita (vedere, tra altre, Broniowski c. Polonia, (dec.) [GC], no 31443/96, §§ 74-77, CEDH 2002-X; Sovtransavto Holding c. Ucraina, no 48553/99, § 58, CEDH 2002-VII).
44. In ragione delle considerazioni che precedono, la Corte non potrebbe seguire nello specifico lo stesso ragionamento che nelle cause citate sopra ai paragrafi 33 e 37. L’eccezione del Governo tratta dall’incompetenza ratione temporis della Corte deve essere quindi respinta.
2. Eccezione del Governo tratta dall’incompatibilità ratione materiae
a) Argomenti del Governo
45. Innanzitutto, il Governo invita la Corte a prendere in conto il fatto che il nuovo Stato indipendente georgiano aveva adottato la legge dell’ 11 dicembre 1997 in quanto atto di riconoscenza e di condanna delle atrocità commesse dal regime dell’URSS. Secondo lui, non si potrebbe tenere lo stato georgiano reale per responsabile di queste atrocità ed imporgli di indennizzare i richiedenti per un danno subito nel 1937-1938. Il Governo è incerto se i richiedenti sarebbero stati più soddisfatti se lo stato georgiano non avesse riconosciuto, aspettando lo sviluppo economico del paese, che erano state vittime delle repressioni di un regime precedente.
46. Per il Governo, finché le leggi mirate agli articoli 8 § 3 e 9 in fine della legge dell’ 11 dicembre 1997 non vengono adottate, il diritto dei richiedenti al compenso non costituisce un diritto patrimoniale sufficientemente consolidato, ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Secondo lui, l’articolo 9 precitato fa solo “riconoscere semplicemente lo statuto di vittima” ai richiedenti e dispone “implicitamente” che una legge susseguente, necessaria a rendere il loro diritto al compenso effettivo, verrà adottata solamente quando lo stato sarà pronto a sopportare il carico finanziario corrispondente. Questo dovrebbe permettere alla Corte di concludere che il rapporto di proporzionalità non fu rotto nello specifico.
47. Per ciò che riguarda la mancanza di prospettiva in quanto alla data di adozione delle leggi in questione, non porta, secondo il Governo, alla violazione dei diritti dei richiedenti nella misura in cui ciò dipende dal margine di valutazione, abbastanza ampio di cui le Parti contraenti beneficiano in materia.
48. In riassunto, considerando l’inesistenza delle leggi mirate agli articoli 8 § 3 e 9 in fine della legge dell’ 11 dicembre 1997 ed il rifiuto delle giurisdizioni interne di accogliere l’azione dei richiedenti, il diritto al compenso di cui questi si avvalgono dinnanzi alla Corte non costituisce, secondo il Governo, un diritto certo, reale ed applicabile (Raffinerie greci Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, sentenza del 9 dicembre 1994, serie A no 301-B, §§ 59-61; Bourdov c. Russia, no 59498/00, § 40, CEDH 2002-III). La richiesta sarebbe di conseguenza incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione.
b) Argomenti dei richiedenti
49. I richiedenti stimano che il diritto al compenso, garantito con una legge, costituisca un “bene” che è una nozione autonoma ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Pressos Compania Naviera S.p.A. ed altri c. Belgio, sentenza del 20 novembre 1995, serie A no 332, § 31; Kopecký c. Slovacchia [GC], no 44912/98, § 47, CEDH 2004-IX; Broniowski, precitato, §§ 125, 133 e 146). Inoltre, tale diritto, dal momento che è garantito dalla legge, costituisce la loro proprietà conformemente agli articoli 147 e 152 del codice civile.
50. I richiedenti affermano che non aspirano a fare dichiarare lo stato georgiano reale responsabile delle atrocità commesse al loro riguardo sotto il regime comunista. Tuttavia, non stimano che la legge dell’ 11 dicembre 1997 sia solamente una semplice dichiarazione di buona volontà per riconoscere loro un statuto di vittima. Al contrario, questa legge conferì loro un certo numero di diritti concreti e difendibili tra cui parecchi sono stati del resto rispettati. Per esempio, in virtù dell’articolo 12 della legge in questione, i richiedenti ricevono mensilmente, dal 1998, una pensione di 23 euro circa ciascuno e beneficiano di altre misure di aiuto sociale. Producendo le prove di pagamento corrispondente, i richiedenti non stimano che lo stato versi loro questa pensione mensile in virtù di una semplice dichiarazione di buona volontà.
51. I richiedenti si oppongono all’argomento del Governo secondo cui l’articolo 9 della legge dell’11 dicembre 1997 contempla implicitamente che acquisisce la forza effettiva solo quando la legge susseguente sarà adottata. Ricordano inoltre che le ragioni derivate dalla mancanza di risorse finanziarie non giustificano l’irriverenza di un obbligo legale (Bourdov, precitata, § 35). Secondo i richiedenti, le risorse finanziarie esistono, ma la volontà politica fa difetto.
52. I richiedenti sottolineano infine che a differenza dell’articolo 8 § 3 della legge dell’ 11 dicembre 1997 secondo cui la regola di restaurazione dei diritti ai beni sarà determinata da una legge separata”, l’articolo 9 della stessa legge è imperativo in quanto all’esistenza del diritto di cui solo le modalità di esercizio necessitano di essere definite.
c) Valutazione della Corte
53. La Corte riafferma da prima che la Convenzione non impone nessun obbligo specifico agli Stati contraenti di risanare le ingiustizie o i danni causati dai loro predecessori (Ernewein ed altri c. Germania,( dec.), no 14849/08, 12 maggio 2009). Parimenti, l’articolo 1 del Protocollo no 1 non impone nessuna restrizione agli Stati contraenti alla loro libertà di scegliere le condizioni alle quali accettano di restituire un diritto di proprietà alle persone spossessate o di determinare le modalità secondo cui accettano di versare degli indennizzi o dei compensi alle persone riguardate (von Maltzan ed altri, decisione precitata, § 77).
54. Nella presente causa, la Corte stima che le spetta di determinare se il diritto di restaurazione dei diritti ai beni, articolo 8 § 3 della legge dell’ 11 dicembre 1997, da una parte, ed il diritto al compenso del danno morale (articolo 9 della stessa legge), dall’altra parte, sono stabiliti sufficientemente in diritto interno da conferire ai richiedenti un diritto ai “beni” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 e richiamare così la protezione di questa disposizione. Conviene ricordare a questo riguardo che, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte la nozione di “beni” in materia può ricoprire, tanto i “beni reali” che i valori patrimoniali, ivi compreso dei crediti, in virtù dalle quali un richiedente può pretendere di avere almeno una “speranza legittima” di ottenere il godimento effettivo di un diritto di proprietà (Malhous c. Repubblica ceca, (dec.) [GC], no 33071/96, 13 dicembre 2000; Pine Valley Developments Ltd ed altri c. Irlanda, 29 novembre 1991, § 51, serie A no 222).
i) Diritto alla restaurazione dei diritti ai beni (articolo 8 § 3 della legge del 11 dicembre 1997)
55. La Corte nota che , figli di vittime di repressioni politici degli anni 1930, e loro stessi dichiarati vittime di queste da un tribunale, i richiedenti investirono le giurisdizioni interne di un’azione per compenso patrimoniale e morale, fondate sull’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997 (vedere sopra il paragrafo 17). Così, anche se inserirono nelle loro rivendicazioni delle richieste legate al danno causato dalla privazione dei beni appartenuti a loro madre, essendo deceduto loro padre al momento della confisca, i richiedenti non fecero inizialmente esplicitamente riferimento all’articolo 8 § 3 della legge precitata per fare valere che avevano il diritto “alla restaurazione dei beni.” Tuttavia, dato che tanto la corte regionale che la Corte suprema della Georgia esaminarono, in presenza delle parti, la questione del diritto dei richiedenti derivante dall’articolo 8 § 3 senza che questi vi si opponessero , si può considerare che i richiedenti intendevano ottenere difatti anche un compenso pecuniario in applicazione di questa disposizione.
56. Alla vista dei documenti della pratica e della posizione dei richiedenti dinnanzi alle giurisdizioni interne, la Corte nota che facendo valere i loro diritti legati ai beni, i richiedenti non miravano alla restituzione dei beni mobili ed immobili confiscati a loro madre. Ad ogni modo, tale speranza di vedere rivivere un diritto di proprietà estinto da molto non potrebbe essere considerata come un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Gratzinger e Gratzingerova c. Repubblica ceca, (dec.) [GC], no 39794/98, § 69 in fine, CEDH 2002-VII). In fatto, l’obiettivo dei richiedenti consisteva nel percepire un compenso a titolo del danno risultante dalla misura di confisca precitata (vedere Sokolowski c. Polonia, (dec.), no 39590/04, 7 luglio 2009).
57. Alla lettura dell’articolo 8 § 3 della legge dell’ 11 dicembre 1997, la Corte nota che una “legge separata” fu giudicata necessaria dal legislatore per determinare la regola anche di restaurazione dei diritti ai beni delle vittime di repressioni politiche. I richiedenti concedono loro stessi dinnanzi alla Corte che a differenza dell’articolo 9 della stessa legge, relativo al danno morale, l’articolo 8 § 3 controverso non è anche “imperativo” in quanto all’esistenza del diritto che enuncia (vedere sopra il paragrafo 52).
58. Difatti, la sola disposizione dell’articolo 8 § 3 della legge dell’ 11 dicembre 1997 non permette di conoscere quale tipo di beni (statalizzati, venduti a terzi nel frattempo – acquirenti in buona fede, ecc.) saranno considerati in seguito come suscettibili di dare adito alla “restaurazione” dei diritti; se questa restaurazione rivestirà la forma di restituzione là dove sarà possibile, quella di attribuzione di beni equivalenti o di un compenso pecuniario; quali categorie di persone potranno rivendicare questi diritti (vecchi proprietari e dunque vittime dirette, i loro discendenti, ecc.) ed in quale misura; quale autorità sarà incaricata di identificazione dei beni riguardati e di determinazione del loro valore, ecc. Così, tra tanti altri, questi criteri restano da essere definiti e per fare questo, lo stato dispone di un ampio margine di valutazione (von Maltzan ed altri, decisione precitata, §§ 74 d, e 111).
59. Di conseguenza, agli occhi della Corte, è solamente l’adozione di una legge susseguente che permetterà ai richiedenti di valutare se sono eleggibili, in quanto discendenti di primo posto dei proprietari spossessati, alla restaurazione dei diritti mirati all’articolo8 § 3 della legge dell’ 11 dicembre 1997 (vedere, mutatis mutandis, Gratzinger e Gratzingerova, decisione precitata, §§ 72-75) e se sì, in quale misura. Aspettando, la questione di sapere se assolveranno, il venuto momento, le condizioni legali per beneficiare di un compenso che rivendicano resta intera, il che non permette di concludere che al momento dell’immissione nel processo delle giurisdizioni interne nel 2005, in applicazione dell’articolo 8 § 3 precitato, esisteva a loro favore un interesse patrimoniale sufficientemente consolidato da essere esigibile (vedere, mutatis mutandis, Kopecký, precitata, § 58, CEDH 2004-IX).
60. In conclusione, la Corte stima che l’articolo 8 § 3 della legge dell’ 11 dicembre 1997, come è in vigore dal 1 gennaio 1998, non dà luogo, da solo, ad un credito reale ed esigibile su cui una “speranza legittima” potrebbe venire ad aggiungersi (vedere, a contrario, Pressos Compania Naviera S.p.A. ed altri, precitata, § 31).
61. Questo ramo del motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1 è quindi incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
62. Visto che non esiste alcun “motivo di appello difendibile” nella misura in cui questa parte della richiesta è riguardata, il motivo di appello dei richiedenti, derivato dall’articolo 13 della Convenzione, deve essere respinto anche conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione (vedere, tra altre, Zehnalová e Zehnal c. Repubblica ceca, (dec.), no 38621/97, CEDH 2002-V).
ii) Diritto al compenso del danno morale risultante dalla detenzione e dall’esilio (articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997)
63. La Corte ricorda che quando l’interesse patrimoniale di cui si avvale un richiedente è dell’ordine del credito, può essere considerato come “un bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 solo quando ha una base sufficiente in diritto interno, per esempio quando è confermato da una giurisprudenza ben consolidata dei tribunali (vedere, tra altre, Roche c. Regno Unito [GC], no 32555/96, § 129, CEDH 2005-X; Slavov ed altri c. Bulgaria, (dec.), no 20612/02, 2 dicembre 2008).
64. Nello specifico, risulta dalla lettura della legge dell’ 11 dicembre 1997 che ogni cittadino georgiano dichiarato vittima di repressioni politiche che hanno avuto luogo sul territorio dell’ex – URSS tra il febbraio 1921 e l’ ottobre 1990 può percepire un compenso pecuniario, in applicazione dell’articolo 9 di questa legge, se viene dimostrato che fu detenuto, esiliato, collocato in un luogo di abitazione speciale o che decedette in seguito a tale misura. Anche gli eredi di primo posto di tale vittima beneficiano di questo diritto.
65. La Corte nota che i richiedenti assolvono ciascuna delle condizioni precitate. Difatti, dichiarati loro stessi vittime di repressioni politiche precitate da un tribunale, sono peraltro figli di genitori repressi a cui lo statuto di vittima ai fini della legge dell’ 11 dicembre 1997 fu riconosciuto anche da un tribunale. Il fatto che i richiedenti ed i loro genitori subirono degli atti di repressione menzionati sopra ai paragrafi 7-9 e 11 non si è prestato a nessuno dubbio né dinnanzi alle giurisdizioni interne né dinnanzi alla Corte (vedere sopra il paragrafo 35). Questi fatti furono considerati al contrario, esplicitamente come stabilit dalla Corte suprema della Georgia nella sua sentenza definitiva del 2 novembre 2005 (vedere sopra il paragrafo 21).
66. Così, il diritto al compenso giuridico di cui si avvalgono i richiedenti ha una base legale in diritto interno di cui assolvono le condizioni di applicazione (vedere, a contrario, Ernewein ed altri, decisione precitata, ed Epstein ed altri c. Belgio, (dec.), no 9717/05, CEDH 2008 -… (brani) così come, mutatis mutandis, Jantner c. Slovacchia, no 39050/97, §§ 29-33, 4 marzo 2003).
67. Per di più, il fatto che questo diritto è stato acquisito dai richiedenti fu confermato dalla Corte suprema della Georgia. Secondo questa giurisdizione, un compenso giuridico poteva essere richiesto dai richiedenti in applicazione dell’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997 che era, ai fini dello specifico, “la legge” mirata all’articolo 413 § 1 del codice civile che contempla il risarcimento di un danno non patrimoniale solo nei casi espressamente previsti dalla legge. La Corte suprema conclude al rigetto della domanda di compenso morale dei richiedenti solo in ragione della mancanza dei testi di applicazione pertinenti al “momento dato” (vedere sotto il paragrafo 21). A differenza del diritto alla restaurazione dei diritti ai beni, non mette in dubbio che quando questi testi saranno adottati, i richiedenti sarebbero necessariamente riguardati ed eleggibili a percepire un compenso del danno morale in applicazione dell’articolo 9 precitato. Resta solamente da determinare, in funzione del danno subito da ciascuno dei richiedenti, l’ “importo” di questo compenso e “la norma del suo versamento” per chiudere il meccanismo. Per questa ragione, la Corte non condivide il parere del Governo secondo cui il diritto al compenso morale in quanto tale sarà reputato come acquisizione dei richiedenti solo se la legge susseguente contemplata all’articolo 9 in fine viene adottata (vedere sopra il paragrafo 46). Questa interpretazione non è quella della più alta giurisdizione giudiziale interna nello specifico e lei non potrebbe essere dedotta peraltro dalla formula dell’articolo 9 in questione o da un’altra disposizione della legge dell’ 11 dicembre 1997.
68. Avuto riguardo a ciò che precede, la Corte stima che al momento dell’immissione nel processo delle giurisdizioni interne, i richiedenti possedevano, in virtù dell’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997, un credito sufficientemente consolidato da essere esigibile e di cui potevano pretendere validamente il recupero contro lo stato. Questo permette di concludere che in questa parte della loro azione, l’articolo 1 del Protocollo no 1 si trovava ad applicare. L’eccezione del Governo tratta dall’incompatibilità ratione materiae non può dunque essere accolta.
69. Di conseguenza, i motivi di appello dei richiedenti derivati dall’articolo 1 del Protocollo no 1 e dall’articolo 13 della Convenzione nella misura in cui è riguardato il loro diritto garantito dall’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997 devono essere dichiarati ammissibili.
B. in quanto al merito
1. Gli argomenti delle parti
70. Il Governo non presentò alcuna osservazione sul merito dei motivi di appello. I richiedenti, in quanto a loro, si limitarono ad affermare che le eccezioni sopra del Governo erano mal fondate e che c’era dunque violazione dei loro diritti garantiti dagli articoli 1 del Protocollo no 1 e 13 della Convenzione.
2. Valutazione della Corte
71. La Corte nota che nello specifico, è la mancanza di adozione dei testi necessari per determinare l’importo del compenso giuridico e la norma del suo versamento che pone un ostacolo all’esercizio effettivo del diritto protetto dall’articolo 1 del Protocollo no 1. La situazione controversa dipende così dalla prima frase del primo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 che enuncia, in modo generale, il principio del rispetto dei beni (Broniowski, precitata, § 136).
72. La Corte partirà dal principio che, per quanto l’omissione dello stato georgiano ha per fondamento la legge dell’ 11 dicembre 1997 che rinvia all’adozione della legge mirata al suo articolo 9 in fine ad un stadio ulteriore, l’attentato o la restrizione all’esercizio del diritto dei richiedenti al rispetto dei loro beni era “contemplato in qualche modo dalla legge.” Secondo la Corte, la natura di questa omissione e le conseguenze che provoca dal punto di vista della conformità all’articolo 1 del Protocollo no 1 sono da prendere in conto per determinare se le autorità georgiane hanno predisposto un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco (vedere sotto il paragrafo 75).
73. La Corte dovrà ricercare quindi, ai fini della prima frase del primo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1, se un giusto equilibrio è stato mantenuto tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo. In particolare, la Corte deve verificare se, in ragione dell’inoperosità dello stato che è in causa, i richiedenti hanno dovuto sopportare un carico sproporzionato ed eccessivo (Hutten-Czapska c. Polonia [GC], no 35014/97, § 167 in fine, CEDH 2006-VIII). Ricorda a questo riguardo che, per determinare l’interesse generale, gli Stati dispongono di un ampio margine di valutazione. Però, questo potere di valutazione non è illimitato, ed il suo esercizio è sottoposto al controllo degli organi della Convenzione (vedere, tra altre, Almeida Garrett ed altri, precitata, §§ 49 e 52).
74. In mancanza delle osservazioni delle parti su questo punto (vedere sopra il paragrafo 70), la Corte può supporre che nello specifico, per le autorità, l’interesse generale consisteva in “conseguenze politiche e finanziarie importanti” (vedere sopra i paragrafi 36 e 46) che la determinazione dell’importo del compenso morale dovuto ai richiedenti avrebbe potuto provocare. Ora il Governo non produsse nessuno argomento sulla natura delle conseguenze politiche in questione né fornisce ulteriori spiegazioni sull’impatto finanziario che l’attribuzione di questo compenso agli interessati potrebbe avere sul bilancio del paese. Non fornisce, per esempio, nessuna precisazione sulle sue disponibilità economiche e di bilancio o un studio in quanto alle risorse necessarie per indennizzare i richiedenti e altre persone che si trovano nella stessa situazione.
75. Comunque sia, supponendo anche che nello specifico, l’inattività dello stato, che si qualifica come ingerenza o astensione dall’ agire (Broniowski, precitata, § 146) inseguiva uno scopo legittimo, niente permette alla Corte di concludere che un giusto equilibrio sia stato mantenuto tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della società nel suo insieme. In particolare, la Corte non vede ragioni per cui lo stato fallisce, anche se disposto da più di undici anni, nell’ intraprendere anche il minimo passo verso l’inizio del processo di adozione della legge mirata all’articolo 9 in fine della legge dell’ 11 dicembre 1997, ossia, di determinare con esattezza il numero di vittime riguardate, di fare realizzare un studio economico, finanziario e sociale sui guadagni e perdite dei differenti membri della società toccata da questo processo, di valutare il danno subito da ciascuna delle categorie di vittime, ecc. Il Governo stesso non fornisce nessun argomento convincente e motivato per spiegare questa passività totale. Ora, quando una questione di interesse generale è in gioco, i poteri pubblici sono tenuti a reagire in tempo utile, in modo corretto e con la più grande coerenza (Broniowski, precitata, § 151; mutatis mutandis, Beyeler c. Italia [GC], no 33202/96, §§ 110 in fine e 120 in fine, CEDH 2000-I). Così, agli occhi della Corte, dal momento che operò una scelta giuridica e finanziaria a favore dei suoi cittadini perseguitati dal regime sovietico, apparteneva allo stato georgiano, almeno fin dall’entrata in vigore del Protocollo no 1 a riguardo della Georgia, di condurre un lavoro di riflessione e di azione per non mantenere i richiedenti nell’incertezza di una durata indeterminata contro la quale questi non dispongono del resto di nessun ricorso interno efficace. Aggiungendo a ciò il fatto che lo stato non è apparentemente pronto ad impegnare questo lavoro, privando così i richiedenti, vecchi, di ogni prospettiva di beneficiare, da vivi, del diritto riconosciuto loro dall’articolo 9 della legge del’l 11 dicembre 1997.
76. In queste condizioni, la Corte conclude che l’inattività totale di parecchi anni, imputabile allo stato e che impedisce ai richiedenti di avere, in un termine ragionevole, il godimento effettivo del loro diritto al compenso morale, ha fatto pesare sugli interessati un carico sproporzionato ed eccessivo che non può essere giustificato da un supposto interesse generale legittimo perseguito dalle autorità nello specifico (vedere sopra il paragrafo 74).
77. C’è stata quindi violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
78. Alla vista delle considerazioni che precedono, la Corte non stima necessario pronunciarsi sul motivo di appello dei richiedenti derivato dall’articolo 13 della Convenzione (vedere sopra il paragrafo 32) e di esaminare anche la richiesta sotto l’angolo di questa disposizione.
III. SULL’APPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 41 E 46 DELLA CONVENZIONE
79. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
Secondo l’articolo 46 della Convenzione,
“1. Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie alle quali sono parti.
2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione. “
A. Articolo 46 della Convenzione
80. Prima di deliberare sulla richiesta di soddisfazione equa dei richiedenti, la Corte stima necessario dedicarsi sulle conseguenze che possono essere derivate dalla presente sentenza per lo stato convenuto sul terreno dell’articolo 46 della Convenzione.
81. Ai termini di questa disposizione, le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive rese dalla Corte nelle controversie alle quali sono parti, il Comitato dei Ministri essendo incaricato di sorvegliare l’esecuzione di queste sentenze. Ne deriva in particolare che, quando la Corte constata una violazione, lo stato convenuto ha non solo l’obbligo giuridico di versare agli interessati, là dove c’è luogo, la somma assegnata a titolo della soddisfazione equa prevista dall’articolo 41, ma anche di scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o, all’occorrenza, individuali a integrare nel suo ordine giuridico interno per mettere un termine alla violazione constatata dalla Corte e cancellarne per quanto possibile le conseguenze.
82. In principio, lo stato convenuto rimane libero, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, di scegliere i mezzi per liberarsi dal suo obbligo giuridico allo sguardo dell’articolo 46 della Convenzione, per quanto questi mezzi siano compatibili con le conclusioni contenute nella sentenza della Corte (Scozzari e Giunta c. Italia [GC], i nostri 39221/98 e 41963/98, § 249, CEDH 2000-VIII; Assanidzé c. Georgia [GC], no 71503/01, §§ 198 e 202, CEDH 2004-II). Tuttavia, una volta identificato un difetto a carattere strutturale, incombe sulle autorità nazionali, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, di prendere, in modo retroattivo se occorre, le misure di correzione necessarie conformemente al principio di sussidiarietà della Convenzione (vedere, tra altre, Broniowski, precitata, §§ 192 e 193; Xenides-Arestis c. Turchia, no 46347/99, §§ 39 e 40, 22 dicembre 2005; Ghigo c. Malta (soddisfazione equa), no 31122/05, §§ 25-28, 17 luglio 2008; Lukenda c. Slovenia, no 23032/02, §§ 89 e segue, CEDH 2005-X; Scordino c. Italia (no 1) [GC], no 36813/97, § 233, CEDH 2006) in modo che la Corte non debba reiterare la sua constatazione di violazione in una lunga serie di cause comparabili (Driza c. Albania, no 33771/02, § 123 in fini, CEDH 2007 -… (brani); Ramadhi ed altri c. Albania, no 38222/02, §§ 93 e 94, 13 novembre 2007; Gülmez c. Turchia, no 16330/02, §§ 62 e segue, 20 maggio 2008; Dybeku c. Albania, no 41153/06, §§ 63 e 64, 18 dicembre 2007).
83. A questo proposito, la Corte ricorda i termini della risoluzione del Comitato dei Ministri del Consiglio dell’Europa del 12 maggio 2004, Res(2004)3 nella quale, dopo avere sottolineato l’interesse di aiutare lo stato riguardato ad identificare i problemi sottostanti e le misure di esecuzione necessarie, settimo paragrafo del preambolo, invita la Corte “ad identificare nelle sentenze in cui constata una violazione della Convenzione ciò che, secondo lei, rivela un problema strutturale sottostante e la sorgente di questo problema, in particolare quando è suscettibile di dare adito a numerose richieste, in modo da aiutare gli Stati a trovare la soluzione appropriata ed il Comitato dei Ministri a sorvegliare l’esecuzione delle sentenze”, paragrafo I della risoluzione.
84. Per ciò che riguarda la presente richiesta, si p obbligati a constatare che il problema del vuoto legislativo che solleva non riguarda solamente i richiedenti. Secondo le stime fornite dai richiedenti, il numero di persone toccate dalla situazione che ha dato adito alla violazione nello specifico potrebbe variare, secondo le categorie, tra i 600 e i16 000 (vedere sopra il paragrafo 20 in fine). Questa situazione è chiaramente suscettibile di dare adito a richieste dinnanzi alla Corte, in modo da rappresentare una minaccia per l’effettività nell’avvenire del dispositivo messo in posto dalla Convenzione, dunque.
85. In queste condizioni, la Corte stima che le misure generali a livello nazionale si impongano sicuramente nella cornice dell’esecuzione della presente sentenza. Delle misure legislative, amministrative e di bilancio necessarie devono così essere prese velocemente affinché le persone previste dall’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997 possano beneficiare infatti del loro diritto garantito da questa disposizione.
B. Articolo 41 della Convenzione
1. Danno
86. I richiedenti chiedono che il Governo versi loro una somma di 61 660 euro (“EUR”) a titolo del danno patrimoniale, dato che l’inoperosità delle autorità impedisce loro di beneficiare pienamente dei loro diritti garantiti dagli articoli 8 e 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997. Basandosi su dei rapporti di stima realizzati da specialisti, i richiedenti sostengono in particolare che un appartamento di 90 m² ubicato all’indirizzo di abitazione dei loro genitori valeva, al 20 novembre 2006, 70 000 dollari americani (47 446 EUR) e che il valore approssimativo dei beni mobili che si trovano nell’appartamento confiscato era di 7 030 EUR.
87. I richiedenti richiedono peraltro una somma di 15 000 EUR ciascuno a titolo del danno morale causato dallo stato di incertezza e di frustrazione in cui vivono da anni in ragione dell’impossibilità di fare valere i loro diritti garantiti dalla legge dell’ 11 dicembre 1997. I richiedenti affermano che le loro sofferenze subite dalla prima infanzia non saranno compensate da nessuna somma di denaro, ma che gli importi richiesti sopra procurerebbero loro un certo conforto morale.
88. Riaffermando che i richiedenti non sono riusciti mai a dimostrare l’esistenza di un diritto di proprietà sui beni controversi dei loro genitori, il Governo stima che la loro richiesta deve essere respinta a questo riguardo. Non formula commenti per il resto.
89. Per ciò che riguarda il danno patrimoniale, dal momento che non si tratta di perdite patrimoniali effettivamente subite perciò dirette della violazione constatata sopra (Comingersoll c. Portogallo [GC], no 35382/97, § 29, CEDH 2000-IV) la Corte stima che non c’è luogo di assegnare ai richiedenti la somma che richiedono a questo titolo.
90. In quanto al danno morale, la Corte non dubita che in ragione della situazione di incertezza prolungata dovuta alla violazione constatata, i richiedenti, vittime delle repressioni politiche, vecchi rispettivamente di 83 e 81 anni, subirono un danno morale incontestabile a cui la constatazione di violazione della Convenzione che figura nella presente sentenza non basta ad ovviare. Stima di conseguenza che, se le misure necessarie, legislative ed altre, menzionate al paragrafo 85 sopra facevano sempre difetto, lo stato convenuto dovrebbe versare a ciascuno dei richiedenti, nei sei mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 4 000 EUR per danno morale.
2. Oneri e spese
91. I richiedenti richiedono 2 125 EUR a titolo della loro rappresentanza dinnanzi alla Corte da parte della Sig.ra S. J., o 50 EUR l’ora, e 950 sterline (1 050 EUR) a titolo della loro rappresentanza da parte del Sig. Ph. L., o 100 sterline (110 EUR) l’ora. I richiedenti forniscono le date ed il numero di ore passate da ciascuno di questi avvocati sulla preparazione della loro richiesta e delle risposte alle osservazioni del Governo.
92. Peraltro, i richiedenti chiedono il rimborso di 75 euro e di 90 sterline (99 EUR) a titolo di differenti compiti realizzati rispettivamente dal personale amministrativo del SAÏA e dell’EHRAC (organizzazioni di traduzione di documenti, fax, invii postali, ecc.). Inoltre, il rimborso di 328,56 sterline (363 EUR) è chiesto a titolo degli oneri di traduzione di documenti dal georgiani verso l’inglese, giustificativo unito. Gli altri oneri che i richiedenti affermano di avere sopportato con le prove documentarie in appoggio sono i successivi: 56 EUR circa a titolo delle corrispondenze mandate da Chronopost di Tbilissi a Strasburgo (ora i giustificativi prodotti non corrispondendo ai formulari Chronopost ricevuti dalla Corte con le corrispondenze riguardate) 2,8 EUR che corrispondono alla tassa versata al Registro dei beni immobiliari per ottenere differenti informazione, 80 EUR a titolo di parcella versata allo specialista che ha determinato il valore commerciale dell’appartamento controverso. Il rimborso dei diversi oneri di segretariato (chiamate telefoniche internazionali, ecc.) di un importo di 70 sterline( 77 EUR) viene chiesto anche senza fatture corrispondenti in appoggio.
93. Il Governo non sottopone commenti.
94. Visto in materia la sua giurisprudenza consolidata (vedere, tra altre, Ghavtadze c. Georgia, no 23204/07, §§ 118 e 120, 3 marzo 2009) e nella misura in cui le richieste precitate sono supportate validamente ed in rapporto con la violazione constatata, deliberando in equità, la Corte assegna ai richiedenti 1 950 EUR e 1 050 EUR a titolo della loro rappresentanza dinnanzi alla Corte rispettivamente da parte della Sig.ra S. J. e del Sig. Ph. L. così come 537 EUR per gli altri oneri.
C. Interessi moratori
95. La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Dichiara, per sei voci contro una, i motivi di appello dei richiedenti derivati dall’articolo 1 del Protocollo no 1 e dall’articolo 13 della Convenzione ammissibili nella misura in cui il loro diritto garantito dall’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997 è riguardato ed il resto della richiesta inammissibile;
2. Stabilisce, per sei voci contro una, che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce, per sei voci contro una, che non è necessario esaminare la richiesta anche sotto l’angolo dell’articolo 13 della Convenzione;
4. Stabilisce, per sei voci contro una,
a) che, se le misure necessarie, legislative ed altre, menzionate al paragrafo 85 della sentenza facevano sempre difetto, lo stato convenuto avrebbe dovuto versare a ciascuno dei richiedenti, nei sei mesi a contare dal giorno dove la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme, ad convertire in laris georgiani al tasso applicabile in data dell’ordinamento,:
i. 4 000 EUR (quattromila euro) per danno morale;
ii. ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta su suddette somme;
b) che lo stato convenuto deve versare ai richiedenti, congiuntamente nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguente somme, da convertire in laris georgiani al tasso applicabile in data dell’ordinamento,:
i. 3 537 EUR (tremila cinque cento trenta sette euro) per oneri e spese;
ii. ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta su suddetta somma;
c) che a contare dalla scadenza di detti termini e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge, per sei voci contro una, la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, comunicato poi per iscritto il 2 febbraio 2010 in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione dissidente del Sig. Cabral Barreto.
F.T.
S.J.D.

OPINIONE DISSIDENTE DEL GIUDICE CABRAL BARRETO
Con mio dispiacere, non posso seguire la maggioranza quando conclude alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo nº 1 per ciò che riguarda i diritti garantiti dall’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997.
1. La maggioranza stabilisce una distinzione tra l’ articolo 8 (restaurazione dei diritti ai beni) e l’articolo 9 (compenso pecuniario per repressione politica) della legge dell’ 11 dicembre 1997.
Nel primo caso, non esisterebbe alcun credito reale ed esigibile sulla quale una “speranza” legittima potrebbe venire ad aggiungersi (paragrafo 60 della sentenza), mentre nel secondo esisterebbe “un credito sufficientemente consolidato da essere esigibile” (paragrafo 68).
Personalmente, non vedo nessuna differenza tra le due situazioni nel testo della legge dell’ 11 dicembre 1997.
Per la restaurazione dei diritti ai beni, l’articolo 8 esige una “legge separata”; per il compenso pecuniario, l’articolo 9 enuncia che l’importo e le regole di versamento devono essere definite dalla legge.
Nelle due ipotesi, occorre un intervento legislativo posteriore per definire e concretizzare i diritti in causa.
È a

Testo Tradotto

Conclusion Partiellement irrecevable ; Exception préliminaire rejetée (ratione temporis) ; Exception préliminaire partiellement retenue et partiellement rejetée (ratione materiae) ; Violation de P1-1; Dommage matériel – demande rejetée ; Préjudice moral – réparation
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE KLAUS ET IOURI KILADZE c. GÉORGIE
(Requête no 7975/06)
ARRÊT
STRASBOURG
2 février 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Klaus et Iouri Kiladzé c. Géorgie,
La Cour européenne des Droits de l’Homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
András Sajó,
Nona Tsotsoria,
Işıl Karakaş, juges,
et de Mme Sally Dollé, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 15 décembre 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette dernière date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 7975/06) dirigée contre la Géorgie et dont les ressortissants de cet Etat, MM. K. K. et I. K. (« les requérants »), ont saisi la Cour le 22 février 2006 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des Droits de l’Homme et des Libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérants sont représentés par Mme S. D., avocate de l’Association de jeunes juristes de Géorgie (« SAÏA ») ainsi que par MM. P. L. et B. B., avocats du Centre européen pour la protection des droits de l’homme à Londres (« EHRAC »). Le gouvernement géorgien (« le Gouvernement ») est représenté par M. Bessarion Bokhachvili, son agent.
3. Les requérants se plaignaient en particulier de l’impossibilité de faire valoir leurs droits à compensation découlant de leur statut de victimes des répressions politiques.
4. Le 21 mars 2006, la Cour a décidé de traiter la requête par priorité (article 41 du règlement) et, le 6 juillet 2006, elle a décidé de communiquer les griefs tirés de l’article 1 du Protocole no 1 et de l’article 13 de la Convention au Gouvernement (article 54 § 2 b) du règlement). Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, la Cour a en outre décidé que seraient examinés en même temps la recevabilité et le fond de l’affaire.
5. Tant les requérants que le Gouvernement ont déposé des observations écrites (article 54A du règlement).
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
6. Les requérants, deux frères, sont nés respectivement en 1926 et 1928 et résident à Tbilissi.
7. Jugé le 2 octobre 1937 pour sabotage et terreur, le père des requérants fut fusillé.
8. Le 7 novembre 1938, la mère des requérants fut condamnée à huit ans d’emprisonnement pour propagande et agitation comportant appel au renversement du régime soviétique et déportée dans un camp du GOULAG (Generalnoïe Oupravlenie Lagerey) à l’extrême nord de l’URSS.
9. Agés alors de 12 et 10 ans respectivement, les requérants restèrent au début seuls dans l’appartement de leurs parents à Tbilissi, aucun voisin et proche n’osant les approcher de peur d’être arrêtés. Ils furent ensuite gardés pendant un mois et demi dans un centre de rétention à Tbilissi. Etant mal nourris, ils y contractèrent de surcroît la typhoïde en raison de l’insalubrité. Ensuite, ils furent envoyés de la Géorgie vers la région de Stavropol en Russie et placés, conformément à l’Ordre du commissaire populaire des affaires intérieures de l’URSS du 15 août 1937 (« l’Ordre du 15 août 1937 »), dans un foyer pour enfants sans famille où ils passèrent deux ans. Soumis à un « contrôle d’affinités socio-politiques », les requérants y étaient sans cesse humiliés et battus à la fois par le personnel en tant qu’enfants de leur père, « traître de la Patrie », et par d’autres enfants orphelins en tant que ressortissants de Géorgie, pays d’origine de Staline. En outre, ils y étaient maintenus dans des conditions déplorables. 60 enfants dormant dans la même salle sur une longue natte, une couette devait être partagée par cinq enfants. Un tonneau en bois placé dans la même salle servait de toilettes (« paracha ») et il n’y avait pas d’eau courante. Les requérants eurent alors des poux et attrapèrent la gale.
10. Aussitôt après l’arrestation de la mère des requérants, l’appartement familial de 90 m² à Tbilissi fut confisqué avec l’ensemble du mobilier, des objets personnels et familiaux.
11. En 1940, la grand-mère des requérants réussit à obtenir leur garde. Rentrés en Géorgie, les requérants, encore enfants, furent contraints de travailler physiquement pour gagner leur vie. Par la suite, tout au long de leur vie active sous l’URSS, ils furent confrontés à une pression sociale et politique très forte en tant qu’enfants de « traître de la Patrie ».
12. En 1945, la mère des requérants fut libérée. Elle rentra à Tbilissi souffrant de scorbut (âgée alors de 42 ans, elle n’avait plus aucune dent), de pleurite et de gastroentérite. Le 4 mai 1956, le tribunal militaire dans le Caucase Sud annula le jugement de condamnation de la mère des requérants du 7 novembre 1938 en raison de l’absence du corps du délit et prononça sa réhabilitation. Le 30 août 1957, le collège des affaires militaires de la Cour suprême de l’URSS annula le jugement du 2 octobre 1937 pour les mêmes motifs et prononça la réhabilitation de leur père.
13. Le 16 mars 1991, la mère des requérants décéda.
14. Le 6 mars 1998, les requérants s’adressèrent au ministère de la Sécurité de l’Etat géorgien en demandant des informations concernant les poursuites pénales à l’encontre de leurs parents, la confiscation de leurs biens ainsi que leur propre séjour à l’orphelinat. Le 1er juillet 1998, il leur fut répondu qu’aucune information concernant leur séjour à l’orphelinat n’avait été conservée. Quant aux informations sur leurs parents, les archives du ministère avaient brûlé pendant la guerre civile de 1991-1992. Il leur fut conseillé de collecter plusieurs témoignages de témoins oculaires, de les faire certifier par un notaire et de saisir le tribunal du ressort territorial de leur résidence d’une demande d’établissement d’un fait juridique.
15. Le 16 mars 1998, les requérants saisirent le tribunal de première instance de Sabourthalo à Tbilissi et demandèrent que leurs parents ainsi qu’eux-mêmes soient déclarés victimes des répressions politiques.
16. Le 19 août 1998, leur demande fut intégralement accueillie.
17. Sur le fondement de cette décision, qui devint définitive le 2 septembre 1998, les requérants saisirent le 15 mars 2005 la cour régionale de Tbilissi d’une action en compensation du dommage matériel et moral en se fondant sur l’article 9 de la loi du 11 décembre 1997, relative à la reconnaissance du statut de victime des répressions politiques aux ressortissants géorgiens et à la protection sociale des réprimés (« loi du 11 décembre 1997 »), entrée en vigueur le 1er janvier 1998. Mettant l’accent sur la mise à mort de leur père, la séparation d’avec leur mère, leurs conditions de détention dans le centre de rétention d’abord et à l’orphelinat ensuite, l’atteinte portée à leur santé, l’humiliation et la répression subies depuis l’arrestation de leurs parents jusqu’à un âge avancé, ainsi que sur la confiscation des biens à la suite de l’arrestation de leur mère, les requérants demandèrent qu’en vertu de l’article 9 précité, une compensation de 515 000 laris géorgiens (208 000 EUR environ1) soit allouée à chacun d’eux pour l’ensemble du dommage matériel et moral subi.
18. Le représentant du Président géorgien, partie défenderesse, soutint que l’action des requérants ne devait pas être accueillie, étant donné qu’antérieurement à 1997, aucun droit à compensation ne leur était reconnu et que « la loi » à laquelle renvoyait la loi du 11 décembre 1997 n’était pas encore adoptée.
19. Le 9 juin 2005, la cour régionale de Tbilissi considéra comme établis les faits relatifs au passé des requérants tel qu’exposés ci-dessus à l’exception de la confiscation des biens. En s’appuyant sur l’article 102 § 3 du code de procédure civile sur ce dernier point, la cour régionale opposa aux requérants l’absence de preuves documentaires attestant de la confiscation, en estimant que les dépositions écrites des témoins oculaires qu’ils avaient produites ne suffisaient pas. Elle considéra par ailleurs que l’action des requérants était prescrite dans sa globalité sans indiquer quel délai de prescription s’appliquait et à partir de quand ce délai avait commencé à courir. Enfin, la cour régionale conclut qu’en tout état de cause, la demande des requérants ne pouvait pas être accueillie, puisque les « lois » auxquelles renvoyaient les articles 8 et 9 de la loi du 11 décembre 1997 n’étaient pas encore adoptées.
20. Les requérants se pourvurent en cassation en rappelant qu’en vertu de l’Ordre du 15 août 1937 (voir le paragraphe 26 ci-dessous), l’épouse de toute personne condamnée en tant que « traître de la Patrie » devait être à son tour nécessairement condamnée à une peine d’emprisonnement de cinq à huit ans, que leurs enfants mineurs devaient être ensuite placés dans des foyers en dehors du territoire géorgien et que les biens meubles et immeubles devaient être nécessairement confisqués. La condamnation de leur père entraînant obligatoirement ces mesures et, vu le contexte dans lequel les événements avaient eu lieu, le fait de ne pas pouvoir présenter de preuves documentaires de confiscation des biens ne pouvait pas leur être reproché. Quant à la prescription, les requérants rappelèrent que leur action en compensation était fondée sur la loi du 11 décembre 1997 et ne pouvait dès lors pas être prescrite au moment où il était statué sur leurs demandes. En tout état de cause, ils estimèrent qu’ils avaient le droit à une compensation en vertu de l’article 1005 § 3 du code civil. Les requérants se plaignirent en outre que huit ans environ s’étaient écoulés depuis l’entrée en vigueur de la loi du 11 décembre 1997 sans que l’Etat prenne les mesures nécessaires pour légiférer et indemniser les victimes des répressions politiques en application des articles 8 § 3 et 9 in fine de cette loi. Ils soutinrent que le nombre de ces victimes, toutes âgées, diminuait et qu’à leur avis, l’Etat attendait que leur mort règle le problème de leur indemnisation. Selon la note explicative du projet de loi qu’une organisation non gouvernementale présenta, en vain, au Parlement en 2001 pour palier le vide législatif litigieux, le nombre de victimes des répressions politiques, concernées par l’article 9 précité, variait, selon les catégories, entre 600 et 16 000.
21. Le pourvoi des requérants fut rejeté le 2 novembre 2005 par la Cour suprême de Géorgie qui, confirmant le raisonnement de la cour régionale relatif à l’insuffisance de preuves documentaires quant à la confiscation des biens, rejeta leur demande de compensation du dommage matériel. Quant à la compensation morale, la Cour suprême considéra comme établis les faits relatifs à leur répression, tels qu’exposés aux paragraphes 7-9 et 11 ci-dessus. Elle estima ensuite que « la loi » mentionnée à l’article 413 § 1 du code civil était, en l’occurrence, l’article 9 de la loi du 11 décembre 1997, lex specialis aux fins de l’espèce. Elle conclut qu’au sens de l’article 9 précité, la notion de « la compensation pécuniaire » comprenait, entre autres, une compensation morale. Toutefois, étant donné qu’un acte normatif relatif au versement de la compensation en question, à laquelle renvoyait l’article 9, n’était pas adopté, la demande de compensation morale des requérants était, au moment donné, sans fondement et ne pouvait pas être accueillie. Il ne semble pas que la Cour suprême ait repris le raisonnement de la cour régionale concernant la prescription de l’action des requérants.
22. Les requérants continuèrent de rechercher les preuves de confiscation des biens de leurs parents. Par une lettre du 4 décembre 2006, le service du Registre des biens immobiliers les informa que l’appartement litigieux n’apparaissait pour la première fois dans les archives qu’en 1940, en tant que propriété de l’Etat. Depuis, aucune information n’était disponible à son sujet.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
23. Code civil
Article 147
« Au sens de ce code, les biens signifient tout objet et tout bien non matériel dont les personnes physiques et morales peuvent posséder, user et disposer et qu’elles peuvent acquérir sans restrictions, si ceci n’est pas interdit par la loi ou n’est pas contraire aux règles de la morale. »
Article 152
« Les biens non matériels sont les demandes et les droits qui peuvent être transmis aux tiers ou qui sont destinés à faire bénéficier leurs titulaires d’un profit d’ordre matériel ou d’un droit de réclamation auprès des tiers. »
Article 413 § 1
« La compensation pécuniaire pour un préjudice non patrimonial ne peut être requise que dans les cas expressément prévus par la loi et sous forme d’indemnisation raisonnable et équitable. »
Article 1005 § 3
« Le dommage ayant été causé à la personne réhabilitée du fait d’une condamnation, d’une mise en examen, d’une détention provisoire ou d’un contrôle judiciaire illégaux (…), est réparé par l’Etat indépendamment de l’existence de la faute dans l’action de l’enquêteur, de l’instructeur, des organes du parquet ou des détenteurs de fonctions judiciaires. Si l’existence d’une intention ou d’une négligence est établie, les personnes précitées et l’Etat sont solidairement responsables. »
24. Code de procédure civile
Article 102 § 3
« Les circonstances de la cause qui, conformément à la loi, doivent être établies en fonction des preuves d’un certain type, ne sauraient être établies selon les preuves d’un autre type. »
25. Loi du 11 décembre 1997, relative à la reconnaissance du statut de victime des répressions politiques aux ressortissants géorgiens et à la protection sociale des réprimés
Titre I – « Dispositions générales »
Article 1 § 2
« La présente loi s’applique aux ressortissants géorgiens ayant fait l’objet des répressions politiques sur le territoire de l’ex-URSS du mois de février 1921 au 28 octobre 1990 (…) »
Titre II – « Règles de reconnaissance du statut de victime des répressions politiques et ses conséquences »
Article 6
« Sur le fondement des critères définis par la présente loi, la personne est reconnue victime des répressions politiques et ses droits ayant été violés sont redressés par la voie judiciaire. »
Article 8 §§ 1 et 3
« La personne, dont le statut de victime des répressions politiques a été reconnu, est rétablie dans ses droits et libertés politiques, civiques et autres, méconnus à la suite de la répression politique (…).
La règle de restauration des droits aux biens de la personne réhabilitée sera déterminée par une loi séparée. »
Article 9
« La personne qui a subi une répression sous forme de placement dans un lieu de détention, d’exil, (…), dans un lieu d’habitation spéciale ou dans un établissement psychiatrique, ou qui est décédée par suite d’une telle répression, et qui a été reconnue victime des répressions politiques, ainsi que ses héritiers de premier rang, peuvent percevoir une compensation pécuniaire dont le montant et les règles de versement doivent être définis par la loi. »
Titre III – « La protection sociale des victimes des répressions politiques »
Conformément à l’article 12 §§ 1 et 2, les victimes des répressions politiques ou, en cas de décès, leurs descendants de premier rang reçoivent une pension mensuelle dont le montant et les modalités d’attribution sont définis par la loi, ils sont exonérés de payement de différentes charges et bénéficient des tarifs réduits sur le gaz, l’électricité et le téléphone.
Titre V – « Dispositions finales »
Article 14
« Cette loi entre en vigueur le 1er janvier 1998. »
Ni les dispositions transitoires ni aucune autre disposition de cette loi n’indiquent le délai dans lequel les lois prévues aux articles 8 § 3 et 9 in fine ci-dessus doivent être adoptées. Ces lois font défaut à ce jour.
26. L’Ordre du commissaire populaire des affaires intérieures de l’URSS en date du 15 août 1937(extraits pertinents)
« Dès la réception du présent ordre, procédez à la répression des épouses des traîtres de la Patrie et des membres des organisations d’espionnage et de diversion de la droite trotskiste, condamnés à compter du 1er août 1936 (…) Lors de la mise en œuvre de cette opération, conformez-vous aux règles suivantes : (…)
3. [De telles] personnes sont arrêtées. (…)
7. Tous les biens appartenant à la personne arrêtée (…) sont confisqués. Les appartements sont scellés.
8. Les femmes ainsi arrêtées, accompagnées de gardes, sont transférées dans des prisons. Les enfants sont sortis en même temps (…).
12. Les épouses des traîtres de la Partie condamnés seront détenues dans des camps pendant une période de cinq à huit ans, selon leur degré de dangerosité. (…)
19. Tous les enfants orphelins doivent être placés dans des foyers en dehors du territoire concerné (…).
24. Toutes les villes concernées par cette opération doivent spécialement aménager des centres de rétention où les enfants seront placés dès l’arrestation de leurs mères et d’où ils seront renvoyés dans des foyers (…) »
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLEGUEE DE L’ARTICLE 3 DE LA CONVENTION
27. Les requérants se plaignent qu’en tardant à donner du contenu à leurs droits garantis par les articles 8 et 9 de la loi du 11 décembre 1997, l’Etat les maintient dans une situation d’incertitude et d’angoisse qui leur cause des tourments et s’analyse en un traitement dégradant.
28. L’article 3 de la Convention se lit ainsi :
« Nul ne peut être soumis à la torture ni à des peines ou traitements inhumains ou dégradants. »
29. Sans nier que l’incertitude en question soit de nature à présenter des aspects que les requérants peuvent ressentir comme douloureux ou injustes, la Cour n’estime pas toutefois qu’elle traduise un mépris ou manque de respect de la part de l’Etat pour la personnalité des requérants ou qu’elle tende à les humilier ou rabaisser (voir, parmi d’autres, D.H. et autres c. République tchèque (déc.), no 57325/00, 1er mars 2005 ; Raninen c. Finlande, arrêt du 16 décembre 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-VIII, § 55). La situation dénoncée ne s’analyse dès lors pas, aux yeux de la Cour, en un traitement dégradant au sens de l’article 3 de la Convention.
30. Cette partie de la requête est par conséquent manifestement mal fondée et doit être rejetée en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
II. SUR LA VIOLATION ALLEGUEE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE NO 1 ET DE L’ARTICLE 13 DE LA CONVENTION
31. Les requérants estiment que l’absence d’adoption des lois auxquelles renvoient les articles 8 et 9 de la loi du 11 décembre 1997, alors qu’elles sont nécessaires pour rendre effectif leur droit reconnu par ces dispositions, emporte violation de leurs droits garantis par l’article 1 du Protocole no 1 qui est ainsi libellé :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
32. Les requérants estiment en outre que les juridictions internes, qui furent amenées à rejeter leur recours en raison du vide législatif précité, ne leur offrirent pas un recours effectif au sens de l’article 13 de la Convention qui se lit ainsi :
« Toute personne dont les droits et libertés reconnus dans la (…) Convention ont été violés, a droit à l’octroi d’un recours effectif devant une instance nationale, alors même que la violation aurait été commise par des personnes agissant dans l’exercice de leurs fonctions officielles. »
A. Quant à la recevabilité
1. Exception du Gouvernement tirée de l’incompatibilité ratione temporis
a) Arguments du Gouvernement
33. Le Gouvernement estime que l’examen par la Cour de la procédure judiciaire litigieuse qui est, selon lui, intimement liée aux faits antérieurs à l’entrée en vigueur de la Convention et du Protocole no 1 à l’égard de la Géorgie les 20 mai 1999 et 7 juin 2002 respectivement, reviendrait à donner un effet rétroactif à ces instruments (Stamoulakatos c. Grèce (no 1), arrêt du 26 octobre 1993, série A no 271, p. 14, § 33 ; Multiplex c. Croatie (déc.), no 58112/00, 26 septembre 2002).
34. D’autant plus qu’en l’espèce, selon le Gouvernement, il n’existe aucune « situation continue » et que « des différences substantielles et un grand nombre de facteurs » opposent la présente requête à l’affaire Almeida Garrett, Mascarenhas Falcão et autres c. Portugal (nos 29813/96 et 30229/96, CEDH 2000-I).
35. Premièrement, les requérants n’auraient pas démontré avoir été propriétaires d’un bien quelconque plus de 60 ans auparavant et avoir fait l’objet d’une expropriation. Le Gouvernement rappelle que les requérants furent reconnus victimes des répressions politiques uniquement en raison des condamnations respectives de leurs parents, de la détention de leur mère ainsi que de leur propre détention et exil, conformément à l’article 9 de la loi du 11 décembre 1997. L’Etat n’avait donc pas l’obligation de leur verser, à la différence de l’affaire Almeida Garrett et autres précitée, une réparation quelconque au titre de l’expropriation alléguée. Le droit à compensation fut conféré aux requérants en vertu de l’article 9 précité cinq ans avant le 7 juin 2002 et, de surcroît, sous réserve de l’adoption d’une loi subséquente définissant les règles et modalités de son application.
36. Deuxièmement, à la différence de l’affaire Almeida Garrett et autres précitée, les pouvoirs exécutif et législatif géorgiens n’adoptèrent, depuis le 7 juin 2002, aucun texte concernant la question de compensation litigieuse (voir, a contrario, Almeida Garrett et autres précitée, § 43), parce qu’un tel texte aurait eu des conséquences politiques et économiques importantes. Enfin, quelques années seulement s’écoulèrent entre le 7 juin 2002 et la communication de la présente requête au Gouvernement, alors que, dans l’affaire portugaise précitée, la période entre la ratification du Protocole no 1 par le Portugal et l’examen de l’affaire par la Cour dépassait 20 ans.
37. Dans ces conditions, le Gouvernement invite la Cour à suivre le même raisonnement que dans l’affaire Aćimović (Aćimović c. Croatie (déc.), no 61237/00, 7 novembre 2002) pour déclarer la présente requête irrecevable parce qu’incompatible ratione temporis avec les dispositions de la Convention.
b) Arguments des requérants
38. Les requérants rétorquent qu’ils ne se plaignent pas des faits de répression, d’exil et d’expropriation arbitraire ayant eu lieu sous le régime soviétique, mais du fait qu’à ce jour, l’Etat géorgien manque à définir les règles de compensation pour donner du contenu à leur droit à compensation garanti par les articles 8 et 9 de la loi du 11 décembre 1997.
39. Les requérants estiment que leur requête est similaire à l’affaire Broniowski (Broniowski c. Pologne [GC], no 31443/96, CEDH 2004-V). En outre, à la différence du Gouvernement, ils considèrent qu’elle n’est pas différente de l’affaire Almeida Garrett et autres précitée. Selon les requérants, on ne saurait leur reprocher de ne pas pouvoir présenter de preuves documentaires pour démontrer la privation des biens, étant donné que l’arrestation et l’exil de leur mère entraînaient obligatoirement, en vertu de l’Ordre du 15 août 1937, la confiscation des biens dans leur intégralité. Selon eux, cet Ordre et les dépositions des témoins oculaires auraient dû être acceptés par les juges nationaux comme preuves suffisantes. L’exigence de présentation des documents attestant de la confiscation des biens leur aurait imposé une charge de preuve excessive. Si l’on devait tout de même différencier leur situation de celle de Almeida Garrett et autres, les requérants rappellent que, dans cette affaire, l’Etat portugais avait, au moins, octroyé aux requérants une compensation provisoire (Almeida Garrett et autres, précité, §§ 9 et 23).
40. Toutefois, quels que soient les arguments du Gouvernement et des juridictions internes concernant la confiscation des biens, les requérants rappellent qu’en vertu de l’article 9 de la loi du 11 décembre 1997, ils ont le droit de recevoir une compensation à titre plus général, en raison du dommage moral subi en raison de l’exil et de la détention arbitraire. D’ailleurs, la Cour suprême avait confirmé, dans les obiter dictum de son arrêt, l’existence de ce droit.
41. Les requérants soulignent, pour conclure, qu’ils mettent en cause le motif de rejet de leur action par les juridictions internes, fondé sur la seule absence de la « loi » visée à l’article 9 in fine de la loi du 11 décembre 1997, cette absence étant le résultat de l’inactivité de l’Etat. A la différence du Gouvernement, ils n’estiment pas que la période depuis le 7 juin 2002 n’est pas suffisamment longue pour les exposer injustement à une incertitude.
c) Appréciation de la Cour
42. La Cour note qu’elle n’est pas appelée à examiner les questions liées à la confiscation des biens des parents des requérants ayant eu lieu en 1937 conformément à l’Ordre du commissaire populaire des affaires intérieures de l’URSS (voir les paragraphes 38 ci-dessus et 50 ci-dessous). L’objet de la présente requête consiste à déterminer si, en vertu des articles 8 § 3 (restauration des droits aux biens) et 9 (dommage moral résultant d’une détention ou d’un exil) de la loi du 11 décembre 1997, les requérants, en tant qu’enfants de parents persécutés, et eux-mêmes victimes des répressions politiques, bénéficient des droits à caractère patrimonial et si, en cas d’existence de tels droits, ceux-ci ont été respectés.
43. La Cour observe à cet égard que la loi du 11 décembre 1997 entra en vigueur le 1er janvier 1998. Depuis, comme le confirme le Gouvernement, aucun texte, en rapport avec ses articles 8 § 3 et 9, ne fut adopté. Cette absence de toute mesure législative postérieure au 7 juin 2002, date de l’entrée en vigueur du Protocole no 1 à l’égard de la Géorgie, ne saurait conférer à la loi du 11 décembre 1997 un caractère « instantané » au sens de l’article 1 du Protocole no 1 (voir, par exemple, Blečić c. Croatie [GC], no 59532/00, § 86, CEDH 2006-III). Pour la Cour, les droits qui furent conférés aux requérants en vertu des articles 8 § 3 et 9 de cette loi avant la ratification du Protocole no 1 subsistaient au moment de la ratification ainsi que, le 22 février 2006, date à laquelle les intéressés présentèrent leur requête à la Cour (Broniowski, précité, § 125 ; von Maltzan et autres c. Allemagne (déc.) [GC] nos 71916/01, 71917/01 et 10260/02, § 74 d) in fine, CEDH 2005-V ; Beshiri et autres c. Albanie, no 7352/03, § 82, 22 août 2006). Par conséquent, la Cour peut apprécier, sous l’angle de l’article 1 du Protocole no 1, le manque de légiférer continu qui perdura bien au-delà le 7 juin 2002, et auquel les requérants demeurent toujours confrontés. S’il est vrai qu’elle n’est pas compétente ratione temporis pour avoir égard à une partie de cette situation, antérieure au 7 juin 2002, la Cour devra tout de même tenir compte de cette période dans le cadre de l’examen des griefs dont elle se trouve saisie (voir, entre autres, Broniowski c. Pologne (déc.) [GC], no 31443/96, §§ 74-77, CEDH 2002-X ; Sovtransavto Holding c. Ukraine, no 48553/99, § 58, CEDH 2002-VII).
44. En raison des considérations qui précèdent, la Cour ne saurait suivre en l’espèce le même raisonnement que dans les affaires citées aux paragraphes 33 et 37 ci-dessus. L’exception du Gouvernement tirée de l’incompétence ratione temporis de la Cour doit dès lors être rejetée.
2. Exception du Gouvernement tirée de l’incompatibilité ratione materiae
a) Arguments du Gouvernement
45. Avant tout, le Gouvernement invite la Cour à prendre en compte le fait que le nouvel Etat indépendant géorgien avait adopté la loi du 11 décembre 1997 en tant qu’acte de reconnaissance et de condamnation des atrocités commises par le régime de l’URSS. Selon lui, on ne saurait tenir l’Etat géorgien actuel pour responsable de ces atrocités et lui imposer d’indemniser les requérants pour un dommage subi en 1937-1938. Le Gouvernement s’interroge si les requérants auraient été plus satisfaits si l’Etat géorgien n’avait pas reconnu, en attendant l’essor économique du pays, qu’ils avaient été victimes des répressions d’un régime précédent.
46. Pour le Gouvernement, tant que les lois visées aux articles 8 § 3 et 9 in fine de la loi du 11 décembre 1997 ne sont pas adoptées, le droit des requérants à compensation ne constitue pas un droit patrimonial suffisamment établi, au sens de l’article 1 du Protocole no 1. Selon lui, l’article 9 précité ne fait que « reconnaître simplement le statut de victime » aux requérants et dispose « implicitement » qu’une loi subséquente, nécessaire à rendre leur droit à compensation effectif, ne sera adoptée que lorsque l’Etat sera prêt à supporter la charge financière correspondante. Ceci devrait permettre à la Cour de conclure que le rapport de proportionnalité ne fut pas rompu en l’espèce.
47. Pour ce qui est de l’absence de perspective quant à la date d’adoption des lois en question, elle n’emporte pas, selon le Gouvernement, violation des droits des requérants dans la mesure où cela relève de la marge d’appréciation, assez large, dont les Parties contractantes bénéficient en la matière.
48. En résumé, étant donné l’inexistence des lois visées aux articles 8 § 3 et 9 in fine de la loi du 11 décembre 1997 et le refus des juridictions internes d’accueillir l’action des requérants, le droit à compensation dont ceux-ci se prévalent devant la Cour ne constitue pas, selon le Gouvernement, un droit certain, réel et applicable (Raffineries grecques Stran et Stratis Andreadis c. Grèce, arrêt du 9 décembre 1994, série A no 301-B, §§ 59-61 ; Bourdov c. Russie, no 59498/00, § 40, CEDH 2002-III). La requête serait par conséquent incompatible ratione materiae avec les dispositions de la Convention.
b) Arguments des requérants
49. Les requérants estiment que le droit à compensation, garanti par une loi, constitue un « bien » qui est une notion autonome au sens de l’article 1 du Protocole no 1 (Pressos Compania Naviera S.A. et autres c. Belgique, arrêt du 20 novembre 1995, série A no 332, § 31 ; Kopecký c. Slovaquie [GC], no 44912/98, § 47, CEDH 2004-IX ; Broniowski, précité, §§ 125, 133 et 146). En outre, un tel droit, dès lors qu’il est garanti par la loi, constitue leur propriété conformément aux articles 147 et 152 du code civil.
50. Les requérants affirment qu’ils n’aspirent pas à faire déclarer l’Etat géorgien actuel responsable des atrocités commises à leur égard sous le régime communiste. Toutefois, ils n’estiment pas que la loi du 11 décembre 1997 soit une simple déclaration de bonne volonté pour leur reconnaître seulement un statut de victime. Au contraire, cette loi leur conféra un certain nombre de droits concrets et défendables dont plusieurs sont d’ailleurs respectés. Par exemple, en vertu de l’article 12 de la loi en question, les requérants reçoivent mensuellement, depuis 1998, une pension de 23 euros environ chacun et bénéficient d’autres mesures d’aide sociale. Produisant les preuves de payement correspondantes, les requérants n’estiment pas que l’Etat leur verse cette pension mensuelle en vertu d’une simple déclaration de bonne volonté.
51. Les requérants s’opposent à l’argument du Gouvernement selon lequel l’article 9 de la loi du 11 décembre 1997 prévoit implicitement qu’il n’acquiert la force effective que lorsque la loi subséquente sera adoptée. Ils rappellent en outre que les raisons tirées du manque de ressources financières ne justifient pas l’irrespect d’une obligation légale (Bourdov, précité, § 35). Selon les requérants, les ressources financières existent, mais la volonté politique fait défaut.
52. Les requérants soulignent enfin qu’à la différence de l’article 8 § 3 de la loi du 11 décembre 1997 selon lequel la règle de restauration des droits aux biens « sera déterminée par une loi séparée », l’article 9 de la même loi est impératif quant à l’existence du droit dont seules les modalités d’exercice nécessitent d’être définies.
c) Appréciation de la Cour
53. La Cour réaffirme d’abord que la Convention n’impose aux Etats contractants aucune obligation spécifique de redresser les injustices ou dommages causés par leurs prédécesseurs (Ernewein et autres c. Allemagne (déc.), no 14849/08, 12 mai 2009). De même, l’article 1 du Protocole no 1 n’impose aux Etats contractants aucune restriction à leur liberté de choisir les conditions auxquelles ils acceptent de restituer un droit de propriété aux personnes dépossédées ou de déterminer les modalités selon lesquelles ils acceptent de verser des indemnisations ou des compensations aux personnes concernées (von Maltzan et autres, décision précitée, § 77).
54. Dans la présente affaire, la Cour estime qu’il lui incombe de déterminer si le droit de restauration des droits aux biens (article 8 § 3 de la loi du 11 décembre 1997), d’une part, et le droit à la compensation du dommage moral (article 9 de la même loi), d’autre part, sont suffisamment établis en droit interne pour conférer aux requérants un droit aux « biens » au sens de l’article 1 du Protocole no 1 et appeler ainsi la protection de cette disposition. Il convient de rappeler à cet égard que, selon la jurisprudence constante de la Cour en la matière, la notion de « biens » peut recouvrir tant des « biens actuels » que des valeurs patrimoniales, y compris des créances, en vertu desquelles un requérant peut prétendre avoir au moins une « espérance légitime » d’obtenir la jouissance effective d’un droit de propriété (Malhous c. République tchèque, (déc.) [GC], no 33071/96, 13 décembre 2000 ; Pine Valley Developments Ltd et autres c. Irlande, 29 novembre 1991, § 51, série A no 222).
i) Droit à la restauration des droits aux biens (article 8 § 3 de la loi du 11 décembre 1997)
55. La Cour note qu’enfants de victimes des répressions politiques des années 1930, et eux-mêmes déclarés victimes de celles-ci par un tribunal, les requérants saisirent les juridictions internes d’une action en compensation matérielle et morale, fondée sur l’article 9 de la loi du 11 décembre 1997 (voir le paragraphe 17 ci-dessus). Ainsi, même s’ils insérèrent dans leurs revendications des demandes liées au dommage causé par la privation des biens ayant appartenu à leur mère (leur père étant décédé au moment de la confiscation), les requérants ne firent pas initialement explicitement référence à l’article 8 § 3 de la loi précitée pour faire valoir qu’ils avaient le droit « à la restauration des biens ». Toutefois, étant donné que tant la cour régionale que la Cour suprême de Géorgie examinèrent, en présence des parties, la question du droit des requérants découlant de l’article 8 § 3 sans que ceux-ci ne s’y opposent, on peut considérer que les requérants entendaient en effet obtenir une compensation pécuniaire également en application de cette disposition.
56. Au vu des pièces du dossier et de la position des requérants devant les juridictions internes, la Cour note qu’en faisant valoir leurs droits liés aux biens, les requérants ne visaient pas à la restitution des biens meubles et immeubles confisqués à leur mère. De toute façon, un tel espoir de voir revivre un droit de propriété éteint depuis longtemps ne pourrait pas être considéré comme un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1 (Gratzinger et Gratzingerova c. République tchèque (déc.) [GC], no 39794/98, § 69 in fine, CEDH 2002-VII). En fait, l’objectif des requérants consistait à percevoir une compensation au titre du préjudice résultant de la mesure de confiscation précitée (voir Sokolowski c. Pologne (déc.), no 39590/04, 7 juillet 2009).
57. A la lecture de l’article 8 § 3 de la loi du 11 décembre 1997, la Cour note qu’une « loi séparée » fut jugée nécessaire par le législateur pour déterminer la règle même de restauration des droits aux biens des victimes des répressions politiques. Les requérants le concèdent eux-mêmes devant la Cour qu’à la différence de l’article 9 de la même loi, relatif au dommage moral, l’article 8 § 3 litigieux n’est pas aussi « impératif » quant à l’existence du droit qu’il énonce (voir le paragraphe 52 ci-dessus).
58. En effet, la seule disposition de l’article 8 § 3 de la loi du 11 décembre 1997 ne permet pas de connaître quel type de biens (nationalisés, vendus entre-temps à des tiers – acquéreurs de bonne foi, etc.) seront considérés par la suite comme susceptibles de donner lieu à la « restauration » des droits ; si cette restauration revêtira la forme de restitution là où ce sera possible, celle d’attribution de biens équivalents ou d’une compensation pécuniaire ; quelles catégories de personnes pourront revendiquer ces droits (anciens propriétaires et donc victimes directes, leurs descendants, etc.) et dans quelle mesure ; quelle autorité sera en charge d’identification des biens concernés et de détermination de leur valeur, etc. Ainsi, parmi tant d’autres, ces critères restent à être définis et pour ce faire, l’Etat dispose d’une ample marge d’appréciation (von Maltzan et autres, décision précitée, §§ 74 d) et 111).
59. Par conséquent, aux yeux de la Cour, ce n’est que l’adoption d’une loi subséquente qui permettra aux requérants d’apprécier s’ils sont éligibles, en tant que descendants de premier rang des propriétaires dépossédés, à la restauration des droits visée à l’article 8 § 3 de la loi du 11 décembre 1997 (voir, mutatis mutandis, Gratzinger et Gratzingerova, décision précitée, §§ 72-75) et si oui, dans quelle mesure. En attendant, la question de savoir s’ils rempliront, le moment venu, les conditions légales pour bénéficier d’une compensation qu’ils revendiquent reste entière, ce qui ne permet pas de conclure qu’au moment de la saisine des juridictions internes en 2005, en application de l’article 8 § 3 précité, il existait en leur faveur un intérêt patrimonial suffisamment établi pour être exigible (voir, mutatis mutandis, Kopecký, précité, § 58, CEDH 2004-IX).
60. En conclusion, la Cour estime que l’article 8 § 3 de la loi du 11 décembre 1997, tel qu’il est en vigueur depuis le 1er janvier 1998, ne donne pas lieu, à lui seul, à une créance réelle et exigible sur laquelle une « espérance légitime » pourrait venir se greffer (voir, a contrario, Pressos Compania Naviera S.A. et autres, précité, § 31).
61. Cette branche du grief tiré de l’article 1 du Protocole no 1 est dès lors incompatible ratione materiae avec les dispositions de la Convention et doit être rejetée en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
62. Vu qu’il n’existe pas de « grief défendable » en tant que cette partie de la requête est concernée, le grief des requérants, tiré de l’article 13 de la Convention, doit être également rejeté conformément à l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention (voir, parmi d’autres, Zehnalová et Zehnal c. République tchèque (déc.), no 38621/97, CEDH 2002-V).
ii) Droit à la compensation du dommage moral résultant de la détention et de l’exil (article 9 de la loi du 11 décembre 1997)
63. La Cour rappelle que lorsque l’intérêt patrimonial dont se prévaut un requérant est de l’ordre de la créance, il ne peut être considéré comme « un bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1 que lorsqu’il a une base suffisante en droit interne, par exemple lorsqu’il est confirmé par une jurisprudence bien établie des tribunaux (voir, parmi d’autres, Roche c. Royaume-Uni [GC], no 32555/96, § 129, CEDH 2005-X ; Slavov et autres c. Bulgarie (déc.), no 20612/02, 2 décembre 2008).
64. En l’espèce, il ressort de la lecture de la loi du 11 décembre 1997 que tout ressortissant géorgien déclaré victime des répressions politiques ayant eu lieu sur le territoire de l’ex-URSS entre février 1921 et octobre 1990 peut percevoir une compensation pécuniaire, en application de l’article 9 de cette loi, s’il est démontré qu’il fut détenu, exilé, placé dans un lieu d’habitation spéciale ou qu’il décéda par suite d’une telle mesure. Les héritiers de premier rang d’une telle victime bénéficient également de ce droit.
65. La Cour note que les requérants remplissent chacune des conditions précitées. En effet, déclarés eux-mêmes victimes des répressions politiques précitées par un tribunal, ils sont par ailleurs enfants de parents réprimés dont le statut de victime aux fins de la loi du 11 décembre 1997 fut également reconnu par un tribunal. Le fait que les requérants et leurs parents subirent les actes de répression mentionnés aux paragraphes 7-9 et 11 ci-dessus ne prêta à aucun doute ni devant les juridictions internes ni devant la Cour (voir le paragraphe 35 ci-dessus). Au contraire, ces faits furent explicitement considérés comme établis par la Cour suprême de Géorgie dans son arrêt définitif du 2 novembre 2005 (voir le paragraphe 21 ci-dessus).
66. Ainsi, le droit à compensation morale dont se prévalent les requérants a une base légale en droit interne dont ils remplissent les conditions d’application (voir, a contrario, Ernewein et autres, décision précitée, et Epstein et autres c. Belgique (déc.), no 9717/05, CEDH 2008-… (extraits) ainsi que, mutatis mutandis, Jantner c. Slovaquie, no 39050/97, §§ 29-33, 4 mars 2003).
67. De surcroît, le fait que ce droit est acquis aux requérants fut confirmé par la Cour suprême de Géorgie. Selon cette juridiction, une compensation morale pouvait être réclamée par les requérants en application de l’article 9 de la loi du 11 décembre 1997 qui était, aux fins de l’espèce, « la loi » visée à l’article 413 § 1 du code civil qui ne prévoit la réparation d’un dommage non patrimonial que dans les cas expressément prévus par la loi. La Cour suprême ne conclut au rejet de la demande de compensation morale des requérants qu’en raison de l’absence des textes d’application pertinents au « moment donné » (voir le paragraphe 21 ci-dessous). A la différence du droit à restauration des droits aux biens, elle ne mit pas en doute que lorsque ces textes seraient adoptés, les requérants seraient nécessairement concernés et éligibles à percevoir une compensation du dommage moral en application de l’article 9 précité. Il reste seulement à déterminer, en fonction du dommage subi par chacun des requérants, le « montant » de cette compensation et « la règle de son versement » pour enclencher le mécanisme. Pour cette raison, la Cour ne partage pas l’avis du Gouvernement selon lequel le droit à compensation morale en tant que tel ne sera réputé acquis aux requérants que si la loi subséquente prévue à l’article 9 in fine est adoptée (voir le paragraphe 46 ci-dessus). Cette interprétation n’est pas celle de la plus haute juridiction judiciaire interne en l’espèce et elle ne saurait par ailleurs être déduite du libellé de l’article 9 en question ou d’une autre disposition de la loi du 11 décembre 1997.
68. Eu égard à ce qui précède, la Cour estime qu’au moment de la saisine des juridictions internes, les requérants possédaient, en vertu de l’article 9 de la loi du 11 décembre 1997, une créance suffisamment établie pour être exigible et dont ils pouvaient valablement prétendre au recouvrement à l’encontre de l’Etat. Ceci permet de conclure qu’en cette partie de leur action, l’article 1 du Protocole no 1 trouvait à s’appliquer. L’exception du Gouvernement tirée de l’incompatibilité ratione materiae ne peut donc être accueillie.
69. Par conséquent, les griefs des requérants tirés de l’article 1 du Protocole no 1 et de l’article 13 de la Convention en tant que leur droit garanti par l’article 9 de la loi du 11 décembre 1997 est concerné doivent être déclarés recevables.
B. Quant au fond
1. Les arguments des parties
70. Le Gouvernement ne présenta pas d’observations sur le fond des griefs. Les requérants, quant à eux, se limitèrent à affirmer que les exceptions ci-dessus du Gouvernement étaient mal fondées et qu’il y avait donc violation de leurs droits garantis par les articles 1 du Protocole no 1 et 13 de la Convention.
2. Appréciation de la Cour
71. La Cour note qu’en l’espèce, c’est l’absence d’adoption des textes nécessaires pour déterminer le montant de la compensation morale et la règle de son versement qui pose une entrave à l’exercice effectif du droit protégé par l’article 1 du Protocole no 1. La situation litigieuse relève ainsi de la première phrase du premier alinéa de l’article 1 du Protocole no 1 qui énonce, de manière générale, le principe du respect des biens (Broniowski, précité, § 136).
72. La Cour partira du principe que, pour autant que l’omission de l’Etat géorgien a pour fondement la loi du 11 décembre 1997 qui reporte l’adoption de la loi visée à son article 9 in fine à un stade ultérieur, l’atteinte ou la restriction à l’exercice du droit des requérants au respect de leurs biens était en quelque sorte « prévue par la loi ». De l’avis de la Cour, la nature de cette omission et les conséquences qu’elle entraîne du point de vue de la conformité à l’article 1 du Protocole no 1 sont à prendre en compte pour déterminer si les autorités géorgiennes ont ménagé un juste équilibre entre les intérêts en jeu (voir le paragraphe 75 ci-dessous).
73. La Cour devra dès lors rechercher, aux fins de la première phrase du premier alinéa de l’article 1 du Protocole no 1, si un juste équilibre a été maintenu entre les exigences de l’intérêt général de la communauté et les impératifs de la sauvegarde des droits fondamentaux de l’individu. En particulier, la Cour doit vérifier si, en raison de l’inaction de l’Etat qui est en cause, les requérants ont dû supporter une charge disproportionnée et excessive (Hutten-Czapska c. Pologne [GC], no 35014/97, § 167 in fine, CEDH 2006-VIII). Elle rappelle à cet égard que, pour déterminer l’intérêt général, les Etats disposent d’une large marge d’appréciation. Cependant, ce pouvoir d’appréciation n’est pas illimité, et son exercice est soumis au contrôle des organes de la Convention (voir, parmi d’autres, Almeida Garrett et autres, précité, §§ 49 et 52).
74. En l’absence des observations des parties sur ce point (voir le paragraphe 70 ci-dessus), la Cour ne peut supposer qu’en l’espèce, pour les autorités, l’intérêt général consistait dans les « conséquences politiques et financières importantes » (voir les paragraphes 36 et 46 ci-dessus) que la détermination du montant de la compensation morale due aux requérants pourrait entraîner. Or le Gouvernement ne produisit aucun argument sur la nature des conséquences politiques en question ni ne fournit davantage d’explications sur l’impact financier que l’attribution de cette compensation aux intéressés pourrait avoir sur le budget du pays. Il ne fournit, par exemple, aucune précision sur ses disponibilités économiques et budgétaires ou une étude quant aux ressources nécessaires pour indemniser les requérants et d’autres personnes se trouvant dans la même situation.
75. Quoi qu’il en soit, à supposer même qu’en l’espèce, l’inactivité de l’Etat, qu’elle se qualifie d’ingérence ou d’abstention d’agir (Broniowski, précité, § 146), poursuivait un but légitime, rien ne permet à la Cour de conclure qu’un juste équilibre a été maintenu entre les intérêts concurrents de l’individu et de la société dans son ensemble. Notamment, la Cour n’aperçoit pas de raisons pour lesquelles l’Etat faillit, alors même qu’il a disposé de plus de onze ans, d’entreprendre le moindre pas vers le début du processus d’adoption de la loi visée à l’article 9 in fine de la loi du 11 décembre 1997, à savoir, de déterminer avec exactitude le nombre de victimes concernées, de faire réaliser une étude économique, financière et sociale sur les gains et pertes des différents membres de la société touchés par ce processus, d’évaluer le préjudice subi par chacune des catégories de victimes, etc. Le Gouvernement lui-même ne fournit aucun argument convaincant et motivé pour expliquer cette passivité totale. Or, lorsqu’une question d’intérêt général est en jeu, les pouvoirs publics sont tenus de réagir en temps utile, de façon correcte et avec la plus grande cohérence (Broniowski, précité, § 151 ; mutatis mutandis, Beyeler c. Italie [GC], no 33202/96, §§ 110 in fine et 120 in fine, CEDH 2000-I). Ainsi, aux yeux de la Cour, dès lors qu’il opéra un choix moral et financier en faveur de ses ressortissants ayant été persécutés par le régime soviétique, il appartenait à l’Etat géorgien, du moins dès l’entrée en vigueur du Protocole no 1 à l’égard de la Géorgie, de mener un travail de réflexion et d’action pour ne pas maintenir les requérants dans l’incertitude d’une durée indéterminée, contre laquelle ceux-ci ne disposent d’ailleurs d’aucun recours interne efficace. S’ajoute à cela le fait que l’Etat n’est apparemment pas prêt à engager ce travail, privant ainsi les requérants, âgés, de toute perspective de bénéficier, de leur vivant, du droit que leur reconnaît l’article 9 de la loi du 11 décembre 1997.
76. Dans ces conditions, la Cour conclut que l’inactivité totale de plusieurs années, imputable à l’Etat et empêchant les requérants d’avoir, dans un délai raisonnable, la jouissance effective de leur droit à compensation morale, fait peser sur les intéressés une charge disproportionnée et excessive qui ne peut être justifiée par un supposé intérêt général légitime poursuivi par les autorités en l’espèce (voir le paragraphe 74 ci-dessus).
77. Il y a dès lors eu violation de l’article 1 du Protocole no 1.
78. Au vu des considérations qui précèdent, la Cour n’estime pas nécessaire de se prononcer sur le grief des requérants tiré de l’article 13 de la Convention (voir le paragraphe 32 ci-dessus) et d’examiner la requête également sous l’angle de cette disposition.
III. SUR L’APPLICATION DES ARTICLES 41 ET 46 DE LA CONVENTION
79. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
Selon l’article 46 de la Convention,
« 1. Les Hautes Parties contractantes s’engagent à se conformer aux arrêts définitifs de la Cour dans les litiges auxquels elles sont parties.
2. L’arrêt définitif de la Cour est transmis au Comité des Ministres qui en surveille l’exécution. »
A. Article 46 de la Convention
80. Avant de statuer sur la demande de satisfaction équitable des requérants, la Cour estime nécessaire de se pencher sur les conséquences pouvant être tirées du présent arrêt pour l’Etat défendeur sur le terrain de l’article 46 de la Convention.
81. Aux termes de cette disposition, les Hautes Parties contractantes s’engagent à se conformer aux arrêts définitifs rendus par la Cour dans les litiges auxquels elles sont parties, le Comité des Ministres étant chargé de surveiller l’exécution de ces arrêts. Il en découle notamment que, lorsque la Cour constate une violation, l’Etat défendeur a l’obligation juridique non seulement de verser aux intéressés, là où il y a lieu, les sommes allouées au titre de la satisfaction équitable prévue par l’article 41, mais aussi de choisir, sous le contrôle du Comité des Ministres, les mesures générales et/ou, le cas échéant, individuelles à intégrer dans son ordre juridique interne afin de mettre un terme à la violation constatée par la Cour et d’en effacer autant que possible les conséquences.
82. En principe, l’Etat défendeur demeure libre, sous le contrôle du Comité des Ministres, de choisir les moyens de s’acquitter de son obligation juridique au regard de l’article 46 de la Convention, pour autant que ces moyens soient compatibles avec les conclusions contenues dans l’arrêt de la Cour (Scozzari et Giunta c. Italie [GC], nos 39221/98 et 41963/98, § 249, CEDH 2000-VIII ; Assanidzé c. Géorgie [GC], no 71503/01, §§ 198 et 202, CEDH 2004-II). Toutefois, une fois un défaut à caractère structurel identifié, il incombe aux autorités nationales, sous le contrôle du Comité des Ministres, de prendre, rétroactivement s’il le faut, les mesures de redressement nécessaires conformément au principe de subsidiarité de la Convention (voir, parmi d’autres, Broniowski, précité, §§ 192 et 193 ; Xenides-Arestis c. Turquie, no 46347/99, §§ 39 et 40, 22 décembre 2005 ; Ghigo c. Malte (satisfaction équitable), no 31122/05, §§ 25-28, 17 juillet 2008 ; Lukenda c. Slovénie, no 23032/02, §§ 89 et suivants, CEDH 2005-X ; Scordino c. Italie (no 1) [GC], no 36813/97, § 233, CEDH 2006), de manière que la Cour n’ait pas à réitérer son constat de violation dans une longue série d’affaires comparables (Driza c. Albanie, no 33771/02, § 123 in fine, CEDH 2007-… (extraits) ; Ramadhi et autres c. Albanie, no 38222/02, §§ 93 et 94, 13 novembre 2007 ; Gülmez c. Turquie, no 16330/02, §§ 62 et suivants, 20 mai 2008 ; Dybeku c. Albanie, no 41153/06, §§ 63 et 64, 18 décembre 2007).
83. A ce propos, la Cour rappelle les termes de la résolution du Comité des Ministres du Conseil de l’Europe du 12 mai 2004 (Res(2004)3) dans laquelle, après avoir souligné l’intérêt d’aider l’Etat concerné à identifier les problèmes sous-jacents et les mesures d’exécution nécessaires (septième paragraphe du préambule), il invite la Cour « à identifier dans les arrêts où elle constate une violation de la Convention ce qui, d’après elle, révèle un problème structurel sous-jacent et la source de ce problème, en particulier lorsqu’il est susceptible de donner lieu à de nombreuses requêtes, de façon à aider les Etats à trouver la solution appropriée et le Comité des Ministres à surveiller l’exécution des arrêts » (paragraphe I de la résolution).
84. En ce qui concerne la présente requête, force est de constater que le problème de vide législatif qu’elle soulève ne concerne pas seulement les requérants. Selon les estimations fournies par les requérants, le nombre de personnes touchées par la situation ayant donné lieu à une violation en l’espèce pourrait varier, selon les catégories, entre 600 et 16 000 (voir le paragraphe 20 in fine ci-dessus). Cette situation est donc clairement susceptible de donner lieu à un grand nombre de requêtes devant la Cour, de façon à représenter une menace pour l’effectivité à l’avenir du dispositif mis en place par la Convention.
85. Dans ces conditions, la Cour estime que des mesures générales au niveau national s’imposent sans aucun doute dans le cadre de l’exécution du présent arrêt. Des mesures législatives, administratives et budgétaires nécessaires doivent ainsi être prises rapidement afin que les personnes visées par l’article 9 de la loi du 11 décembre 1997 puissent bénéficier effectivement de leur droit garanti par cette disposition.
B. Article 41 de la Convention
1. Dommage
86. Les requérants demandent que le Gouvernement leur verse une somme de 61 660 euros (« EUR ») à titre du dommage matériel, étant donné que l’inaction des autorités les empêche de bénéficier pleinement de leurs droits garantis par les articles 8 et 9 de la loi du 11 décembre 1997. Se fondant sur des rapports d’estimation réalisés par des spécialistes, les requérants soutiennent notamment qu’un appartement de 90 m² sis à l’adresse d’habitation de leurs parents valait, au 20 novembre 2006, 70 000 dollars américains (47 446 EUR) et que la valeur approximative des biens meubles se trouvant dans l’appartement confisqué était de 7 030 EUR.
87. Les requérants réclament par ailleurs une somme de 15 000 EUR chacun au titre du préjudice moral causé par l’état d’incertitude et de frustration dans lequel ils vivent depuis des années en raison de l’impossibilité de faire valoir leurs droits garantis par la loi du 11 décembre 1997. Les requérants affirment que leurs souffrances subies depuis la petite enfance ne seront compensées par aucune somme d’argent, mais que les montants réclamés ci-dessus leur procureraient un certain réconfort moral.
88. Réaffirmant que les requérants n’ont jamais réussi à démontrer l’existence d’un droit de propriété sur les biens litigieux de leurs parents, le Gouvernement estime que leur demande à cet égard doit être rejetée. Il ne formule pas de commentaires pour le reste.
89. Pour ce qui est du dommage matériel, dès lors qu’il ne s’agit pas de pertes matérielles effectivement subies en conséquence directe de la violation constatée ci-dessus (Comingersoll c. Portugal [GC], no 35382/97, § 29, CEDH 2000-IV), la Cour estime qu’il n’y a pas lieu d’allouer aux requérants la somme qu’ils réclament à ce titre.
90. Quant au dommage moral, la Cour ne doute pas qu’en raison de la situation d’incertitude prolongée due à la violation constatée, les requérants, victimes des répressions politiques, âgés respectivement de 83 et 81 ans, subirent un préjudice moral incontestable, auquel le constat de violation de la Convention figurant dans le présent arrêt ne suffit pas à remédier. Elle estime par conséquent que, si les mesures nécessaires (législatives et autres) mentionnées au paragraphe 85 ci-dessus faisaient toujours défaut, l’Etat défendeur devrait verser à chacun des requérants, dans les six mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 4 000 EUR pour dommage moral.
2. Frais et dépens
91. Les requérants réclament 2 125 EUR au titre de leur représentation devant la Cour par Mme S. J., soit 50 EUR l’heure, et 950 livres sterling (1 050 EUR) au titre de leur représentation par M. Ph. L., soit 100 livres sterling (110 EUR) l’heure. Les requérants fournissent les dates et le nombre d’heures passées par chacun de ces avocats sur la préparation de leurs requête et réponses aux observations du Gouvernement.
92. Par ailleurs, les requérants demandent le remboursement de 75 euros et de 90 livres sterling (99 EUR) au titre de différentes tâches réalisées par le personnel administratif du SAÏA et de l’EHRAC respectivement (organisation de traduction de documents, télécopie, envois postaux, etc.). En outre, le remboursement de 328,56 livres sterling (363 EUR) est demandé au titre des frais de traduction de documents du géorgien vers l’anglais (justificatif joint). Les autres frais que les requérants affirment avoir supportés avec des preuves documentaires à l’appui sont les suivants : 56 EUR environ au titre des courriers envoyés par Chronopost de Tbilissi à Strasbourg (or les justificatifs produits ne correspondant pas aux formulaires Chronopost reçus par la Cour avec les courriers concernés), 2,8 EUR correspondant à la taxe versée au Registre des biens immobiliers pour obtenir différentes informations, 80 EUR au titre d’honoraires versés au spécialiste ayant déterminé la valeur marchande de l’appartement litigieux. Le remboursement de divers frais secrétariaux (appels téléphoniques internationaux, etc.) d’un montant de 70 livres sterling (77 EUR) est également demandé sans factures correspondantes à l’appui.
93. Le Gouvernement ne soumet pas de commentaires.
94. Vu sa jurisprudence constante en la matière (voir, entre autres, Ghavtadze c. Géorgie, no 23204/07, §§ 118 et 120, 3 mars 2009), et dans la mesure où les demandes précitées sont valablement étayées et en rapport avec la violation constatée, statuant en équité, la Cour alloue aux requérants 1 950 EUR et 1 050 EUR au titre de leur représentation devant la Cour par Mme S. J. et M. Ph. L. respectivement ainsi que 537 EUR pour les autres frais.
C. Intérêts moratoires
95. La Cour juge approprié de baser le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR,
1. Déclare, par six voix contre une, les griefs des requérants tirés de l’article 1 du Protocole no 1 et de l’article 13 de la Convention recevables en tant que leur droit garanti par l’article 9 de la loi du 11 décembre 1997 est concerné et le reste de la requête irrecevable ;
2. Dit, par six voix contre une, qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
3. Dit, par six voix contre une, qu’il n’est pas nécessaire d’examiner la requête également sous l’angle de l’article 13 de la Convention ;
4. Dit, par six voix contre une,
a) que, si les mesures nécessaires (législatives et autres) mentionnées au paragraphe 85 de l’arrêt faisaient toujours défaut, l’Etat défendeur devrait verser à chacun des requérants, dans les six mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes, à convertir en laris géorgiens au taux applicable à la date du règlement :
i. 4 000 EUR (quatre mille euros) pour dommage moral;
ii. tout montant pouvant être dû à titre d’impôt sur lesdites sommes ;
b) que l’Etat défendeur doit verser aux requérants, conjointement dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes, à convertir en laris géorgiens au taux applicable à la date du règlement :
i. 3 537 EUR (trois mille cinq cent trente sept euros) pour frais et dépens ;
ii. tout montant pouvant être dû à titre d’impôt sur ladite somme ;
c) qu’à compter de l’expiration desdits délais et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
5. Rejette, par six voix contre une, la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 2 février 2010 en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Sally Dollé Françoise Tulkens
Greffière Présidente
Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l’exposé de l’opinion dissidente de M. Cabral Barreto.
F.T.
S.J.D.

OPINION DISSIDENTE DU JUGE CABRAL BARRETO
A mon regret, je ne puis suivre la majorité lorsqu’elle conclut à la violation de l’article 1 du Protocole nº 1 en ce qui concerne les droits garantis par l’article 9 de la loi du 11 décembre 1997.
1. La majorité établit une distinction entre l’article 8 (restauration de

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