Conclusione Parzialmente inammissibile; Eccezione preliminare respinta (ratione temporis); Eccezione preliminare parzialmente trattenuta e respinta parzialmente (ratione materiae); Violazione di P1-1; Danno patrimoniale – domanda respinta; Danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA KLAUS ED IOURI KILADZE C. GEORGIA
( Richiesta no 7975/06)
SENTENZA
STRASBURGO
2 febbraio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Klaus ed Iouri Kiladzé c. Georgia,
La Corte europea dei Diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, András Sajó, Nona Tsotsoria,
Işıl Karakaş, giudici, e dalla Sig.ra Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 15 dicembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottata in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 7975/06) diretta contro la Georgia e in cui i cittadini di questo Stato, i Sigg. K.K. ed I. K. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 22 febbraio 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati dalla Sig.ra S. D., avvocato dall’associazione dei giovani giuristi della Georgia (“SAÏA”) così come dai Sigg. P. L. e B.B., avvocati del Centro europeo per la protezione dei diritti dell’uomo a Londra (“EHRAC”). Il governo georgiano (“il Governo”) è rappresentato dal Sig. Bessarion Bokhachvili, il suo agente.
3. I richiedenti si lamentavano in particolare dell’impossibilità di fare valere i loro diritti al compenso derivante dal loro statuto di vittime di repressioni politiche.
4. Il 21 marzo 2006, la Corte ha deciso di trattare la richiesta con precedenza (articolo 41 dell’ordinamento) e, il 6 luglio 2006, ha deciso di comunicare i motivi di appello derivati dall’articolo 1 del Protocollo no 1 e dall’articolo 13 della Convenzione al Governo (articolo 54 § 2 b) dell’ordinamento). Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, la Corte ha deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
5. Tanto i richiedenti che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte (articolo 54A dell’ordinamento).
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
6. I richiedenti, due fratelli, sono nati rispettivamente nel 1926 e 1928 e risiedono a Tbilissi.
7. Giudicato il 2 ottobre 1937 per sabotaggio e terrorismo, il padre dei richiedenti fu fucilato.
8. Il 7 novembre 1938, la madre dei richiedenti fu condannata ad otto anni di detenzione per propaganda e disturbo per sollecitare il rovesciamento del regime sovietico e deportata in un campo del GOULA (Generalnoïe Oupravlenie Lagerey) all’estremo nord dell’URSS.
9. Allora dell’età rispettivamente di 12 e 10 anni i richiedenti restarono, in principio soli nell’appartamento dei loro genitori a Tbilissi, non osando nessuno vicino e prossimo avvicinarli per paura di essere arrestati. Si furono poi presi in cura per un mese e mezzo in un centro da ritenzione a Tbilissi. Essendo mal nutriti, contrassero per di più la febbre tifoide in ragione dell’insalubrità. Poi, furono mandati dalla Georgia verso la regione di Stavropol in Russia e collocati, conformemente all’ordine del commissario popolare delle cause interne dell’URSS del 15 agosto 1937 (“l’ordine del 15 agosto 1937”), in una casa per bambini senza famiglia dove trascorsero due anni. Sottoposti ad un “controllo di affinità socio-politiche”, i richiedenti furono umiliati senza tregua e percossi al tempo stesso dal personale in quanto figli di loro padre, “traditore della Patria”, e da altri bambini orfani in quanto cittadini della Georgia, paese di origine di Stalin. Erano tenuti inoltre, in condizioni deplorevoli. Dormendo 60 bambini nella stessa sala su un lungo materasso, un piumone doveva essere condiviso da cinque bambini. Un barile in legna collocato nella stessa sala serviva da servizi (“paracha”) e non c’era acqua corrente. I richiedenti presero allora dei pidocchi e la scabbia.
10. Subito dopo l’arresto della madre dei richiedenti, l’appartamento familiare di 90 m² a Tbilissi fu confiscato con l’insieme del mobilio, degli oggetti personali e familiari.
11. Nel 1940, la nonna dei richiedenti riuscì ad ottenere la loro custodia. Ritornati in Georgia, i richiedenti, ancora bambini, furono costretti a lavorare fisicamente per guadagnarsi da vivere. In seguito, per tutta la loro vita attiva sotto l’URSS, furono messi di fronte ad una pressione sociale e politica molto forte in quanto bambini di un “traditore della Patria.”
12. Nel 1945, la madre dei richiedenti fu liberata. Ritornò a Tbilissi sofferente di scorbuto, dell’età allora di 42 anni, non aveva più nessun dente, soffriva di pleurite e di gastroenterite. Il 4 maggio 1956, il tribunale militare nel Caucaso Sud annullò il giudizio di condanna della madre dei richiedenti del 7 novembre 1938 in ragione della mancanza del corpo del reato e pronunciò la sua riabilitazione. Il 30 agosto 1957, il collegio delle cause militari della Corte suprema dell’URSS annullò il giudizio del 2 ottobre 1937 per gli stessi motivi e pronunciò la riabilitazione del loro padre.
13. Il 16 marzo 1991, la madre dei richiedenti decedette.
14. Il 6 marzo 1998, i richiedenti si rivolsero al ministero della Sicurezza dello stato georgiano chiedendo delle informazione concernenti i perseguimenti penali contro i loro genitori, la confisca dei loro beni così come il loro proprio soggiorno all’orfanotrofio. Il 1 luglio 1998, fu risposto loro che nessuna informazione riguardante il loro soggiorno all’orfanotrofio era stata conservata. In quanto alle informazione sui loro genitori, gli archivi del ministero erano stati bruciati durante la guerra civile del 1991-1992. Fu consigliato loro di raccogliere parecchie testimonianze di testimoni oculari, di farle certificare da un notaio e di investire il tribunale della giurisdizione territoriale della loro residenza di un0istanza di determinazione di un fatto giuridico.
15. Il 16 marzo 1998, i richiedenti investirono il tribunale di prima istanza di Sabourthalo a Tbilissi e chiesero che i loro genitori così come loro stessi fossero dichiarati vittime di repressioni politiche.
16. Il 19 agosto 1998, la loro istanza fu accolta integralmente.
17. Sul fondamento di questa decisione che diventò definitiva il 2 settembre 1998, i richiedenti investirono il 15 marzo 2005 la corte regionale di Tbilissi di un’azione per compenso del danno patrimoniale e morale basandosi sull’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997, relativa alla riconoscenza dello statuto di vittima di repressioni politiche ai cittadini georgiani ed alla protezione sociale dei repressi (“legge dell’ 11 dicembre 1997”), entrata in vigore il 1 gennaio 1998. Mettendo l’accento sul collocamento a morte di loro padre, la separazione dalla loro madre, le loro condizioni di detenzione nel centro di ritenzione da prima ed all’orfanotrofio poi, l’attentato portato alla loro salute, l’umiliazione e la repressione subita dall’arresto dei loro genitori fino ad un’età avanzata, così come sulla confisca dei beni in seguito all’arresto di loro madre, i richiedenti chiesero che in virtù dell’articolo 9 precitato, un compenso di 515 000 laris georgiani (208 000 EUR circa1) venisse assegnato a ciascuno di loro per l’insieme del danno patrimoniale e morale subito.
18. Il rappresentante del Presidente georgiano, parte convenuta, sostenne che l’azione dei richiedenti non doveva essere accolta, dato che prima del 1997, nessun diritto ad un compenso era riconosciuto loro e che “la legge” alla quale rinviava la legge dell’ 11 dicembre 1997 non era ancora adottata.
19. Il 9 giugno 2005, la corte regionale di Tbilissi considerò come stabiliti i fatti relativi al passato dei richiedenti come esposto sopra eccetto la confisca dei beni. Appellandosi all’articolo 102 § 3 del codice di procedura civile su questo ultimo punto, la corte regionale oppose ai richiedenti la mancanza di prove documentarie che attestavano la confisca, stimando che le deposizioni scritte dei testimoni oculari che avevano prodotto non bastavano. Considerò peraltro che l’azione dei richiedenti era prescritta nella sua globalità senza indicare quale termine di prescrizione si applicava ed a partire da quando questo termine era cominciato a decorrere. Infine, la corte regionale concluse che ad ogni modo, l’istanza dei richiedenti non poteva essere accolta, poiché le “leggi” alle quali rinviavano gli articoli8 e 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997 non erano ancora adottate.
20. I richiedenti ricorsero in cassazione ricordando che in virtù dell’ordine del 15 agosto 1937 (vedere sotto il paragrafo 26), la moglie di ogni persona condannata in quanto “traditore della Patria” doveva essere a sua volta necessariamente condannata ad una pena di detenzione da cinque ad otto anni, che i loro bambini minorenni dovevano essere posti poi in case all’infuori del territorio georgiano e che i beni mobili ed immobili dovevano essere confiscati necessariamente. La condanna di loro padre coinvolgeva obbligatoriamente queste misure e, visto il contesto in cui gli avvenimenti avevano avuto luogo, il fatto di non potere presentare delle prove documentarie di confisca dei beni non poteva essere rimproverato loro. In quanto alla prescrizione, i richiedenti ricordarono che la loro azione per compenso era fondata sulla legge dell’ 11 dicembre 1997 e non poteva essere prescritta quindi nel momento in cui si era deliberato sulle loro istanze. Ad ogni modo, stimarono che avevano il diritto ad un compenso in virtù dell’articolo 1005 § 3 del codice civile. I richiedenti si lamentarono inoltre che otto anni circa erano trascorsi dall’entrata in vigore della legge dell’ 11 dicembre 1997 senza che lo stato prendesse le misure necessarie per legiferare ed indennizzare le vittime delle repressioni politiche in applicazione degli articoli 8 § 3 e 9 in fine di questa legge. Sostennero che il numero di queste vittime, tutte vecchie, diminuiva e che a loro avviso, lo stato aspettava che la loro morte risolvesse la questione del loro indennizzo. Secondo la nota esplicativa del progetto di legge che un’organizzazione non governativa presentò, in vano, al Parlamento nel 2001 per palliare il vuoto legislativo controverso, il numero delle vittime delle repressioni politiche, riguardate dall’articolo 9 precitato, variava, secondo le categorie, tra i 600 e i 16 000.
21. Il ricorso dei richiedenti fu respinto il 2 novembre 2005 dalla Corte suprema della Georgia che, confermando il ragionamento della corte regionale relativa all’insufficienza di prove documentarie in quanto alla confisca dei beni, respinse la loro istanza di compenso del danno patrimoniale. In quanto al compenso morale, la Corte suprema considerò come stabiliti i fatti relativi alla loro repressione (come esposti ai paragrafi 7-9 e 11 sopra). Stimò poi che “la legge” menzionata all’articolo 413 § 1 del codice civile era, nell’occorrenza, l’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997, lex specialis ai fini dello specifico. Conclude che ai sensi dell’articolo 9 precitato, la nozione di “compenso pecuniario” comprendeva, tra l’altro, un compenso morale. Tuttavia, dato che un atto normativo relativo al versamento del compenso in questione a cui rinviava l’articolo 9, non era adottato, la richiesta di compenso morale dei richiedenti era, al momento dato, senza fondamento e non poteva essere accolta. Non sembra che la Corte suprema abbia ripreso il ragionamento della corte regionale concernente la prescrizione dell’azione dei richiedenti.
22. I richiedenti continuarono a ricercare le prove della confisca dei beni dei loro genitori. Con una lettera del 4 dicembre 2006, il servizio del Registro dei beni immobiliari li informò che l’appartamento controverso compariva per la prima volta negli archivi solo nel 1940, in quanto proprietà dello stato. Da allora, nessuna informazione era disponibile a questo proposito.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
23. Codice civile
Articolo 147
“Ai sensi di questo codice, i beni significano ogni oggetto ed ogni bene non materiale che le persone fisiche e giuridiche possono possedere, avvalersi e disporre e che possono acquisire senza restrizioni, se questo non è vietato dalla legge o non è contrario alle regole della morale. “
Articolo 152
“I beni non materiali sono le richieste ed i diritti che possono essere trasmessi a terzi o che sono destinati a fare beneficiare presso i loro titolari di un profitto di ordine patrimoniale o di un diritto di reclamo di terzi. “
Articolo 413 § 1
“Il compenso pecuniario per un danno non patrimoniale può essere richiesto solamente nei casi espressamente previsti dalla legge e sotto forma di indennizzo ragionevole ed equo. “
Articolo 1005 § 3
“Il danno causato alla persona riabilitata a causa di una condanna, di un collocamento in esame, di una detenzione provvisoria o di un controllo giudiziale illegale, viene riparato a prescindere dallo stato dell’esistenza della mancanza nell’azione dell’inquirente, dell’istruttore, degli organi della procura o dei detentori di funzioni giudiziali. Se l’esistenza di un’intenzione o di una negligenza viene stabilita, le persone precitate e lo stato sono solidalmente responsabili. “
24. Codice di procedura civile
Articolo 102 § 3
“Le circostanze della causa che, conformemente alla legge, devono essere stabilite in funzione delle prove di un certo tipo, non potrebbero essere stabilite secondo le prove di un altro tipo. “
25. Legge dell’ 11 dicembre 1997, relativa alla riconoscenza dello statuto di vittima delle repressioni politiche ai cittadini georgiani ed alla protezione sociale dei repressi
Titolo I-“Disposizioni generali”
Articolo 1 § 2
“La presente legge si applica ai cittadini georgiani che sono stati oggetto di repressioni politiche sul territorio dell’ex-URSS dal mese di febbraio 1921 al 28 ottobre 1990 “
Titolo II-“Regole di riconoscenza dello statuto di vittima di repressioni politiche e le sue conseguenze”
Articolo 6
“Sul fondamento dei criteri definiti dalla presente legge, la persona è riconosciuta vittima delle repressioni politiche ed i suoi diritti essendo stati violati sono risanati dalla via giudiziale. “
Articolo 8 §§ 1 e 3
“La persona il cui statuto di vittima di repressioni politiche è stato riconosciuto, è ristabilita nei suoi diritti e libertà politiche, civici ed altri, misconosciuti in seguito alla repressione politica.
La regola della restaurazione dei diritti ai beni della persona riabilitata sarà determinata da una legge separata. “
Articolo 9
“La persona che ha subito una repressione sotto forma di collocamento in un luogo di detenzione, di esilio, (…), in un luogo di abitazione speciale o in una struttura psichiatrica, o che è deceduta in seguito ad una tale repressione, e che è stata riconosciuta vittima di repressioni politiche, così come i suoi eredi di primo posto, possono percepire un compenso pecuniario il cui importo e norme di versamento devono essere definite dalla legge. “
Titolo III-“La protezione sociale delle vittime delle repressioni politici”
Conformemente all’articolo 12 §§ 1 e 2, le vittime delle repressioni politiche o, in caso di decesso, i loro discendenti di primo posto ricevono una pensione mensile il cui importo e le modalità di attribuzione sono definiti dalla legge, sono esonerati dal pagamento di differenti oneri e beneficiano delle tariffe ridotte sul gas, sul’elettricità ed sultelefono.
Titolo V-“Disposizioni finali”
Articolo 14
“Questa legge entra in vigore il 1 gennaio 1998. “
Né le disposizioni transitorie né nessuna altra disposizione di questa legge indicano il termine in cui le leggi contemplate sopra agli articoli8 § 3 e 9 in fine devono essere adottate. Queste leggi fanno difetto a questo giorno.
26. L’ordine del commissario popolare delle cause interne dell’URSS in data del 15 agosto 1937(estratti pertinenti)
“Fin dal ricevimento del presente ordine, procedete alla repressione delle mogli dei traditori della Patria e dei membri delle organizzazioni di spionaggio e di sovversione del diritto trotskiste, condannati a contare del 1 agosto 1936 All’epoca del collocamento in opera di questa operazione, conformatevi alle seguente regole: (…)
3. [Che tali] persone sono arrestate. (…)
7. Tutti i beni appartenenti alla persona arrestata sono confiscati. Gli appartamenti sono sigillati.
8. Le mogli così arrestate, accompagnate di guardie, sono trasferite nelle prigioni. I bambini vengono prelevati allo stesso tempo.
12. Le mogli dei traditori delle Parti condannate saranno detenute nei campi per un periodo da cinque ad otto anni, secondo il loro grado di pericolosità. (…)
19. Tutti i bambini orfani devono essere posti in case all’infuori del territorio riguardato.
24. Tutte le città riguardate da questa operazione devono pianificare specificatamente dei centri di ritenzione dove i bambini saranno posti fin dall’arresto delle loro madri e da dove saranno rinviati nelle dimore “
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
27. I richiedenti si lamentano che tardando a dare del contenuto ai loro diritti garantiti dagli articoli 8 e 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997, lo stato li mantiene in una situazione di incertezza e di angoscia che causa loro dei tormenti e che si analizza in un trattamento degradante.
28. L’articolo 3 della Convenzione si legge così:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
29. Senza negare che l’incertezza in questione sia di natura tale da presentare degli aspetti che i richiedenti possono provare come dolorosi o ingiusti, la Corte non stima tuttavia che si traduca in un disprezzo o in una mancanza di rispetto da parte dello stato per la personalità dei richiedenti o che tenda ad ̀umiliarli o a sminuirli (vedere, tra altre, D.H. ed altri c. Repubblica ceca, (dec.), no 57325/00, 1 marzo 2005; Raninen c. Finlandia, sentenza del 16 dicembre 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VIII, § 55). La situazione denunciata non si analizza quindi, agli occhi della Corte, in un trattamento degradante ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione.
30. Questa parte della richiesta è di conseguenza manifestamente mal fondata e deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 E DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE
31. I richiedenti stimano che la mancanza di adozione delle leggi alle quali rinviano gli articoli 8 e 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997, mentre sono necessarie per rendere effettivo il loro diritto riconosciuto da queste disposizioni, porta violazione dei loro diritti garantiti dall’articolo 1 del Protocollo no 1 che è formulato così:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
32. I richiedenti stimano inoltre che le giurisdizioni interne che furono portate a respingere il loro ricorso a ragione del vuoto legislativo precitato, non offrirono loro un ricorso effettivo ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione che si legge così:
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
A. in quanto all’ammissibilità
1. Eccezione del Governo tratta dall’incompatibilità ratione temporis
a) Argomenti del Governo
33. Il Governo stima che l’esame da parte della Corte del procedimento giudiziale controverso che è, secondo lui, intimamente legato ai fatti anteriori all’entrata in vigore della Convenzione e del Protocollo no 1 a riguardo della Georgia rispettivamente il 20 maggio 1999 e il 7 giugno 2002, significherebbe dare un effetto retroattivo a questi strumenti (Stamoulakatos c. Grecia (no 1), sentenza del 26 ottobre 1993, serie A no 271, p. 14, § 33; Multiplex c. Croazia, (dec.), no 58112/00, 26 settembre 2002).
34. Tanto più che nello specifico, secondo il Governo, non esiste nessuna “situazione continua” e che le differenze sostanziali ed un gran numero di fattori” oppongono la presente richiesta alla causa Almeida Garrett, Mascarenhas Falcão ed altri c. Portogallo, numeri 29813/96 e 30229/96, CEDH 2000-I).
35. Primariamente, i richiedenti non avrebbero dimostrato di essere stati proprietari di un bene di circa 60 anni prima e di essere stati oggetto di un’espropriazione. Il Governo ricorda che i richiedenti furono riconosciuti unicamente vittime di repressioni politiche in ragione delle rispettive condanne dei loro genitori, della detenzione di loro madre così come della loro propria detenzione e dell’ esilio, conformemente all’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997. Lo stato dunque non aveva l’obbligo di versare loro, a differenza della causa Almeida Garrett ed altri precitata, un risarcimento qualsiasi a titolo dell’espropriazione addotta. Il diritto al compenso fu conferito ai richiedenti in virtù dell’articolo 9 precitato cinque anni prima del 7 giugno 2002 e, per di più, sotto riserva dell’adozione di una legge susseguente che definiva le regole e le modalità della sua applicazione.
36. Secondariamente, a differenza della causa Almeida Garrett ed altri precitata, i poteri esecutivo e legislativo georgiani non adottarono, dal 7 giugno 2002, nessun testo concernente la questione di compenso controverso (vedere, a contrario, Almeida Garrett ed altri precitata, § 43) perché tale testo avrebbe avuto delle conseguenze politiche ed economiche importanti. Infine passarono solamente alcuni anni, tra il 7 giugno 2002 e le comunicazioni della presente richiesta al Governo, mentre, nella causa portoghese precitata, il periodo tra la ratifica del Protocollo no 1 da parte del Portogallo e l’esame della causa da parte della Corte superava i 20 anni.
37. In queste condizioni, il Governo invita la Corte a seguire lo stesso ragionamento della causa Aćimović, Aćimović c. Croazia, (dec.) (no 61237/00, 7 novembre 2002) per dichiarare la presente richiesta inammissibile perché incompatibile ratione temporis con le disposizioni della Convenzione.
b) Argomenti dei richiedenti
38. I richiedenti ribattono che non si lamentano dei fatti di repressione, di esilio e di espropriazione arbitraria che hanno avuto luogo sotto il regime sovietico, ma del fatto che ad oggi, lo stato georgiano manca nel definire le regole di compenso per dare del contenuto al loro diritto al compenso garantito dagli articoli 8 e 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997.
39. I richiedenti stimano che la loro richiesta è simile alla causa Broniowski, Broniowski c. Polonia [GC],( no 31443/96, CEDH 2004-V). Inoltre, a differenza del Governo, considerano che non è differente dalla causa Almeida Garrett ed altri precitata. Secondo i richiedenti, non si potrebbe rimproverare loro di non potere presentare delle prove documentarie per dimostrare la privazione dei beni, dato che l’arresto e l’esilio di loro madre provocavano obbligatoriamente, in virtù dell’ordine del 15 agosto 1937, la confisca dei beni nella loro interezza. Secondo loro, questo Ordine e le deposizioni dei testimoni oculari avrebbero dovuto essere accettati dai giudici nazionali come prove sufficienti. L’esigenza di presentazione dei documenti attestanti la confisca dei beni avrebbe imposto loro un onere di prova eccessiva. Se si doveva differenziare però la loro situazione da quella di Almeida Garrett ed altri, i richiedenti ricordano che, in questa causa, lo stato portoghese aveva, almeno, concesso ai richiedenti un compenso provvisorio (Almeida Garrett ed altri, precitata, §§ 9 e 23).
40. Tuttavia, qualunque siano gli argomenti del Governo e delle giurisdizioni interne concernenti la confisca dei beni, i richiedenti ricordano che in virtù dell’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997, hanno il diritto di ricevere un compenso a titolo più generale, in ragione del danno morale subito in ragione dell’esilio e della detenzione arbitraria. Del resto, la Corte suprema aveva confermato, negli obiter dictum della sua sentenza, l’esistenza di questo diritto.
41. I richiedenti sottolineano, per concludere, che mettono in causa il motivo di rigetto della loro azione da parte delle giurisdizioni interne, fondato sulla sola mancanza della “legge” mirata all’articolo 9 in fine della legge del 11 dicembre 1997, essendo questa mancanza il risultato dell’inattività dello stato. A differenza del Governo, non stimano che il periodo dal 7 giugno 2002 non sia sufficientemente lungo da esporli ingiustamente ad un’incertezza.
c, Valutazione della Corte
42. La Corte nota che non è chiamata ad esaminare le questioni legate alla confisca dei beni dei genitori dei richiedenti che hanno avuto luogo nel 1937 conformemente all’ordine del commissario popolare delle cause interne dell’URSS (vedere i paragrafi 38 sopra e 50 sotto). L’oggetto della presente richiesta consiste nel determinare se, in virtù degli articoli 8 § 3 (restaurazione dei diritti ai beni) e 9 (danno morale che risulta da una detenzione o da un esilio) della legge dell’ 11 dicembre 1997, i richiedenti, in quanto figli di genitori perseguitati, e loro stessi vittime di repressioni politiche, beneficiano dei diritti a carattere patrimoniale e se, in caso di esistenza di tali dritti, questi sono stati rispettati.
43. La Corte osserva a questo riguardo che la legge dell’ 11 dicembre 1997 entrò in vigore il 1 gennaio 1998. Da allora, come conferma il Governo, nessuno testo, in rapporto coi suoi articoli 8 § 3 e 9, fu adottato. Questa mancanza di ogni misura legislativa posteriore al 7 giugno 2002, data dell’entrata in vigore del Protocollo no 1 a riguardo della Georgia, non potrebbe conferire alla legge dell’ 11 dicembre 1997 un carattere “istantaneo” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere, per esempio, Blečić c. Croazia [GC], no 59532/00, § 86, CEDH 2006-III). Per la Corte, i diritti che furono conferiti ai richiedenti in virtù degli articoli 8 § 3 e 9 di questa legge prima della ratifica del Protocollo no 1 rimanevano al momento della ratifica così come, il 22 febbraio 2006, data in cui gli interessati presentarono la loro richiesta alla Corte (Broniowski, precitata, § 125; von Maltzan ed altri c. Germania,(dec.) [GC] nostri 71916/01, 71917/01 e 10260/02, § 74 d, in fine, CEDH 2005-V; Beshiri ed altri c. Albania, no 7352/03, § 82, 22 agosto 2006). Di conseguenza, la Corte può valutare, sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, la mancanza di legiferazione continua che perdurò ben oltre il 7 giugno 2002, ed al quale i richiedenti rimangono sempre messi a confronto. Se è vero che non è competente ratione temporis riguardo ad una parte di questa situazione, anteriore al 7 giugno 2002, la Corte dovrà tenere però conto di questo periodo nella cornice dell’esame dei motivi di appello di cui si trova investita (vedere, tra altre, Broniowski c. Polonia, (dec.) [GC], no 31443/96, §§ 74-77, CEDH 2002-X; Sovtransavto Holding c. Ucraina, no 48553/99, § 58, CEDH 2002-VII).
44. In ragione delle considerazioni che precedono, la Corte non potrebbe seguire nello specifico lo stesso ragionamento che nelle cause citate sopra ai paragrafi 33 e 37. L’eccezione del Governo tratta dall’incompetenza ratione temporis della Corte deve essere quindi respinta.
2. Eccezione del Governo tratta dall’incompatibilità ratione materiae
a) Argomenti del Governo
45. Innanzitutto, il Governo invita la Corte a prendere in conto il fatto che il nuovo Stato indipendente georgiano aveva adottato la legge dell’ 11 dicembre 1997 in quanto atto di riconoscenza e di condanna delle atrocità commesse dal regime dell’URSS. Secondo lui, non si potrebbe tenere lo stato georgiano reale per responsabile di queste atrocità ed imporgli di indennizzare i richiedenti per un danno subito nel 1937-1938. Il Governo è incerto se i richiedenti sarebbero stati più soddisfatti se lo stato georgiano non avesse riconosciuto, aspettando lo sviluppo economico del paese, che erano state vittime delle repressioni di un regime precedente.
46. Per il Governo, finché le leggi mirate agli articoli 8 § 3 e 9 in fine della legge dell’ 11 dicembre 1997 non vengono adottate, il diritto dei richiedenti al compenso non costituisce un diritto patrimoniale sufficientemente consolidato, ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Secondo lui, l’articolo 9 precitato fa solo “riconoscere semplicemente lo statuto di vittima” ai richiedenti e dispone “implicitamente” che una legge susseguente, necessaria a rendere il loro diritto al compenso effettivo, verrà adottata solamente quando lo stato sarà pronto a sopportare il carico finanziario corrispondente. Questo dovrebbe permettere alla Corte di concludere che il rapporto di proporzionalità non fu rotto nello specifico.
47. Per ciò che riguarda la mancanza di prospettiva in quanto alla data di adozione delle leggi in questione, non porta, secondo il Governo, alla violazione dei diritti dei richiedenti nella misura in cui ciò dipende dal margine di valutazione, abbastanza ampio di cui le Parti contraenti beneficiano in materia.
48. In riassunto, considerando l’inesistenza delle leggi mirate agli articoli 8 § 3 e 9 in fine della legge dell’ 11 dicembre 1997 ed il rifiuto delle giurisdizioni interne di accogliere l’azione dei richiedenti, il diritto al compenso di cui questi si avvalgono dinnanzi alla Corte non costituisce, secondo il Governo, un diritto certo, reale ed applicabile (Raffinerie greci Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, sentenza del 9 dicembre 1994, serie A no 301-B, §§ 59-61; Bourdov c. Russia, no 59498/00, § 40, CEDH 2002-III). La richiesta sarebbe di conseguenza incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione.
b) Argomenti dei richiedenti
49. I richiedenti stimano che il diritto al compenso, garantito con una legge, costituisca un “bene” che è una nozione autonoma ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Pressos Compania Naviera S.p.A. ed altri c. Belgio, sentenza del 20 novembre 1995, serie A no 332, § 31; Kopecký c. Slovacchia [GC], no 44912/98, § 47, CEDH 2004-IX; Broniowski, precitato, §§ 125, 133 e 146). Inoltre, tale diritto, dal momento che è garantito dalla legge, costituisce la loro proprietà conformemente agli articoli 147 e 152 del codice civile.
50. I richiedenti affermano che non aspirano a fare dichiarare lo stato georgiano reale responsabile delle atrocità commesse al loro riguardo sotto il regime comunista. Tuttavia, non stimano che la legge dell’ 11 dicembre 1997 sia solamente una semplice dichiarazione di buona volontà per riconoscere loro un statuto di vittima. Al contrario, questa legge conferì loro un certo numero di diritti concreti e difendibili tra cui parecchi sono stati del resto rispettati. Per esempio, in virtù dell’articolo 12 della legge in questione, i richiedenti ricevono mensilmente, dal 1998, una pensione di 23 euro circa ciascuno e beneficiano di altre misure di aiuto sociale. Producendo le prove di pagamento corrispondente, i richiedenti non stimano che lo stato versi loro questa pensione mensile in virtù di una semplice dichiarazione di buona volontà.
51. I richiedenti si oppongono all’argomento del Governo secondo cui l’articolo 9 della legge dell’11 dicembre 1997 contempla implicitamente che acquisisce la forza effettiva solo quando la legge susseguente sarà adottata. Ricordano inoltre che le ragioni derivate dalla mancanza di risorse finanziarie non giustificano l’irriverenza di un obbligo legale (Bourdov, precitata, § 35). Secondo i richiedenti, le risorse finanziarie esistono, ma la volontà politica fa difetto.
52. I richiedenti sottolineano infine che a differenza dell’articolo 8 § 3 della legge dell’ 11 dicembre 1997 secondo cui la regola di restaurazione dei diritti ai beni sarà determinata da una legge separata”, l’articolo 9 della stessa legge è imperativo in quanto all’esistenza del diritto di cui solo le modalità di esercizio necessitano di essere definite.
c) Valutazione della Corte
53. La Corte riafferma da prima che la Convenzione non impone nessun obbligo specifico agli Stati contraenti di risanare le ingiustizie o i danni causati dai loro predecessori (Ernewein ed altri c. Germania,( dec.), no 14849/08, 12 maggio 2009). Parimenti, l’articolo 1 del Protocollo no 1 non impone nessuna restrizione agli Stati contraenti alla loro libertà di scegliere le condizioni alle quali accettano di restituire un diritto di proprietà alle persone spossessate o di determinare le modalità secondo cui accettano di versare degli indennizzi o dei compensi alle persone riguardate (von Maltzan ed altri, decisione precitata, § 77).
54. Nella presente causa, la Corte stima che le spetta di determinare se il diritto di restaurazione dei diritti ai beni, articolo 8 § 3 della legge dell’ 11 dicembre 1997, da una parte, ed il diritto al compenso del danno morale (articolo 9 della stessa legge), dall’altra parte, sono stabiliti sufficientemente in diritto interno da conferire ai richiedenti un diritto ai “beni” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 e richiamare così la protezione di questa disposizione. Conviene ricordare a questo riguardo che, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte la nozione di “beni” in materia può ricoprire, tanto i “beni reali” che i valori patrimoniali, ivi compreso dei crediti, in virtù dalle quali un richiedente può pretendere di avere almeno una “speranza legittima” di ottenere il godimento effettivo di un diritto di proprietà (Malhous c. Repubblica ceca, (dec.) [GC], no 33071/96, 13 dicembre 2000; Pine Valley Developments Ltd ed altri c. Irlanda, 29 novembre 1991, § 51, serie A no 222).
i) Diritto alla restaurazione dei diritti ai beni (articolo 8 § 3 della legge del 11 dicembre 1997)
55. La Corte nota che , figli di vittime di repressioni politici degli anni 1930, e loro stessi dichiarati vittime di queste da un tribunale, i richiedenti investirono le giurisdizioni interne di un’azione per compenso patrimoniale e morale, fondate sull’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997 (vedere sopra il paragrafo 17). Così, anche se inserirono nelle loro rivendicazioni delle richieste legate al danno causato dalla privazione dei beni appartenuti a loro madre, essendo deceduto loro padre al momento della confisca, i richiedenti non fecero inizialmente esplicitamente riferimento all’articolo 8 § 3 della legge precitata per fare valere che avevano il diritto “alla restaurazione dei beni.” Tuttavia, dato che tanto la corte regionale che la Corte suprema della Georgia esaminarono, in presenza delle parti, la questione del diritto dei richiedenti derivante dall’articolo 8 § 3 senza che questi vi si opponessero , si può considerare che i richiedenti intendevano ottenere difatti anche un compenso pecuniario in applicazione di questa disposizione.
56. Alla vista dei documenti della pratica e della posizione dei richiedenti dinnanzi alle giurisdizioni interne, la Corte nota che facendo valere i loro diritti legati ai beni, i richiedenti non miravano alla restituzione dei beni mobili ed immobili confiscati a loro madre. Ad ogni modo, tale speranza di vedere rivivere un diritto di proprietà estinto da molto non potrebbe essere considerata come un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Gratzinger e Gratzingerova c. Repubblica ceca, (dec.) [GC], no 39794/98, § 69 in fine, CEDH 2002-VII). In fatto, l’obiettivo dei richiedenti consisteva nel percepire un compenso a titolo del danno risultante dalla misura di confisca precitata (vedere Sokolowski c. Polonia, (dec.), no 39590/04, 7 luglio 2009).
57. Alla lettura dell’articolo 8 § 3 della legge dell’ 11 dicembre 1997, la Corte nota che una “legge separata” fu giudicata necessaria dal legislatore per determinare la regola anche di restaurazione dei diritti ai beni delle vittime di repressioni politiche. I richiedenti concedono loro stessi dinnanzi alla Corte che a differenza dell’articolo 9 della stessa legge, relativo al danno morale, l’articolo 8 § 3 controverso non è anche “imperativo” in quanto all’esistenza del diritto che enuncia (vedere sopra il paragrafo 52).
58. Difatti, la sola disposizione dell’articolo 8 § 3 della legge dell’ 11 dicembre 1997 non permette di conoscere quale tipo di beni (statalizzati, venduti a terzi nel frattempo – acquirenti in buona fede, ecc.) saranno considerati in seguito come suscettibili di dare adito alla “restaurazione” dei diritti; se questa restaurazione rivestirà la forma di restituzione là dove sarà possibile, quella di attribuzione di beni equivalenti o di un compenso pecuniario; quali categorie di persone potranno rivendicare questi diritti (vecchi proprietari e dunque vittime dirette, i loro discendenti, ecc.) ed in quale misura; quale autorità sarà incaricata di identificazione dei beni riguardati e di determinazione del loro valore, ecc. Così, tra tanti altri, questi criteri restano da essere definiti e per fare questo, lo stato dispone di un ampio margine di valutazione (von Maltzan ed altri, decisione precitata, §§ 74 d, e 111).
59. Di conseguenza, agli occhi della Corte, è solamente l’adozione di una legge susseguente che permetterà ai richiedenti di valutare se sono eleggibili, in quanto discendenti di primo posto dei proprietari spossessati, alla restaurazione dei diritti mirati all’articolo8 § 3 della legge dell’ 11 dicembre 1997 (vedere, mutatis mutandis, Gratzinger e Gratzingerova, decisione precitata, §§ 72-75) e se sì, in quale misura. Aspettando, la questione di sapere se assolveranno, il venuto momento, le condizioni legali per beneficiare di un compenso che rivendicano resta intera, il che non permette di concludere che al momento dell’immissione nel processo delle giurisdizioni interne nel 2005, in applicazione dell’articolo 8 § 3 precitato, esisteva a loro favore un interesse patrimoniale sufficientemente consolidato da essere esigibile (vedere, mutatis mutandis, Kopecký, precitata, § 58, CEDH 2004-IX).
60. In conclusione, la Corte stima che l’articolo 8 § 3 della legge dell’ 11 dicembre 1997, come è in vigore dal 1 gennaio 1998, non dà luogo, da solo, ad un credito reale ed esigibile su cui una “speranza legittima” potrebbe venire ad aggiungersi (vedere, a contrario, Pressos Compania Naviera S.p.A. ed altri, precitata, § 31).
61. Questo ramo del motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1 è quindi incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
62. Visto che non esiste alcun “motivo di appello difendibile” nella misura in cui questa parte della richiesta è riguardata, il motivo di appello dei richiedenti, derivato dall’articolo 13 della Convenzione, deve essere respinto anche conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione (vedere, tra altre, Zehnalová e Zehnal c. Repubblica ceca, (dec.), no 38621/97, CEDH 2002-V).
ii) Diritto al compenso del danno morale risultante dalla detenzione e dall’esilio (articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997)
63. La Corte ricorda che quando l’interesse patrimoniale di cui si avvale un richiedente è dell’ordine del credito, può essere considerato come “un bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 solo quando ha una base sufficiente in diritto interno, per esempio quando è confermato da una giurisprudenza ben consolidata dei tribunali (vedere, tra altre, Roche c. Regno Unito [GC], no 32555/96, § 129, CEDH 2005-X; Slavov ed altri c. Bulgaria, (dec.), no 20612/02, 2 dicembre 2008).
64. Nello specifico, risulta dalla lettura della legge dell’ 11 dicembre 1997 che ogni cittadino georgiano dichiarato vittima di repressioni politiche che hanno avuto luogo sul territorio dell’ex – URSS tra il febbraio 1921 e l’ ottobre 1990 può percepire un compenso pecuniario, in applicazione dell’articolo 9 di questa legge, se viene dimostrato che fu detenuto, esiliato, collocato in un luogo di abitazione speciale o che decedette in seguito a tale misura. Anche gli eredi di primo posto di tale vittima beneficiano di questo diritto.
65. La Corte nota che i richiedenti assolvono ciascuna delle condizioni precitate. Difatti, dichiarati loro stessi vittime di repressioni politiche precitate da un tribunale, sono peraltro figli di genitori repressi a cui lo statuto di vittima ai fini della legge dell’ 11 dicembre 1997 fu riconosciuto anche da un tribunale. Il fatto che i richiedenti ed i loro genitori subirono degli atti di repressione menzionati sopra ai paragrafi 7-9 e 11 non si è prestato a nessuno dubbio né dinnanzi alle giurisdizioni interne né dinnanzi alla Corte (vedere sopra il paragrafo 35). Questi fatti furono considerati al contrario, esplicitamente come stabilit dalla Corte suprema della Georgia nella sua sentenza definitiva del 2 novembre 2005 (vedere sopra il paragrafo 21).
66. Così, il diritto al compenso giuridico di cui si avvalgono i richiedenti ha una base legale in diritto interno di cui assolvono le condizioni di applicazione (vedere, a contrario, Ernewein ed altri, decisione precitata, ed Epstein ed altri c. Belgio, (dec.), no 9717/05, CEDH 2008 -… (brani) così come, mutatis mutandis, Jantner c. Slovacchia, no 39050/97, §§ 29-33, 4 marzo 2003).
67. Per di più, il fatto che questo diritto è stato acquisito dai richiedenti fu confermato dalla Corte suprema della Georgia. Secondo questa giurisdizione, un compenso giuridico poteva essere richiesto dai richiedenti in applicazione dell’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997 che era, ai fini dello specifico, “la legge” mirata all’articolo 413 § 1 del codice civile che contempla il risarcimento di un danno non patrimoniale solo nei casi espressamente previsti dalla legge. La Corte suprema conclude al rigetto della domanda di compenso morale dei richiedenti solo in ragione della mancanza dei testi di applicazione pertinenti al “momento dato” (vedere sotto il paragrafo 21). A differenza del diritto alla restaurazione dei diritti ai beni, non mette in dubbio che quando questi testi saranno adottati, i richiedenti sarebbero necessariamente riguardati ed eleggibili a percepire un compenso del danno morale in applicazione dell’articolo 9 precitato. Resta solamente da determinare, in funzione del danno subito da ciascuno dei richiedenti, l’ “importo” di questo compenso e “la norma del suo versamento” per chiudere il meccanismo. Per questa ragione, la Corte non condivide il parere del Governo secondo cui il diritto al compenso morale in quanto tale sarà reputato come acquisizione dei richiedenti solo se la legge susseguente contemplata all’articolo 9 in fine viene adottata (vedere sopra il paragrafo 46). Questa interpretazione non è quella della più alta giurisdizione giudiziale interna nello specifico e lei non potrebbe essere dedotta peraltro dalla formula dell’articolo 9 in questione o da un’altra disposizione della legge dell’ 11 dicembre 1997.
68. Avuto riguardo a ciò che precede, la Corte stima che al momento dell’immissione nel processo delle giurisdizioni interne, i richiedenti possedevano, in virtù dell’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997, un credito sufficientemente consolidato da essere esigibile e di cui potevano pretendere validamente il recupero contro lo stato. Questo permette di concludere che in questa parte della loro azione, l’articolo 1 del Protocollo no 1 si trovava ad applicare. L’eccezione del Governo tratta dall’incompatibilità ratione materiae non può dunque essere accolta.
69. Di conseguenza, i motivi di appello dei richiedenti derivati dall’articolo 1 del Protocollo no 1 e dall’articolo 13 della Convenzione nella misura in cui è riguardato il loro diritto garantito dall’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997 devono essere dichiarati ammissibili.
B. in quanto al merito
1. Gli argomenti delle parti
70. Il Governo non presentò alcuna osservazione sul merito dei motivi di appello. I richiedenti, in quanto a loro, si limitarono ad affermare che le eccezioni sopra del Governo erano mal fondate e che c’era dunque violazione dei loro diritti garantiti dagli articoli 1 del Protocollo no 1 e 13 della Convenzione.
2. Valutazione della Corte
71. La Corte nota che nello specifico, è la mancanza di adozione dei testi necessari per determinare l’importo del compenso giuridico e la norma del suo versamento che pone un ostacolo all’esercizio effettivo del diritto protetto dall’articolo 1 del Protocollo no 1. La situazione controversa dipende così dalla prima frase del primo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 che enuncia, in modo generale, il principio del rispetto dei beni (Broniowski, precitata, § 136).
72. La Corte partirà dal principio che, per quanto l’omissione dello stato georgiano ha per fondamento la legge dell’ 11 dicembre 1997 che rinvia all’adozione della legge mirata al suo articolo 9 in fine ad un stadio ulteriore, l’attentato o la restrizione all’esercizio del diritto dei richiedenti al rispetto dei loro beni era “contemplato in qualche modo dalla legge.” Secondo la Corte, la natura di questa omissione e le conseguenze che provoca dal punto di vista della conformità all’articolo 1 del Protocollo no 1 sono da prendere in conto per determinare se le autorità georgiane hanno predisposto un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco (vedere sotto il paragrafo 75).
73. La Corte dovrà ricercare quindi, ai fini della prima frase del primo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1, se un giusto equilibrio è stato mantenuto tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo. In particolare, la Corte deve verificare se, in ragione dell’inoperosità dello stato che è in causa, i richiedenti hanno dovuto sopportare un carico sproporzionato ed eccessivo (Hutten-Czapska c. Polonia [GC], no 35014/97, § 167 in fine, CEDH 2006-VIII). Ricorda a questo riguardo che, per determinare l’interesse generale, gli Stati dispongono di un ampio margine di valutazione. Però, questo potere di valutazione non è illimitato, ed il suo esercizio è sottoposto al controllo degli organi della Convenzione (vedere, tra altre, Almeida Garrett ed altri, precitata, §§ 49 e 52).
74. In mancanza delle osservazioni delle parti su questo punto (vedere sopra il paragrafo 70), la Corte può supporre che nello specifico, per le autorità, l’interesse generale consisteva in “conseguenze politiche e finanziarie importanti” (vedere sopra i paragrafi 36 e 46) che la determinazione dell’importo del compenso morale dovuto ai richiedenti avrebbe potuto provocare. Ora il Governo non produsse nessuno argomento sulla natura delle conseguenze politiche in questione né fornisce ulteriori spiegazioni sull’impatto finanziario che l’attribuzione di questo compenso agli interessati potrebbe avere sul bilancio del paese. Non fornisce, per esempio, nessuna precisazione sulle sue disponibilità economiche e di bilancio o un studio in quanto alle risorse necessarie per indennizzare i richiedenti e altre persone che si trovano nella stessa situazione.
75. Comunque sia, supponendo anche che nello specifico, l’inattività dello stato, che si qualifica come ingerenza o astensione dall’ agire (Broniowski, precitata, § 146) inseguiva uno scopo legittimo, niente permette alla Corte di concludere che un giusto equilibrio sia stato mantenuto tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della società nel suo insieme. In particolare, la Corte non vede ragioni per cui lo stato fallisce, anche se disposto da più di undici anni, nell’ intraprendere anche il minimo passo verso l’inizio del processo di adozione della legge mirata all’articolo 9 in fine della legge dell’ 11 dicembre 1997, ossia, di determinare con esattezza il numero di vittime riguardate, di fare realizzare un studio economico, finanziario e sociale sui guadagni e perdite dei differenti membri della società toccata da questo processo, di valutare il danno subito da ciascuna delle categorie di vittime, ecc. Il Governo stesso non fornisce nessun argomento convincente e motivato per spiegare questa passività totale. Ora, quando una questione di interesse generale è in gioco, i poteri pubblici sono tenuti a reagire in tempo utile, in modo corretto e con la più grande coerenza (Broniowski, precitata, § 151; mutatis mutandis, Beyeler c. Italia [GC], no 33202/96, §§ 110 in fine e 120 in fine, CEDH 2000-I). Così, agli occhi della Corte, dal momento che operò una scelta giuridica e finanziaria a favore dei suoi cittadini perseguitati dal regime sovietico, apparteneva allo stato georgiano, almeno fin dall’entrata in vigore del Protocollo no 1 a riguardo della Georgia, di condurre un lavoro di riflessione e di azione per non mantenere i richiedenti nell’incertezza di una durata indeterminata contro la quale questi non dispongono del resto di nessun ricorso interno efficace. Aggiungendo a ciò il fatto che lo stato non è apparentemente pronto ad impegnare questo lavoro, privando così i richiedenti, vecchi, di ogni prospettiva di beneficiare, da vivi, del diritto riconosciuto loro dall’articolo 9 della legge del’l 11 dicembre 1997.
76. In queste condizioni, la Corte conclude che l’inattività totale di parecchi anni, imputabile allo stato e che impedisce ai richiedenti di avere, in un termine ragionevole, il godimento effettivo del loro diritto al compenso morale, ha fatto pesare sugli interessati un carico sproporzionato ed eccessivo che non può essere giustificato da un supposto interesse generale legittimo perseguito dalle autorità nello specifico (vedere sopra il paragrafo 74).
77. C’è stata quindi violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
78. Alla vista delle considerazioni che precedono, la Corte non stima necessario pronunciarsi sul motivo di appello dei richiedenti derivato dall’articolo 13 della Convenzione (vedere sopra il paragrafo 32) e di esaminare anche la richiesta sotto l’angolo di questa disposizione.
III. SULL’APPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 41 E 46 DELLA CONVENZIONE
79. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
Secondo l’articolo 46 della Convenzione,
“1. Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie alle quali sono parti.
2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione. “
A. Articolo 46 della Convenzione
80. Prima di deliberare sulla richiesta di soddisfazione equa dei richiedenti, la Corte stima necessario dedicarsi sulle conseguenze che possono essere derivate dalla presente sentenza per lo stato convenuto sul terreno dell’articolo 46 della Convenzione.
81. Ai termini di questa disposizione, le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive rese dalla Corte nelle controversie alle quali sono parti, il Comitato dei Ministri essendo incaricato di sorvegliare l’esecuzione di queste sentenze. Ne deriva in particolare che, quando la Corte constata una violazione, lo stato convenuto ha non solo l’obbligo giuridico di versare agli interessati, là dove c’è luogo, la somma assegnata a titolo della soddisfazione equa prevista dall’articolo 41, ma anche di scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o, all’occorrenza, individuali a integrare nel suo ordine giuridico interno per mettere un termine alla violazione constatata dalla Corte e cancellarne per quanto possibile le conseguenze.
82. In principio, lo stato convenuto rimane libero, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, di scegliere i mezzi per liberarsi dal suo obbligo giuridico allo sguardo dell’articolo 46 della Convenzione, per quanto questi mezzi siano compatibili con le conclusioni contenute nella sentenza della Corte (Scozzari e Giunta c. Italia [GC], i nostri 39221/98 e 41963/98, § 249, CEDH 2000-VIII; Assanidzé c. Georgia [GC], no 71503/01, §§ 198 e 202, CEDH 2004-II). Tuttavia, una volta identificato un difetto a carattere strutturale, incombe sulle autorità nazionali, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, di prendere, in modo retroattivo se occorre, le misure di correzione necessarie conformemente al principio di sussidiarietà della Convenzione (vedere, tra altre, Broniowski, precitata, §§ 192 e 193; Xenides-Arestis c. Turchia, no 46347/99, §§ 39 e 40, 22 dicembre 2005; Ghigo c. Malta (soddisfazione equa), no 31122/05, §§ 25-28, 17 luglio 2008; Lukenda c. Slovenia, no 23032/02, §§ 89 e segue, CEDH 2005-X; Scordino c. Italia (no 1) [GC], no 36813/97, § 233, CEDH 2006) in modo che la Corte non debba reiterare la sua constatazione di violazione in una lunga serie di cause comparabili (Driza c. Albania, no 33771/02, § 123 in fini, CEDH 2007 -… (brani); Ramadhi ed altri c. Albania, no 38222/02, §§ 93 e 94, 13 novembre 2007; Gülmez c. Turchia, no 16330/02, §§ 62 e segue, 20 maggio 2008; Dybeku c. Albania, no 41153/06, §§ 63 e 64, 18 dicembre 2007).
83. A questo proposito, la Corte ricorda i termini della risoluzione del Comitato dei Ministri del Consiglio dell’Europa del 12 maggio 2004, Res(2004)3 nella quale, dopo avere sottolineato l’interesse di aiutare lo stato riguardato ad identificare i problemi sottostanti e le misure di esecuzione necessarie, settimo paragrafo del preambolo, invita la Corte “ad identificare nelle sentenze in cui constata una violazione della Convenzione ciò che, secondo lei, rivela un problema strutturale sottostante e la sorgente di questo problema, in particolare quando è suscettibile di dare adito a numerose richieste, in modo da aiutare gli Stati a trovare la soluzione appropriata ed il Comitato dei Ministri a sorvegliare l’esecuzione delle sentenze”, paragrafo I della risoluzione.
84. Per ciò che riguarda la presente richiesta, si p obbligati a constatare che il problema del vuoto legislativo che solleva non riguarda solamente i richiedenti. Secondo le stime fornite dai richiedenti, il numero di persone toccate dalla situazione che ha dato adito alla violazione nello specifico potrebbe variare, secondo le categorie, tra i 600 e i16 000 (vedere sopra il paragrafo 20 in fine). Questa situazione è chiaramente suscettibile di dare adito a richieste dinnanzi alla Corte, in modo da rappresentare una minaccia per l’effettività nell’avvenire del dispositivo messo in posto dalla Convenzione, dunque.
85. In queste condizioni, la Corte stima che le misure generali a livello nazionale si impongano sicuramente nella cornice dell’esecuzione della presente sentenza. Delle misure legislative, amministrative e di bilancio necessarie devono così essere prese velocemente affinché le persone previste dall’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997 possano beneficiare infatti del loro diritto garantito da questa disposizione.
B. Articolo 41 della Convenzione
1. Danno
86. I richiedenti chiedono che il Governo versi loro una somma di 61 660 euro (“EUR”) a titolo del danno patrimoniale, dato che l’inoperosità delle autorità impedisce loro di beneficiare pienamente dei loro diritti garantiti dagli articoli 8 e 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997. Basandosi su dei rapporti di stima realizzati da specialisti, i richiedenti sostengono in particolare che un appartamento di 90 m² ubicato all’indirizzo di abitazione dei loro genitori valeva, al 20 novembre 2006, 70 000 dollari americani (47 446 EUR) e che il valore approssimativo dei beni mobili che si trovano nell’appartamento confiscato era di 7 030 EUR.
87. I richiedenti richiedono peraltro una somma di 15 000 EUR ciascuno a titolo del danno morale causato dallo stato di incertezza e di frustrazione in cui vivono da anni in ragione dell’impossibilità di fare valere i loro diritti garantiti dalla legge dell’ 11 dicembre 1997. I richiedenti affermano che le loro sofferenze subite dalla prima infanzia non saranno compensate da nessuna somma di denaro, ma che gli importi richiesti sopra procurerebbero loro un certo conforto morale.
88. Riaffermando che i richiedenti non sono riusciti mai a dimostrare l’esistenza di un diritto di proprietà sui beni controversi dei loro genitori, il Governo stima che la loro richiesta deve essere respinta a questo riguardo. Non formula commenti per il resto.
89. Per ciò che riguarda il danno patrimoniale, dal momento che non si tratta di perdite patrimoniali effettivamente subite perciò dirette della violazione constatata sopra (Comingersoll c. Portogallo [GC], no 35382/97, § 29, CEDH 2000-IV) la Corte stima che non c’è luogo di assegnare ai richiedenti la somma che richiedono a questo titolo.
90. In quanto al danno morale, la Corte non dubita che in ragione della situazione di incertezza prolungata dovuta alla violazione constatata, i richiedenti, vittime delle repressioni politiche, vecchi rispettivamente di 83 e 81 anni, subirono un danno morale incontestabile a cui la constatazione di violazione della Convenzione che figura nella presente sentenza non basta ad ovviare. Stima di conseguenza che, se le misure necessarie, legislative ed altre, menzionate al paragrafo 85 sopra facevano sempre difetto, lo stato convenuto dovrebbe versare a ciascuno dei richiedenti, nei sei mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 4 000 EUR per danno morale.
2. Oneri e spese
91. I richiedenti richiedono 2 125 EUR a titolo della loro rappresentanza dinnanzi alla Corte da parte della Sig.ra S. J., o 50 EUR l’ora, e 950 sterline (1 050 EUR) a titolo della loro rappresentanza da parte del Sig. Ph. L., o 100 sterline (110 EUR) l’ora. I richiedenti forniscono le date ed il numero di ore passate da ciascuno di questi avvocati sulla preparazione della loro richiesta e delle risposte alle osservazioni del Governo.
92. Peraltro, i richiedenti chiedono il rimborso di 75 euro e di 90 sterline (99 EUR) a titolo di differenti compiti realizzati rispettivamente dal personale amministrativo del SAÏA e dell’EHRAC (organizzazioni di traduzione di documenti, fax, invii postali, ecc.). Inoltre, il rimborso di 328,56 sterline (363 EUR) è chiesto a titolo degli oneri di traduzione di documenti dal georgiani verso l’inglese, giustificativo unito. Gli altri oneri che i richiedenti affermano di avere sopportato con le prove documentarie in appoggio sono i successivi: 56 EUR circa a titolo delle corrispondenze mandate da Chronopost di Tbilissi a Strasburgo (ora i giustificativi prodotti non corrispondendo ai formulari Chronopost ricevuti dalla Corte con le corrispondenze riguardate) 2,8 EUR che corrispondono alla tassa versata al Registro dei beni immobiliari per ottenere differenti informazione, 80 EUR a titolo di parcella versata allo specialista che ha determinato il valore commerciale dell’appartamento controverso. Il rimborso dei diversi oneri di segretariato (chiamate telefoniche internazionali, ecc.) di un importo di 70 sterline( 77 EUR) viene chiesto anche senza fatture corrispondenti in appoggio.
93. Il Governo non sottopone commenti.
94. Visto in materia la sua giurisprudenza consolidata (vedere, tra altre, Ghavtadze c. Georgia, no 23204/07, §§ 118 e 120, 3 marzo 2009) e nella misura in cui le richieste precitate sono supportate validamente ed in rapporto con la violazione constatata, deliberando in equità, la Corte assegna ai richiedenti 1 950 EUR e 1 050 EUR a titolo della loro rappresentanza dinnanzi alla Corte rispettivamente da parte della Sig.ra S. J. e del Sig. Ph. L. così come 537 EUR per gli altri oneri.
C. Interessi moratori
95. La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Dichiara, per sei voci contro una, i motivi di appello dei richiedenti derivati dall’articolo 1 del Protocollo no 1 e dall’articolo 13 della Convenzione ammissibili nella misura in cui il loro diritto garantito dall’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997 è riguardato ed il resto della richiesta inammissibile;
2. Stabilisce, per sei voci contro una, che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce, per sei voci contro una, che non è necessario esaminare la richiesta anche sotto l’angolo dell’articolo 13 della Convenzione;
4. Stabilisce, per sei voci contro una,
a) che, se le misure necessarie, legislative ed altre, menzionate al paragrafo 85 della sentenza facevano sempre difetto, lo stato convenuto avrebbe dovuto versare a ciascuno dei richiedenti, nei sei mesi a contare dal giorno dove la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme, ad convertire in laris georgiani al tasso applicabile in data dell’ordinamento,:
i. 4 000 EUR (quattromila euro) per danno morale;
ii. ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta su suddette somme;
b) che lo stato convenuto deve versare ai richiedenti, congiuntamente nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguente somme, da convertire in laris georgiani al tasso applicabile in data dell’ordinamento,:
i. 3 537 EUR (tremila cinque cento trenta sette euro) per oneri e spese;
ii. ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta su suddetta somma;
c) che a contare dalla scadenza di detti termini e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge, per sei voci contro una, la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, comunicato poi per iscritto il 2 febbraio 2010 in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione dissidente del Sig. Cabral Barreto.
F.T.
S.J.D.
OPINIONE DISSIDENTE DEL GIUDICE CABRAL BARRETO
Con mio dispiacere, non posso seguire la maggioranza quando conclude alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo nº 1 per ciò che riguarda i diritti garantiti dall’articolo 9 della legge dell’ 11 dicembre 1997.
1. La maggioranza stabilisce una distinzione tra l’ articolo 8 (restaurazione dei diritti ai beni) e l’articolo 9 (compenso pecuniario per repressione politica) della legge dell’ 11 dicembre 1997.
Nel primo caso, non esisterebbe alcun credito reale ed esigibile sulla quale una “speranza” legittima potrebbe venire ad aggiungersi (paragrafo 60 della sentenza), mentre nel secondo esisterebbe “un credito sufficientemente consolidato da essere esigibile” (paragrafo 68).
Personalmente, non vedo nessuna differenza tra le due situazioni nel testo della legge dell’ 11 dicembre 1997.
Per la restaurazione dei diritti ai beni, l’articolo 8 esige una “legge separata”; per il compenso pecuniario, l’articolo 9 enuncia che l’importo e le regole di versamento devono essere definite dalla legge.
Nelle due ipotesi, occorre un intervento legislativo posteriore per definire e concretizzare i diritti in causa.
È a