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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE KECECIOGLU ET AUTRES c. TURQUIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 37546/02/2008
Stato: Turchia
Data: 2008-04-08 00:00:00
Organo: Sezione Terza
Testo Originale

TERZA SEZIONE
CAUSA KEÇECİOĞLU ED ALTRI C. TURCHIA
( Richiesta no 37546/02)
SENTENZA
(merito)
STRASBURGO
8 aprile 2008
DEFINITIVO
08/07/2008
Questa sentenza può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Keçecioğlu ed altri c. Turchia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
Josep Casadevall, presidente, Elisabet Fura-Sandström, Rıza Türmen, Boštjan il Sig. Zupančič, Alvina Gyulumyan, Ineta Ziemele, Luccichi López Guerra, giudici,
e da Santiago Quesada, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 18 marzo 2008,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 37546/02) diretta contro la Repubblica della Turchia e in cui tre cittadine di questo Stato, OMISSIS (“le richiedenti”), hanno investito la Corte il 9 settembre 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Le richiedenti sono rappresentate da S. Ş., avvocato ad Istanbul. Il governo turco (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente.
3. Il 4 ottobre 2005, la Corte ha dichiarato la richiesta parzialmente inammissibile e ha deciso di comunicare il motivo di appello fondato sull’articolo 1 del Protocollo no 1 al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3, ha deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Le richiedenti sono nate rispettivamente nel 1955, 1949 e nel 1951, e risiedono ad Istanbul.
5. Il 25 febbraio 1986, nella cornice di un piano di pianificazione del Corno d’ oro, la municipalità di Istanbul dichiarò di utilità pubblica il progetto di acquisizione di un immobile di tre piani, composto da otto lotti di comproprietà ed ubicato a Beyoğlu, in vista della creazione di spazi verdi in questa area. Le richiedenti erano le proprietarie in comunione dei lotti numeri 3 e 5, situati al pianterreno ed affittati come negozi, e dei lotti numeri 6, 7 e 8 che formavano i tre piani. Gli altri lotti, numeri 1, 2 e 4, situati al pianterreno, appartenevano a tre altre persone.
6. I comproprietari dei lotti nostro 1, 2 e 4 contestarono l’espropriazione dinnanzi al tribunale amministrativo di Istanbul. Con un giudizio definitivo del 30 marzo 1990, il tribunale annullò il piano di urbanistica sul fondamento del quale il procedimento di espropriazione era stato condotto. Poi questi comproprietari ottennero la revoca dell’espropriazione e la restituzione dei loro beni.
7. Nel 1992, in virtù di un procedimento di espropriazione, un’indennità di un importo di 2 082 966 000 lire turche, o circa 2 853 dollari americani, fu versata alle richiedenti, i loro titoli di proprietà furono annullati e l’immobile fu iscritto nel registro fondiario a nome della municipalità di Istanbul. In seguito a questa registrazione, gli inquilini riguardati diventarono automaticamente inquilini della municipalità di Istanbul alla quale versavanoo oramai gli affitti.
8. Il 27 ottobre 1997, le richiedenti intentarono un’azione dinnanzi alla corte d’appello (“il tribunale”) di Beyoğlu tesa all’annullamento del titolo di proprietà della municipalità di Istanbul. Invocando l’articolo 23 della legge no 2942 relativo all’espropriazione, chiesero l’annullamento del titolo di proprietà della municipalità e la restituzione dei beni espropriati, al motivo che l’operazione di pianificazione inizialmente prevista non era stata realizzata. Fecero valere che il piano di urbanistica era stato annullato dal tribunale amministrativo, che l’espropriazione degli altri tre lotti dello stesso immobile erano stati revocati e, infine che questo era stato archiviato come monumento storico in virtù della legge no 2863 relativa alla protezione del patrimonio culturale e naturale dal 5 febbraio 1992, e che non poteva dunque più ricevere la destinazione inizialmente prevista.
9. Il 21 novembre 1997, la menzione “monumento storico” fu riporta sul registro fondiario sulla pagina concernente l’immobile. Il 4 dicembre 1997, la municipalità chiese la conferma di questa decisione e la sua attualizzazione . Il 14 ottobre 1998, l’iscrizione dell’immobile sull’elenco dei monumenti storici fu confermata da una decisione della Commissione di protezione delle opere storiche presso il ministero della Cultura.
10. Con un giudizio del 9 luglio 1998, il tribunale fece diritto all’istanza delle richiedenti. Considerò che il fatto che il piano di urbanistica era stato annullato e che tre altri comproprietari avevano ottenuto la revoca dell’espropriazione e la restituzione del loro bene aveva privato l’espropriazione del suo fondamento. Annullò il titolo di proprietà della municipalità e decise che i beni immobiliari sarebbero stati iscritti di nuovo a nome delle richiedenti una volta che queste avrebbero rimborsato l’indennità di espropriazione, abbinata agli interessi moratori.
11. Il 29 dicembre 1998, la Corte di cassazione annullò questo giudizio. Indicò nei motivi della sua sentenza che il piano di pianificazione del Corno d’ oro contemplava l’espropriazione di parecchi beni immobiliari in questa zona, e che la realizzazione di tale progetto doveva essere valutata allo sguardo dell’insieme dei beni espropriati e non a quello di un bene preso isolatamente. A questo riguardo, menzionò senza altra precisazione che i lavori pianificati erano stati effettuati sulla maggior parte della zona.
12. Il 28 giugno 1999, la Corte di cassazione allontanò l’istanza di rettifica della sentenza presentata dalle richiedenti.
13. Il 9 novembre 1999, il tribunale mantenne il suo giudizio del 9 luglio 1998. Riaffermò che il bene controverso non poteva ricevere più la destinazione inizialmente prevista nella misura in cui il piano di urbanistica era stato annullato definitivamente. Sottolineò che l’immobile era stati archiviato oramai come monumento storico e che l’espropriazione degli altri tre lotti era stata revocata. Sottolineò che le parti non avevano contestato l’annullamento del piano di urbanistica e che niente nella pratica dimostrava la realizzazione dei lavori pianificati nella zona in questione. Notò anche che il termine di cinque anni previsti dall’articolo 23 della legge relativa all’espropriazione era trascorso senza che nessuna delle pianificazioni corrispondente agli obiettivi dell’espropriazione fosse stata effettuata. Denunciò il fatto che la municipalità di Istanbul era diventata comproprietaria dell’immobile senza che ciò si giustificasse e che ne faceva un uso incompatibile con gli scopi dell’espropriazione.
14. Il 23 febbraio 2000, il giudizio del tribunale fu esaminato dinnanzi all’assemblea generale civile della Corte di cassazione e fu annullato, senza esame al merito, per vizio di procedimento, al motivo che il tribunale si era accontentato di indicare nei dispositivi della sua decisione che manteneva il suo giudizio precedente. Ora, il giudizio del 9 luglio 1998 essendo diventato nullo in ragione della cassazione, il tribunale avrebbe dovuto riprendere il dispositivo dettagliato, in virtù dell’articolo 388 del codice di procedimento civile.
15. Il 18 maggio 2000, il tribunale ovviò al vizio di procedimento invocato e pronunciò di nuovo l’annullamento del titolo di proprietà della municipalità. Reiterò le disposizioni del suo giudizio, sottolineando che il piano di urbanistica all’origine dell’espropriazione era stato annullato.
16. Il 8 novembre 2000, la Corte di cassazione annullò una nuova volta questo giudizio per motivi identici a quelli della sua sentenza del 29 dicembre 1998.
17. Il 21 febbraio 2001, respinse l’istanza di rettifica della sentenza presentata dalle richiedenti.
18. Con un giudizio del 17 maggio 2001, il tribunale si conformò alla sentenza di cassazione e respinse l’istanza delle richiedenti. Questo giudizio fu confermato dalla Corte di cassazione il 5 febbraio 2002. Il 17 maggio 2002, respinse il ricorso per rettifica della sentenza ed il giudizio del 17 maggio 2001 diventò definitivo.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
19. L’articolo 23 della legge no 2942 relativo all’espropriazione dispone:
“Se l’immobile [espropriato] viene lasciato nello stato senza che l’amministrazione espropriante o l’amministrazione che ha beneficiato di una cessione o di una concessione (…) realizzi un’operazione o un’azione conforme agli obiettivi dell’espropriazione o della cessione o lo vincoli ad un bisogno di interesse generale nei cinque anni seguenti la data in cui l’indennità di espropriazione è diventata definitiva, il proprietario ed i suoi eredi possono ottenere la restituzione dell’immobile rimborsando l’indennità di espropriazione abbinata ad interessi moratori
A difetto di uso nell’anno seguente la sua nascita, il diritto di restituzione si estingue.
Quando parecchi beni immobili sono espropriati insieme per la realizzazione di un stesso obiettivo, bisogna considerare questi beni come un tutto ed applicare perciò i capoversi precedenti. (…) “
IN DIRITTO
I. SULL’AMMISSIBILITÀ
20. Le richiedenti si lamentano di un attentato al loro diritto al rispetto del loro bene e denunciano una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1, ai termini del quale:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
21. Il Governo considera che il motivo di appello delle richiedenti è privo di fondamento ed invita la Corte a respingerlo.
22. La Corte stima che il motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che questo non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
23. Le richiedenti espongono dinnanzi alla Corte che il bene espropriato non ha ricevuto la destinazione fissata nel febbraio 1986 dalla dichiarazione di utilità pubblica. Difatti, l’operazione di pianificazione contemplata nell’area dell’immobile, ossia la creazione di spazi verdi, non è stata realizzata a questo giorno. Stimano che non lo sarà mai, a causa dell’iscrizione dell’immobile sull’elenco dei monumenti storici e dell’annullamento del piano di urbanistica sul fondamento del quale l’espropriazione era stata condotta. Fanno osservare peraltro che gli altri comproprietari dello stesso immobile hanno riguadagnato il loro titolo di proprietà. Inoltre, i locali in questione-diventati proprietà della municipalità-essendo affittati attualmente da questa, stimano che sono di un’utilizzazione che non giustifica più l’espropriazione. Fanno valere anche che il termine di cinque anni contemplato all’articolo 23 della legge relativa all’espropriazione per la destinazione del bene ad un bisogno di interesse generale è superato largamente. Infine, stimano che il piano di pianificazione del Corno d’ oro non è più di attualità tenuto conto della protezione della zona nella quale è situato l’immobile in causa a titolo dei monumenti storici.
24. Il Governo sottolinea che l’espropriazione dei beni delle richiedenti è stata effettuata in virtù di una dichiarazione di utilità pubblica e che le interessate hanno percepito delle indennità nel rispetto del loro diritto. Espone anche che il programma di pianificazione del Corno d’ oro è un progetto ambizioso le cui realizzazione necessita un tempo considerevole, e che altri piani di pianificazione sono sotto esame. Considera infine che, tenuto conto del grande margine di valutazione che l’articolo 1 del Protocollo no 1 accorda agli Stati, l’equilibrio tra gli interessi in gioco è stato rispettato nello specifico.
25. La Corte nota innanzitutto che la regolarità del procedimento di espropriazione non è messa per niente in causa nello specifico: difatti, le parti riconoscono che l’immobile contenzioso è stato espropriato nel rispetto delle regole applicabili in materia e che l’indennità prevista dalla legge è stata versata alle richiedenti. Sottolinea che il motivo di appello riguarda la mancata realizzazione dello scopo perseguito dall’espropriazione dell’immobile vent’ anni dopo questa.
Osserva poi che il diritto interno contempla la restituzione dei beni espropriati quando questi non hanno ricevuto la destinazione contemplata nel termine fissato dalla legge paragrafo 19 sopra. Constata peraltro che, dinnanzi al tribunale, la municipalità non ha contestato l’annullamento del piano di urbanistica né l’iscrizione dell’immobile sull’elenco dei monumenti storici.
26. Nelle precedenti cause riguardanti dei beni immobiliari espropriati a causa di utilità pubblica poi non utilizzati, la Corte ha concluso alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Ricorda che, quando un lasso di tempo notevole trascorre tra la presa di decisione che porta all’espropriazione di un luogo e la realizzazione concreta del progetto di utilità pubblica all’origine della privazione di proprietà, l’espropriazione può avere per effetto di privare l’individuo espropriato di un plusvalore riportato dal bene in causa; se questa privazione specifica non si fonda lei stessa su un motivo di utilità pubblica, l’interessato può subire un carico addizionale, incompatibile con le esigenze dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Motais di Narbonne c. Francia, no 48161/99, 2 luglio 2002, § 19; Beneficio Cappella Paolini c. San Marino, no 40786/98, 13 ottobre 2004, § 33).
27. Secondo la Corte, ne va parimenti nello specifico. Pure considerando che le esigenze dell’interesse pubblico legittimavano l’espropriazione del 1986, stima che la decisione di non-restituzione dei beni non è giustificata, avuto riguardo, da una parte, al fatto che l’immobile è stato archiviato come monumento storico e, dall’altra parte, al fatto che l’annullamento del piano di urbanistica ha reso nullo il fondamento dell’espropriazione in questione. Osserva peraltro che la municipalità, diventata comproprietaria dell’immobile, fa attualmente uno sfruttamento del bene che dipende dal diritto privato, in contraddizione col principio di utilità pubblica che ha presieduto all’espropriazione e che gli altri tre proprietari avevano ottenuto la revoca dell’espropriazione così come la restituzione del loro bene (paragrafi 6-7 sopra).
28. La Corte constata che il bene controverso non sempre è stato destinato alla realizzazione di lavori di interesse pubblico e che potrà difficilmente esserlo avuto riguardo alle circostanze, non contestate dal Governo, esposte più sopra. Nell’occorrenza, vent’ anni sono passati dalla presa della decisione che ha portato all’ espropriazione del bene senza che il progetto di utilità pubblica che fondava la privazione di proprietà venisse realizzato. La Corte considera che la non-utilizzazione dell’immobile per le pianificazioni conformi agli obiettivi perseguiti dall’espropriazione dà problemi allo sguardo del diritto di proprietà delle richiedenti. L’espropriazione non si fonda più su un motivo di utilità pubblica e ha per effetto di privare le richiedenti di un plusvalore realizzato sul bene in causa (Motais di Narbonne, precitato, § 22; Beneficio Cappella Paolini, precitato, § 33).
Le richiedenti possono sostenere dunque che, dopo un lungo lasso di tempo, nessuna realizzazione è venuta a legittimare l’utilità pubblica dell’espropriazione.
29. Alla luce di ciò che precede, la Corte stima che nello specifico il giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti individuali è stato rotto.
C’è stata dunque violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
30. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno patrimoniale
31. Le richiedenti richiedono la restituzione del loro bene espropriato e non utilizzato.
A difetto della restituzione, chiedono alla Corte il versamento di una “indennità” che rifletta “il valore intrinseco dell’immobile” controverso e calcolata in funzione del valore reale del metro quadro nella zona altamente turistica dove si trova, ossia 3 400 000 nuove lire turche (YTL) (o circa 2 131 661 euro (EUR)) al totale. Precisano che questa valutazione si basa essenzialmente sul rapporto di perizia effettuata da un ufficio di studi. Appellandosi a questo stesso rapporto, adducono che l’immobile, non essendo stato oggetto di lavori dall’espropriazione, si trova attualmente in un misero stato. In caso di restituzione, dei lavori di un costo, tutto compreso, di 1 751 100 YTL, o circa 1 097 868 EUR, sarebbero necessari. Chiedono che questa somma venga assegnata loro in aggiunta alla restituzione del bene.
Sollecitano inoltre un’indennità di un importo di 2 341,50 YTL, o circa 1 300 EUR, più gli interessi moratori, in compenso degli affitti no percepiti, prendendo il calcolo effettuato dalle richiedenti come punto di partenza il 27 ottobre 1997, data dell’inizio del procedimento.
32. Il Governo si limita ad invitare la Corte a respingere queste pretese che stima esorbitanti.
33. La Corte ricorda che una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico allo sguardo della Convenzione di mettere un termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze. Se il diritto interno permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, l’articolo 41 della Convenzione conferisce alla Corte il potere di accordare un risarcimento alla parte lesa dall’atto o dall’omissione a proposito di cui una violazione della Convenzione è stata constatata. Tuttavia, nelle circostanze della causa, la Corte stima che questo aspetto della questione dell’applicazione dell’articolo 41 non è maturo. C’è luogo dunque di riservarlo tenendo conto dell’eventualità di un accordo tra lo stato convenuto e le interessate (articolo 75 § 1 dell’ordinamento).
B. Danno morale
34. Le richiedenti richiedono un’indennità per danno morale in risarcimento dello stato di angoscia, dei dispiaceri e delle incertezze a cui sono state sottoposte per lunghi anni. Chiedono ciascuna 15 000 EUR a questo titolo.
35. Il Governo contesta questa somma.
36. La Corte considera che le interessate possono pretendere a buon diritto un’indennità per danno morale. Deliberando in equità, accorda loro congiuntamente 9 000 EUR.
C. Oneri e spese
37. Le richiedenti sollecitano il rimborso degli oneri e delle spese esposti durante il procedimento dinnanzi alle giurisdizioni interne. Affermano che, i essendo deceduto l loro avvocato precedente nel 2005, non sono in grado di fornire il dettaglio di tutti gli oneri che aveva impegnato e per che gli avevano pagato globalmente. Affermano che le prove si trovavano nella pratica dinnanzi alle giurisdizioni interne. Valutano questa somma al totale a 20 000 EUR.
Trattandosi del procedimento dinnanzi alla Corte, chiedono 1 264,97 YTL, o circa 793 EUR, per rimborso di oneri diversi e 4 000 EUR per rimborso della parcella di avvocati. Producono delle fatture che giustificano le loro rivendicazioni.
38. Il Governo stima queste richieste eccessive.
39. La Corte ricorda che, quando constata una violazione della Convenzione, può accordare alle richiedenti il pagamento degli oneri e delle spese che hanno impegnato dinnanzi alle giurisdizioni nazionali per prevenire o fare correggere con queste suddetta violazione (Hertel c. Svizzera, 25 agosto 1998, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-VI, § 63). Nello specifico, l’oggetto e la posta del procedimento dinnanzi alle giurisdizioni interne erano il diritto delle interessate al rispetto del loro bene, diritto di cui la Corte ha constatato la violazione. La Corte ne deduce che le richiedenti sono abilitate a richiedere il rimborso degli oneri e delle spese impegnati da loro dinnanzi allr giurisdizioni interne.
Constatando poi che le richiedenti giustificano in grande parte le loro pretese e spiegano le ragioni per cui non possono produrre l’insieme dei documenti giustificativi, la Corte decide di assegnare congiuntamente a loro 7 000 EUR che corrispondono alla globalità degli oneri e spese.
D. Interessi moratori
40. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara il restante della richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare congiuntamente alle richiedenti, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. 9 000 EUR (novemila euro) per danno morale,
ii. 7 000 EUR (settemila euro) per gli oneri e le spese esposti dinnanzi alle giurisdizioni interne e dinnanzi alla Corte,
iii. così come ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Stabilisce che la questione dell’articolo 41 della Convenzione non è maturo per il danno patrimoniale relativo alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1; perciò,
a) riserva questo aspetto della questione;
b) invita il Governo e le richiedenti a darle cognizione, entro tre mesi, di ogni accordo al quale potrebbero arrivare;
c) riserva l’ulteriore procedimento e delega al presidente della camera la cura di fissarlo all’occorrenza.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto l’ 8 aprile 2008, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Cancelliere Presidente

Testo Tradotto

TROISIÈME SECTION
AFFAIRE KEÇECİOĞLU ET AUTRES c. TURQUIE
(Requête no 37546/02)
ARRÊT
(fond)
STRASBOURG
8 avril 2008
DÉFINITIF
08/07/2008
Cet arrêt peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Keçecioğlu et autres c. Turquie,
La Cour européenne des droits de l’homme (troisième section), siégeant en une chambre composée de :
Josep Casadevall, président,
Elisabet Fura-Sandström,
Rıza Türmen,
Boštjan M. Zupančič,
Alvina Gyulumyan,
Ineta Ziemele,
Luis López Guerra, juges,
et de Santiago Quesada, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 18 mars 2008,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 37546/02) dirigée contre la République de Turquie et dont trois ressortissantes de cet Etat, OMISSIS (« les requérantes »), ont saisi la Cour le 9 septembre 2002 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des Libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérantes sont représentées par Me S. Ş., avocat à Istanbul. Le gouvernement turc (« le Gouvernement ») est représenté par son agent.
3. Le 4 octobre 2005, la Cour a déclaré la requête partiellement irrecevable et a décidé de communiquer le grief fondé sur l’article 1 du Protocole no 1 au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3, elle a décidé en outre que seraient examinés en même temps la recevabilité et le fond de l’affaire.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
4. Les requérantes sont nées respectivement en 1955, 1949 et en 1951, et résident à Istanbul.
5. Le 25 février 1986, dans le cadre d’un plan d’aménagement de la Corne d’Or, la municipalité d’Istanbul déclara d’utilité publique le projet d’acquisition d’un immeuble de trois étages, composé de huit lots de copropriété et sis à Beyoğlu, en vue de la création d’espaces verts à cet emplacement. Les requérantes étaient propriétaires en indivision des lots nos 3 et 5, situés au rez-de-chaussée et loués comme magasins, et des lots nos 6, 7 et 8 formant les trois étages. Les autres lots, nos 1, 2 et 4, situés au rez-de-chaussée, appartenaient à trois autres personnes.
6. Les copropriétaires des lots nos 1, 2 et 4 contestèrent l’expropriation devant le tribunal administratif d’Istanbul. Par un jugement définitif du 30 mars 1990, le tribunal annula le plan d’urbanisme sur le fondement duquel la procédure d’expropriation avait été conduite. Puis ces copropriétaires obtinrent la révocation de l’expropriation et la rétrocession de leurs biens.
7. En 1992, en vertu d’une procédure d’expropriation, une indemnité d’un montant de 2 082 966 000 livres turques (soit environ 2 853 dollars américains) fut versée aux requérantes, leurs titres de propriété furent annulés et l’immeuble fut inscrit au registre foncier au nom de la municipalité d’Istanbul. A la suite de cet enregistrement, les locataires concernés devinrent automatiquement locataires de la municipalité d’Istanbul, à laquelle ils versèrent désormais les loyers.
8. Le 27 octobre 1997, les requérantes intentèrent une action devant le tribunal de grande instance (« le tribunal ») de Beyoğlu tendant à l’annulation du titre de propriété de la municipalité d’Istanbul. Invoquant l’article 23 de la loi no 2942 relative à l’expropriation, elles demandèrent l’annulation du titre de propriété de la municipalité et la rétrocession des biens expropriés, au motif que l’opération d’aménagement initialement prévue n’avait pas été réalisée. Elles firent valoir que le plan d’urbanisme avait été annulé par le tribunal administratif, que l’expropriation des trois autres lots du même immeuble avait été révoquée et, enfin, que celui-ci avait été classé monument historique en vertu de la loi no 2863 relative à la protection du patrimoine culturel et naturel depuis le 5 février 1992, et qu’il ne pouvait donc plus recevoir l’affectation initialement prévue.
9. Le 21 novembre 1997, la mention « monument historique » fut portée au registre foncier sur la page concernant l’immeuble. Le 4 décembre 1997, la municipalité demanda la confirmation de cette décision et sa réactualisation. Le 14 octobre 1998, l’inscription de l’immeuble sur la liste des monuments historiques fut confirmée par une décision de la Commission de protection des œuvres historiques près le ministère de la Culture.
10. Par un jugement du 9 juillet 1998, le tribunal fit droit à la demande des requérantes. Il considéra que le fait que le plan d’urbanisme avait été annulé et que trois autres copropriétaires avaient obtenu la révocation de l’expropriation et la restitution de leur bien avait privé l’expropriation de son fondement. Il annula le titre de propriété de la municipalité et décida que les biens immobiliers seraient réinscrits au nom des requérantes une fois que celles-ci auraient remboursé l’indemnité d’expropriation, assortie des intérêts moratoires.
11. Le 29 décembre 1998, la Cour de cassation cassa ce jugement. Elle indiqua dans les motifs de son arrêt que le plan d’aménagement de la Corne d’Or prévoyait l’expropriation de plusieurs biens immobiliers dans cette zone, et que la réalisation d’un tel projet devait être appréciée au regard de l’ensemble des biens expropriés et non pas à celui d’un bien pris isolément. A cet égard, elle mentionna sans autre précision que les travaux planifiés avaient été effectués sur la majorité de la zone.
12. Le 28 juin 1999, la Cour de cassation écarta la demande en rectification de l’arrêt présentée par les requérantes.
13. Le 9 novembre 1999, le tribunal maintint son jugement du 9 juillet 1998. Il réaffirma que le bien litigieux ne pouvait plus recevoir l’affectation initialement prévue dans la mesure où le plan d’urbanisme avait été définitivement annulé. Il souligna que l’immeuble était désormais classé monument historique et que l’expropriation des trois autres lots avait été révoquée. Il souligna que les parties n’avaient pas contesté l’annulation du plan d’urbanisme et que rien dans le dossier ne démontrait la réalisation des travaux planifiés dans la zone en question. Il nota également que le délai de cinq ans prévu par l’article 23 de la loi relative à l’expropriation était écoulé sans qu’aucun des aménagements correspondant aux objectifs de l’expropriation n’eût été effectué. Il dénonça le fait que la municipalité d’Istanbul était devenue copropriétaire de l’immeuble sans que cela se justifiât et qu’elle en faisait un usage incompatible avec les buts de l’expropriation.
14. Le 23 février 2000, le jugement du tribunal fut examiné devant l’assemblée générale civile de la Cour de cassation et infirmé, sans examen au fond, pour vice de procédure, au motif que le tribunal s’était contenté d’indiquer dans les dispositifs de sa décision qu’il maintenait son jugement précédent. Or, le jugement du 9 juillet 1998 étant devenu caduc en raison de la cassation, le tribunal aurait dû en reprendre le dispositif détaillé, en vertu de l’article 388 du code de procédure civile.
15. Le 18 mai 2000, le tribunal remédia au vice de procédure invoqué et prononça de nouveau l’annulation du titre de propriété de la municipalité. Il réitéra les dispositions de son jugement, en soulignant que le plan d’urbanisme à l’origine de l’expropriation avait été annulé.
16. Le 8 novembre 2000, la Cour de cassation cassa une nouvelle fois ce jugement pour des motifs identiques à ceux de son arrêt du 29 décembre 1998.
17. Le 21 février 2001, elle rejeta la demande en rectification de l’arrêt présentée par les requérantes.
18. Par un jugement du 17 mai 2001, le tribunal se conforma à l’arrêt de cassation et rejeta la demande des requérantes. Ce jugement fut confirmé par la Cour de cassation le 5 février 2002. Le 17 mai 2002, elle rejeta le recours en rectification de l’arrêt et le jugement du 17 mai 2001 devint définitif.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
19. L’article 23 de la loi no 2942 relative à l’expropriation dispose :
« Si l’immeuble [exproprié] est laissé en l’état sans que l’administration expropriante ou l’administration ayant bénéficiée d’une cession ou d’une concession (…) ne réalise une opération ou une action conforme aux objectifs de l’expropriation ou de la cession ou ne l’affecte à un besoin d’intérêt général dans les cinq ans suivant la date à laquelle l’indemnité d’expropriation est devenue définitive, le propriétaire et ses héritiers peuvent obtenir la rétrocession de l’immeuble en remboursant l’indemnité d’expropriation assortie d’intérêts moratoires (…)
A défaut d’usage dans l’année suivant sa naissance, le droit de rétrocession s’éteint.
Lorsque plusieurs biens immeubles sont expropriés ensemble pour la réalisation d’un même objectif, il faut considérer ces biens comme un tout et appliquer les alinéas précédents en conséquence. (…) »
EN DROIT
I. SUR LA RECEVABILITÉ
20. Les requérantes se plaignent d’une atteinte à leur droit au respect de leur bien et dénoncent une violation de l’article 1 du Protocole no 1, aux termes duquel :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
21. Le Gouvernement considère que le grief des requérantes est dépourvu de fondement et invite la Cour à le rejeter.
22. La Cour estime que le grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève par ailleurs que celui-ci ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
23. Les requérantes exposent devant la Cour que le bien exproprié n’a pas reçu l’affectation fixée en février 1986 par la déclaration d’utilité publique. En effet, l’opération d’aménagement prévue à l’emplacement de l’immeuble, à savoir la création d’espaces verts, n’a pas été réalisée à ce jour. Elles estiment qu’elle ne le sera jamais, du fait de l’inscription de l’immeuble sur la liste des monuments historiques et de l’annulation du plan d’urbanisme sur le fondement duquel l’expropriation avait été conduite. Elles font observer par ailleurs que les autres copropriétaires du même immeuble ont regagné leur titre de propriété. En outre, les locaux en question – devenus propriété de la municipalité – étant actuellement loués par celle-ci, elles estiment qu’ils font objet d’une utilisation qui ne justifie plus l’expropriation. Elles font valoir également que le délai de cinq ans prévu à l’article 23 de la loi relative à l’expropriation pour l’affectation du bien à un besoin d’intérêt général est largement dépassé. Enfin, elles estiment que le plan d’aménagement de la Corne d’Or n’est plus d’actualité compte tenu de la protection de la zone dans laquelle est situé l’immeuble en cause au titre des monuments historiques.
24. Le Gouvernement souligne que l’expropriation des biens des requérantes a été effectuée en vertu d’une déclaration d’utilité publique et que les intéressées ont perçu des indemnités dans le respect de leur droit. Il expose également que le programme d’aménagement de la Corne d’Or est un projet ambitieux, dont la réalisation nécessite un temps considérable, et que d’autres plans d’aménagement sont à l’étude. Il considère enfin que, compte tenu de la grande marge d’appréciation que l’article 1 du Protocole no 1 accorde aux Etats, l’équilibre entre les intérêts en jeu a été respecté en l’espèce.
25. La Cour note tout d’abord que la régularité de la procédure d’expropriation n’est nullement mise en cause en l’espèce : en effet, les parties reconnaissent que l’immeuble litigieux a été exproprié dans le respect des règles applicables en la matière et que l’indemnité prévue par la loi a été versée aux requérantes. Elle souligne que le grief porte sur la non-réalisation du but poursuivi par l’expropriation de l’immeuble vingt et un ans après celle-ci.
Elle observe ensuite que le droit interne prévoit la rétrocession des biens expropriés lorsque ceux-ci n’ont pas reçu l’affectation prévue dans le délai fixé par la loi (paragraphe 19 ci-dessus). Elle constate par ailleurs que, devant le tribunal, la municipalité n’a contesté ni l’annulation du plan d’urbanisme ni l’inscription de l’immeuble sur la liste des monuments historiques.
26. Dans de précédentes affaires portant sur des biens immobiliers expropriés pour cause d’utilité publique puis non utilisés, la Cour a conclu à la violation de l’article 1 du Protocole no 1. Elle rappelle que, lorsqu’un laps de temps notable s’écoule entre la prise de décision portant expropriation d’un lieu et la réalisation concrète du projet d’utilité publique à l’origine de la privation de propriété, l’expropriation peut avoir pour effet de priver l’individu exproprié d’une plus-value rapportée par le bien en cause ; si cette privation spécifique ne repose pas elle-même sur un motif d’utilité publique, l’intéressé peut subir une charge additionnelle, incompatible avec les exigences de l’article 1 du Protocole no 1 (Motais de Narbonne c. France, no 48161/99, 2 juillet 2002, § 19 ; Beneficio Cappella Paolini c. Saint-Marin, no 40786/98, 13 octobre 2004, § 33)
27. Selon la Cour, il en va de même en l’espèce. Tout en considérant que les exigences de l’intérêt public légitimaient l’expropriation de 1986, elle estime que la décision de non-restitution des biens n’est pas justifiée, eu égard, d’une part, au fait que l’immeuble a été classé monument historique et, d’autre part, au fait que l’annulation du plan d’urbanisme a rendu caduc le fondement de l’expropriation en question. Elle observe par ailleurs que la municipalité, devenue copropriétaire de l’immeuble, fait actuellement une exploitation du bien relevant du droit privé, en contradiction avec le principe d’utilité publique qui a présidé à l’expropriation et que trois autres propriétaires avaient obtenu la révocation de l’expropriation ainsi que la restitution de leur bien (paragraphes 6-7 ci-dessus).
28. La Cour constate que le bien litigieux n’a toujours pas été affecté à la réalisation d’ouvrages d’intérêt public et qu’il pourra difficilement l’être eu égard aux circonstances, non contestées par le Gouvernement, exposées plus haut. En l’occurrence, vingt et un ans se sont écoulés depuis la prise de la décision portant expropriation du bien sans que le projet d’utilité publique fondant la privation de propriété ait été réalisé. La Cour considère que la non-utilisation de l’immeuble pour des aménagements conformes aux objectifs poursuivis par l’expropriation pose problème au regard du droit de propriété des requérantes. L’expropriation ne repose plus sur un motif d’utilité publique et a pour effet de priver les requérantes d’une plus-value réalisée sur le bien en cause (Motais de Narbonne, précité, § 22 ; Beneficio Cappella Paolini, précité, § 33).
Les requérantes peuvent donc soutenir que, après un long laps de temps, aucune réalisation n’est venue légitimer l’utilité publique de l’expropriation.
29. A la lumière de ce qui précède, la Cour estime qu’en l’espèce le juste équilibre entre les exigences de l’intérêt général et les impératifs de la sauvegarde des droits individuels a été rompu.
Il y a donc eu violation de l’article 1 du Protocole no 1.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
30. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage matériel
31. Les requérantes réclament la restitution de leur bien exproprié et non utilisé.
A défaut de restitution, elles demandent à la Cour le versement d’une « indemnité » reflétant « la valeur intrinsèque de l’immeuble » litigieux et calculée en fonction de la valeur actuelle du mètre carré dans la zone hautement touristique où il se trouve, à savoir 3 400 000 nouvelles livres turques (YTL) (soit environ 2 131 661 euros (EUR)) au total. Elles précisent que cette évaluation se fonde essentiellement sur le rapport d’expertise effectué par un bureau d’études. S’appuyant sur ce même rapport, elles allèguent que l’immeuble, n’ayant pas fait l’objet de travaux depuis l’expropriation, se trouve actuellement dans un piètre état. En cas de restitution, des travaux d’un coût, tout compris, de 1 751 100 YTL (soit environ 1 097 868 EUR) seraient nécessaires. Elles demandent que cette somme leur soit allouée en sus de la restitution du bien.
Elles sollicitent en outre une indemnité d’un montant de 2 341,50 YTL (soit environ 1 300 EUR), plus les intérêts moratoires, en compensation des loyers non perçus, le calcul effectué par les requérantes prenant comme point de départ le 27 octobre 1997, date du début de la procédure.
32. Le Gouvernement se limite à inviter la Cour à rejeter ces prétentions qu’il estime exorbitantes.
33. La Cour rappelle qu’un arrêt constatant une violation entraîne pour l’Etat défendeur l’obligation juridique au regard de la Convention de mettre un terme à la violation et d’en effacer les conséquences. Si le droit interne ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, l’article 41 de la Convention confère à la Cour le pouvoir d’accorder une réparation à la partie lésée par l’acte ou l’omission à propos desquels une violation de la Convention a été constatée. Toutefois, dans les circonstances de la cause, la Cour estime que cet aspect de la question de l’application de l’article 41 ne se trouve pas en état. Il y a donc lieu de le réserver en tenant compte de l’éventualité d’un accord entre l’Etat défendeur et les intéressées (article 75 § 1 du règlement).
B. Dommage moral
34. Les requérantes réclament une indemnité pour dommage moral en réparation de l’état d’angoisse, des désagréments et des incertitudes auxquels elles ont été livrées pendant de longues années. Elles demandent chacune 15 000 EUR à ce titre.
35. Le Gouvernement conteste cette somme.
36. La Cour considère que les intéressées peuvent à juste titre prétendre à une indemnité pour préjudice moral. Statuant en équité, elle leur accorde conjointement 9 000 EUR.
C. Frais et dépens
37. Les requérantes sollicitent le remboursement des frais et dépens exposés au cours de la procédure devant les juridictions internes. Elles affirment que, leur avocat précédent étant décédé en 2005, elles ne sont pas en mesure de fournir le détail de tous les frais qu’il avait engagés et pour lesquels elles l’avaient payé globalement. Elles affirment que les preuves se trouvaient dans le dossier devant les juridictions internes. Elles évaluent cette somme au total à 20 000 EUR.
S’agissant de la procédure devant la Cour, elles demandent 1 264,97 YTL (soit environ 793 EUR) en remboursement de frais divers et 4 000 EUR en remboursement des honoraires d’avocats. Elles produisent des factures justifiant leurs revendications.
38. Le Gouvernement estime ces demandes excessives.
39. La Cour rappelle que, lorsqu’elle constate une violation de la Convention, elle peut accorder aux requérants le paiement des frais et dépens qu’ils ont engagés devant les juridictions nationales pour prévenir ou faire corriger par celles-ci ladite violation (Hertel c. Suisse, 25 août 1998, Recueil des arrêts et décisions 1998-VI, § 63). En l’espèce, l’objet et l’enjeu de la procédure devant les juridictions internes étaient le droit des intéressées au respect de leur bien, droit dont la Cour a constaté la violation. La Cour en déduit que les requérantes sont habilitées à réclamer le remboursement des frais et dépens engagés par elles devant juridictions internes.
Constatant ensuite que les requérantes justifient en grande partie leurs prétentions et expliquent les raisons pour lesquelles elles ne peuvent pas produire l’ensemble des pièces justificatives, la Cour décide de leur allouer conjointement 7 000 EUR correspondant à la globalité des frais et dépens.
D. Intérêts moratoires
40. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare le restant de la requête recevable ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
3. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser conjointement aux requérantes, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes :
i. 9 000 EUR (neuf mille euros) pour dommage moral,
ii. 7 000 EUR (sept mille euros) pour les frais et dépens exposés devant les juridictions internes et devant la Cour,
iii. ainsi que tout montant pouvant être dû à titre d’impôt ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
4. Dit que la question de l’article 41 de la Convention ne se trouve pas en état pour le dommage matériel relatif à la violation de l’article 1 du Protocole no 1 ; en conséquence,
a) réserve cet aspect de la question ;
b) invite le Gouvernement et les requérantes à lui donner connaissance, dans les trois mois, de tout accord auquel ils pourraient aboutir ;
c) réserve la procédure ultérieure et délègue au président de la chambre le soin de la fixer au besoin.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 8 avril 2008, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Greffier Président

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