TERZA SEZIONE
CAUSA KEÇECİOĞLU ED ALTRI C. TURCHIA
( Richiesta no 37546/02)
SENTENZA
(merito)
STRASBURGO
8 aprile 2008
DEFINITIVO
08/07/2008
Questa sentenza può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Keçecioğlu ed altri c. Turchia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
Josep Casadevall, presidente, Elisabet Fura-Sandström, Rıza Türmen, Boštjan il Sig. Zupančič, Alvina Gyulumyan, Ineta Ziemele, Luccichi López Guerra, giudici,
e da Santiago Quesada, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 18 marzo 2008,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 37546/02) diretta contro la Repubblica della Turchia e in cui tre cittadine di questo Stato, OMISSIS (“le richiedenti”), hanno investito la Corte il 9 settembre 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Le richiedenti sono rappresentate da S. Ş., avvocato ad Istanbul. Il governo turco (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente.
3. Il 4 ottobre 2005, la Corte ha dichiarato la richiesta parzialmente inammissibile e ha deciso di comunicare il motivo di appello fondato sull’articolo 1 del Protocollo no 1 al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3, ha deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Le richiedenti sono nate rispettivamente nel 1955, 1949 e nel 1951, e risiedono ad Istanbul.
5. Il 25 febbraio 1986, nella cornice di un piano di pianificazione del Corno d’ oro, la municipalità di Istanbul dichiarò di utilità pubblica il progetto di acquisizione di un immobile di tre piani, composto da otto lotti di comproprietà ed ubicato a Beyoğlu, in vista della creazione di spazi verdi in questa area. Le richiedenti erano le proprietarie in comunione dei lotti numeri 3 e 5, situati al pianterreno ed affittati come negozi, e dei lotti numeri 6, 7 e 8 che formavano i tre piani. Gli altri lotti, numeri 1, 2 e 4, situati al pianterreno, appartenevano a tre altre persone.
6. I comproprietari dei lotti nostro 1, 2 e 4 contestarono l’espropriazione dinnanzi al tribunale amministrativo di Istanbul. Con un giudizio definitivo del 30 marzo 1990, il tribunale annullò il piano di urbanistica sul fondamento del quale il procedimento di espropriazione era stato condotto. Poi questi comproprietari ottennero la revoca dell’espropriazione e la restituzione dei loro beni.
7. Nel 1992, in virtù di un procedimento di espropriazione, un’indennità di un importo di 2 082 966 000 lire turche, o circa 2 853 dollari americani, fu versata alle richiedenti, i loro titoli di proprietà furono annullati e l’immobile fu iscritto nel registro fondiario a nome della municipalità di Istanbul. In seguito a questa registrazione, gli inquilini riguardati diventarono automaticamente inquilini della municipalità di Istanbul alla quale versavanoo oramai gli affitti.
8. Il 27 ottobre 1997, le richiedenti intentarono un’azione dinnanzi alla corte d’appello (“il tribunale”) di Beyoğlu tesa all’annullamento del titolo di proprietà della municipalità di Istanbul. Invocando l’articolo 23 della legge no 2942 relativo all’espropriazione, chiesero l’annullamento del titolo di proprietà della municipalità e la restituzione dei beni espropriati, al motivo che l’operazione di pianificazione inizialmente prevista non era stata realizzata. Fecero valere che il piano di urbanistica era stato annullato dal tribunale amministrativo, che l’espropriazione degli altri tre lotti dello stesso immobile erano stati revocati e, infine che questo era stato archiviato come monumento storico in virtù della legge no 2863 relativa alla protezione del patrimonio culturale e naturale dal 5 febbraio 1992, e che non poteva dunque più ricevere la destinazione inizialmente prevista.
9. Il 21 novembre 1997, la menzione “monumento storico” fu riporta sul registro fondiario sulla pagina concernente l’immobile. Il 4 dicembre 1997, la municipalità chiese la conferma di questa decisione e la sua attualizzazione . Il 14 ottobre 1998, l’iscrizione dell’immobile sull’elenco dei monumenti storici fu confermata da una decisione della Commissione di protezione delle opere storiche presso il ministero della Cultura.
10. Con un giudizio del 9 luglio 1998, il tribunale fece diritto all’istanza delle richiedenti. Considerò che il fatto che il piano di urbanistica era stato annullato e che tre altri comproprietari avevano ottenuto la revoca dell’espropriazione e la restituzione del loro bene aveva privato l’espropriazione del suo fondamento. Annullò il titolo di proprietà della municipalità e decise che i beni immobiliari sarebbero stati iscritti di nuovo a nome delle richiedenti una volta che queste avrebbero rimborsato l’indennità di espropriazione, abbinata agli interessi moratori.
11. Il 29 dicembre 1998, la Corte di cassazione annullò questo giudizio. Indicò nei motivi della sua sentenza che il piano di pianificazione del Corno d’ oro contemplava l’espropriazione di parecchi beni immobiliari in questa zona, e che la realizzazione di tale progetto doveva essere valutata allo sguardo dell’insieme dei beni espropriati e non a quello di un bene preso isolatamente. A questo riguardo, menzionò senza altra precisazione che i lavori pianificati erano stati effettuati sulla maggior parte della zona.
12. Il 28 giugno 1999, la Corte di cassazione allontanò l’istanza di rettifica della sentenza presentata dalle richiedenti.
13. Il 9 novembre 1999, il tribunale mantenne il suo giudizio del 9 luglio 1998. Riaffermò che il bene controverso non poteva ricevere più la destinazione inizialmente prevista nella misura in cui il piano di urbanistica era stato annullato definitivamente. Sottolineò che l’immobile era stati archiviato oramai come monumento storico e che l’espropriazione degli altri tre lotti era stata revocata. Sottolineò che le parti non avevano contestato l’annullamento del piano di urbanistica e che niente nella pratica dimostrava la realizzazione dei lavori pianificati nella zona in questione. Notò anche che il termine di cinque anni previsti dall’articolo 23 della legge relativa all’espropriazione era trascorso senza che nessuna delle pianificazioni corrispondente agli obiettivi dell’espropriazione fosse stata effettuata. Denunciò il fatto che la municipalità di Istanbul era diventata comproprietaria dell’immobile senza che ciò si giustificasse e che ne faceva un uso incompatibile con gli scopi dell’espropriazione.
14. Il 23 febbraio 2000, il giudizio del tribunale fu esaminato dinnanzi all’assemblea generale civile della Corte di cassazione e fu annullato, senza esame al merito, per vizio di procedimento, al motivo che il tribunale si era accontentato di indicare nei dispositivi della sua decisione che manteneva il suo giudizio precedente. Ora, il giudizio del 9 luglio 1998 essendo diventato nullo in ragione della cassazione, il tribunale avrebbe dovuto riprendere il dispositivo dettagliato, in virtù dell’articolo 388 del codice di procedimento civile.
15. Il 18 maggio 2000, il tribunale ovviò al vizio di procedimento invocato e pronunciò di nuovo l’annullamento del titolo di proprietà della municipalità. Reiterò le disposizioni del suo giudizio, sottolineando che il piano di urbanistica all’origine dell’espropriazione era stato annullato.
16. Il 8 novembre 2000, la Corte di cassazione annullò una nuova volta questo giudizio per motivi identici a quelli della sua sentenza del 29 dicembre 1998.
17. Il 21 febbraio 2001, respinse l’istanza di rettifica della sentenza presentata dalle richiedenti.
18. Con un giudizio del 17 maggio 2001, il tribunale si conformò alla sentenza di cassazione e respinse l’istanza delle richiedenti. Questo giudizio fu confermato dalla Corte di cassazione il 5 febbraio 2002. Il 17 maggio 2002, respinse il ricorso per rettifica della sentenza ed il giudizio del 17 maggio 2001 diventò definitivo.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
19. L’articolo 23 della legge no 2942 relativo all’espropriazione dispone:
“Se l’immobile [espropriato] viene lasciato nello stato senza che l’amministrazione espropriante o l’amministrazione che ha beneficiato di una cessione o di una concessione (…) realizzi un’operazione o un’azione conforme agli obiettivi dell’espropriazione o della cessione o lo vincoli ad un bisogno di interesse generale nei cinque anni seguenti la data in cui l’indennità di espropriazione è diventata definitiva, il proprietario ed i suoi eredi possono ottenere la restituzione dell’immobile rimborsando l’indennità di espropriazione abbinata ad interessi moratori
A difetto di uso nell’anno seguente la sua nascita, il diritto di restituzione si estingue.
Quando parecchi beni immobili sono espropriati insieme per la realizzazione di un stesso obiettivo, bisogna considerare questi beni come un tutto ed applicare perciò i capoversi precedenti. (…) “
IN DIRITTO
I. SULL’AMMISSIBILITÀ
20. Le richiedenti si lamentano di un attentato al loro diritto al rispetto del loro bene e denunciano una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1, ai termini del quale:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
21. Il Governo considera che il motivo di appello delle richiedenti è privo di fondamento ed invita la Corte a respingerlo.
22. La Corte stima che il motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che questo non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
23. Le richiedenti espongono dinnanzi alla Corte che il bene espropriato non ha ricevuto la destinazione fissata nel febbraio 1986 dalla dichiarazione di utilità pubblica. Difatti, l’operazione di pianificazione contemplata nell’area dell’immobile, ossia la creazione di spazi verdi, non è stata realizzata a questo giorno. Stimano che non lo sarà mai, a causa dell’iscrizione dell’immobile sull’elenco dei monumenti storici e dell’annullamento del piano di urbanistica sul fondamento del quale l’espropriazione era stata condotta. Fanno osservare peraltro che gli altri comproprietari dello stesso immobile hanno riguadagnato il loro titolo di proprietà. Inoltre, i locali in questione-diventati proprietà della municipalità-essendo affittati attualmente da questa, stimano che sono di un’utilizzazione che non giustifica più l’espropriazione. Fanno valere anche che il termine di cinque anni contemplato all’articolo 23 della legge relativa all’espropriazione per la destinazione del bene ad un bisogno di interesse generale è superato largamente. Infine, stimano che il piano di pianificazione del Corno d’ oro non è più di attualità tenuto conto della protezione della zona nella quale è situato l’immobile in causa a titolo dei monumenti storici.
24. Il Governo sottolinea che l’espropriazione dei beni delle richiedenti è stata effettuata in virtù di una dichiarazione di utilità pubblica e che le interessate hanno percepito delle indennità nel rispetto del loro diritto. Espone anche che il programma di pianificazione del Corno d’ oro è un progetto ambizioso le cui realizzazione necessita un tempo considerevole, e che altri piani di pianificazione sono sotto esame. Considera infine che, tenuto conto del grande margine di valutazione che l’articolo 1 del Protocollo no 1 accorda agli Stati, l’equilibrio tra gli interessi in gioco è stato rispettato nello specifico.
25. La Corte nota innanzitutto che la regolarità del procedimento di espropriazione non è messa per niente in causa nello specifico: difatti, le parti riconoscono che l’immobile contenzioso è stato espropriato nel rispetto delle regole applicabili in materia e che l’indennità prevista dalla legge è stata versata alle richiedenti. Sottolinea che il motivo di appello riguarda la mancata realizzazione dello scopo perseguito dall’espropriazione dell’immobile vent’ anni dopo questa.
Osserva poi che il diritto interno contempla la restituzione dei beni espropriati quando questi non hanno ricevuto la destinazione contemplata nel termine fissato dalla legge paragrafo 19 sopra. Constata peraltro che, dinnanzi al tribunale, la municipalità non ha contestato l’annullamento del piano di urbanistica né l’iscrizione dell’immobile sull’elenco dei monumenti storici.
26. Nelle precedenti cause riguardanti dei beni immobiliari espropriati a causa di utilità pubblica poi non utilizzati, la Corte ha concluso alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Ricorda che, quando un lasso di tempo notevole trascorre tra la presa di decisione che porta all’espropriazione di un luogo e la realizzazione concreta del progetto di utilità pubblica all’origine della privazione di proprietà, l’espropriazione può avere per effetto di privare l’individuo espropriato di un plusvalore riportato dal bene in causa; se questa privazione specifica non si fonda lei stessa su un motivo di utilità pubblica, l’interessato può subire un carico addizionale, incompatibile con le esigenze dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Motais di Narbonne c. Francia, no 48161/99, 2 luglio 2002, § 19; Beneficio Cappella Paolini c. San Marino, no 40786/98, 13 ottobre 2004, § 33).
27. Secondo la Corte, ne va parimenti nello specifico. Pure considerando che le esigenze dell’interesse pubblico legittimavano l’espropriazione del 1986, stima che la decisione di non-restituzione dei beni non è giustificata, avuto riguardo, da una parte, al fatto che l’immobile è stato archiviato come monumento storico e, dall’altra parte, al fatto che l’annullamento del piano di urbanistica ha reso nullo il fondamento dell’espropriazione in questione. Osserva peraltro che la municipalità, diventata comproprietaria dell’immobile, fa attualmente uno sfruttamento del bene che dipende dal diritto privato, in contraddizione col principio di utilità pubblica che ha presieduto all’espropriazione e che gli altri tre proprietari avevano ottenuto la revoca dell’espropriazione così come la restituzione del loro bene (paragrafi 6-7 sopra).
28. La Corte constata che il bene controverso non sempre è stato destinato alla realizzazione di lavori di interesse pubblico e che potrà difficilmente esserlo avuto riguardo alle circostanze, non contestate dal Governo, esposte più sopra. Nell’occorrenza, vent’ anni sono passati dalla presa della decisione che ha portato all’ espropriazione del bene senza che il progetto di utilità pubblica che fondava la privazione di proprietà venisse realizzato. La Corte considera che la non-utilizzazione dell’immobile per le pianificazioni conformi agli obiettivi perseguiti dall’espropriazione dà problemi allo sguardo del diritto di proprietà delle richiedenti. L’espropriazione non si fonda più su un motivo di utilità pubblica e ha per effetto di privare le richiedenti di un plusvalore realizzato sul bene in causa (Motais di Narbonne, precitato, § 22; Beneficio Cappella Paolini, precitato, § 33).
Le richiedenti possono sostenere dunque che, dopo un lungo lasso di tempo, nessuna realizzazione è venuta a legittimare l’utilità pubblica dell’espropriazione.
29. Alla luce di ciò che precede, la Corte stima che nello specifico il giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti individuali è stato rotto.
C’è stata dunque violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
30. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno patrimoniale
31. Le richiedenti richiedono la restituzione del loro bene espropriato e non utilizzato.
A difetto della restituzione, chiedono alla Corte il versamento di una “indennità” che rifletta “il valore intrinseco dell’immobile” controverso e calcolata in funzione del valore reale del metro quadro nella zona altamente turistica dove si trova, ossia 3 400 000 nuove lire turche (YTL) (o circa 2 131 661 euro (EUR)) al totale. Precisano che questa valutazione si basa essenzialmente sul rapporto di perizia effettuata da un ufficio di studi. Appellandosi a questo stesso rapporto, adducono che l’immobile, non essendo stato oggetto di lavori dall’espropriazione, si trova attualmente in un misero stato. In caso di restituzione, dei lavori di un costo, tutto compreso, di 1 751 100 YTL, o circa 1 097 868 EUR, sarebbero necessari. Chiedono che questa somma venga assegnata loro in aggiunta alla restituzione del bene.
Sollecitano inoltre un’indennità di un importo di 2 341,50 YTL, o circa 1 300 EUR, più gli interessi moratori, in compenso degli affitti no percepiti, prendendo il calcolo effettuato dalle richiedenti come punto di partenza il 27 ottobre 1997, data dell’inizio del procedimento.
32. Il Governo si limita ad invitare la Corte a respingere queste pretese che stima esorbitanti.
33. La Corte ricorda che una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico allo sguardo della Convenzione di mettere un termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze. Se il diritto interno permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, l’articolo 41 della Convenzione conferisce alla Corte il potere di accordare un risarcimento alla parte lesa dall’atto o dall’omissione a proposito di cui una violazione della Convenzione è stata constatata. Tuttavia, nelle circostanze della causa, la Corte stima che questo aspetto della questione dell’applicazione dell’articolo 41 non è maturo. C’è luogo dunque di riservarlo tenendo conto dell’eventualità di un accordo tra lo stato convenuto e le interessate (articolo 75 § 1 dell’ordinamento).
B. Danno morale
34. Le richiedenti richiedono un’indennità per danno morale in risarcimento dello stato di angoscia, dei dispiaceri e delle incertezze a cui sono state sottoposte per lunghi anni. Chiedono ciascuna 15 000 EUR a questo titolo.
35. Il Governo contesta questa somma.
36. La Corte considera che le interessate possono pretendere a buon diritto un’indennità per danno morale. Deliberando in equità, accorda loro congiuntamente 9 000 EUR.
C. Oneri e spese
37. Le richiedenti sollecitano il rimborso degli oneri e delle spese esposti durante il procedimento dinnanzi alle giurisdizioni interne. Affermano che, i essendo deceduto l loro avvocato precedente nel 2005, non sono in grado di fornire il dettaglio di tutti gli oneri che aveva impegnato e per che gli avevano pagato globalmente. Affermano che le prove si trovavano nella pratica dinnanzi alle giurisdizioni interne. Valutano questa somma al totale a 20 000 EUR.
Trattandosi del procedimento dinnanzi alla Corte, chiedono 1 264,97 YTL, o circa 793 EUR, per rimborso di oneri diversi e 4 000 EUR per rimborso della parcella di avvocati. Producono delle fatture che giustificano le loro rivendicazioni.
38. Il Governo stima queste richieste eccessive.
39. La Corte ricorda che, quando constata una violazione della Convenzione, può accordare alle richiedenti il pagamento degli oneri e delle spese che hanno impegnato dinnanzi alle giurisdizioni nazionali per prevenire o fare correggere con queste suddetta violazione (Hertel c. Svizzera, 25 agosto 1998, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-VI, § 63). Nello specifico, l’oggetto e la posta del procedimento dinnanzi alle giurisdizioni interne erano il diritto delle interessate al rispetto del loro bene, diritto di cui la Corte ha constatato la violazione. La Corte ne deduce che le richiedenti sono abilitate a richiedere il rimborso degli oneri e delle spese impegnati da loro dinnanzi allr giurisdizioni interne.
Constatando poi che le richiedenti giustificano in grande parte le loro pretese e spiegano le ragioni per cui non possono produrre l’insieme dei documenti giustificativi, la Corte decide di assegnare congiuntamente a loro 7 000 EUR che corrispondono alla globalità degli oneri e spese.
D. Interessi moratori
40. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara il restante della richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare congiuntamente alle richiedenti, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. 9 000 EUR (novemila euro) per danno morale,
ii. 7 000 EUR (settemila euro) per gli oneri e le spese esposti dinnanzi alle giurisdizioni interne e dinnanzi alla Corte,
iii. così come ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Stabilisce che la questione dell’articolo 41 della Convenzione non è maturo per il danno patrimoniale relativo alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1; perciò,
a) riserva questo aspetto della questione;
b) invita il Governo e le richiedenti a darle cognizione, entro tre mesi, di ogni accordo al quale potrebbero arrivare;
c) riserva l’ulteriore procedimento e delega al presidente della camera la cura di fissarlo all’occorrenza.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto l’ 8 aprile 2008, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Cancelliere Presidente