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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE KECECIOGLU ET AUTRES c. TURQUIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41
Numero: 37546/02/2010
Stato: Turchia
Data: 2010-07-20 00:00:00
Organo: Sezione Terza
Testo Originale

Conclusione Danno patrimoniale – risarcimento
TERZA SEZIONE
CAUSA KEÇECİOĞLU ED ALTRI C. TURCHIA
( Richiesta no 37546/02)
SENTENZA
(Soddisfazione equa)
STRASBURGO
20 luglio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Keçecioğlu ed altri c. Turchia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
Josep Casadevall, presidente, Elisabet Fura, Boštjan il Sig. Zupančič, Alvina Gyulumyan, Ineta Ziemele, Luccichi López Guerra, Işıl Karakaş, giudici,
e da Santiago Quesada, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 29 giugno 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 37546/02) diretta contro la Repubblica della Turchia e in cui tre cittadine le Sig.re OMISSIS (“le richiedenti”), hanno investito la Corte il 9 settembre 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Con una sentenza dell’ 8 aprile 2008 (“la sentenza al principale”), la Corte ha giudicato che il mantenimento senza destinazione dei beni immobiliari agli scopi perseguiti dall’espropriazione, per 21 anni, aveva privato indebitamente i richiedenti del plusvalore generato da questo bene; ne ha dedotto che avevano subito un carico eccessivo a causa dell’espropriazione controversa e ha concluso alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (paragrafi 28-29 e punto 2 del dispositivo della sentenza al principale).
3. La Corte ha assegnato congiuntamente relativamente ai richiedenti 9 000 euro (EUR) per danno morale alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 e 7 000 EUR per gli oneri e le spese esposti dinnanzi alle giurisdizioni interne e dinnanzi alla Corte.
4. Non essendo matura la questione dell’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione per il danno patrimoniale, la Corte l’ha riservata e ha invitato il Governo e le richiedenti a sottoporle per iscritto le loro osservazioni su suddetta questione ed in particolare a darle cognizione di ogni accordo al quale sarebbero potuti arrivare (paragrafo 33 della sentenza al principale) e punto 4 del dispositivo.
5. Con una lettera del 29 luglio 2009, la parte richiedente ha informato la Corte che non c’era stato ordinamento amichevole col Governo e che desiderava mantenere a priori le sue osservazioni relative alla soddisfazione equa sottomessa alla Corte il 14 marzo 2006. Il Governo ha sottoposto le sue il 14 settembre 2009.
IN DIRITTO
A. Danni patrimoniali
6. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
7. I richiedenti privilegiano il versamento di un’indennità alla restituzione del bene, e chiedono alla Corte la concessione di una “indennità” che riflette “il valore intrinseco dell’immobile” controverso e calcolato in funzione del valore reale dell’immobile nella zona altamente turistica dove si trova, ossia 3 400 000 nuove lire turche (TRY) (2 131 661 euro (EUR)) al totale. Precisano che questa valutazione si basa essenzialmente sul rapporto di perizia effettuata da un ufficio di studi nel marzo 2006. Sollecitano inoltre un’indennità di un importo di 1 137 000 TRY (712 853 EUR) in compenso degli affitti percepiti dal municipio, prendendo il calcolo effettuato dai richiedenti che prendono come punto di partenza il 27 ottobre 1997, data dell’inizio del procedimento di restituzione del bene.
8. Se tuttavia la Corte decideva la restituzione del bene, i richiedenti, appellandosi questo stesso rapporto e su delle fotografie sottomesse, stimano che l’immobile, non essendo stato oggetto di lavori dall’espropriazione, si trova in un misero stato attualmente. Valutano il costo dei lavori a 1 751 100 TRY (1 097 868 EUR). Chiedono che questa somma venga assegnata loro in aggiunta alla restituzione del bene.
9. Il Governo fa valere che la richiesta di indennità dei richiedenti non può essere accettata. Fa valere che l’edificio in questione è stato espropriato regolarmente nel 1992 e che nell’ottobre 1995 delle indennità di espropriazione di un importo di 2 082 996 000 vecchie lire turche (equivalenti a 42 611 USD in questo periodo) sono state pagate ai richiedenti.
10. Peraltro, il Governo sostiene che i richiedenti non hanno il diritto di sollecitare un qualsiasi risarcimento per gli affitti non percepiti da loro stesse, senza per questo contestare lo sfruttamento locativo del bene. Contesta anche la stima del valore commerciale stabilito da un’agenzia immobiliare; stima priva secondo lui di valore probante e non riflettente la verità.
11. Il Governo sottopone anche un rapporto datato luglio 2009 stabilito dai servizi della municipalità di Istanbul, reale proprietario dell’immobile. Questo ultimo rapporto stima il valore reale a 2 361 348 TRY (1 117 443 EUR). Non si pronuncia né sulle degradazioni addotte né sugli affitti percepiti dal municipio di Istanbul (paragrafo 7 della sentenza al principale).
12. La Corte ricorda che una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico di mettere un termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire tanto quanto si può fare la situazione anteriore a questa (Iatridis c. Grecia (soddisfazione equa) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI).
13. Gli Stati contraenti parti in una causa sono in principio liberi di scegliere i mezzi che utilizzeranno per conformarsi ad una sentenza che constata una violazione. Questo potere di valutazione in quanto alle modalità di esecuzione di una sentenza traduce la libertà di scelta a cui è abbinato l’obbligo fondamentale imposto dalla Convenzione agli Stati contraenti: garantire il rispetto dei diritti e delle libertà garantiti (articolo 1). Se la natura della violazione permette una restituito in integrum, incombe sullo stato convenuto di realizzarla, non avendo la Corte né la competenza né la possibilità pratica di compierla lei stessa. Se il diritto nazionale non permette così, in compenso, o permette solamente imperfettamente di cancellare le conseguenze della violazione, l’articolo 41 abilita la Corte ad accordare, se c’è luogo, alla parte lesa la soddisfazione che le sembra appropriata (Brumarescu c. Romania (soddisfazione equa) [GC], no 28342/95, § 20, CEDH 2000-I, Guiso-Gallisay c. Italia (soddisfazione equa) [GC], no 58858/00, § 90, 22 dicembre 2009).
14. Trattandosi della presente causa, la Corte ricorda che, nella sua sentenza al principale, si è espressa in questi termini (§ 28):
“28. La Corte constata che il bene controverso non è stato ancora destinato alla realizzazione di lavori di interesse pubblico e che potrà difficilmente l’essere avuto riguardo alle circostanze, non contestate dal Governo, esposte più alto. Nell’occorrenza, vent’ anni sono passati dalla presa della decisione che portava espropriazione del bene senza che il progetto di utilità pubblica che fondava la privazione di proprietà fosse stato realizzato. La Corte considera che la non-utilizzazione dell’immobile per le pianificazioni conformi agli obiettivi perseguiti dall’espropriazione dà problemi allo sguardo del diritto di proprietà dei richiedenti. L’espropriazione non riguarda più un motivo di utilità pubblica e ha per effetto di privare i richiedenti di un plusvalore realizzato sul bene in causa (Motais di Narbonne, precitata, § 22; Beneficio Cappella Paolini, precitata, § 33). “
15. La Corte ha interinato così nella sua sentenza al principale che la conclusione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 si fonda sulla constatazione che il mantenimento dei beni controversi senza destinazione allo scopo dell’espropriazione per vent’ anni, ha privato indebitamente i richiedenti del plusvalore generato da questi beni. Constata come il progetto di urbanizzazione all’origine dell’espropriazione è stato annullato, così che l’edificio archiviato come monumento storico non potrebbe più essere distrutto per lasciare il posto ad un parco come previsto originariamente. Dato che una parte dello stesso immobile è stata restituita in applicazione delle disposizioni nazionali agli altri proprietari (paragrafo 6 della sentenza al principale), solamente i richiedenti sono i soli che continuano a subire delle conseguenze della situazione reale. Il Governo non spiega questo trattamento giuridico contraddittorio che subiscono i richiedenti nel caso presente. Secondo la Corte, si tratta di un stato di fatto, interamente imputabile alle autorità nazionali.
16. Nello specifico, i richiedenti espongono che il valore dell’edificio, situato in una zona turistica fortemente stimata della città, è aumentato notevolmente per i vent’ anni che hanno seguito l’espropriazione; producono diversi documenti che supportano questa tesi. Suddetto edificio ha dunque conosciuto un plusvalore di cui si sono trovate private per l’essenziale.
17. Il Governo stima il valore reale a 2 361 348 TRY (1 117 443 EUR) senza pronunciarsi sugli affitti percepiti dall’espropriazione da parte del municipio di Istanbul.
18. In questo contesto, conviene constatare da prima che una reale difficoltà esiste per la Corte di valutare la perdita pecuniaria dei richiedenti. A questo proposito, la Corte attira l’attenzione sulla Raccomandazione del Comitato dei Ministri del 12 maggio 2004 (Rec (2004)6) sul miglioramento dei ricorsi interni nella quale questo ricorda che, al di là dell’obbligo, in virtù dell’articolo 13 della Convenzione, di offrire ad ogni persona che ha un motivo di appello difendibile, un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, gli Stati hanno un obbligo generale di ovviare ai problemi sottostanti alle violazioni constatate ( Broniowski c. Polonia [GC], no 31443/96, § 193, CEDH 2004-V). In questo contesto, la Corte stima che le giurisdizioni nazionali sono poste meglio per valutare le perdite reali dei richiedenti nel modo più appropriato che sia. Perciò, stima che un ricorso per indennizzo o un ricorso per constatazione del valore dell’edificio espropriato (tespit davası) dando adito ad indennizzo, d’ufficio o su ricorso, da parte dell’amministrazione, avrebbe potuto costituire la forma più adatta alla correzione di una violazione dell’articolo 1 del Protocollo 1 (vedere, mutatis mutandis, Gençel c. Turchia, no 53431/99, § 27, 23 ottobre 2003). Il Governo resta silenzioso su questa possibilità e si accontenta di presentare una valutazione preparata dalla Municipalità di Istanbul, reale proprietario.
19. A difetto di tale ricorso e constatando la mancanza di ordinamento amichevole tra le parti, la Corte giudica appropriato fissare una somma forfetaria, tanto che si può fare, e considera che questa somma deve in principio corrispondere al valore venale reale dell’edificio (Motais di Narbonne c. Francia (soddisfazione equa), no 48161/99, § 19, 27 maggio 2003).
20. Secondo la Corte i richiedenti possono aspirare, a titolo del risarcimento del loro danno patrimoniale, al pagamento di una somma che corrisponde al valore venale reale dell’edificio, dato che l’espropriazione effettuata ha perso la sua legittimità di origine e ha costituito almeno una forma di arricchimento infondato dal 1997 (paragrafo 8 della sentenza al principale). per il municipio di Istanbul che continua al momento a sfruttarlo in locazione, ciò che il Governo non contesta. Tenendo conto di tutti questi aspetti, la Corte propone una somma forfetaria dalla quale l’importo delle indennità di espropriazione ricevuta dai richiedenti è stato dedotto.
21. Deliberando in equità, la Corte giudica ragionevole di assegnare congiuntamente ai richiedenti 2 000 000 EUR.
B. Interessi moratori
22. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare congiuntamente ai richiedenti, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, la somma di 2 000 000 EUR (due milioni euro) a titolo di danno patrimoniale, da convertire in lire turche al tasso applicabile in data dell’ordinamento, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
2. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 20 luglio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Cancelliere Presidente

Testo Tradotto

Conclusion Dommage matériel – réparation
TROISIÈME SECTION
AFFAIRE KEÇECİOĞLU ET AUTRES c. TURQUIE
(Requête no 37546/02)
ARRÊT
(Satisfaction équitable)
STRASBOURG
20 juillet 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Keçecioğlu et autres c. Turquie,
La Cour européenne des droits de l’homme (troisième section), siégeant en une chambre composée de :
Josep Casadevall, président,
Elisabet Fura,
Boštjan M. Zupančič,
Alvina Gyulumyan,
Ineta Ziemele,
Luis López Guerra,
Işıl Karakaş, juges,
et de Santiago Quesada, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 29 juin 2010,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 37546/02) dirigée contre la République de Turquie et dont trois ressortissantes Mmes OMISSIS (« les requérantes »), ont saisi la Cour le 9 septembre 2002 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Par un arrêt du 8 avril 2008 (« l’arrêt au principal »), la Cour a jugé que le maintien sans affectation des biens immobiliers aux buts poursuivis par l’expropriation, durant 21 ans, avait indûment privé les requérantes de la plus-value engendrée par ce bien ; elle en a déduit qu’elles avaient subi une charge excessive du fait de l’expropriation litigieuse et a conclu à la violation de l’article 1 du Protocole no 1 (paragraphes 28-29 et point 2 du dispositif l’arrêt au principal).
3. La Cour a alloué conjointement aux requérantes 9 000 euros (EUR) pour dommage moral relativement à la violation de l’article 1 du Protocole no 1 et 7 000 EUR pour les frais et dépens exposés devant les juridictions internes et devant la Cour.
4. La question de l’application de l’article 41 de la Convention ne se trouvant pas en état pour le dommage matériel, la Cour l’a réservée et a invité le Gouvernement et les requérantes à lui soumettre par écrit leurs observations sur ladite question et notamment à lui donner connaissance de tout accord auquel ils pourraient aboutir (paragraphe 33 de l’arrêt au principal, et point 4 du dispositif).
5. Par une lettre du 29 juillet 2009, la partie requérante a informé la Cour qu’il n’y avait pas eu de règlement amiable avec le Gouvernement et qu’elle souhaitait maintenir ses observations relatives à la satisfaction équitable préalablement soumises à la Cour le 14 mars 2006. Le Gouvernement a soumis les siennes le 14 septembre 2009.
EN DROIT
A. Dommages matériels
6. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
7. Les requérantes privilégient le versement d’une indemnité à la restitution du bien, et demandent à la Cour l’octroi d’une « indemnité » reflétant « la valeur intrinsèque de l’immeuble » litigieux et calculée en fonction de la valeur actuelle de l’immeuble dans la zone hautement touristique où il se trouve, à savoir 3 400 000 nouvelles livres turques (TRY) (2 131 661 euros (EUR)) au total. Elles précisent que cette évaluation se fonde essentiellement sur le rapport d’expertise effectué par un bureau d’études en mars 2006. Elles sollicitent en outre une indemnité d’un montant de 1 137 000 TRY (712 853 EUR) en compensation des loyers perçus par la mairie, le calcul effectué par les requérantes prenant comme point de départ le 27 octobre 1997, date du début de la procédure de restitution du bien.
8. Si toutefois la Cour décidait de la restitution du bien, les requérantes, s’appuyant sur ce même rapport et sur des photographies soumises, estiment que l’immeuble, n’ayant pas fait l’objet de travaux depuis l’expropriation, se trouve actuellement dans un piètre état. Elles évaluent le coût des travaux à 1 751 100 TRY (1 097 868 EUR). Elles demandent que cette somme leur soit allouée en sus de la restitution du bien.
9. Le Gouvernement fait valoir que la demande d’indemnité des requérantes ne peut pas être acceptée. Il fait valoir que le bâtiment en question a été exproprié régulièrement en 1992 et qu’en octobre 1995 des indemnités d’expropriation d’un montant de 2 082 996 000 anciennes livres turques (équivalant à 42 611 USD à cette période) ont été payées aux requérantes.
10. Par ailleurs, le Gouvernement soutient que les requérantes n’ont pas le droit de solliciter une quelconque réparation pour les loyers non perçus par elles-mêmes, sans pour autant contester l’exploitation locative du bien. Il conteste également l’estimation de la valeur marchande établie par une agence immobilière ; estimation dépourvue selon lui de valeur probante et ne reflétant pas la vérité.
11. Le Gouvernement soumet également un rapport daté de juillet 2009 établi par les services de la municipalité d’Istanbul, actuel propriétaire de l’immeuble. Ce dernier rapport estime la valeur actuelle à 2 361 348 TRY (1 117 443 EUR). Il ne se prononce ni sur les dégradations alléguées ni sur les loyers perçus par la mairie d’Istanbul (paragraphe 7 de l’arrêt au principal).
12. La Cour rappelle qu’un arrêt constatant une violation entraîne pour l’État défendeur l’obligation juridique de mettre un terme à la violation et d’en effacer les conséquences de manière à rétablir autant que faire se peut la situation antérieure à celle-ci (Iatridis c. Grèce (satisfaction équitable) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI).
13. Les États contractants parties dans une affaire sont en principe libres de choisir les moyens dont ils useront pour se conformer à un arrêt constatant une violation. Ce pouvoir d’appréciation quant aux modalités d’exécution d’un arrêt traduit la liberté de choix dont est assortie l’obligation primordiale imposée par la Convention aux États contractants : assurer le respect des droits et libertés garantis (article 1). Si la nature de la violation permet une restitutio in integrum, il incombe à l’État défendeur de la réaliser, la Cour n’ayant ni la compétence ni la possibilité pratique de l’accomplir elle-même. Si, en revanche, le droit national ne permet pas ou ne permet qu’imparfaitement d’effacer les conséquences de la violation, l’article 41 habilite la Cour à accorder, s’il y a lieu, à la partie lésée la satisfaction qui lui semble appropriée (Brumarescu c. Roumanie (satisfaction équitable) [GC], no 28342/95, § 20, CEDH 2000-I, Guiso-Gallisay c. Italie (satisfaction équitable) [GC], no 58858/00, § 90, 22 décembre 2009).
14. S’agissant de la présente affaire, la Cour rappelle que, dans son arrêt au principal, elle s’est exprimée en ces termes (§ 28) :
« 28. La Cour constate que le bien litigieux n’a toujours pas été affecté à la réalisation d’ouvrages d’intérêt public et qu’il pourra difficilement l’être eu égard aux circonstances, non contestées par le Gouvernement, exposées plus haut. En l’occurrence, vingt et un ans se sont écoulés depuis la prise de la décision portant expropriation du bien sans que le projet d’utilité publique fondant la privation de propriété ait été réalisé. La Cour considère que la non-utilisation de l’immeuble pour des aménagements conformes aux objectifs poursuivis par l’expropriation pose problème au regard du droit de propriété des requérantes. L’expropriation ne repose plus sur un motif d’utilité publique et a pour effet de priver les requérantes d’une plus-value réalisée sur le bien en cause (Motais de Narbonne, précité, § 22 ; Beneficio Cappella Paolini, précité, § 33). »
15. La Cour a ainsi entériné dans son arrêt au principal que la conclusion de violation de l’article 1 du Protocole no 1 repose sur le constat que le maintien des biens litigieux sans affectation au but de l’expropriation durant vingt et un ans, a indûment privé les requérantes de la plus-value engendrée par ces biens. Elle constate de même que le projet d’urbanisation à l’origine de l’expropriation a été annulé, de sorte que le bâtiment classé monument historique ne pourrait plus être détruit pour laisser la place à un parc comme prévu originairement. Étant donné qu’une partie du même immeuble a été restituée en application des dispositions nationales aux autres propriétaires (paragraphe 6 de l’arrêt au principal), ce ne sont que les requérantes seules qui continuent à subir des conséquences de la situation actuelle. Le Gouvernement ne s’explique pas sur ce traitement juridique contradictoire que subissent les requérantes dans le cas présent. Selon la Cour, il s’agit là d’un état de fait, entièrement imputable aux autorités nationales.
16. En l’espèce, les requérantes exposent que la valeur du bâtiment, situé dans une zone touristique fort prisée de la ville, a notablement augmenté au cours des vingt et un ans qui ont suivi l’expropriation ; elles produisent divers documents étayant cette thèse. Ledit bâtiment a donc connu une plus-value, dont elles se sont trouvées privées pour l’essentiel.
17. Le Gouvernement estime la valeur actuelle à 2 361 348 TRY (1 117 443 EUR), sans se prononcer sur les loyers perçus depuis l’expropriation par la mairie d’Istanbul.
18. Dans ce contexte, il convient de constater d’abord qu’une réelle difficulté existe pour la Cour d’évaluer la perte pécuniaire des requérantes. A ce propos, la Cour attire l’attention sur la Recommandation du Comité des Ministres du 12 mai 2004 (Rec (2004)6) sur l’amélioration des recours internes, dans laquelle celui-ci rappelle que, au-delà de l’obligation, en vertu de l’article 13 de la Convention, d’offrir à toute personne ayant un grief défendable, un recours effectif devant une instance nationale, les États ont une obligation générale de remédier aux problèmes sous-jacents aux violations constatées (Broniowski c. Pologne [GC], no 31443/96, § 193, CEDH 2004-V). Dans ce contexte, la Cour estime que les juridictions nationales sont mieux placées pour évaluer les pertes réelles des requérantes de la manière la plus appropriée qu’il soit. En conséquence, elle estime qu’un recours en indemnisation ou un recours en constatation de la valeur du bâtiment exproprié (tespit davası) donnant lieu à l’indemnisation (d’office ou sur recours) par l’administration, aurait pu constituer la forme la plus adaptée au redressement d’une violation de l’article 1 du Protocole 1 (voir, mutatis mutandis, Gençel c. Turquie, no 53431/99, § 27, 23 octobre 2003). Le Gouvernement reste silencieux sur cette possibilité et se contente de présenter une évaluation préparée par la Municipalité d’Istanbul, actuel propriétaire.
19. A défaut d’un tel recours et en constatant l’absence de règlement amiable entre les parties, la Cour juge approprié de fixer une somme forfaitaire, autant que faire se peut, et considère que cette somme doit en principe correspondre à la valeur vénale actuelle du bâtiment (Motais de Narbonne c. France (satisfaction équitable), no 48161/99, § 19, 27 mai 2003).
20. Selon la Cour les requérantes peuvent aspirer, au titre de la réparation de leur préjudice matériel, au paiement d’une somme correspondant à la valeur vénale actuelle du bâtiment, étant donné que l’expropriation effectuée a perdu sa légitimité d’origine et constitue une forme d’enrichissement infondé au moins depuis 1997 (paragraphe 8 de l’arrêt au principal). pour la mairie d’Istanbul qui continue à l’heure actuelle à l’exploiter en location, ce que le Gouvernement ne conteste pas. En tenant compte de tous ces aspects, la Cour propose une somme forfaitaire de laquelle le montant des indemnités d’expropriation reçues par les requérantes a été déduit.
21. Statuant en équité, la Cour juge raisonnable d’allouer conjointement aux requérantes 2 000 000 EUR.
B. Intérêts moratoires
22. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Dit
a) que l’État défendeur doit verser conjointement aux requérantes, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, la somme de 2 000 000 EUR (deux millions euros), au titre de dommage matériel, à convertir en livres turques au taux applicable à la date du règlement, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ce montant sera à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
2. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 20 juillet 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Greffier Président

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