TERZA SEZIONE
CAUSA KARL GOTTFRIED SCHWARZ E
HELMUT MARTIN SCHWARZ C. ROMANIA
( Richiesta no 39740/03)
SENTENZA
STRASBURGO
12 gennaio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Karl Gottfried Schwarz e Helmut Martin Schwarz c. Romania,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, terza sezione, riunendosi in una camera composta da:
Josep Casadevall, presidente, Elisabet Fura, Corneliu Bîrsan, Boštjan il Sig. Zupančič, Alvina Gyulumyan, Egbert Myjer, Ann Power, giudici,
e da Santiago Quesada, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio l’ 8 dicembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 39740/03) diretta contro la Romania e di cui due cittadini tedeschi, i Sigg. K. G. S. e H. M. S. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 13 novembre 2003 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da E. M., avvocato ad Alba-Iulia. Il governo rumeno (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, Rãzvan-Horaşiu Radu, del ministero delle Cause estere.
3. I richiedenti adducono in particolare un attentato al loro diritto ad un processo equo, in ragione del rifiuto delle giurisdizioni nazionali di esaminare uno dei loro mezzi di ricorso, così come un attentato al loro diritto al rispetto dei beni.
4. Il 24 aprile 2008, il presidente della terza sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
5. Il governo tedesco al quale una copia della richiesta è stata comunicata, in virtù dell’articolo 44 § 1 a) dell’Ordinamento della Corte, non ha desiderato presentare il suo punto di vista sulla causa.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
6. I richiedenti, fratelli, sono nati rispettivamente nel 1954 e 1966 e risiedono ad Augsburg (Germania).
7. I richiedenti erano proprietari indivisi della metà di un bene immobiliare situato a Valea Lungă, al numero 24 della via Victoriei, ed iscritto sul registro fondiario sotto il numero 2043. Loro nonna, S.M, era la proprietaria dell’altra metà della comunione.
8. Nel 1989, i richiedenti lasciarono la Romania per la Germania.
9. Con due decisioni del 20 febbraio e del 27 giugno 1989, il consiglio popolare dipartimentale di Alba confiscò la parte dell’immobile appartenente ai richiedenti, in applicazione del decreto no 223/1974. Secondo questo decreto, erano confiscati i beni immobili appartenenti ai cittadini rumeni che lasciavano illegalmente il territorio rumeno così come i beni di quelli che, trovandosi legalmente all’estero, negavano di ritornare in Romania alla scadenza del loro visto. Lo stato fece iscrivere il suo diritto di proprietà sul registro fondiario.
10. Il decreto no 223/1974 fu abrogato il 31 dicembre 1989.
11. Nel 1992, i coniugi F. acquistarono la parte del bene appartenente a S.M. ed impegnarono in seguito un’azione per divisione contro il consiglio locale di Valea Lungă (“il consiglio locale”). Con un giudizio definitivo del 1 marzo 1993, il tribunale concedette la totalità del bene in piena proprietà ai coniugi F. che, in compenso, furono condannati a versare un conguaglio allo stato.
1. L’azione di constatazione della mancanza di titolo dello stato e di annullamento del titolo di proprietà dei coniugi F.
12. Nel 2001, i richiedenti investirono il tribunale di prima istanza di Blaj di un’azione contro il consiglio locale, il consiglio dipartimentale di Alba (“il consiglio dipartimentale”) e i coniugi F. basandosi sull’articolo 6 della legge no 213/1998 sulla tenuta pubblica ed il suo regime giuridico (“la legge no 213/1998”), chiesero al tribunale di constatare che lo stato non aveva mai avuto titolo valido sulla loro parte del bene, nella misura in cui il decreto no 223/1974 era contrario alla Costituzione del 1965 in vigore all’epoca della confisca così come ai Patti sui diritti dell’uomo ratificati dalla Romania. Il loro secondo capo di richiesta prevedeva l’annullamento dell’attribuzione dell’immobile ai coniugi F.
13. Con un giudizio del 12 marzo 2002, il tribunale di prima istanza fece diritto alla loro azione. Giudicò che il decreto no 223/1974 era contrario alla Costituzione del 1965 e che quindi le decisioni rese sul suo fondamento erano nulle. Constatò, peraltro, che le decisioni di confisca non erano state comunicate a ciascuno dei due richiedenti e che nessuno indennizzo era stato versato loro.
14. I coniugi F. ed il consiglio dipartimentale interposero appello contro questo giudizio, facendo valere che la parte dell’immobile rivendicato dai richiedenti era diventata proprietà dello stato in applicazione delle disposizioni del decreto no 223/1974 e che le giurisdizioni nazionali erano competenti solamente per analizzare se le decisioni di confisca erano conformi al decreto no 223/1974 e non per esaminare la questione di sapere se questo decreto era conforme o meno alla Costituzione del 1965.
15. Nelle loro osservazioni in risposta, i richiedenti sottolinearono che avevano fondato la loro azione sull’articolo 6 della legge no 213/1998 e che la Corte costituzionale, quando era stata investita dell’eccezione di incostituzionalità del decreto no 223/1974, si era limitata a constatare che non era competente per esaminare la costituzionalità degli atti normativi abrogati rispetto ad una Costituzione che non era più in vigore. Si appellarono alla decisione no 2078 del 13 giugno 2000 della Corte suprema di giustizia che, basandosi sull’articolo 6 precitato della legge no 213/1998, aveva giudicato che il decreto no 223/1974 era contrario alla Costituzione rumena del 1965, essendo stata sufficiente questa constatazione affinché fosse concluso che lo stato non beneficiava di un titolo valido (paragrafo 30 sotto).
16. Con una sentenza del 25 settembre 2002, il tribunale dipartimentale di Alba accolse l’appello, respingendo l’azione dei richiedenti. Il tribunale giudicò che i tribunali non erano competenti per esaminare la questione della costituzionalità del decreto no 223/1974, ma unicamente per verificare se le sue disposizioni erano state rispettate. Il tribunale menzionò le decisioni numeri 14 e 15 del 10 marzo 1993, 62 del 1 giugno 1994 e 63 del 20 giugno 1995 della Corte costituzionale dalle quali risultava secondo lui che era competente solamente per deliberare sul “merito” della causa.
17. Il tribunale considerò che le decisioni di confisca erano conformi alle disposizioni del decreto no 223/1974 e che si trattava di una privazione “fondata in titolo” (cu titlu) dunque. Il tribunale notò che la comunicazione di queste decisioni ad uno solo dei due richiedenti era motivata dal fatto che le autorità non avevano informazioni sul domicilio dell’altro e che il non-versamento dell’indennità non poteva essere rimproverato alle autorità nella misura in cui i richiedenti non l’avevano richiesta.
18. I richiedenti formarono un ricorso, sostenendo che il tribunale dipartimentale non aveva esaminato la validità del titolo dello stato alla luce dell’articolo 6 della legge no 213/1998 come era stato invitato, che non aveva motivato la sua sentenza e che non aveva indicato la natura giuridica della divisione al seguito della quale i coniugi F. avevano acquisito l’immobile.
19. Con una sentenza definitiva del 14 maggio 2003, la corte di appello di Alba Iulia respinse il ricorso. Dopo avere riassunto i motivi di ricorso invocati, la corte di appello si espresse nei seguenti termini per esaminare il capo della richiesta dei richiedenti concernente la validità del titolo dello stato:
Esaminando la sentenza contestata, la corte di appello constata che il tribunale ha reso una decisione legale, ampiamente motivata su tutti i capi di richiesta formulati dai richiedenti.
Così, la giurisdizione che delibera in appello ha precisato che la statalizzazione della parte appartenente ai richiedenti è stata fatta in virtù del decreto no 223/1974, atto normativo di cui [non controllava] la costituzionalità, ma le modalità concrete di applicazione delle sue disposizioni così come la loro applicabilità ad una certa categoria di persone. La Corte costituzionale ha respinto l’eccezione di incostituzionalità del suddetto decreto e, con le decisioni numeri 14/1993, 15/1993, 62/1994 e 63/1995, ha considerato la competenza dei tribunali per giudicare il merito della causa. Poi, secondo le leggi numeri 112/1995 e 10/2001, i beni presi dallo stato in virtù del decreto no 223/1974 sono reputati presi con titolo. [La giurisdizione che delibera in appello ha precisato] che la parte dei richiedenti è stata presa in virtù di questo atto normativo [decreto 223/1974] nel rispetto del procedimento previsto. [La giurisdizione che delibera in appello ha precisato] che il bene è stato valutato ma che i richiedenti non hanno sollecitato il pagamento dell’indennità.”
20. La corte di appello considerò anche che i coniugi F. avevano acquistato la parte del bene che apparteneva a S.M. e che quindi la loro buona fede non poteva essere rimessa in causa. In quanto alla parte appartenuta prima ai richiedenti, questa era stata assegnata ai coniugi F. in seguito ad un procedimento di divisione, dopo versamento di un conguaglio allo stato.
2. I passi compiuti sul fondamento della legge no 10/2001
21. Il 13 novembre 2001, i richiedenti indirizzarono una notifica al municipio di Valea Lungă (“il municipio”) per vedersi restituire la parte del bene di cui erano i proprietari prima del 1989.
22. In mancanza di risposta, l’ 8 settembre 2005, reiterarono la loro istanza.
23. Con una decisione del 26 ottobre 2005, il municipio respinse la loro istanza al motivo che era stata introdotta tardivamente.
24. Con un giudizio diventato definitivo del 22 febbraio 2006, il tribunale dipartimentale di Alba fece diritto al ricorso dei richiedenti contro questa decisione, annullandolo e condannando il municipio a rispondere alla loro istanza.
25. Il 12 settembre 2006, i richiedenti incaricarono un ufficiale giudiziario di giustizia di fare eseguire il giudizio del 22 febbraio 2006. Il 14 settembre 2006 e l’11 gennaio 2007, l’ufficiale giudiziario chiese al municipio di eseguire il giudizio, senza che gli fosse data una risposta.
26. Il 27 febbraio 2008, il municipio emise la decisione nº 212 con la quale respinse l’istanza dei richiedenti di restituzione della metà dell’immobile controverso e propose la concessione di un risarcimento in virtù della legge nº 247/2005. In mancanza di contestazione in giustizia questa decisione diventò definitiva.
27. Risulta da una lettera indirizzata il 16 settembre 2008 dal municipio al Governo che la pratica dei richiedenti non è stata trasmessa alla commissione centrale per la determinazione dei risarcimenti (“la commissione centrale”), al motivo che i richiedenti non avevano rinunciato a tutti i loro ricorsi dinnanzi ai tribunali. Con una lettera del 9 febbraio 2009, il municipio informò i richiedenti che la loro pratica non era stata rimessa a suddetta commissione perché avevano introdotto una richiesta presso la Corte. Le autorità hanno indicato che la pratica sarebbe stata trasmessa alla commissione centrale solo se la Corte avesse reso una sentenza sfavorevole ai richiedenti.
II. IL DIRITTO E LE PRATICA INTERNA PERTINENTI
28. Le disposizioni legali applicabili sono descritte nelle sentenze Străin ed altri c. Romania (no 57001/00, CEDH 2005-VII, §§ 19-26), Păduraru c. Romania (no 63252/00) §§ 38-53, 1 dicembre 2005); Tudor c. Romania, (no 29035/05, §§ 15–20, 11 dicembre 2007) e Viaşu c. Romania, (no 75951/01, § 37-46, 9 dicembre 2008).
29. L’articolo 6 della legge no 213 del 24 novembre 1998 sulla tenuta pubblica ed il suo regime giuridico è redatto così:
“1. Fanno anche parte della tenuta pubblica o privata dello stato o delle altre strutture amministrative, i beni acquisiti dallo stato tra il 6 marzo 1945 ed il 22 dicembre 1989, per quanto siano entrati nel patrimonio dello stato in virtù di un titolo, cioè nel rispetto della Costituzione, dei trattati internazionali ai quali la Romania era parte e delle leggi in vigore in data in cui i beni in questione sono entrati nel patrimonio dello stato.
2. Eccetto nel caso in cui la loro situazione si trova regolata dalle leggi speciali di risarcimento, i beni detenuti dallo stato senza titolo valido, ivi compresi quelli che sono stati acquisiti in seguito ad un vizio del consenso, possono essere rivendicati dai vecchi proprietari o dai loro eredi.
3. I tribunali sono competenti per valutare la validità del titolo. “
30. La decisione no 2078 resa dalla sezione civile della Corte suprema di giustizia il 13 giugno 2000 è formulata così nella sua parte pertinente:
“In virtù dell’articolo 6 § 2 della legge no 213/1998 sulla tenuta pubblica ed il suo regime giuridico, i beni presi dallo stato senza titolo valido possono essere rivendicati dai vecchi proprietari o dai loro eredi, se non sono oggetto di una legge speciale di risarcimento.
Il richiedente sostiene che nello specifico il titolo di proprietà dello stato, ossia la decisione no 159 del 20 febbraio 1984, era nullo e privo di effetti giuridici, al motivo che il decreto no 223/1974, in virtù del quale era stato emesso, era contrario alla Costituzione del 1965 ed al codice civile, nei suoi articoli 480 e 481, così come ai trattati internazionali ai quali la Romania aveva aderito, opinione confermata dalle giurisdizioni inferiori.
Difatti, in virtù dell’articolo 1 del decreto no 223/1974, solo le persone fisiche domiciliate nel paese potevano essere i proprietari dei beni immobiliari, ed in virtù dell’articolo 2 (2) dello stesso atto normativo, le costruzioni appartenenti ai cittadini rumeni che lasciavano illegalmente il territorio rumeno ed a quelli che, trovandosi legalmente all’estero, negavano di ritornare in Romania alla scadenza del loro visto, passavano senza risarcimento nel patrimonio dello stato.
Queste disposizioni legali erano contrarie all’articolo 36 della Costituzione del 1965 secondo cui il diritto di proprietà era garantito dalla legge, così come all’articolo 481 del codice civile secondo cui nessuno può essere costretto a cedere la sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e con un risarcimento equo e preliminare. In queste condizioni, le giurisdizioni inferiori hanno a buon diritto constatato la nullità della decisione amministrativa dalla quale il bene è passato nel patrimonio dello stato e la mancanza di titolo valido dello stato, essendo applicabile l’articolo 6 della legge no 213/1998 nello specifico. (…)
Le giurisdizioni inferiori hanno constatato la nullità della decisione come una conseguenza normale del fatto che l’atto normativo stesso, in virtù del quale la decisione è stata resa, ossia il decreto no 223/1974, col suo carattere discriminatorio ed iniquo, era contrario alla Costituzione in vigore in data della sua adozione, alle disposizioni del codice civile in materia di diritto di proprietà così come ai trattati internazionali ai quali la Romania ha aderito. Trattandosi di un attentato all’ordine costituzionale, è evidente che gli atti susseguenti emessi in virtù del suddetto decreto, com’è il caso della decisione amministrativa in causa, sono nulli e non producono effetti giuridici.
In questo contesto, il mezzo di ricorso secondo cui le giurisdizioni inferiori non hanno esaminato il carattere costitutivo dei diritti della decisione in causa non è pertinente nello specifico “
31. La Corte suprema di giustizia ha riaffermato questa posizione nelle sue sentenze ulteriori tra cui le sentenze numeri 1366, 2605 e 3692 rispettivamente del 3 aprile, del 17 giugno e del 30 settembre 2003.
32. Negli anni 90, la Corte costituzionale è stata investita a più riprese dell’eccezione di incostituzionalità del decreto no 223/1974 allo sguardo della Costituzione rumena del 1965. In due decisioni numeri 14 e 15 del 10 marzo 1993, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 18 maggio 1993, la Corte costituzionale ha respinto come mal fondata l’eccezione di incostituzionalità, al motivo che non era competente per esaminare la costituzionalità di un atto normativo abrogato rispetto ad una Costituzione- nell’occorrenza quella del 1965-che non era più in vigore. La Corte costituzionale ha confermato questa soluzione con due ulteriori decisioni -decisioni numeri 62, del 1 giugno 1994, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 23 gennaio 1995, e 104, del 9 luglio 1998 pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 29 luglio 1998. A queste decisioni si aggiunge la decisione no 63 del 20 giugno 1995 della Corte costituzionale che non ricadeva sul decreto no 223/1974 ma ha deliberato in modo simile sull’eccezione di incostituzionalità dei decreti numeri 218/1960 e 712/1966.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE A RAGIONE DEL DIRITTO AD UN PROCESSO EQUO
33. I richiedenti adducono che il loro diritto ad un processo equo è stato ignorato per il fatto che le giurisdizioni nazionali non hanno analizzato la validità del titolo di proprietà dello stato alla luce dell’articolo 6 della legge no 213/1998, e che la corte di appello che non ha risposto in nessun modo al loro mezzo di ricorso riguardante questo fatto. Invocano l’articolo 6 della Convenzione, così formulato nella sua parte pertinente:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
34. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
35. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
36. I richiedenti notano che, contrariamente alla giurisprudenza della Corte suprema di giustizia, le giurisdizioni nazionali hanno negato di esaminare la validità del titolo dello stato alla luce dell’articolo 6 della legge no 213/1998 come erano invitate. Contestano la pertinenza dei rinvii operati alle decisioni della Corte Costituzionale, nella misura in cui queste ultime si limitavano ad affermare l’incompetenza della Corte Costituzionale per esaminare la conformità degli atti normativi abrogati con una Costituzione che non era più in vigore. I richiedenti sostengono che la corte di appello non ha esercitato un controllo reale della decisione della giurisdizione di appello, perché la motivazione di una decisione giudiziale deve rispondere ai mezzi di ricorso invocati.
37. Per ciò che riguarda il rifiuto delle giurisdizioni nazionali di esaminare la validità del titolo dello stato alla luce della costituzionalità del decreto no 223/1974, il Governo sottolinea che le giurisdizioni di appello e di ricorso hanno motivato le loro decisioni, basandosi sulla pratica consolidata della Corte Costituzionale. Nota anche che, nel sistema giuridico rumeno, le decisioni della Corte suprema di giustizia non costituiscono una sorgente di diritto e non hanno alcuna forza obbligatoria per le istanze giudiziali, eccetto le soluzioni rese nei ricorsi nell’interesse della legge. Considera che è appellandosi alle disposizioni delle leggi numeri 112/1995 e 10/2001 e alla letteratura e alla pratica giuridica esistente al momento dei giudizi concernenti l’interpretazione delle nozioni di confisca senza titolo valido (fără titlu) e fondata in titolo (cu titlu) che le giurisdizioni hanno constatato che il decreto nº 223/1974 rappresentava un titolo valido di confisca.
38. Per ciò che riguarda la motivazione della sentenza della corte di appello, il Governo considera che le affermazioni dei richiedenti sono state esaminate integralmente. Precisa che il merito della richiesta dei richiedenti è stato analizzato dal tribunale dipartimentale e che la corte di appello, riprendendo la motivazione fatta dal tribunale dipartimentale, non aveva il dovere di rispondere a tutti gli argomenti delle parti o di riprendere tutti gli aspetti considerati dalla giurisdizione inferiore.
39. La Corte ricorda al primo colpo che se non le appartiene conoscere gli errori di fatto o di diritto presumibilmente commessi dalle giurisdizioni nazionali, deve assicurarsi che la loro interpretazione della legislazione interna e delle prove non è inficiata di arbitrarietà, il che sarebbe di natura tale da recare offesa all’equità del procedimento (vedere, Tejedor García c. Spagna, sentenza del 16 dicembre 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VIII, § 31; Brualla Gómez del Torre c. Spagna, sentenza del 19 dicembre 1997, Raccolta 1997-VIII, §§ 31 e 32; Principe Hans-Adamo II di Liechtenstein c. Germania [GC], no 42527/98, §§ 49 e 50, CEDH 2001-VIII).
40. Peraltro, sebbene l’articolo 6 § 1 della Convenzione non regolamentano l’ammissibilità e la forza probante dei mezzi, argomenti ed offerte di prova delle parti, istituisce a carico dei tribunali un obbligo di concedersi al loro esame effettivo, salvo a valutarne la pertinenza (Van di Hurk c. Paesi Bassi, sentenza del 19 aprile 1994, serie A no 288, § 59). Senza esigere una risposta dettagliata ad ogni argomento del querelante, questo obbligo presuppone, però, che la parte lesa possa aspettarsi una risposta specifica ed esplicita ai mezzi decisivi per la conclusione del procedimento in causa (Ruiz Torija e Hiro Balani c. Spagna, sentenze del 9 dicembre 1994, serie A numero 303-A e 303-B, §§ 29 e 30, e §§ 27 e 28).
41. Nello specifico, la Corte osserva che i richiedenti si sono opposti all’argomento del consiglio dipartimentale e dei coniugi F. che invocavano il decreto no 223/1974 per giustificare la validità del titolo di proprietà dello stato, il mezzo derivato dell’incostituzionalità di questo decreto, constatato dalla Corte suprema di giustizia in una sentenza del 2000. A questo riguardo, la Corte rileva che secondo la giurisprudenza consolidata della Corte suprema di giustizia, lo stato non poteva invocare il decreto precitato per convalidare un trasferimento di proprietà (paragrafi 30 e 31 sopra).
42. Tuttavia, il tribunale dipartimentale ha accolto la tesi del consiglio dipartimentale e dei coniugi F. e, senza pronunciarsi in quanto all’incostituzionalità del decreto precitato, ha giudicato che dopo la confisca del bene immobiliare, lo stato ne era diventato proprietario in virtù di questo decreto.
43. La Corte rileva che non le appartiene esaminare la fondatezza del mezzo derivato dell’incostituzionalità del decreto no 223/1974, incombendo questo compito sulle giurisdizioni nazionali. Però, nota che questo esame era decisivo per la conclusione del procedimento nella misura in cui, secondo la giurisprudenza della Corte suprema di giustizia, la constatazione dell’incostituzionalità di suddetto decreto avrebbe potuto bastare ad invalidare il titolo dello stato, non essendo più necessaria un’analisi al merito in questo caso. In altri termini, se il tribunale dipartimentale o la corte di appello avesse esaminato questo mezzo e l’avesse giudicato fondato, avrebbero potuto constatare la mancanza, di conseguenza, di titolo valido dello stato sulla parte del bene rivendicato dai richiedenti. In più, l’articolo 6 della legge no 213/1998 esige un controllo giudiziale della costituzionalità dei trasferimenti dei beni nel patrimonio dello stato intervenuti tra il 6 marzo 1945 ed il 22 dicembre 1989. Ora, si forzati a constatare che tale controllo non ha avuto luogo nello specifico.
44. Nella presente causa, tenuto conto dell’incidenza decisiva del mezzo derivato dell’incostituzionalità del decreto no 223/1974, la corte di appello non poteva liberarsi dal suo obbligo di esaminare le questioni sollevate nel ricorso dei richiedenti limitandosi, come ha fatto, a ricordare i motivi considerati dal tribunale dipartimentale a sostegno della sua decisione. Ciò tanto più che le giurisdizioni inferiori erano arrivate a conclusioni radicalmente differenti e che era per la sua parte chiamata a deliberare in ultima istanza ed a rendere una decisione definitiva ed irrevocabile (Albina c. Romania, no 57808/00, § 34, 28 aprile 2005).
45. La Corte stima infine che il mezzo di ricorso dei richiedenti esigeva da parte della corte di appello una risposta specifica ed esplicita. In mancanza di ciò, è impossibile sapere se questa giurisdizione abbia omesso semplicemente di prendere in conto questo mezzo o se abbia voluto respingerlo, ed in questa ultima ipotesi, per quale ragione (Vlasia Grigore Vasilescu c. Romania, no 60868/00, § 44, 8 giugno 2006).
46. Alla luce di ciò che precede, la Corte conclude che la causa dei richiedenti nel procedimento in constatazione della mancanza di titolo dello stato non è stata equamente ascoltata.
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 ALLA CONVENZIONE
47. I richiedenti si lamentano anche di un attentato al loro diritto di proprietà in ragione del rigetto della loro azione da parte delle giurisdizioni nazionali e dell’impossibilità di ottenere un risarcimento per la parte dell’immobile confiscato. Invocano l’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, così formulato:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Sull’ammissibilità
48. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
49. I richiedenti stimano che il rigetto della loro azione di constatazione della mancanza di titolo dello stato ha recato offesa al loro diritto di proprietà, più in particolare alla luce della giurisprudenza in materia della Corte suprema di giustizia. Fanno valere anche che non hanno ricevuto alcun indennizzo adeguato, e che, come ciò risulta dalla lettera del municipio del 9 febbraio 2009, la loro pratica sarà rimessa alla commissione centrale solo dopo l’esame della presente richiesta da parte della Corte.
50. Il Governo ammette che c’è stata ingerenza nel diritto di proprietà dei richiedenti, ma stima che questa ingerenza era prevista dalla legge, ossia le disposizioni delle leggi numeri 112/1995 e 10/2001 e le decisioni della Corte Costituzionale citata dalle giurisdizioni nazionali, ed inseguiva uno scopo legittimo, ossia la protezione del diritto di proprietà altrui.
51. Secondo il Governo, questa ingerenza era proporzionata allo scopo perseguito. A questo riguardo, precisa che le disposizioni della legge nº 10/2001 come modificate dalla legge no 247/2005 istituiscono un meccanismo di risarcimento tramite il Fondo Proprietatea e che le misure che mirano ad accelerare il funzionamento del Fondo sono state adottate. Considera che il meccanismo di risarcimento previsto dalla legislazione rumena soddisfa le esigenze imposte dalla Corte. Il Governo nota infine che i richiedenti hanno ottenuto una decisione che concede loro dei risarcimenti in virtù delle leggi precitate e che la loro pratica sarà presentata alla commissione centrale per la determinazione dei risarcimenti.
1. Sull’esistenza di un “bene”
52. La Corte ricorda la giurisprudenza consolidata degli organi della Convenzione secondo la quale dei “beni” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 possono essere o dei “beni esistenti” (Malhous c. Repubblica ceca, (dec.) [GC], no 33071/96, CEDH 2000-XII) o dei valori patrimoniali, ivi compreso dei crediti per cui un richiedente può pretendere di avere almeno una “speranza legittima” di vederli concretizzare (vedere, per esempio, Pressos Compania Naviera S.p.A. ed altri c. Belgio, sentenza del 20 novembre 1995, serie A no 332, § 31, ed Ouzounis ed altri c. Grecia, no 49144/99, 18 aprile 2002, § 24).
53. La Corte rileva che i diritti in oggetto nello specifico, ossia ottenere un risarcimento o la restituzione di un immobile che è stato trasferito nel patrimonio dello stato, erano accordati quando il trasferimento si rivelava abusivo. Nello specifico, non è contestato che la parte dell’immobile appartenente ai richiedenti era passata nel patrimonio dello stato in virtù del decreto no 223/1974. Però, alla luce dell’evoluzione ulteriore dei fatti dello specifico, la Corte non stima necessario di esaminare l’incidenza della giurisprudenza pertinente della Corte suprema di giustizia che riconosce che il decreto 223/1974 non poteva costituire un titolo valido a favore dello stato.
54. A questo riguardo, stima pertinente di tenere conto del fatto che, con la decisione del 27 febbraio 2008, il municipio di Valea Lungă ha riconosciuto il diritto dei richiedenti ad essere indennizzati per la parte dell’immobile in causa, proponendo la concessione di risarcimenti conformemente alla legge no 247/2005. Questa decisione, suscettibili di ricorso dinnanzi ai tribunali civili, non è stata contestata nel termine legale. Pertanto, alla vista della giurisprudenza della Corte e del diritto interno pertinente, conviene concludere che, nonostante il difetto delle autorità di fissare finora l’importo preciso dei risarcimenti dovuti, i richiedenti sono i beneficiari di un diritto di vedersi indennizzati che rappresenta un “interesse patrimoniale” sufficientemente stabilito in diritto interno, certo, non-revocabile ed esigibile, che dipende dalla nozione di “beni” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Viaşu, precitata, § 59, e, mutatis mutandis, Ramadhi e 5 altri c. Albania, no 38222/02, § 71, 13 novembre 2007).
55. Di conseguenza, l’articolo 1 del Protocollo no 1 si trova ad applicare ai fatti dello specifico.
2. Sulla giustificazione dell’ingerenza
56. La Corte osserva che le parti si accordano a dire che c’è stata ingerenza nel diritto dei richiedenti garantito dall’articolo 1 del Protocollo no 1.
57. In quanto alla proporzionalità dell’ingerenza, la Corte rinvia alla giurisprudenza citata nella causa Viaşu c. Romania, concernente gli obblighi, sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, a carico dello stato che ha adottato una legislazione che contempla la restituzione o l’indennizzo per i beni confiscati in virtù di un regime anteriore (Viaşu, precitata, § 5).
58. La Corte nota che con la decisione del 27 febbraio 2008, il municipio ha riconosciuto ai richiedenti il diritto ai risarcimenti per l’immobile in causa in virtù della legge no 247/2005 senza che ad oggi questi siano stati versati effettivamente ai richiedenti.
59. La Corte ha trattato già cause che sollevavano delle questioni simili a quelle del caso di specie e ha constatato la violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Viaşu, precitata, §§ 62 a 73, e Ramadhi e 5 altri, precitata, §§ 78-84) in ragione, in particolare dell’inefficacia del sistema di risarcimento messo in posto. Dopo avere esaminato tutti gli elementi che le sono stati sottoposti, la Corte considera che il Governo non ha esposto nessuno fatto né argomento da poter condurre nel caso presente ad una conclusione differente da quella alla quale è arrivata nelle cause precitate.
60. Inoltre, la Corte ha il dovere di rilevare che nello specifico, il municipio stima che il trasferimento della pratica dei richiedenti che dà loro il diritto ai risarcimenti verso la commissione centrale, era condizionato da una conclusione sfavorevole del procedimento dinnanzi alla Corte. A questo riguardo, la Corte ricorda che il meccanismo di salvaguardia instaurato dalla Convenzione riveste un carattere accessorio rispetto ai sistemi nazionali di garanzia dei diritti dell’uomo (Handyside c. Regno Unito, 7 dicembre 1976, § 48, serie A no 24). Le autorità nazionali rimangono libere di scegliere le misure che stimano adeguate per il collocamento in opera dei loro obblighi convenzionali, sotto riserva di rispettare lo standard minimo della Convenzione. Il controllo della Corte riguarda la compatibilità alla Convenzione di queste misure nazionali. Ora, la Corte può stupirsi solamente del fatto che le autorità locali hanno condizionato la trasmissione della pratica dei richiedenti alla commissione centrale alla conclusione del procedimento dinnanzi alla Corte.
61. Tenuto conto di ciò che precede, la Corte conclude alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE A RAGIONE DELL’INADEMPIMENTO DEL GIUDIZIO DEL 22 FEBBRAIO 2006
62. I richiedenti si lamentano dell’inadempimento del giudizio definitivo del 22 febbraio 2006 del tribunale dipartimentale di Alba. Invocano l’articolo 6 della Convenzione la cui parte pertinente è stata sopraccitata.
63. Il Governo contesta questa tesi e solleva un’eccezione in quanto al difetto di requisito di vittima dei richiedenti.
64. La Corte rileva che questo motivo di appello è legato a quello esaminato sopra sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 e deve essere dichiarato dunque anche ammissibile. Però, avuto riguardo alla sua constatazione relativa all’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere sopra i paragrafi 56-61), la Corte stima che non c’è luogo di esaminare se c’è stato, nello specifico, violazione dell’articolo 6 della Convenzione a ragione dell’inadempimento del giudizio definitivo del 22 febbraio 2006.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
65. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
66. I richiedenti richiedono 25 730 euro (EUR) a titolo del danno patrimoniale, rappresentante il valore della metà dell’immobile controverso. Sottopongono alla Corte un rapporto di perizia del febbraio 2009. Richiedono 10 000 EUR a titolo del danno morale che avrebbero subito.
67. Appellandosi all’opinione di un perito del marzo 2009, il Governo nota che il valore commerciale della metà dell’immobile in contenzioso è di 18 998,50 EUR. In quanto al danno morale, il Governo considera che un’eventuale constatazione di violazione potrebbe costituire in sé un risarcimento sufficiente.
68. Nello specifico, tenuto conto della natura delle violazioni constatate, la Corte considera che i richiedenti hanno subito un danno patrimoniale e morale che non sono sufficientemente compensati dalle constatazioni di violazione.
69. In quanto alla richiesta dei richiedenti a titolo del danno patrimoniale, la Corte stima che il pagamento delle indennità proposte dalla decisione del 27 febbraio 2008 porrebbe gli interessati, per quanto possibile, in una situazione equivalente a quella in cui si troverebbero se le esigenze dell’articolo 1 del Protocollo no 1 non fossero state ignorate. Tuttavia, tenuto conto delle constatazioni della presente sentenza da cui risulta che il sistema reale di restituzione non è efficace e dell’atteggiamento delle autorità che hanno condizionato l’esame della pratica dei richiedenti alla conclusione del presente procedimento, la Corte stima che non ha altra opzione che concedere la somma che, secondo lei, costituirebbe un ordinamento definitivo e completo della presente controversia patrimoniale (Viaşu, precitata, § 89). La Corte stima anche che sarebbe auspicabile che il Governo prenda tutte le misure necessarie affinché la finalizzazione delle pratiche delle persone che hanno diritto alle indennità in virtù delle leggi speciali non venga ritardata o condizionata dalla conclusione delle controversie pendenti dinnanzi alla Corte.
70. Sulla base degli elementi che si trovano in suo possesso, la Corte accorda ai richiedenti 20 000 EUR a titolo del danno patrimoniale.
71. Concernente la richiesta dei richiedenti a titolo del danno morale, la Corte considera che gli avvenimenti in causa hanno provocato per loro dei dispiaceri e delle incertezze, e che la somma di 5 200 EUR, accordata congiuntamente, rappresenta un risarcimento equo del danno morale subito.
B. Oneri e spese
72. I richiedenti chiedono anche 475 EUR per gli oneri e le spese impegnate dinnanzi alle giurisdizioni interne e dinnanzi alla Corte. Forniscono dei giustificativi per questa somma.
73. Il Governo nota che i richiedenti non hanno versato alla pratica dei contratti di assistenza giudiziale per provare il legame tra le ricevute versate alla pratica e la presente causa e che certe ricevute non indicano l’oggetto delle prestazioni dei servizi dell’avvocato come avendo un legame di causalità con la presente causa.
74. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e delle spese solo nella misura in cui si stabilisce la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei suddetti criteri, la Corte stima ragionevole la somma di 320 EUR ogni onere compreso e l’accorda ai richiedenti.
C. Interessi moratori
75. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione a ragione del difetto di equità del procedimento;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione;
4. Stabilisce che non c’è luogo di esaminare il motivo di appello tratto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione a ragione dell’inadempimento del giudizio del 22 febbraio 2006;
5. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare congiuntamente ai richiedenti, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 20 000 EUR (ventimila euro) per danno patrimoniale, 5 200 EUR (cinquemila due cento euro) per danno morale e 320 EUR (tre cento venti euro) per oneri e spese, da convertire nella moneta nazionale dello stato convenuto al tasso applicabile in data dell’ordinamento, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti di percentuale;
6. Respinge, la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 12 gennaio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Santiago Quesada Josep Casadevall
Cancelliere Presidente