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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE KALOGRANIS ET KALOGRANI c. GRECE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 17229/08/2010
Stato: Grecia
Data: 2010-05-12 00:00:00
Organo: Sezione Prima
Testo Originale

Conclusione Violazione dell’art. 6-1
PRIMA SEZIONE
CAUSA KALOGRANIS E KALOGRANI C. GRECIA
( Richiesta no 17229/08)
SENTENZA
STRASBURGO
12 maggio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Kalogranis e Kalograni c. Grecia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, riunendosi in una camera composta da:
Nina Vajić, presidentessa, Christos Rozakis, Anatoly Kovler,
Elisabetta Steiner, Khanlar Hajiyev, Dean Spielmann,,
Giorgio Malinverni, giudici,
e dai Søren Nielsen, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 22 aprile 2010,
Rende la sentenza che ha adottata in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 17229/08) diretta contro la Repubblica ellenica da due cittadini di questo Stato, il Sig. D. K. e la Sig.ra F. K. (“i richiedenti”) che hanno investito la Corte il 24 marzo 2008 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da C. P., avvocato al foro di Atene. Il governo greco (“il Governo”) è rappresentato dal delegato del suo agente, il Sig. S. Spyropoulos, assessore presso il Consulente legale dello stato.
3. Il 26 giugno 2009, la presidentessa della prima sezione ha deciso di comunicare al Governo il motivo di appello derivato dal diritto di accesso ad un tribunale. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. I richiedenti sono fratello e sorella. Sono nati rispettivamente nel 1979 e 1980 e risiedono allo stesso indirizzo ad Atene (municipalità d’Acharnai).
5. Il 5 marzo 1991, il nonno dei richiedenti, I. N., investì il Consiglio di stato di un ricorso per annullamento di una decisione del prefetto dell’Attica dell’est che portava conferma all’atto di applicazione di un studio fondiario in virtù del quale l’amministrazione gli aveva inflitto un “contributo fondiario” (εισφορά γης) di 5 801 m² sul suo terreno che aveva una superficie totale di 12 353 m². Sosteneva che dopo l’applicazione della misura controversa, l’amministrazione gli aveva restituito solamente 1 803 m², al posto di 6 581 m².
6. Il 1 novembre 1995, dopo avere notato che I. N. era presumibilmente il proprietario del terreno controverso, il Consiglio di stato fece diritto al ricorso ed annullò la decisione attaccata per difetto di motivazione. L’alta giurisdizione giudicò in particolare che a dispetto dell’opposizione formata dall’interessato contro l’atto di applicazione e della sua istanza tesa ad essere indennizzato mediante la cessione di terre, la decisione del prefetto enunciava vagamente che la regione era afflitta da un bilancio in deficit (ελλειματικό ισοζύγιο) e che il richiedente avrebbe avuto diritto ad un’indennità pecuniaria, sentenza no 5250/1995.
7. Il 9 gennaio 2001, I. N. decedette. In virtù del suo testamento, i richiedenti ereditarono il terreno in questione.
8. Il 27 marzo 2002, i richiedenti chiesero alla municipalità d’Acharnai di modificare il piano urbanistico generale della regione (Γενικό Πολεοδομικό Σχέδιο) conformemente alla sentenza no 5250/1995 del Consiglio di stato. Non ricevettero nessuna risposta. Il 19 gennaio 2004, fu pubblicata sulla Gazzetta ufficiale una decisione del ministero dell’ambiente, del piano di sviluppo del territorio e dei Lavori pubblici che approvava la modifica del piano urbanistico generale della regione. I richiedenti affermano che la sentenza no 5250/1995 del Consiglio di stato non fu presa in conto.
9. Il 18 aprile 2003, i richiedenti investirono nel frattempo, la commissione speciale del Consiglio di stato, incaricata di controllare l’esecuzione delle sentenze dei tribunali amministrativi, per lamentarsi dell’inadempimento della sentenza no 5250/1995.
10. L’ 8 dicembre 2003, la commissione rivelò che l’amministrazione aveva ammesso di non avere intrapreso nessun passo dopo la sentenza no 5250/1995 del Consiglio di stato, considerando a torto che era tenuta a procedere alla modifica del piano urbanistico della regione. Ora, la commissione sottolineò che ai termini della sentenza no 5250/1995, l’amministrazione era tenuta a riesaminare la causa ed a verificare se le condizioni legali erano riunite rispetto al diritto dei richiedenti di vedersi cedere degli appezzamenti di terreno e, in seguito, a modificare l’atto di applicazione così necessario, o a motivare debitamente la sua incapacità di cedere degli appezzamenti di terreno, il che avrebbe condotto all’indennizzo pecuniario degli interessati. Quindi, la commissione constatò che l’amministrazione aveva omesso di conformarsi alla sentenza no 5250/1995 del Consiglio di stato, verbale no 32/2003.
11. Il 12 maggio 2004, il servizio di urbanistica della prefettura dell’Attica dell’est (διεύθυνση πολεοδομίας και χωροταξίας Νομαρχιακής Αυτοδιοίκησης Ανατολικής Αττικής) invocando il verbale no 32/2003 della commissione speciale del Consiglio di stato, invitò la municipalità d’Acharnai ad informarlo sui passi intrapresi per conformarsi alla sentenza no 5250/1995. Invitò anche i richiedenti a depositare i loro titoli di proprietà. Con memoria del 18 giugno 2004, questi ultimi depositarono i loro titoli di proprietà, così come dieci piani topografici della regione. Questo esposto fu controllato il 21 giugno 2004 e si vide assegnare il numero di protocollo 10365.
12. Il 20 maggio 2004, i richiedenti depositarono querela con costituzione di parte civile contro parecchi funzionari che mettevano in causa per l’omissione dell’amministrazione di conformarsi alla sentenza da cui derivavano le loro pretese. Nella loro memoria in difesa, quattro imputati ammisero che i richiedenti avevano depositato i loro titoli di proprietà nel giugno 2004 e che la causa era sul punto di essere presa in carico dalla municipalità. Il 30 novembre 2006, dopo avere notato che i richiedenti avevano depositato i loro titoli di proprietà nel giugno 2004 e che la causa era sul punto di essere presa in carico dalla municipalità, il procuratore presso il tribunale correzionale di Atene considerò che non esistevano indizi sufficienti di colpevolezza contro le persone riguardate nella denuncia dei richiedenti e la respinse, ordinanza no 81-05/39/23Ä. Il 2 marzo 2007, i richiedenti interposero appello a questa ordinanza. Il 31 agosto 2007, il procuratore presso la corte di appello di Atene respinse la denuncia come priva di fondamento. Dopo avere ripetuto che i richiedenti avevano depositato i loro titoli di proprietà nel giugno 2004 e che la causa era sul punto di essere presa in carico dalla municipalità, non constatò nessuna trasgressione dei funzionari riguardati nel compimento dei loro doveri, ordinanza no 674/2007. Questa ordinanza fu notificata ai richiedenti il 27 settembre 2007.
13. Il 13 gennaio 2010, il servizio di urbanistica della prefettura dell’Attica dell’est informò i richiedenti che la loro pratica no 10365 del 21 giugno 2004 non era stato trovata negli archivi del servizio e li invitò a depositare i loro titoli di proprietà, i piani topografici e di altri documenti affinché si procedesse alla revisione dell’atto di applicazione della misura che ledeva il terreno controverso.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
14. L’articolo 95 § 5 della Costituzione dispongono:
“L’amministrazione è tenuta a conformarsi alle sentenze di giustizia. La violazione di questo obbligo impegna la responsabilità di ogni organo colpevole, così come è prescritto dalla legge.”
15. Il 14 novembre 2002, entrò in vigore la legge no 3068/2002 sull’esecuzione delle sentenze di giustizia da parte dell’amministrazione (Gazzetta ufficiale no 274/2002). Questa legge contempla, tra l’altro, che l’amministrazione ha l’obbligo di conformarsi senza ritardo alle sentenze di giustizia e di prendere tutte le misure necessarie per eseguire suddette sentenze (articolo 1). La legge contempla la creazione di consigli di tre membri, costituiti in seno alle alte giurisdizioni elleniche (Corte Suprema Speciale, Corte di Cassazione, Consiglio di stato e Corte dei conti) che sono incaricate di controllare la buona esecuzione delle sentenze delle loro rispettive giurisdizioni da parte dell’amministrazione, in un termine che non può superare tre mesi (in via eccezionale, questo termine può essere prorogato una sola volta). I consigli possono designare un magistrato in particolare per assistere l’amministrazione proponendole, tra l’altro, le misure adeguate per conformarsi ad una sentenza. Se l’amministrazione non esegue una sentenza nel termine fissato dal consiglio, le vengono imposte delle penalità che possono essere rinnovate finché lei non vi si conforma (articolo 3). Possono essere prese anche delle misure disciplinari contro gli agenti dell’amministrazione all’origine del difetto di esecuzione (articolo 5). Le disposizioni della legge no 3068/2002 si applicano alle sentenze rese dopo la sua entrata in vigore (articolo 6).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
16. I richiedenti si lamentano del rifiuto delle autorità nazionali di conformarsi alla decisione no 5250/1995 del Consiglio di stato. Invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione le cui parti pertinenti sono formulate così:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
A. Sull’ammissibilità
17. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva inoltre che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
18. I richiedenti producono dinnanzi alla Corte i loro titoli di proprietà e si lamentano che, sebbene li abbiano depositati anche dinnanzi all’amministrazione dal giugno 2004, questa nega a questo giorno di eseguire la sentenza no 5250/1995.
19. Il Governo afferma che le autorità amministrative non hanno negato mai di conformarsi alla sentenza del Consiglio di stato. Sottolinea che il nonno dei richiedenti non ha mai chiesto l’esecuzione di questa sentenza e che i richiedenti si sono di indirizzati prima ai servizi che non erano competenti per agire. Nota che i richiedenti non hanno a questo giorno depositato i loro titoli di proprietà e suppone che ciò sia dovuto al fatto che non ne dispongono.
20. La Corte ricorda che il diritto di accesso ad un tribunale garantito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione sarebbe illusorio se l’ordine giuridico interno di un Stato contraente permettesse che una decisione giudiziale definitiva ed obbligatoria resti inoperante a scapito di una parte. L’esecuzione di un giudizio, di qualsiasi giurisdizione questo sia, deve essere considerata come facente parte integrante del “processo” ai sensi dell’articolo 6. La Corte ha già riconosciuto che la protezione effettiva del giudicabile ed il ristabilimento della legalità implica l’obbligo, per l’amministrazione, di piegarsi ad un giudizio o ad una sentenza pronunciata in materia dalla più alta giurisdizione amministrativa dello stato (vedere la sentenza Hornsby c. Grecia del 19 marzo 1997, § 40 e succ., Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-II). Per di più, la Corte sottolinea l’importanza particolare che riveste l’esecuzione delle sentenze di giustizia nel contesto del contenzioso amministrativo (vedere Iera Moni Profitou Iliou Thiras c. Grecia, no 32259/02, § 34, 22 dicembre 2005).
21. Nell’occorrenza, la Corte nota innanzitutto che le parti si accordano sul fatto che la sentenza no 5250/1995 del Consiglio di stato non è stato ancora eseguita. Il Governo arguisce che i richiedenti sono negligenti a questo giorno nel fornire all’amministrazione i loro titoli di proprietà e che, per questa ragione, è impossibile agli organi amministrativi procedere alla modifica dell’atto di applicazione della misura che lede il terreno controverso. Da parte loro, i richiedenti insistono sul fatto che hanno depositato i loro titoli di proprietà dal giugno 2004. La Corte deve ricercare le ragioni dunque per cui l’esecuzione della sentenza no 5250/1995 non è stata ancora effettuata.
22. La Corte considera che in principio non sembra irragionevole che l’amministrazione chieda agli interessati dei documenti complementari per conformarsi ad una sentenza di giustizia che le impone la presa di certe misure positive il più presto possibile. Tale esigenza trova la sua giustificazione quando i servizi amministrativi non sono in possesso dei documenti necessari per eseguire la sentenza di giustizia e questo, allo scopo di accelerarne l’esecuzione. Tale motivo è, senza dubbio, favorevole al giudicabile. In compenso, quando l’esame della pratica permette di dedurre che l’amministrazione sollecita la produzione di atti giuridici o di ogni altro documento per sottrarsi all’esecuzione di una sentenza di giustizia definitiva o ritardarne indebitamente il suo collocamento in opera, l’effetto utile dell’articolo 6 § 1 può trovarsi gravemente sminuito (vedere, mutatis mutandis, Rompoti e Rompotis c. Grecia, no 14263/04, § 26, 25 gennaio 2007; Kosmidis e Kosmidou c. Grecia, no 32141/04, § 24, 8 novembre 2007).
23. Nel caso di specie, la Corte constata che l’affermazione dei richiedenti che proclamano di avere depositato i loro titoli di proprietà nel giugno 2004, è corroborata da parecchi elementi della pratica tra cui dei documenti ufficiali la cui autenticità e la forza probante non si prestano a discussione. Quindi, anche se la Corte ammette che le cose hanno si sono un po’ trascinate finché i richiedenti hanno investito, nell’aprile 2003, la commissione speciale del Consiglio di stato (vedere sopra paragrafo 9), ed a prescindere dalla questione di sapere se, anche in mancanza d’istanza da parte degli interessati, l’amministrazione è tenuta a conformarsi di sua propria iniziativa alle sentenze di giustizia, si è obbligati a constatare che dal deposito dei titoli di proprietà dei richiedenti, l’amministrazione aveva a sua disposizione tutti i documenti richiesti e non aveva più nessuna ragione per non prendere le misure necessarie in esecuzione della sentenza no 5250/1995 del Consiglio di stato. Il blocco della situazione è quindi, al momento, secondo la Corte, esclusivamente imputabile all’amministrazione.
24. Alla vista delle considerazioni che precedono, la Corte stima che i richiedenti sono autorizzati a sostenere che le autorità nazionali hanno omesso di conformarsi, in un termine ragionevole, alla sentenza no 5250/1995 del Consiglio di stato, privando così l’articolo 6 § 1 della Convenzione di ogni effetto utile.
25. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
26. I richiedenti si lamentano che il rifiuto dell’amministrazione di restituire oro 6 581 m² di terreno reca offesa al loro diritto al rispetto dei loro beni. Invocano l’articolo 1 del Protocollo no 1 che dispone:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
Sull’ammissibilità
27. La Corte nota che la sentenza no 5250/1995 del Consiglio di stato non ha riconosciuto al nonno dei richiedenti il diritto di vedersi restituire 6 581 m² di terreno, ma intimò l’amministrazione a riesaminare la questione e di rendere una decisione debitamente motivata sulla questione di sapere se I. N. aveva diritto a questa cessione fondiaria e, in caso affermaivo, di modificare l’atto di applicazione o, se ciò non si rivelava possibile, di versargli un’indennità pecuniaria. In queste condizioni, finché l’amministrazione non si sarà ancora pronunziata sulla questione, la Corte stima che ogni lamentela dei richiedenti a titolo del loro diritto al rispetto dei loro beni è prematura.
28. Ne segue che questo motivo di appello deve essere respinto, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
29. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
30. I richiedenti richiedono a titolo del danno patrimoniale la restituzione di 6 581 m² di terreno. Richiedono inoltre 1 000 000 euro (EUR) a titolo del danno morale che avrebbero subito.
31. Il Governo invita la Corte ad allontanare la richiesta a titolo del danno patrimoniale, affermando che non si trova stabilito nessun legame di causalità tra la violazione addotta dell’articolo 6 § 1 della Convenzione ed il danno patrimoniale di cui i richiedenti avrebbero dovuto a soffrire. Afferma inoltre che una constatazione di violazione costituirebbe in sé una soddisfazione equa sufficiente a titolo del danno morale.
32. Per le stesse ragioni avendo motivato la sua decisione di dichiarare inammissibile il motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere sopra paragrafo 27), la Corte conviene col Governo che i richiedenti non potrebbero richiedere a questo stadio la restituzione di una superficie fondiaria a titolo del danno patrimoniale. In compenso, ricorda che una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico di mettere un termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire tanto quanto si può fare la situazione anteriore a questa (vedere Iatridis c. Grecia (soddisfazione equa) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI; mutatis mutandis, Basoukou c. Grecia, no 3028/03, § 26, 21 aprile 2005). La Corte considera che questo principio si applica anche nello specifico, avuto riguardo alla constatazione di violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione. Il Governo deve garantire dunque, con delle misure appropriate, che la sentenza no 5250/1995 del Consiglio di stato sia, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la presente sentenza sarà diventata definitiva, eseguita debitamente dall’amministrazione, alla luce delle conclusioni del verbale no 32/2003 della commissione speciale del Consiglio di stato (vedere sopra paragrafo 10).
33. Inoltre, deliberando in equità, come esige l’articolo 41 della Convenzione, la Corte assegna congiuntamente ai richiedenti 12 000 EUR a titolo del danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta su suddetta somma.
B. Oneri e spese
34. I richiedenti chiedono anche, fattura in appoggio, 3 000 EUR per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alla Corte.
35. Il Governo afferma che la richiesta è eccessiva e stima che la somma assegnata a questo titolo non potrebbe superare 1 000 EUR.
36. La Corte ricorda che il sussidio degli oneri e delle spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si stabilisca la loro realtà, la loro necessità così come il carattere ragionevole del loro tasso (Iatridis c. Grecia precitata, § 54).
37. Nello specifico, tenuto conto dei giustificativi in suo possesso e dei suddetti criteri, la Corte giudica ragionevole assegnare congiuntamente ai richiedenti la somma richiesta per intero, ossia 3 000 EUR, più ogni importo che può essere dovuto da loro a titolo di imposta.
C. Interessi moratori
38. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello tratto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve garantire, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, l’esecuzione della sentenza no 5250/1995 del Consiglio di stato, alla luce delle conclusioni del verbale no 32/2003 della commissione speciale del Consiglio di stato;
b) che lo stato convenuto deve versare congiuntamente ai richiedenti, nello stesso termine, 12 000 EUR (dodicimila euro) per danno morale e 3 000 EUR (tremila euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto dai richiedenti a titolo di imposta;
c) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge, all’unanimità, la richiesta di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 12 maggio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Søren Nielsen Nina Vajić
Cancelliere Presidentessa

Testo Tradotto

Conclusion Violation de l’art. 6-1
PREMIÈRE SECTION
AFFAIRE KALOGRANIS ET KALOGRANI c. GRÈCE
(Requête no 17229/08)
ARRÊT
STRASBOURG
12 mai 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Kalogranis et Kalograni c. Grèce,
La Cour européenne des droits de l’homme (première section), siégeant en une chambre composée de :
Nina Vajić, présidente,
Christos Rozakis,
Anatoly Kovler,
Elisabeth Steiner,
Khanlar Hajiyev,
Dean Spielmann,
Giorgio Malinverni, juges,
et de Søren Nielsen, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 22 avril 2010,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 17229/08) dirigée contre la République hellénique par deux ressortissants de cet Etat, M. D. K. et Mme F. K. (« les requérants »), qui ont saisi la Cour le 24 mars 2008 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérants sont représentés par Me C. Papasotiriou, avocat au barreau d’Athènes. Le gouvernement grec (« le Gouvernement ») est représenté par le délégué de son agent, M. S. Spyropoulos, assesseur auprès du Conseil juridique de l’Etat.
3. Le 26 juin 2009, la présidente de la première section a décidé de communiquer au Gouvernement le grief tiré du droit d’accès à un tribunal. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
4. Les requérants sont frère et sœur. Ils sont nés respectivement en 1979 et 1980 et résident à la même adresse à Athènes (municipalité d’Acharnai).
5. Le 5 mars 1991, le grand-père des requérants, I. N., saisit le Conseil d’Etat d’un recours en annulation d’une décision du préfet de l’Attique de l’Est portant confirmation de l’acte d’application d’une étude foncière, en vertu de laquelle l’administration lui avait infligé une « contribution foncière » (εισφορά γης) de 5 801 m² sur son terrain qui avait une superficie totale de 12 353 m². Il soutenait qu’après l’application de la mesure litigieuse, l’administration ne lui avait restitué que 1 803 m², au lieu de 6 581 m².
6. Le 1er novembre 1995, après avoir noté qu’I. N. était prétendument le propriétaire du terrain litigieux, le Conseil d’Etat fit droit au recours et annula la décision attaquée pour défaut de motivation. La haute juridiction jugea en particulier qu’en dépit de l’opposition formée par l’intéressé contre l’acte d’application et de sa demande tendant à être indemnisé moyennant la cession de terroirs, la décision du préfet énonçait vaguement que la région affichait une balance en déficit (ελλειματικό ισοζύγιο) et que le demandeur toucherait une indemnité pécuniaire (arrêt no 5250/1995).
7. Le 9 janvier 2001, I. N. décéda. En vertu de son testament, les requérants héritèrent du terrain en question.
8. Le 27 mars 2002, les requérants demandèrent à la municipalité d’Acharnai de modifier le plan urbanistique général de la région (Γενικό Πολεοδομικό Σχέδιο), conformément à l’arrêt no 5250/1995 du Conseil d’Etat. Ils ne reçurent aucune réponse. Le 19 janvier 2004, fut publiée au Journal officiel une décision du ministère de l’Environnement, de l’Aménagement du Territoire et des Travaux publics approuvant la modification du plan urbanistique général de la région. Les requérants affirment que l’arrêt no 5250/1995 du Conseil d’Etat ne fut pas pris en compte.
9. Entre-temps, le 18 avril 2003, les requérants saisirent la commission spéciale du Conseil d’Etat, chargée de contrôler l’exécution des arrêts des tribunaux administratifs, pour se plaindre de la non-exécution de l’arrêt no 5250/1995.
10. Le 8 décembre 2003, la commission révéla que l’administration avait admis n’avoir entrepris aucune démarche après l’arrêt no 5250/1995 du Conseil d’Etat, en considérant à tort qu’elle était tenue de procéder à la modification du plan urbanistique de la région. Or, la commission souligna qu’aux termes de l’arrêt no 5250/1995, l’administration était tenue de réexaminer l’affaire et de vérifier si les conditions légales étaient réunies par rapport au droit des requérants de se voir céder des parcelles de terrain et, par la suite, de modifier l’acte d’application si nécessaire, ou de motiver dûment son incapacité de céder des parcelles de terrain, ce qui conduirait à l’indemnisation pécuniaire des intéressés. Dès lors, la commission constata que l’administration avait omis de se conformer à l’arrêt no 5250/1995 du Conseil d’Etat (procès-verbal no 32/2003).
11. Le 12 mai 2004, le service d’urbanisme de la préfecture de l’Attique de l’Est (διεύθυνση πολεοδομίας και χωροταξίας Νομαρχιακής Αυτοδιοίκησης Ανατολικής Αττικής), invoquant le procès-verbal no 32/2003 de la commission spéciale du Conseil d’Etat, invita la municipalité d’Acharnai à l’informer sur les démarches entreprises pour se conformer à l’arrêt no 5250/1995. Elle invita aussi les requérants à déposer leurs titres de propriété. Par mémoire du 18 juin 2004, ces derniers déposèrent leurs titres de propriété, ainsi que dix plans topographiques de la région. Ce mémoire fut réceptionné le 21 juin 2004 et se vit attribuer le numéro de protocole 10365.
12. Le 20 mai 2004, les requérants déposèrent plainte avec constitution de partie civile contre plusieurs fonctionnaires qu’ils mettaient en cause pour l’omission de l’administration de se conformer à l’arrêt dont ils tiraient leurs prétentions. Dans leur mémoire en défense, quatre prévenus admirent que les requérants avaient déposé leurs titres de propriété en juin 2004 et que l’affaire était sur le point d’être prise en charge par la municipalité. Le 30 novembre 2006, après avoir noté que les requérants avaient déposé leurs titres de propriété en juin 2004 et que l’affaire était sur le point d’être prise en charge par la municipalité, le procureur près le tribunal correctionnel d’Athènes considéra qu’il n’existait pas d’indices suffisants de culpabilité contre les personnes visées dans la plainte des requérants et la rejeta (ordonnance no 81-05/39/23Δ). Le 2 mars 2007, les requérants interjetèrent appel de cette ordonnance. Le 31 août 2007, le procureur près la cour d’appel d’Athènes rejeta la plainte comme étant dénuée de fondement. Après avoir répété que les requérants avaient déposé leurs titres de propriété en juin 2004 et que l’affaire était sur le point d’être prise en charge par la municipalité, il ne constata aucun manquement des fonctionnaires visés dans l’accomplissement de leurs devoirs (ordonnance no 674/2007). Cette ordonnance fut notifiée aux requérants le 27 septembre 2007.
13. Le 13 janvier 2010, le service d’urbanisme de la préfecture de l’Attique de l’Est informa les requérants que leur dossier no 10365 du 21 juin 2004 n’avait pas été trouvé dans les archives du service et les invita à déposer leurs titres de propriété, les plans topographiques et d’autres documents afin qu’il soit procédé à la révision de l’acte d’application de la mesure affectant le terrain litigieux.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
14. L’article 95 § 5 de la Constitution dispose :
« L’administration est tenue de se conformer aux arrêts de justice. La violation de cette obligation engage la responsabilité de tout organe coupable, ainsi qu’il est prescrit par la loi ».
15. Le 14 novembre 2002, la loi no 3068/2002 sur l’exécution des arrêts de justice par l’administration entra en vigueur (Journal officiel no 274/2002). Cette loi prévoit, entre autres, que l’administration a l’obligation de se conformer sans retard aux arrêts de justice et de prendre toutes les mesures nécessaires pour exécuter lesdits arrêts (article 1). La loi prévoit la création de conseils de trois membres, constitués au sein des hautes juridictions helléniques (Cour Suprême Spéciale, Cour de Cassation, Conseil d’Etat et Cour des comptes), qui sont chargés de contrôler la bonne exécution des arrêts de leurs juridictions respectives par l’administration, dans un délai qui ne peut pas dépasser trois mois (à titre exceptionnel, ce délai peut être prorogé une seule fois). Les conseils peuvent notamment désigner un magistrat pour assister l’administration en lui proposant, entre autres, les mesures appropriées pour se conformer à un arrêt. Si l’administration n’exécute pas un arrêt dans le délai fixé par le conseil, des pénalités lui sont imposées, qui peuvent être renouvelées tant qu’elle ne s’y conforme pas (article 3). Des mesures disciplinaires peuvent également être prises contre les agents de l’administration à l’origine du défaut d’exécution (article 5). Les dispositions de la loi no 3068/2002 s’appliquent aux arrêts rendus après son entrée en vigueur (article 6).
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
16. Les requérants se plaignent du refus des autorités nationales de se conformer à la décision no 5250/1995 du Conseil d’Etat. Ils invoquent l’article 6 § 1 de la Convention, dont les parties pertinentes sont ainsi libellées :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement (…) dans un délai raisonnable, par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) »
A. Sur la recevabilité
17. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève en outre qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
18. Les requérants produisent devant la Cour leurs titres de propriété et se plaignent que, bien qu’ils les aient déposés aussi devant l’administration depuis juin 2004, celle-ci refuse à ce jour d’exécuter l’arrêt no 5250/1995.
19. Le Gouvernement affirme que les autorités administratives n’ont à aucun moment refusé de se conformer à l’arrêt du Conseil d’Etat. Il souligne que feu le grand-père des requérants n’a jamais demandé l’exécution de cet arrêt et que les requérants se sont d’abord adressés à des services qui n’étaient pas compétents pour agir. Il note que les requérants n’ont pas à ce jour déposé leurs titres de propriété et suppose que cela est dû au fait qu’ils n’en disposent pas.
20. La Cour rappelle que le droit d’accès à un tribunal garanti par l’article 6 § 1 de la Convention serait illusoire si l’ordre juridique interne d’un Etat contractant permettait qu’une décision judiciaire définitive et obligatoire reste inopérante au détriment d’une partie. L’exécution d’un jugement, de quelque juridiction que ce soit, doit être considérée comme faisant partie intégrante du « procès » au sens de l’article 6. La Cour a déjà reconnu que la protection effective du justiciable et le rétablissement de la légalité impliquent l’obligation, pour l’administration, de se plier à un jugement ou arrêt prononcé par la plus haute juridiction administrative de l’Etat en la matière (voir l’arrêt Hornsby c. Grèce du 19 mars 1997, § 40 et suiv., Recueil des arrêts et décisions 1997-II). De surcroît, la Cour souligne l’importance particulière que revêt l’exécution des arrêts de justice dans le contexte du contentieux administratif (voir Iera Moni Profitou Iliou Thiras c. Grèce, no 32259/02, § 34, 22 décembre 2005).
21. En l’occurrence, la Cour note tout d’abord que les parties s’accordent sur le fait que l’arrêt no 5250/1995 du Conseil d’Etat n’a pas encore été exécuté. Le Gouvernement argue que les requérants négligent à ce jour de fournir à l’administration leurs titres de propriété et que, pour cette raison, il est impossible aux organes administratifs de procéder à la modification de l’acte d’application de la mesure affectant le terrain litigieux. De leur côté, les requérants insistent sur le fait qu’ils ont déposé leurs titres de propriété depuis juin 2004. La Cour doit donc rechercher les raisons pour lesquelles l’exécution de l’arrêt no 5250/1995 n’a pas encore été effectuée.
22. La Cour considère qu’en principe il ne paraît pas déraisonnable que l’administration demande aux intéressés des documents complémentaires afin de se conformer dans les meilleurs délais à un arrêt de justice lui imposant la prise de certaines mesures positives. Une telle exigence trouve sa justification lorsque les services administratifs ne sont pas en possession des documents nécessaires pour exécuter l’arrêt de justice et ce, dans le but d’en accélérer l’exécution. Un tel motif est, à n’en pas douter, favorable au justiciable. En revanche, lorsque l’examen du dossier permet de déduire que l’administration sollicite la production d’actes juridiques ou tout autre document pour se soustraire à l’exécution d’un arrêt de justice définitif ou en retarder indûment sa mise en œuvre, l’effet utile de l’article 6 § 1 peut s’en trouver gravement diminué (voir, mutatis mutandis, Rompoti et Rompotis c. Grèce, no 14263/04, § 26, 25 janvier 2007 ; Kosmidis et Kosmidou c. Grèce, no 32141/04, § 24, 8 novembre 2007).
23. Dans le cas d’espèce, la Cour constate que l’allégation des requérants, qui clament avoir déposé leurs titres de propriété en juin 2004, est corroborée par plusieurs éléments du dossier, parmi lesquels des documents officiels, dont l’authenticité et la force probante ne prêtent pas à discussion. Dès lors, même si la Cour admet que les choses ont quelque peu traîné jusqu’à ce que les requérants saisissent, en avril 2003, la commission spéciale du Conseil d’Etat (voir paragraphe 9 ci-dessus), et indépendamment de la question de savoir si, même en l’absence de demande de la part des intéressés, l’administration est tenue de se conformer de sa propre initiative aux arrêts de justice, force est de constater que depuis le dépôt des titres de propriété des requérants, l’administration avait à sa disposition tous les documents requis et n’avait plus aucune raison pour ne pas prendre les mesures nécessaires en exécution de l’arrêt no 5250/1995 du Conseil d’Etat. Dès lors, le blocage de la situation à l’heure actuelle est, de l’avis de la Cour, exclusivement imputable à l’administration.
24. Au vu des considérations qui précèdent, la Cour estime que les requérants sont fondés à soutenir que les autorités nationales ont omis de se conformer, dans un délai raisonnable, à l’arrêt no 5250/1995 du Conseil d’Etat, privant ainsi l’article 6 § 1 de la Convention de tout effet utile.
25. Partant, il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
26. Les requérants se plaignent que le refus de l’administration de leur restituer 6 581 m² de terrain porte atteinte à leur droit au respect de leurs biens. Ils invoquent l’article 1 du Protocole no 1 qui dispose :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
Sur la recevabilité
27. La Cour note que l’arrêt no 5250/1995 du Conseil d’Etat n’a pas reconnu au grand-père des requérants le droit de se voir restituer 6 581 m² de terrain, mais somma l’administration de réexaminer la question et de rendre une décision dûment motivée sur la question de savoir si I. N. avait droit à cette cession foncière et, dans l’affirmative, de modifier l’acte d’application ou, si cela ne s’avérait pas possible, de lui verser une indemnité pécuniaire. Dans ces conditions, tant que l’administration ne se sera pas encore prononcée sur la question, la Cour estime que toute doléance des requérants au titre de leur droit au respect de leurs biens est prématurée.
28. Il s’ensuit que ce grief doit être rejeté, en application de l’article 35 §§ 1 et 4 de la Convention.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
29. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
30. Les requérants réclament au titre du dommage matériel la restitution de 6 581 m² de terrain. Ils réclament en outre 1 000 000 euros (EUR) au titre du préjudice moral qu’ils auraient subi.
31. Le Gouvernement invite la Cour à écarter la demande au titre du dommage matériel, en affirmant qu’aucun lien de causalité ne se trouve établi entre la violation alléguée de l’article 6 § 1 de la Convention et le préjudice matériel dont les requérants auraient eu à souffrir. Il affirme en outre qu’un constat de violation constituerait en soi une satisfaction équitable suffisante au titre du dommage moral.
32. Pour les mêmes raisons ayant motivé sa décision de déclarer irrecevable le grief tiré de l’article 1 du Protocole no 1 (voir paragraphe 27 ci-dessus), la Cour convient avec le Gouvernement que les requérants ne sauraient réclamer à ce stade la restitution d’une superficie foncière au titre du dommage matériel. En revanche, elle rappelle qu’un arrêt constatant une violation entraîne pour l’Etat défendeur l’obligation juridique de mettre un terme à la violation et d’en effacer les conséquences de manière à rétablir autant que faire se peut la situation antérieure à celle-ci (voir Iatridis c. Grèce (satisfaction équitable) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI ; mutatis mutandis, Basoukou c. Grèce, no 3028/03, § 26, 21 avril 2005). La Cour considère que ce principe s’applique aussi en l’espèce, eu égard au constat de violation de l’article 6 § 1 de la Convention. Le Gouvernement doit donc garantir, par des mesures appropriées, que l’arrêt no 5250/1995 du Conseil d’Etat soit, dans les trois mois à compter du jour où le présent arrêt sera devenu définitif, dûment exécuté par l’administration, à la lumière des conclusions du procès-verbal no 32/2003 de la commission spéciale du Conseil d’Etat (voir paragraphe 10 ci-dessus).
33. En outre, statuant en équité, comme le veut l’article 41 de la Convention, la Cour alloue conjointement aux requérants 12 000 EUR au titre du dommage moral, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt sur ladite somme.
B. Frais et dépens
34. Les requérants demandent également, facture à l’appui, 3 000 EUR pour les frais et dépens engagés devant la Cour.
35. Le Gouvernement affirme que la demande est excessive et estime que la somme allouée à ce titre ne saurait dépasser 1 000 EUR.
36. La Cour rappelle que l’allocation de frais et dépens au titre de l’article 41 présuppose que se trouvent établis leur réalité, leur nécessité ainsi que le caractère raisonnable de leur taux (Iatridis c. Grèce précité, § 54).
37. En l’espèce, compte tenu des justificatifs en sa possession et des critères susmentionnés, la Cour juge raisonnable d’allouer conjointement aux requérants la somme réclamée en entier, à savoir 3 000 EUR, plus tout montant pouvant être dû par eux à titre d’impôt.
C. Intérêts moratoires
38. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant au grief tiré de l’article 6 § 1 de la Convention et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention ;
3. Dit
a) que l’Etat défendeur doit garantir, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, l’exécution de l’arrêt no 5250/1995 du Conseil d’Etat, à la lumière des conclusions du procès-verbal no 32/2003 de la commission spéciale du Conseil d’Etat ;
b) que l’Etat défendeur doit verser conjointement aux requérants, dans le même délai, 12 000 EUR (douze mille euros) pour dommage moral et 3 000 EUR (trois mille euros) pour frais et dépens, plus tout montant pouvant être dû par les requérants à titre d’impôt ;
c) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
4. Rejette, à l’unanimité, la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 12 mai 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Søren Nielsen Nina Vajić
Greffier Présidente

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