A.N.P.T.ES. Associazione Nazionale per la Tutela degli Espropriati. Oltre 5.000 espropri trattati in 15 anni di attività.
Qui trovi tutto cio che ti serve in tema di espropriazione per pubblica utilità.

Se desideri chiarimenti in tema di espropriazione compila il modulo cliccando qui e poi chiamaci ai seguenti numeri: 06.91.65.04.018 - 340.95.85.515

Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE JOUBERT c. FRANCE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, P1-1
Numero: 30345/05/2009
Stato: Francia
Data: 2009-07-23 00:00:00
Organo: Sezione Quinta
Testo Originale

Conclusione Parzialmente inammissibile; Violazione di P1-1; Danno morale – constatazione di violazione sufficiente
QUINTA SEZIONE
CAUSA JOUBERT C. FRANCIA
( Richiesta no 30345/05)
SENTENZA
STRASBURGO
23 luglio 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Joubert c. Francia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, quinta sezione, riunendosi in una camera composta da:
Peer Lorenzen, presidente, Rait Maruste, Jean-Paul Costa, Karel Jungwiert, Renate Jaeger, Marco Villiger, Isabelle Berro-Lefèvre, giudici,
e da Claudia Westerdiek, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 30 giugno 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 30345/05) diretta contro la Repubblica francese e in cui due cittadini di questo Stato, il Sig. F. J. e la Sig.ra M J., sua moglie, (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 18 agosto 2005 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da P. M, avvocato a Gradignan. Il governo francese (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Belliard, direttrice delle cause giuridiche al ministero delle Cause estere.
3. I richiedenti adducevano in particolare una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1, in ragione dell’intervento di una legge retroattiva durante un procedimento amministrativo.
4. Il 3 dicembre 2007, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1944 e nel 1949 e risiedono a Saint-Romain-la-Virvée.
6. Detenevano il 99% del capitale della società M. Nel 1990, cedettero l’insieme di queste parti alla società B. per un importo di 7,5 milioni dei franchi francesi (FRF). Nella loro dichiarazione fiscale personale, dichiararono, a titolo del plusvalore realizzato per l’anno 1990, la somma di 3 252 000 FRF.
7. In seguito alla verifica da parte dell’amministrazione fiscale della contabilità della società B. che aveva acquisito i titoli, la direzione delle verifiche nazionali ed internazionali (DVNI) della direzione generale delle imposte notificò ai richiedenti, il 13 settembre 1993, una correzione a titolo del plusvalore realizzato all’epoca di questa cessione, stimando che suddetto plusvalore era superiore di 4 milioni di franchi alla somma che avevano dichiarato. Delle penalità di malafede, di un tasso del 40%, furono imputate loro in questa occasione.
8. In una lettera del 23 settembre 1993 indirizzata all’amministrazione fiscale, i richiedenti riconobbero che avrebbero dovuto dichiarare la totalità del prezzo di vendita nella loro dichiarazione. Chiesero però la levata delle penalità fiscali che erano state applicate loro. Il DVNI negò di fare diritto a questa richiesta con una lettera del 10 novembre 1993.
9. L’imposta supplementare, di un importo totale di 1 058 947 FRF, fu messa in recupero il 30 novembre 1994.
10. Il 12 gennaio 1995, in virtù dell’articolo L. 76 A del libro dei procedimenti fiscali ( paragrafo 27 sotto) i richiedenti investirono l’amministrazione fiscale di un reclamo che tendeva ad ottenere l’esonero delle quote supplementari all’imposta alle quali erano stati assoggettati a titolo dell’anno 1990 così come delle penalità ivi afferenti. L’amministrazione non rispose a questa richiesta.
11. Equivalendo il suo silenzio ad un rifiuto, i richiedenti investirono, il 18 settembre 1995, il tribunale amministrativo di Bordeaux. In appoggio della loro istanza, fecero valere in particolare che il servizio fiscale che aveva notificato loro la correzione controversa, e la cui competenza era determinata espressamente dalle disposizioni di un’ordinanza del 24 maggio 1982, non era abilitato a procedere a questo controllo ed alla correzione che ne è seguito.
12. Il 31 dicembre 1996, mentre il procedimento era pendente dinnanzi al tribunale amministrativo, fu pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica francese la legge no 96-1181 che riguardava la legge delle finanze per l’anno 1997. L’articolo 122 di questa legge disponeva che, sotto riserva delle sole decisioni passate in forza di cosa giudicata, i controlli effettuati dall’amministrazione fiscale e contestati in ragione di una pretesa incompetenza territoriale o materiale del servizio che aveva proceduto a questo controllo, erano reputati regolari, a condizione tuttavia che questi controlli fossero stati effettuati conformemente alle nuove regole di competenza poste dall’ordinanza del 12 settembre 1996 (paragrafo 25 sotto).
13. Il 10 ottobre 1997, l’amministrazione fiscale depositò il suo esposto in risposta al ricorso introdotto dai richiedenti dinnanzi al tribunale amministrativo. Fece valere che, sul fondamento dell’articolo 122 della legge sopraindicata, il mezzo sollevato dai richiedenti, derivato dall’incompetenza del servizio che aveva notificato loro la correzione controversa, doveva essere allontanato.
14. In un esposto in risposta depositato dinnanzi al tribunale amministrativo di Bordeaux il 21 aprile 1998, i richiedenti fecero valere che l’articolo 122 della legge delle finanze non poteva applicarsi alle istanze in corso, arguendo una violazione dell’articolo 6 della Convenzione.
15. Con un giudizio pronunciato l’l 8 giugno 1999, il tribunale amministrativo di Bordeaux accolse l’istanza dei richiedenti. Stimò in particolare che lo stato non poteva, senza ignorare le disposizioni dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, prendere delle misure legislative a portata retroattiva la cui conseguenza era una modifica delle regole che il giudice doveva applicare per deliberare su delle controversie a cui lo stato era parte, salvo quando l’intervento di queste misure si giustificava coi motivi di interesse generale. Nello specifico, il tribunale giudicò che l’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 che regolarizzava i controlli realizzati dagli agenti dell’amministrazione fiscale territorialmente o materialmente incompetenti presentava solamente un interesse finanziario per il bilancio dello stato e che perciò, questo testo non assolveva la condizione di interesse generale richiesto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione. Ne allontanò dunque l’applicazione.
16. Sul merito, il tribunale constatò che il DVNI non era competente per conoscere della situazione fiscale dei richiedenti perché, in virtù dell’ordinanza del 24 maggio 1982, poteva verificare la situazione fiscale solo delle persone suscettibili di avere intrattenuto delle “relazioni di interesse, diretto o indiretto”, con le imprese che il DVNI aveva controllato già precedentemente. Ora, il tribunale notò nello specifico che i richiedenti non avevano intrattenuto nessuna relazione di interesse con la società B. precedentemente controllata dal DVNI. Ordinò l’esonero delle quote supplementari all’imposta sul reddito e delle penalità ivi afferenti alle quali i richiedenti erano stati assoggettati a titolo dell’anno 1990.
17. Il 21 ottobre 1999, il ministro dell’economia, delle Finanze e dell’industria interpose appello a questo giudizio. Sosteneva che l’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 era applicabile all’istanza in corso.
18. Da parte loro, i richiedenti contestarono l’articolo R.200-18 del libro dei procedimenti fiscali che dào all’amministrazione un termine superiore a quello dei richiedenti per investire la corte amministrativa di appello. Invocavano per ciò gli articoli 6 § 1 e 14 della Convenzione. Sul fondo, fecero valere che l’articolo 122 della legge di finanze per 1997 era contrario agli articoli 6, 13 et14 della Convenzione così come all’articolo 1 del Protocollo no 1.
19. Con una sentenza resa il 10 febbraio 2004, la corte amministrativa di appello di Bordeaux riformò il giudizio attaccato. Sui termini di ricorsi accordati all’amministrazione, la corte considerò che l’articolo 6 della Convenzione non era applicabile al procedimento in causa nella misura in cui questo non prevedeva né dei diritti ed obblighi di carattere civile, né un’accusa in materia penale. Sulla regolarità del procedimento di imposta, la corte stimò anche che l’articolo 6 della Convenzione non poteva essere invocato dai richiedenti perché il procedimento fiscale in causa non entrava nel suo campo di applicazione.
20. In quanto alle disposizioni dell’articolo 122 della legge delle finanze per 1997, la corte amministrativa di appello stimò che inseguivano un motivo di interesse generale di natura tale da giustificare la convalida che pronunciavano e che perciò, questo testo non era contrario all’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione. Annullando su questo punto il giudizio del tribunale amministrativo, fece dunque applicazione di questa disposizione al presente caso specifico.
21. Sul merito, la corte amministrativa di appello giudicò che gli agenti del DVNI erano competenti per verificare la situazione fiscale dei richiedenti e notificare loro una correzione nella misura in cui, come imponeva l’articolo 122 della legge delle finanze, il controllo aveva rispettato le nuove regole di competenza poste dal decreto del 12 settembre 1996 (paragrafo 26 sotto). Stimò quindi che le penalità del 40% inflitte ai richiedenti in ragione della loro pretesa malafede nella loro dichiarazione dei redditi a titolo dell’anno 1990 non erano giustificate e ne pronunciò l’esonero integrale. In seguito a questa sentenza, i richiedenti furono oggetto di una correzione fiscale dunque, ma furono esonerati dalle penalità per malafede.
22. Il 9 luglio 2004, i richiedenti saldarono la somma di 121 140 EUR che era richiesta loro dall’amministrazione fiscale.
23. Investirono il Consiglio di stato di un ricorso in cassazione. Con una decisione del 23 febbraio 2005, il Consiglio di stato considerò che nessuno dei mezzi di cassazione sollevati dai richiedenti era di natura tale da permettere l’ammissione del ricorso.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
1. L’ordinanza del 24 maggio 1982 che portava delimitazione delle competenze della direzione delle verifiche nazionali ed internazionali e modifica delle attribuzioni di certi direttori regionali delle imposte
24. L’articolo 2 di questa ordinanza si legge come segue:
“La direzione delle verifiche nazionali ed internazionali garantisce conformemente alle direttive fissate dal direttore generale delle imposte e congiuntamente con gli altri servizi delle imposte abilitate ad effettuare queste categorie di operazioni:
(…)
c) La verifica, al bisogno, e qualunque sia il luogo del loro domicilio, della situazione fiscale dei dirigenti delle imprese verificate e di ogni persona subordinata o interposte; sono considerati come tali:
(…)
– ogni persona suscettibile di avere delle relazioni di interesse, dirette o indirette, con una delle imprese verificate “
2. La legge delle finanze per il 1997 (legge no 96-1181 del 30 dicembre 1996, apparso sulla Gazzetta ufficiale del 31 dicembre 1996)
25. L’articolo 122 di questa legge dispone:
“Sotto riserva delle decisioni di giustizia passate in forza di cosa giudicata, i controlli impegnati dai servizi decentrati della direzione generale delle imposte prima dell’entrata in vigore del decreto no 96-804 del 12 settembre 1996 e delle ordinanze del 12 settembre 1996 che regolano la loro competenza così come i titoli esecutivi emessi in seguito a questi controlli per stabilire le imposte sono reputati regolari in quanto sarebbero contestati dal mezzo derivato dall’incompetenza territoriale o materiale degli agenti che hanno effettuato questi controlli o rilasciato questi titoli a condizione che questi controlli siano stati effettuati conformemente alle regole di competenza fissate dai testi precitati.”
Questa disposizione esclude la possibilità di avvalersi dell’incompetenza del DVNI invocando l’ordinanza del 24 maggio 1982. Oramai, tutti i controlli realizzati da questo servizio sono reputati regolari se sono stati effettuati conformemente alle regole di competenze fissate qui sotto dall’ordinanza del 12 settembre 1996 che allarga la competenza del DVNI.
3. L’ordinanza del 12 settembre 1996 che precisa le attribuzioni della direzione delle verifiche nazionali ed internazionali e le competenze degli agenti che vi sono colpiti (presa in applicazione del decreto no 96-804 del 12 settembre 1996)
26. L’articolo 1 di questa ordinanza si legge come segue:
“(…) La direzione delle verifiche nazionali ed internazionali garantisce sull’insieme del territorio nazionale, congiuntamente con gli altri servizi delle imposte competenti, le seguenti operazioni:
a) Il controllo di ogni imposta, diritti e tasse dovuti da ogni persone fisiche o giuridiche, ogni raggruppamento di persone di fatto o di diritto, o da ogni entità qualunque sia la loro forma giuridica, qualunque sia il luogo del domicilio, istituto o sede sociale di queste persone, raggruppamenti o entità “
4. Il libro dei procedimenti fiscali
27. L’articolo L 76 A si legge come segue:
“Il contribuente che è stato oggetto di un’imposta d’ufficio conserva il diritto di presentare un reclamo conformemente all’articolo L. 190. “
L’articolo L. 190 si legge come segue:
“I reclami relativi alle imposte, contributi, diritti, tasse, canoni, conguagli e penalità di ogni natura, stabiliti o ricuperati dagli agenti dell’amministrazione, dipendono dalla giurisdizione contenziosa quando tendono ad ottenere o il risarcimento di errori commessi nell’imponibile o il calcolo delle imposte, o l’utile di un diritto che risulta da una disposizione legislativa o regolamentare. “
L’articolo R. 200-18 si legge come segue:
“A contare dalla notificazione del giudizio del tribunale amministrativo che è stato fatto al direttore del servizio dell’amministrazione delle imposte o dell’amministrazione delle dogane e dei diritti indiretti che ha seguito la causa, questo dispone di un termine di due mesi per trasmettere, se c’è luogo, il giudizio e la pratica al ministro incaricato del bilancio.
Il termine assegnato per investire la corte amministrativa di appello decorre, per il ministro, dalla data in cui espira il termine di trasmissione contemplato al capoverso precedente o dalla data della notificazione fatta al ministro. “
5. La giurisprudenza pertinente
28. Nel momento in cui i richiedenti hanno investito il tribunale amministrativo, la nozione di “relazioni di interesse, dirette o indirette” come definite dalla giurisprudenza amministrativa s’intendeva “della partecipazione diretta o indiretta alla direzione o al controllo di un’impresa, della partecipazione al suo capitale o al suo finanziamento, infine della partecipazione ai risultati ed alle distribuzioni di ogni natura che può effettuare sotto forma di stipendi, parcella, canoni; che tuttavia queste distribuzioni devono avere una relazione con l’attività dell’impresa durante il procedimento sottoposto a verifica” (corte amministrativa di appello di Parigi, 28 marzo 1991, sentenza no 90PA00161).
Così, il Consiglio di stato ha caratterizzato una relazione di interesse, diretta o indiretta, quando un individuo era associato maggioritario di una società ed anche rimunerato da questa (sentenza del 1 giugno 1983, no 37748) quando era il direttore dell’impresa (sentenza del 23 novembre 1983, no 36361) o il presidente-direttore generale della società (sentenze del 10 maggio 1989, no 69129 e del 12 febbraio 1990, no 55760) quando era interessato allo sviluppo dell’impresa in ragione di una rimunerazione proporzionale al numero di vendite (sentenza del 3 marzo 1993, no 83462) o del versamento di un canone di cui controllava l’imponibile (sentenza del 21 marzo 1984) o quando esistevano dei “legami di interesse stretto” tra due società (sentenza del 15 giugno 1987, no 44905).
In compenso, la circostanza che un individuo abbia percepito una rimunerazione per le funzioni che esercitava in seno ad una filiale della società verificata dall’amministrazione fiscale è insufficiente per caratterizzare una relazione di interesse tra loro (corte amministrativa di appello di Bordeaux, 1 agosto 1995, no 94BX01607).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 6, 13 E 14 DELLA CONVENZIONE
29. I richiedenti stimano che l’articolo R. 200-18 del libro dei procedimenti fiscali che concede all’amministrazione un termine superiore a quello dei contribuenti per interporre appello della decisione del tribunale amministrativo è contrario all’equità del procedimento. Invocano gli articoli 6 e 14 combinati. Stimano anche che l’intervento, durante l’istanza, di una legge di convalida che regola definitivamente la controversia a profitto del loro avversario, ha violato gli articoli 6 e 13 combinati i cui passaggi pertinenti si leggono come segue:
Articolo 6
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
Articolo 13
“Ogni persona i cui diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
Articolo 14
“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione deve essere garantito, senza distinzione nessuna, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche od ogni altra opinione, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, la fortuna, la nascita od ogni altra situazione. “
30. La Corte ricorda che in principio la Convenzione non è applicabile ai procedimenti fiscali, non riguardando questi generalmente né dei diritti ed obblighi di carattere civile, né delle accuse in materia penale ai sensi dell’articolo 6 (Ferrazzini c. Italia [GC], no 44759/98, § 23, CEDH 2001-VII). Ne può essere tuttavia diversamente se la Corte distingue nella controversia in causa una “colorazione penale”, in particolare quando delle penalità fiscali sono state applicate (Bendenoun c. Francia, 24 febbraio 1994, § 47, serie A no 284).
31. Nello specifico, la Corte nota che le penalità fiscali del 40% sono state applicate ai richiedenti per malafede. Però, constata che la corte amministrativa di appello di Bordeaux ne ha pronunciato l’esonero integrale nella sua sentenza del 10 febbraio 2004. In definitiva, i richiedenti sono stati oggetto di una correzione fiscale, ma senza penalità.
32. In queste condizioni, la Corte considera che la controversia che li oppone all’amministrazione ha perso la sua “colorazione penale” e che l’articolo 6 della Convenzione non si potrebbe trovare ad applicare. Ne segue che i motivi di appello derivati dai questa disposizione sono incompatibili ratione materiae con la Convenzione e devono essere respinti in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 di questo testo.
33. Concernente i motivi di appello tratti dagli articoli 13 e 14, la Corte ricorda che la prima di queste disposizioni è applicabile solamente se il richiedente può pretendere “in modo difendibile” di essere stato vittima di una violazione di un altro diritto previsto dalla Convenzione (Boyle e Rice c. Regno Unito, 27 aprile 1988, § 52, serie A no 131) e che il secondo non si potrebbe trovare ad ̀applicare se i fatti della controversia non rientrano almeno sotto l’impero di una delle clausole normative della Convenzione e dei suoi protocolli (Van Raalte c. Paesi Bassi, 21 febbraio 1997, § 33, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-I).
34. Nello specifico, la Corte constata che i motivi di appello dei richiedenti fondati sugli articoli 13 e 14 sono combinati all’articolo 6 della Convenzione. Ora, la Corte ha concluso all’inapplicabilità di questa disposizione al procedimento fiscale dei richiedenti (paragrafo 33 sopra). Pertanto, queste disposizioni non si trovano ad applicare nello specifico.
35. Ne segue che questa parte della richiesta deve essere dichiarata anche incompatibile ratione materiae con la Convenzione e deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 di questo testo.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
36. I richiedenti stimano che il carattere retroattivo dell’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 li ha privati dei loro beni nella misura in cui questa disposizione ha messo fine in modo definitivo alla controversia che li opponeva all’amministrazione. Invocano l’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione che si legge come segue:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Sull’ammissibilità
37. La Corte constata che questa parte della richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararla ammissibile dunque.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) I richiedenti
38. I richiedenti insistono sulla passività dell’amministrazione nella loro pratica. Spiegano che la loro richiesta è stata depositata il 18 settembre 1995 dinnanzi al tribunale amministrativo di Bordeaux e che l’amministrazione fiscale, sapendo che una legge a portata retroattiva era in preparazione, ha aspettato l’entrata in vigore di questa per depositare il suo esposto in risposta ed invocare dinnanzi al tribunale l’inammissibilità il loro motivo di appello derivato dall’incompetenza del DVNI. Stimano che l’intervento dell’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 mirava solamente a fare fallire il loro ricorso in giustizia.
39. I richiedenti fanno valere che disponevano al momento dell’introduzione del loro ricorso di una speranza legittima di vederlo coronato di successo in ragione di una giurisprudenza amministrativa consolidata e che era favorevole a loro. Si riferiscono per ciò a due sentenze di corsi amministrativi d’appello (paragrafo 28 sopra) così come alla sentenza Lecarpentier ed altri c. Francia (no 67847/01, 14 febbraio 2006,). Precisano anche che il fatto che il tribunale non si sia ancora pronunziato sulla fondatezza delle loro istanze nel momento in cui la legge controversa è entrata in vigore è inefficace. Del resto, secondo loro, le interrogazioni del Governo in quanto alla nozione di “relazioni di interesse, dirette o indirette” sono superflue poiché è evidente che i richiedenti non hanno intrattenuto nessuna relazione di interesse con la società B. controllata dal DVNI nella misura in cui si sono limitati a vendergli le parti che detenevano nella società M.
40. I richiedenti si oppongono anche alle affermazioni del Governo sul contenzioso evitato dall’applicazione retroattiva dell’articolo di legge in causa. Contestano la cifra, fornita dal Governo, dei 31 440 controlli che avrebbero potuto essere rimessi in causa e fanno valere che l’importo delle correzioni emesse da questi controlli e validato a posteriori dalla disposizione controversa (circa 1,1 miliardo di FRF) è irrisorio nel bilancio globale dello stato per l’anno 1997.
41. I richiedenti precisano che l’amministrazione ha beneficiato nello specifico di un effetto di fortuna poiché ha fatto convalidare dal legislatore le sue mancanze passate, facendo così pesare sui richiedenti un carico anormale ed esorbitante. Concludono al carattere sproporzionato della misura controversa ed alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
b)Il Governo
42. Il Governo intende fare valere che, all’epoca dell’adozione della legge delle finanze per il 1997, i richiedenti non erano titolari di un credito certo ed esigibile nei confronti dello stato poiché nessuno giudizio era stato ancora reso nel loro procedimento. Fa riferimento per ciò alle cause Fernandez-Molina Gonzalez ed altri c. Spagna (, dec.), no 64359/01, CEDH 2002-IX) e Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia (9 dicembre 1994, serie A no 301-B) e ne conclude che i richiedenti non erano titolari di un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
43. Peraltro, il Governo stima, contrariamente ai richiedenti, che il successo del loro ricorso in giustizia non era certo. Difatti, precisa che la nozione di “relazioni di interesse, dirette o indirette” come previsto dall’ordinanza del 24 maggio 1982 non era chiaramente determinata. Sottolinea che nessuna decisione di giustizia citata dai richiedenti su questo punto può essere trasposta al presente caso. Ne conclude che nello stato della giurisprudenza, i richiedenti non potevano pretendere una “speranza legittima” di vedere le loro rivendicazioni soddisfate.
44. Sulla giustificazione dell’ingerenza, il Governo ricorda che la Corte accorda agli Stati parti un certo margine di valutazione per scegliere le modalità di collocamento in opera della misura contestata (Jahn ed altri c. Germania [GC], numeri 46720/99, 72203/01 e 72552/01, CEDH 2005-VI). In materia fiscale, questo margine di valutazione è importante (National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society et Yorkshire Building Society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, Raccolta 1997-VII).
45. Il Governo fa valere che l’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 aveva per scopo di evitare un contenzioso prevedibile e riccamente nato dal chiarimento delle competenze territoriali e materiali degli agenti del DVNI. In particolare, la mancanza di effetto retroattivo avrebbe potuto nuocere ai controlli fiscali in corso al momento dell’adozione della legge delle finanze perché i contribuenti controllati avrebbero potuto fare valere che gli agenti delle imposte erano incompetenti. Il Governo stima a 31 440 il numero dei controlli in corso che avrebbero potuto dare adito a tale reclamo se la legge non fosse stata di applicazione immediata e sottolinea che anche prima dell’entrata in vigore del decreto del 12 settembre 1996, numerosi ricorsi riguardanti l’incompetenza territoriale o materiale degli agenti delle imposte erano stati già introdotti. Riconosce quindi che una valutazione precisa del contenzioso è difficile da stabilire.
46. Il Governo insiste anche sulle garanzie introdotte dal legislatore nella formula dell’articolo 122, ossia che questa disposizione si applica sotto riserva delle decisioni passate in forza di cosa giudicata, che è accantonata ai motivi di appello derivati dall’incompetenza materiale o territoriale dell’autorità che hanno proceduto al controllo e purché suddetti controlli siano stati effettuati conformemente alle regole decretate dal decreto del 12 settembre 1996. Si tratta dunque di scontare un vizio puramente formale (Forrer-Niedenthal c. Germania, no 47316/99, § 40, 20 febbraio 2003) e di garantire il recupero di un’imposta legalmente dovuta. In altri termini, la retroattività dell’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 mirava a privare i contribuenti solamente di un “effetto di fortuna” e non di un diritto garantito dalla Convenzione. Il Governo invoca a questo riguardo le sentenze OGIS-istituto Stanislas, OGEC Saint-Pie X e Blanche de Castille ed altri c. Francia, (numeri 42219/98 e 54563/00, 27 maggio 2004) in cui la Corte aveva ammesso che l’intervento legislativo, destino a colmare un vuoto giuridico, dipendeva da un interesse generale evidente ed imperioso.
47. Il Governo stima dunque che gli scopi perseguiti dal legislatore superavano il semplice interesse finanziario tratto dalla regolarizzazione dei controlli fiscali. Fa valere che attraverso la disposizione controversa, il legislatore ha in realtà cercato di preservare l’uguaglianza dei contribuenti dinnanzi ai carichi pubblici evitando che quelli che non hanno rispettato i loro obblighi dichiarativi venissero esonerati dalle loro imposte.
48. Peraltro, il Governo stima che la misura presa non appare come sproporzionata allo scopo perseguito nella misura in cui si tratta solo di una regolarizzazione a posteriori di certi controlli e non di una modifica dell’imponibile dell’imposta.
49. Perciò, stima che l’articolo 122 della legge delle finanze per 1997 si giustificava con gli imperiosi motivi di interesse generale e che la sua applicazione retroattiva ha predisposto un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e la protezione dei diritti fondamentali.
2. Valutazione della Corte
a) Sull’esistenza di un bene ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1
50. La Corte osserva che le parti hanno dei punti di vista divergenti in quanto alla questione di sapere se i richiedenti disponevano di un bene suscettibile di essere protetto dall’articolo 1 del Protocollo no 1. Ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, un richiedente non può addurre una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 che nella misura in cui le decisioni che incrimina si riferiscono ai suoi “beni” ai sensi di questa disposizione. La nozione di “beni” può ricoprire tanto i “beni reali” che i valori patrimoniali, ivi compresi, in certe situazioni ben definite, dei crediti. Affinché un credito possa essere considerato come un “valore patrimoniale” che ricade sotto l’influenza dell’articolo 1 del Protocollo no 1, occorre che il titolare del credito dimostri che questo ha una base sufficiente in diritto interno, per esempio che è confermato da una giurisprudenza ben stabilita dei tribunali. Dal momento che ciò viene acquisito, può entrare in gioco la nozione di “speranza legittima” (Maurice c. Francia [GC], no 11810/03, § 63, CEDH 2005-IX).
51. La Corte constata che il tribunale amministrativo di Bordeaux, basandosi sull’ordinanza del 24 maggio 1982, disposizione legale applicabile nel momento in cui i richiedenti hanno introdotto il loro ricorso, ha, col suo giudizio dell’ 8 giugno 1999, deciso che il DVNI non era competente per conoscere della situazione fiscale dei richiedenti, non avendo questi secondo lui nessuna relazione di interesse con la società B. precedentemente controllata dal DVNI. Con lo stesso giudizio, il tribunale ha allontanato come incompatibile con la Convenzione l’applicazione dell’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997, invocato in difesa dall’amministrazione.
52. Peraltro, la corte amministrativa di appello, annullando con la sua sentenza del 10 febbraio 2004 questo giudizio del tribunale amministrativo ha considerato che l’applicazione dell’articolo 122 era compatibile con la Convenzione, dal momento che l’articolo 6 § 1 della Convenzione era inapplicabile ratione materiae e che, per i motivi di interesse generale, questa applicazione non contravveniva all’articolo 1 del Protocollo 1. Inoltre, è per questo solo motivo che la corte amministrativa di appello ha rovesciato la soluzione alla quale era arrivato il tribunale amministrativo. Applicando la nuova legge, la corte amministrativa di appello non ha dovuto pronunciarsi sull’esistenza di relazioni di interesse tra i richiedenti e la società B., ai sensi dell’ordinanza del 24 maggio 1982.
53. Tenuto conto da queste decisioni giurisdizionali, e della giurisprudenza delle giurisdizioni amministrative (§ 28 sopra) la Corte considera, contrariamente a ciò che sostiene il Governo (§ 43 sopra) che i richiedenti beneficiavano, prima dell’intervento della legge delle finanze per il 1997, di un interesse patrimoniale che costituiva, se non un credito a riguardo del loro avversario, almeno di una “speranza legittima”, di potere ottenere il rimborso della somma controversa e che aveva il carattere di un “bene” ai sensi della prima frase dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere in particolare Lecarpentier ed altro, precitata, § 38, e S.p.A. Dangeville c. Francia, no 36677/97, § 48, CEDH 2002-III). L’articolo 1 del Protocollo no 1 è dunque applicabile al caso di specifico.
b) Sull’esistenza di un’ingerenza
54. La Corte stima che la legge controversa, regolando definitivamente il merito della controversia, ha provocato un’ingerenza nell’esercizio dei diritti che i richiedenti potevano fare valere in virtù della legge e della giurisprudenza in vigore e, pertanto, del loro diritto al rispetto dei loro beni.
55. Rileva che, nelle circostanze dello specifico, questa ingerenza si analizza in una privazione di proprietà ai sensi della seconda frase del primo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere in particolare, mutatis mutandis, Maurice e Draon c. Francia [GC], i nostri 28719/95 e 1513/03, CEDH 2005-IX, rispettivamente §§ 80 e 72, e Lecarpentier ed altro, precitata, § 40). Gli occorre ricercare dunque se l’ingerenza denunciata si giustifica sotto l’angolo di questa disposizione.
c) Sulla giustificazione dell’ingerenza,
i. Prevista dalla legge
56. Non è contestato che l’ingerenza controversa fosse ” prevista dalla legge”, come vuole l’articolo 1 del Protocollo no 1.
ii. “A causa di utilità pubblica”
57. In compenso, i pareri delle parti divergono in quanto alla legittimità di tale ingerenza. Quindi, la Corte deve ricercare se questa inseguiva un scopo legittimo, ossia se esisteva una “causa di utilità pubblica”, ai sensi della seconda frase del primo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
58. La Corte stima che, grazie ad una cognizione diretta della loro società e dei suoi bisogni, le autorità nazionali si trovano in principio meglio collocate che il giudice internazionale per determinare ciò che è “di utilità pubblica.” Nel meccanismo di protezione creato dalla Convenzione, spetta loro di conseguenza pronunciarsi per prime sull’esistenza di un problema di interesse generale che giustifica delle privazioni di proprietà. Quindi, godono qui di un certo margine di valutazione.
59. In più, la nozione di “utilità pubblica” è ampia per natura. La decisione di adottare delle leggi che portano privazione di proprietà implica in particolare, di solito l’esame di questioni politiche, economiche e sociali. Stimando normale che il legislatore disponga di una grande latitudine per condurre una politica economica e sociale, la Corte rispetta il modo in cui concepisce gli imperativi di “utilità pubblica”, salvo se il suo giudizio si rivela manifestamente privo di base ragionevole (Pressos Compania Naviera S.p.A. ed altri c. Belgio, 20 novembre 1995, § 37, serie A no 332, e Broniowski c. Polonia [GC], no 31443/96, § 149, CEDH 2004-V).
60. Nello specifico, la Corte è chiamata a pronunciarsi sul punto di sapere se lo scopo perseguito dall’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 superava il semplice interesse finanziario dello stato. Ricorda che in principio questo solo interesse finanziario non permette di giustificare l’intervento retroattivo di una legge di convalida (vedere, mutatis mutandis, Zielinski e Pradal e Gonzalez ed altri c. Francia [GC], numeri 24846/94 e 34165/96 a 34173/96, § 59, CEDH 1999-VII).
61. Il Governo intende fare valere che questa disposizione mirava ad evitare un contenzioso prevedibile ed abbondante, ma riconosce anche la difficoltà di valutare in modo preciso la superficie del rischio potenziale. La Corte non è convinta di questo argomento perché dubita della prevedibilità e dell’ampiezza del contenzioso invocato dal Governo. Difatti, l’aumento del numero di ricorsi formati dai contribuenti invocato dal Governo per giustificare il carattere retroattivo della legge delle finanze per il 1997, restava puramente ipotetico al momento dell’adozione di questa disposizione.
62. Del resto, la Corte non vede in che cosa questo potenziale aumento del numero dei ricorsi si staccherebbe dall’interesse finanziario dello stato. Stima difatti che lo scopo invocato dal Governo, ossia la riduzione dei contenziosi dinnanzi alle giurisdizioni amministrative, prevedeva in realtà a preservare il solo interesse finanziario dello stato sminuendo il numero dei procedimenti fiscali annullati dalle giurisdizioni amministrative.
63. La Corte constata anche che il Governo non pretende che l’importo delle entrate di cui lo stato avrebbe potuto essere privato in ragione della constatazione di incompetenza dei suoi agenti da parte delle giurisdizioni amministrative, ossia circa 1,1 miliardo di FRF, avrebbe un’ importanza tale sul suo bilancio da ledere l’interesse generale.
64. Tenuto conto di ciò che precede, l’intervento dell’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 che regolava in modo retroattivo e definitivo la controversia che oppone i richiedenti all’amministrazione fiscale, non era giustificato dall’interesse generale.
65. In queste condizioni, la Corte emette dei dubbi sul punto di sapere se l’ingerenza nel rispetto dei beni dei richiedenti serviva una “causa di utilità pubblica.”
66. Ad ogni modo, ricorda che una misura di ingerenza nel diritto al rispetto dei beni deve predisporre un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (vedere, tra altre, Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 69, serie A no 52) e che deve esistere un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto da ogni misura che priva una persona della sua proprietà (Pressos Compania Naviera S.p.A. ed altri, precitata, § 38).
67. Nello specifico, l’intervento legislativo controverso ha impedito definitivamente ai richiedenti di fare valere il loro motivo di appello tratto dall’incompetenza degli agenti del DVNI dinnanzi alle giurisdizioni amministrative, privandoli così di un bene di cui potevano sperare di ottenere il rimborso.
68. Secondo la Corte, l’adozione dell’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 ha fatto pesare un “carico anormale ed esorbitante” sui richiedenti e l’attentato portato ai loro beni ha rivestito un carattere sproporzionato, rompendo il giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e la salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui (vedere, mutatis mutandis, Lecarpentier ed altri, precitata, §§ 48 a 53). Perciò, considera che il margine di valutazione di cui disponevano le autorità, pur ampio trattandosi di una controversia di natura fiscale, è stato nello specifico superato.
69. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
70. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
71. I richiedenti richiedono la somma di 121 140 euro (EUR) a titolo del danno materiale che hanno subito a causa dell’intervento dell’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 che li priva della possibilità di fare annullare il loro controllo fiscale. Questa somma corrisponde a ciò che hanno versato all’amministrazione fiscale. Richiedono anche la somma di 26 180 EUR a titolo del danno morale, arguendo della lunghezza del procedimento e dello stato di salute del richiedente.
72. Il Governo contesta queste somme. Fa valere che, in un primo tempo, i richiedenti hanno riconosciuto la fondatezza della loro correzione prima di contestare, un anno più tardi, la competenza degli agenti del DVNI. Ne deduce che i richiedenti avevano accettato il principio stesso della loro correzione fiscale e che non potevano, in questa condizioni chiedere a titolo del danno materiale il rimborso di una somma che sapevano di dovere.
73. In quanto alle somme sollecitate in risarcimento del danno morale, il Governo contesta l’esistenza di un legame di causalità tra la violazioni dell’articolo 1 del Protocollo no 1 e lo stato di salute del richiedente o la durata del procedimento. Precisa che la somma chiesta è comunque sproporzionata. Stima che una constatazione di violazione sarebbe nello specifico sufficiente per riparare il danno subito.
74. La Corte constata che in una lettera indirizzata all’amministrazione fiscale, il 23 settembre 1993, i richiedenti hanno riconosciuto di avere commesso un errore sostanziale nella loro dichiarazione fiscale. Il loro ricorso riguardava un vizio formale che inficiava il procedimento in ragione dell’incompetenza degli agenti all’origine della loro correzione, vizio di cui non si sono potuti lamentare a causa dell’adozione di una legge di convalida retroattiva, dunque.
75. La Corte rileva che l’unica base da considerare per la concessione di una soddisfazione equa risiede nello specifico nel fatto che i richiedenti non hanno potuto godere delle garanzie dell’articolo 1 del Protocollo no 1. A questo riguardo, la Corte precisa che non le appartiene di speculare sulla conclusione della correzione fiscale inflitta ai richiedenti, né sulla possibilità per l’amministrazione fiscale di notificarne loro uno nuovo se il primo fosse stato annullato.
76. Tenuto conto di ciò che precede, la Corte stima che la constatazione di violazione al quale è giunta nello specifico costituisce in sé una soddisfazione equa per il danno morale subito dai richiedenti.
B. Oneri e spese
77. I richiedenti sollecitano 28 820,71 EUR a titolo degli oneri e spese impegnati tanto dinnanzi alle giurisdizioni interne che dinnanzi alla Corte. Ripartiscono la somma nel seguente modo: 1 356,03 EUR di oneri di avvocati per il reclamo indirizzato all’amministrazione fiscale, 6 526,98 EUR per il procedimento sollecitato dinnanzi al tribunale amministrativo, 8 565,08 EUR per l’istanza di appello, 6 392, 62 EUR per gli oneri di avvocati dinnanzi al Consiglio di stato e 5 980 EUR per gli oneri di avvocati inerenti al procedimento dinnanzi alla Corte. Producono delle note di parcella che giustificano queste spese.
78. Il Governo stima che la somma di 28 820,71 EUR, sebbene accompagnata da giustificativi, è sproporzionata. Valuta a 5 000 EUR la somma che converrebbe assegnare ai richiedenti.
79. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisce la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (vedere, tra altre, Öztürk c. Turchia [GC], no 22479/93, § 83, CEDH 1999-VI).
80. La Corte considera che l’importo globale degli oneri e delle spese che giustificano i richiedenti è sproporzionato, e stima ragionevole di accordare loro la somma di 10 000 EUR a questo titolo.
C. Interessi moratori
81. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile per quanto riguarda il motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1 ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce che la constatazione di violazione fornisce in sé una soddisfazione equa sufficiente per il danno morale subito dai richiedenti;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare ai richiedenti, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 10 000 EUR (diecimila euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dai richiedenti;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 23 luglio 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Claudia Westerdiek Peer Lorenzen
Cancelliera Presidente

Testo Tradotto

Conclusion Partiellement irrecevable ; Violation de P1-1 ; Préjudice moral – constat de violation suffisant
CINQUIÈME SECTION
AFFAIRE JOUBERT c. FRANCE
(Requête no 30345/05)
ARRÊT
STRASBOURG
23 juillet 2009
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Joubert c. France,
La Cour européenne des droits de l’homme (cinquième section), siégeant en une chambre composée de :
Peer Lorenzen, président,
Rait Maruste,
Jean-Paul Costa,
Karel Jungwiert,
Renate Jaeger,
Mark Villiger,
Isabelle Berro-Lefèvre, juges,
et de Claudia Westerdiek, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 30 juin 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 30345/05) dirigée contre la République française et dont deux ressortissants de cet Etat, M. F. J. et Mme M J., son épouse, (« les requérants »), ont saisi la Cour le 18 août 2005 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérants sont représentés par Me P. M , avocat à Gradignan. Le gouvernement français (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, Mme E. Belliard, directrice des affaires juridiques au ministère des Affaires étrangères.
3. Les requérants alléguaient notamment une violation de l’article 1 du Protocole no 1, en raison de l’intervention d’une loi rétroactive en cours de procédure administrative.
4. Le 3 décembre 2007, la Cour a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, elle a en outre décidé que seraient examinés en même temps la recevabilité et le bien-fondé de l’affaire.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Les requérants sont nés respectivement en 1944 et 1949 et résident à Saint-Romain-la-Virvée.
6. Ils détenaient 99 % du capital de la société M. En 1990, ils cédèrent l’ensemble de ces parts à la société B. pour un montant de 7,5 millions de francs français (FRF). Dans leur déclaration fiscale personnelle, ils déclarèrent, au titre de la plus-value réalisée pour l’année 1990, la somme de 3 252 000 FRF.
7. A la suite de la vérification par l’administration fiscale de la comptabilité de la société B. qui avait acquis les titres, la direction des vérifications nationales et internationales (DVNI) de la direction générale des impôts notifia aux requérants, le 13 septembre 1993, un redressement au titre de la plus-value réalisée lors de cette cession, estimant que ladite plus-value était supérieure de 4 millions de francs à la somme qu’ils avaient déclarée. Des pénalités de mauvaise foi, d’un taux de 40 %, leur furent imputées à cette occasion.
8. Dans un courrier du 23 septembre 1993 adressé à l’administration fiscale, les requérants reconnurent qu’ils auraient dû déclarer la totalité du prix de vente dans leur déclaration. Ils demandèrent cependant la levée des pénalités fiscales qui leur avaient été appliquées. La DVNI refusa de faire droit à cette demande par courrier du 10 novembre 1993.
9. L’imposition supplémentaire, d’un montant total de 1 058 947 FRF, fut mise en recouvrement le 30 novembre 1994.
10. Le 12 janvier 1995, en vertu de l’article L. 76 A du livre des procédures fiscales (paragraphe 27 ci-dessous), les requérants saisirent l’administration fiscale d’une réclamation tendant à obtenir la décharge des cotisations supplémentaires à l’impôt auxquelles ils avaient été assujettis au titre de l’année 1990 ainsi que des pénalités y afférentes. L’administration ne répondit pas à cette demande.
11. Son silence équivalant à un refus, les requérants saisirent, le 18 septembre 1995, le tribunal administratif de Bordeaux. A l’appui de leur demande, ils firent notamment valoir que le service fiscal leur ayant notifié le redressement litigieux, et dont la compétence était expressément déterminée par les dispositions d’un arrêté du 24 mai 1982, n’était pas habilité à procéder à ce contrôle et au redressement qui s’en est suivi.
12. Le 31 décembre 1996, alors que la procédure était pendante devant le tribunal administratif, fut publiée au Journal Officiel de la République française la loi no 96-1181 portant loi de finances pour l’année 1997. L’article 122 de cette loi disposait que, sous réserve des seules décisions passées en force de chose jugée, les contrôles effectués par l’administration fiscale et contestés en raison d’une prétendue incompétence territoriale ou matérielle du service qui avait procédé à ce contrôle, étaient réputés réguliers, à condition toutefois que ces contrôles aient été effectués conformément aux nouvelles règles de compétences posées par l’arrêté du 12 septembre 1996 (paragraphe 25 ci-dessous).
13. Le 10 octobre 1997, l’administration fiscale déposa son mémoire en réponse au recours introduit par les requérants devant le tribunal administratif. Elle fit valoir que, sur le fondement de l’article 122 de la loi susvisée, le moyen soulevé par les requérants, tiré de l’incompétence du service leur ayant notifié le redressement litigieux, devait être écarté.
14. Dans un mémoire en réponse déposé devant le tribunal administratif de Bordeaux le 21 avril 1998, les requérants firent valoir que l’article 122 de la loi de finances ne pouvait s’appliquer aux instances en cours, arguant d’une violation de l’article 6 de la Convention.
15. Par un jugement prononcé le 8 juin 1999, le tribunal administratif de Bordeaux accueillit la demande des requérants. Il estima notamment que l’Etat ne pouvait, sans méconnaître les dispositions de l’article 6 § 1 de la Convention, prendre des mesures législatives à portée rétroactive, dont la conséquence était une modification des règles que le juge devait appliquer pour statuer sur des litiges dans lesquels l’Etat était partie, sauf lorsque l’intervention de ces mesures se justifiait par des motifs d’intérêt général. En l’espèce, le tribunal jugea que l’article 122 de la loi de finances pour 1997 régularisant les contrôles réalisés par des agents de l’administration fiscale territorialement ou matériellement incompétents ne présentait qu’un intérêt financier pour le budget de l’Etat et, qu’en conséquence, ce texte ne remplissait pas la condition d’intérêt général requise par l’article 6 § 1 de la Convention. Il en écarta donc l’application.
16. Sur le fond, le tribunal constata que la DVNI n’était pas compétente pour connaître de la situation fiscale des requérants car, en vertu de l’arrêté du 24 mai 1982, elle ne pouvait vérifier la situation fiscale que des personnes susceptibles d’avoir entretenu des « relations d’intérêt, directes ou indirectes », avec des entreprises que la DVNI avait déjà précédemment contrôlées. Or, le tribunal remarqua en l’espèce que les requérants n’avaient entretenu aucune relation d’intérêt avec la société B. précédemment contrôlée par la DVNI. Il ordonna la décharge des cotisations supplémentaires à l’impôt sur le revenu et des pénalités afférentes auxquelles les requérants avaient été assujettis au titre de l’année 1990.
17. Le 21 octobre 1999, le ministre de l’Economie, des Finances et de l’Industrie interjeta appel de ce jugement. Il soutenait que l’article 122 de la loi de finances pour 1997 était applicable à l’instance en cours.
18. De leur côté, les requérants contestèrent l’article R.200-18 du livre des procédures fiscales donnant à l’administration un délai supérieur à celui des requérants pour saisir la cour administrative d’appel. Ils invoquaient pour cela les articles 6 § 1 et 14 de la Convention. Sur le fond, ils firent valoir que l’article 122 de la loi de finances pour 1997 était contraire aux articles 6, 13 et14 de la Convention ainsi qu’à l’article 1 du Protocole no 1.
19. Par un arrêt rendu le 10 février 2004, la cour administrative d’appel de Bordeaux réforma le jugement attaqué. Sur les délais de recours accordés à l’administration, la cour considéra que l’article 6 de la Convention n’était pas applicable à la procédure en cause dans la mesure où celle-ci ne visait ni des droits et obligations de caractère civil, ni une accusation en matière pénale. Sur la régularité de la procédure d’imposition, la cour estima également que l’article 6 de la Convention ne pouvait être invoqué par les requérants car la procédure fiscale en cause n’entrait pas dans son champ d’application.
20. Quant aux dispositions de l’article 122 de la loi de finances pour 1997, la cour administrative d’appel estima qu’elles poursuivaient un motif d’intérêt général de nature à justifier la validation qu’elles prononçaient et qu’en conséquence, ce texte n’était pas contraire à l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention. Infirmant sur ce point le jugement du tribunal administratif, elle fit donc application de cette disposition au présent cas d’espèce.
21. Sur le fond, la cour administrative d’appel jugea que les agents de la DVNI étaient compétents pour vérifier la situation fiscale des requérants et leur notifier un redressement dans la mesure où, comme l’imposait l’article 122 de la loi de finances, le contrôle avait respecté les nouvelles règles de compétence posées par le décret du 12 septembre 1996 (paragraphe 26 ci-dessous). Elle estima cependant que les pénalités de 40 % infligées aux requérants en raison de leur prétendue mauvaise foi dans leur déclaration de revenus au titre de l’année 1990 n’étaient pas justifiées et en prononça la décharge intégrale. A la suite de cet arrêt, les requérants firent donc l’objet d’un redressement fiscal, mais furent exonérés des pénalités pour mauvaise foi.
22. Le 9 juillet 2004, les requérants s’acquittèrent de la somme de 121 140 EUR qui leur était réclamée par l’administration fiscale.
23. Ils saisirent le Conseil d’Etat d’un pourvoi en cassation. Par une décision du 23 février 2005, le Conseil d’Etat considéra qu’aucun des moyens de cassation soulevés par les requérants n’était de nature à permettre l’admission du pourvoi.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
1. L’arrêté du 24 mai 1982 portant délimitation des compétences de la direction des vérifications nationales et internationales et modification des attributions de certains directeurs régionaux des impôts
24. L’article 2 de cet arrêté se lit comme suit :
« La direction des vérifications nationales et internationales assure conformément aux directives fixées par le directeur général des impôts et concurremment avec les autres services des impôts habilités à effectuer ces catégories d’opérations :
(…)
c) La vérification, en tant que de besoin, et quel que soit le lieu de leur domicile, de la situation fiscale des dirigeants des entreprises vérifiées et de toutes personnes subordonnées ou interposées ; sont considérés comme tels :
(…)
– toute personne susceptible d’avoir des relations d’intérêt, directes ou indirectes, avec l’une des entreprises vérifiées (…) »
2. La loi de finances pour 1997 (loi no 96-1181 du 30 décembre 1996, parue au Journal Officiel du 31 décembre 1996)
25. L’article 122 de cette loi dispose :
« Sous réserve des décisions de justice passées en force de chose jugée, les contrôles engagés par les services déconcentrés de la direction générale des impôts avant l’entrée en vigueur du décret no 96-804 du 12 septembre 1996 et des arrêtés du 12 septembre 1996 régissant leur compétence ainsi que les titres exécutoires émis à la suite de ces contrôles pour établir les impositions sont réputés réguliers en tant qu’ils seraient contestés par le moyen tiré de l’incompétence territoriale ou matérielle des agents qui ont effectué ces contrôles ou délivré ces titres à la condition que ces contrôles aient été effectués conformément aux règles de compétence fixées par les textes précités. »
Cette disposition exclut la possibilité de se prévaloir de l’incompétence de la DVNI en invoquant l’arrêté du 24 mai 1982. Désormais, tous les contrôles réalisés par ce service sont réputés réguliers s’ils ont été effectués conformément aux règles de compétences fixées par l’arrêté du 12 septembre 1996 ci dessous (qui élargit la compétence de la DVNI).
3. L’arrêté du 12 septembre 1996 précisant les attributions de la direction des vérifications nationales et internationales et les compétences des agents qui y sont affectés (pris en application du décret no 96-804 du 12 septembre 1996)
26. L’article 1er de cet arrêté se lit comme suit :
« (…) La direction des vérifications nationales et internationales assure sur l’ensemble du territoire national (…), concurremment avec les autres services des impôts compétents, les opérations suivantes :
a) Le contrôle de tous impôts, droits et taxes dus par toutes personnes physiques ou morales, tous groupements de personnes de fait ou de droit, ou par toutes entités quelle que soit leur forme juridique, quel que soit le lieu du domicile, établissement ou siège social de ces personnes, groupements ou entités (…) »
4. Le livre des procédures fiscales
27. L’article L 76 A se lit comme suit :
« Le contribuable qui a fait l’objet d’une imposition d’office conserve le droit de présenter une réclamation conformément à l’article L. 190. »
L’article L. 190 se lit comme suit :
« Les réclamations relatives aux impôts, contributions, droits, taxes, redevances, soultes et pénalités de toute nature, établis ou recouvrés par les agents de l’administration, relèvent de la juridiction contentieuse lorsqu’elles tendent à obtenir soit la réparation d’erreurs commises dans l’assiette ou le calcul des impositions, soit le bénéfice d’un droit résultant d’une disposition législative ou réglementaire. »
L’article R. 200-18 se lit comme suit :
« A compter de la notification du jugement du tribunal administratif qui a été faite au directeur du service de l’administration des impôts ou de l’administration des douanes et droits indirects qui a suivi l’affaire, celui-ci dispose d’un délai de deux mois pour transmettre, s’il y a lieu, le jugement et le dossier au ministre chargé du budget.
Le délai imparti pour saisir la cour administrative d’appel court, pour le ministre, de la date à laquelle expire le délai de transmission prévu à l’alinéa précédent ou de la date de la signification faite au ministre. »
5. La jurisprudence pertinente
28. Au moment où les requérants ont saisi le tribunal administratif, la notion de « relations d’intérêt, directes ou indirectes » telle que définie par la jurisprudence administrative s’entendait « de la participation directe ou indirecte à la direction ou au contrôle d’une entreprise, de la participation à son capital ou à son financement, enfin de la participation aux résultats et aux distributions de toute nature qu’elle peut effectuer sous forme de salaires, honoraires, redevances ; que toutefois ces distributions doivent avoir une relation avec l’activité de l’entreprise au cours de la procédure soumise à vérification » (cour administrative d’appel de Paris, 28 mars 1991, arrêt no 90PA00161).
Ainsi, le Conseil d’Etat a caractérisé une relation d’intérêt, directe ou indirecte, lorsqu’un particulier était associé majoritaire d’une société et également rémunéré par celle-ci (arrêt du 1er juin 1983, no 37748), lorsqu’il était le directeur de l’entreprise (arrêt du 23 novembre 1983, no 36361) ou le président-directeur général de la société (arrêts du 10 mai 1989, no 69129 et du 12 février 1990, no 55760), lorsqu’il était intéressé au développement de l’entreprise en raison d’une rémunération proportionnelle au nombre de ventes (arrêt du 3 mars 1993, no 83462) ou du versement d’une redevance dont il contrôlait l’assiette (arrêt du 21 mars 1984) ou lorsqu’il existait des « liens d’intérêt étroits » entre deux sociétés (arrêt du 15 juin 1987, no 44905).
En revanche, la circonstance qu’un particulier ait perçu une rémunération pour les fonctions qu’il exerçait au sein d’une filiale de la société vérifiée par l’administration fiscale est insuffisante pour caractériser une relation d’intérêt entre eux (cour administrative d’appel de Bordeaux, 1er août 1995, no 94BX01607).
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DES ARTICLES 6, 13 ET 14 DE LA CONVENTION
29. Les requérants estiment que l’article R. 200-18 du livre des procédures fiscales qui octroie à l’administration un délai supérieur à celui des contribuables pour interjeter appel de la décision du tribunal administratif est contraire à l’équité de la procédure. Ils invoquent les articles 6 et 14 combinés. Ils estiment également que l’intervention, en cours d’instance, d’une loi de validation réglant définitivement le litige au profit de leur adversaire, a violé les articles 6 et 13 combinés dont les passages pertinents se lisent comme suit :
Article 6
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement (…) par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) »
Article 13
« Toute personne dont les droits et libertés reconnus dans la (…) Convention ont été violés, a droit à l’octroi d’un recours effectif devant une instance nationale, alors même que la violation aurait été commise par des personnes agissant dans l’exercice de leurs fonctions officielles. »
Article 14
« La jouissance des droits et libertés reconnus dans la (…) Convention doit être assurée, sans distinction aucune, fondée notamment sur le sexe, la race, la couleur, la langue, la religion, les opinions politiques ou toutes autres opinions, l’origine nationale ou sociale, l’appartenance à une minorité nationale, la fortune, la naissance ou toute autre situation. »
30. La Cour rappelle qu’en principe la Convention n’est pas applicable aux procédures fiscales, celles-ci ne concernant généralement ni des droits et obligations de caractère civil, ni des accusations en matière pénale au sens de l’article 6 (Ferrazzini c. Italie [GC], no 44759/98, § 23, CEDH 2001-VII). Il peut toutefois en être autrement si la Cour distingue dans le litige en cause une « coloration pénale », notamment lorsque des pénalités fiscales ont été appliquées (Bendenoun c. France, 24 février 1994, § 47, série A no 284).
31. En l’espèce, la Cour note que des pénalités fiscales de 40 % ont bien été appliquées aux requérants pour mauvaise foi. Cependant, elle constate que la cour administrative d’appel de Bordeaux en a prononcé la décharge intégrale dans son arrêt du 10 février 2004. En définitive, les requérants ont fait l’objet d’un redressement fiscal, mais sans pénalités.
32. Dans ces conditions, la Cour considère que le litige les opposant à l’administration a perdu sa « coloration pénale » et que l’article 6 de la Convention ne saurait trouver à s’appliquer. Il s’ensuit que les griefs tirés de cette disposition sont incompatibles ratione materiae avec la Convention et doivent être rejetés en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de ce texte.
33. Concernant les griefs tirés des articles 13 et 14, la Cour rappelle que la première de ces dispositions n’est applicable que si le requérant peut prétendre « de manière défendable » avoir été victime d’une violation d’un autre droit prévu par la Convention (Boyle et Rice c. Royaume-Uni, 27 avril 1988, § 52, série A no 131) et que la seconde ne saurait trouver à s’appliquer si les faits du litige ne tombent pas sous l’empire de l’une au moins des clauses normatives de la Convention et de ses protocoles (Van Raalte c. Pays-Bas, 21 février 1997, § 33, Recueil des arrêts et décisions 1997-I).
34. En l’espèce, la Cour constate que les griefs des requérants fondés sur les articles 13 et 14 sont combinés à l’article 6 de la Convention. Or, la Cour a conclu à l’inapplicabilité de cette disposition à la procédure fiscale des requérants (paragraphe 33 ci-dessus). Partant, ces dispositions ne trouvent pas à s’appliquer en l’espèce.
35. Il s’ensuit que cette partie de la requête doit également être déclarée incompatible ratione materiae avec la Convention et doit être rejetée en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de ce texte.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
36. Les requérants estiment que le caractère rétroactif de l’article 122 de la loi de finances pour 1997 les a privés de leurs biens dans la mesure où cette disposition a mis fin de manière définitive au litige les opposant à l’administration. Ils invoquent l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention qui se lit comme suit :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
A. Sur la recevabilité
37. La Cour constate que cette partie de la requête n’est pas manifestement mal fondée au sens de l’article 35 § 3 de la Convention et qu’elle ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de la déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
a) Les requérants
38. Les requérants insistent sur la passivité de l’administration dans leur dossier. Ils expliquent que leur requête a été déposée le 18 septembre 1995 devant le tribunal administratif de Bordeaux et que l’administration fiscale, sachant qu’une loi à portée rétroactive était en préparation, a attendu l’entrée en vigueur de celle-ci pour déposer son mémoire en réponse et invoquer devant le tribunal l’irrecevabilité de leur grief tiré de l’incompétence de la DVNI. Ils estiment que l’intervention de l’article 122 de la loi de finances pour 1997 ne visait qu’à faire échec à leur recours en justice.
39. Les requérants font valoir qu’ils disposaient au moment de l’introduction de leur recours d’une espérance légitime de le voir couronné de succès en raison d’une jurisprudence administrative constante et qui leur était favorable. Ils se réfèrent pour cela à deux arrêts de cours administratives d’appel (paragraphe 28 ci-dessus) ainsi qu’à l’arrêt Lecarpentier et autre c. France (no 67847/01, 14 février 2006). Ils précisent également que le fait que le tribunal ne se soit pas encore prononcé sur le bien-fondé de leurs demandes au moment où la loi litigieuse est entrée en vigueur est inopérant. Au demeurant, selon eux, les interrogations du Gouvernement quant à la notion de « relations d’intérêt, directes ou indirectes » sont superfétatoires puisqu’il est évident que les requérants n’ont entretenu aucune relation d’intérêt avec la société B. contrôlée par la DVNI dans la mesure où ils se sont bornés à lui vendre les parts qu’ils détenaient dans la société M.
40. Les requérants s’opposent également aux affirmations du Gouvernement sur le contentieux évité par l’application rétroactive de l’article de loi en cause. Ils contestent le chiffre, fourni par le Gouvernement, de 31 440 contrôles qui auraient pu être remis en cause et font valoir que le montant des redressements issus de ces contrôles et validés a posteriori par la disposition litigieuse (environ 1,1 milliard de FRF) est dérisoire dans le budget global de l’Etat pour l’année 1997.
41. Les requérants précisent que l’administration a bénéficié en l’espèce d’un effet d’aubaine puisqu’elle a fait valider par le législateur ses fautes passées, faisant ainsi peser sur les requérants une charge anormale et exorbitante. Ils concluent au caractère disproportionné de la mesure litigieuse et à la violation de l’article 1 du Protocole no 1.
b) Le Gouvernement
42. Le Gouvernement entend faire valoir que, lors de l’adoption de la loi de finances pour 1997, les requérants n’étaient pas titulaires d’une créance certaine et exigible sur l’Etat puisqu’aucun jugement n’avait encore été rendu dans leur procédure. Il fait référence pour cela aux affaires Fernandez-Molina Gonzalez et autres c. Espagne ((déc.), no 64359/01, CEDH 2002-IX) et Raffineries grecques Stran et Stratis Andreadis c. Grèce (9 décembre 1994, série A no 301-B) et en conclut que les requérants n’étaient pas titulaires d’un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1.
43. Par ailleurs, le Gouvernement estime, contrairement aux requérants, que le succès de leur recours en justice n’était pas certain. En effet, il précise que la notion de « relations d’intérêt, directes ou indirectes » telle que prévue par l’arrêté du 24 mai 1982 n’était pas clairement déterminée. Il souligne qu’aucune décision de justice citée par les requérants sur ce point ne peut être transposée à la présente espèce. Il en conclut qu’en l’état de la jurisprudence, les requérants ne pouvaient prétendre à une « espérance légitime » de voir leurs revendications satisfaites.
44. Sur la justification de l’ingérence, le Gouvernement rappelle que la Cour accorde aux Etats parties une certaine marge d’appréciation pour choisir les modalités de mise en œuvre de la mesure contestée (Jahn et autres c. Allemagne [GC], nos 46720/99, 72203/01 et 72552/01, CEDH 2005-VI). En matière fiscale, cette marge d’appréciation est importante (National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society et Yorkshire Building Society c. Royaume-Uni, 23 octobre 1997, Recueil 1997-VII).
45. Le Gouvernement fait valoir que l’article 122 de la loi de finances pour 1997 avait pour but d’éviter un contentieux prévisible et abondant né de la clarification des compétences territoriales et matérielles des agents de la DVNI. En particulier, l’absence d’effet rétroactif aurait pu nuire aux contrôles fiscaux en cours au moment de l’adoption de la loi de finances car les contribuables contrôlés auraient pu faire valoir que les agents des impôts étaient incompétents. Le Gouvernement estime à 31 440 le nombre de contrôles en cours qui auraient pu donner lieu à une telle réclamation si la loi n’avait pas été d’application immédiate et souligne qu’avant même l’entrée en vigueur du décret du 12 septembre 1996, de nombreux recours portant sur l’incompétence territoriale ou matérielle des agents des impôts avaient déjà été introduits. Il reconnaît cependant qu’une évaluation précise du contentieux est difficile à établir.
46. Le Gouvernement insiste également sur les garanties introduites par le législateur dans le libellé de l’article 122, à savoir que cette disposition s’applique sous réserve des décisions passées en force de chose jugée, qu’elle est cantonnée aux griefs tirés de l’incompétence matérielle ou territoriale de l’autorité ayant procédé au contrôle et à condition que lesdits contrôles aient été effectués conformément aux règles édictées par le décret du 12 septembre 1996. Il s’agit donc de purger un vice purement formel (Forrer-Niedenthal c. Allemagne, no 47316/99, § 40, 20 février 2003) et de garantir le recouvrement d’une imposition légalement due. En d’autres termes, la rétroactivité de l’article 122 de la loi de finances pour 1997 ne vise qu’à priver les contribuables d’un « effet d’aubaine » et non d’un droit garanti par la Convention. Le Gouvernement invoque à cet égard les arrêts OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X et Blanche de Castille et autres c. France (nos 42219/98 et 54563/00, 27 mai 2004) dans lequel la Cour avait admis que l’intervention législative, destinée à combler un vide juridique, relevait d’un intérêt général évident et impérieux.
47. Le Gouvernement estime donc que les buts poursuivis par le législateur dépassaient le simple intérêt financier tiré de la régularisation des contrôles fiscaux. Il fait valoir qu’à travers la disposition litigieuse, le législateur a en réalité cherché à préserver l’égalité des contribuables devant les charges publiques en évitant que ceux qui n’ont pas respecté leurs obligations déclaratives soient déchargés de leurs impôts.
48. Par ailleurs, le Gouvernement estime que la mesure prise n’apparaît pas comme disproportionnée au but poursuivi dans la mesure où il ne s’agit que d’une régularisation a posteriori de certains contrôles et non d’une modification de l’assiette de l’impôt.
49. En conséquence, il estime que l’article 122 de la loi de finances pour 1997 se justifiait par d’impérieux motifs d’intérêt général et que son application rétroactive a ménagé un juste équilibre entre les exigences de l’intérêt général et la protection des droits fondamentaux.
2. Appréciation de la Cour
a) Sur l’existence d’un bien au sens de l’article 1 du Protocole no 1
50. La Cour observe que les parties ont des points de vue divergents quant à la question de savoir si les requérants disposaient d’un bien susceptible d’être protégé par l’article 1 du Protocole no 1. Elle rappelle que, selon sa jurisprudence, un requérant ne peut alléguer une violation de l’article 1 du Protocole no 1 que dans la mesure où les décisions qu’il incrimine se rapportent à ses « biens » au sens de cette disposition. La notion de « biens » peut recouvrir tant des « biens actuels » que des valeurs patrimoniales, y compris, dans certaines situations bien définies, des créances. Pour qu’une créance puisse être considérée comme une « valeur patrimoniale » tombant sous le coup de l’article 1 du Protocole no 1, il faut que le titulaire de la créance démontre que celle-ci a une base suffisante en droit interne, par exemple qu’elle est confirmée par une jurisprudence bien établie des tribunaux. Dès lors que cela est acquis, peut entrer en jeu la notion d’« espérance légitime » (Maurice c. France [GC], no 11810/03, § 63, CEDH 2005-IX).
51. La Cour constate que le tribunal administratif de Bordeaux, se fondant sur l’arrêté du 24 mai 1982, disposition légale applicable au moment où les requérants ont introduit leur recours, a, par son jugement du 8 juin 1999, décidé que la DVNI n’était pas compétente pour connaître de la situation fiscale des requérants, ceux-ci n’ayant selon lui aucune relation d’intérêt avec la société B. précédemment contrôlée par la DVNI. Par le même jugement, le tribunal a écarté comme incompatible avec la Convention l’application de l’article 122 de la loi de finances pour 1997, invoquée en défense par l’administration.
52. Par ailleurs, la cour administrative d’appel, infirmant par son arrêt du 10 février 2004 ce jugement du tribunal administratif a considéré que l’application de l’article 122 était compatible avec la Convention, dès lors que l’article 6 § 1 de la Convention était inapplicable ratione materiae et que, pour des motifs d’intérêt général, cette application ne contrevenait pas à l’article 1 du Protocole 1. En outre, c’est pour ce seul motif que la cour administrative d’appel a renversé la solution à laquelle avait abouti le tribunal administratif. Appliquant la loi nouvelle, la cour administrative d’appel n’a pas eu à se prononcer sur l’existence de relations d’intérêt entre les requérants et la société B., au sens de l’arrêté du 24 mai 1982.
53. Compte tenu de ces décisions juridictionnelles, et de la jurisprudence des juridictions administratives (§ 28 ci-dessus), la Cour considère, contrairement à ce que soutient le Gouvernement (§ 43 ci-dessus), que les requérants bénéficiaient, avant l’intervention de la loi de finances pour 1997, d’un intérêt patrimonial qui constituait, sinon une créance à l’égard de leur adversaire, du moins une « espérance légitime », de pouvoir obtenir le remboursement de la somme litigieuse et qui avait le caractère d’un « bien » au sens de la première phrase de l’article 1 du Protocole no 1 (voir notamment Lecarpentier et autre, précité, § 38, et S.A. Dangeville c. France, no 36677/97, § 48, CEDH 2002-III). L’article 1 du Protocole no 1 est donc applicable au cas d’espèce.
b) Sur l’existence d’une ingérence
54. La Cour estime que la loi litigieuse, en réglant définitivement le fond du litige, a entraîné une ingérence dans l’exercice des droits que les requérants pouvaient faire valoir en vertu de la loi et de la jurisprudence en vigueur et, partant, de leur droit au respect de leurs biens.
55. Elle relève que, dans les circonstances de l’espèce, cette ingérence s’analyse en une privation de propriété au sens de la seconde phrase du premier alinéa de l’article 1 du Protocole no 1 (voir notamment, mutatis mutandis, Maurice et Draon c. France [GC], nos 28719/95 et 1513/03, CEDH 2005-IX, respectivement §§ 80 et 72, et Lecarpentier et autre, précité, § 40). Il lui faut donc rechercher si l’ingérence dénoncée se justifie sous l’angle de cette disposition.
c) Sur la justification de l’ingérence
i. Prévue par la loi
56. Il n’est pas contesté que l’ingérence litigieuse ait été « prévue par la loi », comme le veut l’article 1 du Protocole no 1.
ii. « Pour cause d’utilité publique »
57. En revanche, les avis des parties divergent quant à la légitimité d’une telle ingérence. Dès lors, la Cour doit rechercher si celle-ci poursuivait un but légitime, à savoir s’il existait une « cause d’utilité publique », au sens de la seconde phrase du premier alinéa de l’article 1 du Protocole no 1.
58. La Cour estime que, grâce à une connaissance directe de leur société et de ses besoins, les autorités nationales se trouvent en principe mieux placées que le juge international pour déterminer ce qui est « d’utilité publique ». Dans le mécanisme de protection créé par la Convention, il leur appartient par conséquent de se prononcer les premières sur l’existence d’un problème d’intérêt général justifiant des privations de propriété. Dès lors, elles jouissent ici d’une certaine marge d’appréciation.
59. De plus, la notion d’« utilité publique » est ample par nature. En particulier, la décision d’adopter des lois portant privation de propriété implique d’ordinaire l’examen de questions politiques, économiques et sociales. Estimant normal que le législateur dispose d’une grande latitude pour mener une politique économique et sociale, la Cour respecte la manière dont il conçoit les impératifs de l’« utilité publique », sauf si son jugement se révèle manifestement dépourvu de base raisonnable (Pressos Compania Naviera S.A. et autres c. Belgique, 20 novembre 1995, § 37, série A no 332, et Broniowski c. Pologne [GC], no 31443/96, § 149, CEDH 2004-V).
60. En l’espèce, la Cour est appelée à se prononcer sur le point de savoir si le but poursuivi par l’article 122 de la loi de finances pour 1997 dépassait le simple intérêt financier de l’Etat. Elle rappelle qu’en principe ce seul intérêt financier ne permet pas de justifier l’intervention rétroactive d’une loi de validation (voir, mutatis mutandis, Zielinski et Pradal et Gonzalez et autres c. France [GC], nos 24846/94 et 34165/96 à 34173/96, § 59, CEDH 1999-VII).
61. Le Gouvernement entend faire valoir que cette disposition visait à éviter un contentieux prévisible et abondant, mais reconnaît également la difficulté d’évaluer de manière précise l’étendue du risque potentiel. La Cour n’est pas convaincue par cet argument car elle doute de la prévisibilité et de l’ampleur du contentieux invoqué par le Gouvernement. En effet, l’augmentation du nombre de recours formés par les contribuables invoquée par le Gouvernement pour justifier du caractère rétroactif de la loi de finances pour 1997, restait purement hypothétique au moment de l’adoption de cette disposition.
62. Au demeurant, la Cour ne voit pas en quoi cette potentielle augmentation du nombre de recours se départirait de l’intérêt financier de l’Etat. Elle estime en effet que le but invoqué par le Gouvernement, à savoir la réduction des contentieux devant les juridictions administratives, visait en réalité à préserver le seul intérêt financier de l’Etat en diminuant le nombre de procédures fiscales annulées par les juridictions administratives.
63. La Cour constate également que le Gouvernement ne prétend pas que le montant des recettes dont l’Etat aurait pu être privé en raison du constat d’incompétence de ses agents par les juridictions administratives, à savoir environ 1,1 milliard de FRF, aurait une telle importance sur son budget que l’intérêt général s’en trouverait affecté.
64. Compte tenu de ce qui précède, l’intervention de l’article 122 de la loi de finances pour 1997, qui réglait de manière rétroactive et définitive le litige opposant les requérants à l’administration fiscale, n’était pas justifiée par l’intérêt général.
65. Dans ces conditions, la Cour émet des doutes sur le point de savoir si l’ingérence dans le respect des biens des requérants servait une « cause d’utilité publique ».
66. En tout état de cause, elle rappelle qu’une mesure d’ingérence dans le droit au respect des biens doit ménager un juste équilibre entre les exigences de l’intérêt général de la communauté et les impératifs de la sauvegarde des droits fondamentaux de l’individu (voir, parmi d’autres, Sporrong et Lönnroth c. Suède, 23 septembre 1982, § 69, série A no 52) et qu’un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé par toute mesure privant une personne de sa propriété doit exister (Pressos Compania Naviera S.A. et autres, précité, § 38).
67. En l’espèce, l’intervention législative litigieuse a définitivement empêché les requérants de faire valoir leur grief tiré de l’incompétence des agents de la DVNI devant les juridictions administratives, les privant ainsi d’un bien dont ils pouvaient espérer obtenir le remboursement.
68. De l’avis de la Cour, l’adoption de l’article 122 de la loi de finances pour 1997 a fait peser une « charge anormale et exorbitante » sur les requérants et l’atteinte portée à leurs biens a revêtu un caractère disproportionné, rompant le juste équilibre entre les exigences de l’intérêt général et la sauvegarde des droits fondamentaux des individus (voir, mutatis mutandis, Lecarpentier et autre, précité, §§ 48 à 53). En conséquence, elle considère que la marge d’appréciation dont disposaient les autorités, même élargie s’agissant d’un litige de nature fiscale, est en l’espèce dépassée.
69. Partant, il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
70. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
71. Les requérants réclament la somme de 121 140 euros (EUR) au titre du préjudice matériel qu’ils ont subi du fait de l’intervention de l’article 122 de la loi de finances pour 1997 les privant de la possibilité de faire annuler leur contrôle fiscal. Cette somme correspond à ce qu’ils ont versé à l’administration fiscale. Ils réclament également la somme de 26 180 EUR au titre du préjudice moral, arguant de la longueur de la procédure et de l’état de santé du requérant.
72. Le Gouvernement conteste ces sommes. Il fait valoir que, dans un premier temps, les requérants ont reconnu le bien-fondé de leur redressement avant de contester, un an plus tard, la compétence des agents de la DVNI. Il en déduit que les requérants avaient accepté le principe même de leur redressement fiscal et qu’ils ne pouvaient, dans ces conditions demander au titre du préjudice matériel le remboursement d’une somme qu’ils savaient devoir.
73. Quant aux sommes sollicitées en réparation du préjudice moral, le Gouvernement conteste l’existence d’un lien de causalité entre la violation de l’article 1 du Protocole no 1 et l’état de santé du requérant ou la durée de la procédure. Il précise que la somme demandée est de toute manière disproportionnée. Il estime qu’un constat de violation serait en l’espèce suffisant pour réparer le préjudice subi.
74. La Cour constate que dans un courrier adressé à l’administration fiscale, le 23 septembre 1993, les requérants ont reconnu avoir commis une erreur substantielle dans leur déclaration fiscale. Leur recours portait donc sur un vice formel entachant la procédure en raison de l’incompétence des agents à l’origine de leur redressement, vice dont ils n’ont pu se plaindre du fait de l’adoption d’une loi de validation rétroactive.
75. La Cour relève que la seule base à retenir pour l’octroi d’une satisfaction équitable réside en l’espèce dans le fait que les requérants n’ont pu jouir des garanties de l’article 1 du Protocole no 1. A cet égard, la Cour précise qu’il ne lui appartient pas de spéculer sur l’issue du redressement fiscal infligé aux requérants, ni sur la possibilité pour l’administration fiscale de leur en notifier un nouveau si le premier avait été annulé.
76. Compte tenu de ce qui précède, la Cour estime que le constat de violation auquel elle est parvenue en l’espèce constitue en soi une satisfaction équitable pour le préjudice moral subi par les requérants.
B. Frais et dépens
77. Les requérants sollicitent 28 820,71 EUR au titre des frais et dépens engagés tant devant les juridictions internes que devant la Cour. Ils ventilent la somme de la façon suivante : 1 356,03 EUR de frais d’avocats pour la réclamation adressée à l’administration fiscale, 6 526,98 EUR pour la procédure diligentée devant le tribunal administratif, 8 565,08 EUR pour l’instance d’appel, 6 392, 62 EUR pour les frais d’avocats devant le Conseil d’Etat et 5 980 EUR pour les frais d’avocats inhérents à la procédure devant la Cour. Ils produisent des notes d’honoraires justifiant ces dépenses.
78. Le Gouvernement estime que la somme de 28 820,71 EUR, bien qu’accompagnée de justificatifs, est disproportionnée. Il évalue à 5 000 EUR la somme qu’il conviendrait d’allouer aux requérants.
79. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux (voir, parmi d’autres, Öztürk c. Turquie [GC], no 22479/93, § 83, CEDH 1999-VI).
80. La Cour considère que le montant global des frais et dépens dont justifient les requérants est disproportionné, et estime raisonnable de leur accorder la somme de 10 000 EUR à ce titre.
C. Intérêts moratoires
81. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable pour autant qu’elle concerne le grief tiré de l’article 1 du Protocole no 1 et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
3. Dit que le constat de violation fournit en soi une satisfaction équitable suffisante pour le préjudice moral subi par les requérants ;
4. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser aux requérants, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 10 000 EUR (dix mille euros) pour frais et dépens, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par les requérants ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ce montant sera à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
5. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 23 juillet 2009, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Claudia Westerdiek Peer Lorenzen
Greffière Président

A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza

Il Diritto dell'Espropriazione è una materia molto complessa e poco conosciuta, che "ingloba" parti importanti di molteplici rami del diritto. Per tutelarsi è quindi essenziale farsi assistere da un Professionista (con il quale si consiglia di concordare in anticipo i costi da sostenere, come ormai consentito dalle leggi in vigore).

Se l'espropriato ha già un Professionista di sua fiducia, può comunicagli che sul nostro sito trova strumenti utili per il suo lavoro.
Per capire come funziona la procedura, quando intervenire e i costi da sostenere, si consiglia di consultare la Sezione B.6 - Come tutelarsi e i Costi da sostenere in TRE Passi.

  • La consulenza iniziale, con esame di atti e consigli, è sempre gratuita
    - Per richiederla cliccate qui: Colloquio telefonico gratuito
  • Un'eventuale successiva assistenza, se richiesta, è da concordare
    - Con accordo SCRITTO che garantisce l'espropriato
    - Con pagamento POSTICIPATO (si paga con i soldi che si ottengono dall'Amministrazione)
    - Col criterio: SE NON OTTIENI NON PAGHI

Se l'espropriato è assistito da un Professionista aderente all'Associazione pagherà solo a risultato raggiunto, "con i soldi" dell'Amministrazione. Non si deve pagare se non si ottiene il risultato stabilito. Tutto ciò viene pattuito, a garanzia dell'espropriato, con un contratto scritto. è ammesso solo un rimborso spese da concordare: ad. es. 1.000 euro per il DAP (tutelarsi e opporsi senza contenzioso) o 2.000 euro per il contenzioso. Per maggiori dettagli si veda la pagina 20 del nostro Vademecum gratuito.

La data dell'ultimo controllo di validità dei testi è la seguente: 17/01/2025