Conclusione Parzialmente inammissibile; Violazione di P1-1; Danno morale – constatazione di violazione sufficiente
QUINTA SEZIONE
CAUSA JOUBERT C. FRANCIA
( Richiesta no 30345/05)
SENTENZA
STRASBURGO
23 luglio 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Joubert c. Francia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, quinta sezione, riunendosi in una camera composta da:
Peer Lorenzen, presidente, Rait Maruste, Jean-Paul Costa, Karel Jungwiert, Renate Jaeger, Marco Villiger, Isabelle Berro-Lefèvre, giudici,
e da Claudia Westerdiek, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 30 giugno 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 30345/05) diretta contro la Repubblica francese e in cui due cittadini di questo Stato, il Sig. F. J. e la Sig.ra M J., sua moglie, (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 18 agosto 2005 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da P. M, avvocato a Gradignan. Il governo francese (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Belliard, direttrice delle cause giuridiche al ministero delle Cause estere.
3. I richiedenti adducevano in particolare una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1, in ragione dell’intervento di una legge retroattiva durante un procedimento amministrativo.
4. Il 3 dicembre 2007, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1944 e nel 1949 e risiedono a Saint-Romain-la-Virvée.
6. Detenevano il 99% del capitale della società M. Nel 1990, cedettero l’insieme di queste parti alla società B. per un importo di 7,5 milioni dei franchi francesi (FRF). Nella loro dichiarazione fiscale personale, dichiararono, a titolo del plusvalore realizzato per l’anno 1990, la somma di 3 252 000 FRF.
7. In seguito alla verifica da parte dell’amministrazione fiscale della contabilità della società B. che aveva acquisito i titoli, la direzione delle verifiche nazionali ed internazionali (DVNI) della direzione generale delle imposte notificò ai richiedenti, il 13 settembre 1993, una correzione a titolo del plusvalore realizzato all’epoca di questa cessione, stimando che suddetto plusvalore era superiore di 4 milioni di franchi alla somma che avevano dichiarato. Delle penalità di malafede, di un tasso del 40%, furono imputate loro in questa occasione.
8. In una lettera del 23 settembre 1993 indirizzata all’amministrazione fiscale, i richiedenti riconobbero che avrebbero dovuto dichiarare la totalità del prezzo di vendita nella loro dichiarazione. Chiesero però la levata delle penalità fiscali che erano state applicate loro. Il DVNI negò di fare diritto a questa richiesta con una lettera del 10 novembre 1993.
9. L’imposta supplementare, di un importo totale di 1 058 947 FRF, fu messa in recupero il 30 novembre 1994.
10. Il 12 gennaio 1995, in virtù dell’articolo L. 76 A del libro dei procedimenti fiscali ( paragrafo 27 sotto) i richiedenti investirono l’amministrazione fiscale di un reclamo che tendeva ad ottenere l’esonero delle quote supplementari all’imposta alle quali erano stati assoggettati a titolo dell’anno 1990 così come delle penalità ivi afferenti. L’amministrazione non rispose a questa richiesta.
11. Equivalendo il suo silenzio ad un rifiuto, i richiedenti investirono, il 18 settembre 1995, il tribunale amministrativo di Bordeaux. In appoggio della loro istanza, fecero valere in particolare che il servizio fiscale che aveva notificato loro la correzione controversa, e la cui competenza era determinata espressamente dalle disposizioni di un’ordinanza del 24 maggio 1982, non era abilitato a procedere a questo controllo ed alla correzione che ne è seguito.
12. Il 31 dicembre 1996, mentre il procedimento era pendente dinnanzi al tribunale amministrativo, fu pubblicata sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica francese la legge no 96-1181 che riguardava la legge delle finanze per l’anno 1997. L’articolo 122 di questa legge disponeva che, sotto riserva delle sole decisioni passate in forza di cosa giudicata, i controlli effettuati dall’amministrazione fiscale e contestati in ragione di una pretesa incompetenza territoriale o materiale del servizio che aveva proceduto a questo controllo, erano reputati regolari, a condizione tuttavia che questi controlli fossero stati effettuati conformemente alle nuove regole di competenza poste dall’ordinanza del 12 settembre 1996 (paragrafo 25 sotto).
13. Il 10 ottobre 1997, l’amministrazione fiscale depositò il suo esposto in risposta al ricorso introdotto dai richiedenti dinnanzi al tribunale amministrativo. Fece valere che, sul fondamento dell’articolo 122 della legge sopraindicata, il mezzo sollevato dai richiedenti, derivato dall’incompetenza del servizio che aveva notificato loro la correzione controversa, doveva essere allontanato.
14. In un esposto in risposta depositato dinnanzi al tribunale amministrativo di Bordeaux il 21 aprile 1998, i richiedenti fecero valere che l’articolo 122 della legge delle finanze non poteva applicarsi alle istanze in corso, arguendo una violazione dell’articolo 6 della Convenzione.
15. Con un giudizio pronunciato l’l 8 giugno 1999, il tribunale amministrativo di Bordeaux accolse l’istanza dei richiedenti. Stimò in particolare che lo stato non poteva, senza ignorare le disposizioni dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, prendere delle misure legislative a portata retroattiva la cui conseguenza era una modifica delle regole che il giudice doveva applicare per deliberare su delle controversie a cui lo stato era parte, salvo quando l’intervento di queste misure si giustificava coi motivi di interesse generale. Nello specifico, il tribunale giudicò che l’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 che regolarizzava i controlli realizzati dagli agenti dell’amministrazione fiscale territorialmente o materialmente incompetenti presentava solamente un interesse finanziario per il bilancio dello stato e che perciò, questo testo non assolveva la condizione di interesse generale richiesto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione. Ne allontanò dunque l’applicazione.
16. Sul merito, il tribunale constatò che il DVNI non era competente per conoscere della situazione fiscale dei richiedenti perché, in virtù dell’ordinanza del 24 maggio 1982, poteva verificare la situazione fiscale solo delle persone suscettibili di avere intrattenuto delle “relazioni di interesse, diretto o indiretto”, con le imprese che il DVNI aveva controllato già precedentemente. Ora, il tribunale notò nello specifico che i richiedenti non avevano intrattenuto nessuna relazione di interesse con la società B. precedentemente controllata dal DVNI. Ordinò l’esonero delle quote supplementari all’imposta sul reddito e delle penalità ivi afferenti alle quali i richiedenti erano stati assoggettati a titolo dell’anno 1990.
17. Il 21 ottobre 1999, il ministro dell’economia, delle Finanze e dell’industria interpose appello a questo giudizio. Sosteneva che l’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 era applicabile all’istanza in corso.
18. Da parte loro, i richiedenti contestarono l’articolo R.200-18 del libro dei procedimenti fiscali che dào all’amministrazione un termine superiore a quello dei richiedenti per investire la corte amministrativa di appello. Invocavano per ciò gli articoli 6 § 1 e 14 della Convenzione. Sul fondo, fecero valere che l’articolo 122 della legge di finanze per 1997 era contrario agli articoli 6, 13 et14 della Convenzione così come all’articolo 1 del Protocollo no 1.
19. Con una sentenza resa il 10 febbraio 2004, la corte amministrativa di appello di Bordeaux riformò il giudizio attaccato. Sui termini di ricorsi accordati all’amministrazione, la corte considerò che l’articolo 6 della Convenzione non era applicabile al procedimento in causa nella misura in cui questo non prevedeva né dei diritti ed obblighi di carattere civile, né un’accusa in materia penale. Sulla regolarità del procedimento di imposta, la corte stimò anche che l’articolo 6 della Convenzione non poteva essere invocato dai richiedenti perché il procedimento fiscale in causa non entrava nel suo campo di applicazione.
20. In quanto alle disposizioni dell’articolo 122 della legge delle finanze per 1997, la corte amministrativa di appello stimò che inseguivano un motivo di interesse generale di natura tale da giustificare la convalida che pronunciavano e che perciò, questo testo non era contrario all’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione. Annullando su questo punto il giudizio del tribunale amministrativo, fece dunque applicazione di questa disposizione al presente caso specifico.
21. Sul merito, la corte amministrativa di appello giudicò che gli agenti del DVNI erano competenti per verificare la situazione fiscale dei richiedenti e notificare loro una correzione nella misura in cui, come imponeva l’articolo 122 della legge delle finanze, il controllo aveva rispettato le nuove regole di competenza poste dal decreto del 12 settembre 1996 (paragrafo 26 sotto). Stimò quindi che le penalità del 40% inflitte ai richiedenti in ragione della loro pretesa malafede nella loro dichiarazione dei redditi a titolo dell’anno 1990 non erano giustificate e ne pronunciò l’esonero integrale. In seguito a questa sentenza, i richiedenti furono oggetto di una correzione fiscale dunque, ma furono esonerati dalle penalità per malafede.
22. Il 9 luglio 2004, i richiedenti saldarono la somma di 121 140 EUR che era richiesta loro dall’amministrazione fiscale.
23. Investirono il Consiglio di stato di un ricorso in cassazione. Con una decisione del 23 febbraio 2005, il Consiglio di stato considerò che nessuno dei mezzi di cassazione sollevati dai richiedenti era di natura tale da permettere l’ammissione del ricorso.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
1. L’ordinanza del 24 maggio 1982 che portava delimitazione delle competenze della direzione delle verifiche nazionali ed internazionali e modifica delle attribuzioni di certi direttori regionali delle imposte
24. L’articolo 2 di questa ordinanza si legge come segue:
“La direzione delle verifiche nazionali ed internazionali garantisce conformemente alle direttive fissate dal direttore generale delle imposte e congiuntamente con gli altri servizi delle imposte abilitate ad effettuare queste categorie di operazioni:
(…)
c) La verifica, al bisogno, e qualunque sia il luogo del loro domicilio, della situazione fiscale dei dirigenti delle imprese verificate e di ogni persona subordinata o interposte; sono considerati come tali:
(…)
– ogni persona suscettibile di avere delle relazioni di interesse, dirette o indirette, con una delle imprese verificate “
2. La legge delle finanze per il 1997 (legge no 96-1181 del 30 dicembre 1996, apparso sulla Gazzetta ufficiale del 31 dicembre 1996)
25. L’articolo 122 di questa legge dispone:
“Sotto riserva delle decisioni di giustizia passate in forza di cosa giudicata, i controlli impegnati dai servizi decentrati della direzione generale delle imposte prima dell’entrata in vigore del decreto no 96-804 del 12 settembre 1996 e delle ordinanze del 12 settembre 1996 che regolano la loro competenza così come i titoli esecutivi emessi in seguito a questi controlli per stabilire le imposte sono reputati regolari in quanto sarebbero contestati dal mezzo derivato dall’incompetenza territoriale o materiale degli agenti che hanno effettuato questi controlli o rilasciato questi titoli a condizione che questi controlli siano stati effettuati conformemente alle regole di competenza fissate dai testi precitati.”
Questa disposizione esclude la possibilità di avvalersi dell’incompetenza del DVNI invocando l’ordinanza del 24 maggio 1982. Oramai, tutti i controlli realizzati da questo servizio sono reputati regolari se sono stati effettuati conformemente alle regole di competenze fissate qui sotto dall’ordinanza del 12 settembre 1996 che allarga la competenza del DVNI.
3. L’ordinanza del 12 settembre 1996 che precisa le attribuzioni della direzione delle verifiche nazionali ed internazionali e le competenze degli agenti che vi sono colpiti (presa in applicazione del decreto no 96-804 del 12 settembre 1996)
26. L’articolo 1 di questa ordinanza si legge come segue:
“(…) La direzione delle verifiche nazionali ed internazionali garantisce sull’insieme del territorio nazionale, congiuntamente con gli altri servizi delle imposte competenti, le seguenti operazioni:
a) Il controllo di ogni imposta, diritti e tasse dovuti da ogni persone fisiche o giuridiche, ogni raggruppamento di persone di fatto o di diritto, o da ogni entità qualunque sia la loro forma giuridica, qualunque sia il luogo del domicilio, istituto o sede sociale di queste persone, raggruppamenti o entità “
4. Il libro dei procedimenti fiscali
27. L’articolo L 76 A si legge come segue:
“Il contribuente che è stato oggetto di un’imposta d’ufficio conserva il diritto di presentare un reclamo conformemente all’articolo L. 190. “
L’articolo L. 190 si legge come segue:
“I reclami relativi alle imposte, contributi, diritti, tasse, canoni, conguagli e penalità di ogni natura, stabiliti o ricuperati dagli agenti dell’amministrazione, dipendono dalla giurisdizione contenziosa quando tendono ad ottenere o il risarcimento di errori commessi nell’imponibile o il calcolo delle imposte, o l’utile di un diritto che risulta da una disposizione legislativa o regolamentare. “
L’articolo R. 200-18 si legge come segue:
“A contare dalla notificazione del giudizio del tribunale amministrativo che è stato fatto al direttore del servizio dell’amministrazione delle imposte o dell’amministrazione delle dogane e dei diritti indiretti che ha seguito la causa, questo dispone di un termine di due mesi per trasmettere, se c’è luogo, il giudizio e la pratica al ministro incaricato del bilancio.
Il termine assegnato per investire la corte amministrativa di appello decorre, per il ministro, dalla data in cui espira il termine di trasmissione contemplato al capoverso precedente o dalla data della notificazione fatta al ministro. “
5. La giurisprudenza pertinente
28. Nel momento in cui i richiedenti hanno investito il tribunale amministrativo, la nozione di “relazioni di interesse, dirette o indirette” come definite dalla giurisprudenza amministrativa s’intendeva “della partecipazione diretta o indiretta alla direzione o al controllo di un’impresa, della partecipazione al suo capitale o al suo finanziamento, infine della partecipazione ai risultati ed alle distribuzioni di ogni natura che può effettuare sotto forma di stipendi, parcella, canoni; che tuttavia queste distribuzioni devono avere una relazione con l’attività dell’impresa durante il procedimento sottoposto a verifica” (corte amministrativa di appello di Parigi, 28 marzo 1991, sentenza no 90PA00161).
Così, il Consiglio di stato ha caratterizzato una relazione di interesse, diretta o indiretta, quando un individuo era associato maggioritario di una società ed anche rimunerato da questa (sentenza del 1 giugno 1983, no 37748) quando era il direttore dell’impresa (sentenza del 23 novembre 1983, no 36361) o il presidente-direttore generale della società (sentenze del 10 maggio 1989, no 69129 e del 12 febbraio 1990, no 55760) quando era interessato allo sviluppo dell’impresa in ragione di una rimunerazione proporzionale al numero di vendite (sentenza del 3 marzo 1993, no 83462) o del versamento di un canone di cui controllava l’imponibile (sentenza del 21 marzo 1984) o quando esistevano dei “legami di interesse stretto” tra due società (sentenza del 15 giugno 1987, no 44905).
In compenso, la circostanza che un individuo abbia percepito una rimunerazione per le funzioni che esercitava in seno ad una filiale della società verificata dall’amministrazione fiscale è insufficiente per caratterizzare una relazione di interesse tra loro (corte amministrativa di appello di Bordeaux, 1 agosto 1995, no 94BX01607).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 6, 13 E 14 DELLA CONVENZIONE
29. I richiedenti stimano che l’articolo R. 200-18 del libro dei procedimenti fiscali che concede all’amministrazione un termine superiore a quello dei contribuenti per interporre appello della decisione del tribunale amministrativo è contrario all’equità del procedimento. Invocano gli articoli 6 e 14 combinati. Stimano anche che l’intervento, durante l’istanza, di una legge di convalida che regola definitivamente la controversia a profitto del loro avversario, ha violato gli articoli 6 e 13 combinati i cui passaggi pertinenti si leggono come segue:
Articolo 6
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
Articolo 13
“Ogni persona i cui diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
Articolo 14
“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione deve essere garantito, senza distinzione nessuna, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche od ogni altra opinione, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, la fortuna, la nascita od ogni altra situazione. “
30. La Corte ricorda che in principio la Convenzione non è applicabile ai procedimenti fiscali, non riguardando questi generalmente né dei diritti ed obblighi di carattere civile, né delle accuse in materia penale ai sensi dell’articolo 6 (Ferrazzini c. Italia [GC], no 44759/98, § 23, CEDH 2001-VII). Ne può essere tuttavia diversamente se la Corte distingue nella controversia in causa una “colorazione penale”, in particolare quando delle penalità fiscali sono state applicate (Bendenoun c. Francia, 24 febbraio 1994, § 47, serie A no 284).
31. Nello specifico, la Corte nota che le penalità fiscali del 40% sono state applicate ai richiedenti per malafede. Però, constata che la corte amministrativa di appello di Bordeaux ne ha pronunciato l’esonero integrale nella sua sentenza del 10 febbraio 2004. In definitiva, i richiedenti sono stati oggetto di una correzione fiscale, ma senza penalità.
32. In queste condizioni, la Corte considera che la controversia che li oppone all’amministrazione ha perso la sua “colorazione penale” e che l’articolo 6 della Convenzione non si potrebbe trovare ad applicare. Ne segue che i motivi di appello derivati dai questa disposizione sono incompatibili ratione materiae con la Convenzione e devono essere respinti in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 di questo testo.
33. Concernente i motivi di appello tratti dagli articoli 13 e 14, la Corte ricorda che la prima di queste disposizioni è applicabile solamente se il richiedente può pretendere “in modo difendibile” di essere stato vittima di una violazione di un altro diritto previsto dalla Convenzione (Boyle e Rice c. Regno Unito, 27 aprile 1988, § 52, serie A no 131) e che il secondo non si potrebbe trovare ad ̀applicare se i fatti della controversia non rientrano almeno sotto l’impero di una delle clausole normative della Convenzione e dei suoi protocolli (Van Raalte c. Paesi Bassi, 21 febbraio 1997, § 33, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-I).
34. Nello specifico, la Corte constata che i motivi di appello dei richiedenti fondati sugli articoli 13 e 14 sono combinati all’articolo 6 della Convenzione. Ora, la Corte ha concluso all’inapplicabilità di questa disposizione al procedimento fiscale dei richiedenti (paragrafo 33 sopra). Pertanto, queste disposizioni non si trovano ad applicare nello specifico.
35. Ne segue che questa parte della richiesta deve essere dichiarata anche incompatibile ratione materiae con la Convenzione e deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 di questo testo.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
36. I richiedenti stimano che il carattere retroattivo dell’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 li ha privati dei loro beni nella misura in cui questa disposizione ha messo fine in modo definitivo alla controversia che li opponeva all’amministrazione. Invocano l’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione che si legge come segue:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Sull’ammissibilità
37. La Corte constata che questa parte della richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararla ammissibile dunque.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) I richiedenti
38. I richiedenti insistono sulla passività dell’amministrazione nella loro pratica. Spiegano che la loro richiesta è stata depositata il 18 settembre 1995 dinnanzi al tribunale amministrativo di Bordeaux e che l’amministrazione fiscale, sapendo che una legge a portata retroattiva era in preparazione, ha aspettato l’entrata in vigore di questa per depositare il suo esposto in risposta ed invocare dinnanzi al tribunale l’inammissibilità il loro motivo di appello derivato dall’incompetenza del DVNI. Stimano che l’intervento dell’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 mirava solamente a fare fallire il loro ricorso in giustizia.
39. I richiedenti fanno valere che disponevano al momento dell’introduzione del loro ricorso di una speranza legittima di vederlo coronato di successo in ragione di una giurisprudenza amministrativa consolidata e che era favorevole a loro. Si riferiscono per ciò a due sentenze di corsi amministrativi d’appello (paragrafo 28 sopra) così come alla sentenza Lecarpentier ed altri c. Francia (no 67847/01, 14 febbraio 2006,). Precisano anche che il fatto che il tribunale non si sia ancora pronunziato sulla fondatezza delle loro istanze nel momento in cui la legge controversa è entrata in vigore è inefficace. Del resto, secondo loro, le interrogazioni del Governo in quanto alla nozione di “relazioni di interesse, dirette o indirette” sono superflue poiché è evidente che i richiedenti non hanno intrattenuto nessuna relazione di interesse con la società B. controllata dal DVNI nella misura in cui si sono limitati a vendergli le parti che detenevano nella società M.
40. I richiedenti si oppongono anche alle affermazioni del Governo sul contenzioso evitato dall’applicazione retroattiva dell’articolo di legge in causa. Contestano la cifra, fornita dal Governo, dei 31 440 controlli che avrebbero potuto essere rimessi in causa e fanno valere che l’importo delle correzioni emesse da questi controlli e validato a posteriori dalla disposizione controversa (circa 1,1 miliardo di FRF) è irrisorio nel bilancio globale dello stato per l’anno 1997.
41. I richiedenti precisano che l’amministrazione ha beneficiato nello specifico di un effetto di fortuna poiché ha fatto convalidare dal legislatore le sue mancanze passate, facendo così pesare sui richiedenti un carico anormale ed esorbitante. Concludono al carattere sproporzionato della misura controversa ed alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
b)Il Governo
42. Il Governo intende fare valere che, all’epoca dell’adozione della legge delle finanze per il 1997, i richiedenti non erano titolari di un credito certo ed esigibile nei confronti dello stato poiché nessuno giudizio era stato ancora reso nel loro procedimento. Fa riferimento per ciò alle cause Fernandez-Molina Gonzalez ed altri c. Spagna (, dec.), no 64359/01, CEDH 2002-IX) e Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia (9 dicembre 1994, serie A no 301-B) e ne conclude che i richiedenti non erano titolari di un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
43. Peraltro, il Governo stima, contrariamente ai richiedenti, che il successo del loro ricorso in giustizia non era certo. Difatti, precisa che la nozione di “relazioni di interesse, dirette o indirette” come previsto dall’ordinanza del 24 maggio 1982 non era chiaramente determinata. Sottolinea che nessuna decisione di giustizia citata dai richiedenti su questo punto può essere trasposta al presente caso. Ne conclude che nello stato della giurisprudenza, i richiedenti non potevano pretendere una “speranza legittima” di vedere le loro rivendicazioni soddisfate.
44. Sulla giustificazione dell’ingerenza, il Governo ricorda che la Corte accorda agli Stati parti un certo margine di valutazione per scegliere le modalità di collocamento in opera della misura contestata (Jahn ed altri c. Germania [GC], numeri 46720/99, 72203/01 e 72552/01, CEDH 2005-VI). In materia fiscale, questo margine di valutazione è importante (National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society et Yorkshire Building Society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, Raccolta 1997-VII).
45. Il Governo fa valere che l’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 aveva per scopo di evitare un contenzioso prevedibile e riccamente nato dal chiarimento delle competenze territoriali e materiali degli agenti del DVNI. In particolare, la mancanza di effetto retroattivo avrebbe potuto nuocere ai controlli fiscali in corso al momento dell’adozione della legge delle finanze perché i contribuenti controllati avrebbero potuto fare valere che gli agenti delle imposte erano incompetenti. Il Governo stima a 31 440 il numero dei controlli in corso che avrebbero potuto dare adito a tale reclamo se la legge non fosse stata di applicazione immediata e sottolinea che anche prima dell’entrata in vigore del decreto del 12 settembre 1996, numerosi ricorsi riguardanti l’incompetenza territoriale o materiale degli agenti delle imposte erano stati già introdotti. Riconosce quindi che una valutazione precisa del contenzioso è difficile da stabilire.
46. Il Governo insiste anche sulle garanzie introdotte dal legislatore nella formula dell’articolo 122, ossia che questa disposizione si applica sotto riserva delle decisioni passate in forza di cosa giudicata, che è accantonata ai motivi di appello derivati dall’incompetenza materiale o territoriale dell’autorità che hanno proceduto al controllo e purché suddetti controlli siano stati effettuati conformemente alle regole decretate dal decreto del 12 settembre 1996. Si tratta dunque di scontare un vizio puramente formale (Forrer-Niedenthal c. Germania, no 47316/99, § 40, 20 febbraio 2003) e di garantire il recupero di un’imposta legalmente dovuta. In altri termini, la retroattività dell’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 mirava a privare i contribuenti solamente di un “effetto di fortuna” e non di un diritto garantito dalla Convenzione. Il Governo invoca a questo riguardo le sentenze OGIS-istituto Stanislas, OGEC Saint-Pie X e Blanche de Castille ed altri c. Francia, (numeri 42219/98 e 54563/00, 27 maggio 2004) in cui la Corte aveva ammesso che l’intervento legislativo, destino a colmare un vuoto giuridico, dipendeva da un interesse generale evidente ed imperioso.
47. Il Governo stima dunque che gli scopi perseguiti dal legislatore superavano il semplice interesse finanziario tratto dalla regolarizzazione dei controlli fiscali. Fa valere che attraverso la disposizione controversa, il legislatore ha in realtà cercato di preservare l’uguaglianza dei contribuenti dinnanzi ai carichi pubblici evitando che quelli che non hanno rispettato i loro obblighi dichiarativi venissero esonerati dalle loro imposte.
48. Peraltro, il Governo stima che la misura presa non appare come sproporzionata allo scopo perseguito nella misura in cui si tratta solo di una regolarizzazione a posteriori di certi controlli e non di una modifica dell’imponibile dell’imposta.
49. Perciò, stima che l’articolo 122 della legge delle finanze per 1997 si giustificava con gli imperiosi motivi di interesse generale e che la sua applicazione retroattiva ha predisposto un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e la protezione dei diritti fondamentali.
2. Valutazione della Corte
a) Sull’esistenza di un bene ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1
50. La Corte osserva che le parti hanno dei punti di vista divergenti in quanto alla questione di sapere se i richiedenti disponevano di un bene suscettibile di essere protetto dall’articolo 1 del Protocollo no 1. Ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, un richiedente non può addurre una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 che nella misura in cui le decisioni che incrimina si riferiscono ai suoi “beni” ai sensi di questa disposizione. La nozione di “beni” può ricoprire tanto i “beni reali” che i valori patrimoniali, ivi compresi, in certe situazioni ben definite, dei crediti. Affinché un credito possa essere considerato come un “valore patrimoniale” che ricade sotto l’influenza dell’articolo 1 del Protocollo no 1, occorre che il titolare del credito dimostri che questo ha una base sufficiente in diritto interno, per esempio che è confermato da una giurisprudenza ben stabilita dei tribunali. Dal momento che ciò viene acquisito, può entrare in gioco la nozione di “speranza legittima” (Maurice c. Francia [GC], no 11810/03, § 63, CEDH 2005-IX).
51. La Corte constata che il tribunale amministrativo di Bordeaux, basandosi sull’ordinanza del 24 maggio 1982, disposizione legale applicabile nel momento in cui i richiedenti hanno introdotto il loro ricorso, ha, col suo giudizio dell’ 8 giugno 1999, deciso che il DVNI non era competente per conoscere della situazione fiscale dei richiedenti, non avendo questi secondo lui nessuna relazione di interesse con la società B. precedentemente controllata dal DVNI. Con lo stesso giudizio, il tribunale ha allontanato come incompatibile con la Convenzione l’applicazione dell’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997, invocato in difesa dall’amministrazione.
52. Peraltro, la corte amministrativa di appello, annullando con la sua sentenza del 10 febbraio 2004 questo giudizio del tribunale amministrativo ha considerato che l’applicazione dell’articolo 122 era compatibile con la Convenzione, dal momento che l’articolo 6 § 1 della Convenzione era inapplicabile ratione materiae e che, per i motivi di interesse generale, questa applicazione non contravveniva all’articolo 1 del Protocollo 1. Inoltre, è per questo solo motivo che la corte amministrativa di appello ha rovesciato la soluzione alla quale era arrivato il tribunale amministrativo. Applicando la nuova legge, la corte amministrativa di appello non ha dovuto pronunciarsi sull’esistenza di relazioni di interesse tra i richiedenti e la società B., ai sensi dell’ordinanza del 24 maggio 1982.
53. Tenuto conto da queste decisioni giurisdizionali, e della giurisprudenza delle giurisdizioni amministrative (§ 28 sopra) la Corte considera, contrariamente a ciò che sostiene il Governo (§ 43 sopra) che i richiedenti beneficiavano, prima dell’intervento della legge delle finanze per il 1997, di un interesse patrimoniale che costituiva, se non un credito a riguardo del loro avversario, almeno di una “speranza legittima”, di potere ottenere il rimborso della somma controversa e che aveva il carattere di un “bene” ai sensi della prima frase dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere in particolare Lecarpentier ed altro, precitata, § 38, e S.p.A. Dangeville c. Francia, no 36677/97, § 48, CEDH 2002-III). L’articolo 1 del Protocollo no 1 è dunque applicabile al caso di specifico.
b) Sull’esistenza di un’ingerenza
54. La Corte stima che la legge controversa, regolando definitivamente il merito della controversia, ha provocato un’ingerenza nell’esercizio dei diritti che i richiedenti potevano fare valere in virtù della legge e della giurisprudenza in vigore e, pertanto, del loro diritto al rispetto dei loro beni.
55. Rileva che, nelle circostanze dello specifico, questa ingerenza si analizza in una privazione di proprietà ai sensi della seconda frase del primo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere in particolare, mutatis mutandis, Maurice e Draon c. Francia [GC], i nostri 28719/95 e 1513/03, CEDH 2005-IX, rispettivamente §§ 80 e 72, e Lecarpentier ed altro, precitata, § 40). Gli occorre ricercare dunque se l’ingerenza denunciata si giustifica sotto l’angolo di questa disposizione.
c) Sulla giustificazione dell’ingerenza,
i. Prevista dalla legge
56. Non è contestato che l’ingerenza controversa fosse ” prevista dalla legge”, come vuole l’articolo 1 del Protocollo no 1.
ii. “A causa di utilità pubblica”
57. In compenso, i pareri delle parti divergono in quanto alla legittimità di tale ingerenza. Quindi, la Corte deve ricercare se questa inseguiva un scopo legittimo, ossia se esisteva una “causa di utilità pubblica”, ai sensi della seconda frase del primo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
58. La Corte stima che, grazie ad una cognizione diretta della loro società e dei suoi bisogni, le autorità nazionali si trovano in principio meglio collocate che il giudice internazionale per determinare ciò che è “di utilità pubblica.” Nel meccanismo di protezione creato dalla Convenzione, spetta loro di conseguenza pronunciarsi per prime sull’esistenza di un problema di interesse generale che giustifica delle privazioni di proprietà. Quindi, godono qui di un certo margine di valutazione.
59. In più, la nozione di “utilità pubblica” è ampia per natura. La decisione di adottare delle leggi che portano privazione di proprietà implica in particolare, di solito l’esame di questioni politiche, economiche e sociali. Stimando normale che il legislatore disponga di una grande latitudine per condurre una politica economica e sociale, la Corte rispetta il modo in cui concepisce gli imperativi di “utilità pubblica”, salvo se il suo giudizio si rivela manifestamente privo di base ragionevole (Pressos Compania Naviera S.p.A. ed altri c. Belgio, 20 novembre 1995, § 37, serie A no 332, e Broniowski c. Polonia [GC], no 31443/96, § 149, CEDH 2004-V).
60. Nello specifico, la Corte è chiamata a pronunciarsi sul punto di sapere se lo scopo perseguito dall’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 superava il semplice interesse finanziario dello stato. Ricorda che in principio questo solo interesse finanziario non permette di giustificare l’intervento retroattivo di una legge di convalida (vedere, mutatis mutandis, Zielinski e Pradal e Gonzalez ed altri c. Francia [GC], numeri 24846/94 e 34165/96 a 34173/96, § 59, CEDH 1999-VII).
61. Il Governo intende fare valere che questa disposizione mirava ad evitare un contenzioso prevedibile ed abbondante, ma riconosce anche la difficoltà di valutare in modo preciso la superficie del rischio potenziale. La Corte non è convinta di questo argomento perché dubita della prevedibilità e dell’ampiezza del contenzioso invocato dal Governo. Difatti, l’aumento del numero di ricorsi formati dai contribuenti invocato dal Governo per giustificare il carattere retroattivo della legge delle finanze per il 1997, restava puramente ipotetico al momento dell’adozione di questa disposizione.
62. Del resto, la Corte non vede in che cosa questo potenziale aumento del numero dei ricorsi si staccherebbe dall’interesse finanziario dello stato. Stima difatti che lo scopo invocato dal Governo, ossia la riduzione dei contenziosi dinnanzi alle giurisdizioni amministrative, prevedeva in realtà a preservare il solo interesse finanziario dello stato sminuendo il numero dei procedimenti fiscali annullati dalle giurisdizioni amministrative.
63. La Corte constata anche che il Governo non pretende che l’importo delle entrate di cui lo stato avrebbe potuto essere privato in ragione della constatazione di incompetenza dei suoi agenti da parte delle giurisdizioni amministrative, ossia circa 1,1 miliardo di FRF, avrebbe un’ importanza tale sul suo bilancio da ledere l’interesse generale.
64. Tenuto conto di ciò che precede, l’intervento dell’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 che regolava in modo retroattivo e definitivo la controversia che oppone i richiedenti all’amministrazione fiscale, non era giustificato dall’interesse generale.
65. In queste condizioni, la Corte emette dei dubbi sul punto di sapere se l’ingerenza nel rispetto dei beni dei richiedenti serviva una “causa di utilità pubblica.”
66. Ad ogni modo, ricorda che una misura di ingerenza nel diritto al rispetto dei beni deve predisporre un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (vedere, tra altre, Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 69, serie A no 52) e che deve esistere un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto da ogni misura che priva una persona della sua proprietà (Pressos Compania Naviera S.p.A. ed altri, precitata, § 38).
67. Nello specifico, l’intervento legislativo controverso ha impedito definitivamente ai richiedenti di fare valere il loro motivo di appello tratto dall’incompetenza degli agenti del DVNI dinnanzi alle giurisdizioni amministrative, privandoli così di un bene di cui potevano sperare di ottenere il rimborso.
68. Secondo la Corte, l’adozione dell’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 ha fatto pesare un “carico anormale ed esorbitante” sui richiedenti e l’attentato portato ai loro beni ha rivestito un carattere sproporzionato, rompendo il giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e la salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui (vedere, mutatis mutandis, Lecarpentier ed altri, precitata, §§ 48 a 53). Perciò, considera che il margine di valutazione di cui disponevano le autorità, pur ampio trattandosi di una controversia di natura fiscale, è stato nello specifico superato.
69. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
70. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
71. I richiedenti richiedono la somma di 121 140 euro (EUR) a titolo del danno materiale che hanno subito a causa dell’intervento dell’articolo 122 della legge delle finanze per il 1997 che li priva della possibilità di fare annullare il loro controllo fiscale. Questa somma corrisponde a ciò che hanno versato all’amministrazione fiscale. Richiedono anche la somma di 26 180 EUR a titolo del danno morale, arguendo della lunghezza del procedimento e dello stato di salute del richiedente.
72. Il Governo contesta queste somme. Fa valere che, in un primo tempo, i richiedenti hanno riconosciuto la fondatezza della loro correzione prima di contestare, un anno più tardi, la competenza degli agenti del DVNI. Ne deduce che i richiedenti avevano accettato il principio stesso della loro correzione fiscale e che non potevano, in questa condizioni chiedere a titolo del danno materiale il rimborso di una somma che sapevano di dovere.
73. In quanto alle somme sollecitate in risarcimento del danno morale, il Governo contesta l’esistenza di un legame di causalità tra la violazioni dell’articolo 1 del Protocollo no 1 e lo stato di salute del richiedente o la durata del procedimento. Precisa che la somma chiesta è comunque sproporzionata. Stima che una constatazione di violazione sarebbe nello specifico sufficiente per riparare il danno subito.
74. La Corte constata che in una lettera indirizzata all’amministrazione fiscale, il 23 settembre 1993, i richiedenti hanno riconosciuto di avere commesso un errore sostanziale nella loro dichiarazione fiscale. Il loro ricorso riguardava un vizio formale che inficiava il procedimento in ragione dell’incompetenza degli agenti all’origine della loro correzione, vizio di cui non si sono potuti lamentare a causa dell’adozione di una legge di convalida retroattiva, dunque.
75. La Corte rileva che l’unica base da considerare per la concessione di una soddisfazione equa risiede nello specifico nel fatto che i richiedenti non hanno potuto godere delle garanzie dell’articolo 1 del Protocollo no 1. A questo riguardo, la Corte precisa che non le appartiene di speculare sulla conclusione della correzione fiscale inflitta ai richiedenti, né sulla possibilità per l’amministrazione fiscale di notificarne loro uno nuovo se il primo fosse stato annullato.
76. Tenuto conto di ciò che precede, la Corte stima che la constatazione di violazione al quale è giunta nello specifico costituisce in sé una soddisfazione equa per il danno morale subito dai richiedenti.
B. Oneri e spese
77. I richiedenti sollecitano 28 820,71 EUR a titolo degli oneri e spese impegnati tanto dinnanzi alle giurisdizioni interne che dinnanzi alla Corte. Ripartiscono la somma nel seguente modo: 1 356,03 EUR di oneri di avvocati per il reclamo indirizzato all’amministrazione fiscale, 6 526,98 EUR per il procedimento sollecitato dinnanzi al tribunale amministrativo, 8 565,08 EUR per l’istanza di appello, 6 392, 62 EUR per gli oneri di avvocati dinnanzi al Consiglio di stato e 5 980 EUR per gli oneri di avvocati inerenti al procedimento dinnanzi alla Corte. Producono delle note di parcella che giustificano queste spese.
78. Il Governo stima che la somma di 28 820,71 EUR, sebbene accompagnata da giustificativi, è sproporzionata. Valuta a 5 000 EUR la somma che converrebbe assegnare ai richiedenti.
79. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisce la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (vedere, tra altre, Öztürk c. Turchia [GC], no 22479/93, § 83, CEDH 1999-VI).
80. La Corte considera che l’importo globale degli oneri e delle spese che giustificano i richiedenti è sproporzionato, e stima ragionevole di accordare loro la somma di 10 000 EUR a questo titolo.
C. Interessi moratori
81. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile per quanto riguarda il motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1 ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce che la constatazione di violazione fornisce in sé una soddisfazione equa sufficiente per il danno morale subito dai richiedenti;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare ai richiedenti, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 10 000 EUR (diecimila euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dai richiedenti;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 23 luglio 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Claudia Westerdiek Peer Lorenzen
Cancelliera Presidente