SECONDA SEZIONE
CAUSA IACOPINO C. ITALIA
( Richiesta no 4283/03)
SENTENZA
STRASBURGO
22 luglio 2008
DEFINITIVO
22/10/2008
Questa sentenza può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Iacopino c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Antonella Mularoni, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 1 luglio 2008,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 4283/03) diretta contro la Repubblica italiana e in cui una cittadina di questo Stato, la Sig.ra C. I. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 4 dicembre 1999 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da C. M, avvocato a Benevento. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato successivamente dai suoi agenti, i Sigg. I.M. Braguglia e R. Adamo, e dai suoi coagenti, i Sigg. V. Esposito e F. Crisafulli, così come dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 30 agosto 2006, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1959 e ha risieduto a Benevento.
A. Il procedimento principale
5. Il 18 ottobre 1991, il richiedente depositò un ricorso dinnanzi al giudice di istanza di Benevento (R.G. no 4430/91) agente a ̀titolo di giudice del lavoro, per ottenere l’annullamento della decisione della Camera Regionale del Lavoro che l’escludeva dell’elenco dei lavoratori agricoli per gli anni 1986/87 e ne vietava l’iscrizione per l’anno 1988.
Il 26 febbraio 1996, il procedimento fu interrotto perché una legge del 1994 aveva annullato il servizio dei contributi agricoli (SCAU – Servizio per i Contributi Agricoli Unificati) citato in giustizia. Il richiedente riprese il procedimento il 5 luglio 1996. Con un giudizio del 21 marzo 2000 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 23 marzo 2000, il giudice di istanza respinse il ricorso.
6. Il 29 settembre 2000, il richiedente interpose appello contro questo giudizio. Con una sentenza del 17 giugno 2002 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 10 dicembre 2002, la corte respinse l’appello.
B. Il procedimento “Pinto”
7. Il 9 ottobre 2001, il richiedente investì la corte di appello di Roma ai termini della legge no 89 del 24 marzo 2001, detta “legge Pinto”, per lamentarsi della durata eccessiva del procedimento descritto sopra. Chiese alla corte di concludere alla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e di condannare lo stato italiano al risarcimento dei danni materiali e morali subiti. Chiese in particolare 24 000 000 lire [12 394,97 euro (EUR)] a titolo di danno materiale e morale.
8. Con una decisione del 28 marzo 2002 il cui il testo fu depositato alla cancelleria il
29 maggio 2002, la corte di appello constatò il superamento di una durata ragionevole. Respinse la richiesta relativa al danno materiale, al motivo che il richiedente non aveva fornito nessuna prova, ed accordò 1 750 EUR in equità come risarcimento del danno morale e 946 EUR per oneri e spese. Questa decisione acquisì autorità di cosa giudicata il 13 luglio 2003.
Con una lettera del 6 dicembre 2002, il richiedente informò la Corte del risultato del procedimento nazionale e la pregò di riprendere l’esame della sua richiesta.
Con una lettera del 21 gennaio 2003, informò anche la Corte che non aveva l’intenzione di ricorrere in cassazione.
9. Le somme accordate in esecuzione della decisione Pinto furono pagate il 25 novembre 2004.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
10. Il diritto e la pratica interna pertinenti figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006 -…).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
11. Il richiedente adduce che la durata del procedimento ha ignorato il principio del “termine ragionevole” come previsto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
12. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
13. Dopo avere esaminato i fatti della causa e gli argomenti delle parti, la Corte stima che la correzione si è rivelata insufficiente e che il pagamento della somma “Pinto” si è rivelato tardivo (vedere, tra altre, Delle Cave e Corrado c. Italia, no 14626/03, §§ 26-31, 5 giugno 2007 e Cocchiarella c. Italia, precitata). Pertanto, il richiedente può sempre definirsi “vittima” ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
14. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incontra a nessun altro motivo di inammissibilità.
B. Sul merito
15. In quanto alla durata del procedimento, la Corte stima che il periodo da considerare si estende dal 18 ottobre 1991, giorno dell’introduzione dell’istanza del richiedente dinnanzi al giudice di istanza di Benevento, fino al 10 dicembre 2002, data del deposito alla cancelleria della decisione della corte di appello, in seconda istanza. È durata dunque più di undici anni ed un mese per due gradi di giurisdizione.
16. Nella stima di questo periodo, la Corte tiene conto del fatto che la corte di appello ha valutato la durata del procedimento in data della sua decisione, o il 28 marzo 2002. Pertanto, un periodo di otto mesi, dal 28/03/2002 al 10/12/2002 (data in cui il procedimento de quo si concluse) non ha potuto essere presa in considerazione dalla corte di appello.
Per di più, nota che il richiedente non ha avuto la possibilità di tornare dinnanzi ad una corte di appello per fare applicare la nuova giurisprudenza della Corte di cassazione del 26 gennaio 2004 (vedere la sentenza no 1339) e che la durata restante di otto mesi non era di per sé sufficiente per costituire una seconda violazione nella cornice dello stesso procedimento (vedere, a contrario, Rotondi c. Italia, no 38113/97, §§ 14-16, 27 aprile 2000 e S.A.GE.MA S.N.C. c. Italia, no 40184/98, §§ 12-14, 27 aprile 2000). Pertanto, la Corte stima che poiché il richiedente può definirsi “vittima” della durata del procedimento, può prendere in considerazione tutto il procedimento nazionale sul merito e non solamente quello già esaminato dalla corte di appello (vedere Cocchiarella c. Italia, precitata, §§ 115-116).
17. La Corte nota anche che la somma concessa dalla giurisdizione “Pinto” è stata versata solamente il 25 novembre 2004, o più di ventinove mesi dopo il deposito alla cancelleria della decisione della corte di appello: questo pagamento ha superato dunque largamente i sei mesi a contare dal momento in cui la decisione di indennizzo diventò esecutiva. Il fatto che il procedimento “Pinto” esaminato nel suo insieme, ed in particolare nella sua fase di esecuzione, non abbia fatto perdere al richiedente la sua qualità di “vittima” costituisce una circostanza aggravante in un contesto di violazione dell’articolo 6 § 1 per superamento del termine ragionevole. La Corte sarà dunque portata a ritornare su questa questione sotto l’angolo dall’articolo 41 (vedere Cocchiarella c. Italia, precitata, § 120).
18. Dopo avere esaminato i fatti alla luce delle informazione fornite dalle parti, e tenuto conto della sua giurisprudenza in materia la Corte stima, che nello specifico, la durata del procedimento controverso è eccessiva e non soddisfa l’esigenza del “termine ragionevole.”
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
19. Il richiedente si lamenta anche della violazione degli articoli 14, 17 e 34 della Convenzione, al motivo che sarebbe stato vittima di una discriminazione fondata sulla ricchezza, tenuto conto degli oneri avanzati per intentare il procedimento “Pinto” così come del rischio di essere condannato a pagare gli oneri di procedimento in caso di rigetto del suo ricorso.
20. La Corte stima che c’è luogo di esaminare questi motivi di appello sotto l’angolo del diritto di accesso ad un tribunale allo sguardo dell’articolo 6 della Convenzione. Osserva che benché un individuo possa essere ammesso, secondo la legge italiana, a favore dell’assistenza giudiziale gratuita in materia civile, il richiedente non ha chiesto questo aiuto. Rileva, inoltre, che ha potuto investire le giurisdizioni competenti ai termini della legge “Pinto” e che la corte di appello ha fatto diritto alla sua istanza accordandogli una somma a titolo degli oneri di procedimento. Ora, non si potrebbe parlare di ostacoli all’accesso ad un tribunale quando una parte, rappresentata da un avvocato, investe liberamente la giurisdizione competente e presenta dinnanzi a lei i suoi argomenti. Pertanto, non potendo scoprire nessuna apparenza di violazione, la Corte dichiara questi motivi di appello inammissibili perché manifestamente male fondati secondo l’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione (Nicoletti c. Italia, (déc.), no 31332/96, 10 aprile 1997).
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
21. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
22. Il richiedente richiede 10 644,97 euro (EUR) a titolo del danno morale che avrebbe subito.
23. Il Governo contesta queste pretese.
24. La Corte stima che avrebbe potuto accordare al richiedente, in mancanza di vie di ricorso interne e tenuto conto della posta della controversia, la somma di 10 000 EUR. Il fatto che la corte di appello di Roma abbia concesso al richiedente quasi il 18% di questa somma arriva ad un risultato manifestamente irragionevole. Di conseguenza, avuto riguardo alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto” ed al fatto che sia giunta però ad una constatazione di violazione, la Corte, tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia (precitata, §§ 139-142 e 146) e deliberando in equità, assegna al richiedente 2 750 EUR così come 2 300 EUR a titolo della frustrazione supplementare derivante dal ritardo nel versamento dei 1 750 EUR, intervenuto solamente il 25 novembre 2004, o più di ventinove mesi dopo il deposito alla cancelleria della decisione della corte di appello.
B. Oneri e spese
25. Giustificativi in appoggio, il richiedente chiede anche 5 994,72 EUR per oneri e spese sostenuti dinnanzi alle giurisdizioni interne ed a Strasburgo.
26. Il Governo contesta queste pretese.
27. Secondo la giurisprudenza della Corte, il sussidio degli oneri e spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Can ed altri c. Turchia, no 29189/02, del 24 gennaio 2008, § 22). In quanto agli oneri e spese sostenuti dinnanzi alle giurisdizioni “Pinto”, stimando ragionevole la somma assegnata dall’istanza interna, la Corte respinge questa richiesta. In quanto agli oneri e spese sostenuti dinnanzi a lei, stima che nella cornice della preparazione della presente richiesta, certi oneri sono stati sostebnuti. Quindi, deliberando in equità, la Corte giudica ragionevole concedere 1 000 EUR a questo titolo.
C. Interessi moratori
28. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 6 della Convenzione ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. 5 050 EUR (cinquemila cinquanta euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
ii. 1 000 EUR (mille euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese,;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale,;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 22 luglio 2008, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa