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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE HIRSI JAMAA ET AUTRES c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 1
Articoli: 01, 41, 03, 13, 34, 35, P4-4
Numero: 27765/09/2012
Stato: Italia
Data: 2012-02-23 00:00:00
Organo: Grande Camera
Testo Originale

Conclusione Eccezioni preliminari unite al merito e respinte (vittima, non-esaurimento delle vie di ricorso interne,; Violazione dell’arte. 3; violazione dell’art. 3; violazione di P4-4; Violazione dell’art. 13+3; violazione dell’arte. 13+P4-4; Danno morale – risarcimento
GRANDE CAMERA
CAUSA HIRSI JAMAA ED ALTRI C. ITALIA
( Richiesta no 27765/09)
SENTENZA
STRASBURGO
23 febbraio 2012
Questa sentenza è definitiva. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Hirsi Jamaa ed altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, riunendosi in una Grande Camera composta da:
Nicolas Bratza, presidente,
Jean-Paul Costa, Francesca Tulkens,
Josep Casadevall, Nina Vajić, Dean Spielmann, Peer Lorenzen, Ljiljana Mijović, Dragoljub Popović, Giorgio Malinverni, Mirjana Lazarova Trajkovska, Nona Tsotsoria, Işıl Karakaş,
Kristina Pardalos, Guido Raimondi, Vincent A. di Gaetano, Paulo Pinto di Albuquerque, giudici, e di Michael O’Boyle, cancelliere aggiunto
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 22 giugno 2011 ed il 19 gennaio 2012,
Rende la sentenza che ha, adottata a questa ultima, dato:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 27765/09) diretta contro la Repubblica italiana e di cui undici cittadini somali e tredici cittadini eritrei (“i richiedenti”) di cui i nomi e le date di nascita raffigurano sull’elenco annesso alla presente sentenza, hanno investito la Corte il 26 maggio 2009 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati dai Miei A.G. Lana ed A. Saccucci, avvocati a Roma. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e col suo coagente, la Sig.ra S. Coppari.
3. I richiedenti adducevano in particolare che il loro trasferimento verso la Libia con le autorità italiane aveva violato gli articoli 3 della Convenzione e 4 del Protocollo no 4, ed essi denunciavano la mancanza di un ricorso conforme all’articolo 13 della Convenzione che avesse permesso loro di fare esaminare i motivi di appello precitati.
4. La richiesta è stata assegnata alla seconda sezione della Corte, articolo 52 § 1 dell’ordinamento della Corte. Il 17 novembre 2009, una camera di suddetta sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Il 15 febbraio 2011, la camera, composta dei giudici di cui il nome segue,: Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Dragoljub Popović, Nona Tsotsoria, Isil Karakas, Kristina Pardalos, Guido Raimondi, cosě come di Stanley Naismith, cancelliere di sezione, si č disfatta al profitto della Grande Camera, nessuna delle parti si essendo opposto non ci (articoli 30 della Convenzione e 72 dell’ordinamento).
5. La composizione della Grande Camera è stata arrestata conformemente agli articoli 27 §§ 2 e 3 della Convenzione e 24 dell’ordinamento.
6. Siccome lo permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso che la Grande Camera si pronuncierebbe sull’ammissibilità ed il merito della richiesta allo stesso tempo.
7. Tanto i richiedenti che il Governo ha depositato delle osservazioni scritte sul merito della causa. All’udienza, ciascuna delle parti ha risposto alle osservazioni dell’altro, articolo 44 § 5 dell’ordinamento. Alcune osservazioni scritte sono state ricevute anche dell’Alto-commissariato delle Nazioni Unite per i profughi (HCR), di Human Rights Watch, del Columbia Law School Human Rights Clinic, del Centro di consiglio sui diritti dell’individuo in Europa, Centro Area, di Amnesty Internazionale così come della Federazione internazionale delle leghe dei diritti dell’uomo (FIDH), agendo collettivamente. Il presidente della camera li aveva autorizzati ad intervenire in virtù dell’articolo 36 § 2 della Convenzione. Alcune osservazioni sono state ricevute anche dell’Alto-commissariato delle Nazioni Unite ai diritti dell’uomo (HCDH), che il presidente della Corte aveva autorizzato ad intervenire. Il HCR è stato autorizzato inoltre a partecipare al procedimento orale.
8. Un’udienza si è svolta in pubblico al Palazzo dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, il 22 giugno 2011, articolo 59 § 3 dell’ordinamento.
Sono comparsi:
OMISSIS
La Corte ha inteso OMISSIS nelle loro dichiarazioni così come nelle loro risposte alle sue questioni.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
A. L’intercettazione ed il rinvio dei richiedenti in Libia
9. I richiedenti, undici cittadini somali e tredici cittadini eritrei, fanno parte di un gruppo di circa due centesime persone che lasciarono la Libia a bordo di tre imbarcazioni nello scopo di raggiungere le coste italiane.
10. Il 6 maggio 2009, mentre le imbarcazioni si trovavano a trentacinque miglia marini al sud di Lampedusa (Agrigento), questo essere-a-argomento dentro alla zona marittima di ricerca e di salvataggio (“zona di responsabilità SAR”) rilevando della competenza di Malta, furono avvicinati da tre navi della guardia delle finanze e dei guardacoste italiani.
11. Gli occupanti delle imbarcazioni intercettate furono trasferiti sulle navi militari italiane e furono ricondotti a Tripoli. I richiedenti affermano che durante il viaggio le autorità italiane non li hanno informati della loro vera destinazione e non hanno effettuato nessuno procedimento di identificazione.
Tutti i loro effetti personali, ivi compreso dei documenti che attestano la loro identità, furono confiscati dai militari.
12. Una volta arrivata al porto di Tripoli, dopo le dieci di navigazione, i migrati si furono concessi alle autorità libiche. Secondo la versione dei fatti presentati dai richiedenti, questi opposero alla loro rimessa alle autorità libiche, ma li si obbligò con la forza a lasciare le navi italiane.
13. All’epoca di una conferenza stampa tenuta il 7 maggio 2009, il ministro degli Interni italiano dichiarò che le operazioni di intercettazione delle imbarcazioni in alto mare e di rinvio dei migrati in Libia seguivano in vigore l’entrata, il 4 febbraio 2009, di accordi bilaterali conclusi con la Libia, e costituivano un tornante importante nella lotta contro l’immigrazione clandestina. Il 25 maggio 2009, all’epoca di un intervento dinnanzi al Senato, il ministro indicò che, del 6 al 10 maggio 2009, più di 471 migrati clandestini erano stati intercettati in alto mare e trasferiti conformemente verso la Libia a detti accordi bilaterali. Dopo avere spiegato che le operazioni erano state condotte in applicazione del principio di cooperazione tra Stati, il ministro sostenne che la politica di rinvio costituiva un mezzo molto efficace di lottare contro l’immigrazione clandestina. Suddetta politica scoraggiava le organizzazioni criminali legate al traffico illecito ed alla tratta delle persone, contribuiva a salvare delle vite in mare e riduceva sensibilmente gli sbarchi di clandestini sulle coste italiane, sbarchi che nel maggio 2009 erano stati cinque volte meno numerose che in maggio 2008, secondo il ministro degli Interni.
14. Durante l’anno 2009, l’Italia praticò nove intercettazioni di clandestini in alto mare conformemente agli accordi bilaterali con la Libia.
B. lo porta fuori dei richiedenti ed i loro contatti coi loro rappresentanti
15. Secondo le informazione trasmesse alla Corte coi rappresentanti dei richiedenti, due di essi, OMISSIS, rispettivamente no 10 e no 11 sull’elenco annesso alla presente sentenza, sono deceduti dopo i fatti nelle circostanze sconosciute.
16. Dopo l’introduzione della richiesta, gli avvocati si sono potuti guardare dai contatti con gli altri richiedenti. Questi erano raggiungibili per telefono e per posta elettronica.
Tra giugno ed ottobre 2009, quattordici di essi, indicati sull’elenco, si sono visti accordare lo statuto di profugo con l’ufficio del HCR di Tripoli.
17. In seguito alla rivolta che è esplosa in Libia nel febbraio 2011 e che ha spinto un gran numero di persone a fuggire il paese, la qualità dei contatti tra i richiedenti ed i loro rappresentanti si sono degradati. Gli avvocati sono in contatto con sei dei richiedenti attualmente:
-OMISSIS (no 20 sull’elenco) è riuscito a raggiungere clandestinamente le coste italiane. Il 21 giugno 2011, la Commissione territoriale di Crotone gli ha concesso lo statuto di profugo;
-OMISSIS (no 19 sull’elenco) trovati al campo di Choucha, in Tunisia, attualmente. Ha intenzione di raggiungere l’Italia;
-OMISSIS (no 24 sull’elenco) Risiede a Malta;
-OMISSIS, rispettivamente no 23 e no 13 sull’elenco, residente in Svizzera, dove aspettano una risposta alla loro domanda di protezione internazionale;
-M OMISSIS (no 21 sull’elenco) Risiede in Benin.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
A. lo codifica della navigazione
18. L’articolo 4 del codice della navigazione del 30 marzo 1942, modificato nel 2002, si legge così:
“Le navi italiane in alto mare così come gli aeromobili trovandosi in un spazio no sottoposi alla sovranità di un Stato sono considerati come essendo territorio italiano.”
B Gli accordi bilaterali tra l’Italia e le Libia
19. Il 29 dicembre 2007, l’Italia e la Libia firmarono a Tripoli un accordo bilaterale di cooperazione per la lotta contro l’immigrazione clandestina. Lo stesso giorno, i due paesi firmarono anche un Protocollo addizionale che fissa le modalità operative e tecniche del collocamento ad esecuzione di suddetto accordo. L’articolo 2 dell’accordo è formulato così:
[Traduzione della cancelleria]
“L’Italia ed il Grande Jamahiriya [arabo libico popolare socialista] si impegnano ad organizzare delle pattuglie marittime con l’aiuto di sei navi misi a disposizione, a titolo temporaneo, con l’Italia. Degli equipaggi misti, formati di personale libico così come di agenti di polizia italiana, alle fini dell’addestramento, della formazione e dell’assistenza tecnica per l’utilizzazione ed il movimentazione delle navi, saranno imbarcati a bordo delle navi. Le operazioni di controllo, di ricerca e di salvataggio sarà condotta nei luoghi di partenza e di transito delle imbarcazioni destinate al trasporto degli immigrati clandestini, tanto nelle acque territoriali libiche che nelle acque internazionali, nel rispetto delle convenzioni internazionali in vigore e secondo le modalità operative che saranno definite dalle autorità competenti dei due paesi. “
Peraltro, l’Italia si avviava a cedere alla Libia, per un periodo di tre anni, tre navi senza padiglione (articolo 3 dell’accordo) ed a promuovere presso degli organi dell’unione europea (UE) la conclusione di un’accordo-cornice tra l’UE e le Libia (articolo 4 dell’accordo).
Infine, secondo l’articolo 7 dell’accordo bilaterale, la Libia si avviava a “coordinare i suoi sforzi con quelli dei paesi di origine per la riduzione dell’immigrazione clandestina e per il rimpatrio degli immigrati.”
Il 4 febbraio 2009, l’Italia e la Libia firmarono a Tripoli un Protocollo addizionale che mira al rafforzamento della collaborazione bilaterale alle fini della lotta contro l’immigrazione clandestina. Questo ultimo Protocollo modificava parzialmente l’accordo del 29 dicembre 2007, in particolare con l’introduzione di un nuovo articolo, così formulato,:
[Traduzione della cancelleria]
“I due paesi si avviano ad organizzare delle pattuglie marittime con gli equipaggi comuni formati di personale italiano e di personale libico, equivalenti in numero, esperienza e competenza. Le pattuglie operano nelle acque libiche ed internazionali sotto la supervisione di personale libico e con la partecipazione di equipaggi italiani, e nelle acque italiane ed internazionali sotto la supervisione di personale italiani e con la partecipazione di personale libico.
La proprietà delle navi offerte dall’Italia in virtù dell’articolo 3 dell’accordo del 29 dicembre 2007 sarà ceduta definitivamente alla Libia.
I due paesi si avviano a rimpatriare gli immigrati clandestini ed a concludere degli accordi coi paesi di origine per limitare il fenomeno dell’immigrazione clandestina.”
20. Il 30 agosto 2008, l’Italia e la Libia firmarono a Benghazi il Trattato di amicizia, di partnership e di cooperazione che contempla nel suo articolo 19 degli sforzi per la prevenzione del fenomeno dell’immigrazione clandestina nei paesi di origine dei flussi migratori. Ai termini dell’articolo 6 di questo trattato, l’Italia e la Libia si avviavano ad agire conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
21. Secondo una dichiarazione del ministro italiano della Difesa, in data del 26 febbraio 2011, l’applicazione degli accordi tra le Italie e la Libia sono state sospese in seguito agli avvenimenti di 2011.
III. ELEMENTI PERTINENTI DI DIRITTO INTERNAZIONALE E DI DIRITTO EUROPEO
A. La Convenzione di Ginevra relativa allo statuto dei profughi (1951)
22. L’Italia è partire alla Convenzione da Ginevra del 1951 relativa allo statuto dei profughi (“la Convenzione di Ginevra”) che definisce le modalità secondo che un Stato deve accordare lo statuto di profugo alle persone che ne fanno la domanda, così come i diritti ed i doveri di queste persone. Gli articoli 1 e 33 § 1 di suddetta Convenzione dispongono:
Articolo 1
“Alle fini della presente Convenzione, il termine “si rifugiato” si applicherà ad ogni persona chi, (…) temendo con ragione di essere perseguitata a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad un certo gruppo sociale o dei suoi opinioni politici, si trovi fuori dal paese di cui ha la nazionalità e che non può o, a causa di questo timore, non vuole vantarsi della protezione di questo paese; o che, se non ha nazionalità e si trovi fuori dal paese in che aveva la sua residenza abituale in seguito a tali avvenimenti, non può o, in ragione di suddetta timore, non vuole tornare lì. “
Articolo 33 § 1
“Nessuno degli Stati contraenti espellerà o non respingerà, di qualche modo che questo sia, un profugo sulle frontiere dei territori dove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate in ragione della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad un certo gruppo sociale o dei suoi opinioni politici”.
23. Nella sua nota sulla protezione internazionale del 13 settembre 2001 (A/AC.96/951, § 16, il HCR che ha per mandato di badare al modo di cui gli Stati partiti applicano la Convenzione di Ginevra, ha indicato che il principio enunciato all’articolo 33, detto della “no-repressione”, era:
“un principio di protezione cardinale che non tollera nessuna riserva. A bene dei riguardi, questo principio è il complemento logico del diritto di cercare asilo riconosciuto nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Questo diritto ne è venuto ad essere considerato come una regola di diritto internazionale abituale che lega tutti gli Stati. Inoltre, il diritto internazionale dei diritti dell’uomo ha stabilito la no-repressione come un elemento fondamentale dell’interdizione assoluta della tortura e dei trattamenti crudeli, disumani o degradanti. L’obbligo di non respingere è riconosciuto anche come applicandosi a prescindere ai profughi della loro riconoscenza ufficiale, ciò che include i richiedenti di asilo evidentemente di cui lo statuto non è stato determinato ancora. Copre ogni misura attribuibile ad un Stato che potrebbe avere per effetto di rinviare un richiedente di asilo o un profugo verso le frontiere di un territorio dove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate, e dove rischierebbe una persecuzione. Ciò include il rigetto alle frontiere, l’intercettazione e la repressione indiretta, che si trattasse di un individuo questuo di asilo o di un afflusso massiccio. “
B. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto marittimo (“Convenzione di Montego Bay”) (1982)
24. Gli articoli pertinenti della Convenzione di Montego Bay sono formulati così:
Articolo 92
Condizione giuridica delle navi
“1. Le navi navigano sotto il padiglione di un solo Stato e sono sottoposte, salvo nei casi eccezionali espressamente previsti coi trattati internazionali o con la Convenzione, alla sua giurisdizione esclusiva in alto mare. “
Articolo 94
Obblighi dello stato del padiglione
“1. Ogni Stato esercita infatti la sua giurisdizione ed il suo controllo nelle tenute amministrative, tecnica e sociale sulle navi che picchiano il suo padiglione.
(…) “
Articolo 98
Obbligo di prestare assistenza
“1. Ogni Stato esige del capitano di una nave che picchia il suo padiglione che, per quanto ciò gli è possibile senza fare decorrere di rischi gravi alla nave, all’equipaggio o ai passeggeri,:
ha, presta assistenza a chiunque è trovata in pericolo in mare;
b, si porta anche rapidamente che possibile al soccorso delle persone in sconforto se è informato che hanno bisogno di assistenza, nella misura in cui si può aspettarsi ragionevolmente che agisse del tipo;
(…) “
C. La Convenzione internazionale sulla ricerca ed i salvataggio marittimo (“Convenzione SAR”) (1979, modificati nel 2004,
25. Il punto 3.1.9 del Convenzione SAR dispone:
“Le Parti devono garantire il coordinamento ed i cooperazione necessario affinché i capitani di navi che prestano assistenza imbarcando delle persone in sconforto in mare siano emanati dei loro obblighi e si scostano meno possibile della strada prevista, senza che il fatto di estrarrli di questi obblighi non comprometta di più la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della regione di ricerca e di salvataggio nella quale un’assistenza è prestata assume al primo capo la responsabilità di badare a questo che questo coordinamento e questa cooperazione siano garantiti, affinché i superstiti soccorsi siano sbarcati della nave che li ha raccolti e condotti al sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborata dall’organizzazione, Marittimo Internazionale. In questi casi, le Parti interessate devono prendere le disposizioni necessarie affinché questo sbarco abbia il più presto possibile ragionevolmente luogo possibile. “
D. Il Protocollo contro il traffico illecito di migrati per terra, aria e mare, addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità sovranazionale organizzata (“Protocollo di Palermo”) (2000)
26. L’articolo 19 § 1 del Protocollo di Palermo sono formulati come segue:
“Nessuna disposizione del presente Protocollo non ha incidenze sugli altri diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e degli individui in virtù del diritto internazionale, ivi compreso del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale relativo ai diritti dell’uomo ed in particolare, quando si applicano, della Convenzione di 1951 e del Protocollo del 1967 relativi allo statuto dei profughi così come del principio di no-repressione che è enunciato. “
E. La Risoluzione 1821 (2011) dell’assemblea parlamentare del Consiglio dell’Europa
27. Il 21 giugno 2011, l’assemblea parlamentare del Consiglio dell’Europa ha adottato la Risoluzione sull’intercettazione ed il salvataggio in mare di richiedenti di asilo, di profughi e di migrati in situazione irregolare che si legge così:
“1. La sorveglianza delle frontiere meridionali dell’Europa è diventata una precedenza regionale. Il continente europeo deve fare fronte all’arrivo relativamente importante di flussi migratori col mare difatti in provenienza dell’Africa ed arrivando principalmente in Europa via l’Italia, Malta, la Spagna, la Grecia e Cipro.
2. Dei migrati, dei profughi, dei richiedenti di asilo e di altre persone mettono la loro vita in pericolo per raggiungere le frontiere meridionali dell’Europa, generalmente nelle imbarcazioni di fortuna. Questi viaggi, sempre effettuati dai mezzi irregolari e la maggior parte a bordo di navi senza padiglione, al rischio di cadere tra le mani di reti di traffico illecito di migrato e di tratta degli esseri umani, sono l’espressione dello sconforto delle persone imbarcate che non hanno di medio regolare ed in ogni caso non di mezzo meno rischioso di guadagnare l’Europa.
3. Anche se il numero di arrivi con mare ha drastiquement sminuito questi ultimi anni, con per effetto di spostare le strade migratorie, in particolare verso la frontiera terrestre tra la Turchia e le Grecia, l’assemblea parlamentare, ricordando in particolare la sua Risoluzione 1637 (2008) “I boat people in Europa: arrivata da mare di flussi migratori misti in Europa”, esprimi di nuovo le sue vive preoccupazioni concernente le misure prese per gestire l’arrivo con mare di questi flussi migratori misti. Di numerose persone in sconforto in mare sono state salvate e di numerose persone che tentano di raggiungere l’Europa sono state rinviate, ma l’elenco degli incidenti mortali -anche tragici che prevedibili -è lunga e lei aumento attualmente quasi ogni giorno.
4. Peraltro, le recenti arrivate in Italia ed a Malta sopraggiunto seguito agli sconvolgimenti in Africa settentrionale confermano la necessità per l’Europa di essere prestato ad affrontare, ogni momento, l’arrivo massiccio di migrati irregolari, richiedenti di asilo e profughi sulle sue coste meridionali.
5. L’assemblea constata che la gestione di questi arrivi con mare solleva di numerosi problemi tra che cinque sono particolarmente inquietanti:
5.1. Mentre parecchi strumenti internazionali pertinenti si applicano in materia ed enunciano in modo soddisfacente i diritti e gli obblighi degli Stati e degli individui, sembra avere delle divergenze nell’interpretazione del loro contenuto. Certi Stati non sono di accordo sulla natura e la superficie delle loro responsabilità in certi casi e certi Stati rimettono anche in questione l’applicazione del principio di no-repressione in alto mare;
5.2. Sebbene la precedenza assoluta in caso di intercettazione in mare sia di garantire lo sbarco veloce delle persone soccorse in “luogo sicuro”, la nozione di “luogo sicuro” non sembra essere interpretata dello stesso modo con tutti gli Stati membri. Ora, è bacino di ingrassamento per ostriche che la nozione di “luogo sicuro” non saprebbe limitarsi alla sola protezione fisica delle persone ma che ingloba necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali;
5.3. Questi disaccordi mettono direttamente in pericolo la vita delle persone a soccorrere, in particolare ritardando o impedendo le azioni di salvataggio, e sono suscettibili di dissuadere i marinai di venire al soccorso delle persone in sconforto in mare. Di più, potrebbero avere per conseguenza la violazione del principio di no-repressione al riguardo di un numero importante di persone, ivi compreso al riguardo di persone che hanno bisogno di protezione internazionale;
5.4. Mentre l’agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’unione europea (Frontex) giochi un ruolo sempre più grande in materia di intercettazione in mare, le garanzie del rispetto dei diritti dell’uomo e degli obblighi che rileva del diritto internazionale e del diritto comunitario nel contesto delle operazioni congiunte che coordina sono insufficienti;
5.5. Infine, questi arrivi col mare fanno pesare un carico sproporzionato sugli Stati situati alle frontiere meridionali dell’unione europea. Lo scopo di una divisione più equa delle responsabilità e di una più grande solidarietà in materia di migrazione tra gli Stati europei è lontano da essere raggiunto.
6. La situazione è complicata dal fatto che i flussi migratori riguardati sono a carattere misto e che chiedono delle risposte specializzate che prendono in conto i bisogni di protezione dunque ed adattati allo statuto delle persone soccorse. Per portare agli arrivi con mare una risposta adeguata e conforme alle norme internazionali pertinenti, gli Stati devono tenere conto di questo elemento nei loro politici ed attività di gestione delle migrazioni.
7. L’assemblea ricorda i loro obblighi che rilevano del diritto internazionale agli Stati membri, in particolare ai termini della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di 1982 e della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo statuto dei profughi, in particolare il principio di no-repressione ed il diritto di chiedere l’asilo. L’assemblea ricorda anche gli obblighi degli Stati Partiti alla Convenzione internazionale per la salvaguardia dalla vita umana in mare del 1974 ed alla Convenzione internazionale di 1979 sulla ricerca ed i salvataggio marittimo.
8. Infine e soprattutto, l’assemblea ricorda agli Stati membri che hanno l’obbligo tanto morale che legale di soccorrere le persone in sconforto in mare senza il minimo termine e riafferma senza ambiguità l’interpretazione fatta dall’Alto -commissariato delle Nazioni Unite per i profughi (HCR secondo che il principio di no-repressione si applica anche in alto mare). L’alto mare non è una zona nella quale gli Stati sono esenti dai loro obblighi giuridici, ivi compreso delle loro obblighi conclusioni del diritto internazionale dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale dei profughi.
9. L’assemblea chiama gli Stati membri dunque, nella condotta delle attività di sorveglianza delle frontiere marittime che sia nel contesto della prevenzione del traffico illecito e della tratta degli esseri umani o in quello della gestione delle frontiere, che esercitano la loro giurisdizione di diritto o di fatto:
9.1. a rispondere senza eccezione e senza termine al loro obbligo di soccorrere le persone in sconforto in mare;
9.2. a badare a questo che i loro politici ed attività relative alla gestione delle loro frontiere, ivi compreso le misure di intercettazione, riconoscono la composizione mista dei flussi di persone che tentano di superare le frontiere marittime;
9.3. a garantire a tutte le persone intercettate un trattamento umano ed il rispetto sistematico dei loro diritti dell’uomo, ivi compreso del principio di no-repressione, a prescindere per il fatto che le misure di intercettazione siano messe in opera nelle loro proprie acque territoriali, in queste di un altro Stato sulla base di un accordo bilaterale ad hoc, o in alto mare;
9.4. ad astenersi da ricorrere ad ogni pratica potendo apparentarsi ad una repressione diretta o indiretta, ivi compreso in alto mare, in rispetto dell’interpretazione dell’applicazione extraterritoriale di questo principio fatto dal HCR e delle sentenze pertinenti della Corte europea dei diritti dell’uomo;
9.5. a garantire in precedenza lo sbarco veloce delle persone soccorse in “luogo sicuro” ed a considerare come “luogo sicuro” un luogo suscettibile di rispondere ai bisogni immediati delle persone sbarcate che non mettano per niente in pericolo i loro diritti fondamentali; la nozione di “sicurezza” che va al di là della semplice protezione del pericolo fisico e prendendo anche in conto la prospettiva dei diritti fondamentali del luogo di sbarco proposto;
9.6. a garantire alle persone intercettate avendo bisogno di una protezione internazionale l’accesso ad un procedimento di asilo giusto ed efficace;
9.7. a garantire alle persone intercettate vittime della tratta degli esseri umani o rischiando di diventare egli, l’accesso ad una protezione ed un’assistenza, ivi compreso di procedimenti di asilo;
9.8. a badare a questo che il collocamento in ritenzione di persone intercettate-escludendo sistematicamente i minore ed i gruppi vulnerabili-a prescindere del loro statuto, sia autorizzato dalle autorità giudiziali e che non abbia luogo che in caso di necessità e per i motivi prescritti dalla legge, nella mancanza di tutta altra alternativa appropriata e nel rispetto delle norme minimali e dei principi definite nella Risoluzione 1707 (2010) dell’assemblea sulla ritenzione amministrativa dei richiedenti di asilo e dei migrati in situazione irregolare in Europa;
9.9. a sospendere gli accordi bilaterali che potuti passare con gli Stati terzo se i diritti fondamentali di persone intercettate non sono garantite adeguatamente, in particolare il loro diritto di accesso ad un procedimento di asilo, e dal momento che possono apparentarsisi ad una violazione del principio di no-repressione, ed a concludere dei nuovi accordi bilaterali che contengono espressamente delle tali garanzie in materia di diritti dell’uomo e delle misure in vista del loro controllo regolare ed effettivo;
9.10. a firmare e ratificare, se non l’hanno fatto ancora, gli strumenti internazionali pertinenti suddetti ed a tenere conto delle Direttive dell’organizzazione marittima internazionale (OMI, sul trattamento delle persone soccorse in mare,);
9.11. a firmare e ratificare, se non l’hanno fatto ancora, la Convenzione del Consiglio dell’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani, STCE no 197, ed i Protocolli detti “di Palermo” alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità sovranazionale organizzata (2000);
9.12. a badare a ciò che le operazioni di sorveglianza alle frontiere marittime e le misure di controllo alle frontiere non ostacolano la protezione specifica accordata a titolo del diritto internazionale alle categorie vulnerabili come i profughi, i persone apolidi, i bambini non accompagnati e le mogli, i migrati, le vittime della tratta o le persone rischiando di diventare egli, così come le vittime di torture e di traumi.
10. L’assemblea è inquieta della mancanza di chiarezza in ciò che riguarda le responsabilità rispettive degli Stati membri dell’unione europea e di Frontex e della mancanza di garanzie adeguate del rispetto dei diritti fondamentali e delle norme internazionali nella cornice delle operazioni congiunte coordinate da questa agenzia. Mentre l’assemblea si rallegra delle proposte presentate dalla Commissione europea per modificare l’ordinamento di questa agenzia per rinforzare le garanzie del pieno rispetto dei diritti fondamentali, li giudica insufficienti e desidererebbe che il Parlamento europeo sia incaricato del controllo democratico delle attività di questa agenzia, in particolare avuta riguardo al rispetto dei diritti fondamentali.
11. L’assemblea considera anche che è essenziale che gli sforzi siano intrapresi per ovviare alle cause primi che spingono delle persone esasperate ad imbarcarsi in direzione dell’Europa al pericolo della loro vita. L’assemblea chiama tutti gli Stati membri a rinforzare i loro sforzi in favore della pace, dello stato di diritto e della prosperità nei paesi di origine dei candidati all’immigrazione e dei richiedenti di asilo.
12. Infine, considerando le serietà sfide poste agli Stati costieri con l’arrivo irregolare con mare di flussi misti di persone, l’assemblea chiama la comunità internazionale, in particolare l’OMI, il HRC, l’organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), il Consiglio dell’Europa e l’unione europeo, ivi compreso Frontex e l’Ufficio europeo di appoggio in materia di asilo,:
12.1. a fornire tutta l’assistenza richiesta a questi Stati in un spirito di solidarietà e di divisione delle responsabilità;
12.2. sotto l’egida dell’OMI, ad esporre degli sforzi concertati per garantire un approccio coerente ed armonizzata in particolare del diritto marittimo internazionale, al mezzo, di un consenso sulla definizione ed il contenuto dei principali termini e norme;
12.3. a mettere in opera un gruppo inter- agenzie incaricate di studiare e di decidere i problemi principali in materia di intercettazione in mare, ivi compreso i cinque problemi identificati in questa risoluzione, di fissare dei precedenze politici precisi, di consigliare gli Stati ed altri protagonisti riguardati e di controllare e valutare il collocamento in opera delle misure di intercettazione in mare. Il gruppo dovrebbe essere composto di membri dell’OMI, del HCR, dell’OIM, del Consiglio dell’Europa, di Frontex e dell’Ufficio europeo di appoggio in materia di asilo. “
F. Il diritto dell’unione europea
1. La Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea (2000)
28. L’articolo 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea dispongo:
Protezione in caso di allontanamento, di sfratto e di estradizione,
“1. Gli sfratti collettivi sono vietati.
2. Nessuno può essere o lontano, espulso estradato verso un Stato dove esiste un rischio serio che sia sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti disumani o degradanti. “
2. L’accordo di Schengen (1985)
29. L’articolo 17 dell’accordo di Schengen è formulato così:
“In materia di circolazione delle persone, le Parti cercheranno di annullare i controlli alle frontiere comuni ed a trasferirli alle loro frontiere esterne. A questa fine, si sforzeranno a priori di armonizzare, se necessario, le disposizioni legislative e regolamentari relative alle interdizioni e restrizioni che sciolgono i controlli e di prendere delle misure complementari per la salvaguardia della sicurezza e per fare ostacolo all’immigrazione illegale di cittadini di stati non membri delle Comunità europee. “
3. L’Ordinamento (Questo) no 2007/2004 del Consiglio del 26 ottobre 2004 portando creazione di una Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’unione europea (FRONTEX)
30. L’Ordinamento (Questo) no 2007/2004 contiene il seguente disposizioni:
“1) la politica comunitaria relativa alle frontiere esterne dell’unione europea mira a mettere in posto una gestione integrata che garantisce un livello elevato ed uniforme di controllo e di sorveglianza che costituisce il corollario indispensabile della libera circolazione delle persone nell’unione europea ed un elemento determinante dello spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia. A questa fine, è contemplato di stabilire delle regole comuni relative alle norme ed ai procedimenti di controllo alle frontiere esterne.
2, per mettere efficacemente in opera le regole comuni, importa di aumentare il coordinamento della cooperazione operativa tra Stati membri.
3, tenendo conto dell’esperienza dell’istanza comune di esperti delle frontiere esterne che operano in seno al Consiglio, un organismo di periti specializzati incaricati di migliorare il coordinamento della cooperazione operativa tra Stati membri in materia di gestione delle frontiere esterne dovrebbe essere creato sotto forma di una Agenzia europea di gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’unione europea, qui di seguito denominata “l’agenzia”.
4, la responsabilità del controllo e della sorveglianza delle frontiere esterne incombe sugli Stati membri. L’agenzia mira a facilitare o l’applicazione delle misure comunitarie esistenti future relative alla gestione delle frontiere esterne garantendo il coordinamento delle disposizioni di esecuzione corrispondiamo preso con gli Stati membri.
5, è della più alta importanza per gli Stati membri che un controllo ed un sorveglianza effettivi delle frontiere esterne siano garantiti, a prescindere della loro situazione geografica. Perciò, è necessario promuovere la solidarietà tra gli Stati membri nella tenuta della gestione delle frontiere esterne. La creazione dell’agenzia che assiste gli Stati membri nel collocamento in opera operativo della gestione delle loro frontiere esterne, in particolare del ritorno dei cittadini di paese terzo in soggiorno irregolare sul loro territorio, costituisci un’avanzata importante in questo senso. “
4. L’Ordinamento (Questo) no 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 marzo 2006 stabilendo un codice comunitario relativo al regime di superamento delle frontiere con le persone, codice frontiere Schengen,
31. L’articolo 3 dell’Ordinamento (Questo) no 562/2006 dispone:
“Il presente ordinamento si applica ad ogni persona che supera la frontiera interna o esterna di un Stato membro, senza danno,:
ha, dei diritti delle persone che godono del diritto comunitario alla libera circolazione;
b, dei diritti dei profughi e delle persone che chiedono una protezione internazionale, in particolare in ciò che riguarda la no-repressione. “
5. La Decisione del Consiglio del 26 aprile 2010 mirando a completare il codice frontiere Schengen in ciò che riguarda la sorveglianza delle frontiere esterne marittime nella cornice della cooperazione operativa coordinata dall’agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’unione europea (2010/252/UE)
32. La Decisione del Consiglio del 26 aprile 2010 preciso nel suo allegato:
“Regole applicabili alle operazioni alle frontiere marittime coordinate con [l’agenzia FRONTEX]:
1. Principi generali
1.1. Le misure prese alle fini di un’operazione di sorveglianza sono eseguite nel rispetto dei diritti fondamentali ed in modo da non mettere in pericolo la sicurezza delle persone intercettate soccorse o né quella delle unità partecipate.
1.2. Nessuno è sbarcato in un paese né si è concesso alle autorità di questo in violazione del principio di no-repressione o se esiste un rischio di repressione o di rinvio verso un altro paese in violazione di questo principio. Senza danno del punto 1.1, le persone intercettate soccorse sono informate o in modo adeguata affinché possano spiegare le ragioni per che un sbarco al dritto proposto sarebbe contrario al principio di no-repressione.
1.3. È tenuto conto, durante tutta la durata dell’operazione, dei bisogni specifici dei bambini, delle vittime della tratta degli esseri umani, delle persone che hanno bisogno di un’assistenza sanitaria urgente o di una protezione internazionale e delle altre persone che si trova in una situazione particolarmente vulnerabile.
1.4. Gli Stati membri badano a ciò che le tenere-frontiere che partecipano all’operazione di sorveglianza abbiano ricevuto una formazione a proposito delle disposizioni applicabili in materia di diritti dell’uomo e di diritto dei profughi ed a ciò che siano familiarizzati col regime internazionale di ricerca e di salvataggio. “
IV. DOCUMENTI INTERNAZIONALI CONCERNENTI LE INTERCETTAZIONI IN ALTO MARE PRATICATE DALL’ITALIA E LA SITUAZIONE IN LIBIA
A. Il comunicato stampa dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i profughi
33. Il 7 maggio 2009, il HCR pubblicò così un comunicato stampa formula:
“Il HCR ha espresso suo viva preoccupazione giovedì concernente la sorte di circa 230 persone soccorse in mare mercoledì con le dive italiane di pattuglia marittima nella regione di ricerca e di salvataggio che rileva della competenza delle autorità maltesi. Tutte queste persone sono state rinviate in Libia senza una valutazione adeguata dei loro eventuali bisogni di protezione. Il salvataggio è sopraggiunto ad una distanza di circa 35 miglia nautici al sud-est dell’isola di Lampedusa, tuttavia dentro alla zona di ricerca e di salvataggio che rileva della competenza delle autorità maltesi.
Il rinvio in Libia ha seguito una giornata di discussioni tese tra le autorità maltesi ed italiane concernente l’attribuzione della responsabilità del salvataggio e dello sbarco delle persone in sconforto che si trovavano a bordo delle tre barche. Sebbene trovandosi più vicino a Lampedusa, le navi incrociavano nella zona di ricerca e di salvataggio che rileva della competenza delle autorità maltesi.
Mentre nessuna informazione è disponibile sulle nazionalità delle persone che si trovavano a bordo delle dive, è probabile che, tra esse, si trovavano delle persone che hanno bisogno di una protezione internazionale. Nel 2008, circa il 75% delle persone arrivate dal mare in Italia hanno depositato una domanda di asilo ed il 50% di esse si sono visti concedere lo statuto di profugo o una protezione per altre ragioni umanitarie.
“Chiamo le autorità italiane e maltesi a continuare di garantire che le persone soccorse in mare ed avendo bisogno di protezione internazionale beneficia di un accesso senza ostacolo al territorio ed ai procedimenti di asilo”, ha indicato l’Alto Commissario António Guterres.
Questo incidente segna un cambiamento improvviso significativo nei politici fino ad allora applicati dal governo italiano e è un motivo di molto seria inquietudine. Il HCR rimpiange vivamente la mancanza di trasparenza che ha cinto questo avvenimento.
“Lavoriamo strettamente con le autorità italiane a Lampedusa ed altrove per garantire che le persone che fuggono la guerra e le persecuzioni siano protette nel rispetto della Convenzione del 1951 relativa allo statuto dei profughi, adottati a Ginevra”, hanno aggiunto Laurens Jolles, il delegato del HCR a Roma. “È di un’importanza fondamentale che il principio del diritto internazionale sulla no-repressione continua ad essere rispettato” pienamente.
Di più, la Libia non è firmatario della Convenzione delle Nazioni Unite del 1951 relativa allo statuto dei profughi e questo paese non dispone di un sistema nazionale di asilo operativo. Il HCR lancia un appello pressante alle autorità italiane affinché riesaminano la loro decisione e che stanno attente a non mettere in opera delle tali misure all’avvenire. “
B. La lettera del Sig. Giacomo Barrot, vicepresidente della Commissione europea, in data del 15 luglio 2009
34. Il 15 luglio 2009, il Sig. Giacomo Barrot indirizzò una lettera al presidente della Commissione delle libertà civili, della giustizia e delle cause interne del Parlamento europeo, in risposta ad una domanda di parere morale sulla “proseguita in Libia di parecchi gruppi di migrati con le autorità italiane con via marittima.” In questa lettera, il vicepresidente della Commissione europea si esprimeva così:
“Secondo le informazione di cui la Commissione dispone, i migrati riguardati sono stati intercettati in alto mare.
Due insiemi di regole comunitarie devono essere esaminati concernente la situazione di cittadini di paese terzo o di apolidi che intendono entrare, di un modo irregolare, sul territorio degli Stati membri e di cui una parte di essi potrebbe avere bisogno di una protezione internazionale.
Primariamente, l’acquisizione comunitaria in materia di asilo mira a salvaguardare il diritto di asilo, come enunciato nell’articolo 18 della Carta dei Diritti fondamentali dell’UE, ed in conformità con la Convenzione di Ginevra di 1951 concernente lo statuto dei profughi e con gli altri trattati pertinenti. Però questa acquisizione, ivi compreso la direttiva sui procedimenti di asilo del 2005, applicati unicamente alle domande di asilo fatto sul territorio degli Stati membri che comprende le frontiere, le zone di transito così come, nella cornice delle frontiere marittime, le acque territoriali degli Stati membri. Perciò, è giuridicamente chiaro che l’acquisizione comunitaria in materia di asilo non si applica nelle situazioni in alto mare.
Secondariamente, il Codice dei Frontiere Schengen (CFS) esiga che gli Stati membri garantiscano la sorveglianza di frontiera per impedire tra altri il passaggio delle frontiere non autorizzato, articolo 12 dell’ordinamento (СЕ) no 562/2006 (CFS)). Tuttavia, questo obbligo comunitario deve essere messo in opera in conformità col principio di no-repressione e senza danno dei diritti dei profughi e delle persone che chiedono la protezione internazionale.
La Commissione è di parere che le attività di sorveglianza delle frontiere effettuate in mare che siano nelle acque territoriali, la zona contigua, la zona economica esclusiva o in alto mare, cadono sotto il campo di applicazione del CFS. A questo riguardo, la nostra analisi preliminare giuridica permette di supporre che gli atti delle guardie frontiere italiane corrispondano alla nozione di “sorveglianza di frontiere”, come enunciato all’articolo 12 del CFS, poiché hanno impedito il passaggio non autorizzato della frontiera esterna marittima con le persone riguardate e sono arrivati ad essi ricondotta nel paese terzo di partenza. Risulta della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea che gli obblighi comunitari devono essere applicati nel rigoroso rispetto dei diritti fondamentali che fanno parte dei principi generali di diritto comunitario. La Corte ha chiarificato anche che il campo di applicazione di questi diritti nell’ordine morale comunitario ne deve essere determinato prendendo in considerazione la giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’uomo (CEDH).
Il principio di no-repressione, come interpretato col CEDH, notifica essenzialmente che gli Stati devono astenersi da rinviare una persona, direttamente o indirettamente, là dove potrebbe inseguire un rischio reale di sottomissione alla tortura o alle pene o trattamenti disumani o degradanti. Inoltre gli Stati non possono rinviare dei profughi alle frontiere dei territori in che la loro vita o la loro libertà sarebbero minacciate a causa della loro razza, della loro religione, della loro nazionalità, della loro affiliazione ad un gruppo sociale particolare o della loro opinione politica. Questo obbligo dovrebbe essere rispettato all’epoca del collocamento in opera del controllo alle frontiere conformemente al CFS, ivi compreso le attività di sorveglianza delle frontiere in alto mare. La giurisprudenza del CEDH indica che gli atti eseguiti in alto mare con una nave di stato costituiscono un caso di competenza extraterritoriale e possono impegnare la responsabilità dello stato riguardato.
Tenuto conto di ciò che precede concernente il campo delle competenze comunitarie, la Commissione ha invitato le autorità italiane a fornirgli delle informazione supplementari concernente le circostanze di fatto del proseguimento delle persone riguardate in Libia e le disposizioni in posto per garantire la conformità col principio di no-repressione all’epoca del collocamento in opera dell’accordo bilaterale tra i due paesi. “
C. Il rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio dell’Europa
35. Del 27 al 31 luglio 2009, una delegazione del Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti disumani o degradanti (CPT) del Consiglio dell’Europa ha effettuato una visita in Italia. A questa occasione, la delegazione ha esaminato diverse questioni che hanno fatto riferimento alla nuova politica governativa di intercettazione in mare e di rinvio in Libia di migrate irregolari avvicinandosi alle coste meridionali italiane. La delegazione si è concentrata in particolare sul sistema di garanzie in posto che permette di non rinviare una persona verso un paese dove ci sono dei motivi seri di credere che inseguirà un rischio reale di essere sottoposta alla tortura o ai cattivi trattamenti.
36. Nel suo rapporto, reso pubblico il 28 aprile 2010, il CPT ha stimato che la politica dell’Italia che consiste in intercettare dei migrati in mare ed a costringerli a tornare in Libia o in altri paesi non europei costituiva una violazione del principio di no-repressione. Ha sottolineato che l’Italia era legata dal principio di no-repressione qualunque sia il luogo dove esercita la sua giurisdizione, ciò che include l’esercizio della sua giurisdizione col verso del suo personale e delle sue navi impegnate nella protezione delle frontiere o il salvataggio in mare, ivi compreso quando operano fuori dal suo territorio. Di più, tutte le persone che rilevano della giurisdizione dell’Italia dovrebbero avere la possibilità di chiedere la protezione internazionale e di beneficiare a questa fine delle facilità necessarie. Risultava delle informazione di cui disponevano il CPT che questa possibilità non era stata offerta ai migrata intercettate in mare con le autorità italiane durante il periodo esaminato. Al contrario, le persone che erano state rinviate in Libia nella cornice delle operazioni condotte da maggio al luglio 2009 si erano viste negare il diritto di ottenere una valutazione individuale del loro caso ed un accesso effettivo al sistema di protezione dei profughi. A questo riguardo, il CPT ha osservato che le persone essendo sopravvissute ad un viaggio in mare sono particolarmente vulnerabili e si trovano spesso in un stato come non si saprebbe aspettare di esse che possano esprimere immediatamente il loro desiderio di chiedere l’asilo.
Secondo il rapporto del CPT, la Libia non saprebbe essere considerata come un paese sicuro in materia di diritti dell’uomo e di diritto dei profughi; la situazione delle persone arrestate e detenute in Libia, ivi compreso quella dei migrati −che inseguono anche il rischio di essere espulsi indicherebbe che le persone rinviate verso la Libia rischiavano di essere vittime dei cattivi trattamenti.
D. Il rapporto di Human Rights Watch
37. In un lungo rapporto pubblicato il 21 settembre 2009, avendo per titolo “Sbalzato, malmenato,: L’Italia rinvia con la forza i migrati e richiedenti di asilo arrivato da barca, la Libia li maltratta”, Human Rights Watch denuncia la pratica italiana che consiste in intercettare in alto mare delle imbarcazioni incaricate di migrati ed a respingerli verso la Libia senza procedere alle verifiche necessarie. Questo rapporto si basa anche sui risultati di ricerche pubblicate in un rapporto di 2006, intitolati “Libya, stemming tè Flow. Abusi against migrato, asylum seekers and refugees.”
38. Secondo Human Rights Watch, le petroliere italiane rimorchiano le imbarcazioni dei migrate nelle acque internazionali senza verificare se ci sono tra essi dei profughi, dei malati o dei feriti, delle mogli incinte, dei bambini non accompagnati o delle vittime di traffico o di altre forme di violenza. Le autorità italiane obbligherebbero i migrate intercettati ad imbarcare su delle navi libiche o riporterebbero direttamente i migrati in Libia, dove le autorità li porrebbero immediatamente in detenzione. Certe di queste operazioni sarebbero coordinati dall’agenzia Frontex.
Il rapporto si appella su delle manutenzioni condotte presso di novantun migrati, richiedenti di asilo e profughi in Italia ed a Malta, essenzialmente nel maggio 2009, e su una manutenzione telefonica con un migrando detenuto in Libia. Dei rappresentanti di Human Rights Watch si sarebbero resi in Libia nell’aprile 2009 ed avrebbero incontrato dei rappresentanti del governo, ma le autorità libiche non avrebbero permesso all’organizzazione di intrattenersi in privato coi migrati. In dispetto di domande ripetute, le autorità non avrebbero accordato neanche a Human Rights Watch l’autorizzazione di visitare uno dei numerosi centri di detenzione per i migrata in Libia. Le HCR avrebbe ora accesso alla prigione di Misratah, dove i migranti clandestini sarebbero generalmente detenuti, e delle organizzazioni libiche vi assicurano dei servizi umanitari. Però, nella mancanza di un accordo ufficiale, l’accesso non sarebbe garantito. Di più, la Libia non conoscerebbe il diritto di asilo. Le autorità non farebbero nessuna distinzione tra i profughi, i richiedenti di asilo e di altri migrati clandestini.
39. Human Rights Watch esorta il governo libico a migliorare le condizioni di detenzione in Libia, apparentemente deplorevoli, ed a mettere in opera dei procedimenti di asilo conformi alle norme internazionali. Il rapporto si rivolge anche al governo italiano, all’unione europea ed a Frontex, affinché è garantito il diritto di asilo, ivi compreso per le persone intercettate in alto mare, e che i no-cittadini libici non siano rinviati in Libia, finché il modo di cui i migrati, i richiedenti di asilo ed i profughi sono trattati non sarà pienamente conforme alle regole internazionali.
E. la visita di Amnesty International
40. Una squadra di Amnesty Internazionale ha effettuato una missione di inchiesta in Libia dal 15 al 23 maggio 2009; era la prima volta dal 2004 che le autorità libiche autorizzavano una visita dell’organizzazione.
Durante questa visita, Amnesty International si è reso in particolare a circa 200 km di Tripoli, dove ha interrogato brevemente certe persone tra le centinaia del migrate clandestini in provenienza di altri paesi dell’Africa che sono ammucchiati al centro di detenzione di Misratah. Un gran numero di questi migrati sarebbero stati intercettati mentre cercavano di rendersi in Italia o in un altro paese del sud dell’Europa avendo chiesto alla Libia ed ad altri paesi dell’Africa settentrionale di considerare i migrati illegali in provenienza dell’Africa subsahariana per impedirli di rendersi in Europa.
41. Amnesty International stima possibile che ci siano tra le persone detenute a Misratah dei profughi che fuggono la persecuzione e sottolinea che la Libia non dispone di un procedimento di asilo e non è partire alla Convenzione relativa allo statuto dai profughi né al suo Protocollo del 1967; gli estero, ivi compreso quelli che ha bisogno di una protezione internazionale, rischierebbero di non beneficiare della protezione della legge. I detenuti non avrebbero praticamente nessuna possibilità di sporgere querela dinnanzi ad un’autorità giudiziale competente per atti di tortura o altre forme dei cattivi trattamenti.
Amnesty International avrebbe fatto parte, ai responsabile governativi incontrati addirittura in Libia, della sua inquietudine a proposito della detenzione e dei cattivi trattamenti che sarebbe inflitta alle centinaia, alle migliaia di estero che le autorità assimilerebbero ai migrate illegali, ed avrebbe chiesto loro di mettere in posto un procedimento che permette di identificare e di proteggere adeguatamente i richiedenti di asilo ed i profughi. Parimenti, Amnesty International avrebbe chiesto alle autorità libiche di non più rinviare con la forza dei cittadini esteri verso i paesi dove rischiano dell’incidi violazioni dei diritti dell’uomo, e di trovare una migliore soluzione che la detenzione per gli estero che non possono rinviare nel loro paese di origine per queste ragioni. Certi dei cittadini eritrei che costituirebbero una parte importante dei cittadini esteri detenuti a Misratah, avrebbero indicato alla delegazione di Amnesty Internazionale che erano detenuti da due anni.
V. ALTRI DOCUMENTI INTERNAZIONALI CHE DESCRIVONO LA SITUAZIONE IN LIBIA
42. Esagera quelli sopraccitati, di numerosi rapporti sono stati pubblicati dalle organizzazioni nazionali ed internazionali così come con le organizzazioni non governative che deplorano le condizioni di detenzione e di vita dei migrata irregolari in Libia all’epoca dei fatti.
Ha un elenco dei principali rapporti:
-Human Rights Watch, Stemming tè Flow: abusi against migrato, asylum seekers and refugees, settembre 2006,;
-Comitato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, Osservazioni finale Jamahiriya arabo libico, 15 novembre 2007,;
-Amnesty Intemational, Libia-Rapporto 2008 di Amnesty Internazionale, 28 maggio 2008,;
-Human Rights Watch, Libya Rights at Risk, 2 settembre 2008,;
-Dipartimento di stato americano, Rapporto relativo ai diritti dell’uomo in Libia, 4 aprile 2010.
VI. DOCUMENTI INTERNAZIONALI CHE DESCRIVONO LA SITUAZIONE IN SOMALIA ED IN ERITREA
43. I principali documenti internazionali concernente la situazione in Somalia sono presentati nel causa Sufi ed Elmi c. Regno Unito, i nostri 8319/07 e 11449/07, §§ 80-195, 28 giugno 2011.
44. Concernente l’Eritrea, parecchi rapporti denunciano delle violazioni dei diritti fondamentali perpetrati in questo paese. Rendono conto dell’incidi attentati ai diritti dell’uomo da parte del governo eritreo, a sapere gli arresti arbitrari, la tortura, delle condizioni di detenzione disumana, il lavoro forzato e dell’incidi restrizioni alle libertà di movimento, di espressione e di culto. Questi documenti analizzano anche la situazione difficile degli eritrei che riescono a sfuggire si verso altri paesi come la Libia, il Sudan, l’Egitto e l’Italia, e sono rimpatriati in seguito con la forza.
Ha l’elenco dei principali rapporti:
-HCR, Eligibility guidelines foro assessing tè internazionale protezione needs of asylum-seekers from Eritrea, aprile 2009,;
-Amnesty internazionale, rinvio 2009, Eritrea, 28 maggio 2009,;
-Human Rights Watch, Servizio foro life, state repressione and indefinite coscrizione in Eritrea, aprile 2009,;
-Human Rights Watch, Libya, don’t send Eritreans back to risk of tortura, 15 gennaio 2010;
-Human Rights Watch, World Chapter Rinvio, gennaio 2010.
IN DIRITTO
I. QUESTIONI PRELIMINARI SOLLEVATE DA IL GOVERNO
A. Sulla validità delle procure ed il perseguimento dell’esame della richiesta
1. La questione sollevata dal Governo
45. Il Governo contesta a parecchi riguardi la validità delle procure fornite dai rappresentanti dei richiedenti. Innanzitutto, adduce delle irregolarità redazionali nella maggioranza delle procure, e cioè:
-la mancanza di ogni indicazione della data e del luogo e, in certi casi, il fatto che la data ed il luogo sembrerebbero essere stato scritto dalla stessa persona;
-la mancanza di ogni riferimento al numero della richiesta;
-il fatto che l’identità dei richiedenti sarebbe indicata solamente spesso dal cognome, il nome, la nazionalità, una firma illeggibile ed un’impronta digitale parziali ed indecifrabile;
-la mancanza di indicazione delle date di nascita dei richiedenti.
46. Poi, il Governo osserva che la richiesta non precisa né le circostanze in che le procure sono state redatte, ciò che getterebbe un dubbio sulla loro validità, né i passi intrapresi dai rappresentanti dei richiedenti per stabilire l’identità dei loro clienti. Rimette in causa la qualità dei contatti esistenti tra i richiedenti ed i loro rappresentanti del resto. Adduce in particolare che i messaggi elettronici mandati dai richiedenti dopo il loro trasferimento in Libia non sono corredati da firme suscettibili di essere paragonate a queste attaccato sulle procure. Secondo il Governo, le difficoltà incontrate dagli avvocati per stabilire e mantenere il contatto coi richiedenti impedirebbero un esame contraddittorio della causa.
47. Quindi, ogni verifica dell’identità dei richiedenti che sono impossibile, e mancanza di “partecipazione personale” dei richiedenti alla causa, la Corte dovrebbe rinunciare ad inseguire l’esame della richiesta. Riferendosi al causa Hussun ed altri c. Italia ((radiazione), nostri 10171/05, 10601/05, 11593/05 e 17165/05, 19 gennaio 2010, il Governo chiede alla Corte di cancellare la richiesta del ruolo.
2. Gli argomenti dei richiedenti
48. I rappresentanti dei richiedenti difendono la validità delle procure. Affermano innanzitutto che le irregolarità redazionali addotte dal Governo non saprebbero implicare la nullità dei mandati che hanno conferito loro i loro clienti.
49. In quanto alle circostanze in che le procure sono state redatte, precisano che i mandati sono stati formalizzati dai richiedenti fin dal loro arrivo in Libia, presso dei membri di organizzazioni umanitari œuvrant in differenti centri di ritenzione. Queste persone si sarebbero occupate poi di contattarli e di trasmetterloro le procure affinché possano firmarli e possano accettare i mandati.
50. Concernente le difficoltà legate all’identificazione degli interessati, queste deriverebbero direttamente dell’oggetto della richiesta, a sapere un’operazione di rinvio collettivo e senza identificazione preliminare dei migrati clandestini. Comunque sia, gli avvocati attirano l’attenzione della Corte sul fatto che una parte importante dei richiedenti sono stati identificati dall’ufficio del HCR a Tripoli in seguito al loro arrivo in Libia.
51. Infine, gli avvocati affermano essersi guardato dai contatti con una parte degli interessati, joignables con telefono e con corrispondenza elettronica. A questo riguardo, fanno stato delle grandi difficoltà che incontrano per mantenere il contatto coi richiedenti, in particolare in ragione delle violenze che hanno scosso la Libia a partire da febbraio 2011.
3. Valutazione della Corte
52. La Corte ricorda innanzitutto che al senso dell’articolo 45 § 3 del suo ordinamento, il rappresentante di un richiedente deve produrre “una procura o un potere scrive.” Perciò, un semplice potere scritto sarebbe valido alle fini del procedimento dinnanzi alla Corte, dal momento che nessuno potrebbe dimostrare che è stato stabilito senza il consenso dell’interessato o senza che comprenda di che cosa si tratta, Velikova c. Bulgaria, no 41488/98, § 50, CEDH 2000-VI.
53. Peraltro, né la Convenzione né l’ordinamento della Corte non impone di condizioni particolari in quanto alla formula della procura, né non richiedono nessuna forma di autenticazione da parte delle autorità nazionali. Ciò che conta per la Corte è che la procura indica chiaramente che il richiedente ha affidato la sua rappresentanza dinnanzi alla Corte ad un consiglio e che questo ha accettato questo mandato, Riabov c. Russia, no 3896/04, §§ 40 e 43, 31 gennaio 2008.
54. Nello specifico, la Corte osserva che tutte le procure versate alla pratica sono firmate ed accompagnate di impronte digitali. Di più, i rappresentanti dei richiedenti hanno fornito, tutto lungo il procedimento, delle informazione dettagliate in quanto allo svolgimento dei fatti ed alla sorte dei richiedenti con che si sono potuti guardare dai contatti. Niente nella pratica permette di dubitare del racconto degli avvocati, né di mettere in causa lo scambio di informazione con la Corte (vedere, ha contrario, Hussun, precitata, §§ 43-50.
55. In queste circostanze, la Corte non ha nessuna ragione di dubitare della validità delle procure. Quindi, respinge l’eccezione del Governo.
56. Peraltro, la Corte rileva che, conformemente alle informazione fornite dagli avvocati, due dei richiedenti, il Sig. Mohamed Abukar Mohamed ed il Sig. Hasan Shariff Abbirahman, rispettivamente no 10 e no 11 sull’elenco, sono deceduti molto poco tempo dopo l’introduzione della richiesta, paragrafo 15 sopra.
57. Ricorda che la Corte ha per pratica di cancellare le richieste del ruolo quando un richiedente decede durante il procedimento e che nessuno erede o affine prossimo non vuole inseguire l’istanza (vedere, tra altri, Scherer c. Svizzera; 25 marzo 1994, §§ 31-32, serie Ha no 287; Öhlinger c. Austria, no 21444/93, rapporto della Commissione del 14 gennaio 1997, § 15, non pubblicato; Thévenon c. Francia, déc.), no 2476/02, CEDH 2006-III; e Leggero c. Francia (radiazione) [GC], no 19324/02, § 44, 30 marzo 2009.
58. Alla luce delle circostanze dello specifico, la Corte stima che non si giustifica più di inseguire l’esame della richiesta in ciò che riguarda le persone decedute, articolo 37 § 1 c, della Convenzione. Peraltro, rileva che i motivi di appello inizialmente sollevati con Sigg. Mohamed Abukar Mohamed e Hasan Shariff Abbirahman sono gli stessi che quegli enunciato dagli altri richiedenti, al motivo dai quali esprimerà qui di seguito il suo parere. In queste condizioni, non vede nessuno motivo che tiene al rispetto dei diritti dell’uomo garantito dalla Convenzione ed i suoi Protocolli che esigerebbero, conformemente all’articolo 37 § 1 in fine, il perseguimento dell’esame della richiesta dei richiedenti deceduti.
59. In conclusione, la Corte decide di cancellare la richiesta del ruolo per quanto riguarda i richiesti Mohamed Abukar Mohamed e Hasan Shariff Abbirahman, e di inseguire l’esame della richiesta per il surplus.
B. Sull’esaurimento delle vie di ricorso interni
60. All’epoca dell’udienza dinnanzi alla Grande Camera, il Governo ha sostenuto l’inammissibilità della richiesta per no-esaurimento delle vie di ricorso interni. Ha fatto valere che i richiedenti avevano omesso di investire le giurisdizioni italiane in vista di ottenere la riconoscenza e la correzione delle violazioni addotte della Convenzione.
61. Secondo il Governo, i richiedenti che sono liberi dei loro movimenti ora e hanno mostrato che erano in grado di unire i loro avvocati nella cornice del procedimento dinnanzi alla Corte, avrebbero dovuto introdurre dei ricorsi dinnanzi alle giurisdizioni penali italiane per lamentarsi delle eventuali violazioni del diritto interno e del diritto internazionale da parte dei militari implicati nel loro allontanamento. Dei procedimenti penali sarebbero attualmente in corso nelle cause simili, e questo tipo di ricorso avrebbe un carattere “effettivo.”
62. La Corte rileva che i richiedenti si lamentano anche di non avere disposto di un ricorso che soddisfa le esigenze dell’articolo 13 della Convenzione. Considera che esiste un legame stretto tra le tesi del Governo su questo punto e la fondatezza dei motivi di appello formulati dai richiedenti sul terreno di questa disposizione. Stima dunque che c’è luogo di unire questa eccezione in merito ai motivi di appello derivati dell’articolo 13 della Convenzione e di esaminarlo in questo contesto, paragrafo 207 sotto.
II. SULLA QUESTIONE DELLA GIURISDIZIONE A TITOLO DELL’ARTICOLO 1 DELLA CONVENZIONE
63. Ai termini dell’articolo 1 della Convenzione:
“Le Alte Parti contraenti riconoscono ad ogni persona che rileva della loro giurisdizione i diritti e libertà definite al titolo I de

Testo Tradotto

Conclusion Exceptions préliminaires jointes au fond et rejetées (victime, non-épuisement des voies de recours internes) ; Violation de l’art. 3 ; Violation de l’art. 3 ; Violation de P4-4 ; Violation de l’art. 13+3 ; Violation de l’art. 13+P4-4 ; Préjudice moral – réparation
GRANDE CHAMBRE
AFFAIRE HIRSI JAMAA ET AUTRES C. ITALIE
(Requête no 27765/09)
ARRÊT
STRASBOURG
23 février 2012
Cet arrêt est définitif. Il peut subir des retouches de forme.
En l’affaire Hirsi Jamaa et autres c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme, siégeant en une Grande Chambre composée de :
Nicolas Bratza, président,
Jean-Paul Costa,
Françoise Tulkens,
Josep Casadevall,
Nina Vajić,
Dean Spielmann,
Peer Lorenzen,
Ljiljana Mijović,
Dragoljub Popović,
Giorgio Malinverni,
Mirjana Lazarova Trajkovska,
Nona Tsotsoria,
Işıl Karakaş,
Kristina Pardalos,
Guido Raimondi,
Vincent A. de Gaetano,
Paulo Pinto de Albuquerque, juges,
et de Michael O’Boyle, greffier adjoint,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 22 juin 2011 et le 19 janvier 2012,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette dernière date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 27765/09) dirigée contre la République italienne et dont onze ressortissants somaliens et treize ressortissants érythréens (« les requérants »), dont les noms et les dates de naissance figurent sur la liste annexée au présent arrêt, ont saisi la Cour le 26 mai 2009 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérants sont représentés par Mes A.G. Lana et A. Saccucci, avocats à Rome. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») est représenté par son agente, Mme E. Spatafora, et par sa coagente, Mme S. Coppari.
3. Les requérants alléguaient en particulier que leur transfert vers la Libye par les autorités italiennes avait violé les articles 3 de la Convention et 4 du Protocole no 4, et ils dénonçaient l’absence d’un recours conforme à l’article 13 de la Convention, qui leur eût permis de faire examiner les griefs précités.
4. La requête a été attribuée à la deuxième section de la Cour (article 52 § 1 du règlement de la Cour). Le 17 novembre 2009, une chambre de ladite section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Le 15 février 2011, la chambre, composée des juges dont le nom suit : Françoise Tulkens, présidente, Ireneu Cabral Barreto, Dragoljub Popović, Nona Tsotsoria, Isil Karakas, Kristina Pardalos, Guido Raimondi, ainsi que de Stanley Naismith, greffier de section, s’est dessaisie au profit de la Grande Chambre, aucune des parties ne s’y étant opposée (articles 30 de la Convention et 72 du règlement).
5. La composition de la Grande Chambre a été arrêtée conformément aux articles 27 §§ 2 et 3 de la Convention et 24 du règlement.
6. Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a été décidé que la Grande Chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond de la requête.
7. Tant les requérants que le Gouvernement ont déposé des observations écrites sur le fond de l’affaire. A l’audience, chacune des parties a répondu aux observations de l’autre (article 44 § 5 du règlement). Des observations écrites ont également été reçues du Haut-Commissariat des Nations Unies pour les réfugiés (HCR), de Human Rights Watch, de la Columbia Law School Human Rights Clinic, du Centre de conseil sur les droits de l’individu en Europe (Centre AIRE), d’Amnesty International ainsi que de la Fédération internationale des ligues des droits de l’homme (FIDH), agissant collectivement. Le président de la chambre les avait autorisés à intervenir en vertu de l’article 36 § 2 de la Convention. Des observations ont également été reçues du Haut-Commissariat des Nations Unies aux droits de l’homme (HCDH), que le président de la Cour avait autorisé à intervenir. Le HCR a en outre été autorisé à participer à la procédure orale.
8. Une audience s’est déroulée en public au Palais des droits de l’homme, à Strasbourg, le 22 juin 2011 (article 59 § 3 du règlement).
Ont comparu :
OMISSIS
La Cour a entendu OMISSIS en leurs déclarations ainsi qu’en leurs réponses à ses questions.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
A. L’interception et le renvoi des requérants en Libye
9. Les requérants, onze ressortissants somaliens et treize ressortissants érythréens, font partie d’un groupe d’environ deux cents personnes qui quittèrent la Libye à bord de trois embarcations dans le but de rejoindre les côtes italiennes.
10. Le 6 mai 2009, alors que les embarcations se trouvaient à trente-cinq milles marins au sud de Lampedusa (Agrigente), c’est-à-dire à l’intérieur de la zone maritime de recherche et de sauvetage (« zone de responsabilité SAR ») relevant de la compétence de Malte, ils furent approchés par trois navires de la garde des finances et des garde-côtes italiens.
11. Les occupants des embarcations interceptées furent transférés sur les navires militaires italiens et reconduits à Tripoli. Les requérants affirment que pendant le voyage les autorités italiennes ne les ont pas informés de leur véritable destination et n’ont effectué aucune procédure d’identification.
Tous leurs effets personnels, y compris des documents attestant leur identité, furent confisqués par les militaires.
12. Une fois arrivés au port de Tripoli, après dix heures de navigation, les migrants furent livrés aux autorités libyennes. Selon la version des faits présentée par les requérants, ceux-ci s’opposèrent à leur remise aux autorités libyennes, mais on les obligea par la force à quitter les navires italiens.
13. Lors d’une conférence de presse tenue le 7 mai 2009, le ministre de l’Intérieur italien déclara que les opérations d’interception des embarcations en haute mer et de renvoi des migrants en Libye faisaient suite à l’entrée en vigueur, le 4 février 2009, d’accords bilatéraux conclus avec la Libye, et constituaient un tournant important dans la lutte contre l’immigration clandestine. Le 25 mai 2009, lors d’une intervention devant le Sénat, le ministre indiqua que, du 6 au 10 mai 2009, plus de 471 migrants clandestins avaient été interceptés en haute mer et transférés vers la Libye conformément auxdits accords bilatéraux. Après avoir expliqué que les opérations avaient été conduites en application du principe de coopération entre Etats, le ministre soutint que la politique de renvoi constituait un moyen très efficace de lutter contre l’immigration clandestine. Ladite politique décourageait les organisations criminelles liées au trafic illicite et à la traite des personnes, contribuait à sauver des vies en mer et réduisait sensiblement les débarquements de clandestins sur les côtes italiennes, débarquements qui en mai 2009 avaient été cinq fois moins nombreux qu’en mai 2008, selon le ministre de l’Intérieur.
14. Au cours de l’année 2009, l’Italie pratiqua neuf interceptions de clandestins en haute mer conformément aux accords bilatéraux avec la Libye.
B. Le sort des requérants et leurs contacts avec leurs représentants
15. Selon les informations transmises à la Cour par les représentants des requérants, deux d’entre eux, OMISSIS (respectivement no 10 et no 11 sur la liste annexée au présent arrêt), sont décédés après les faits dans des circonstances inconnues.
16. Après l’introduction de la requête, les avocats ont pu garder des contacts avec les autres requérants. Ceux-ci étaient joignables par téléphone et par courrier électronique.
Entre juin et octobre 2009, quatorze d’entre eux (indiqués sur la liste) se sont vu accorder le statut de refugié par le bureau du HCR de Tripoli.
17. A la suite de la révolte qui a éclaté en Libye en février 2011 et qui a poussé un grand nombre de personnes à fuir le pays, la qualité des contacts entre les requérants et leurs représentants s’est dégradée. Les avocats sont actuellement en contact avec six des requérants :
–OMISSIS (no 20 sur la liste) est parvenu à rejoindre clandestinement les côtes italiennes. Le 21 juin 2011, la Commission territoriale de Crotone lui a octroyé le statut de réfugié ;
– OMISSIS (no 19 sur la liste) se trouve actuellement au camp de Choucha, en Tunisie. Il envisage de rejoindre l’Italie ;
– OMISSIS (no 24 sur la liste) réside à Malte ;
– OMISSIS (respectivement no 23 et no 13 sur la liste) résident en Suisse, où ils attendent une réponse à leur demande de protection internationale ;
– M OMISSIS (no 21 sur la liste) réside au Bénin.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
A. Le code de la navigation
18. L’article 4 du code de la navigation du 30 mars 1942, modifié en 2002, se lit ainsi :
« Les navires italiens en haute mer ainsi que les aéronefs se trouvant dans un espace non soumis à la souveraineté d’un Etat sont considérés comme étant territoire italien ».
B Les accords bilatéraux entre l’Italie et la Libye
19. Le 29 décembre 2007, l’Italie et la Libye signèrent à Tripoli un accord bilatéral de coopération pour la lutte contre l’immigration clandestine. Le même jour, les deux pays signèrent également un Protocole additionnel fixant les modalités opérationnelles et techniques de la mise à exécution dudit accord. L’article 2 de l’accord est ainsi libellé :
[Traduction du greffe]
« L’Italie et la Grande Jamahiriya [arabe libyenne populaire socialiste] s’engagent à organiser des patrouilles maritimes à l’aide de six navires mis à disposition, à titre temporaire, par l’Italie. A bord des navires seront embarqués des équipages mixtes, formés de personnel libyen ainsi que d’agents de police italiens, aux fins de l’entraînement, de la formation et de l’assistance technique pour l’utilisation et la manutention des navires. Les opérations de contrôle, de recherche et de sauvetage seront conduites dans les lieux de départ et de transit des embarcations destinées au transport d’immigrés clandestins, tant dans les eaux territoriales libyennes que dans les eaux internationales, dans le respect des conventions internationales en vigueur et selon les modalités opérationnelles qui seront définies par les autorités compétentes des deux pays. »
Par ailleurs, l’Italie s’engageait à céder à la Libye, pour une période de trois ans, trois navires sans pavillon (article 3 de l’accord) et à promouvoir auprès des organes de l’Union européenne (UE) la conclusion d’un accord-cadre entre l’UE et la Libye (article 4 de l’accord).
Enfin, selon l’article 7 de l’accord bilatéral, la Libye s’engageait à « coordonner ses efforts avec ceux des pays d’origine pour la réduction de l’immigration clandestine et pour le rapatriement des immigrés ».
Le 4 février 2009, l’Italie et la Libye signèrent à Tripoli un Protocole additionnel visant au renforcement de la collaboration bilatérale aux fins de la lutte contre l’immigration clandestine. Ce dernier Protocole modifiait partiellement l’accord du 29 décembre 2007, notamment par l’introduction d’un nouvel article, ainsi libellé :
[Traduction du greffe]
« Les deux pays s’engagent à organiser des patrouilles maritimes avec des équipages communs formés de personnel italien et de personnel libyen, équivalents en nombre, expérience et compétence. Les patrouilles opèrent dans les eaux libyennes et internationales sous la supervision de personnel libyen et avec la participation d’équipages italiens, et dans les eaux italiennes et internationales sous la supervision de personnel italien et avec la participation de personnel libyen.
La propriété des navires offerts par l’Italie en vertu de l’article 3 de l’accord du 29 décembre 2007 sera cédée définitivement à la Libye.
Les deux pays s’engagent à rapatrier les immigrés clandestins et à conclure des accords avec les pays d’origine pour limiter le phénomène de l’immigration clandestine ».
20. Le 30 août 2008, l’Italie et la Libye signèrent à Benghazi le Traité d’amitié, de partenariat et de coopération, qui prévoit en son article 19 des efforts pour la prévention du phénomène de l’immigration clandestine dans les pays d’origine des flux migratoires. Aux termes de l’article 6 de ce traité, l’Italie et la Libye s’engageaient à agir conformément aux principes de la Charte des Nations Unies et de la Déclaration universelle des droits de l’homme.
21. D’après une déclaration du ministre italien de la Défense, en date du 26 février 2011, l’application des accords entre l’Italie et la Libye a été suspendue à la suite des événements de 2011.
III. ÉLÉMENTS PERTINENTS DE DROIT INTERNATIONAL ET DE DROIT EUROPÉEN
A. La Convention de Genève relative au statut des réfugiés (1951)
22. L’Italie est partie à la Convention de Genève de 1951 relative au statut des réfugiés (« la Convention de Genève »), qui définit les modalités selon lesquelles un Etat doit accorder le statut de réfugié aux personnes qui en font la demande, ainsi que les droits et les devoirs de ces personnes. Les articles 1 et 33 § 1 de ladite Convention disposent :
Article 1
« Aux fins de la présente Convention, le terme « réfugié » s’appliquera à toute personne (…) qui, (…) craignant avec raison d’être persécutée du fait de sa race, de sa religion, de sa nationalité, de son appartenance à un certain groupe social ou de ses opinions politiques, se trouve hors du pays dont elle a la nationalité et qui ne peut ou, du fait de cette crainte, ne veut se réclamer de la protection de ce pays ; ou qui, si elle n’a pas de nationalité et se trouve hors du pays dans lequel elle avait sa résidence habituelle à la suite de tels événements, ne peut ou, en raison de ladite crainte, ne veut y retourner. »
Article 33 § 1
« Aucun des Etats contractants n’expulsera ou ne refoulera, de quelque manière que ce soit, un réfugié sur les frontières des territoires où sa vie ou sa liberté serait menacée en raison de sa race, de sa religion, de sa nationalité, de son appartenance à un certain groupe social ou de ses opinions politiques ».
23. Dans sa note sur la protection internationale du 13 septembre 2001 (A/AC.96/951, § 16), le HCR, qui a pour mandat de veiller à la manière dont les Etats parties appliquent la Convention de Genève, a indiqué que le principe énoncé à l’article 33, dit du « non-refoulement », était :
« un principe de protection cardinal ne tolérant aucune réserve. A bien des égards, ce principe est le complément logique du droit de chercher asile reconnu dans la Déclaration universelle des droits de l’homme. Ce droit en est venu à être considéré comme une règle de droit international coutumier liant tous les Etats. En outre, le droit international des droits de l’homme a établi le non-refoulement comme un élément fondamental de l’interdiction absolue de la torture et des traitements cruels, inhumains ou dégradants. L’obligation de ne pas refouler est également reconnue comme s’appliquant aux réfugiés indépendamment de leur reconnaissance officielle, ce qui inclut de toute évidence les demandeurs d’asile dont le statut n’a pas encore été déterminé. Elle couvre toute mesure attribuable à un Etat qui pourrait avoir pour effet de renvoyer un demandeur d’asile ou un réfugié vers les frontières d’un territoire où sa vie ou sa liberté seraient menacées, et où il risquerait une persécution. Cela inclut le rejet aux frontières, l’interception et le refoulement indirect, qu’il s’agisse d’un individu en quête d’asile ou d’un afflux massif. »
B. La Convention des Nations Unies sur le droit de la mer (« Convention de Montego Bay ») (1982)
24. Les articles pertinents de la Convention de Montego Bay sont ainsi libellés :
Article 92
Condition juridique des navires
« 1. Les navires naviguent sous le pavillon d’un seul Etat et sont soumis, sauf dans les cas exceptionnels expressément prévus par des traités internationaux ou par la Convention, à sa juridiction exclusive en haute mer (…). »
Article 94
Obligations de l’Etat du pavillon
« 1. Tout Etat exerce effectivement sa juridiction et son contrôle dans les domaines administratif, technique et social sur les navires battant son pavillon.
(…) »
Article 98
Obligation de prêter assistance
« 1. Tout Etat exige du capitaine d’un navire battant son pavillon que, pour autant que cela lui est possible sans faire courir de risques graves au navire, à l’équipage ou aux passagers :
a) il prête assistance à quiconque est trouvé en péril en mer ;
b) il se porte aussi vite que possible au secours des personnes en détresse s’il est informé qu’elles ont besoin d’assistance, dans la mesure où l’on peut raisonnablement s’attendre qu’il agisse de la sorte ;
(…) »
C. La Convention internationale sur la recherche et le sauvetage maritimes (« Convention SAR ») (1979, modifiée en 2004)
25. Le point 3.1.9 de la Convention SAR dispose :
« Les Parties doivent assurer la coordination et la coopération nécessaires pour que les capitaines de navires qui prêtent assistance en embarquant des personnes en détresse en mer soient dégagés de leurs obligations et s’écartent le moins possible de la route prévue, sans que le fait de les dégager de ces obligations ne compromette davantage la sauvegarde de la vie humaine en mer. La Partie responsable de la région de recherche et de sauvetage dans laquelle une assistance est prêtée assume au premier chef la responsabilité de veiller à ce que cette coordination et cette coopération soient assurées, afin que les survivants secourus soient débarqués du navire qui les a recueillis et conduits en lieu sûr, compte tenu de la situation particulière et des directives élaborées par l’Organisation (Maritime Internationale). Dans ces cas, les Parties intéressées doivent prendre les dispositions nécessaires pour que ce débarquement ait lieu dans les meilleurs délais raisonnablement possibles. »
D. Le Protocole contre le trafic illicite de migrants par terre, air et mer, additionnel à la Convention des Nations Unies contre la criminalité transnationale organisée (« Protocole de Palerme ») (2000)
26. L’article 19 § 1 du Protocole de Palerme est libellé comme suit :
« Aucune disposition du présent Protocole n’a d’incidences sur les autres droits, obligations et responsabilités des Etats et des particuliers en vertu du droit international, y compris du droit international humanitaire et du droit international relatif aux droits de l’homme et en particulier, lorsqu’ils s’appliquent, de la Convention de 1951 et du Protocole de 1967 relatifs au statut des réfugiés ainsi que du principe de non-refoulement qui y est énoncé. »
E. La Résolution 1821 (2011) de l’Assemblée parlementaire du Conseil de l’Europe
27. Le 21 juin 2011, l’Assemblée parlementaire du Conseil de l’Europe a adopté la Résolution sur l’interception et le sauvetage en mer de demandeurs d’asile, de réfugiés et de migrants en situation irrégulière, qui se lit ainsi :
« 1. La surveillance des frontières méridionales de l’Europe est devenue une priorité régionale. Le continent européen doit en effet faire face à l’arrivée relativement importante de flux migratoires par la mer en provenance d’Afrique et arrivant en Europe principalement via l’Italie, Malte, l’Espagne, la Grèce et Chypre.
2. Des migrants, des réfugiés, des demandeurs d’asile et d’autres personnes mettent leur vie en péril pour rejoindre les frontières méridionales de l’Europe, généralement dans des embarcations de fortune. Ces voyages, toujours effectués par des moyens irréguliers et la plupart à bord de navires sans pavillon, au risque de tomber entre les mains de réseaux de trafic illicite de migrants et de traite des êtres humains, sont l’expression de la détresse des personnes embarquées qui n’ont pas de moyen régulier et en tout cas pas de moyen moins risqué de gagner l’Europe.
3. Même si le nombre d’arrivées par mer a drastiquement diminué ces dernières années, avec pour effet de déplacer les routes migratoires (notamment vers la frontière terrestre entre la Turquie et la Grèce), l’Assemblée parlementaire, rappelant notamment sa Résolution 1637 (2008) « Les boat people en Europe : arrivée par mer de flux migratoires mixtes en Europe », exprime à nouveau ses vives préoccupations concernant les mesures prises pour gérer l’arrivée par mer de ces flux migratoires mixtes. De nombreuses personnes en détresse en mer ont été sauvées et de nombreuses personnes tentant de rejoindre l’Europe ont été renvoyées, mais la liste des incidents mortels – aussi tragiques que prévisibles – est longue et elle augmente actuellement presque chaque jour.
4. Par ailleurs, les récentes arrivées en Italie et à Malte survenues suite aux bouleversements en Afrique du Nord confirment la nécessité pour l’Europe d’être prête à affronter, à tout moment, l’arrivée massive de migrants irréguliers, demandeurs d’asile et réfugiés sur ses côtes méridionales.
5. L’Assemblée constate que la gestion de ces arrivées par mer soulève de nombreux problèmes, parmi lesquels cinq sont particulièrement inquiétants :
5.1. Alors que plusieurs instruments internationaux pertinents s’appliquent en la matière et énoncent de manière satisfaisante les droits et les obligations des Etats et des individus, il semble y avoir des divergences dans l’interprétation de leur contenu. Certains Etats ne sont pas d’accord sur la nature et l’étendue de leurs responsabilités dans certains cas et certains Etats remettent également en question l’application du principe de non-refoulement en haute mer ;
5.2. Bien que la priorité absolue en cas d’interception en mer soit d’assurer le débarquement rapide des personnes secourues en « lieu sûr », la notion de « lieu sûr » ne semble pas être interprétée de la même manière par tous les Etats membres. Or, il est clair que la notion de « lieu sûr » ne saurait se limiter à la seule protection physique des personnes mais qu’elle englobe nécessairement le respect de leurs droits fondamentaux ;
5.3. Ces désaccords mettent directement en péril la vie des personnes à secourir, notamment en retardant ou en empêchant les actions de sauvetage, et sont susceptibles de dissuader les marins de venir au secours des personnes en détresse en mer. De plus, ils pourraient avoir pour conséquence la violation du principe de non-refoulement à l’égard d’un nombre important de personnes, y compris à l’égard de personnes ayant besoin de protection internationale ;
5.4. Alors que l’Agence européenne pour la gestion de la coopération opérationnelle aux frontières extérieures des Etats membres de l’Union européenne (Frontex) joue un rôle de plus en plus grand en matière d’interception en mer, les garanties du respect des droits de l’homme et des obligations relevant du droit international et du droit communautaire dans le contexte des opérations conjointes qu’elle coordonne sont insuffisantes ;
5.5. Enfin, ces arrivées par la mer font peser une charge disproportionnée sur les Etats situés aux frontières méridionales de l’Union européenne. Le but d’un partage plus équitable des responsabilités et d’une plus grande solidarité en matière de migration entre les Etats européens est loin d’être atteint.
6. La situation est compliquée par le fait que les flux migratoires concernés sont à caractère mixte et qu’ils demandent donc des réponses spécialisées prenant en compte les besoins de protection et adaptées au statut des personnes secourues. Pour apporter aux arrivées par mer une réponse adéquate et conforme aux normes internationales pertinentes, les Etats doivent tenir compte de cet élément dans leurs politiques et activités de gestion des migrations.
7. L’Assemblée rappelle aux Etats membres leurs obligations relevant du droit international, notamment aux termes de la Convention européenne des droits de l’homme, de la Convention des Nations Unies sur le droit de la mer de 1982 et de la Convention de Genève de 1951 relative au statut des réfugiés, en particulier le principe de non-refoulement et le droit de demander l’asile. L’Assemblée rappelle également les obligations des Etats Parties à la Convention internationale pour la sauvegarde de la vie humaine en mer de 1974 et à la Convention internationale de 1979 sur la recherche et le sauvetage maritimes.
8. Enfin et surtout, l’Assemblée rappelle aux Etats membres qu’ils ont l’obligation tant morale que légale de secourir les personnes en détresse en mer sans le moindre délai et réaffirme sans ambiguïté l’interprétation faite par le Haut-Commissariat des Nations Unies pour les réfugiés (HCR) selon lequel le principe de non-refoulement s’applique également en haute mer. La haute mer n’est pas une zone dans laquelle les Etats sont exempts de leurs obligations juridiques, y compris de leurs obligations issues du droit international des droits de l’homme et du droit international des réfugiés.
9. L’Assemblée appelle donc les Etats membres, dans la conduite des activités de surveillance des frontières maritimes, que ce soit dans le contexte de la prévention du trafic illicite et de la traite des êtres humains ou dans celui de la gestion des frontières, qu’ils exercent leur juridiction de droit ou de fait :
9.1. à répondre sans exception et sans délai à leur obligation de secourir les personnes en détresse en mer ;
9.2. à veiller à ce que leurs politiques et activités relatives à la gestion de leurs frontières, y compris les mesures d’interception, reconnaissent la composition mixte des flux de personnes tentant de franchir les frontières maritimes ;
9.3. à garantir à toutes les personnes interceptées un traitement humain et le respect systématique de leurs droits de l’homme, y compris du principe de non-refoulement, indépendamment du fait que les mesures d’interception soient mises en œuvre dans leurs propres eaux territoriales, dans celles d’un autre Etat sur la base d’un accord bilatéral ad hoc, ou en haute mer ;
9.4. à s’abstenir de recourir à toute pratique pouvant s’apparenter à un refoulement direct ou indirect, y compris en haute mer, en respect de l’interprétation de l’application extraterritoriale de ce principe faite par le HCR et des arrêts pertinents de la Cour européenne des droits de l’homme ;
9.5. à assurer en priorité le débarquement rapide des personnes secourues en « lieu sûr » et à considérer comme « lieu sûr » un lieu susceptible de répondre aux besoins immédiats des personnes débarquées, qui ne mette nullement en péril leurs droits fondamentaux ; la notion de « sûreté » allant au-delà de la simple protection du danger physique et prenant également en compte la perspective des droits fondamentaux du lieu de débarquement proposé ;
9.6. à garantir aux personnes interceptées ayant besoin d’une protection internationale l’accès à une procédure d’asile juste et efficace ;
9.7. à garantir aux personnes interceptées victimes de la traite des êtres humains ou risquant de le devenir, l’accès à une protection et une assistance, y compris de procédures d’asile ;
9.8. à veiller à ce que le placement en rétention de personnes interceptées – en excluant systématiquement les mineurs et les groupes vulnérables – indépendamment de leur statut, soit autorisé par les autorités judiciaires et qu’il n’ait lieu qu’en cas de nécessité et pour des motifs prescrits par la loi, en l’absence de toute autre alternative appropriée et dans le respect des normes minimales et des principes définis dans la Résolution 1707 (2010) de l’Assemblée sur la rétention administrative des demandeurs d’asile et des migrants en situation irrégulière en Europe ;
9.9. à suspendre les accords bilatéraux qu’ils peuvent avoir passés avec des Etats tiers si les droits fondamentaux de personnes interceptées n’y sont pas garantis adéquatement, notamment leur droit d’accès à une procédure d’asile, et dès lors qu’ils peuvent s’apparenter à une violation du principe de non-refoulement, et à conclure de nouveaux accords bilatéraux contenant expressément de telles garanties en matière de droits de l’homme et des mesures en vue de leur contrôle régulier et effectif ;
9.10. à signer et ratifier, s’ils ne l’ont pas encore fait, les instruments internationaux pertinents susmentionnés et à tenir compte des Directives de l’Organisation maritime internationale (OMI) sur le traitement des personnes secourues en mer ;
9.11. à signer et ratifier, s’ils ne l’ont pas encore fait, la Convention du Conseil de l’Europe sur la lutte contre la traite des êtres humains (STCE no 197) et les Protocoles dits « de Palerme » à la Convention des Nations Unies contre la criminalité transnationale organisée (2000) ;
9.12. à veiller à ce que les opérations de surveillance aux frontières maritimes et les mesures de contrôle aux frontières n’entravent pas la protection spécifique accordée au titre du droit international aux catégories vulnérables telles que les réfugiés, les personnes apatrides, les enfants non accompagnés et les femmes, les migrants, les victimes de la traite ou les personnes risquant de le devenir, ainsi que les victimes de tortures et de traumatismes.
10. L’Assemblée est inquiète de l’absence de clarté en ce qui concerne les responsabilités respectives des Etats membres de l’Union européenne et de Frontex et du manque de garanties adéquates du respect des droits fondamentaux et des normes internationales dans le cadre des opérations conjointes coordonnées par cette agence. Alors que l’Assemblée se félicite des propositions présentées par la Commission européenne pour modifier le règlement de cette agence afin de renforcer les garanties du plein respect des droits fondamentaux, elle les juge insuffisantes et souhaiterait que le Parlement européen soit chargé du contrôle démocratique des activités de cette agence, notamment eu égard au respect des droits fondamentaux.
11. L’Assemblée considère également qu’il est essentiel que des efforts soient entrepris pour remédier aux causes premières qui poussent des personnes désespérées à s’embarquer en direction de l’Europe au péril de leur vie. L’Assemblée appelle tous les Etats membres à renforcer leurs efforts en faveur de la paix, de l’Etat de droit et de la prospérité dans les pays d’origine des candidats à l’immigration et des demandeurs d’asile.
12. Enfin, étant donné les sérieux défis posés aux Etats côtiers par l’arrivée irrégulière par mer de flux mixtes de personnes, l’Assemblée appelle la communauté internationale, en particulier l’OMI, le HRC, l’Organisation internationale pour les migrations (OIM), le Conseil de l’Europe et l’Union européenne (y compris Frontex et le Bureau européen d’appui en matière d’asile) :
12.1. à fournir toute l’assistance requise à ces Etats dans un esprit de solidarité et de partage des responsabilités ;
12.2. sous l’égide de l’OMI, à déployer des efforts concertés afin de garantir une approche cohérente et harmonisée du droit maritime international, au moyen, notamment, d’un consensus sur la définition et le contenu des principaux termes et normes ;
12.3. à mettre en place un groupe inter-agences chargé d’étudier et de résoudre les problèmes principaux en matière d’interception en mer, y compris les cinq problèmes identifiés dans cette résolution, de fixer des priorités politiques précises, de conseiller les Etats et autres acteurs concernés et de contrôler et évaluer la mise en œuvre des mesures d’interception en mer. Le groupe devrait être composé de membres de l’OMI, du HCR, de l’OIM, du Conseil de l’Europe, de Frontex et du Bureau européen d’appui en matière d’asile. »
F. Le droit de l’Union européenne
1. La Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne (2000)
28. L’article 19 de la Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne dispose :
Protection en cas d’éloignement, d’expulsion et d’extradition
« 1. Les expulsions collectives sont interdites.
2. Nul ne peut être éloigné, expulsé ou extradé vers un Etat où il existe un risque sérieux qu’il soit soumis à la peine de mort, à la torture ou à d’autres peines ou traitements inhumains ou dégradants. »
2. L’Accord de Schengen (1985)
29. L’article 17 de l’Accord de Schengen est ainsi libellé :
« En matière de circulation des personnes, les Parties chercheront à supprimer les contrôles aux frontières communes et à les transférer à leurs frontières externes. A cette fin, elles s’efforceront préalablement d’harmoniser, si besoin est, les dispositions législatives et réglementaires relatives aux interdictions et restrictions qui fondent les contrôles et de prendre des mesures complémentaires pour la sauvegarde de la sécurité et pour faire obstacle à l’immigration illégale de ressortissants d’Etats non membres des Communautés européennes. »
3. Le Règlement (CE) no 2007/2004 du Conseil du 26 octobre 2004 portant création d’une Agence européenne pour la gestion de la coopération opérationnelle aux frontières extérieures des Etats membres de l’Union européenne (FRONTEX)
30. Le Règlement (CE) no 2007/2004 contient les dispositions suivantes :
« 1) La politique communautaire relative aux frontières extérieures de l’Union européenne vise à mettre en place une gestion intégrée garantissant un niveau élevé et uniforme de contrôle et de surveillance qui constitue le corollaire indispensable de la libre circulation des personnes dans l’Union européenne et un élément déterminant de l’espace de liberté, de sécurité et de justice. A cette fin, il est prévu d’établir des règles communes relatives aux normes et aux procédures de contrôle aux frontières extérieures.
2) Pour mettre efficacement en œuvre les règles communes, il importe d’accroître la coordination de la coopération opérationnelle entre Etats membres.
3) En tenant compte de l’expérience de l’instance commune de praticiens des frontières extérieures opérant au sein du Conseil, un organisme d’experts spécialisé chargé d’améliorer la coordination de la coopération opérationnelle entre Etats membres en matière de gestion des frontières extérieures devrait être créé sous la forme d’une Agence européenne de gestion de la coopération opérationnelle aux frontières extérieures des Etats membres de l’Union européenne, ci-après dénommée « l’Agence ».
4) La responsabilité du contrôle et de la surveillance des frontières extérieures incombe aux Etats membres. L’Agence vise à faciliter l’application des mesures communautaires existantes ou futures relatives à la gestion des frontières extérieures en assurant la coordination des dispositions d’exécution correspondantes prises par les Etats membres.
5) Il est de la plus haute importance pour les Etats membres qu’un contrôle et une surveillance effectifs des frontières extérieures soient assurés, indépendamment de leur situation géographique. En conséquence, il est nécessaire de promouvoir la solidarité entre les Etats membres dans le domaine de la gestion des frontières extérieures. La création de l’Agence, qui assiste les Etats membres dans la mise en œuvre opérationnelle de la gestion de leurs frontières extérieures, notamment du retour des ressortissants de pays tiers en séjour irrégulier sur leur territoire, constitue une avancée importante dans ce sens. »
4. Le Règlement (CE) no 562/2006 du Parlement européen et du Conseil du 15 mars 2006 établissant un code communautaire relatif au régime de franchissement des frontières par les personnes (code frontières Schengen)
31. L’article 3 du Règlement (CE) no 562/2006 dispose :
« Le présent règlement s’applique à toute personne franchissant la frontière intérieure ou extérieure d’un Etat membre, sans préjudice :
a) des droits des personnes jouissant du droit communautaire à la libre circulation ;
b) des droits des réfugiés et des personnes demandant une protection internationale, notamment en ce qui concerne le non-refoulement. »
5. La Décision du Conseil du 26 avril 2010 visant à compléter le code frontières Schengen en ce qui concerne la surveillance des frontières extérieures maritimes dans le cadre de la coopération opérationnelle coordonnée par l’Agence européenne pour la gestion de la coopération opérationnelle aux frontières extérieures des Etats membres de l’Union européenne (2010/252/UE)
32. La Décision du Conseil du 26 avril 2010 précise en son annexe :
« Règles applicables aux opérations aux frontières maritimes coordonnées par [l’Agence FRONTEX] :
1. Principes généraux
1.1. Les mesures prises aux fins d’une opération de surveillance sont exécutées dans le respect des droits fondamentaux et de façon à ne pas mettre en danger la sécurité des personnes interceptées ou secourues ni celle des unités participantes.
1.2. Nul n’est débarqué dans un pays ni livré aux autorités de celui-ci en violation du principe de non-refoulement ou s’il existe un risque de refoulement ou de renvoi vers un autre pays en violation de ce principe. Sans préjudice du point 1.1, les personnes interceptées ou secourues sont informées de manière adéquate afin qu’elles puissent expliquer les raisons pour lesquelles un débarquement à l’endroit proposé serait contraire au principe de non-refoulement.
1.3. Il est tenu compte, pendant toute la durée de l’opération, des besoins spécifiques des enfants, des victimes de la traite des êtres humains, des personnes ayant besoin d’une assistance médicale urgente ou d’une protection internationale et des autres personnes se trouvant dans une situation particulièrement vulnérable.
1.4. Les Etats membres veillent à ce que les gardes-frontières participant à l’opération de surveillance aient reçu une formation au sujet des dispositions applicables en matière de droits de l’homme et de droit des réfugiés et à ce qu’ils soient familiarisés avec le régime international de recherche et de sauvetage. »
IV. DOCUMENTS INTERNATIONAUX CONCERNANT LES INTERCEPTIONS EN HAUTE MER PRATIQUÉES PAR L’ITALIE ET LA SITUATION EN LIBYE
A. Le communiqué de presse du Haut Commissaire des Nations Unies pour les réfugiés
33. Le 7 mai 2009, le HCR publia un communiqué de presse ainsi libellé :
« Le HCR a exprimé sa vive préoccupation jeudi concernant le sort de quelque 230 personnes secourues en mer mercredi par des vedettes italiennes de patrouille maritime dans la région de recherche et de sauvetage relevant de la compétence des autorités maltaises. Toutes ces personnes ont été renvoyées en Libye sans une évaluation appropriée de leurs éventuels besoins de protection. Le sauvetage est survenu à une distance d’environ 35 milles nautiques au sud-est de l’île de Lampedusa, toutefois à l’intérieur de la zone de recherche et de sauvetage relevant de la compétence des autorités maltaises.
Le renvoi en Libye s’est fait suite à une journée de discussions tendues entre les autorités maltaises et italiennes concernant l’attribution de la responsabilité du sauvetage et du débarquement des personnes en détresse qui se trouvaient à bord des trois bateaux. Bien que se trouvant plus près de Lampedusa, les navires croisaient dans la zone de recherche et de sauvetage relevant de la compétence des autorités maltaises.
Alors qu’aucune information n’est disponible sur les nationalités des personnes qui se trouvaient à bord des vedettes, il est probable que, parmi elles, se trouvaient des personnes ayant besoin d’une protection internationale. En 2008, environ 75 % des personnes arrivées par la mer en Italie ont déposé une demande d’asile et 50 % d’entre elles se sont vu octroyer le statut de réfugié ou une protection pour d’autres raisons humanitaires.
« J’appelle les autorités italiennes et maltaises à continuer d’assurer que les personnes secourues en mer et ayant besoin de protection internationale bénéficient d’un accès sans entrave au territoire et aux procédures d’asile », a indiqué le Haut Commissaire António Guterres.
Cet incident marque un revirement significatif dans les politiques jusqu’alors appliquées par le gouvernement italien et c’est un motif de très sérieuse inquiétude. Le HCR regrette vivement le manque de transparence qui a entouré cet événement.
« Nous travaillons étroitement avec les autorités italiennes à Lampedusa et ailleurs pour garantir que les personnes fuyant la guerre et les persécutions soient protégées dans le respect de la Convention de 1951 relative au statut des réfugiés, adoptée à Genève », a ajouté Laurens Jolles, le délégué du HCR à Rome. « Il est d’une importance fondamentale que le principe du droit international sur le non-refoulement continue à être pleinement respecté ».
De plus, la Libye n’est pas signataire de la Convention des Nations Unies de 1951 relative au statut des réfugiés et ce pays ne dispose pas d’un système national d’asile opérationnel. Le HCR lance un appel pressant aux autorités italiennes pour qu’elles réexaminent leur décision et qu’elles veillent à ne pas mettre en œuvre de telles mesures à l’avenir. »
B. La lettre de M. Jacques Barrot, vice-président de la Commission européenne, en date du 15 juillet 2009
34. Le 15 juillet 2009, M. Jacques Barrot adressa une lettre au président de la Commission des libertés civiles, de la justice et des affaires intérieures du Parlement européen, en réponse à une demande d’avis juridique sur la « reconduite en Libye de plusieurs groupes de migrants par les autorités italiennes par voie maritime ». Dans cette lettre, le vice-président de la Commission européenne s’exprimait ainsi :
« Selon les informations dont la Commission dispose, les migrants concernés ont été interceptés en haute mer.
Deux ensembles de règles communautaires doivent être examinés concernant la situation de ressortissants de pays tiers ou d’apatrides qui entendent entrer, d’une manière irrégulière, sur le territoire des Etats membres et dont une partie d’entre eux pourraient avoir besoin d’une protection internationale.
Premièrement, l’acquis communautaire en matière d’asile vise à sauvegarder le droit d’asile, tel qu’énoncé dans l’article 18 de la Charte des Droits fondamentaux de l’UE, et en conformité avec la Convention de Genève de 1951 concernant le statut des réfugiés et avec les autres traités pertinents. Cependant cet acquis, y compris la directive sur les procédures d’asile de 2005, s’applique uniquement aux demandes d’asile faites sur le territoire des Etats membres, qui comprend les frontières, les zones de transit ainsi que, dans le cadre des frontières maritimes, les eaux territoriales des Etats membres. En conséquence, il est clair juridiquement que l’acquis communautaire en matière d’asile ne s’applique pas dans les situations en haute mer.
Deuxièmement, le Code des Frontières Schengen (CFS) exige que les Etats membres assurent la surveillance frontalière pour empêcher entre autres le passage des frontières non autorisé (article 12 du règlement (СЕ) no 562/2006 (CFS)). Néanmoins, cette obligation communautaire doit être mise en œuvre en conformité avec le principe de non-refoulement et sans préjudice des droits des réfugiés et des personnes demandant la protection internationale.
La Commission est d’avis que les activités de surveillance des frontières effectuées en mer, que ce soit dans les eaux territoriales, la zone contiguë, la zone économique exclusive ou en haute mer, tombent sous le champ d’application du CFS. A cet égard, notre analyse préliminaire juridique permet de supposer que les actes des gardes frontières italiens correspondent à la notion de « surveillance de frontières », comme énoncé à l’article 12 du CFS, puisqu’ils ont empêché le passage non autorisé de la frontière extérieure maritime par les personnes concernées et ont abouti à leur reconduite dans le pays tiers de départ. Il ressort de la jurisprudence de la Cour de Justice européenne que les obligations communautaires doivent être appliquées dans le strict respect des droits fondamentaux faisant partie des principes généraux de droit communautaire. La Cour a également clarifié que le champ d’application de ces droits dans l’ordre juridique communautaire doit être déterminé en prenant en considération la jurisprudence de la Cour européenne des Droits de l’Homme (CEDH).
Le principe de non-refoulement, tel qu’interprété par la CEDH, signifie essentiellement que les Etats doivent s’abstenir de renvoyer une personne (directement ou indirectement) là où elle pourrait courir un risque réel de soumission à la torture ou à des peines ou traitements inhumains ou dégradants. En outre les Etats ne peuvent renvoyer des réfugiés aux frontières des territoires dans lesquels leur vie ou leur liberté serait menacée à cause de leur race, de leur religion, de leur nationalité, de leur affiliation à un groupe social particulier ou de leur opinion politique. Cette obligation devrait être respectée lors de la mise en œuvre du contrôle aux frontières conformément au CFS, y compris les activités de surveillance des frontières en haute mer. La jurisprudence de la CEDH indique que les actes exécutés en haute mer par un navire d’Etat constituent un cas de compétence extraterritoriale et peuvent engager la responsabilité de l’Etat concerné.
Compte tenu de ce qui précède concernant le champ des compétences communautaires, la Commission a invité les autorités italiennes à lui fournir des informations supplémentaires concernant les circonstances de fait de la reconduction des personnes concernées en Libye et les dispositions en place pour assurer la conformité avec le principe de non-refoulement lors de la mise en œuvre de l’accord bilatéral entre les deux pays. »
C. Le rapport du Comité pour la prévention de la torture du Conseil de l’Europe
35. Du 27 au 31 juillet 2009, une délégation du Comité pour la prévention de la torture et des peines ou traitements inhumains ou dégradants (CPT) du Conseil de l’Europe a effectué une visite en Italie. A cette occasion, la délégation a examiné diverses questions ayant trait à la nouvelle politique gouvernementale d’interception en mer et de renvoi en Libye de migrants irréguliers s’approchant des côtes méridionales italiennes. La délégation s’est concentrée notamment sur le système de garanties en place permettant de ne pas renvoyer une personne vers un pays où il y a des motifs sérieux de croire qu’elle y courra un risque réel d’être soumise à la torture ou à des mauvais traitements.
36. Dans son rapport, rendu public le 28 avril 2010, le CPT a estimé que la politique de l’Italie consistant à intercepter des migrants en mer et à les contraindre à retourner en Libye ou dans d’autres pays non européens constituait une violation du principe de non-refoulement. Il a souligné que l’Italie était liée par le principe de non-refoulement quel que soit le lieu où elle exerce sa juridiction, ce qui inclut l’exercice de sa juridiction par le biais de son personnel et de ses navires engagés dans la protection des frontières ou le sauvetage en mer, y compris lorsqu’ils opèrent hors de son territoire. De plus, toutes les personnes relevant de la juridiction de l’Italie devraient avoir la possibilité de demander la protection internationale et de bénéficier à cette fin des facilités nécessaires. Il ressortait des informations dont disposait le CPT que cette possibilité n’avait pas été offerte aux migrants interceptés en mer par les autorités italiennes pendant la période examinée. Au contraire, les personnes qui avaient été renvoyées en Libye dans le cadre des opérations menées de mai à juillet 2009 s’étaient vu refuser le droit d’obtenir une évaluation individuelle de leur cas et un accès effectif au système de protection des réfugiés. A cet égard, le CPT a observé que les personnes ayant survécu à un voyage en mer sont particulièrement vulnérables et se trouvent souvent dans un état tel qu’on ne saurait attendre d’elles qu’elles puissent immédiatement exprimer leur désir de demander l’asile.
Selon le rapport du CPT, la Libye ne saurait être considérée comme un pays sûr en matière de droits de l’homme et de droit des réfugiés ; la situation des personnes arrêtées et détenues en Libye, y compris celle des migrants − qui courent également le risque d’être expulsés − indiquerait que les personnes renvoyées vers la Libye risquaient d’être victimes de mauvais traitements.
D. Le rapport de Human Rights Watch
37. Dans un long rapport publié le 21 septembre 2009, ayant pour titre « Repoussés, malmenés : L’Italie renvoie par la force les migrants et demandeurs d’asile arrivés par bateau, la Libye les maltraite », Human Rights Watch dénonce la pratique italienne consistant à intercepter en haute mer des embarcations chargées de migrants et à les refouler vers la Libye sans procéder aux vérifications nécessaires. Ce rapport se base également sur les résultats de recherches publiées dans un rapport de 2006, intitulé « Libya, stemming the Flow. Abuses against migrants, asylum seekers and refugees ».
38. Selon Human Rights Watch, les patrouilleurs italiens remorquent les embarcations des migrants dans les eaux internationales sans vérifier s’il y a parmi eux des réfugiés, des malades ou des blessés, des femmes enceintes, des enfants non accompagnés ou des victimes de trafic ou d’autres formes de violence. Les autorités italiennes obligeraient les migrants interceptés à embarquer sur des navires libyens ou ramèneraient directement les migrants en Libye, où les autorités les placeraient immédiatement en détention. Certaines de ces opérations seraient coordonnées par l’agence Frontex.
Le rapport s’appuie sur des entretiens menés auprès de quatre-vingt-onze migrants, demandeurs d’asile et réfugiés en Italie et à Malte, essentiellement en mai 2009, et sur un entretien téléphonique avec un migrant détenu en Libye. Des représentants de Human Rights Watch se seraient rendus en Libye en avril 2009 et auraient rencontré des représentants du gouvernement, mais les autorités libyennes n’auraient pas permis à l’organisation de s’entretenir en privé avec des migrants. En dépit de demandes répétées, les autorités n’auraient pas non plus accordé à Human Rights Watch l’autorisation de visiter l’un des nombreux centres de détention pour les migrants en Libye. Le HCR aurait maintenant accès à la prison de Misratah, où les migrants clandestins seraient généralement détenus, et des organisations libyennes y assureraient des services humanitaires. Cependant, en l’absence d’un accord officiel, l’accès ne serait pas garanti. De plus, la Libye ne connaîtrait pas le droit d’asile. Les autorités ne feraient aucune distinction entre les réfugiés, les demandeurs d’asile et d’autres migrants clandestins.
39. Human Rights Watch exhorte le gouvernement libyen à améliorer les conditions de détention en Libye, apparemment déplorables, et à mettre en place des procédures d’asile conformes aux normes internationales. Le rapport s’adresse également au gouvernement italien, à l’Union européenne et à Frontex, afin que soit garanti le droit d’asile, y compris pour les personnes interceptées en haute mer, et que les non-ressortissants libyens ne soient pas renvoyés en Libye, tant que la façon dont les migrants, les demandeurs d’asile et les réfugiés y sont traités ne sera pas pleinement conforme aux règles internationales.
E. La visite d’Amnesty International
40. Une équipe d’Amnesty International a effectué une mission d’enquête en Libye du 15 au 23 mai 2009 ; c’était la première fois depuis 2004 que les autorités libyennes autorisaient une visite de l’organisation.
Pendant cette visite, Amnesty International s’est rendue notamment à environ 200 km de Tripoli, où elle a interrogé brièvement certaines personnes parmi les centaines de migrants clandestins en provenance d’autres pays d’Afrique qui sont entassés au centre de détention de Misratah. Un grand nombre de ces migrants auraient été interceptés alors qu’ils cherchaient à se rendre en Italie ou dans un autre pays du sud de l’Europe ayant demandé à la Libye et à d’autres pays d’Afrique du Nord de retenir les migrants illégaux en provenance d’Afrique subsaharienne pour les empêcher de se rendre en Europe.
41. Amnesty International estime possible qu’il y ait parmi les personnes détenues à Misratah des réfugiés fuyant la persécution et souligne que la Libye ne dispose pas d’une procédure d’asile et n’est pas partie à la Convention relative au statut des réfugiés ni à son Protocole de 1967 ; les étrangers, y compris ceux ayant besoin d’une protection internationale, risqueraient de ne pas bénéficier de la protection de la loi. Les détenus n’auraient pratiquement aucune possibilité de porter plainte devant une autorité judiciaire compétente pour actes de torture ou autres formes de mauvais traitements.
Amnesty International aurait fait part, aux responsables gouvernementaux rencontrés en Libye, de son inquiétude au sujet de la détention et des mauvais traitements qui seraient infligés aux centaines, voire aux milliers d’étrangers que les autorités assimileraient à des migrants illégaux, et elle leur aurait demandé de mettre en place une procédure permettant d’identifier et de protéger adéquatement les demandeurs d’asile et les réfugiés. De même, Amnesty International aurait demandé aux autorités libyennes de ne plus renvoyer de force des ressortissants étrangers vers des pays où ils risquent de graves violations des droits de l’homme, et de trouver une meilleure solution que la détention pour les étrangers qu’elles ne peuvent pas renvoyer dans leur pays d’origine pour ces raisons. Certains des ressortissants érythréens, qui constitueraient une part importante des ressortissants étrangers détenus à Misratah, auraient indiqué à la délégation d’Amnesty International qu’ils étaient détenus depuis deux ans.
V. AUTRES DOCUMENTS INTERNATIONAUX DÉCRIVANT LA SITUATION EN LIBYE
42. Outre ceux cités ci-dessus, de nombreux rapports ont été publiés par des organisations nationales et internationales ainsi que par des organisations non gouvernementales, qui déplorent les conditions de détention et de vie des migrants irréguliers en Libye à l’époque des faits.
Voici une liste des principaux rapports :
– Human Rights Watch, Stemming the Flow: abuses against migrants, asylum seekers and refugees, septembre 2006 ;
– Comité des droits de l’homme des Nations Unies, Observations finales Jamahiriya arabe libyenne, 15 novembre 2007 ;
– Amnesty Intemational, Libye – Rapport 2008 d’Amnesty International, 28 mai 2008 ;
– Human Rights Watch, Libya Rights at Risk, 2 septembre 2008 ;
– Département d’Etat américain, Rapport relatif aux droits de l’homme en Libye, 4 avril 2010.
VI. DOCUMENTS INTERNATIONAUX DÉCRIVANT LA SITUATION EN SOMALIE ET EN ÉRYTHRÉE
43. Les principaux documents internationaux concernant la situation en Somalie sont présentés dans l’affaire Sufi et Elmi c. Royaume-Uni (nos 8319/07 et 11449/07, §§ 80-195, 28 juin 2011).
44. Concernant l’Erythrée, plusieurs rapports dénoncent des violations des droits fondamentaux perpétrées dans ce pays. Ils rendent compte de graves atteintes aux droits de l’homme de la part du gouvernement érythréen, à savoir les arrestations arbitraires, la torture, des conditions de détention inhumaines, le travail forcé et de graves restrictions aux libertés de mouvement, d’expression et de culte. Ces documents analysent également la situation difficile des Erythréens qui parviennent à s’échapper vers d’autres pays tels que la Libye, le Soudan, l’Egypte et l’Italie, et sont par la suite rapatriés de force.
Voici la liste des principaux rapports :
– HCR, Eligibility guidelines for assessing the international protection needs of asylum-seekers from Eritrea, avril 2009 ;
– Amnesty international, report 2009, Eritrea, 28 mai 2009 ;
– Human Rights Watch, Service for life, state repression and indefinite conscription in Eritrea, avril 2009 ;
– Human Rights Watch, Libya, don’t send Eritreans back to risk of torture, 15 janvier 2010 ;
– Human Rights Watch, World Chapter Report, janvier 2010.
EN DROIT
I. QUESTIONS PRÉLIMINAIRES SOULEVÉES PAR LE GOUVERNEMENT
A. Sur la validité des procurations et la poursuite de l’examen de la requête
1. La question soulevée par le Gouvernement
45. Le Gouvernement conteste à plusieurs égards la validité des procurations fournies par les représentants des requérants. Tout d’abord, il allègue des irrégularités rédactionnelles dans la majorité des procurations, à savoir :
– l’absence de toute indication de la date et du lieu et, dans certains cas, le fait que la date et le lieu sembleraient avoir été écrits par la même personne ;
– l’absence de toute référence au numéro de la requête ;
– le fait que l’identité des requérants ne serait indiquée que par le nom de famille, le prénom, la nationalité, une signature illisible et une empreinte digitale souvent partielle et indéchiffrable ;
– l’absence d’indication des dates de naissance des requérants.
46. Ensuite, le Gouvernement observe que la requête ne précise ni les circonstances dans lesquelles les procurations ont été rédigées, ce qui jetterait un doute sur leur validité, ni les démarches entreprises par les représentants des requérants afin d’établir l’identité de leurs clients. Il remet d’ailleurs en cause la qualité des contacts existants entre les requérants et leurs représentants. Il allègue notamment que les messages électroniques envoyés par les requérants après leur transfert en Libye ne sont pas accompagnés de signatures susceptibles d’être comparées à celles apposées sur les procurations. Selon le Gouvernement, les difficultés rencontrées par les avocats pour établir et maintenir le contact avec les requérants empêcheraient un examen contradictoire de l’affaire.
47. Dès lors, toute vérification de l’identité des requérants étant impossible, et faute de « participation personnelle » des requérants à l’affaire, la Cour devrait renoncer à poursuivre l’examen de la requête. Se référant à l’affaire Hussun et autres c. Italie ((radiation), nos 10171/05, 10601/05, 11593/05 et 17165/05, 19 janvier 2010), le Gouvernement demande à la Cour de rayer la requête du rôle.
2. Les arguments des requérants
48. Les représentants des requérants défendent la validité des procurations. Ils affirment tout d’abord que les irrégularités rédactionnelles alléguées par le Gouvernement ne sauraient impliquer la nullité des mandats que leur ont conférés leurs clients.
49. Quant aux circonstances dans lesquelles les procurations ont été rédigées, ils précisent que les mandats ont été formalisés par les requérants dès leur arrivée en Libye, auprès des membres d’organisations humanitaires œuvrant dans différents centres de rétention. Ces personnes se seraient ensuite chargées de les contacter et de leur transmettre les procurations pour qu’ils puissent les signer et accepter les mandats.
50. Concernant les difficultés liées à l’identification des intéressés, celles-ci découleraient directement de l’objet de la requête, à savoir une opération de renvoi collectif et sans identification préalable des migrants clandestins. Quoi qu’il en soit, les avocats attirent l’attention de la Cour sur le fait qu’une partie importante des requérants a été identifié par le bureau du HCR à Tripoli à la suite de leur arrivée en Libye.
51. Enfin, les avocats affirment avoir gardé des contacts avec une partie des intéressés, joignables par téléphone et par courrier électronique. A cet égard, ils font état des grandes difficultés qu’ils rencontrent pour maintenir le contact avec les requérants, notamment en raison des violences qui ont ébranlé la Libye à partir de février 2011.
3. Appréciation de la Cour
52. La Cour rappelle tout d’abord qu’au sens de l’article 45 § 3 de son règlement, le représentant d’un requérant doit produire « une procuration ou un pouvoir écrit ». En conséquence, un simple pouvoir écrit serait valable aux fins de la procédure devant la Cour, dès lors que nul ne pourrait démontrer qu’il a été établi sans le consentement de l’intéressé ou sans qu’il comprenne de quoi il s’agit (Velikova c. Bulgarie, no 41488/98, § 50, CEDH 2000-VI).
53. Par ailleurs, ni la Convention ni le règlement de la Cour n’imposent de conditions particulières quant au libellé de la procuration, ni ne requièrent aucune forme de certification de la part des autorités nationales. Ce qui compte pour la Cour est que la procuration indique clairement que le requérant a confié sa représentation devant la Cour à un conseil et que celui-ci a accepté ce mandat (Riabov c. Russie, no 3896/04, §§ 40 et 43, 31 janvier 2008).
54. En l’espèce, la Cour observe que toutes les procurations versées au dossier sont signées et accompagnées d’empreintes digitales. De plus, les représentants des requérants ont fourni, tout au long de la procédure, des informations détaillées quant au déroulement des faits et au sort des requérants, avec lesquels ils ont pu garder des contacts. Rien dans le dossier ne permet de douter du récit des avocats, ni de mettre en cause l’échange d’informations avec la Cour (voir, a contrario, Hussun, précité, §§ 43-50).
55. Dans ces circonstances, la Cour n’a aucune raison de douter de la validité des procurations. Dès lors, elle rejette l’exception du Gouvernement.
56. Par ailleurs, la Cour relève que, conformément aux informations fournies par les avocats, deux des requérants, M. Mohamed Abukar Mohamed et M. Hasan Shariff Abbirahman (respectivement no 10 et no 11 sur la liste), sont décédés très peu de temps après l’introduction de la requête (paragraphe 15 ci-dessus).
57. Elle rappelle que la Cour a pour pratique de rayer les requêtes du rôle lorsqu’un requérant décède pendant la procédure et qu’aucun héritier ou parent proche ne veut poursuivre l’instance (voir, parmi d’autres, Scherer c. Suisse ; 25 mars 1994, §§ 31-32, série A no 287 ; Öhlinger c. Autriche, no 21444/93, rapport de la Commission du 14 janvier 1997, § 15, non publié ; Thévenon c. France (déc.), no 2476/02, CEDH 2006-III ; et Léger c. France (radiation) [GC], no 19324/02, § 44, 30 mars 2009).
58. A la lumière des circonstances de l’espèce, la Cour estime qu’il ne se justifie plus de poursuivre l’examen de la requête en ce qui concerne les personnes décédées (article 37 § 1 c) de la Convention). Par ailleurs, elle relève que les griefs initialement soulevés par MM. Mohamed Abukar Mohamed et Hasan Shariff Abbirahman sont les mêmes que ceux énoncés par les autres requérants, au sujet desquels elle expri

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