Conclusioni: Violazione dell’articolo 8 – Diritto al rispetto della vita privata e familiare, Articolo 8-1 – Rispetto della vita familiare – Rispetto della vita privata,
SECONDA SEZIONE
CAUSA HAMIDOVIC C. ITALIA
( Richiesta no 31956/05)
SENTENZA
STRASBURGO
4 dicembre 2012
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Hamidovic c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Peer Lorenzen, presidente,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto di Albuquerque,
Helen Kellergiudici e
dai Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 13 settembre 2011 e 13 novembre 2012,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 31956/05) diretta contro la Repubblica italiana e in cui una cittadina della Bosnia-Erzegovina, OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 2 settembre 2005 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da OMISSIS, avvocato a Roma. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, così come col suo coagente, la Sig.ra P. Accardo.
3. Il richiedente adduceva la violazione degli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 34 della Convenzione in ragione della sua espulsione dal territorio italiano.
4. Il 5 aprile 2007, la Corte ha invitato il governo della Bosnia-Erzegovina a presentare, se lo desiderava, delle osservazioni scritte su questa causa in virtù dell’articolo 36 § 1 della Convenzione. Il governo della Bosnia-Erzegovina non ha dato seguito a questa domanda.
5. Con una decisione del 13 settembre 2011, la camera ha dichiarato la richiesta parzialmente ammissibile.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
1. La situazione familiare del richiedente
6. Il richiedente è nato nel 1975 e risiede a Roma. Cittadina della Bosnia-Erzegovina di origine rom, si sposò a Roma nel 1991. Cinque bambini nacquero da questa unione, rispettivamente nel 1992, 1993, 1995, 2001 e 2002. L’insieme della famiglia è ubicato nel campo per nomadi “Castel Romano”, a Roma.
7. La pratica fa apparire un’iscrizione dei primi tre bambini alla scuola per gli anni scolastici 1999-2000 e 2002-2003. Secondo le pagelle, la loro frequentazione della scuola era discontinua.
8. Lo sposo del richiedente, anche cittadino della Bosnia-Erzegovina di origine rom, è adoperato in una cooperativa. Secondo le informazione fornite dal Governo il 24 giugno 2011, questo è titolare di un permesso di soggiorno rilasciato ad una data attualmente non precisata e valido fino al 11 luglio 2013. Durante gli anni di residenza in Italia, il permesso di soggiorno dello sposo della richiedenteè scaduto e è stato rinnovato a più riprese.
2. Il soggiorno della richiedente in Italia ed il procedimento di espulsione di cui è stata oggetto
9. Il 13 gennaio 1996, il richiedente ottenne un permesso di soggiorno in quanto cittadina dell’ex-Iugoslavia per motivi straordinari di carattere umanitario. Questo permesso fu revocato il 9 ottobre 1997 per le ragioni che non sono conosciute.
10. Il 19 agosto 1998, il richiedente chiese presso il rinnovo del suo permesso della questura di Roma. Con una decisione del 18 maggio 1999, questa domanda fu respinta al motivo che il richiedente aveva commesso dei reati penali.
11. Il 24 settembre 2002, il consolato generale della Bosnia-Erzegovina a Milano rilasciò al richiedente un passaporto valido fino al 24 settembre 2007.
12. In seguito ad un controllo dei documenti di identità della richiedente effettuato ad Alba Adriatica (Teramo), con un’ordinanza del 20 luglio 2005, il prefetto di Teramo ordinò lo espulsione di questa ultima al motivo che risiedeva irregolarmente sul territorio italiano. Il richiedente fu posto nel centro di ritenzione temporanea di Puntatore Galeria, a Roma, dunque.
13. Il 2 agosto 2005, il richiedente attaccò questa decisione dinnanzi al giudice conciliatore di Teramo. Invocò, entra altri, il suo diritto al rispetto della vita familiare, come protetto con l’articolo 8 della Convenzione.
14. Il 24 agosto 2005, il giudice conciliatore respinse questa domanda, considerando che l’ordinanza controversa era stata adottata conformemente alla legge. Rilevò di prima che il permesso di soggiorno della richiedente era stato revocato il 9 ottobre 1997 e che il suo rinnovo non era stato chiesto nei sessanta giorni previsti dall’articolo 13, capoverso 2 b, della decreto-legge no 286 del 25 luglio 1998 (“la decreto-legge no 286/98”; vedere “Diritto interno pertinente” la parte). Sottolineò anche che il richiedente era stato già oggetto di un’ordinanza di espulsione il 9 ottobre 1991 così come di numerosi procedimenti penali.
15. In quanto alla necessità di mantenere l’unità familiare, il giudice rilevò che il permesso di soggiorno del marito della richiedente era scaduto nel 2004 che nessuna prova di scolarizzazione dei bambini della coppia né di inserzione sociale della famiglia non era stata fornita e che, il diritto di mantenere l’unità familiare era riconosciuto comunque, solamente agli estero titolari di un permesso di soggiorno regolare, secondo l’articolo 28 della decreto-legge no 286/98.
16. Il giudice rilevò infine che, secondo l’articolo 19 della stessa decreto-legge, i minore hanno la possibilità di seguire il genitore espulso e che il tribunale per bambini ha il potere di autorizzare l’entrata o il soggiorno del membro della famiglia espulsa per un periodo di tempo dato. Del parere del giudice, questo sistema permetterebbe di conciliare l’esigenza del rispetto dell’unità familiare pure evitando che la presenza di minore impedisce l’applicazione della legislazione che mira a proteggere l’integrità delle frontiere.
3. Le informazione che risultano dal casellario giudiziario del richiedente
17. Tra 1985 (epoca in cui aveva dieci anni) e 1990, la polizia di Roma arrestò il richiedente a quattro riprese per volo aggravato e volo alla derivo.
18. Informato dei mesi di aprile e di agosto 1995, il richiedente fu fermato dalla polizia a due riprese per mendicità. Dei procedimenti penali furono iniziati; si conclusero con due decisioni di archiviazione senza seguito.
19. Nel 2003, il richiedente fu fermato dalla polizia per mendicità con utilizzazione di minore -nello specifico, i suoi bambini-vecchi dei nove mesi e dieci anni all’epoca. Con un giudizio del 24 novembre 2003, il tribunale di Rimini condannò il richiedente ad un mese e quindici giorni di reclusione. Questa pena fu sostituita poi da una multa di 1 710 euro (EUR).
20. Il reato di cui è questione, prevista dall’articolo 671 del codice penale, fu depenalizzato poi dalla legge no 94 del 15 luglio 2009.
4. Lo espulsione della richiedente e l’applicazione dell’articolo 39 dell’ordinamento della Corte
21. All’epoca dell’introduzione della presente richiesta con téléfax, il venerdì 2 settembre 2005 a 11 h 33, il richiedente chiese l’applicazione dell’articolo 39 dell’ordinamento della Corte, adducendo che il suo eventuale espulsione avrebbe provocato la violazione dell’articolo 8 della Convenzione, in quanto alla sua vita privata e familiare.
22. Il giorno stesso, la Corte decise di fare diritto a questa domanda; un téléfax fu mandato così, a 18 h 36, alla rappresentanza permanente dell’Italia presso del Consiglio dell’Europa. Con un téléfax del 6 settembre 2005, il rappresentante della richiedente indicò alla cancelleria della Corte avere informato da téléfax, il 5 settembre 2005 a 13 h 08, il centro di ritenzione di Roma- Ponte Galeria, dove la richiedente era detenuta, che l’articolo 39 dell’ordinamento era stato applicato. La mattina del 6 settembre 2005, però, il richiedente fu accompagnato all’aeroporto e fu imbarcato su un volo che parte alle 10 per Sarajevo.
23. Il 8 settembre 2005, il richiedente introdusse una domanda di autorizzazione speciale dinnanzi al ministero dell’interno per spettare in Italia, articolo 13, capoverso 13, della decreto-legge no 286/98.
24. Con una lettera del 16 settembre 2005, il ministero dell’interno invitò il ministero delle Cause estere a mettere in posto le misure necessarie per riammettere il richiedente in Italia.
25. Il 12 gennaio 2006, il ministero dell’interno chiese al consiglio della richiedente l’indirizzo in Bosnia-Erzegovina di questa ultima. Il 16 seguente gennaio, il consiglio comunicò non essere ne misura di fornire questa informazione.
26. Il 5 giugno 2006, l’ufficio dell’immigrazione del commissariato di polizia di Roma trasmise all’ambasciata dall’Italia a Sarajevo il suo parere favorevole al ritorno della richiedente in Italia. L’ambasciata convocò dunque a più riprese il richiedente per rilasciare egli un visto di entrata, tuttavia senza successo. Il richiedente si presentò infine all’ambasciata il 18 ottobre 2006.
27. Secondo le informazione fornite dal consiglio del richiedente, il 9 novembre 2006, questa spettò in Italia, munita di un permesso di entrata sul territorio fornito dall’ambasciata dall’Italia a Sarajevo.
28. Il 12 marzo 2007, il decreto di espulsione di cui il richiedente aveva fatto l’oggetto fu revocato.
29. Ad una data non precisata dopo il ritorno della richiedente in Italia, il ministero dell’interno rilasciò a questa un permesso di soggiorno valido fino al 14 dicembre 2013.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
30. Il decreto-legge, decreto legislativo, no 286/98 (“Testo unico delle disposizioni concernente la regolamentazione dell’immigrazione e le norme sullo statuto degli estero”), come modificato dalle leggi nostri 271 di 2004 e 155 del 2005, disponi tra altri:
Articolo 5
“L’estero che è restato sul territorio dello stato mentre il suo permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e che il suo rinnovo non è stato chiesto, è oggetto di una misura di espulsione che contiene l’ordine di lasciare il territorio dello stato entro quindici giorni. Quando, secondo il prefetto, esiste un rischio di sottrazione all’esecuzione della misura di espulsione, il commissario di polizia (questore) ordini la proseguita immediata dell’estero alla frontiera. “
Articolo 13
“1. Per le ragioni di ordine pubblico o di sicurezza dello stato, il ministro degli Interni può ordinare lo espulsione dell’estero anche se questo non è residente sul territorio dello stato, informando a priori il presidente del Consiglio dei ministri ed il ministro delle Cause estere.
2. Il prefetto ordina lo espulsione quando lo straniero:
a) è ritornato sul territorio dello stato sottraendosi ai controlli di frontiera ;
b) è restato sul territorio dello stato senza avere chiesto di permesso di soggiorno nel termine assegnato, salvo se il ritardo è con la forza imputabile alle ragioni maggiori, o [si è mantenuto] mentre il permesso è stato revocato o annullato o che è scaduto da più di sessanta giorni e che il suo rinnovo non è stato chiesto. (…)
8. Contro il decreto di espulsione, l’estero può presentare unicamente un ricorso dinnanzi al giudice conciliatore del luogo dove l’autorità che ha ordinato lo espulsione ha la sua sede. Il termine è di sessanta giorni a partire dalla data della misura di espulsione. Il giudice conciliatore fa diritto alla domanda, o la respingo, con una decisione presa nei venti giorni a partire dal deposito del ricorso. Il ricorso in questione può essere firmato personalmente e può essere presentato tramite la rappresentanza diplomatica o consolare italiana del paese di destinazione. (…)
13. L’estero espulso non può ritornare sul territorio dallo stato senza un’autorizzazione speciale del ministro degli Interni. In caso di violazione di questa disposizione, l’estero è punito di uno a quattro anni di reclusione e è espulso di nuovo con proseguita immediata alla frontiera. “
Articolo 19
“1. In nessun caso, lo espulsione o la repressione dell’estero non può essere ordinata verso un Stato in che questo può essere oggetto di persecuzioni in ragione della sua razza, del suo sesso, della sua lingua, della sua nazionalità, della sua religione, dei suoi opinioni politici, della sua condizione personale o sociale o se rischia di essere rinviato verso un altro Stato in che non è protetto delle persecuzioni.
2. Salvo nei casi contemplati all’articolo 13, capoverso 1, l’ espulsione non sono ammessi nei confronti:
a) degli stranieri minorenni, salvo nel caso dove si tratta di seguire il genitore o i tutore espulsi;
b) degli stranieri titolari di un permesso di soggiorno ;
c) degli stranieri che coabitano con la famiglia fino al quarto grado di parentela o con un coniuge quando le persone in questione sono di nazionalità italiana;
d) delle mogli incinte o aventi un bambino di meno di sei mesi. “
Articolo 28
“1. Il diritto di mantenere o di stabilire l’unità familiare rispetto ai membri dei famiglia estero è riconosciuto, sotto le condizioni previste dal presente testo unico, agli estero titolari di una carta di soggiorno o di un permesso di soggiorno di una durata non inferiore ad un anno rilasciato per ragioni di lavoro, di asilo, di studi o per i motivi religiosi. (…) “
Articolo 29
“1. Lo straniero può chiedere il raggruppamento familiare per i membri della sua famiglia sotto citata:
a), il coniuge non separato; (…)
4. Lo straniero titolare di un permesso di soggiorno può essere raggiunto dai membri della sua famiglia nella cornice del raggruppamento familiare. “
Articolo 31
“Per le ragioni gravi, tenendo allo sviluppo psychophysique ed alle condizioni di salute del minore che risiede sul territorio italiano, il tribunale per bambini può autorizzare l’entrata o il soggiorno di una persona della famiglia per un periodo di tempo determinato, anche derogando alle disposizioni del presente decreto. “
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE IN QUANTO AL DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA E FAMILIARE
31. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, il richiedente adduce che l’esecuzione della decisione di espellerlo verso la Bosnia-Erzegovina ha provocato la violazione del suo diritto al rispetto della sua vita privata e familiare perché è stata obbligata a lasciare suo marito ed i suoi bambini risiedendo in Italia. Questo articolo è formulato così:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui. “
A. La posizione delle parti
32. Il Governo osserva che il richiedente ha fondato una famiglia durante la sua clandestinità in Italia e che non ha fornito nessuna prova in quanto alla scolarizzazione dei suoi bambini ed all’inserzione sociale della sua famiglia.
33. Sostiene anche che l’ espulsione della richiedente è stata ordinata sulla base dell’articolo 5 della decreto-legge no 286/98, questa essendo privato di un permesso di soggiorno durante validità, e che nessuna delle ragioni previste dagli articoli 13 capoverso 2 b) (forza maggiore), e 19 di suddetto decreto non faceva ostacolo a questo espulsione.
34. Il richiedente espone avere dei legami familiari solidi in Italia, a sapere suo sposo ed i suoi cinque bambini. Indica risiedere anche in Italia dal 1988 ed essere stato titolare di un permesso di soggiorno per un corto periodo negli anni 90.
35. Il richiedente sostiene anche che la decisione di espellere l’era privata di fondamento poiché, conformemente all’articolo 29 della decreto-legge no 286/98, avrebbe potuto ottenere il raggruppamento familiare.
B. La valutazione della Corte
1. I principi generali
36. La Corte ricorda a titolo preliminare che la Convenzione non garantisce, in quanto tale, il diritto di entrare o di risiedere sul territorio di un Stato di cui si non è cittadino, e che gli Stati contraenti hanno il diritto di controllare, in virtù di un principio di diritto internazionale bene invalso, l’entrata, il soggiorno e l’allontanamento dei no-nazionali (vedere, tra molto altri, El Boujaïdi c. Francia, 26 settembre 1997, § 39, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VI; Baghli c. Francia, no 34374/97, § 45, CEDH 1999-VIII, e Boultif c. Svizzera, no 54273/00, § 39, CEDH 2001-IX.
37. Però, le decisioni prese dagli Stati in materia di immigrazione possono, in certi casi, costituire un’ingerenza nell’esercizio del diritto al rispetto della vita privata e familiare protetta con l’articolo 8 § 1 della Convenzione, in particolare quando gli interessati possiedono, nello stato di accoglimento, dei legami personali o familiari sufficientemente forti che rischiano di essere lesi gravemente in caso di applicazione di una misura di allontanamento. Uguale ingerenza infrange l’articolo 8, salvo si, “previsto dalla legge”, insegue uno o parecchi scopi legittimi allo sguardo del secondo paragrafo di suddetto articolo ed appare “necessario in una società democratica” per l’attentato, Moustaquim c. Belgio, 18 febbraio 1991, § 36, serie Ha no 193; Dalia c. Francia, 19 febbraio 1998, § 52, Raccolta 1998-I; Amrollahi c. Danimarca, no 56811/00, § 33, 11 luglio 2002; Kaftaïlova c. Lettonia, no 59643/00, 22 giugno 2006 e Nada c. Svizzera [GC], no 10593/08, § 167, 12 settembre 2012.
38. La Corte rileva anche che l’articolo 8 non porta un obbligo generale per un Stato di rispettare la scelta con gli immigranti del loro paese di residenza e di autorizzare il raggruppamento familiare sul territorio di questo paese. Ciò dice, in una causa che riguarda anche bene la vita familiare che l’immigrazione, la superficie degli obblighi per lo stato di ammettere sul suo territorio dei prossimo di persone che risiedono vario in funzione della situazione particolare delle persone riguardate e dell’interesse generale, Gül c. Svizzera, 19 febbraio 1996, § 38, Raccolta 1996-I, Rodrigues da Silva e Hoogkamer c. Paesi Bassi, no 50435/99, § 39, CEDH 2006-I.
2. L’applicazione dei principi suddetti nel caso di specie
a) Il diritto al rispetto della vita privata e familiare della richiedente
39. Nel caso di specifico, nessuno può dubitare che il richiedente abbia tessuto in Italia dei legami solidi. Risulta della pratica che il richiedente risiede in Italia dal 1985, momento dove fu arrestata per la prima volta, o dall’età di dieci anni. Tenuto conto del lasso di tempo considerevole durante che il richiedente ha vissuto sul territorio italiano, non suscita controversia che il richiedente ha annodato delle relazioni personali, sociali ed economiche che sono costitutive della vita privata di ogni essere umano (Kaftaïlova, precitata, §§ 63 e 67.
40. La Corte considera inoltre che l’esistenza di una vita familiare della richiedente è stabilita anche: questa ultima si è sposata in Italia nel 1991, cinque bambini sono nati di questa unione e tutta la famiglia risiede da allora in Italia (vedere, mutatis mutandis, C. c. Belgio, 7 agosto 1996, § 34, in fine, Raccolta 1996-III,.
b) L’esistenza di un’ingerenza, di una base legale e di uno scopo legittimo,
41. La Corte rileva che la misura di espulsione di cui il richiedente ha fatto l’oggetto ha costituito un’ingerenza nel suo diritto al rispetto della sua vita privata e familiare. Questa misura era prevista dalla legge, a sapere, la decreto-legge no 286 del 25 luglio 1998, ed inseguiva un scopo legittimo che consiste nella sicurezza pubblica e la difesa dell’ordine.
c) La proporzionalità della misura controversa con lo scopo perseguito
42. La Corte si riferisce ai criteri stabiliti dalla sua giurisprudenza sul rispetto degli obblighi che derivano dell’articolo 8 della Convenzione in materia di interdizione del territorio in seguito ad una condanna penale (Boultif, precitata, § 48, e Üner c. Paesi Bassi [GC], no 46410/99, §§ 57-58, CEDH 2006-XII, e di rispetto della legislazione sull’immigrazione (vedere, tra molto altri, Rodrigues da Silva e Hoogkamer, precitata, § 39, e cioè:
-la natura e la gravità del reato commesso;
-la durata del soggiorno dell’interessato nel paese di cui deve essere espulso;
-la sua situazione familiare (all’occorrenza, la durata del suo matrimonio,;
-la nascita eventuale di bambini del matrimonio, la loro età,;
-la superficie dei legami che le persone riguardate hanno con lo stato contraente ne causa;
-la questione di sapere se esiste o no degli ostacoli insormontabili a questo che la famiglia viva nel paese di origine;
-e la questione di sapere se la vita familiare in causa si è sviluppata ad un’epoca dove le persone riguardate sapevano che la situazione di una di esse allo sguardo delle regole di immigrazione era come era immediatamente chiaro che il mantenimento di questa vita familiare in seno allo stato ospite avrebbe rivestito al primo colpo un carattere precario.
43. Girandosi verso il caso di specifico, la Corte rileva innanzitutto che il richiedente è stato condannato una volta per mendicità con utilizzazione di minore ad una pena di reclusione e che questa pena è stata sostituita da una multa in seguito. Nota sebbene l’articolo 671 del codice penale, previdente il reato controverso, è stato abrogato dalla legge no 94 del 15 luglio 2009. La Corte stima che questa violazione non è di natura tale da essere qualificata di “grave” al senso della giurisprudenza della Corte (Kaftaïlova, precitata, § 68; Ezzouhdi c. Francia, no 47160/99, § 34, 13 febbraio 2001, e, mutatis mutandis, El Boujaïdi, precitata, § 41. La Corte nota per di più che i procedimenti penali iniziati contro il richiedente in seguito alla sua apprensione nel 1995 per mendicità sono stati archiviati senza seguito (vedere sopra paragrafo 18).
44. In quanto all’esistenza di legami familiari, la Corte nota di nuovo che il richiedente, residente in Italia dall’età di dieci anni, si è sposata in questo paese e che cinque bambini sono nati di questa unione. Ad ogni modo, anche concedendo che il richiedente non ha fornito la prova di una scolarizzazione continua ed effettiva dei suoi bambini, la Corte rileva che l’insieme della famiglia ha vissuto a tutt’oggi senza interruzione in Italia: la possibilità per tutta la famiglia di stabilirsi in Bosnia-Erzegovina per raggiungere lì il richiedente è poco realistica dunque, i bambini che non hanno nessuno legame in questo paese.
45. La Corte non perde di vista che il richiedente risiedeva in modo irregolare in Italia nel momento in cui è stata colpita dall’ordinanza di espulsione e che non poteva ignorare la precarietà che ne derivava (Dalia, precitata, § 54; Useinov c. Paesi Bassi, déc.), no 61292/00, 11 aprile 2006; Syssoyeva ed altri c. Lettonia (radiazione) [GC], no 60654/00, § 94, CEDH 2007-I, e, mutatis mutandis, Mawaka c. Paesi Bassi, no 29031/04, § 61, 1 giugno 2010. Non ne rimane meno della richiedenteha ottenuto un permesso di soggiorno durante un corto periodo in 1996-1997 e che, secondo le informazione ricevute dal governo convenuto, è titolare di un permesso di soggiorno valido fino al 14 dicembre 2013 ora. La Corte stima dunque che il richiedente non era in una situazione dove non poteva aspettarsi mai ragionevolmente di potere continuare la sua vita familiare nel paese ospite, Rodrigues da Silva e Hoogkamer, precitata, § 43, e Solomon c. Paesi Bassi, déc.) no 44328/95, 5 settembre 2000.
46. Chi è più, la Corte constata che, in dispetto dell’applicazione dell’articolo 39 dell’ordinamento della Corte, il richiedente è stato espulso del territorio italiano e così lontana della sua famiglia durante circa un anno e due mesi, dal 6 settembre 2005 al 9 novembre 2006.
47. Alla luce dell’insieme di questi elementi, la Corte stima che la misura controversa non è stata proporzionata all’obiettivo perseguito. C’è stata dunque violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
48. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
49. La richiedente chiede 50 000 EUR a titolo del danno morale che avrebbe subito.
50. Il Governo contesta queste pretese.
51. La Corte considera che c’è luogo di concedere alla richiedente 15 000 EUR a titolo del danno morale.
B. Oneri e spese
52. Riferendosi al “danno patrimoniale” che avrebbe subito, il richiedente chiede anche 10 504,49 EUR per gli oneri e spese dei procedimenti dinnanzi alla Corte e dinnanzi alle istanze nazionali.
53. La Corte stima che questa domanda deve essere analizzata sotto l’angolo degli oneri e spese incorse nel procedimento interno ed in quella dinnanzi alla Corte.
54. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente non può ottenere il rimborso degli oneri e spese che nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto dei documenti poco dettagliati nel suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte respinge la domanda relativa agli oneri e spese del procedimento nazionale, ma stima ragionevole la somma di 2 000 EUR per il procedimento dinnanzi alla Corte e l’accordo al richiedente.
C. Interessi moratori
55. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
2. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare alla richiedente, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, il seguente somme:
i. 15 000 EUR, quindicimila euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
ii. 2 000 EUR, duemila euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dalla richiedente, per oneri e spese;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
3. Respinge la richiesta di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 4 dicembre 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Peer Lorenzen
Cancelliere Presidente