Conclusione Danno patrimoniale – risarcimento; Danno morale – risarcimento
GRANDE CAMERA
CAUSA GUISO-GALLISAY C. ITALIA
( Richiesta no 58858/00)
SENTENZA
(Soddisfazione equa)
STRASBURGO
22 dicembre 2009
Questa sentenza è definitiva. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Guiso-Gallisay c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, riunendosi in una Grande Camera composta da:
Jean-Paul Costa, presidente, Josep Casadevall, Corneliu Bîrsan, Karel Jungwiert, Vladimiro Zagrebelsky, Elisabetta Steiner, Lech Garlicki, Elisabet Fura, Khanlar Hajiyev, Dean Spielmann, Dragoljub Popović, Isabelle Berro-Lefèvre, Päivi Hirvelä, George Nicolaou, Luccichi López Guerra, Mirjana Lazarova Trajkovska, Nona Tsotsoria, giudici,
e da Vincent Berger, giureconsulto,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 17 giugno e 2 dicembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 58858/00) diretta contro la Repubblica italiana e in cui tre cittadini di questo Stato, il Sig. S. G.-G., il Sig. G. F. G.-G. e la Sig.ra A. G.-G. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 7 aprile 2000 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Con una sentenza dell’ 8 dicembre 2005 (“la sentenza al principale”), la Corte ha giudicato che l’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni dei richiedenti non era compatibile col principio di legalità e che, pertanto, c’era stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Guiso-Gallisay c. Italia, no 58858/00, §§ 96-97, e punto 2 del dispositivo, 8 dicembre 2005).
3. Appellandosi all’articolo 41 della Convenzione, i richiedenti richiedevano una somma che corrispondeva al valore dei terreni controversi, deduzione fatta dell’indennità ottenuta sul piano nazionale, ed aumentato del valore degli immobili costruiti sui loro terreni. Chiedevano anche una somma a titolo del rimborso dell’imposta alla fonte alla quale erano state sottoposte le somme riconosciute dal tribunale di Nuoro il 14 luglio 1997. Sollecitavano inoltre un’indennità per danno morale. Infine, chiedevano il rimborso degli oneri di giustizia impegnati dinnanzi alle giurisdizioni nazionali e degli oneri esposti dinnanzi alla Corte europea.
4. Non essendo matura la questione dell’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione, la camera l’ha riservata e ha invitato il Governo ed i richiedenti a sottoporle per iscritto, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarebbe diventata definitiva, le loro osservazioni su suddetta questione ed in particolare a darle cognizione di ogni accordo al quale sarebbero potuti arrivare (ibidem, § 108 e punto 3 del dispositivo).
5. Il termine fissato per permettere alle parti di giungere ad un accordo amichevole è scaduto senza che le parti siano arrivate a tale accordo. I richiedenti hanno depositato delle osservazioni che sono state trasmesse al Governo.
6. Il 9 ottobre 2006, il presidente della camera al quale il seguito del procedimento era stato affidato (punto 3 c) del dispositivo della sentenza al principale) ha deciso di chiedere alle parti di nominare ciascuna un perito incaricato di valutare il danno patrimoniale e di depositare un rapporto di perizia prima del 4 gennaio 2007.
7. Suddetti rapporti di perizia sono stati depositati nel termine assegnato.
8. Il 22 gennaio 2008, la camera ha comunicato alle parti la sua intenzione di disfarsi a profitto della Grande Camera (articoli 72 § 2 dell’ordinamento e 30 della Convenzione).
9. Il 28 febbraio 2008, i richiedenti si sono opposti a simile scioglimento , mentre il Governo non ha formulato alcuna obiezione.
10. Il 27 maggio 2008, stimando che l’opposizione dei richiedenti soddisfaceva le condizioni enunciate all’articolo 72 § 2 dell’ordinamento, la camera ha deciso di non scioglersi.
11. Il 21 ottobre 2008, la camera ha adottato una sentenza sulla soddisfazione equa.
12. Il 30 ottobre 2008, i richiedenti hanno chiesto il rinvio della causa dinnanzi alla Grande Camera in virtù degli articoli 43 della Convenzione e 73 dell’ordinamento. Un collegio della Grande Camera ha accolto questa istanza il 26 gennaio 2009.
13. La composizione della Grande Camera è stata definita conformemente agli articoli 27 §§ 2 e 3 della Convenzione e 24 dell’ordinamento.
14. Tanto i richiedenti che il Governo hanno depositato un esposto sull’applicazione dell’articolo 41. Alcune osservazioni sono state ricevute anche dell’Unione forense per la tutela dei diritti dell’Uomo, che il presidente aveva autorizzato ad intervenire nel procedimento scritto (articoli 36 § 2 della Convenzione e 44 § 2 dell’ordinamento).
15. Un’udienza si è svolta in pubblico al Palazzo dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, il 17 giugno 2009, articolo 59 § 3 dell’ordinamento.
Sono comparsi:
-per il governo convenuto
Sig. Nicola Lettieri, coagente,
Sig. Giuseppe Albenzio, avvocato dello stato;
-per i richiedenti i
Sigg. Ng Pg, consigliere,
A. M., consigliera, G. P., assistente,.
La Corte ha ascoltato il Sig. Lettieri, Albenzio, i Sigg. P. e M. nelle loro dichiarazioni così come nelle loro risposte alle sue domande.
I. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
A. L’occupazione di emergenza di un terreno
16. In diritto italiano, il procedimento accelerato di espropriazione permette all’amministrazione di occupare un terreno e di costruire prima dell’espropriazione. Una volta dichiarato di utilità pubblica il lavoro da realizzare ed adottato il progetto di costruzione, l’amministrazione può decretare l’occupazione di emergenza delle zone da espropriare per una durata determinata che non supera cinque anni (articolo 20 della legge no 865 del 1971). Questo decreto diventa nullo se l’occupazione materiale del terreno non ha luogo nei tre mesi seguenti la sua promulgazione. Prima della fine del periodo di occupazione autorizzata, deve essere presa un’ordinanza di espropriazione formale.
17. L’occupazione autorizzata di un terreno dà diritto ad un’indennità di occupazione. La Corte costituzionale ha riconosciuto, nella sua sentenza no 470 del 1990, un diritto di accesso immediato ad un tribunale al fine di richiedere l’indennità di occupazione appena il terreno viene occupato materialmente, senza che sia necessario aspettare che l’amministrazione proceda ad un’offerta di indennizzo.
B. Il principio dell’espropriazione indiretta (“occupazione acquisitiva” o “accessione invertita”)
18. Negli anni 1970, parecchie amministrazioni locali procedettero ad occupazioni di emergenza di terreni che non furono seguite da ordinanze di espropriazione. Le giurisdizioni italiane si trovarono confrontate a casi in cui il proprietario di un terreno aveva perso de facto la disponibilità di questo in ragione dell’occupazione e del compimento dei lavori di costruzione di un lavoro pubblico. Restava da sapere se, semplicemente per effetto dei lavori effettuati, l’interessato aveva perso anche la proprietà del terreno.
1. La giurisprudenza prima della sentenza della Corte di cassazione no 1464 del 16 febbraio 1983
19. La giurisprudenza era molto divisa sul punto di sapere quali fossero illegalmente gli effetti della costruzione di un lavoro pubblico su un terreno occupato. Per occupazione illegale, bisogna intendere un’occupazione illegale ab initio, o un’occupazione inizialmente autorizzata e diventata in seguito senza titolo, essendo stato annullato il titolo o proseguendo l’occupazione al di là della scadenza autorizzata senza che un’ordinanza di espropriazione non sia intervenuta.
20. Secondo una prima giurisprudenza, il proprietario del terreno occupato dall’amministrazione non perdeva la proprietà del terreno dopo il completamento del lavoro pubblico. Tuttavia, non poteva chiedere una rimessa in stato del terreno e poteva impegnare unicamente un’azione per danno-interessi per occupazione abusiva, non sottoposta ad un termine di prescrizione poiché l’illegalità derivante dall’occupazione era permanente. L’amministrazione poteva adottare in ogni momento una decisione formale di espropriazione; in questo caso, l’azione per danno-interessi si trasformava in controversia riguardante l’indennità di espropriazione ed i danno-interessi erano dovuti solamente per il periodo anteriore al decreto di espropriazione per il non-godimento del terreno (vedere, tra altre, le sentenze della Corte di cassazione no 2341 del 1982, no 4741 del 1981, numeri 6452 e 6308 del 1980).
21. Secondo una seconda giurisprudenza, il proprietario del terreno occupato dall’amministrazione non perdeva la proprietà del terreno e poteva chiedere la rimessa in stato, quando l’amministrazione aveva agito senza che ci fosse stata utilità pubblica (vedere, per esempio, le sentenze della Corte di cassazione no 1578 di 1976 e no 5679 del 1980).
22. Secondo una terza giurisprudenza, il proprietario del terreno occupato dall’amministrazione perdeva automaticamente la proprietà nel momento della trasformazione irreversibile del bene, ossia nel momento del completamento del lavoro pubblico. L’interessato aveva il diritto di chiedere dei danno-interessi (vedere la sentenza della Corte di cassazione no 3243 del 1979).
2. La sentenza della Corte di cassazione no 1464 del 16 febbraio 1983
23. Con una sentenza del 16 febbraio 1983, la Corte di cassazione deliberando in camere riunite risolse il conflitto di giurisprudenza ed adottò la terza soluzione. Così fu consacrato il principio dell’espropriazione indiretta (accessione invertita od occupazione acquisitiva). In virtù di questo principio, il potere pubblico acquista ab origine la proprietà di un terreno senza procedere ad un’espropriazione formale quando, dopo l’occupazione, ed a prescindere dalla legalità di questa, il lavoro pubblico è stato realizzato. Quando l’occupazione è ab initio senza titolo, il trasferimento di proprietà ha luogo nel momento in cui il terreno viene trasformato irreversibilmente dal lavoro pubblico. Quando l’occupazione del terreno è stata inizialmente autorizzata, il trasferimento di proprietà ha luogo alla scadenza del periodo di occupazione autorizzata. Nella stessa sentenza, la Corte di cassazione precisò che, in ogni caso di espropriazione indiretta, l’interessato ha diritto ad un risarcimento integrale, avendo avuto luogo l’acquisizione del terreno senza titolo. Questo risarcimento non è versato tuttavia, automaticamente; incombe sull’interessato di richiedere dei danno-interessi. Inoltre, il diritto al risarcimento è abbinato al termine di prescrizione contemplato in caso di responsabilità da delitto, ossia cinque anni, che cominciano a decorrere nell momento della trasformazione irreversibile del terreno.
3. La giurisprudenza dopo la sentenza della Corte di cassazione no 1464 del 16 febbraio 1983
a) La prescrizione
24. In un primo tempo, la giurisprudenza considerava che nessun termine di prescrizione non si trovava ad applicare, poiché l’occupazione senza titolo del terreno costituiva un atto illegale continuo. La Corte di cassazione, nella sua sentenza no 1464 del 1983, affermò che il diritto al risarcimento era sottoposto ad un termine di prescrizione di cinque anni. In seguito, la prima sezione della Corte di cassazione giudicò che un termine di prescrizione di dieci anni doveva applicarsi (sentenze no 7952 del 1991 e no 10979 del 1992). Con una sentenza del 22 novembre 1992, la Corte di cassazione deliberando in camere riunite ha deciso definitivamente la questione, stimando che il termine di prescrizione era di cinque anni e che cominciava a decorrere nel momento della trasformazione irreversibile del terreno.
b) La sentenza della Corte costituzionale no 188 del 1995
25. In questa sentenza, la Corte costituzionale ha giudicato compatibile con la Costituzione il principio dell’espropriazione indiretta, nella misura in cui questo principio si è radicato in una disposizione legislativa, ossia l’articolo 2043 del codice civile che regola la responsabilità da delitto. Secondo questa sentenza, il fatto che l’amministrazione diventi proprietaria di un terreno traendo utile dal suo comportamento illegale non dà nessun problema sul piano costituzionale poiché l’interesse pubblico, ossia la conservazione del lavoro pubblico, prevale sull’interesse dell’individuo, e dunque sul diritto di proprietà di questo ultimo. La Corte costituzionale ha giudicato compatibile con la Costituzione l’applicazione all’azione per risarcimento del termine di prescrizione di cinque anni.
c) Caso di mancata applicazione del principio dell’espropriazione indiretta
26. Gli sviluppi della giurisprudenza mostrano che il meccanismo con cui la costruzione di un lavoro pubblico provoca il trasferimento di proprietà del terreno a favore dell’amministrazione conosce delle eccezioni.
27. Nella sua sentenza no 874 del 1996, il Consiglio di stato ha affermato che non c’è espropriazione indiretta quando le decisioni dell’amministrazione e l’ordinanza di occupazione di emergenza sono state annullate dalle giurisdizioni amministrative.
28. Nella sua sentenza no 1907 del 1997, la Corte di cassazione deliberando in camere riunite ha affermato che l’amministrazione non diventa proprietaria di un terreno quando le decisioni che ha adottato e la dichiarazione di utilità pubblica devono essere considerate come nulle ab initio. In questo caso, l’interessato mantiene la proprietà dal terreno e può chiedere la restitutio in integrum. Un’altra possibilità consiste per lui nel chiedere dei danno-interessi. L’illegalità in questi casi ha un carattere permanente e non trova applicazione nessun termine di prescrizione.
29. Nella sentenza no 6515 del 1997, la Corte di cassazione deliberando in camere riunite ha affermato che non c’è trasferimento di proprietà quando la dichiarazione di utilità pubblica è stata annullata dalle giurisdizioni amministrative. In questo caso, il principio dell’espropriazione indiretta non si trova dunque applicare. L’interessato che mantiene la proprietà dal terreno, ha la possibilità di chiedere la restitutio in integrum. L’introduzione di un’istanza di danno-interessi provoca una rinuncia alla restitutio in integrum. Il termine di prescrizione di cinque anni comincia a decorrere nel momento in cui la decisione del giudice amministrativo diventa definitiva.
30. Nella sentenza no 148 del 1998, la prima sezione della Corte di cassazione ha seguito la giurisprudenza delle camere riunite e ha affermato che il trasferimento di proprietà per effetto dell’espropriazione indiretta non ha luogo quando la dichiarazione di utilità pubblica alla quale il progetto di costruzione era abbinato è stata considerata come invalido ab initio.
31. Nella sentenza no 5902 del 2003, la Corte di cassazione in camere riunite ha riaffermato che non c’è trasferimento di proprietà in mancanza di dichiarazione di utilità pubblica valida.
32. Conviene confrontare questa giurisprudenza con la legge no 458 del 1988 ( paragrafi 33-34 sotto) e col Repertorio delle disposizioni sull’espropriazione, entrato in vigore il 30 giugno 2003 (paragrafi 43-44 sotto).
4. La legge no 458 del 27 ottobre 1988
33. Ai termini dell’articolo 3 di questa legge:
“Il proprietario di un terreno, utilizzato per la costruzione di edifici pubblici e di case popolari, ha diritto al risarcimento del danno subito, in seguito ad un’espropriazione dichiarata illegale da una decisione passata in giudicato, ma non può pretendere la restituzione del suo bene. Ha anche diritto, oltre al risarcimento del danno, alle somme dovute in ragione del deprezzamento monetario ed a quelle menzionate all’articolo 1224 § 2 del codice civile, e questo a contare dal giorno dell’occupazione illegale. “
34. Interpretando l’articolo 3 della legge di 1988, la Corte costituzionale, nella sua sentenza del 12 luglio 1990 (no 384), ha considerato:
“Con la disposizione attaccata, il legislatore, tra gli interessi dei proprietari dei terreni-ottenere in caso di espropriazione illegale la restituzione dei terreni-e l’interesse pubblico-concretizzato dalla destinazione di questi beni alle finalità di costruzioni residenziali pubbliche, a condizioni favorevoli o convenzionate-, ha dato la precedenza a questo ultimo interesse. “
5. L’importo del risarcimento in caso di espropriazione indiretta
35. Secondo la giurisprudenza del 1983 della Corte di cassazione in materia di espropriazione indiretta, un risarcimento integrale del danno subito, sotto forma di danno-interessi per la perdita del terreno, era dovuta all’interessato in compenso della perdita di proprietà che provocava l’occupazione illegale.
36. La legge di bilancio del 1992 (articolo 5 bis del decreto-legge no 333 dell’ 11 luglio 1992) modificò questa giurisprudenza, nel senso che l’importo dovuto in caso di espropriazione indiretta non poteva superare l’importo dell’indennità contemplata nel caso di un’espropriazione formale. Con la sentenza no 369 del 1996, la Corte costituzionale dichiarò incostituzionale questa disposizione.
37. In virtù della legge di bilancio no 662 del 1996 che seguì questa dichiarazione di incostituzionalità, l’indennizzo integrale non può essere accordato per un’occupazione di terreno che ha avuto luogo prima del 30 settembre 1996. Così, l’indennizzo equivale all’importo dell’indennità contemplata nel caso di un’espropriazione formale, nell’ipotesi più favorevole al proprietario, mediante una maggiorazione del 10%.
38. Con la sentenza no 148 del 30 aprile 1999, la Corte costituzionale ha giudicato tale indennità compatibile con la Costituzione. Tuttavia, nella stessa sentenza, la Corte ha precisato che un’indennità integrale, a concorrenza del valore venale del terreno, può essere richiesta quando l’occupazione e la privazione del terreno non hanno avuto luogo a causa di utilità pubblica.
6. La giurisprudenza dopo le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo del 30 maggio 2000 nelle cause Belvedere Alberghiera e Carbonara e Ventura
39. Con le sentenze numeri 5902 e 6853 del 2003, la Corte di cassazione in camere riunite si è pronunciata di nuovo sul principio dell’espropriazione indiretta, facendo riferimento alle sentenze Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia ( no 31524/96, CEDH 2000-VI) e Carbonara e Ventura c. Italia (no 24638/94, CEDH 2000-VI) della Corte europea dei diritti dell’uomo.
40. Alla vista della constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 operata in queste due cause, la Corte di cassazione ha affermato che il principio dell’espropriazione indiretta sostiene un ruolo importante nella cornice del sistema giuridico italiano e che è compatibile con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
41. Più specificamente, la Corte di cassazione-dopo avere analizzato la storia del principio dell’espropriazione indiretta -ha detto che alla visto dell’uniformità della giurisprudenza in materia, il principio in questione deve passare per pienamente “prevedibile” a contare dal 1983. Per questo fatto, l’espropriazione indiretta deve essere considerata come rispettosa del principio di legalità. Trattandosi delle occupazioni di terreno che hanno avuto luogo senza dichiarazione di utilità pubblica, la Corte di cassazione ha affermato che queste non sono atte a trasferire la proprietà del bene allo stato. In quanto all’indennizzo, la Corte ha detto che, anche se è inferiore al danno subito dall’interessato, ed in particolare al valore del terreno, l’indennizzo dovuto in caso di espropriazione indiretta è sufficiente per garantire un “giusto equilibrio” tra le esigenze dell’interesse generale della società e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo.
42. Investito di un ricorso per esecuzione di una decisione giudiziale definitiva che annullava la dichiarazione di utilità pubblica riguardante un procedimento di espropriazione, vista l’istanza della parte richiedente che tendeva all’ottenimento della restituzione del terreno occupato e trasformato nel frattempo, il Consiglio di stato, nella sua sentenza no 2/2005 del 29 aprile 2005 reso in seduta plenaria, si è pronunciato sul punto di sapere se la trasformazione irreversibile di suddetto terreno in seguito alla costruzione del lavoro “pubblico” poteva costituire una ragione di diritto tale da impedire la restituzione del terreno. Il Consiglio di stato ha risposto negativamente. Ciò facendo, ha:
a) riconosciuto che il principio giurisprudenziale dell’espropriazione indiretta è inadempiente in quanto al bisogno di sicurezza giuridica, per ciò che riguarda tra l’altro il punto di sapere in quale data il lavoro pubblico deve essere considerato come “realizzato” e dunque in quale data vi è stato trasferimento di proprietà a favore dello stato;
b) accolto la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ed in particolare la sentenza Belvedere Alberghiera Srl, affermando che, di fronte ad un’istanza di restituzione di un bene illegalmente occupato e trasformato, il lavoro realizzato dalle autorità pubbliche non può, in quanto tale, costituire un ostacolo assoluto alla restituzione;
c) interpretato l’articolo 43 del Repertorio (paragrafo 44 sotto) nel senso in cui la non-restituzione di un terreno può essere ammessa solamente in casi eccezionali, ossia quando l’amministrazione invoca un interesse pubblico particolarmente contrassegnato dalla conservazione del lavoro;
d) affermato, in questo contesto, che l’espropriazione indiretta non potrebbe costituire una soluzione che sostituisce (“una mera alternativa”) un procedimento di espropriazione in buona e dovuta forma.
7. Il Repertorio delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione a causa di utilità pubblica (“il Repertorio”)
43. Il 30 giugno 2003 è entrato in vigore il decreto presidenziale no 327 dell’ 8 giugno 2001, modificato dal decreto legislativo no 302 del 27 dicembre 2002, e che regola il procedimento di espropriazione. Il Repertorio codifica le disposizioni e la giurisprudenza esistenti in materia. In particolare, codifica il principio dell’espropriazione indiretta. Il Repertorio che non si applica ai casi di occupazione sopraggiunti anteriormente al 1996 e non è dunque applicabile nello specifico, si è sostituito, a partire dalla sua entrata in vigore, all’insieme della legislazione e della giurisprudenza precedente in materia di espropriazione.
44. Nel suo articolo 43, il Repertorio contempla che in mancanza di un’ordinanza di espropriazione, o in mancanza di dichiarazione di utilità pubblica, un terreno trasformato in seguito alla realizzazione di un lavoro pubblico viene acquisito dal patrimonio dell’autorità che l’ha trasformato; dei danno-interessi sono accordati in compenso. L’autorità può acquisire un bene anche quando il piano di urbanistica o la dichiarazione di utilità pubblica sono stati annullati. Il proprietario può chiedere al giudice la restituzione del terreno. L’autorità in causa si può opporre. Quando il giudice decide di non ordinare la restituzione del terreno, il proprietario ha diritto ad un risarcimento
8. Le sentenze della Corte costituzionale numeri 348 e 349 del 22 ottobre 2007
45. Con le sentenze numeri 348 e 349 del 22 ottobre 2007, la Corte costituzionale ha giudicato che la legge interna deve essere compatibile con la Convenzione nell’interpretazione data dalla giurisprudenza della Corte e, di conseguenza, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 5 bis del decreto-legge no 333 dell’ 11 luglio 1992, come modificato dalla legge no 662 del 1996.
46. La Corte Costituzionale, nella sentenza no 349, ha rilevato che il livello insufficiente di indennizzo previsto dalla legge del 1996 era contrario all’articolo 1 del Protocollo no 1 e di conseguenza all’articolo 117 della Costituzione italiana che contemplava il rispetto degli obblighi internazionali. Da questa sentenza, questa disposizione di legge non può più essere applicata nella cornice dei procedimenti nazionali ancora pendenti.
9. La legge finanziaria no 244 del 24 dicembre 2007
47. L’articolo 2/89 e, della legge finanziaria no 244 del 24 dicembre 2007 ha stabilito che in un caso di espropriazione indiretta il risarcimento deve corrispondere al valore venale dei beni, non essendo ammessa nessuna riduzione.
48. Questa disposizione è applicabile a tutti i procedimenti in corso al 1 gennaio 2008, salvo quelli in cui la decisione sull’indennità di espropriazione o sul risarcimento è stata accettata o è diventata definitiva.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNAZIONALE PERTINENTE
49. Secondo una regola di diritto internazionale generale emanato dalla Corte permanente di giustizia internazionale nella sentenza resa il 13 settembre 1928 nella causa relativa alla fabbrica di Chorzów (Causa relativa alla fabbrica di Chorzó ( domanda d’ indennità) (merito) Raccolta delle sentenze del CPJI, serie A no 17, c’è luogo di distinguere tra “espropriazione” e “confisca” su dei beni:
“L’atto della Polonia che la Corte ha giudicato essere contrario alla Convenzione di Ginevra, non è un’espropriazione alla quale sarebbe mancato, per essere legittima, solo il pagamento di un’indennità equa; è una confisca su dei beni, diritti ed interessi che non potevano essere espropriati anche contro indennità, salvo nelle condizioni eccezionali determinate dall’articolo 7 di suddetta Convenzione. Come la Corte ha constatato espressamente nella sua Sentenza no 8, il risarcimento è, nello specifico, la conseguenza non dell’applicazione degli articoli 6 a 22 della Convenzione di Ginevra, ma di atti che sono contrari alle disposizioni di questi articoli. “
50. Il tribunale arbitrale iraniano-americano ha operato la stessa distinzione nella causa Amoco International Finance Corporation (Amoco International Finance Corporation c. Iran, sentenza interlocutoria del 14 luglio 1987, Raccolta del tribunale arbitrale iraniano-americano (1987-II), § 192):
“(…) conviene distinguere nettamente tra espropriazioni lecite ed espropriazioni illecite, poiché le regole applicabili all’indennità che dovrà versare lo stato che ha proceduto all’espropriazione variano in funzione della qualifica giuridica dello spodestamento. “
51. In diritto internazionale generale, la “confisca” su dei beni, o l’ “espropriazione illecita”, da’ adito all’ applicazione dei seguenti principi (Causa relativa alla fabbrica di Chorzów):
“Ne segue che l’indennità dovuta necessariamente al Governo tedesco non è limitata al valore che aveva l’impresa al momento dello spodestamento, più gli interessi fino al giorno del pagamento. Questa limitazione sarebbe ammissibile solamente se il Governo polacco avesse avuto il diritto ad espropriare e solo se il suo torto si fosse ridotto a non avere pagato alle due Società il giusto prezzo delle cose espropriate; nel caso reale, potrebbe arrivare a porre la Germania e gli interessi protetti dalla Convenzione di Ginevra, e per cui il Governo tedesco ha preso fatto e causa, in una situazione più sfavorevole a quella in cui la Germania e questi interessi si sarebbero trovati se la Polonia avesse rispettato suddetta Convenzione. Una simile conseguenza sarebbe non solo iniqua, ma anche ed innanzitutto incompatibile con lo scopo previsto dagli articoli 6 e seguenti della Convenzione, addirittura la difesa, in principio, di liquidare dei beni, diritti ed interessi dei cittadini tedeschi e delle società controllate dai cittadini tedeschi in Alta – Slesia, perché equivarrebbe ad identificare la liquidazione lecita e lo spodestamento illecito per ciò che riguarda i loro effetti finanziari.
Il principio essenziale che deriva dalla nozione stessa di atto illecito e che sembra liberarsi dalla pratica internazionale, in particolare dalla giurisprudenza dei tribunali arbitrali, è che il risarcimento deve, per quanto possibile, cancellare tutte le conseguenze dell’atto illecito e ristabilire lo stato che sarebbe esistito verosimilmente se suddetto atto non fosse stato commesso. Restituzione in natura, o, se non è possibile, pagamento di una somma che corrisponde al valore che avrebbe la restituzione in natura; sussidio, se c’è luogo, di danno-interessi per le perdite subite e che non sarebbero coperte dalla restituzione in natura o il pagamento che ne prende il posto; tali sono i principi dai quali devono ispirarsi la determinazione all’importo dell’indennità dovuta a causa di un fatto contrario al diritto internazionale. “
52. La sentenza arbitrale resa il 19 gennaio 1977 nella causa California Asiatic Oil Company et Texaco Overseas Petroleum Company c. Repubblica araba della Libia ([1978] 17 International Legal Materials 1) non riguardava uno spodestamento nel senso rigoroso ma il ritiro di concessioni di sfruttamento di giacimenti di petrolio grezzo accordate da numerosi anni. In questa causa, l’arbitro unico ha considerato che le concessioni avevano un carattere contrattuale e che, nazionalizzando gli interessi delle società attrici, la Libia aveva denunciato in modo illecito degli obblighi che aveva contratto liberamente nell’esercizio della sua sovranità. Stimando che il principio della restitutio in integrum si trovava ad applicare, ha dichiarato che la Libia doveva eseguire pienamente i suoi obblighi contrattuali. La causa si è conclusa con una transazione ai termini della quale le società hanno potuto disporre di una quantità di petrolio grezzo corrispondente ad una somma determinata, ma non hanno ottenuto il ristabilimento dello statu quo ante.
53. L’articolo 35 del progetto degli articoli sulla responsabilità degli Stati, elaborato dalla Commissione del diritto internazionale delle Nazioni unite, ricorda il principio della restitutio in integrum in questi termini:
“Lo stato responsabile del fatto internazionalmente illecito ha l’obbligo di procedere alla restituzione che consiste nel ristabilimento della situazione che esisteva prima che il fatto illecito fosse stato commesso, quindi e per quanto tale restituzione:
a) non sia materialmente impossibile;
b) non imponga un carico fuori da ogni proporzione col vantaggio che deriverebbe della restituzione piuttosto che dell’indennizzo. “
54. L’articolo 36 di questo stesso progetto dispone:
“1. Lo stato responsabile del fatto internazionalmente illecito è tenuto ad indennizzare il danno causato da questo fatto nella misura in cui questo danno non viene riparato dalla restituzione.
(…) “
IN DIRITTO
55. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno patrimoniale
1. La sentenza della camera
56. Nella sua sentenza del 21 ottobre 2008, la camera ha proceduto ad un cambiamento improvviso di giurisprudenza concernente l’applicazione dell’articolo 41 nei casi di espropriazione indiretta. La camera, per sei voci contro una, ha:
-abbandonato il metodo abituale che consisteva nel basarsi sul valore commerciale attualizzato del terreno, aumentato del plusvalore portato dagli edifici edificati dall’espropriante;
-adottato un nuovo metodo fondato sul valore commerciale del bene in data in cui gli interessati hanno avuto la certezza giuridica di avere perso il loro diritto di proprietà, essendo aumentata la somma così ottenuta degli interessi dovuti al giorno dell’adozione della sentenza della Corte ed essendo diminuita eventualmente dell’indennità già ricevuta.
Ha giustificato il suo cambiamento improvviso con:
-il timore di introdurre delle disuguaglianze di trattamento tra i richiedenti in funzione della natura del lavoro pubblico costruito dall’amministrazione che non ha necessariamente legame col potenziale del terreno nella sua qualità originaria;
-la preoccupazione di non lasciare posto ad un margine di arbitrarietà;
-il rifiuto di assegnare all’indennizzo un scopo punitivo o dissuasivo a riguardo dello stato convenuto, al posto di una funzione compensatoria per il richiedente;
-la presa in conto del cambiamento della legislazione (legge finanziaria del 2007) intervenuto in seguito alle sentenze della Corte costituzionale numeri 348 e 349 del 22 ottobre 2007 e che prevedevano che in caso di espropriazione indiretta il risarcimento deve corrispondere al valore venale dei beni, nessuna riduzione essendo ammessa.
57. La Corte ha assegnato ai richiedenti 1 803 374 euro, EUR, per danno patrimoniale, 45 000 EUR per danno morale e 30 000 EUR per oneri e spese.
2. Tesi delle parti
a) I richiedenti
58. I richiedenti considerano che, per ciò riguarda la soddisfazione equa, la sentenza del 21 ottobre 2008 opera un cambiamento improvviso di giurisprudenza rispetto all’insieme delle cause di espropriazione illecita recentemente giudicate dalla Corte (Brumărescu c. Romania (soddisfazione equa) [GC], no 28342/95, CEDH 2001-I; Rusu ed altri c. Romania, no 4198/04, 19 luglio 2007; Vontas ed altri c. Grecia, no 43588/06, 5 febbraio 2009; Driza c. Albania, no 33771/02, CEDH 2007-XII) mentre il ratio decidendi al principale resta lo stesso. Se la Grande Camera decidesse di confermare la sentenza della camera, una nuova violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 si aggiungerebbe a quella già subita dai richiedenti in Italia.
59. Secondo i richiedenti, il nuovo approccio seguito dalla Corte nella sentenza del 21 ottobre 2008 avrebbe per effetto di annullare le differenze tra le espropriazioni lecite e le espropriazioni illecite, ed anche di “legalizzare” e “ratificare” la pratica italiana dell’espropriazione indiretta, ciò che incoraggerebbe delle violazioni “sistemiche” di tanto più attraenti per l’amministrazione in quanto i procedimenti per combatterle sono eccessivamente lunghi, vent’ anni a livello nazionale ed otto anni dinnanzi alla Corte. Per segnare l’importanza della differenza tra le espropriazioni lecite e le espropriazioni illecite, i richiedenti si riferiscono non solo alla giurisprudenza della Grande Camera (Ex-re di Grecia ed altri c. Grecia [GC], no 25701/94, CEDH 2000-XII) ma anche alla giurisprudenza di altri corsi ed istanze internazionali come la Corte permanente di giustizia internazionale o il Tribunale arbitrale iraniano-americano.
60. A questo proposito, i richiedenti fanno valere che le indennità di cui la Corte ordina il versamento alle vittime di una violazione della Convenzione rivestono, ai termini e secondo lo spirito dell’articolo 41, un carattere accessorio. Ogni volta che ciò è possibile, la Corte dovrebbe sforzarsi di ricollocare la vittima nello statu quo ante dunque. A questo riguardo, ricordano che il principio della restitutio in integrum trova la sua origine nella sentenza della Corte permanente di giustizia internazionale resa il 13 settembre 1928 nella causa relativa alla fabbrica di Chorzów, ed è stata considerata come il rimedio ideale per riparare delle violazioni di regole di diritto internazionale. Questo principio è stato del resto riaffermato dall’articolo 35 del progetto degli articoli sulla responsabilità degli Stati, elaborato dalla Commissione del diritto internazionale delle Nazioni unite, e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Dimitrescu c. Romania, numeri 5629/03 e 3028/04, 3 giugno 2008; Fakiridou e Schina c. Grecia, no 6789/06, 14 novembre 2008; Katz c. Romania, no 29739/03, 20 gennaio 2009; Vontas ed altri, precitata; Bozcaada Kimisis Teodoku Rum Ortodoks Kilisesi Vakfı c. Turchia (no 2), nostri 37639/03, 37655/03, 26736/04 e 42670/04, 3 marzo 2009).
61. I richiedenti si riferiscono inoltre alla Risoluzione interinale CM/ResDH(2007)3 del Comitato dei Ministri del Consiglio dell’Europa concernente le violazioni sistemiche da parte dell’Italia del diritto di proprietà tramite delle “espropriazioni indirette”, testo che contempla l’obbligo per l’Italia di garantire la restitutio in integrum così come l’adozione di misure generali per mettere un termine ad ogni situazione continua e prevenire delle ulteriori violazioni simili.
62. Affermano che il metodo di risarcimento utilizzato dalla Corte fino alla sentenza del 21 ottobre 2008 non è sorgente di disuguaglianze di trattamento tra i richiedenti. A questo riguardo, fanno valere che il valore del terreno dipende dall’archiviazione del terreno che risulta dai piani dettagliati di urbanistica (piani di zona) adottati.
63. Per ciò che riguarda la preoccupazione della camera di evitare che il vecchio metodo di calcolo che teneva conto del valore degli immobili costruiti dall’amministrazione dopo l’espropriazione indiretta, non venga percepito come istituente una pratica di “indennità punitive”, i richiedenti sottolineano che basterebbe ordinare al Governo di procedere, in luogo e al posto del versamento di un’indennità monetaria, alla restituzione dei terreni controversi. I richiedenti non mancano di ricordare che, secondo il codice civile italiano, in materia di occupazione di terreni tra individui, quando l’occupante è in buona fede e il proprietario del lotto occupato non si oppone all’occupazione nei tre mesi, l’occupante è considerato come proprietario mediante il versamento di un’indennità equivalente a due volte il valore del terreno, aumentato di danno-interessi.
64. I richiedenti rilevano che la sentenza della Corte costituzionale no 349 del 22 ottobre 2007 e la legge finanziaria del 2007 a cui si riferisce la sentenza del 21 ottobre 2008 non può produrre nessuno effetto sulla loro situazione, perché le decisioni interne concernenti a loro sono passate in giudicato e la constatazione di violazione della Corte è anch’essa definitiva.
65. Peraltro, i richiedenti sostengono che, a causa del nuovo sistema di indennizzo, le somme concesse dalla Corte sono non solo inferiori a quelle che avrebbe assegnato se l’espropriazione fosse stata legittima, ma anche inferiori a quelle concesse in simili circostanze dalle giurisdizioni nazionali: da una parte, le indennità accordate dai giudici italiani non si limiterebbero al valore dei beni al momento dell’occupazione ma prenderebbero anche in conto il periodo, nello specifico sei anni, compreso tra il momento dell’occupazione ed il momento dell’espropriazione; dall’ altra parte, in caso di espropriazione legale, i tribunali avrebbero la possibilità di fissare l’indennità al 110% del valore del bene in caso di accordo tra gli interessati e le amministrazioni su suddetto valore. I richiedenti contestano inoltre il metodo di calcolo degli interessi che non terrebbe conto-contrariamente al metodo seguito a livello nazionale- della rivalutazione periodica dei beni.
66. Secondo i richiedenti, la Grande Camera avrebbe tre possibilità:
-confermare la giurisprudenza della Corte nelle cause italiane, ed in particolare la sentenza Scordino c. Italia (no 3) ((soddisfazione equa), no 43662/98, CEDH 2007-III;
-condannare lo stato italiano a restituire i terreni ed allo stesso tempo riconoscergli la possibilità di espropriarli tardivamente. Lo stato sarebbe costretto così a risarcire i richiedenti fino al momento dell’espropriazione così come a versare loro un’indennità di espropriazione ed una somma per indennizzarli della perdita dell’uso dei terreni;
-applicare, in caso di non-restituzione, il principio dell’aestimatio dupli secondo cui, quando l’occupante è in buona fede e il proprietario del lotto occupato non si oppone all’occupazione nei tre mesi, l’occupante è considerato come proprietario mediante il versamento di un’indennità equivalente a due volte il valore del terreno, aumentato di danno-interessi.
67. Riferendosi alla giurisprudenza consolidata della Corte, in particolare alla sentenza Scordino c. Italia, no 3, precitata, i richiedenti chiedono alla Corte di condannare lo stato convenuto a restituire loro i terreni così come a versare loro 2 703 849,98 EUR per la perdita di godimento di questi. A difetto di restituzione, i richiedenti chiedono 6 729 252 EUR, somma equivalente al valore dei terreni nel 2009, più il costo di costruzione degli immobili eretti dallo stato.
b) Il governo convenuto
68. Il Governo contesta l’applicazione che è stata fatta della giurisprudenza Papamichalopoulos ed altri c. Grecia ((articolo 50), 31 ottobre 1995, serie A no 330-B) alle cause italiane di espropriazione indiretta, e questo per parecchi motivi.
69. Primariamente, mentre nella causa greca l’occupazione dei terreni controversi da parte dello stato era fin dall’inizio priva di base legale, nelle cause italiane l’espropriazione indiretta ha luogo nella cornice di un procedimento di espropriazione legittima in sé che diventa illegale in seguito pure producendo al trasferimento di proprietà del bene sulla base di una giurisprudenza interna stabilita. Le giurisdizioni interne riconoscono l’illegalità della condotta dell’amministrazione, allo sguardo dell’articolo 2043 del codice civile, e dichiarano che un trasferimento di proprietà deve essere considerato come avente avuto luogo, a causa dell’esistenza, sul terreno controverso, del lavoro di utilità pubblica, e concedono all’individuo una somma a titolo di risarcimento. In più il Governo fa valere che dall’intervento della Corte Costituzionale (sentenza no 349/2007) e del legislatore (articolo 2 capoversi 89-90 della legge finanziaria del 2007) i proprietari espropriati possono ottenere un risarcimento corrispondente al valore intero del bene.
70. Secondariamente, nella causa Papamichalopoulos tutte le giurisdizioni investite di un’azione per rivendicazione avevano riconosciuto il titolo di proprietà senza che lo stato avesse offerto alcun compenso monetario, anche parziale. Nello specifico, in compenso, investite di un’azione per risarcimento, le giurisdizioni nazionali hanno dichiarato l’atto illegale pure formalizzando il trasferimento di proprietà ed indennizzando i proprietari spossessati. La presente causa si distingue anche dalla causa Papamichalopoulos per ciò che non riguarda un terreno che ha un “potenziale di sviluppo turistico” occupato senza nessuna base legale, ma dei terreni di dimensioni modeste privi di ogni interesse.
71. Il Governo contesta, inoltre, la distinzione fatta dalla Corte tra espropriazione legale e “confisca illegale”, così come le conseguenze che ne trae ai fini dalla valutazione del danno patrimoniale. Secondo lui, l’articolo 1 del Protocollo no 1 non stabilisce alcuna gerarchia tra differenti tipi di trasgressioni e non autorizza dunque la concessione di una soddisfazione equa superiore in funzione all’”illegalità” dell’ingerenza.
72. L’adozione del “criterio della confisca” potrebbe nuocere anche alla sicurezza giuridica nella giurisprudenza della Corte, come mostrerebbe il paragone tra le cause italiane di espropriazione indiretta ed un gruppo di cause turche (I.R.S. ed altri, 20 luglio 2004; Kadriye Yıldız ed altri, 10 ottobre 2006; Börekçioğulları (Cökmez) ed altri, 19 ottobre 2006; Ari ed altri, 3 aprile 2007) in cui il danno patrimoniale è stato calcolato diversamente malgrado le similitudini con le prime.
73. Il Governo sostiene che in applicazione del giurisprudenza Papamichalopoulos (sentenza precitata), il valore reale del bene controverso non è il risultato dell’attualizzazione del suo valore iniziale secondo le percentuali di deprezzamento della moneta, ma dell’applicazione di criteri soggettivi, non prevedibili, incerti ed aleatori. L’attualizzazione ignorerebbe il principio che vuole che un’indennità si calcoli rispetto al valore del bene in data dell’avvenimento controverso e che le vicissitudini negative o positive non potrebbero giocare nessuno ruolo. Il metodo utilizzato dalla Corte fino qui presumerebbe sistematicamente che esiste un danno ulteriore a causa del non-godimento del bene controverso e che questo danno non è compensato sufficientemente dalla attualizzazione del valore del bene ed il pagamento degli interessi, e questo anche in mancanza di ogni principio di prova. La Corte valuta automaticamente questo danno ulteriore alla quota del valore al lordo dei lavori realizzati dallo stato aggiungendolo al valore attualizzato del terreno. Ciò costituisce un arricchimento senza causa a profitto dei richiedenti. Il Governo stima che questa soluzione non è conforme alla giurisprudenza della Corte permanente di giustizia internazionale ed alla pratica nazionale degli Stati membri, e che inoltre introduce delle disuguaglianze di trattamento tra i richiedenti, in funzione della natura del lavoro pubblico realizzato.
74. Secondo il Governo, se si procede così il proprietario ottiene gratuitamente il valore positivo di un investimento che lo stato ha realizzato e pagato al suo posto. Ciò non si giustifica, secondo lui, sul piano giuridico. A questo riguardo, si riferisce peraltro alle regole di diritto civile in materia di accesso alla proprietà che sono in vigore in Italia (articoli 934 e 936 del codice civile italiano) e che contemplano in materia di occupazione di terreni tra individui che, quando l’occupante è in buona fede e che il proprietario del lotto occupato non si oppone all’occupazione nei tre mesi, l’occupante è considerato come proprietario mediante il versamento di un’indennità equivalente a due volte il valore del terreno, aumentato di danno-interessi.
75. Per di più, il Governo ricorda che la Corte si è dichiarata incompetente in materia di danno risultante da una sottovalutazione dei terreni espropriati o delle perdite collaterali all’espropriazione (Lallement c. Francia (soddisfazione equa), no 46044/99, 12 giugno 2003).
76. Il Governo fa valere che i richiedenti hanno modificato a più riprese le loro pretese: nella loro richiesta introduttiva, hanno chiesto la differenza tra il valore venale del bene e la somma ottenuta a livello nazionale; nelle loro osservazioni sulla soddisfazione equa, dopo la sentenza sul merito, hanno sollecitato più di quindici milioni di euro a titolo del danno patrimoniale; dinnanzi alla Grande Camera, chiedono sei milioni di euro. In più, i richiedenti che sono comproprietari dei terreni, secondo una quota di 29/360, non hanno mai chiesto la restituzione dei terreni né a livello nazionale, né nel formulario di richiesta alla Corte.
77. Il Governo rileva che, tenuto conto del fatto che sui terreni controversi un lavoro di utilità pubblica è stato realizzato dall’amministrazione con le risorse derivate dai contributi fiscali, la restituzione non è più possibile. Il solo problema che si pone riguarda la qualità della correzione, tenuto conto del fatto che il risarcimento previsto dalla legge no 662 del 1996 non era alla quota del valore pieno ed intero dei beni.
78. Il Governo stima che il nuovo approccio adottato dalla Corte nella sua sentenza del 21 ottobre 2008 è conforme alle esigenze della Convenzione e non deve essere rimesso in causa. Il risarcimento del danno patrimoniale deve essere alla quota del valore venale del bene al momento del giudizio nazionale dichiarante che gli interessati hanno perso la proprietà del loro bene, questo valore essendo calcolato sulla base delle perizie d’ ufficio effettuate durante il procedimento nazionale. Questo approccio permetterebbe di restituire alla causa Papamichalopoulos, precitata, il suo carattere di causa singolare, non suscettibile di essere trasposta in modo generale, di modulare meglio i criteri di determinazione del danno patrimoniale nelle cause di attentato alla proprietà, di migliorare l’armonizzazione di questi criteri coi fondamenti economici del diritto e le regole riconosciute negli Stati membri, di evitare delle disuguaglianze di trattamento, ed infine di garantire la coerenza e la prevedibilità della giurisprudenza.
79. Il Governo combatte anche la tesi della parte intervenuta. In primo luogo, fa valere che la cessione volontaria di un bene può essere conclusa dopo la dichiarazione di utilità pubblica e finché il decreto di espropriazione non è stato emesso, e che la maggiorazione del 10% dell’indennità è accordata anche se la cessione non ha avuto luogo a causa di un fatto non imputabile alla persona privata. In secondo luogo, sottolinea che l’espropriazione indiretta non impedisce alla persona privata di accettare la cessione volontaria del bene, dato che la cessione può essere conclusa anche in mancanza di ordinanza di espropriazione. In compenso, come la parte intervenuta, il Governo è del parere che la gravità più o meno grande della violazione ha un’incidenza sul danno morale ma non sul danno patrimoniale.
80. In conclusione, il Governo prega la Corte di confermare la sentenza della camera del 21 ottobre 2008. Tuttavia, in quanto alla computazione del danno patrimoniale, sostiene che il risultato al quale la camera è giunta è il frutto di un errore di calcolo. Perciò, chiede alla Corte di limitare a 900 000 EUR la somma da concedere ai richiedenti.
c) Il terzo intervenuto
81. Secondo il terzo intervenuto (paragrafo 14 sopra) il nuovo approccio della Corte che tende ad annullare le differenze tra le espropriazioni lecite e le espropriazioni illecite è incompatibile coi principi in materia di risarcimento e di soddisfazione equa che si liberano dalla giurisprudenza della Corte, così come con le altre regole pertinenti di diritto internazionale applicabili nelle relazioni tra le parti (articolo 31 § 3 c) della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati). Il fatto di trattare in modo identico delle situazioni intrinsecamente differenti sarebbe irragionevole e costituirebbe una violazione del principio di uguaglianza dinnanzi alla legge.
82. Come i richiedenti, il terzo intervenuto nota che, nel sistema giuridico italiano, in caso di espropriazione lecita i tribunali hanno la possibilità di fissare l’indennità al 110% del valore del bene se c’è accordo tra gli interessati e le amministrazioni su suddetto valore. A questo riguardo, fa valere che questo vantaggio non si applica in caso di espropriazione illecita a scapito dei proprietari espropriati.
83. In quanto all’entrata in vigore della nuova legge finanziaria del 2007, che prevedeva che l’indennità di espropriazione per un terreno edificabile dovesse corrispondere al valore venale del bene, il terzo intervenuto ricorda che i proprietari espropriati sono tenuti illecitamente a pagare un’imposta del 20% sulle somme che percepiscono a titolo di risarcimento. Lo stato trae dunque un vantaggio indebito da un’illegalità di cui è lui stesso responsabile. In più, il terzo intervenuto stima che il principio di sussidiarietà implica l’obbligo per lo stato di adattare il suo proprio sistema giuridico alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, e non l’inverso.
84. Conformemente alla giurisprudenza internazionale, la Grande Camera dovrebbe riaffermare il principio secondo cui il risarcimento deve cancellare per quanto possibile tutte le conseguenze dell’atto illecito e dovrebbe ristabilire la situazione di fatto e di diritto che sarebbe esistita verosimilmente se suddetto atto non fosse stato commesso.
85. Trattandosi dei criteri da adoperare per la determinazione del danno ai sensi dell’articolo 41, il terzo intervenuto considera che dovrebbero soddisfare le esigenze di uniformità, di semplicità, di chiarezza e di prevedibilità. In particolare, questi criteri dovrebbero essere atti a creare un mezzo di dissuasione seria ed efficace che permetta di evitare la ripetizione di comportamenti illeciti dello stesso genere, senza per questo avere uno scopo punitivo.
86. A difetto di una restituzione in natura, il valore pecuniario dei terreni dovrebbe essere calcolato tenuto conto del valore dei beni al momento del primo giudizio che fa applicazione del principio dell’espropriazione indiretta. A questa somma, rivalutata ed abbinata ad interessi, dovrebbe essere aggiunto inoltre l’equivalente dell’importo che i richiedenti dovrebbero pagare a titolo di imposta, secondo la legge no 431 del 1991.
87. Per ciò che riguarda i danni ulteriori, il terzo intervenuto sostiene che i richiedenti dovrebbero beneficiare di una maggiorazione del 10% del valore dei terreni, corrispondente alla somma alla quale avrebbero avuto diritto in caso di cessione volontaria del bene. In più, i richiedenti dovrebbero vedersi rimborsare tutti gli oneri sostenuti dinnanzi alle giurisdizioni interne.
88. Il danno morale dovrebbe essere valutato in particolare tenuto conto del lasso di tempo trascorso tra il momento dell’occupazione senza titolo ed il primo giudizio che faceva applicazione del principio dell’espropriazione indiretta.
89. In conclusione, il terzo intervenuto chiede alla Grande Camera di riconoscere un danno morale più importante alle vittime di un’espropriazione indiretta rispetto alle vittime di un’espropriazione legittima.
3. La valutazione della Grande Camera
90. Così come la Corte ha detto in parecchie occasioni, una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico di mettere un termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire tanto quanto fare si può la situazione anteriore a questa (Iatridis c. Grecia (soddisfazione equa) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI). Gli Stati contraenti parti ad una causa sono in principio liberi di scegliere i mezzi che utilizzeranno per conformarsi ad una sentenza della Corte che constata una violazione. Questo potere di valutazione in quanto alle modalità di esecuzione di una sentenza traduce la libertà di scelta a cui è abbinato l’obbligo fondamentale imposto dalla Convenzione agli Stati contraenti: garantire il rispetto dei diritti e delle libertà garantiti (articolo 1). Se la natura della violazione permette una restitutio in integrum, incombe sullo stato convenuto di realizzarla,non avendo la Corte né la competenza né la possibilità pratica di compierla lei stessa. Se in compenso il diritto nazionale non permette , o permette solamente imperfettamente, di cancellare le conseguenze della violazione, l’articolo 41 abilita la Corte ad accordare, se c’è luogo, alla parte lesa la soddisfazione che le sembra appropriata (Brumărescu precitata).
91. Nella sua sentenza al principale, la Corte ha detto che l’ingerenza controversa non soddisfaceva la condizione di legalità (paragrafi 93-97). L’atto dello stato convenuto che la Corte ha ritenuto per contrario alla Convenzione non era nello specifico un’espropriazione che sarebbe stata legittima se un’indennità adeguata fosse stata versata; al contrario, si trattava di una confisca dello stato sui terreni dei richiedenti (paragrafi 94-95 della sentenza al principale).
92. A questo riguardo, la Corte ha rilevato che, il 14 luglio 1997, il tribunale di Nuoro aveva preso nota della situazione di illegalità e dichiarato i richiedenti privati dei loro beni a favore dell’occupante (paragrafo 94 della sentenza al principale). In esecuzione di questo giudizio, confermato il 17 luglio 2003, i richiedenti hanno ricevuto il 25 marzo 1998, a titolo di risarcimento, 970 746 447 lire italiane ciascuno, circa 501 349 EUR. Trattandosi dell’indennità, la Corte ha constatato che l’applicazione retroattiva della legge di bilancio no 662 del 1996 al caso specifico aveva avuto per effetto di privare i richiedenti di un risarcimento integrale del danno subito (paragrafo 95 della sentenza al principale).
93. Risulta chiaramente da questi elementi che la Corte ha considerato lo statuto di “vittima” dei richiedenti per giungere poi alla constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Eckle c. Germania, 15 luglio 1982, §§ 69 e segue, serie A no 51; Amuur c. Francia, 25 giugno 1996, § 36, Raccolta 1996-III; Dalban c. Romania [GC], no 28114/95, § 44, CEDH 1999-VI; Jensen c. Danimarca, (dec.), no 48470/99, CEDH 2001-X). I richiedenti sono peraltro, sempre “vittime”, essendo rimasta immutata la loro situazione dalla pronunzia della sentenza al principale.
94. Inoltre, la Corte constata che, in ogni caso, l’espropriazione indiretta tende ad interinare una situazione di fatto derivante dalle illegalità commesse dall’amministrazione e permette così a questa ultima di trarre utile dal suo comportamento illegale.
95. Pertanto, la Corte riafferma l’impossibilità di mettere sullo stesso piano l’espropriazione regolare e l’espropriazione indiretta che sono in causa nello specifico.
96. La Corte nota che in principio la restituzione dei terreni porrebbe i richiedenti, per quanto possibile, in una situazione equivalente a quella in cui si troverebbero se le esigenze dell’articolo 1 del Protocollo no 1 non fossero state ignorate. Tuttavia, nello specifico, tenuto conto del fatto che i richiedenti non hanno mai chiesto la restituzione dei terreni dinnanzi alle giurisdizioni nazionali e per il fatto che simile restituzione non è del resto possibile, la Corte stima di dovere assegnare agli interessati un’indennità corrispondente al valore pieno ed intero dei terreni.
97. Prima di esaminare gli argomenti delle parti, fondati sull’applicazione del giurisprudenza Papamichalopoulos (causa precitata), la Corte giudica opportuno ricordare la genesi ed il fondamento della sentenza Papamichalopoulos, ed il modo in cui questa giurisprudenza è stata applicata in pratica nelle cause italiane di espropriazione indiretta.
1. Riassunto della giurisprudenza
98. In materia di privazione arbitraria di beni, la Corte “ha iniziato” la sua giurisprudenza con la sentenza Papamichalopoulos ed altri c. Grecia ((articolo 50), serie A no 330-B). Ha deciso che lo stato convenuto doveva versare agli interessati, per danno e perdita di godimento da “usurpazione” da parte delle autorità dei loro terreni, una somma equivalente al valore reale di questi aumentata del plusvalore portato dagli edifici costruiti.
99. Fondando il suo ragionamento sui principi stabiliti dalla Corte permanente di giustizia internazionale (paragrafo 50 sopra) la Corte ha concluso nella causa Papamichalopoulos ed altri ad una violazione in ragione di un’espropriazione di fatto illegale, occupazione di terre da parte della marina greca dal 1967 che durava da più di venticinque anni in data della sentenza al principale resa il 24 giugno 1993. Ha ingiunto perciò allo stato greco di versare ai richiedenti, per danno e perdita di godimento dalla presa di possesso da parte delle autorità di questi terreni, una somma equivalente al valore reale dei terreni aumentata del plusvalore portato dall’esistenza di certi edifici che erano stati edificati dall’occupazione.
100. Questa giurisprudenza è stata seguita nelle sentenze Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia ((soddisfazione equa), no 31524/96, 30 ottobre 2003) e Carbonara e Ventura c. Italia ((soddisfazione equa), no 24638/94, 11 dicembre 2003) che riguardavano tutte e due, come la presente causa, dei casi di spodestamento illecito.
A difetto di restituzione dei terreni, la Corte ha assegnato a titolo del danno patrimoniale delle somme che prendevano in considerazione il valore reale dei beni allo sguardo del mercato immobiliare al momento dell’adozione della sua sentenza. Inoltre, ha cercato di compensare le perdite subite che non sarebbero state coperte dal versamento di questo importo, tenendo conto del potenziale del terreno in causa, calcolato a partire dal costo di costruzione degli immobili eretti dallo stato.
Questa giurisprudenza è stata interinata dalla Grande Camera nella sentenza Scordino c. Italia (no 1) ([GC], no 36813/97, §§ 250-254, CEDH 2006-V).
101. Le sentenze Scordino c. Italia (no 3), precitata, e Pasculli c. Italia ((soddisfazione equa), no 36818/97, 4 dicembre 2007) hanno seguito ed applicato questa giurisprudenza. In caso di spodestamento illecito di un bene, la Corte ha ricordato che l’indennizzo doveva riflettere l’idea di una cancellazione totale delle conseguenze dell’ingerenza dello stato. Ha osservato che la natura della violazione constatata nella sentenza al principale le permetteva di partire dal principio di una restitutio in integrum e che, concretamente, la restituzione dei terreni controversi, ivi compresi gli edifici esistenti, avrebbe posto i richiedenti in una situazione che equivaleva il più possibile a quella in cui si sarebbero trovati se non ci fosse stata trasgressione delle esigenze dell’articolo 1 del Protocollo no 1. La Corte ha deciso che in mancanza di restituzione, lo stato doveva versare una somma corrispondente al valore reale del terreno, aumentato di una somma a titolo del plusvalore portato dalla presenza di edifici, agli interessati.
2. Sull’opportunità di un’evoluzione della giurisprudenza
102. Come la camera, la Grande Camera stima che l’applicazione del giurisprudenza Papamichalopoulos alle cause di espropriazione indiretta può in sé arrivare a delle anomalie.
In primo luogo, la Corte ricorda che a differenza della situazione nella causa Papamichalopoulos, dove tutte le giurisdizioni avevano riconosciuto il titolo di proprietà a favore dei richiedenti (Papamichalopoulos precitata, § 33) senza che lo stato avesse offerto alcun compenso monetario, anche parziale, nel caso specifico i richiedenti hanno perso la proprietà in seguito alla costruzione di lavori pubblici, e non hanno chiesto, nel procedimento interno, la restituzione di suddetti beni.
In secondo luogo, nella causa sopra si trattava di un terreno occupato senza nessuna base legale, mentre nella presente causa i terreni sono stati occupati secondo un procedimento di emergenza e sulla base di una dichiarazione di utilità pubblica, ai fini della costruzione di abitazioni ad affitto moderato e di centri ricreativi.
103. La Corte è del parere che le specificità della causa Papamichalopoulos rende inadatta l’applicazione dei principi che vi vengono emanati alle cause di espropriazione indiretta. Pure riconoscendo che i richiedenti hanno diritto al valore pieno ed intero dei beni, la Corte stima da una parte, che la data da prendere in considerazione per valutare il danno patrimoniale non deve essere quella della pronunzia della sentenza della Corte ma quella della perdita di proprietà dei terreni. Difatti, il primo approccio potrebbe lasciare posto ad un margine di incertezza, addirittura di arbitrarietà.
Dall’altra parte, secondo la Corte la computazione automatica delle perdite subite dai richiedenti alla quota del valore al lordo dei lavori realizzati dallo stato non si giustifica. Questo metodo può introdurre delle disuguaglianze di trattamento tra i richiedenti in funzione della natura del lavoro pubblico costruito dall’amministrazione che non ha necessariamente legame col potenziale del terreno nella sua qualità originaria. Per di più, questo metodo di risarcimento assegna all’indennizzo per danno patrimoniale un scopo punitivo o dissuasivo a riguardo dello stato convenuto, al posto di una funzione compensatoria per i richiedenti.
104. La Grande Camera giudica opportuno adottare un nuovo approccio , tenuto conto anche degli sviluppi intervenuti in diritto interno (paragrafi 44 e 45 sopra) e della presa in conto da parte delle giurisdizioni nazionali della giurisprudenza della Corte nell’ambito del diritto di proprietà. Stima che i nuovi principi fissati nella presente sentenza possono essere applicati dalle giurisdizioni italiane nelle controversie che hanno o dovranno decidere.
105. In questo contesto e per queste ragioni, la Corte decide di allontanare le pretese dei richiedenti nella misura in cui sono fondate sul valore dei terreni in data della sentenza della Corte e di non tenere più conto, per valutare il danno patrimoniale, del costo di costruzione degli immobili costruiti dallo stato sui terreni. Inoltre, contrariamente alla soluzione considerata dalla camera nella sua sentenza del 21 ottobre 2008, la Grande Camera stima che per valutare il valore venale dei terreni, c’è luogo di riferirsi al giudizio del tribunale di Nuoro del 14 luglio 1997 secondo cui i richiedenti hanno perso la proprietà di una parte dei loro terreni nel 1982 ed un’altra parte nel 1983 (paragrafo 16 della sentenza al principale). Come risulta dalle perizie ordinate dal tribunale ed effettuate durante il procedimento nazionale, suddetto valore corrisponde a 1 298 363 349 ITL, o 670 549 EUR, importo che, peraltro, non è stato oggetto di un appello dinnanzi alle giurisdizioni italiane.
Dato che il carattere adeguato di un risarcimento rischia di sminuire se il pagamento di questo fa astrazione di elementi suscettibili di ridurne il valore, come lo scorrimento di un lasso di tempo considerevole (Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Gr