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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE GUISO-GALLISAY c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 1
Articoli: 41
Numero: 58858/00/2009
Stato: Italia
Data: 2009-12-22 00:00:00
Organo: Grande Camera
Testo Originale

Conclusione Danno patrimoniale – risarcimento; Danno morale – risarcimento
GRANDE CAMERA
CAUSA GUISO-GALLISAY C. ITALIA
( Richiesta no 58858/00)
SENTENZA
(Soddisfazione equa)
STRASBURGO
22 dicembre 2009
Questa sentenza è definitiva. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Guiso-Gallisay c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, riunendosi in una Grande Camera composta da:
Jean-Paul Costa, presidente, Josep Casadevall, Corneliu Bîrsan, Karel Jungwiert, Vladimiro Zagrebelsky, Elisabetta Steiner, Lech Garlicki, Elisabet Fura, Khanlar Hajiyev, Dean Spielmann, Dragoljub Popović, Isabelle Berro-Lefèvre, Päivi Hirvelä, George Nicolaou, Luccichi López Guerra, Mirjana Lazarova Trajkovska, Nona Tsotsoria, giudici,
e da Vincent Berger, giureconsulto,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 17 giugno e 2 dicembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 58858/00) diretta contro la Repubblica italiana e in cui tre cittadini di questo Stato, il Sig. S. G.-G., il Sig. G. F. G.-G. e la Sig.ra A. G.-G. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 7 aprile 2000 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Con una sentenza dell’ 8 dicembre 2005 (“la sentenza al principale”), la Corte ha giudicato che l’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni dei richiedenti non era compatibile col principio di legalità e che, pertanto, c’era stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Guiso-Gallisay c. Italia, no 58858/00, §§ 96-97, e punto 2 del dispositivo, 8 dicembre 2005).
3. Appellandosi all’articolo 41 della Convenzione, i richiedenti richiedevano una somma che corrispondeva al valore dei terreni controversi, deduzione fatta dell’indennità ottenuta sul piano nazionale, ed aumentato del valore degli immobili costruiti sui loro terreni. Chiedevano anche una somma a titolo del rimborso dell’imposta alla fonte alla quale erano state sottoposte le somme riconosciute dal tribunale di Nuoro il 14 luglio 1997. Sollecitavano inoltre un’indennità per danno morale. Infine, chiedevano il rimborso degli oneri di giustizia impegnati dinnanzi alle giurisdizioni nazionali e degli oneri esposti dinnanzi alla Corte europea.
4. Non essendo matura la questione dell’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione, la camera l’ha riservata e ha invitato il Governo ed i richiedenti a sottoporle per iscritto, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarebbe diventata definitiva, le loro osservazioni su suddetta questione ed in particolare a darle cognizione di ogni accordo al quale sarebbero potuti arrivare (ibidem, § 108 e punto 3 del dispositivo).
5. Il termine fissato per permettere alle parti di giungere ad un accordo amichevole è scaduto senza che le parti siano arrivate a tale accordo. I richiedenti hanno depositato delle osservazioni che sono state trasmesse al Governo.
6. Il 9 ottobre 2006, il presidente della camera al quale il seguito del procedimento era stato affidato (punto 3 c) del dispositivo della sentenza al principale) ha deciso di chiedere alle parti di nominare ciascuna un perito incaricato di valutare il danno patrimoniale e di depositare un rapporto di perizia prima del 4 gennaio 2007.
7. Suddetti rapporti di perizia sono stati depositati nel termine assegnato.
8. Il 22 gennaio 2008, la camera ha comunicato alle parti la sua intenzione di disfarsi a profitto della Grande Camera (articoli 72 § 2 dell’ordinamento e 30 della Convenzione).
9. Il 28 febbraio 2008, i richiedenti si sono opposti a simile scioglimento , mentre il Governo non ha formulato alcuna obiezione.
10. Il 27 maggio 2008, stimando che l’opposizione dei richiedenti soddisfaceva le condizioni enunciate all’articolo 72 § 2 dell’ordinamento, la camera ha deciso di non scioglersi.
11. Il 21 ottobre 2008, la camera ha adottato una sentenza sulla soddisfazione equa.
12. Il 30 ottobre 2008, i richiedenti hanno chiesto il rinvio della causa dinnanzi alla Grande Camera in virtù degli articoli 43 della Convenzione e 73 dell’ordinamento. Un collegio della Grande Camera ha accolto questa istanza il 26 gennaio 2009.
13. La composizione della Grande Camera è stata definita conformemente agli articoli 27 §§ 2 e 3 della Convenzione e 24 dell’ordinamento.
14. Tanto i richiedenti che il Governo hanno depositato un esposto sull’applicazione dell’articolo 41. Alcune osservazioni sono state ricevute anche dell’Unione forense per la tutela dei diritti dell’Uomo, che il presidente aveva autorizzato ad intervenire nel procedimento scritto (articoli 36 § 2 della Convenzione e 44 § 2 dell’ordinamento).
15. Un’udienza si è svolta in pubblico al Palazzo dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, il 17 giugno 2009, articolo 59 § 3 dell’ordinamento.
Sono comparsi:
-per il governo convenuto
Sig. Nicola Lettieri, coagente,
Sig. Giuseppe Albenzio, avvocato dello stato;

-per i richiedenti i
Sigg. Ng Pg, consigliere,
A. M., consigliera, G. P., assistente,.
La Corte ha ascoltato il Sig. Lettieri, Albenzio, i Sigg. P. e M. nelle loro dichiarazioni così come nelle loro risposte alle sue domande.
I. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
A. L’occupazione di emergenza di un terreno
16. In diritto italiano, il procedimento accelerato di espropriazione permette all’amministrazione di occupare un terreno e di costruire prima dell’espropriazione. Una volta dichiarato di utilità pubblica il lavoro da realizzare ed adottato il progetto di costruzione, l’amministrazione può decretare l’occupazione di emergenza delle zone da espropriare per una durata determinata che non supera cinque anni (articolo 20 della legge no 865 del 1971). Questo decreto diventa nullo se l’occupazione materiale del terreno non ha luogo nei tre mesi seguenti la sua promulgazione. Prima della fine del periodo di occupazione autorizzata, deve essere presa un’ordinanza di espropriazione formale.
17. L’occupazione autorizzata di un terreno dà diritto ad un’indennità di occupazione. La Corte costituzionale ha riconosciuto, nella sua sentenza no 470 del 1990, un diritto di accesso immediato ad un tribunale al fine di richiedere l’indennità di occupazione appena il terreno viene occupato materialmente, senza che sia necessario aspettare che l’amministrazione proceda ad un’offerta di indennizzo.
B. Il principio dell’espropriazione indiretta (“occupazione acquisitiva” o “accessione invertita”)
18. Negli anni 1970, parecchie amministrazioni locali procedettero ad occupazioni di emergenza di terreni che non furono seguite da ordinanze di espropriazione. Le giurisdizioni italiane si trovarono confrontate a casi in cui il proprietario di un terreno aveva perso de facto la disponibilità di questo in ragione dell’occupazione e del compimento dei lavori di costruzione di un lavoro pubblico. Restava da sapere se, semplicemente per effetto dei lavori effettuati, l’interessato aveva perso anche la proprietà del terreno.
1. La giurisprudenza prima della sentenza della Corte di cassazione no 1464 del 16 febbraio 1983
19. La giurisprudenza era molto divisa sul punto di sapere quali fossero illegalmente gli effetti della costruzione di un lavoro pubblico su un terreno occupato. Per occupazione illegale, bisogna intendere un’occupazione illegale ab initio, o un’occupazione inizialmente autorizzata e diventata in seguito senza titolo, essendo stato annullato il titolo o proseguendo l’occupazione al di là della scadenza autorizzata senza che un’ordinanza di espropriazione non sia intervenuta.
20. Secondo una prima giurisprudenza, il proprietario del terreno occupato dall’amministrazione non perdeva la proprietà del terreno dopo il completamento del lavoro pubblico. Tuttavia, non poteva chiedere una rimessa in stato del terreno e poteva impegnare unicamente un’azione per danno-interessi per occupazione abusiva, non sottoposta ad un termine di prescrizione poiché l’illegalità derivante dall’occupazione era permanente. L’amministrazione poteva adottare in ogni momento una decisione formale di espropriazione; in questo caso, l’azione per danno-interessi si trasformava in controversia riguardante l’indennità di espropriazione ed i danno-interessi erano dovuti solamente per il periodo anteriore al decreto di espropriazione per il non-godimento del terreno (vedere, tra altre, le sentenze della Corte di cassazione no 2341 del 1982, no 4741 del 1981, numeri 6452 e 6308 del 1980).
21. Secondo una seconda giurisprudenza, il proprietario del terreno occupato dall’amministrazione non perdeva la proprietà del terreno e poteva chiedere la rimessa in stato, quando l’amministrazione aveva agito senza che ci fosse stata utilità pubblica (vedere, per esempio, le sentenze della Corte di cassazione no 1578 di 1976 e no 5679 del 1980).
22. Secondo una terza giurisprudenza, il proprietario del terreno occupato dall’amministrazione perdeva automaticamente la proprietà nel momento della trasformazione irreversibile del bene, ossia nel momento del completamento del lavoro pubblico. L’interessato aveva il diritto di chiedere dei danno-interessi (vedere la sentenza della Corte di cassazione no 3243 del 1979).
2. La sentenza della Corte di cassazione no 1464 del 16 febbraio 1983
23. Con una sentenza del 16 febbraio 1983, la Corte di cassazione deliberando in camere riunite risolse il conflitto di giurisprudenza ed adottò la terza soluzione. Così fu consacrato il principio dell’espropriazione indiretta (accessione invertita od occupazione acquisitiva). In virtù di questo principio, il potere pubblico acquista ab origine la proprietà di un terreno senza procedere ad un’espropriazione formale quando, dopo l’occupazione, ed a prescindere dalla legalità di questa, il lavoro pubblico è stato realizzato. Quando l’occupazione è ab initio senza titolo, il trasferimento di proprietà ha luogo nel momento in cui il terreno viene trasformato irreversibilmente dal lavoro pubblico. Quando l’occupazione del terreno è stata inizialmente autorizzata, il trasferimento di proprietà ha luogo alla scadenza del periodo di occupazione autorizzata. Nella stessa sentenza, la Corte di cassazione precisò che, in ogni caso di espropriazione indiretta, l’interessato ha diritto ad un risarcimento integrale, avendo avuto luogo l’acquisizione del terreno senza titolo. Questo risarcimento non è versato tuttavia, automaticamente; incombe sull’interessato di richiedere dei danno-interessi. Inoltre, il diritto al risarcimento è abbinato al termine di prescrizione contemplato in caso di responsabilità da delitto, ossia cinque anni, che cominciano a decorrere nell momento della trasformazione irreversibile del terreno.
3. La giurisprudenza dopo la sentenza della Corte di cassazione no 1464 del 16 febbraio 1983
a) La prescrizione
24. In un primo tempo, la giurisprudenza considerava che nessun termine di prescrizione non si trovava ad applicare, poiché l’occupazione senza titolo del terreno costituiva un atto illegale continuo. La Corte di cassazione, nella sua sentenza no 1464 del 1983, affermò che il diritto al risarcimento era sottoposto ad un termine di prescrizione di cinque anni. In seguito, la prima sezione della Corte di cassazione giudicò che un termine di prescrizione di dieci anni doveva applicarsi (sentenze no 7952 del 1991 e no 10979 del 1992). Con una sentenza del 22 novembre 1992, la Corte di cassazione deliberando in camere riunite ha deciso definitivamente la questione, stimando che il termine di prescrizione era di cinque anni e che cominciava a decorrere nel momento della trasformazione irreversibile del terreno.
b) La sentenza della Corte costituzionale no 188 del 1995
25. In questa sentenza, la Corte costituzionale ha giudicato compatibile con la Costituzione il principio dell’espropriazione indiretta, nella misura in cui questo principio si è radicato in una disposizione legislativa, ossia l’articolo 2043 del codice civile che regola la responsabilità da delitto. Secondo questa sentenza, il fatto che l’amministrazione diventi proprietaria di un terreno traendo utile dal suo comportamento illegale non dà nessun problema sul piano costituzionale poiché l’interesse pubblico, ossia la conservazione del lavoro pubblico, prevale sull’interesse dell’individuo, e dunque sul diritto di proprietà di questo ultimo. La Corte costituzionale ha giudicato compatibile con la Costituzione l’applicazione all’azione per risarcimento del termine di prescrizione di cinque anni.
c) Caso di mancata applicazione del principio dell’espropriazione indiretta
26. Gli sviluppi della giurisprudenza mostrano che il meccanismo con cui la costruzione di un lavoro pubblico provoca il trasferimento di proprietà del terreno a favore dell’amministrazione conosce delle eccezioni.
27. Nella sua sentenza no 874 del 1996, il Consiglio di stato ha affermato che non c’è espropriazione indiretta quando le decisioni dell’amministrazione e l’ordinanza di occupazione di emergenza sono state annullate dalle giurisdizioni amministrative.
28. Nella sua sentenza no 1907 del 1997, la Corte di cassazione deliberando in camere riunite ha affermato che l’amministrazione non diventa proprietaria di un terreno quando le decisioni che ha adottato e la dichiarazione di utilità pubblica devono essere considerate come nulle ab initio. In questo caso, l’interessato mantiene la proprietà dal terreno e può chiedere la restitutio in integrum. Un’altra possibilità consiste per lui nel chiedere dei danno-interessi. L’illegalità in questi casi ha un carattere permanente e non trova applicazione nessun termine di prescrizione.
29. Nella sentenza no 6515 del 1997, la Corte di cassazione deliberando in camere riunite ha affermato che non c’è trasferimento di proprietà quando la dichiarazione di utilità pubblica è stata annullata dalle giurisdizioni amministrative. In questo caso, il principio dell’espropriazione indiretta non si trova dunque applicare. L’interessato che mantiene la proprietà dal terreno, ha la possibilità di chiedere la restitutio in integrum. L’introduzione di un’istanza di danno-interessi provoca una rinuncia alla restitutio in integrum. Il termine di prescrizione di cinque anni comincia a decorrere nel momento in cui la decisione del giudice amministrativo diventa definitiva.
30. Nella sentenza no 148 del 1998, la prima sezione della Corte di cassazione ha seguito la giurisprudenza delle camere riunite e ha affermato che il trasferimento di proprietà per effetto dell’espropriazione indiretta non ha luogo quando la dichiarazione di utilità pubblica alla quale il progetto di costruzione era abbinato è stata considerata come invalido ab initio.
31. Nella sentenza no 5902 del 2003, la Corte di cassazione in camere riunite ha riaffermato che non c’è trasferimento di proprietà in mancanza di dichiarazione di utilità pubblica valida.
32. Conviene confrontare questa giurisprudenza con la legge no 458 del 1988 ( paragrafi 33-34 sotto) e col Repertorio delle disposizioni sull’espropriazione, entrato in vigore il 30 giugno 2003 (paragrafi 43-44 sotto).
4. La legge no 458 del 27 ottobre 1988
33. Ai termini dell’articolo 3 di questa legge:
“Il proprietario di un terreno, utilizzato per la costruzione di edifici pubblici e di case popolari, ha diritto al risarcimento del danno subito, in seguito ad un’espropriazione dichiarata illegale da una decisione passata in giudicato, ma non può pretendere la restituzione del suo bene. Ha anche diritto, oltre al risarcimento del danno, alle somme dovute in ragione del deprezzamento monetario ed a quelle menzionate all’articolo 1224 § 2 del codice civile, e questo a contare dal giorno dell’occupazione illegale. “
34. Interpretando l’articolo 3 della legge di 1988, la Corte costituzionale, nella sua sentenza del 12 luglio 1990 (no 384), ha considerato:
“Con la disposizione attaccata, il legislatore, tra gli interessi dei proprietari dei terreni-ottenere in caso di espropriazione illegale la restituzione dei terreni-e l’interesse pubblico-concretizzato dalla destinazione di questi beni alle finalità di costruzioni residenziali pubbliche, a condizioni favorevoli o convenzionate-, ha dato la precedenza a questo ultimo interesse. “
5. L’importo del risarcimento in caso di espropriazione indiretta
35. Secondo la giurisprudenza del 1983 della Corte di cassazione in materia di espropriazione indiretta, un risarcimento integrale del danno subito, sotto forma di danno-interessi per la perdita del terreno, era dovuta all’interessato in compenso della perdita di proprietà che provocava l’occupazione illegale.
36. La legge di bilancio del 1992 (articolo 5 bis del decreto-legge no 333 dell’ 11 luglio 1992) modificò questa giurisprudenza, nel senso che l’importo dovuto in caso di espropriazione indiretta non poteva superare l’importo dell’indennità contemplata nel caso di un’espropriazione formale. Con la sentenza no 369 del 1996, la Corte costituzionale dichiarò incostituzionale questa disposizione.
37. In virtù della legge di bilancio no 662 del 1996 che seguì questa dichiarazione di incostituzionalità, l’indennizzo integrale non può essere accordato per un’occupazione di terreno che ha avuto luogo prima del 30 settembre 1996. Così, l’indennizzo equivale all’importo dell’indennità contemplata nel caso di un’espropriazione formale, nell’ipotesi più favorevole al proprietario, mediante una maggiorazione del 10%.
38. Con la sentenza no 148 del 30 aprile 1999, la Corte costituzionale ha giudicato tale indennità compatibile con la Costituzione. Tuttavia, nella stessa sentenza, la Corte ha precisato che un’indennità integrale, a concorrenza del valore venale del terreno, può essere richiesta quando l’occupazione e la privazione del terreno non hanno avuto luogo a causa di utilità pubblica.
6. La giurisprudenza dopo le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo del 30 maggio 2000 nelle cause Belvedere Alberghiera e Carbonara e Ventura
39. Con le sentenze numeri 5902 e 6853 del 2003, la Corte di cassazione in camere riunite si è pronunciata di nuovo sul principio dell’espropriazione indiretta, facendo riferimento alle sentenze Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia ( no 31524/96, CEDH 2000-VI) e Carbonara e Ventura c. Italia (no 24638/94, CEDH 2000-VI) della Corte europea dei diritti dell’uomo.
40. Alla vista della constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 operata in queste due cause, la Corte di cassazione ha affermato che il principio dell’espropriazione indiretta sostiene un ruolo importante nella cornice del sistema giuridico italiano e che è compatibile con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
41. Più specificamente, la Corte di cassazione-dopo avere analizzato la storia del principio dell’espropriazione indiretta -ha detto che alla visto dell’uniformità della giurisprudenza in materia, il principio in questione deve passare per pienamente “prevedibile” a contare dal 1983. Per questo fatto, l’espropriazione indiretta deve essere considerata come rispettosa del principio di legalità. Trattandosi delle occupazioni di terreno che hanno avuto luogo senza dichiarazione di utilità pubblica, la Corte di cassazione ha affermato che queste non sono atte a trasferire la proprietà del bene allo stato. In quanto all’indennizzo, la Corte ha detto che, anche se è inferiore al danno subito dall’interessato, ed in particolare al valore del terreno, l’indennizzo dovuto in caso di espropriazione indiretta è sufficiente per garantire un “giusto equilibrio” tra le esigenze dell’interesse generale della società e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo.
42. Investito di un ricorso per esecuzione di una decisione giudiziale definitiva che annullava la dichiarazione di utilità pubblica riguardante un procedimento di espropriazione, vista l’istanza della parte richiedente che tendeva all’ottenimento della restituzione del terreno occupato e trasformato nel frattempo, il Consiglio di stato, nella sua sentenza no 2/2005 del 29 aprile 2005 reso in seduta plenaria, si è pronunciato sul punto di sapere se la trasformazione irreversibile di suddetto terreno in seguito alla costruzione del lavoro “pubblico” poteva costituire una ragione di diritto tale da impedire la restituzione del terreno. Il Consiglio di stato ha risposto negativamente. Ciò facendo, ha:
a) riconosciuto che il principio giurisprudenziale dell’espropriazione indiretta è inadempiente in quanto al bisogno di sicurezza giuridica, per ciò che riguarda tra l’altro il punto di sapere in quale data il lavoro pubblico deve essere considerato come “realizzato” e dunque in quale data vi è stato trasferimento di proprietà a favore dello stato;
b) accolto la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ed in particolare la sentenza Belvedere Alberghiera Srl, affermando che, di fronte ad un’istanza di restituzione di un bene illegalmente occupato e trasformato, il lavoro realizzato dalle autorità pubbliche non può, in quanto tale, costituire un ostacolo assoluto alla restituzione;
c) interpretato l’articolo 43 del Repertorio (paragrafo 44 sotto) nel senso in cui la non-restituzione di un terreno può essere ammessa solamente in casi eccezionali, ossia quando l’amministrazione invoca un interesse pubblico particolarmente contrassegnato dalla conservazione del lavoro;
d) affermato, in questo contesto, che l’espropriazione indiretta non potrebbe costituire una soluzione che sostituisce (“una mera alternativa”) un procedimento di espropriazione in buona e dovuta forma.
7. Il Repertorio delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione a causa di utilità pubblica (“il Repertorio”)
43. Il 30 giugno 2003 è entrato in vigore il decreto presidenziale no 327 dell’ 8 giugno 2001, modificato dal decreto legislativo no 302 del 27 dicembre 2002, e che regola il procedimento di espropriazione. Il Repertorio codifica le disposizioni e la giurisprudenza esistenti in materia. In particolare, codifica il principio dell’espropriazione indiretta. Il Repertorio che non si applica ai casi di occupazione sopraggiunti anteriormente al 1996 e non è dunque applicabile nello specifico, si è sostituito, a partire dalla sua entrata in vigore, all’insieme della legislazione e della giurisprudenza precedente in materia di espropriazione.
44. Nel suo articolo 43, il Repertorio contempla che in mancanza di un’ordinanza di espropriazione, o in mancanza di dichiarazione di utilità pubblica, un terreno trasformato in seguito alla realizzazione di un lavoro pubblico viene acquisito dal patrimonio dell’autorità che l’ha trasformato; dei danno-interessi sono accordati in compenso. L’autorità può acquisire un bene anche quando il piano di urbanistica o la dichiarazione di utilità pubblica sono stati annullati. Il proprietario può chiedere al giudice la restituzione del terreno. L’autorità in causa si può opporre. Quando il giudice decide di non ordinare la restituzione del terreno, il proprietario ha diritto ad un risarcimento
8. Le sentenze della Corte costituzionale numeri 348 e 349 del 22 ottobre 2007
45. Con le sentenze numeri 348 e 349 del 22 ottobre 2007, la Corte costituzionale ha giudicato che la legge interna deve essere compatibile con la Convenzione nell’interpretazione data dalla giurisprudenza della Corte e, di conseguenza, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 5 bis del decreto-legge no 333 dell’ 11 luglio 1992, come modificato dalla legge no 662 del 1996.
46. La Corte Costituzionale, nella sentenza no 349, ha rilevato che il livello insufficiente di indennizzo previsto dalla legge del 1996 era contrario all’articolo 1 del Protocollo no 1 e di conseguenza all’articolo 117 della Costituzione italiana che contemplava il rispetto degli obblighi internazionali. Da questa sentenza, questa disposizione di legge non può più essere applicata nella cornice dei procedimenti nazionali ancora pendenti.
9. La legge finanziaria no 244 del 24 dicembre 2007
47. L’articolo 2/89 e, della legge finanziaria no 244 del 24 dicembre 2007 ha stabilito che in un caso di espropriazione indiretta il risarcimento deve corrispondere al valore venale dei beni, non essendo ammessa nessuna riduzione.
48. Questa disposizione è applicabile a tutti i procedimenti in corso al 1 gennaio 2008, salvo quelli in cui la decisione sull’indennità di espropriazione o sul risarcimento è stata accettata o è diventata definitiva.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNAZIONALE PERTINENTE
49. Secondo una regola di diritto internazionale generale emanato dalla Corte permanente di giustizia internazionale nella sentenza resa il 13 settembre 1928 nella causa relativa alla fabbrica di Chorzów (Causa relativa alla fabbrica di Chorzó ( domanda d’ indennità) (merito) Raccolta delle sentenze del CPJI, serie A no 17, c’è luogo di distinguere tra “espropriazione” e “confisca” su dei beni:
“L’atto della Polonia che la Corte ha giudicato essere contrario alla Convenzione di Ginevra, non è un’espropriazione alla quale sarebbe mancato, per essere legittima, solo il pagamento di un’indennità equa; è una confisca su dei beni, diritti ed interessi che non potevano essere espropriati anche contro indennità, salvo nelle condizioni eccezionali determinate dall’articolo 7 di suddetta Convenzione. Come la Corte ha constatato espressamente nella sua Sentenza no 8, il risarcimento è, nello specifico, la conseguenza non dell’applicazione degli articoli 6 a 22 della Convenzione di Ginevra, ma di atti che sono contrari alle disposizioni di questi articoli. “
50. Il tribunale arbitrale iraniano-americano ha operato la stessa distinzione nella causa Amoco International Finance Corporation (Amoco International Finance Corporation c. Iran, sentenza interlocutoria del 14 luglio 1987, Raccolta del tribunale arbitrale iraniano-americano (1987-II), § 192):
“(…) conviene distinguere nettamente tra espropriazioni lecite ed espropriazioni illecite, poiché le regole applicabili all’indennità che dovrà versare lo stato che ha proceduto all’espropriazione variano in funzione della qualifica giuridica dello spodestamento. “
51. In diritto internazionale generale, la “confisca” su dei beni, o l’ “espropriazione illecita”, da’ adito all’ applicazione dei seguenti principi (Causa relativa alla fabbrica di Chorzów):
“Ne segue che l’indennità dovuta necessariamente al Governo tedesco non è limitata al valore che aveva l’impresa al momento dello spodestamento, più gli interessi fino al giorno del pagamento. Questa limitazione sarebbe ammissibile solamente se il Governo polacco avesse avuto il diritto ad espropriare e solo se il suo torto si fosse ridotto a non avere pagato alle due Società il giusto prezzo delle cose espropriate; nel caso reale, potrebbe arrivare a porre la Germania e gli interessi protetti dalla Convenzione di Ginevra, e per cui il Governo tedesco ha preso fatto e causa, in una situazione più sfavorevole a quella in cui la Germania e questi interessi si sarebbero trovati se la Polonia avesse rispettato suddetta Convenzione. Una simile conseguenza sarebbe non solo iniqua, ma anche ed innanzitutto incompatibile con lo scopo previsto dagli articoli 6 e seguenti della Convenzione, addirittura la difesa, in principio, di liquidare dei beni, diritti ed interessi dei cittadini tedeschi e delle società controllate dai cittadini tedeschi in Alta – Slesia, perché equivarrebbe ad identificare la liquidazione lecita e lo spodestamento illecito per ciò che riguarda i loro effetti finanziari.
Il principio essenziale che deriva dalla nozione stessa di atto illecito e che sembra liberarsi dalla pratica internazionale, in particolare dalla giurisprudenza dei tribunali arbitrali, è che il risarcimento deve, per quanto possibile, cancellare tutte le conseguenze dell’atto illecito e ristabilire lo stato che sarebbe esistito verosimilmente se suddetto atto non fosse stato commesso. Restituzione in natura, o, se non è possibile, pagamento di una somma che corrisponde al valore che avrebbe la restituzione in natura; sussidio, se c’è luogo, di danno-interessi per le perdite subite e che non sarebbero coperte dalla restituzione in natura o il pagamento che ne prende il posto; tali sono i principi dai quali devono ispirarsi la determinazione all’importo dell’indennità dovuta a causa di un fatto contrario al diritto internazionale. “
52. La sentenza arbitrale resa il 19 gennaio 1977 nella causa California Asiatic Oil Company et Texaco Overseas Petroleum Company c. Repubblica araba della Libia ([1978] 17 International Legal Materials 1) non riguardava uno spodestamento nel senso rigoroso ma il ritiro di concessioni di sfruttamento di giacimenti di petrolio grezzo accordate da numerosi anni. In questa causa, l’arbitro unico ha considerato che le concessioni avevano un carattere contrattuale e che, nazionalizzando gli interessi delle società attrici, la Libia aveva denunciato in modo illecito degli obblighi che aveva contratto liberamente nell’esercizio della sua sovranità. Stimando che il principio della restitutio in integrum si trovava ad applicare, ha dichiarato che la Libia doveva eseguire pienamente i suoi obblighi contrattuali. La causa si è conclusa con una transazione ai termini della quale le società hanno potuto disporre di una quantità di petrolio grezzo corrispondente ad una somma determinata, ma non hanno ottenuto il ristabilimento dello statu quo ante.
53. L’articolo 35 del progetto degli articoli sulla responsabilità degli Stati, elaborato dalla Commissione del diritto internazionale delle Nazioni unite, ricorda il principio della restitutio in integrum in questi termini:
“Lo stato responsabile del fatto internazionalmente illecito ha l’obbligo di procedere alla restituzione che consiste nel ristabilimento della situazione che esisteva prima che il fatto illecito fosse stato commesso, quindi e per quanto tale restituzione:
a) non sia materialmente impossibile;
b) non imponga un carico fuori da ogni proporzione col vantaggio che deriverebbe della restituzione piuttosto che dell’indennizzo. “
54. L’articolo 36 di questo stesso progetto dispone:
“1. Lo stato responsabile del fatto internazionalmente illecito è tenuto ad indennizzare il danno causato da questo fatto nella misura in cui questo danno non viene riparato dalla restituzione.
(…) “
IN DIRITTO
55. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno patrimoniale
1. La sentenza della camera
56. Nella sua sentenza del 21 ottobre 2008, la camera ha proceduto ad un cambiamento improvviso di giurisprudenza concernente l’applicazione dell’articolo 41 nei casi di espropriazione indiretta. La camera, per sei voci contro una, ha:
-abbandonato il metodo abituale che consisteva nel basarsi sul valore commerciale attualizzato del terreno, aumentato del plusvalore portato dagli edifici edificati dall’espropriante;
-adottato un nuovo metodo fondato sul valore commerciale del bene in data in cui gli interessati hanno avuto la certezza giuridica di avere perso il loro diritto di proprietà, essendo aumentata la somma così ottenuta degli interessi dovuti al giorno dell’adozione della sentenza della Corte ed essendo diminuita eventualmente dell’indennità già ricevuta.
Ha giustificato il suo cambiamento improvviso con:
-il timore di introdurre delle disuguaglianze di trattamento tra i richiedenti in funzione della natura del lavoro pubblico costruito dall’amministrazione che non ha necessariamente legame col potenziale del terreno nella sua qualità originaria;
-la preoccupazione di non lasciare posto ad un margine di arbitrarietà;
-il rifiuto di assegnare all’indennizzo un scopo punitivo o dissuasivo a riguardo dello stato convenuto, al posto di una funzione compensatoria per il richiedente;
-la presa in conto del cambiamento della legislazione (legge finanziaria del 2007) intervenuto in seguito alle sentenze della Corte costituzionale numeri 348 e 349 del 22 ottobre 2007 e che prevedevano che in caso di espropriazione indiretta il risarcimento deve corrispondere al valore venale dei beni, nessuna riduzione essendo ammessa.
57. La Corte ha assegnato ai richiedenti 1 803 374 euro, EUR, per danno patrimoniale, 45 000 EUR per danno morale e 30 000 EUR per oneri e spese.
2. Tesi delle parti
a) I richiedenti
58. I richiedenti considerano che, per ciò riguarda la soddisfazione equa, la sentenza del 21 ottobre 2008 opera un cambiamento improvviso di giurisprudenza rispetto all’insieme delle cause di espropriazione illecita recentemente giudicate dalla Corte (Brumărescu c. Romania (soddisfazione equa) [GC], no 28342/95, CEDH 2001-I; Rusu ed altri c. Romania, no 4198/04, 19 luglio 2007; Vontas ed altri c. Grecia, no 43588/06, 5 febbraio 2009; Driza c. Albania, no 33771/02, CEDH 2007-XII) mentre il ratio decidendi al principale resta lo stesso. Se la Grande Camera decidesse di confermare la sentenza della camera, una nuova violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 si aggiungerebbe a quella già subita dai richiedenti in Italia.
59. Secondo i richiedenti, il nuovo approccio seguito dalla Corte nella sentenza del 21 ottobre 2008 avrebbe per effetto di annullare le differenze tra le espropriazioni lecite e le espropriazioni illecite, ed anche di “legalizzare” e “ratificare” la pratica italiana dell’espropriazione indiretta, ciò che incoraggerebbe delle violazioni “sistemiche” di tanto più attraenti per l’amministrazione in quanto i procedimenti per combatterle sono eccessivamente lunghi, vent’ anni a livello nazionale ed otto anni dinnanzi alla Corte. Per segnare l’importanza della differenza tra le espropriazioni lecite e le espropriazioni illecite, i richiedenti si riferiscono non solo alla giurisprudenza della Grande Camera (Ex-re di Grecia ed altri c. Grecia [GC], no 25701/94, CEDH 2000-XII) ma anche alla giurisprudenza di altri corsi ed istanze internazionali come la Corte permanente di giustizia internazionale o il Tribunale arbitrale iraniano-americano.
60. A questo proposito, i richiedenti fanno valere che le indennità di cui la Corte ordina il versamento alle vittime di una violazione della Convenzione rivestono, ai termini e secondo lo spirito dell’articolo 41, un carattere accessorio. Ogni volta che ciò è possibile, la Corte dovrebbe sforzarsi di ricollocare la vittima nello statu quo ante dunque. A questo riguardo, ricordano che il principio della restitutio in integrum trova la sua origine nella sentenza della Corte permanente di giustizia internazionale resa il 13 settembre 1928 nella causa relativa alla fabbrica di Chorzów, ed è stata considerata come il rimedio ideale per riparare delle violazioni di regole di diritto internazionale. Questo principio è stato del resto riaffermato dall’articolo 35 del progetto degli articoli sulla responsabilità degli Stati, elaborato dalla Commissione del diritto internazionale delle Nazioni unite, e dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Dimitrescu c. Romania, numeri 5629/03 e 3028/04, 3 giugno 2008; Fakiridou e Schina c. Grecia, no 6789/06, 14 novembre 2008; Katz c. Romania, no 29739/03, 20 gennaio 2009; Vontas ed altri, precitata; Bozcaada Kimisis Teodoku Rum Ortodoks Kilisesi Vakfı c. Turchia (no 2), nostri 37639/03, 37655/03, 26736/04 e 42670/04, 3 marzo 2009).
61. I richiedenti si riferiscono inoltre alla Risoluzione interinale CM/ResDH(2007)3 del Comitato dei Ministri del Consiglio dell’Europa concernente le violazioni sistemiche da parte dell’Italia del diritto di proprietà tramite delle “espropriazioni indirette”, testo che contempla l’obbligo per l’Italia di garantire la restitutio in integrum così come l’adozione di misure generali per mettere un termine ad ogni situazione continua e prevenire delle ulteriori violazioni simili.
62. Affermano che il metodo di risarcimento utilizzato dalla Corte fino alla sentenza del 21 ottobre 2008 non è sorgente di disuguaglianze di trattamento tra i richiedenti. A questo riguardo, fanno valere che il valore del terreno dipende dall’archiviazione del terreno che risulta dai piani dettagliati di urbanistica (piani di zona) adottati.
63. Per ciò che riguarda la preoccupazione della camera di evitare che il vecchio metodo di calcolo che teneva conto del valore degli immobili costruiti dall’amministrazione dopo l’espropriazione indiretta, non venga percepito come istituente una pratica di “indennità punitive”, i richiedenti sottolineano che basterebbe ordinare al Governo di procedere, in luogo e al posto del versamento di un’indennità monetaria, alla restituzione dei terreni controversi. I richiedenti non mancano di ricordare che, secondo il codice civile italiano, in materia di occupazione di terreni tra individui, quando l’occupante è in buona fede e il proprietario del lotto occupato non si oppone all’occupazione nei tre mesi, l’occupante è considerato come proprietario mediante il versamento di un’indennità equivalente a due volte il valore del terreno, aumentato di danno-interessi.
64. I richiedenti rilevano che la sentenza della Corte costituzionale no 349 del 22 ottobre 2007 e la legge finanziaria del 2007 a cui si riferisce la sentenza del 21 ottobre 2008 non può produrre nessuno effetto sulla loro situazione, perché le decisioni interne concernenti a loro sono passate in giudicato e la constatazione di violazione della Corte è anch’essa definitiva.
65. Peraltro, i richiedenti sostengono che, a causa del nuovo sistema di indennizzo, le somme concesse dalla Corte sono non solo inferiori a quelle che avrebbe assegnato se l’espropriazione fosse stata legittima, ma anche inferiori a quelle concesse in simili circostanze dalle giurisdizioni nazionali: da una parte, le indennità accordate dai giudici italiani non si limiterebbero al valore dei beni al momento dell’occupazione ma prenderebbero anche in conto il periodo, nello specifico sei anni, compreso tra il momento dell’occupazione ed il momento dell’espropriazione; dall’ altra parte, in caso di espropriazione legale, i tribunali avrebbero la possibilità di fissare l’indennità al 110% del valore del bene in caso di accordo tra gli interessati e le amministrazioni su suddetto valore. I richiedenti contestano inoltre il metodo di calcolo degli interessi che non terrebbe conto-contrariamente al metodo seguito a livello nazionale- della rivalutazione periodica dei beni.
66. Secondo i richiedenti, la Grande Camera avrebbe tre possibilità:
-confermare la giurisprudenza della Corte nelle cause italiane, ed in particolare la sentenza Scordino c. Italia (no 3) ((soddisfazione equa), no 43662/98, CEDH 2007-III;
-condannare lo stato italiano a restituire i terreni ed allo stesso tempo riconoscergli la possibilità di espropriarli tardivamente. Lo stato sarebbe costretto così a risarcire i richiedenti fino al momento dell’espropriazione così come a versare loro un’indennità di espropriazione ed una somma per indennizzarli della perdita dell’uso dei terreni;
-applicare, in caso di non-restituzione, il principio dell’aestimatio dupli secondo cui, quando l’occupante è in buona fede e il proprietario del lotto occupato non si oppone all’occupazione nei tre mesi, l’occupante è considerato come proprietario mediante il versamento di un’indennità equivalente a due volte il valore del terreno, aumentato di danno-interessi.
67. Riferendosi alla giurisprudenza consolidata della Corte, in particolare alla sentenza Scordino c. Italia, no 3, precitata, i richiedenti chiedono alla Corte di condannare lo stato convenuto a restituire loro i terreni così come a versare loro 2 703 849,98 EUR per la perdita di godimento di questi. A difetto di restituzione, i richiedenti chiedono 6 729 252 EUR, somma equivalente al valore dei terreni nel 2009, più il costo di costruzione degli immobili eretti dallo stato.
b) Il governo convenuto
68. Il Governo contesta l’applicazione che è stata fatta della giurisprudenza Papamichalopoulos ed altri c. Grecia ((articolo 50), 31 ottobre 1995, serie A no 330-B) alle cause italiane di espropriazione indiretta, e questo per parecchi motivi.
69. Primariamente, mentre nella causa greca l’occupazione dei terreni controversi da parte dello stato era fin dall’inizio priva di base legale, nelle cause italiane l’espropriazione indiretta ha luogo nella cornice di un procedimento di espropriazione legittima in sé che diventa illegale in seguito pure producendo al trasferimento di proprietà del bene sulla base di una giurisprudenza interna stabilita. Le giurisdizioni interne riconoscono l’illegalità della condotta dell’amministrazione, allo sguardo dell’articolo 2043 del codice civile, e dichiarano che un trasferimento di proprietà deve essere considerato come avente avuto luogo, a causa dell’esistenza, sul terreno controverso, del lavoro di utilità pubblica, e concedono all’individuo una somma a titolo di risarcimento. In più il Governo fa valere che dall’intervento della Corte Costituzionale (sentenza no 349/2007) e del legislatore (articolo 2 capoversi 89-90 della legge finanziaria del 2007) i proprietari espropriati possono ottenere un risarcimento corrispondente al valore intero del bene.
70. Secondariamente, nella causa Papamichalopoulos tutte le giurisdizioni investite di un’azione per rivendicazione avevano riconosciuto il titolo di proprietà senza che lo stato avesse offerto alcun compenso monetario, anche parziale. Nello specifico, in compenso, investite di un’azione per risarcimento, le giurisdizioni nazionali hanno dichiarato l’atto illegale pure formalizzando il trasferimento di proprietà ed indennizzando i proprietari spossessati. La presente causa si distingue anche dalla causa Papamichalopoulos per ciò che non riguarda un terreno che ha un “potenziale di sviluppo turistico” occupato senza nessuna base legale, ma dei terreni di dimensioni modeste privi di ogni interesse.
71. Il Governo contesta, inoltre, la distinzione fatta dalla Corte tra espropriazione legale e “confisca illegale”, così come le conseguenze che ne trae ai fini dalla valutazione del danno patrimoniale. Secondo lui, l’articolo 1 del Protocollo no 1 non stabilisce alcuna gerarchia tra differenti tipi di trasgressioni e non autorizza dunque la concessione di una soddisfazione equa superiore in funzione all’”illegalità” dell’ingerenza.
72. L’adozione del “criterio della confisca” potrebbe nuocere anche alla sicurezza giuridica nella giurisprudenza della Corte, come mostrerebbe il paragone tra le cause italiane di espropriazione indiretta ed un gruppo di cause turche (I.R.S. ed altri, 20 luglio 2004; Kadriye Yıldız ed altri, 10 ottobre 2006; Börekçioğulları (Cökmez) ed altri, 19 ottobre 2006; Ari ed altri, 3 aprile 2007) in cui il danno patrimoniale è stato calcolato diversamente malgrado le similitudini con le prime.
73. Il Governo sostiene che in applicazione del giurisprudenza Papamichalopoulos (sentenza precitata), il valore reale del bene controverso non è il risultato dell’attualizzazione del suo valore iniziale secondo le percentuali di deprezzamento della moneta, ma dell’applicazione di criteri soggettivi, non prevedibili, incerti ed aleatori. L’attualizzazione ignorerebbe il principio che vuole che un’indennità si calcoli rispetto al valore del bene in data dell’avvenimento controverso e che le vicissitudini negative o positive non potrebbero giocare nessuno ruolo. Il metodo utilizzato dalla Corte fino qui presumerebbe sistematicamente che esiste un danno ulteriore a causa del non-godimento del bene controverso e che questo danno non è compensato sufficientemente dalla attualizzazione del valore del bene ed il pagamento degli interessi, e questo anche in mancanza di ogni principio di prova. La Corte valuta automaticamente questo danno ulteriore alla quota del valore al lordo dei lavori realizzati dallo stato aggiungendolo al valore attualizzato del terreno. Ciò costituisce un arricchimento senza causa a profitto dei richiedenti. Il Governo stima che questa soluzione non è conforme alla giurisprudenza della Corte permanente di giustizia internazionale ed alla pratica nazionale degli Stati membri, e che inoltre introduce delle disuguaglianze di trattamento tra i richiedenti, in funzione della natura del lavoro pubblico realizzato.
74. Secondo il Governo, se si procede così il proprietario ottiene gratuitamente il valore positivo di un investimento che lo stato ha realizzato e pagato al suo posto. Ciò non si giustifica, secondo lui, sul piano giuridico. A questo riguardo, si riferisce peraltro alle regole di diritto civile in materia di accesso alla proprietà che sono in vigore in Italia (articoli 934 e 936 del codice civile italiano) e che contemplano in materia di occupazione di terreni tra individui che, quando l’occupante è in buona fede e che il proprietario del lotto occupato non si oppone all’occupazione nei tre mesi, l’occupante è considerato come proprietario mediante il versamento di un’indennità equivalente a due volte il valore del terreno, aumentato di danno-interessi.
75. Per di più, il Governo ricorda che la Corte si è dichiarata incompetente in materia di danno risultante da una sottovalutazione dei terreni espropriati o delle perdite collaterali all’espropriazione (Lallement c. Francia (soddisfazione equa), no 46044/99, 12 giugno 2003).
76. Il Governo fa valere che i richiedenti hanno modificato a più riprese le loro pretese: nella loro richiesta introduttiva, hanno chiesto la differenza tra il valore venale del bene e la somma ottenuta a livello nazionale; nelle loro osservazioni sulla soddisfazione equa, dopo la sentenza sul merito, hanno sollecitato più di quindici milioni di euro a titolo del danno patrimoniale; dinnanzi alla Grande Camera, chiedono sei milioni di euro. In più, i richiedenti che sono comproprietari dei terreni, secondo una quota di 29/360, non hanno mai chiesto la restituzione dei terreni né a livello nazionale, né nel formulario di richiesta alla Corte.
77. Il Governo rileva che, tenuto conto del fatto che sui terreni controversi un lavoro di utilità pubblica è stato realizzato dall’amministrazione con le risorse derivate dai contributi fiscali, la restituzione non è più possibile. Il solo problema che si pone riguarda la qualità della correzione, tenuto conto del fatto che il risarcimento previsto dalla legge no 662 del 1996 non era alla quota del valore pieno ed intero dei beni.
78. Il Governo stima che il nuovo approccio adottato dalla Corte nella sua sentenza del 21 ottobre 2008 è conforme alle esigenze della Convenzione e non deve essere rimesso in causa. Il risarcimento del danno patrimoniale deve essere alla quota del valore venale del bene al momento del giudizio nazionale dichiarante che gli interessati hanno perso la proprietà del loro bene, questo valore essendo calcolato sulla base delle perizie d’ ufficio effettuate durante il procedimento nazionale. Questo approccio permetterebbe di restituire alla causa Papamichalopoulos, precitata, il suo carattere di causa singolare, non suscettibile di essere trasposta in modo generale, di modulare meglio i criteri di determinazione del danno patrimoniale nelle cause di attentato alla proprietà, di migliorare l’armonizzazione di questi criteri coi fondamenti economici del diritto e le regole riconosciute negli Stati membri, di evitare delle disuguaglianze di trattamento, ed infine di garantire la coerenza e la prevedibilità della giurisprudenza.
79. Il Governo combatte anche la tesi della parte intervenuta. In primo luogo, fa valere che la cessione volontaria di un bene può essere conclusa dopo la dichiarazione di utilità pubblica e finché il decreto di espropriazione non è stato emesso, e che la maggiorazione del 10% dell’indennità è accordata anche se la cessione non ha avuto luogo a causa di un fatto non imputabile alla persona privata. In secondo luogo, sottolinea che l’espropriazione indiretta non impedisce alla persona privata di accettare la cessione volontaria del bene, dato che la cessione può essere conclusa anche in mancanza di ordinanza di espropriazione. In compenso, come la parte intervenuta, il Governo è del parere che la gravità più o meno grande della violazione ha un’incidenza sul danno morale ma non sul danno patrimoniale.
80. In conclusione, il Governo prega la Corte di confermare la sentenza della camera del 21 ottobre 2008. Tuttavia, in quanto alla computazione del danno patrimoniale, sostiene che il risultato al quale la camera è giunta è il frutto di un errore di calcolo. Perciò, chiede alla Corte di limitare a 900 000 EUR la somma da concedere ai richiedenti.
c) Il terzo intervenuto
81. Secondo il terzo intervenuto (paragrafo 14 sopra) il nuovo approccio della Corte che tende ad annullare le differenze tra le espropriazioni lecite e le espropriazioni illecite è incompatibile coi principi in materia di risarcimento e di soddisfazione equa che si liberano dalla giurisprudenza della Corte, così come con le altre regole pertinenti di diritto internazionale applicabili nelle relazioni tra le parti (articolo 31 § 3 c) della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati). Il fatto di trattare in modo identico delle situazioni intrinsecamente differenti sarebbe irragionevole e costituirebbe una violazione del principio di uguaglianza dinnanzi alla legge.
82. Come i richiedenti, il terzo intervenuto nota che, nel sistema giuridico italiano, in caso di espropriazione lecita i tribunali hanno la possibilità di fissare l’indennità al 110% del valore del bene se c’è accordo tra gli interessati e le amministrazioni su suddetto valore. A questo riguardo, fa valere che questo vantaggio non si applica in caso di espropriazione illecita a scapito dei proprietari espropriati.
83. In quanto all’entrata in vigore della nuova legge finanziaria del 2007, che prevedeva che l’indennità di espropriazione per un terreno edificabile dovesse corrispondere al valore venale del bene, il terzo intervenuto ricorda che i proprietari espropriati sono tenuti illecitamente a pagare un’imposta del 20% sulle somme che percepiscono a titolo di risarcimento. Lo stato trae dunque un vantaggio indebito da un’illegalità di cui è lui stesso responsabile. In più, il terzo intervenuto stima che il principio di sussidiarietà implica l’obbligo per lo stato di adattare il suo proprio sistema giuridico alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, e non l’inverso.
84. Conformemente alla giurisprudenza internazionale, la Grande Camera dovrebbe riaffermare il principio secondo cui il risarcimento deve cancellare per quanto possibile tutte le conseguenze dell’atto illecito e dovrebbe ristabilire la situazione di fatto e di diritto che sarebbe esistita verosimilmente se suddetto atto non fosse stato commesso.
85. Trattandosi dei criteri da adoperare per la determinazione del danno ai sensi dell’articolo 41, il terzo intervenuto considera che dovrebbero soddisfare le esigenze di uniformità, di semplicità, di chiarezza e di prevedibilità. In particolare, questi criteri dovrebbero essere atti a creare un mezzo di dissuasione seria ed efficace che permetta di evitare la ripetizione di comportamenti illeciti dello stesso genere, senza per questo avere uno scopo punitivo.
86. A difetto di una restituzione in natura, il valore pecuniario dei terreni dovrebbe essere calcolato tenuto conto del valore dei beni al momento del primo giudizio che fa applicazione del principio dell’espropriazione indiretta. A questa somma, rivalutata ed abbinata ad interessi, dovrebbe essere aggiunto inoltre l’equivalente dell’importo che i richiedenti dovrebbero pagare a titolo di imposta, secondo la legge no 431 del 1991.
87. Per ciò che riguarda i danni ulteriori, il terzo intervenuto sostiene che i richiedenti dovrebbero beneficiare di una maggiorazione del 10% del valore dei terreni, corrispondente alla somma alla quale avrebbero avuto diritto in caso di cessione volontaria del bene. In più, i richiedenti dovrebbero vedersi rimborsare tutti gli oneri sostenuti dinnanzi alle giurisdizioni interne.
88. Il danno morale dovrebbe essere valutato in particolare tenuto conto del lasso di tempo trascorso tra il momento dell’occupazione senza titolo ed il primo giudizio che faceva applicazione del principio dell’espropriazione indiretta.
89. In conclusione, il terzo intervenuto chiede alla Grande Camera di riconoscere un danno morale più importante alle vittime di un’espropriazione indiretta rispetto alle vittime di un’espropriazione legittima.
3. La valutazione della Grande Camera
90. Così come la Corte ha detto in parecchie occasioni, una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico di mettere un termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire tanto quanto fare si può la situazione anteriore a questa (Iatridis c. Grecia (soddisfazione equa) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI). Gli Stati contraenti parti ad una causa sono in principio liberi di scegliere i mezzi che utilizzeranno per conformarsi ad una sentenza della Corte che constata una violazione. Questo potere di valutazione in quanto alle modalità di esecuzione di una sentenza traduce la libertà di scelta a cui è abbinato l’obbligo fondamentale imposto dalla Convenzione agli Stati contraenti: garantire il rispetto dei diritti e delle libertà garantiti (articolo 1). Se la natura della violazione permette una restitutio in integrum, incombe sullo stato convenuto di realizzarla,non avendo la Corte né la competenza né la possibilità pratica di compierla lei stessa. Se in compenso il diritto nazionale non permette , o permette solamente imperfettamente, di cancellare le conseguenze della violazione, l’articolo 41 abilita la Corte ad accordare, se c’è luogo, alla parte lesa la soddisfazione che le sembra appropriata (Brumărescu precitata).
91. Nella sua sentenza al principale, la Corte ha detto che l’ingerenza controversa non soddisfaceva la condizione di legalità (paragrafi 93-97). L’atto dello stato convenuto che la Corte ha ritenuto per contrario alla Convenzione non era nello specifico un’espropriazione che sarebbe stata legittima se un’indennità adeguata fosse stata versata; al contrario, si trattava di una confisca dello stato sui terreni dei richiedenti (paragrafi 94-95 della sentenza al principale).
92. A questo riguardo, la Corte ha rilevato che, il 14 luglio 1997, il tribunale di Nuoro aveva preso nota della situazione di illegalità e dichiarato i richiedenti privati dei loro beni a favore dell’occupante (paragrafo 94 della sentenza al principale). In esecuzione di questo giudizio, confermato il 17 luglio 2003, i richiedenti hanno ricevuto il 25 marzo 1998, a titolo di risarcimento, 970 746 447 lire italiane ciascuno, circa 501 349 EUR. Trattandosi dell’indennità, la Corte ha constatato che l’applicazione retroattiva della legge di bilancio no 662 del 1996 al caso specifico aveva avuto per effetto di privare i richiedenti di un risarcimento integrale del danno subito (paragrafo 95 della sentenza al principale).
93. Risulta chiaramente da questi elementi che la Corte ha considerato lo statuto di “vittima” dei richiedenti per giungere poi alla constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Eckle c. Germania, 15 luglio 1982, §§ 69 e segue, serie A no 51; Amuur c. Francia, 25 giugno 1996, § 36, Raccolta 1996-III; Dalban c. Romania [GC], no 28114/95, § 44, CEDH 1999-VI; Jensen c. Danimarca, (dec.), no 48470/99, CEDH 2001-X). I richiedenti sono peraltro, sempre “vittime”, essendo rimasta immutata la loro situazione dalla pronunzia della sentenza al principale.
94. Inoltre, la Corte constata che, in ogni caso, l’espropriazione indiretta tende ad interinare una situazione di fatto derivante dalle illegalità commesse dall’amministrazione e permette così a questa ultima di trarre utile dal suo comportamento illegale.
95. Pertanto, la Corte riafferma l’impossibilità di mettere sullo stesso piano l’espropriazione regolare e l’espropriazione indiretta che sono in causa nello specifico.
96. La Corte nota che in principio la restituzione dei terreni porrebbe i richiedenti, per quanto possibile, in una situazione equivalente a quella in cui si troverebbero se le esigenze dell’articolo 1 del Protocollo no 1 non fossero state ignorate. Tuttavia, nello specifico, tenuto conto del fatto che i richiedenti non hanno mai chiesto la restituzione dei terreni dinnanzi alle giurisdizioni nazionali e per il fatto che simile restituzione non è del resto possibile, la Corte stima di dovere assegnare agli interessati un’indennità corrispondente al valore pieno ed intero dei terreni.
97. Prima di esaminare gli argomenti delle parti, fondati sull’applicazione del giurisprudenza Papamichalopoulos (causa precitata), la Corte giudica opportuno ricordare la genesi ed il fondamento della sentenza Papamichalopoulos, ed il modo in cui questa giurisprudenza è stata applicata in pratica nelle cause italiane di espropriazione indiretta.
1. Riassunto della giurisprudenza
98. In materia di privazione arbitraria di beni, la Corte “ha iniziato” la sua giurisprudenza con la sentenza Papamichalopoulos ed altri c. Grecia ((articolo 50), serie A no 330-B). Ha deciso che lo stato convenuto doveva versare agli interessati, per danno e perdita di godimento da “usurpazione” da parte delle autorità dei loro terreni, una somma equivalente al valore reale di questi aumentata del plusvalore portato dagli edifici costruiti.
99. Fondando il suo ragionamento sui principi stabiliti dalla Corte permanente di giustizia internazionale (paragrafo 50 sopra) la Corte ha concluso nella causa Papamichalopoulos ed altri ad una violazione in ragione di un’espropriazione di fatto illegale, occupazione di terre da parte della marina greca dal 1967 che durava da più di venticinque anni in data della sentenza al principale resa il 24 giugno 1993. Ha ingiunto perciò allo stato greco di versare ai richiedenti, per danno e perdita di godimento dalla presa di possesso da parte delle autorità di questi terreni, una somma equivalente al valore reale dei terreni aumentata del plusvalore portato dall’esistenza di certi edifici che erano stati edificati dall’occupazione.
100. Questa giurisprudenza è stata seguita nelle sentenze Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia ((soddisfazione equa), no 31524/96, 30 ottobre 2003) e Carbonara e Ventura c. Italia ((soddisfazione equa), no 24638/94, 11 dicembre 2003) che riguardavano tutte e due, come la presente causa, dei casi di spodestamento illecito.
A difetto di restituzione dei terreni, la Corte ha assegnato a titolo del danno patrimoniale delle somme che prendevano in considerazione il valore reale dei beni allo sguardo del mercato immobiliare al momento dell’adozione della sua sentenza. Inoltre, ha cercato di compensare le perdite subite che non sarebbero state coperte dal versamento di questo importo, tenendo conto del potenziale del terreno in causa, calcolato a partire dal costo di costruzione degli immobili eretti dallo stato.
Questa giurisprudenza è stata interinata dalla Grande Camera nella sentenza Scordino c. Italia (no 1) ([GC], no 36813/97, §§ 250-254, CEDH 2006-V).
101. Le sentenze Scordino c. Italia (no 3), precitata, e Pasculli c. Italia ((soddisfazione equa), no 36818/97, 4 dicembre 2007) hanno seguito ed applicato questa giurisprudenza. In caso di spodestamento illecito di un bene, la Corte ha ricordato che l’indennizzo doveva riflettere l’idea di una cancellazione totale delle conseguenze dell’ingerenza dello stato. Ha osservato che la natura della violazione constatata nella sentenza al principale le permetteva di partire dal principio di una restitutio in integrum e che, concretamente, la restituzione dei terreni controversi, ivi compresi gli edifici esistenti, avrebbe posto i richiedenti in una situazione che equivaleva il più possibile a quella in cui si sarebbero trovati se non ci fosse stata trasgressione delle esigenze dell’articolo 1 del Protocollo no 1. La Corte ha deciso che in mancanza di restituzione, lo stato doveva versare una somma corrispondente al valore reale del terreno, aumentato di una somma a titolo del plusvalore portato dalla presenza di edifici, agli interessati.
2. Sull’opportunità di un’evoluzione della giurisprudenza
102. Come la camera, la Grande Camera stima che l’applicazione del giurisprudenza Papamichalopoulos alle cause di espropriazione indiretta può in sé arrivare a delle anomalie.
In primo luogo, la Corte ricorda che a differenza della situazione nella causa Papamichalopoulos, dove tutte le giurisdizioni avevano riconosciuto il titolo di proprietà a favore dei richiedenti (Papamichalopoulos precitata, § 33) senza che lo stato avesse offerto alcun compenso monetario, anche parziale, nel caso specifico i richiedenti hanno perso la proprietà in seguito alla costruzione di lavori pubblici, e non hanno chiesto, nel procedimento interno, la restituzione di suddetti beni.
In secondo luogo, nella causa sopra si trattava di un terreno occupato senza nessuna base legale, mentre nella presente causa i terreni sono stati occupati secondo un procedimento di emergenza e sulla base di una dichiarazione di utilità pubblica, ai fini della costruzione di abitazioni ad affitto moderato e di centri ricreativi.
103. La Corte è del parere che le specificità della causa Papamichalopoulos rende inadatta l’applicazione dei principi che vi vengono emanati alle cause di espropriazione indiretta. Pure riconoscendo che i richiedenti hanno diritto al valore pieno ed intero dei beni, la Corte stima da una parte, che la data da prendere in considerazione per valutare il danno patrimoniale non deve essere quella della pronunzia della sentenza della Corte ma quella della perdita di proprietà dei terreni. Difatti, il primo approccio potrebbe lasciare posto ad un margine di incertezza, addirittura di arbitrarietà.
Dall’altra parte, secondo la Corte la computazione automatica delle perdite subite dai richiedenti alla quota del valore al lordo dei lavori realizzati dallo stato non si giustifica. Questo metodo può introdurre delle disuguaglianze di trattamento tra i richiedenti in funzione della natura del lavoro pubblico costruito dall’amministrazione che non ha necessariamente legame col potenziale del terreno nella sua qualità originaria. Per di più, questo metodo di risarcimento assegna all’indennizzo per danno patrimoniale un scopo punitivo o dissuasivo a riguardo dello stato convenuto, al posto di una funzione compensatoria per i richiedenti.
104. La Grande Camera giudica opportuno adottare un nuovo approccio , tenuto conto anche degli sviluppi intervenuti in diritto interno (paragrafi 44 e 45 sopra) e della presa in conto da parte delle giurisdizioni nazionali della giurisprudenza della Corte nell’ambito del diritto di proprietà. Stima che i nuovi principi fissati nella presente sentenza possono essere applicati dalle giurisdizioni italiane nelle controversie che hanno o dovranno decidere.
105. In questo contesto e per queste ragioni, la Corte decide di allontanare le pretese dei richiedenti nella misura in cui sono fondate sul valore dei terreni in data della sentenza della Corte e di non tenere più conto, per valutare il danno patrimoniale, del costo di costruzione degli immobili costruiti dallo stato sui terreni. Inoltre, contrariamente alla soluzione considerata dalla camera nella sua sentenza del 21 ottobre 2008, la Grande Camera stima che per valutare il valore venale dei terreni, c’è luogo di riferirsi al giudizio del tribunale di Nuoro del 14 luglio 1997 secondo cui i richiedenti hanno perso la proprietà di una parte dei loro terreni nel 1982 ed un’altra parte nel 1983 (paragrafo 16 della sentenza al principale). Come risulta dalle perizie ordinate dal tribunale ed effettuate durante il procedimento nazionale, suddetto valore corrisponde a 1 298 363 349 ITL, o 670 549 EUR, importo che, peraltro, non è stato oggetto di un appello dinnanzi alle giurisdizioni italiane.
Dato che il carattere adeguato di un risarcimento rischia di sminuire se il pagamento di questo fa astrazione di elementi suscettibili di ridurne il valore, come lo scorrimento di un lasso di tempo considerevole (Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Gr

Testo Tradotto

Conclusion Dommage matériel – réparation ; Préjudice moral – réparation
GRANDE CHAMBRE
AFFAIRE GUISO-GALLISAY c. ITALIE
(Requête no 58858/00)
ARRÊT
(Satisfaction équitable)
STRASBOURG
22 décembre 2009
Cet arrêt est définitif. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Guiso-Gallisay c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme, siégeant en une Grande Chambre composée de :
Jean-Paul Costa, président,
Josep Casadevall,
Corneliu Bîrsan,
Karel Jungwiert,
Vladimiro Zagrebelsky,
Elisabeth Steiner,
Lech Garlicki,
Elisabet Fura,
Khanlar Hajiyev,
Dean Spielmann,
Dragoljub Popović,
Isabelle Berro-Lefèvre,
Päivi Hirvelä,
George Nicolaou,
Luis López Guerra,
Mirjana Lazarova Trajkovska,
Nona Tsotsoria, juges,
et de Vincent Berger, jurisconsulte,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil les 17 juin et 2 décembre 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette dernière date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 58858/00) dirigée contre la République italienne et dont trois ressortissants de cet Etat, M. S. G.-G., M. G. F. G.-G. et Mme A. G.-G. (« les requérants »), ont saisi la Cour le 7 avril 2000 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Par un arrêt du 8 décembre 2005 (« l’arrêt au principal »), la Cour a jugé que l’ingérence dans le droit au respect des biens des requérants n’était pas compatible avec le principe de légalité et que, partant, il y avait eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 (Guiso-Gallisay c. Italie, no 58858/00, §§ 96-97, et point 2 du dispositif, 8 décembre 2005).
3. S’appuyant sur l’article 41 de la Convention, les requérants réclamaient une somme correspondant à la valeur des terrains litigieux, déduction faite de l’indemnité obtenue au plan national, et augmentée de la valeur des immeubles construits sur leurs terrains. Ils demandaient également une somme au titre du remboursement de l’impôt à la source, auquel avaient été soumises les sommes reconnues par le tribunal de Nuoro le 14 juillet 1997. Ils sollicitaient en outre une indemnité pour dommage moral. Enfin, ils demandaient le remboursement des frais de justice engagés devant les juridictions nationales et des frais exposés devant la Cour européenne.
4. La question de l’application de l’article 41 de la Convention ne se trouvant pas en état, la chambre l’a réservée et a invité le Gouvernement et les requérants à lui soumettre par écrit, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt deviendrait définitif, leurs observations sur ladite question et notamment à lui donner connaissance de tout accord auquel ils pourraient aboutir (ibidem, § 108 et point 3 du dispositif).
5. Le délai fixé pour permettre aux parties de parvenir à un accord amiable est échu sans que les parties n’aboutissent à un tel accord. Les requérants ont déposé des observations, lesquelles ont été transmises au Gouvernement.
6. Le 9 octobre 2006, le président de la chambre, auquel la suite de la procédure avait été confiée (point 3 c) du dispositif de l’arrêt au principal), a décidé de demander aux parties de nommer chacune un expert chargé d’évaluer le préjudice matériel et de déposer un rapport d’expertise avant le 4 janvier 2007.
7. Lesdits rapports d’expertise ont été déposés dans le délai imparti.
8. Le 22 janvier 2008, la chambre a communiqué aux parties son intention de se dessaisir au profit de la Grande Chambre (articles 72 § 2 du règlement et 30 de la Convention).
9. Le 28 février 2008, les requérants se sont opposés à pareil dessaisissement, tandis que le Gouvernement n’a pas formulé d’objections.
10. Le 27 mai 2008, estimant que l’opposition des requérants satisfaisait aux conditions énoncées à l’article 72 § 2 du règlement, la chambre a décidé de ne pas se dessaisir.
11. Le 21 octobre 2008, la chambre a adopté un arrêt sur la satisfaction équitable.
12. Le 30 octobre 2008, les requérants ont demandé le renvoi de l’affaire devant la Grande Chambre en vertu des articles 43 de la Convention et 73 du règlement. Un collège de la Grande Chambre a accueilli cette demande le 26 janvier 2009.
13. La composition de la Grande Chambre a été arrêtée conformément aux articles 27 §§ 2 et 3 de la Convention et 24 du règlement.
14. Tant les requérants que le Gouvernement ont déposé un mémoire sur l’application de l’article 41. Des observations ont également été reçues de l’Unione forense per la tutela dei diritti dell’Uomo, que le président avait autorisée à intervenir dans la procédure écrite (articles 36 § 2 de la Convention et 44 § 2 du règlement).
15. Une audience s’est déroulée en public au Palais des droits de l’homme, à Strasbourg, le 17 juin 2009 (article 59 § 3 du règlement).
Ont comparu :
– pour le gouvernement défendeur
M. Nicola Lettieri, coagent,
Me Giuseppe Albenzio, avocat de l’Etat ;

– pour les requérants
Mes Nicolò Paoletti, conseil,
Alessandra Mari, conseillère,
Ginevra Paoletti, assistante.
La Cour a entendu M. Lettieri, Me Albenzio, Mes P. et M. en leurs déclarations ainsi qu’en leurs réponses à ses questions.
I. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
A. L’occupation d’urgence d’un terrain
16. En droit italien, la procédure accélérée d’expropriation permet à l’administration d’occuper un terrain et d’y construire avant l’expropriation. Une fois l’ouvrage à réaliser déclaré d’utilité publique et le projet de construction adopté, l’administration peut décréter l’occupation d’urgence des zones à exproprier pour une durée déterminée n’excédant pas cinq ans (article 20 de la loi no 865 de 1971). Ce décret devient caduc si l’occupation matérielle du terrain n’a pas lieu dans les trois mois suivant sa promulgation. Avant la fin de la période d’occupation autorisée, un arrêté d’expropriation formelle doit être pris.
17. L’occupation autorisée d’un terrain donne droit à une indemnité d’occupation. La Cour constitutionnelle a reconnu, dans son arrêt no 470 de 1990, un droit d’accès immédiat à un tribunal aux fins de réclamer l’indemnité d’occupation dès que le terrain est matériellement occupé, sans qu’il soit nécessaire d’attendre que l’administration procède à une offre d’indemnisation.
B. Le principe de l’expropriation indirecte (« occupazione acquisitiva » ou « accessione invertita »)
18. Dans les années 1970, plusieurs administrations locales procédèrent à des occupations d’urgence de terrains qui ne furent pas suivies d’arrêtés d’expropriation. Les juridictions italiennes se trouvèrent confrontées à des cas où le propriétaire d’un terrain avait perdu de facto la disponibilité de celui-ci en raison de l’occupation et de l’accomplissement de travaux de construction d’un ouvrage public. Restait à savoir si, simplement par l’effet des travaux effectués, l’intéressé avait perdu également la propriété du terrain.
1. La jurisprudence avant l’arrêt de la Cour de cassation no 1464 du 16 février 1983
19. La jurisprudence était très partagée sur le point de savoir quels étaient les effets de la construction d’un ouvrage public sur un terrain occupé illégalement. Par occupation illégale, il faut entendre une occupation illégale ab initio, ou bien une occupation initialement autorisée et devenue sans titre par la suite, le titre ayant été annulé ou bien l’occupation se poursuivant au-delà de l’échéance autorisée sans qu’un arrêté d’expropriation ne soit intervenu.
20. Selon une première jurisprudence, le propriétaire du terrain occupé par l’administration ne perdait pas la propriété du terrain après l’achèvement de l’ouvrage public. Toutefois, il ne pouvait pas demander une remise en l’état du terrain et pouvait uniquement engager une action en dommages-intérêts pour occupation abusive, non soumise à un délai de prescription puisque l’illégalité découlant de l’occupation était permanente. L’administration pouvait à tout moment adopter une décision formelle d’expropriation ; dans ce cas, l’action en dommages-intérêts se transformait en litige portant sur l’indemnité d’expropriation et les dommages-intérêts n’étaient dus que pour la période antérieure au décret d’expropriation pour la non-jouissance du terrain (voir, entre autres, les arrêts de la Cour de cassation no 2341 de 1982, no 4741 de 1981, nos 6452 et 6308 de 1980).
21. Selon une deuxième jurisprudence, le propriétaire du terrain occupé par l’administration ne perdait pas la propriété du terrain et pouvait demander la remise en l’état, lorsque l’administration avait agi sans qu’il y ait utilité publique (voir, par exemple, les arrêts de la Cour de cassation no 1578 de 1976 et no 5679 de 1980).
22. Selon une troisième jurisprudence, le propriétaire du terrain occupé par l’administration perdait automatiquement la propriété au moment de la transformation irréversible du bien, à savoir au moment de l’achèvement de l’ouvrage public. L’intéressé avait le droit de demander des dommages-intérêts (voir l’arrêt de la Cour de cassation no 3243 de 1979).
2. L’arrêt de la Cour de cassation no 1464 du 16 février 1983
23. Par un arrêt du 16 février 1983, la Cour de cassation statuant en chambres réunies résolut le conflit de jurisprudence et adopta la troisième solution. Ainsi fut consacré le principe de l’expropriation indirecte (accessione invertita ou occupazione acquisitiva). En vertu de ce principe, la puissance publique acquiert ab origine la propriété d’un terrain sans procéder à une expropriation formelle lorsque, après l’occupation, et indépendamment de la légalité de celle-ci, l’ouvrage public a été réalisé. Lorsque l’occupation est ab initio sans titre, le transfert de propriété a lieu au moment où le terrain est irréversiblement transformé par l’ouvrage public. Lorsque l’occupation du terrain a initialement été autorisée, le transfert de propriété a lieu à l’échéance de la période d’occupation autorisée. Dans le même arrêt, la Cour de cassation précisa que, dans tous les cas d’expropriation indirecte, l’intéressé a droit à une réparation intégrale, l’acquisition du terrain ayant eu lieu sans titre. Toutefois, cette réparation n’est pas versée automatiquement ; il incombe à l’intéressé de réclamer des dommages-intérêts. En outre, le droit à réparation est assorti du délai de prescription prévu en cas de responsabilité délictuelle, à savoir cinq ans, commençant à courir au moment de la transformation irréversible du terrain.
3. La jurisprudence après l’arrêt de la Cour de cassation no 1464 du 16 février 1983
a) La prescription
24. Dans un premier temps, la jurisprudence considérait qu’aucun délai de prescription ne trouvait à s’appliquer, puisque l’occupation sans titre du terrain constituait un acte illégal continu. La Cour de cassation, dans son arrêt no 1464 de 1983, affirma que le droit à réparation était soumis à un délai de prescription de cinq ans. Par la suite, la première section de la Cour de cassation jugea qu’un délai de prescription de dix ans devait s’appliquer (arrêts no 7952 de 1991 et no 10979 de 1992). Par un arrêt du 22 novembre 1992, la Cour de cassation statuant en chambres réunies a définitivement tranché la question, estimant que le délai de prescription est de cinq ans et qu’il commence à courir au moment de la transformation irréversible du terrain.
b) L’arrêt de la Cour constitutionnelle no 188 de 1995
25. Dans cet arrêt, la Cour constitutionnelle a jugé compatible avec la Constitution le principe de l’expropriation indirecte, dans la mesure où ce principe est ancré dans une disposition législative, à savoir l’article 2043 du code civil régissant la responsabilité délictuelle. Selon cet arrêt, le fait que l’administration devienne propriétaire d’un terrain en tirant bénéfice de son comportement illégal ne pose aucun problème sur le plan constitutionnel puisque l’intérêt public, à savoir la conservation de l’ouvrage public, l’emporte sur l’intérêt du particulier, et donc sur le droit de propriété de ce dernier. La Cour constitutionnelle a jugé compatible avec la Constitution l’application à l’action en réparation du délai de prescription de cinq ans.
c) Cas de non-application du principe de l’expropriation indirecte
26. Les développements de la jurisprudence montrent que le mécanisme par lequel la construction d’un ouvrage public entraîne le transfert de propriété du terrain au bénéfice de l’administration connaît des exceptions.
27. Dans son arrêt no 874 de 1996, le Conseil d’Etat a affirmé qu’il n’y a pas d’expropriation indirecte lorsque les décisions de l’administration et l’arrêté d’occupation d’urgence ont été annulés par les juridictions administratives.
28. Dans son arrêt no 1907 de 1997, la Cour de cassation statuant en chambres réunies a affirmé que l’administration ne devient pas propriétaire d’un terrain lorsque les décisions qu’elle a adoptées et la déclaration d’utilité publique doivent être considérées comme nulles ab initio. Dans ce cas, l’intéressé garde la propriété du terrain et peut demander la restitutio in integrum. Une autre possibilité consiste pour lui à demander des dommages-intérêts. L’illégalité dans ces cas a un caractère permanent et aucun délai de prescription ne trouve application.
29. Dans l’arrêt no 6515 de 1997, la Cour de cassation statuant en chambres réunies a affirmé qu’il n’y a pas de transfert de propriété lorsque la déclaration d’utilité publique a été annulée par les juridictions administratives. Dans ce cas, le principe de l’expropriation indirecte ne trouve donc pas à s’appliquer. L’intéressé, qui garde la propriété du terrain, a la possibilité de demander la restitutio in integrum. L’introduction d’une demande en dommages-intérêts entraîne une renonciation à la restitutio in integrum. Le délai de prescription de cinq ans commence à courir au moment où la décision du juge administratif devient définitive.
30. Dans l’arrêt no 148 de 1998, la première section de la Cour de cassation a suivi la jurisprudence des chambres réunies et affirmé que le transfert de propriété par effet de l’expropriation indirecte n’a pas lieu lorsque la déclaration d’utilité publique à laquelle le projet de construction était assorti a été considérée comme invalide ab initio.
31. Dans l’arrêt no 5902 de 2003, la Cour de cassation en chambres réunies a réaffirmé qu’il n’y a pas de transfert de propriété en l’absence de déclaration d’utilité publique valide.
32. Il convient de comparer cette jurisprudence avec la loi no 458 de 1988 (paragraphes 33-34 ci-dessous) et avec le Répertoire des dispositions sur l’expropriation, entré en vigueur le 30 juin 2003 (paragraphes 43-44 ci-dessous).
4. La loi no 458 du 27 octobre 1988
33. Aux termes de l’article 3 de cette loi :
« Le propriétaire d’un terrain, utilisé pour la construction de bâtiments publics et de logements sociaux, a droit à la réparation du dommage subi, à la suite d’une expropriation déclarée illégale par une décision passée en force de chose jugée, mais ne peut prétendre à la restitution de son bien. Il a également droit, en plus de la réparation du dommage, aux sommes dues en raison de la dépréciation monétaire et à celles mentionnées à l’article 1224 § 2 du code civil, et ceci à compter du jour de l’occupation illégale. »
34. Interprétant l’article 3 de la loi de 1988, la Cour constitutionnelle, dans son arrêt du 12 juillet 1990 (no 384), a considéré :
« Par la disposition attaquée, le législateur, entre l’intérêt des propriétaires des terrains – obtenir en cas d’expropriation illégale la restitution des terrains – et l’intérêt public – concrétisé par la destination de ces biens à des finalités de constructions résidentielles publiques, à des conditions favorables ou conventionnées –, a donné la priorité à ce dernier intérêt. »
5. Le montant de la réparation en cas d’expropriation indirecte
35. Selon la jurisprudence de 1983 de la Cour de cassation en matière d’expropriation indirecte, une réparation intégrale du préjudice subi, sous forme de dommages-intérêts pour la perte du terrain, était due à l’intéressé en contrepartie de la perte de propriété qu’entraîne l’occupation illégale.
36. La loi budgétaire de 1992 (article 5 bis du décret-loi no 333 du 11 juillet 1992) modifia cette jurisprudence, dans le sens que le montant dû en cas d’expropriation indirecte ne pouvait dépasser le montant de l’indemnité prévue pour le cas d’une expropriation formelle. Par l’arrêt no 369 de 1996, la Cour constitutionnelle déclara inconstitutionnelle cette disposition.
37. En vertu de la loi budgétaire no 662 de 1996, qui fit suite à cette déclaration d’inconstitutionnalité, l’indemnisation intégrale ne peut être accordée pour une occupation de terrain ayant eu lieu avant le 30 septembre 1996. Ainsi, l’indemnisation équivaut au montant de l’indemnité prévue pour le cas d’une expropriation formelle, dans l’hypothèse la plus favorable au propriétaire, moyennant une majoration de 10 %.
38. Par l’arrêt no 148 du 30 avril 1999, la Cour constitutionnelle a jugé une telle indemnité compatible avec la Constitution. Toutefois, dans le même arrêt, la Cour a précisé qu’une indemnité intégrale, à concurrence de la valeur vénale du terrain, peut être réclamée lorsque l’occupation et la privation du terrain n’ont pas eu lieu pour cause d’utilité publique.
6. La jurisprudence après les arrêts de la Cour européenne des droits de l’homme du 30 mai 2000 dans les affaires Belvedere Alberghiera et Carbonara et Ventura
39. Par les arrêts nos 5902 et 6853 de 2003, la Cour de cassation en chambres réunies s’est à nouveau prononcée sur le principe de l’expropriation indirecte, en faisant référence aux arrêts Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italie (no 31524/96, CEDH 2000-VI) et Carbonara et Ventura c. Italie (no 24638/94, CEDH 2000-VI) de la Cour européenne des droits de l’homme.
40. Au vu du constat de violation de l’article 1 du Protocole no 1 opéré dans ces deux affaires, la Cour de cassation a affirmé que le principe de l’expropriation indirecte joue un rôle important dans le cadre du système juridique italien et qu’il est compatible avec la Convention européenne des droits de l’homme.
41. Plus spécifiquement, la Cour de cassation – après avoir analysé l’histoire du principe de l’expropriation indirecte – a dit qu’au vu de l’uniformité de la jurisprudence en la matière, le principe en question doit passer pour pleinement « prévisible » à compter de 1983. De ce fait, l’expropriation indirecte doit être considérée comme étant respectueuse du principe de légalité. S’agissant des occupations de terrain ayant lieu sans déclaration d’utilité publique, la Cour de cassation a affirmé que celles-ci ne sont pas aptes à transférer la propriété du bien à l’Etat. Quant à l’indemnisation, la Cour a dit que, même si elle est inférieure au préjudice subi par l’intéressé, et notamment à la valeur du terrain, l’indemnisation due en cas d’expropriation indirecte est suffisante pour garantir un « juste équilibre » entre les exigences de l’intérêt général de la société et les impératifs de la sauvegarde des droits fondamentaux de l’individu.
42. Saisi d’un recours en exécution d’une décision judiciaire définitive annulant la déclaration d’utilité publique concernant une procédure d’expropriation, vu la demande de la partie requérante tendant à l’obtention de la restitution du terrain entre-temps occupé et transformé, le Conseil d’Etat, dans son arrêt no 2/2005 du 29 avril 2005 rendu en séance plénière, s’est prononcé sur le point de savoir si la transformation irréversible dudit terrain à la suite de la construction de l’ouvrage « public » pouvait constituer une raison de droit empêchant la restitution du terrain. Le Conseil d’Etat a répondu par la négative. Ce faisant, il a :
a) reconnu que le principe jurisprudentiel de l’expropriation indirecte est défaillant quant au besoin de sécurité juridique, en ce qui concerne entre autres le point de savoir à quelle date l’ouvrage public doit être considéré comme « réalisé » et donc à quelle date il y a eu transfert de propriété au bénéfice de l’Etat ;
b) salué la jurisprudence de la Cour européenne des droits de l’homme, et notamment l’arrêt Belvedere Alberghiera Srl, en affirmant que, face à une demande en restitution d’un bien illégalement occupé et transformé, l’ouvrage réalisé par les autorités publiques ne peut pas, en tant que tel, constituer un obstacle absolu à la restitution ;
c) interprété l’article 43 du Répertoire (paragraphe 44 ci-dessous) dans le sens où la non-restitution d’un terrain ne peut être admise que dans des cas exceptionnels, à savoir lorsque l’administration invoque un intérêt public particulièrement marqué à la conservation de l’ouvrage ;
d) affirmé, dans ce contexte, que l’expropriation indirecte ne saurait constituer une solution remplaçant (« una mera alternativa ») une procédure d’expropriation en bonne et due forme.
7. Le Répertoire des dispositions législatives et réglementaires en matière d’expropriation pour cause d’utilité publique (« le Répertoire »)
43. Le 30 juin 2003 est entré en vigueur le décret présidentiel no 327 du 8 juin 2001, modifié par le décret législatif no 302 du 27 décembre 2002, et qui régit la procédure d’expropriation. Le Répertoire codifie les dispositions et la jurisprudence existantes en la matière. En particulier, il codifie le principe de l’expropriation indirecte. Le Répertoire, qui ne s’applique pas aux cas d’occupation survenus antérieurement à 1996 et n’est donc pas applicable en l’espèce, s’est substitué, à partir de son entrée en vigueur, à l’ensemble de la législation et de la jurisprudence précédente en matière d’expropriation.
44. En son article 43, le Répertoire prévoit qu’en l’absence d’un arrêté d’expropriation, ou en l’absence de déclaration d’utilité publique, un terrain transformé à la suite de la réalisation d’un ouvrage public est acquis au patrimoine de l’autorité qui l’a transformé ; des dommages-intérêts sont accordés en contrepartie. L’autorité peut acquérir un bien même lorsque le plan d’urbanisme ou la déclaration d’utilité publique ont été annulés. Le propriétaire peut demander au juge la restitution du terrain. L’autorité en cause peut s’y opposer. Lorsque le juge décide de ne pas ordonner la restitution du terrain, le propriétaire a droit à un dédommagement
8. Les arrêts de la Cour constitutionnelle nos 348 et 349 du 22 octobre 2007
45. Par les arrêts nos 348 et 349 du 22 octobre 2007, la Cour constitutionnelle a jugé que la loi interne doit être compatible avec la Convention dans l’interprétation donnée par la jurisprudence de la Cour et, par conséquent, a déclaré inconstitutionnel l’article 5 bis du décret-loi no 333 du 11 juillet 1992, tel que modifié par la loi no 662 de 1996.
46. La Cour Constitutionnelle, dans l’arrêt no 349, a relevé que le niveau insuffisant d’indemnisation prévu par la loi de 1996 était contraire à l’article 1 du Protocole no 1 et par conséquent à l’article 117 de la Constitution italienne, lequel prévoit le respect des obligations internationales. Depuis cet arrêt, cette disposition de loi ne peut plus être appliquée dans le cadre des procédures nationales encore pendantes.
9. La loi de finances no 244 du 24 décembre 2007
47. L’article 2/89 e) de la loi de finances no 244 du 24 décembre 2007 a établi que dans un cas d’expropriation indirecte le dédommagement doit correspondre à la valeur vénale des biens, aucune réduction n’étant admise.
48. Cette disposition est applicable à toutes les procédures en cours au 1er janvier 2008, sauf celles où la décision sur l’indemnité d’expropriation ou bien sur le dédommagement a été acceptée ou est devenue définitive.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNATIONAUX PERTINENTS
49. Selon une règle de droit international général dégagée par la Cour permanente de justice internationale dans l’arrêt rendu le 13 septembre 1928 en l’affaire relative à l’usine de Chorzów (Affaire relative à l’usine de Chorzów (demande en indemnité) (fond), Recueil des arrêts de la CPJI, série A no 17), il y a lieu de distinguer entre « expropriation » et « mainmise » sur des biens :
« L’acte de la Pologne que la Cour a jugé être contraire à la Convention de Genève, n’est pas une expropriation à laquelle n’aurait manqué, pour être légitime, que le paiement d’une indemnité équitable ; c’est une mainmise sur des biens, droits et intérêts qui ne pouvaient être expropriés même contre indemnité, sauf dans les conditions exceptionnelles déterminées par l’article 7 de ladite Convention. Comme la Cour l’a expressément constaté dans son Arrêt no 8, la réparation est, en l’espèce, la conséquence non pas de l’application des articles 6 à 22 de la Convention de Genève, mais d’actes qui sont contraires aux dispositions de ces articles. »
50. Le tribunal arbitral irano-américain a opéré la même distinction dans l’affaire Amoco International Finance Corporation (Amoco International Finance Corporation c. Iran, sentence interlocutoire du 14 juillet 1987, Recueil du tribunal arbitral irano-américain (1987-II), § 192) :
« (…) il convient de distinguer nettement entre expropriations licites et expropriations illicites, puisque les règles applicables à l’indemnité que devra verser l’Etat ayant procédé à l’expropriation varient en fonction de la qualification juridique de la dépossession. »
51. En droit international général, la « mainmise » sur des biens, ou l’« expropriation illicite », donne lieu à l’application des principes suivants (Affaire relative à l’usine de Chorzów) :
« Il s’ensuit que l’indemnité due au Gouvernement allemand n’est pas nécessairement limitée à la valeur qu’avait l’entreprise au moment de la dépossession, plus les intérêts jusqu’au jour du paiement. Cette limitation ne serait admissible que si le Gouvernement polonais avait eu le droit d’exproprier et que si son tort se réduisait à n’avoir pas payé aux deux Sociétés le juste prix des choses expropriées ; dans le cas actuel, elle pourrait aboutir à placer l’Allemagne et les intérêts protégés par la Convention de Genève, et pour lesquels le Gouvernement allemand a pris fait et cause, dans une situation plus défavorable que celle dans laquelle l’Allemagne et ces intérêts se trouveraient si la Pologne avait respecté ladite Convention. Une pareille conséquence serait non seulement inique, mais aussi et avant tout incompatible avec le but visé par les articles 6 et suivants de la Convention, voire la défense, en principe, de liquider des biens, droits et intérêts des ressortissants allemands et des sociétés contrôlées par des ressortissants allemands en Haute-Silésie, car elle équivaudrait à identifier la liquidation licite et la dépossession illicite en ce qui concerne leurs effets financiers.
Le principe essentiel, qui découle de la notion même d’acte illicite et qui semble se dégager de la pratique internationale, notamment de la jurisprudence des tribunaux arbitraux, est que la réparation doit, autant que possible, effacer toutes les conséquences de l’acte illicite et rétablir l’état qui aurait vraisemblablement existé si ledit acte n’avait pas été commis. Restitution en nature, ou, si elle n’est pas possible, paiement d’une somme correspondant à la valeur qu’aurait la restitution en nature ; allocation, s’il y a lieu, de dommages-intérêts pour les pertes subies et qui ne seraient pas couvertes par la restitution en nature ou le paiement qui en prend la place ; tels sont les principes desquels doit s’inspirer la détermination du montant de l’indemnité due à cause d’un fait contraire au droit international. »
52. La sentence arbitrale rendue le 19 janvier 1977 en l’affaire California Asiatic Oil Company et Texaco Overseas Petroleum Company c. République arabe de Libye ([1978] 17 International Legal Materials 1) ne portait pas sur une dépossession au sens strict mais sur le retrait de concessions d’exploitation de gisements de pétrole brut accordées depuis de nombreuses années. Dans cette affaire, l’arbitre unique a considéré que les concessions avaient un caractère contractuel et que, en nationalisant les intérêts des sociétés demanderesses, la Libye avait dénoncé de manière illicite des obligations qu’elle avait librement contractées dans l’exercice de sa souveraineté. Estimant que le principe de la restitutio in integrum trouvait à s’appliquer, il a déclaré que la Libye devait exécuter pleinement ses obligations contractuelles. L’affaire s’est terminée par une transaction aux termes de laquelle les sociétés ont pu disposer d’une quantité de pétrole brut correspondant à une somme déterminée, mais n’ont pas obtenu le rétablissement du statu quo ante.
53. L’article 35 du projet d’articles sur la responsabilité des Etats, élaboré par la Commission du droit international des Nations unies, rappelle le principe de la restitutio in integrum en ces termes :
« L’Etat responsable du fait internationalement illicite a l’obligation de procéder à la restitution consistant dans le rétablissement de la situation qui existait avant que le fait illicite ne soit commis, dès lors et pour autant qu’une telle restitution :
a) n’est pas matériellement impossible ;
b) n’impose pas une charge hors de toute proportion avec l’avantage qui dériverait de la restitution plutôt que de l’indemnisation. »
54. L’article 36 de ce même projet dispose :
« 1. L’Etat responsable du fait internationalement illicite est tenu d’indemniser le dommage causé par ce fait dans la mesure où ce dommage n’est pas réparé par la restitution.
(…) »
EN DROIT
55. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage matériel
1. L’arrêt de la chambre
56. Dans son arrêt du 21 octobre 2008, la chambre a procédé à un revirement de jurisprudence concernant l’application de l’article 41 dans les cas d’expropriation indirecte. La chambre, par six voix contre une, a :
– abandonné la méthode habituelle consistant à se fonder sur la valeur marchande actualisée du terrain, augmentée de la plus-value apportée par les bâtiments édifiés par l’expropriant ;
– adopté une méthode nouvelle fondée sur la valeur marchande du bien à la date à laquelle les intéressés ont eu la certitude juridique d’avoir perdu leur droit de propriété, la somme ainsi obtenue étant majorée des intérêts dus au jour de l’adoption de l’arrêt de la Cour et minorée de l’indemnité éventuellement déjà reçue.
Elle a justifié son revirement par :
– la crainte d’introduire des inégalités de traitement entre les requérants en fonction de la nature de l’ouvrage public bâti par l’administration, qui n’a pas nécessairement de lien avec le potentiel du terrain dans sa qualité originaire ;
– le souci de ne pas laisser place à une marge d’arbitraire ;
– le refus d’attribuer à l’indemnisation un but punitif ou dissuasif à l’égard de l’Etat défendeur, au lieu d’une fonction compensatoire pour le requérant ;
– la prise en compte du changement de législation (loi de finances de 2007) intervenu à la suite des arrêts de la Cour constitutionnelle nos 348 et 349 du 22 octobre 2007 et prévoyant qu’en cas d’expropriation indirecte le dédommagement doit correspondre à la valeur vénale des biens, aucune réduction n’étant admise.
57. La Cour a alloué aux requérants 1 803 374 euros (EUR) pour dommage matériel, 45 000 EUR pour dommage moral et 30 000 EUR pour frais et dépens.
2. Thèses des parties
a) Les requérants
58. Les requérants considèrent que, pour ce qui est de la satisfaction équitable, l’arrêt du 21 octobre 2008 opère un revirement de jurisprudence par rapport à l’ensemble des affaires d’expropriation illicite récemment jugées par la Cour (Brumărescu c. Roumanie (satisfaction équitable) [GC], no 28342/95, CEDH 2001-I ; Rusu et autres c. Roumanie, no 4198/04, 19 juillet 2007 ; Vontas et autres c. Grèce, no 43588/06, 5 février 2009 ; Driza c. Albanie, no 33771/02, CEDH 2007-XII), alors que la ratio decidendi au principal reste la même. Si la Grande Chambre décidait de confirmer l’arrêt de la chambre, une nouvelle violation de l’article 1 du Protocole no 1 s’ajouterait à celle déjà subie par les requérants en Italie.
59. Selon les requérants, la nouvelle approche suivie par la Cour dans l’arrêt du 21 octobre 2008 aurait pour effet d’annuler les différences entre expropriations licites et expropriations illicites, et même de « légaliser » et « ratifier » la pratique italienne de l’expropriation indirecte, ce qui encouragerait des violations « systémiques » d’autant plus attrayantes pour l’administration que les procédures pour les combattre sont excessivement longues (vingt ans au niveau national et huit ans devant la Cour). Pour marquer l’importance de la différence entre expropriations licites et expropriations illicites, les requérants se réfèrent non seulement à la jurisprudence de la Grande Chambre (Ex-roi de Grèce et autres c. Grèce [GC], no 25701/94, CEDH 2000-XII), mais également à la jurisprudence d’autres cours et instances internationales telles que la Cour permanente de justice internationale ou le Tribunal arbitral irano-américain.
60. A ce propos, les requérants font valoir que les indemnités dont la Cour ordonne le versement aux victimes d’une violation de la Convention revêtent, aux termes et selon l’esprit de l’article 41, un caractère subsidiaire. Chaque fois que cela est possible, la Cour devrait donc s’efforcer de replacer la victime dans le statu quo ante. A cet égard, ils rappellent que le principe de la restitutio in integrum trouve son origine dans l’arrêt de la Cour permanente de justice internationale rendu le 13 septembre 1928 en l’Affaire relative à l’usine de Chorzów, et a été considéré comme étant le remède idéal pour réparer des violations de règles du droit international. Ce principe a du reste été réaffirmé par l’article 35 du projet d’articles sur la responsabilité des États, élaboré par la Commission du droit international des Nations unies, et par la jurisprudence de la Cour européenne des droits de l’homme (Dimitrescu c. Roumanie, nos 5629/03 et 3028/04, 3 juin 2008 ; Fakiridou et Schina c. Grèce, no 6789/06, 14 novembre 2008 ; Katz c. Roumanie, no 29739/03, 20 janvier 2009 ; Vontas et autres, précité ; Bozcaada Kimisis Teodoku Rum Ortodoks Kilisesi Vakfı c. Turquie (no 2), nos 37639/03, 37655/03, 26736/04 et 42670/04, 3 mars 2009).
61. Les requérants se réfèrent en outre à la Résolution intérimaire CM/ResDH(2007)3 du Comité des Ministres du Conseil de l’Europe concernant les violations systémiques par l’Italie du droit de propriété par le biais des « expropriations indirectes », texte qui prévoit l’obligation pour l’Italie d’assurer la restitutio in integrum ainsi que l’adoption de mesures générales pour mettre un terme à toute situation continue et prévenir des violations similaires ultérieures.
62. Ils affirment que la méthode de dédommagement utilisée par la Cour jusqu’à l’arrêt du 21 octobre 2008 n’est pas source d’inégalités de traitement entre les requérants. A cet égard, ils font valoir que la valeur du terrain dépend du classement du terrain qui ressort des plans détaillés d’urbanisme (piani di zona) adoptés.
63. En ce qui concerne le souci de la chambre d’éviter que l’ancienne méthode de calcul, qui tient compte de la valeur des immeubles construits par l’administration après l’expropriation indirecte, ne soit perçue comme instituant une pratique d’« indemnités punitives », les requérants soulignent qu’il suffirait d’ordonner au Gouvernement de procéder, en lieu et place du versement d’une indemnité monétaire, à la restitution des terrains litigieux. Les requérants ne manquent pas de rappeler que, selon le code civil italien, en matière d’occupation de terrains entre particuliers, lorsque l’occupant est de bonne foi et que le propriétaire du lot occupé ne s’oppose pas à l’occupation dans les trois mois, l’occupant est considéré comme propriétaire moyennant le versement d’une indemnité équivalente à deux fois la valeur du terrain, majorée de dommages-intérêts.
64. Les requérants relèvent que l’arrêt de la Cour constitutionnelle no 349 du 22 octobre 2007 et la loi de finances de 2007 auxquels se réfère l’arrêt du 21 octobre 2008 ne peuvent produire aucun effet sur leur situation, car les décisions internes les concernant ont acquis force de chose jugée et le constat de violation de la Cour est lui aussi définitif.
65. Par ailleurs, les requérants soutiennent que, du fait du nouveau système d’indemnisation, les sommes octroyées par la Cour sont non seulement inférieures à celles qu’elle aurait allouées si l’expropriation avait été légitime, mais aussi inférieures à celles octroyées en de pareilles circonstances par les juridictions nationales : d’une part, les indemnités accordées par les juges italiens ne se limiteraient pas à la valeur des biens au moment de l’occupation mais prendraient également en compte la période (en l’espèce six ans) comprise entre le moment de l’occupation et le moment de l’expropriation ; d’autre part, en cas d’expropriation légale, les tribunaux auraient la possibilité de fixer l’indemnité à 110 % de la valeur du bien en cas d’accord entre les intéressés et l’administration sur ladite valeur. Les requérants contestent en outre la méthode de calcul des intérêts, qui ne tiendrait pas compte – contrairement à la méthode suivie au niveau national – de la réévaluation périodique des biens.
66. Selon les requérants, la Grande Chambre aurait trois possibilités :
– confirmer la jurisprudence de la Cour dans les affaires italiennes, et en particulier l’arrêt Scordino c. Italie (no 3) ((satisfaction équitable), no 43662/98, CEDH 2007-III) ;
– condamner l’Etat italien à restituer les terrains et en même temps lui reconnaître la possibilité de les exproprier tardivement. L’Etat serait ainsi contraint de dédommager les requérants jusqu’au moment de l’expropriation ainsi qu’à leur verser une indemnité d’expropriation et une somme pour les indemniser de la perte d’usage des terrains ;
– appliquer, en cas de non-restitution, le principe de l’aestimatio dupli selon lequel, lorsque l’occupant est de bonne foi et que le propriétaire du lot occupé ne s’oppose pas à l’occupation dans les trois mois, l’occupant est considéré comme propriétaire moyennant le versement d’une indemnité équivalente à deux fois la valeur du terrain, majorée de dommages-intérêts.
67. Se référant à la jurisprudence constante de la Cour, en particulier à l’arrêt Scordino c. Italie (no 3) précité, les requérants demandent à la Cour de condamner l’Etat défendeur à leur restituer les terrains ainsi qu’à leur verser 2 703 849,98 EUR pour la perte de jouissance de ceux-ci. A défaut de restitution, les requérants demandent 6 729 252 EUR, somme équivalente à la valeur des terrains en 2009, plus le coût de construction des immeubles érigés par l’Etat.
b) Le gouvernement défendeur
68. Le Gouvernement conteste l’application qui a été faite de la jurisprudence Papamichalopoulos et autres c. Grèce ((article 50), 31 octobre 1995, série A no 330-B) aux affaires italiennes d’expropriation indirecte, et ce pour plusieurs motifs.
69. Premièrement, alors que dans l’affaire grecque l’occupation des terrains litigieux par l’Etat était dès le début dépourvue de base légale, dans les affaires italiennes l’expropriation indirecte a lieu dans le cadre d’une procédure d’expropriation légitime en soi, qui devient illégale par la suite tout en produisant le transfert de propriété sur la base d’une jurisprudence interne bien établie. Les juridictions internes reconnaissent l’illégalité de la conduite de l’administration (au regard de l’article 2043 du code civil) et déclarent qu’un transfert de propriété doit être considéré comme ayant eu lieu (à cause de l’existence, sur le terrain litigieux, de l’ouvrage d’utilité publique), et octroient au particulier une somme à titre de dédommagement. De plus le Gouvernement fait valoir que depuis l’intervention de la Cour Constitutionnelle (arrêt no 349/2007) et du législateur (article 2 alinéas 89-90 de la loi de finances de 2007), les propriétaires expropriés peuvent obtenir un dédommagement correspondant à la valeur entière du bien.
70. Deuxièmement, dans l’affaire Papamichalopoulos toutes les juridictions saisies d’une action en revendication avaient reconnu le titre de propriété sans que l’Etat eût offert de compensation monétaire, même partielle. En l’espèce, en revanche, saisies d’une action en réparation, les juridictions nationales ont déclaré l’acte illégal tout en formalisant le transfert de propriété et en indemnisant les propriétaires dépossédés. La présente affaire se distingue également de l’affaire Papamichalopoulos en ce qu’elle ne concerne pas un terrain ayant un « potentiel de développement touristique » occupé sans aucune base légale, mais des terrains de dimensions modestes dénués de tout intérêt.
71. Le Gouvernement conteste, en outre, la distinction faite par la Cour entre expropriation légale et « mainmise illégale », ainsi que les conséquences qu’elle en tire aux fins de l’évaluation du dommage matériel. Selon lui, l’article 1 du Protocole no 1 n’établit pas de hiérarchie entre différents types de manquements et n’autorise donc pas l’octroi d’une satisfaction équitable supérieure en fonction de « l’illégalité » de l’ingérence.
72. L’adoption du « critère de la mainmise » pourrait également nuire à la sécurité juridique dans la jurisprudence de la Cour, comme le montrerait la comparaison entre les affaires italiennes d’expropriation indirecte et un groupe d’affaires turques (I.R.S. et autres, 20 juillet 2004 ; Kadriye Yıldız et autres, 10 octobre 2006 ; Börekçioğulları (Cökmez) et autres, 19 octobre 2006 ; Ari et autres, 3 avril 2007), dans lesquelles le dommage matériel a été calculé autrement malgré des similitudes avec les premières.
73. Le Gouvernement soutient qu’en application de la jurisprudence Papamichalopoulos (arrêt précité), la valeur actuelle du bien litigieux n’est pas le résultat de l’actualisation de sa valeur initiale selon les pourcentages de dépréciation de la monnaie, mais de l’application de critères subjectifs, non prévisibles, incertains et aléatoires. L’actualisation méconnaîtrait le principe qui veut qu’une indemnité se calcule par rapport à la valeur du bien à la date de l’événement litigieux et que les vicissitudes négatives ou positives ne sauraient jouer aucun rôle. La méthode utilisée par la Cour jusqu’ici présumerait systématiquement qu’il existe un préjudice ultérieur du fait de la non-jouissance du bien litigieux et que ce dommage n’est pas suffisamment compensé par la réactualisation de la valeur du bien et le paiement des intérêts, et ce même en l’absence de tout commencement de preuve. La Cour chiffre automatiquement ce préjudice ultérieur à la hauteur de la valeur brute des ouvrages réalisés par l’État en l’ajoutant à la valeur actualisée du terrain. Cela constitue un enrichissement sans cause au profit des requérants. Le Gouvernement estime que cette solution n’est pas conforme à la jurisprudence de la Cour permanente de justice internationale et à la pratique nationale des Etats membres, et qu’en outre elle introduit des inégalités de traitement entre les requérants, en fonction de la nature de l’ouvrage public réalisé.
74. Selon le Gouvernement, si l’on procède ainsi le propriétaire obtient gratuitement la valeur positive d’un investissement que l’État a réalisé et payé à sa place. Cela ne se justifie pas, selon lui, sur le plan juridique. A cet égard, il se réfère par ailleurs aux règles de droit civil en matière d’accession à la propriété qui sont en vigueur en Italie (articles 934 et 936 du code civil italien) et qui prévoient en matière d’occupation de terrains entre particuliers, que, lorsque l’occupant est de bonne foi et que le propriétaire du lot occupé ne s’oppose pas à l’occupation dans les trois mois, l’occupant est considéré comme propriétaire moyennant le versement d’une indemnité équivalente à deux fois la valeur du terrain, majorée de dommages-intérêts.
75. De surcroît, le Gouvernement rappelle que la Cour s’est déclarée incompétente en matière de préjudice résultant d’une sous-évaluation des terrains expropriés ou des pertes collatérales à l’expropriation (Lallement c. France (satisfaction équitable), no 46044/99 , 12 juin 2003).
76. Le Gouvernement fait valoir que les requérants ont modifié leurs prétentions à plusieurs reprises : dans leur requête introductive, ils ont demandé la différence entre la valeur vénale du bien et la somme obtenue au niveau national ; dans leurs observations sur la satisfaction équitable, après l’arrêt sur le fond, ils ont sollicité plus de quinze millions d’euros au titre du dommage matériel ; devant la Grande Chambre, ils demandent six millions d’euros. De plus, les requérants, qui sont copropriétaires des terrains (selon une quote-part de 29/360), n’ont jamais demandé la restitution des terrains ni au niveau national, ni dans le formulaire de requête à la Cour.
77. Le Gouvernement relève que, compte tenu de ce que sur les terrains litigieux un ouvrage d’utilité publique a été réalisé par l’administration avec les ressources issues de la contribution fiscale, la restitution n’est plus possible. Le seul problème qui se poserait concerne la qualité du redressement, compte tenu de ce que le dédommagement prévu par la loi no 662 de 1996 n’était pas à la hauteur de la valeur pleine et entière des biens.
78. Le Gouvernement estime que la nouvelle approche adoptée par la Cour dans son arrêt du 21 octobre 2008 est conforme aux exigences de la Convention et ne doit pas être remise en cause. La réparation du préjudice matériel doit être à la hauteur de la valeur vénale du bien au moment du jugement national déclarant que les intéressés ont perdu la propriété de leur bien, cette valeur étant calculée sur la base des expertises d’office effectuées au cours de la procédure nationale. Cette approche permettrait de restituer à l’affaire Papamichalopoulos (précitée) son caractère d’affaire singulière, non susceptible d’être transposée de manière générale, de mieux moduler les critères de détermination du dommage matériel dans les affaires d’atteinte à la propriété, d’améliorer l’harmonisation de ces critères avec les fondements économiques du droit et les règles reconnues dans les Etats membres, d’éviter des inégalités de traitement, et enfin d’assurer la cohérence et la prévisibilité de la jurisprudence.
79. Le Gouvernement combat également la thèse de la partie intervenante. En premier lieu, il fait valoir que la cession volontaire d’un bien peut être conclue après la déclaration d’utilité publique et tant que le décret d’expropriation n’a pas été émis, et que la majoration de 10 % de l’indemnité est accordée même si la cession n’a pas eu lieu à cause d’un fait non imputable à la personne privée. En second lieu, il souligne que l’expropriation indirecte n’empêche pas la personne privée d’accepter la cession volontaire du bien, étant donné que la cession peut être conclue même en l’absence d’arrêté d’expropriation. En revanche, comme la partie intervenante, le Gouvernement est d’avis que la gravité plus ou moins grande de la violation a une incidence sur le dommage moral mais non sur le préjudice matériel.
80. En conclusion, le Gouvernement prie la Cour de confirmer l’arrêt de la chambre du 21 octobre 2008. Toutefois, quant au chiffrage du dommage matériel, il soutient que le résultat auquel la chambre est parvenue est le fruit d’une erreur de calcul. En conséquence, il demande à la Cour de limiter à 900 000 EUR la somme à octroyer aux requérants.
c) Le tiers intervenant
81. Selon le tiers intervenant (paragraphe 14 ci-dessus), la nouvelle approche de la Cour tendant à annuler les différences entre expropriations licites et expropriations illicites est incompatible avec les principes en matière de réparation et de satisfaction équitable qui se dégagent de la jurisprudence de la Cour, ainsi qu’avec les autres règles pertinentes de droit international applicables dans les relations entre les parties (article 31 § 3 c) de la Convention de Vienne de 1969 sur le droit des traités). Le fait de traiter de manière identique des situations intrinsèquement différentes serait déraisonnable et constituerait une violation du principe d’égalité devant la loi.
82. Comme les requérants, le tiers intervenant note que, dans le système juridique italien, en cas d’expropriation licite les tribunaux ont la possibilité de fixer l’indemnité à 110 % de la valeur du bien s’il y a accord entre les intéressés et l’administration sur ladite valeur. A cet égard, elle fait valoir que cet avantage ne s’applique pas en cas d’expropriation illicite au détriment des propriétaires expropriés.
83. Quant à l’entrée en vigueur de la nouvelle loi de finances de 2007, prévoyant que l’indemnité d’expropriation pour un terrain constructible doit correspondre à la valeur vénale du bien, le tiers intervenant rappelle que les propriétaires expropriés illégitimement sont tenus de payer un impôt de 20 % sur les sommes qu’ils perçoivent à titre de réparation. L’Etat tire donc un avantage indu d’une illégalité dont il est lui-même responsable. De plus, le tiers intervenant estime que le principe de subsidiarité implique l’obligation pour l’Etat d’adapter son propre système juridique à la jurisprudence de la Cour européenne des droits de l’homme, et non l’inverse.
84. Conformément à la jurisprudence internationale, la Grande Chambre devrait réaffirmer le principe selon lequel la réparation doit autant que possible effacer toutes les conséquences de l’acte illicite et rétablir la situation de fait et de droit qui aurait vraisemblablement existé si ledit acte n’avait pas été commis.
85. S’agissant des critères à employer pour la détermination du dommage au sens de l’article 41, le tiers intervenant considère qu’ils devraient satisfaire aux exigences d’uniformité, de simplicité, de clarté et de prévisibilité. En particulier, ces critères devraient être aptes à créer un moyen de dissuasion sérieux et efficace qui permette d’éviter la répétition de comportements illicites du même genre, sans pour autant avoir un but punitif.
86. A défaut de restitution en nature, la valeur pécuniaire des terrains devrait être calculée compte tenu de la valeur des biens au moment du premier jugement faisant application du principe de l’expropriation indirecte. A cette somme, réévaluée et assortie d’intérêts, devrait en outre être ajouté l’équivalent du montant que les requérants devraient payer à titre d’impôt, selon la loi no 431 de 1991.
87. En ce qui concerne les dommages ultérieurs, le tiers intervenant soutient que les requérants devraient bénéficier d’une majoration de 10 % de la valeur des terrains, correspondant à la somme à laquelle ils auraient eu droit en cas de cession volontaire du bien. De plus, les requérants devraient se voir rembourser tous les frais exposés devant les juridictions internes.
88. Le préjudice moral devrait être évalué compte tenu notamment du laps de temps écoulé entre le moment de l’occupation sans titre et le premier jugement faisant application du principe de l’expropriation indirecte.
89. En conclusion, le tiers intervenant demande à la Grande Chambre de reconnaître un dommage moral plus important aux victimes d’une expropriation indirecte qu’aux victimes d’une expropriation légitime.
3. L’appréciation de la Grande Chambre
90. Ainsi que la Cour l’a dit à plusieurs occasions, un arrêt constatant une violation entraîne pour l’Etat défendeur l’obligation juridique de mettre un terme à la violation et d’en effacer les conséquences de manière à rétablir autant que faire se peut la situation antérieure à celle-ci (Iatridis c. Grèce (satisfaction équitable) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI). Les Etats contractants parties à une affaire sont en principe libres de choisir les moyens dont ils useront pour se conformer à un arrêt de la Cour constatant une violation. Ce pouvoir d’appréciation quant aux modalités d’exécution d’un arrêt traduit la liberté de choix dont est assortie l’obligation primordiale imposée par la Convention aux Etats contractants : assurer le respect des droits et libertés garantis (article 1). Si la nature de la violation permet une restitutio in integrum, il incombe à l’Etat défendeur de la réaliser, la Cour n’ayant ni la compétence ni la possibilité pratique de l’accomplir elle-même. Si, en revanche, le droit national ne permet pas ou ne permet qu’imparfaitement d’effacer les conséquences de la violation, l’article 41 habilite la Cour à accorder, s’il y a lieu, à la partie lésée la satisfaction qui lui semble appropriée (Brumărescu précité).
91. Dans son arrêt au principal, la Cour a dit que l’ingérence litigieuse ne satisfaisait pas à la condition de légalité (paragraphes 93-97). L’acte de l’Etat défendeur que la Cour a tenu pour contraire à la Convention n’était pas en l’espèce une expropriation qui eût été légitime si une indemnité adéquate avait été versée ; au contraire, il s’agissait d’une mainmise de l’Etat sur les terrains des requérants (paragraphes 94-95 de l’arrêt au principal).
92. A cet égard, la Cour a relevé que, le 14 juillet 1997, le tribunal de Nuoro avait pris note de la situation d’illégalité et déclaré les requérants privés de leurs biens au bénéfice de l’occupant (paragraphe 94 de l’arrêt au principal). En exécution de ce jugement, confirmé le 17 juillet 2003, les requérants ont reçu le 25 mars 1998, à titre de dédommagement, 970 746 447 lires italiennes chacun (environ 501 349 EUR). S’agissant de l’indemnité, la Cour a constaté que l’application rétroactive de la loi budgétaire no 662 de 1996 au cas d’espèce avait eu pour effet de priver les requérants d’une réparation intégrale du préjudice subi (paragraphe 95 de l’arrêt au principal).
93. Il ressort clairement de ces éléments que la Cour a retenu le statut de « victime » des requérants pour parvenir ensuite au constat de violation de l’article 1 du Protocole no 1 (Eckle c. Allemagne, 15 juillet 1982, §§ 69 et suivants, série A no 51 ; Amuur c. France, 25 juin 1996, § 36, Recueil 1996-III ; Dalban c. Roumanie [GC], no 28114/95, § 44, CEDH 1999-VI ; Jensen c. Danemark (déc.), no 48470/99, CEDH 2001-X). Par ailleurs, les requérants sont toujours « victimes », leur situation étant demeurée inchangée depuis le prononcé de l’arrêt au principal.
94. En outre, la Cour constate que, dans tous les cas, l’expropriation indirecte tend à entériner une situation de fait découlant des illégalités commises par l’administration et permet ainsi à cette dernière de tirer bénéfice de son comportement illégal.
95. Partant, la Cour réaffirme l’impossibilité de mettre sur le même plan l’expropriation régulière et l’expropriation indirecte, laquelle est en cause en l’espèce.
96. La Cour note qu’en principe la restitution des terrains placerait les requérants, autant que possible, dans une situation équivalant à celle où ils se trouveraient si les exigences de l’article 1 du Protocole no 1 n’avaient pas été méconnues. Toutefois, en l’espèce, compte tenu de ce que les requérants n’ont jamais demandé la restitution des terrains devant les juridictions nationales et du fait que pareille restitution n’est d’ailleurs pas possible, la Cour estime devoir allouer aux intéressés une indemnité correspondant à la valeur pleine et entière des terrains.
97. Avant d’examiner les arguments des parties, fondés sur l’application de la jurisprudence Papamichalopoulos (affaire précitée), la Cour juge opportun de rappeler la genèse et le fondement de l’arrêt Papamichalopoulos, et la façon dont cette jurisprudence a été appliquée en pratique dans les affaires italiennes d’expropriation indirecte.
1. Résumé de la jurisprudence
98. En matière de privation arbitraire de biens, la Cour a « amorcé » sa jurisprudence par l’arrêt Papamichalopoulos et autres c. Grèce ((article 50), série A no 330-B). Elle a décidé que l’Etat défendeur devait verser aux intéressés, pour dommage et perte de jouissance depuis « l’usurpation » par les autorités de leurs terrains, une somme équivalente à la valeur actuelle de ceux-ci augmentée de la plus-value apportée par les bâtiments construits.
99. Fondant son raisonnement sur les principes établis par la Cour permanente de justice internationale (paragraphe 50 ci-dessus), la Cour a conclu dans l’affaire Papamichalopoulos et autres à une violation en raison d’une expropriation de fait illégale (occupation de terres par la marine grecque depuis 1967) qui durait depuis plus de vingt-cinq ans à la date de l’arrêt au principal rendu le 24 juin 1993. Elle a en conséquence enjoint à l’Etat grec de verser aux requérants, pour dommage et perte de jouissance depuis la prise de possession par les autorités de ces terrains, une somme équivalant à la valeur actuelle des terrains augmentée de la plus-value apportée par l’existence de certains bâtiments qui avaient été édifiés depuis l’occupation.
100. Cette jurisprudence a été suivie dans les arrêts Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italie ((satisfaction équitable), no 31524/96, 30 octobre 2003) et Carbonara et Ventura c. Italie ((satisfaction équitable), no 24638/94, 11 décembre 2003), qui portaient tous deux, comme la présente affaire, sur des cas de dépossession illicite.
A défaut de restitution des terrains, la Cour a alloué au titre du dommage matériel des sommes prenant en considération la valeur actuelle des biens au regard du marché immobilier au moment de l’adoption de son arrêt. En outre, elle a cherché à compenser les pertes subies qui ne seraient pas couvertes par le versement de ce montant, en tenant compte du potentiel du terrain en cause, calculé à partir du coût de construction des immeubles érigés par l’Etat.
Cette jurisprudence a été entérinée par la Grande Chambre dans l’arrêt Scordino c. Italie (no 1) ([GC], no 36813/97, §§ 250-254, CEDH 2006-V).
101. Les arrêts Scordino c. Italie (no 3), précité, et Pasculli c. Italie ((satisfaction équitable), no 36818/97, 4 décembre 2007) ont suivi et appliqué cette jurisprudence. En cas de dépossession illicite d’un bien, la Cour a rappelé que l’indemnisation devait refléter l’idée d’un effacement total des conséquences de l’ingérence de l’Etat. Elle a observé que la nature de la violation constatée dans l’arrêt au principal lui permettait de partir du principe d’une restitutio in integrum et que, concrètement, la restitution des terrains litigieux, y compris les bâtiments existants, aurait placé les requérants dans une situation équivalant le plus possible à celle où ils se trouveraient s’il n’y avait pas eu manquement aux exigences de l’article 1 du Protocole no 1. La Cour a décidé qu’à défaut de restitution, l’Etat devait verser aux intéressés une somme correspondant à la valeur actuelle du terrain, augmentée d’une somme au titre de la plus-value apportée par la présence de bâtiments.
2. Sur l’opportunité d’une évolution de la jurisprudence
102. Comme la chambre, la Grande Chambre estime que l’application de la jurisprudence Papamichalopoulos aux affaires d’expropriation indirecte peut en soi déboucher sur des anomalies.
En premier lieu, la Cour rappelle qu’à la différence de la situation dans l’affaire Papamichalopoulos, où toutes les juridictions avaient reconnu le titre de propriété en faveur des requérants (Papamichalopoulos précité, § 33) sans que l’Etat eût offert de compensation monétaire, même partielle, dans le cas d’espèce les requérants ont perdu la propriété à la suite de la construction d’ouvrages publics, et n’ont pas demandé, dans la procédure interne, la restitution desdits biens.
En deuxième lieu, dans l’affaire ci-dessus il s’agissait d’un terrain ayant été occupé sans aucune base légale, alors que dans la présente affaire les terrains ont été occupés selon une procédure d’urgence et sur la base d’une déclaration d’utilité publique, aux fins de la construction d’habitations à loyer modéré et de centres de loisirs.
103. La Cour est d’avis que les spécificités de l’affaire Papamichalopoulos rendent inappropriée l’application des principes qui s’en dégagent aux affaires d’expropriation indirecte. Tout en reconnaissant que les requérants ont droit à la valeur pleine et entière des biens, la Cour estime d’une part, que la date à prendre en considération pour chiffrer le dommage matériel ne doit pas être celle du prononcé de l’arrêt de la Cour mais celle de la perte de propriété des terrains. En effet, la première approche pourrait laisser place à une marge d’incertitude, voire d’arbitraire.
D’autre part, selon la Cour le chiffrage automatique des pertes subies par les requérants à la hauteur de la valeur brute des ouvrages réalisés par l’Etat ne se justifie pas. Cette méthode peut introduire des inégalités de traitement entre les requérants en fonction de la nature de l’ouvrage public bâti par l’administration, qui n’a pas nécessairement de lien avec le potentiel du terrain dans sa qualité originaire. De surcroît, cette méthode de dédommagement attribue à l’indemnisation pour dommage matériel un but punitif ou dissuasif à l’égard de l’Etat défendeur, au lieu d’une fonction compensatoire pour les requérants.
104. La Grande Chambre juge opportun d’adopter une nouvelle approche, compte tenu également des développements intervenus en droit interne (paragraphes 44 et 45 ci-dessus) et de la prise en compte par les juridictions nationales de la jurisprudence de la Cour dans le domaine du droit de propriété. Elle estime que les nouveaux principes fixés dans le présent arrêt pourront être appliqués par les juridictions italiennes dans les litiges qu’elles ont ou auront à trancher.
105. Dans ce contexte et pour ces raisons, la Cour décide d’écarter les prétentions des requérants dans la mesure où elles sont fondées sur la valeur des terrains à la date de l’arrêt de la Cour et de ne plus tenir compte, pour évaluer le dommage matériel, du coût de construction des immeubles bâtis par l’Etat sur les terrains. En outre, contrairement à la solution retenue par la chambre dans son arrêt du 21 octobre 2008, la Grande Chambre estime qu’afin d’évaluer la valeur vénale des terrains, il y a lieu de se référer au jugement du tribunal de Nuoro du 14 juillet 1997, selon lequel les requérants ont perdu la propriété d’une partie de leurs terrains en 1982 et une autre partie en 1983 (paragraphe 16 de l’arrêt au principal). Telle qu’elle ressort des expertises ordonnées par le tribunal et effectuées au cours de la procédure nationale, ladite valeur correspond à 1 298 363 349 ITL, soit 670 549 EUR (montant qui, par ail

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