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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE GUISO-GALLISAY c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 1
Articoli: 41
Numero: 58858/00/2008
Stato: Italia
Data: 2008-10-21 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Danno materiale – risarcimento; Danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA GUISO-GALLISAY C. ITALIA
( Richiesta no 58858/00)
SENTENZA
(Soddisfazione equa)
STRASBURGO
21 ottobre 2008
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Guiso-Gallisay c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Antonella Mularoni, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e di Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 29 settembre 2008,
Rende la sentenza che ha, adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 58858/00) diretta contro la Repubblica italiana e in cui tre cittadini di questo Stato, il Sig. S. G. – G., il Sig. G. F. G. – G. e la Sig.ra A. G. – G. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 7 aprile 2000 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali (“la Convenzione”)
2. Con una sentenza dell’ 8 dicembre 2005 (“la sentenza al principale”), la Corte ha giudicato che l’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni del richiedente non era compatibile col principio di legalità e che, pertanto, c’era stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Guiso-Gallisay c. Italia, no 58858/00, §§ 96-97 e punto 2 del dispositivo, 8 dicembre 2005).
3. Appellandosi all’articolo 41 della Convenzione, i richiedenti richiedevano una somma corrispondente al valore del terreno controverso, deduzione fatta dell’indennità ottenuta sul piano nazionale, ed aumentato del valore degli immobili costruiti sul loro terreno. I richiedenti chiedevano anche una somma a titolo di rimborso dell’imposta alla sorgente al quale le somme riconosciute dal tribunale sono state sottoposte. Sollecitavano inoltre un’indennità per danno morale. Infine rivendicavano il rimborso degli oneri di giustizia dinnanzi alle giurisdizioni nazionali e degli oneri incorsi dinnanzi alla Corte europea.
4. La questione dell’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione non essendo matura, la Corte l’ha riservata e ha invitato il Governo ed i richiedenti a sottoporle per iscritto, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarebbe diventata definitiva, le loro osservazioni su suddetta questione ed in particolare a darle cognizione di ogni accordo al quale sarebbero potuti arrivare (ibidem, § 108, e punto 3 del dispositivo.
5. Il termine fissato per permettere alle parti di ricercare un accordo amichevole è scaduto senza che le parti siano arrivate a tale accordo. Il richiedente ha depositato delle osservazioni. Queste sono state trasmesse al Governo.
6. Il 9 ottobre 2006, il presidente della Camera al quale era stato affidato il seguito del procedimento, punto 3 c, del dispositivo della sentenza al principale, ha deciso di chiedere alle parti di nominare ciascuna un perito che doveva valutare il danno materiale e di depositare un rapporto di perizia prima del 4 gennaio 2007.
7. Il 22 gennaio 2008, la Corte ha comunicato alle parti l’intenzione di sciogliersi a profitto della Grande Camera (articoli 72 § 2 dell’ordinamento e 30 della Convenzione).
8. Il 28 febbraio 2008, i richiedenti hanno opposto a simile scioglimento, mentre il Governo non ha formulato obiezioni.
9. Il 27 maggio 2008, stimando che l’opposizione del richiedente soddisfacesse le condizioni enunciate all’articolo 72 § 2 dell’ordinamento, la Corte ha deciso di non sciogliersi.
IN DIRITTO
10. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno materiale
1. Argomenti dei richiedenti
11. I richiedenti chiedono alla Corte di accordare loro una soddisfazione equa conformemente alla giurisprudenza in materia di espropriazione indiretta (Carbonara e Ventura c. Italia (soddisfazione equa), no 24638/94, 11 dicembre 2003; Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia (soddisfazione equa), no 31524/96, 30 ottobre 2003). Chiedono ad essere risarciti integralmente, deduzione fatta della somma percepita a livello nazionale, e richiedono una somma che copra il valore reale dei terreni, aumentata del plusvalore portato dall’esistenza di edifici, e la perdita di godimento. Chiedono anche una somma a titolo di rimborso dell’imposta alla sorgente al quale le somme riconosciute dal tribunale sono state sottoposte.
12. In appoggio alle loro pretese, i richiedenti hanno depositato un rapporto di perizia. La stima riguarda una superficie totale di 77 808 metri quadrati. Due edifici, parecchie abitazioni ed palazzetto dello sport sono stati costruiti, per un volume di 149 826 metri cubi. Il perito ha determinato a 9 890 000,00 EUR il valore dei terreni al momento della privazione e indicizzato in data della perizia, il 28 novembre 2006. Ha stabilito il valore nella stessa data dei terreni a 21 486 000,000 EUR. Peraltro, il perito ha indicato che la mancanza di guadagno per i richiedenti, calcolando anche il costo di costruzione degli immobili costruiti sui terreni, ammonta a 46 250 000,00 EUR. Appellandosi alla perizia, e dopo deduzione della somma percepita a livello nazionale a titolo d’indennità di espropriazione, i richiedenti chiedono 15 360 641,01 EUR a titolo di danno materiale. Invitano inoltre la Corte a non prendere in conto la perizia del Governo perché sarebbe tardiva.
13. Per riassumere le conclusioni del perito:
1. valore dei terreni indicizzato al 31 ottobre 2006 (data della perizia) + interessi 9 890 000,00 EUR
2. valore dei terreni secondo il mercato immobiliare in data della perizia 21 486 000,00 EUR
3. Costo di costruzione degli edifici eretti sui terreni 34 604 715,17 EUR
4. Mancanza di guadagno calcolando anche il costo di costruzione degli edifici costruiti 46 250 000,00 EUR
2. Argomenti del Governo
14. Il Governo fa valere che il valore venale dei terreni è stato valutato durante il procedimento dinnanzi alle giurisdizioni interne. Nel caso in cui la Corte calcolasse il danno materiale sulla base del valore venale, i richiedenti dovrebbero percepire unicamente una somma corrispondente alla differenza tra questo valore e gli importi dell’indennità calcolata ai termini della legge no 662 del 1996. Il Governo sostiene che la decisione con cui i tribunali nazionali constatano l’illegalità commessa dall’amministrazione ha per effetto di legalizzare la situazione poiché sostituisce l’atto di espropriazione che ha fatto difetto. Di conseguenza, la perdita della disponibilità dei terreni non ha generato delle conseguenze molto gravi per i richiedenti. Ne segue che il risarcimento materiale dovrebbe ammontare all’altezza del valore venale dei beni al momento della trasformazione irreversibile del terreno o in data del giudizio nazionale che dichiara che si deve considerare che abbia avuto luogo un trasferimento di proprietà. Inoltre, questo valore dovrebbe essere calcolato sulla base delle perizie effettuate durante il procedimento nazionale.
15. Peraltro, il Governo sostiene che i richiedenti non avrebbero diritto a nessuna indennità corrispondente all’aumento del valore venale dei terreni in seguito alla realizzazione dei lavori pubblici ed a nessuna indennità a titolo di rimborso dell’imposta alla sorgente alla quale le somme riconosciute dal tribunale sono state sottoposte.
16. Il Governo ha prodotto anche una perizia. Il perito ha fissato a 3 458 307,24 EUR il valore dei terreni al momento della privazione e indicizzato in data della perizia. Ha stabilito il valore reale dei terreni a 6 503 622,02 EUR. Peraltro, secondo il perito, la somma ricevuta dai richiedenti a livello nazionale a titolo d’indennità di espropriazione sarebbe largamente superiore al valore commerciale dei terreni e compenserebbe le perdite subite dunque.
17. Per riassumere le conclusioni del perito:
1. valore dei terreni indicizzato al 31 ottobre 2006 + interessi 3 458 307,24 EUR
2. valore dei terreni secondo il mercato immobiliare in data della perizia 6 503 622,02 EUR
3. Decisione della Corte
18. Al primo colpo, la Corte risponde alla domanda di sapere se c’è luogo di prendere in conto la perizia del Governo. A questo riguardo, nota che le parti sono state invitate a sottoporre la loro perizia prima del 4 gennaio 2007.
Risulta dalla pratica della causa che il Governo ha depositato la sua perizia nel termine assegnato. Questa non potrebbe passare per tardiva dunque.
19. La Corte ricorda poi che una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo di mettere termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire tanto quanto si può fare la situazione anteriore a questa (Iatridis c. Grecia (soddisfazione equa) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI).
20. Gli Stati contraenti parti di una causa sono in principio liberi di scegliere i mezzi che utilizzeranno per conformarsi ad una sentenza che constata una violazione. Questo potere di valutazione in quanto alle modalità di esecuzione di una sentenza traduce la libertà di scelta a cui è abbinato l’obbligo primordiale imposto dalla Convenzione agli Stati contraenti: garantire il rispetto dei diritti e libertà garantite (articolo 1). Se la natura della violazione permette una restitutio in integrum, incombe sullo stato convenuto di realizzarla, non avendo la Corte né la competenza né la possibilità pratica di compierla lei stessa. Se, in compenso, il diritto nazionale non permette così, o permette solamente imperfettamente di cancellare le conseguenze della violazione, l’articolo 41 abilita la Corte ad accordare, se c’è luogo, alla parte lesa la soddisfazione che le sembra appropriata (Brumărescu c. Romania (soddisfazione equa) [GC], no 28342/95, § 20, CEDH 2000-I).
21. Nella sua sentenza al principale, la Corte ha detto che l’ingerenza controversa non soddisfaceva la condizione di legalità (paragrafi 93-97). L’atto dello stato convenuto che la Corte ha ritenuto contrario alla Convenzione non era nello specifico un’espropriazione che sarebbe stata legittima se un indennizzo adeguato fosse stato versato; al contrario, era una confisca dello stato sul terreno dei richiedenti (paragrafi 94-95 della sentenza al principale).
22. A questo riguardo, la Corte ha rilevato che, il 14 luglio 1997, il tribunale di Nuoro ha preso nota della situazione di illegalità e ha dichiarato i richiedenti come privati dei loro beni a favore dell’occupante (paragrafo 94 della sentenza al principale). In esecuzione di questo giudizio, confermato il 17 luglio 2003, i richiedenti hanno ricevuto a titolo di risarcimento, il 25 marzo 1998, 970 746 447 lire italiane ciascuno, circa 501 349 EUR. Trattandosi dell’indennità, la Corte constatava che l’applicazione retroattiva della legge di bilancio no 662 del 1996 al caso specifico ha avuto per effetto di privare i richiedenti di un risarcimento integrale del danno subito (paragrafo 95 della sentenza al principale).
23. Risulta chiaramente da questi elementi che la Corte ha considerato lo statuto di “vittima” dei richiedenti per giungere poi alla constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (Eckle c. Germania, sentenza del 15 luglio 1982, serie A no 51, p. 32, §§ 69 e succ. ; Amuur c. Francia, 25 giugno 1996, Raccolta 1996-III, p. 846, § 36; Dalban c. Romania [GC], no 28114/95, § 44, CEDH 1999-VI e Jensen c. Danimarca (déc.), no 48470/99, CEDH 2001-X). I richiedenti restano peraltro, sempre “vittime”, rimanendo la loro situazione immutata dalla decisione della sentenza al principale.
24. Inoltre, la Corte constata che, in ogni caso, l’espropriazione indiretta tende ad interinare una situazione di fatto che deriva dalle illegalità commesse dall’amministrazione e permette così a questa ultima di trarre utile dal suo comportamento illegale. Che sia in virtù di un principio giurisprudenziale o di un testo di legge come l’articolo 43 del Repertorio, l’espropriazione indiretta non potrebbe dunque costituire un’alternativa ad un’espropriazione in buona e dovuta forma (vedere Serrao c. Italia, no 67198/01, § 81, 13 ottobre 2005).
25. La Corte ricorda avere fondato la sua giurisprudenza in materia di soddisfazione equa in caso di privazione arbitraria dei beni seguendo i principi elaborati dalla Corte permanente di giustizia internazionale che nella sua sentenza del 13 settembre 1928 nella causa relativa alla fabbrica di Chorzów, ha giudicato:
“(…) il risarcimento deve, per quanto possibile, cancellare tutte le conseguenze dell’atto illecito e ristabilire lo stato che sarebbe esistito verosimilmente se suddetto atto non fosse stato commesso. Restituzione in natura, o, se non è possibile, pagamento di una somma corrispondente al valore che avrebbe la restituzione in natura; sussidio, se c’è luogo, di danno-interessi per le perdite subite e che non sarebbero coperte dalla restituzione in natura o il pagamento che ne prende il posto; tali sono i principi ai quali devono ispirarsi per la determinazione all’importo dell’indennità dovuta a causa di un fatto contrario al diritto internazionale. ” (Raccolta delle sentenze) serie A no 17, p. 47)
26. La Corte ha adottato una posizione molto simile nella causa Papamichalopoulos ed altri c. Grecia ((articolo 50), serie A no 330-B, §§ 36 e 39). Ha concluso ad una violazione in ragione di un’espropriazione di fatto illegale, occupazione di terre da parte della marina greca dal 1967 che durava da più di venticinque anni in data della sentenza al principale resa il 24 giugno 1993. La Corte ingiunse perciò allo stato greco di versare ai richiedenti, per danno e perdita di godimento dalla presa di possesso da parte delle autorità di questi terreni, una somma equivalente al valore reale dei terreni aumentata del plusvalore portato dall’esistenza di certi edifici che erano stati edificati dall’occupazione.
27. In applicazione del giurisprudenza Papamichalopoulos ed altri c. Grecia, in parecchie cause concernenti l’Italia (Carbonara e Ventura c. Italia (soddisfazione equa), no 24638/94, 11 dicembre 2003; Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia (soddisfazione equa), no 31524/96, 30 ottobre 2003; Scordino c. Italia (no 3) (soddisfazione equa, no 43662/98, CEDH 2007 -… ; Pasculli c. Italia (soddisfazione equa), no 36818/97, 4 dicembre 2007) la Corte ha concesso delle somme che includono il valore del terreno al momento della decisione della sentenza rispetto al mercato immobiliare e, per compensare la perdita di godimento dei beni, il costo di costruzione dei lavori costruiti dallo stato.
La Corte dopo stretta riflessione stima che l’estensione del giurisprudenza Papamichalopoulos ed altri c. Grecia ai casi di espropriazione indiretta la cui giurisprudenza sopra citata è la conseguenza, non si giustifichi.
28. Da una parte, la data aleatoria della sentenza della Corte non ha nessuno legame con la determinazione del danno materiale subito dai richiedenti. Dall’altra parte, bisogna tenere conto del fatto cruciale che nella causa Papamichalopoulos ed altri c. Grecia, tutte le giurisdizioni avevano riconosciuto il titolo di proprietà nel capo dei richiedenti senza che lo stato avesse offerto un compenso monetario, anche parziale. In compenso, nel caso di specifico, la proprietà dei beni non era oggetto di controversia ed i richiedenti non hanno chiesto, nel procedimento interno, la restituzione del bene. Il tribunale di Nuoro, investito di un’azione di risarcimento, ha dichiarato l’illegalità dell’espropriazione pure consacrando il trasferimento di proprietà e risarcendo i richiedenti spossessati (paragrafi 16-19 della sentenza al principale). Agli occhi della Corte, la data da tenere in conto è quella in cui la perdita della proprietà dei beni è stata riconosciuta nel sistema nazionale, ossia, nel caso dell’espropriazione indiretta, la data della sentenza della giurisdizione interna.
29. La Corte ai fini della determinazione dell’indennità da assegnare ai richiedenti ha fino qui adottato il criterio di compensare le perdite subite che non sarebbero coperte dal versamento dell’importo corrispondente al valore commerciale dei beni ed il non-godimento del bene controverso, valutando automaticamente queste perdite alla quota del valore grezzo dei lavori realizzati dallo stato, ed aggiungendolo al valore attualizzato dei terreni. Ora, la Corte stima che questo metodo di risarcimento, come è stato applicato, tra l’altro, nelle cause Carbonara e Ventura, Scordino e Pasculli precitate, non si giustifica e può introdurre delle disuguaglianze di trattamento tra i richiedenti, in funzione della natura del lavoro pubblico costruito dall’amministrazione pubblica che non ha necessariamente un legame col potenziale del terreno nella sua qualità originaria. Per esempio, due richiedenti che hanno perso la proprietà dei loro terreni adiacenti -di un valore similare al momento della privazione del bene controverso-, otterrebbero un risarcimento differente del danno subito in funzione dei lavori costruiti dall’espropriante, prendendo per ipotesi un comune che costruisce su un appezzamento degli alloggi e realizza su un altro appezzamento adiacente degli spazi verdi, la mancanza di giustificazione della differenza dei due importi di risarcimento sensibilmente differente è evidente. Si può aggiungere che il metodo di calcolo del danno materiale in funzione della data della decisione della sentenza della Corte, così come del valore dei lavori realizzati dallo stato, lascia il posto ad un margine di arbitrarietà. Per di più, assegna all’indennizzo per il danno materiale un scopo punitivo o dissuasivo a riguardo dello stato convenuto al posto di una funzione compensatoria per i richiedenti.
30. La Corte stima che sia giunto il momento di adottare un nuovo approccio. Difatti, accanto ai motivi sopra esposti, un fatto nuovo nel sistema nazionale riguardato deve essere preso in conto e, agli occhi della Corte, giustifica un cambiamento improvviso giurisprudenziale concernente l’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione nel caso di espropriazione indiretta.
31. La Corte sottolinea che con le sentenze numeri 348 e 349 del 22 ottobre 2007, la Corte costituzionale ha giudicato che la legge interna debba essere compatibile con la Convenzione come interpretata dalla giurisprudenza della Corte e, di conseguenza, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 5 bis della decreto-legge no 333 del 11 luglio 1992, come modificato dalla legge no 662 del 1996. In seguito, la legge di finanze no 244 del 24 dicembre 2007 ha stabilito che l’indennità di espropriazione per un terreno edificabile deve corrispondere al valore venale del bene. Quando l’espropriazione rientra nella cornice di una riforma economica e sociale, una riduzione del 25% sarà applicata. Questa disposizione è applicabile a tutti i procedimenti di espropriazione in corso al 1 gennaio 2008, salvo quelli in cui la decisione sull’indennità di espropriazione è stata accettata o è diventata definitiva. È utile notare il nuovo approccio delle autorità italiane per portare una risposta adeguata al problema messo in evidenza dalle istanze in materia di espropriazione indiretta dirette contro l’Italia. Sembra peraltro evidente che il metodo di calcolo dell’indennizzo sulla base del valore dei beni in data della sentenza della Corte impedirebbe alle autorità interne di conformarsi alla giurisprudenza della Corte, così che il principio di sussidiarietà non potrebbe trovare applicazione.
32. La Corte decide, di conseguenza che per valutare il danno subito da un richiedente, c’è luogo di prendere in considerazione la data in cui l’interessato ha avuto la certezza giuridica di avere perso il suo diritto di proprietà sul bene controverso. Il valore venale totale del bene fissato in questa data dalle giurisdizioni nazionali è poi da rivalutare e da aumentare degli interessi al giorno dell’adozione della sentenza della Corte. Dall’importo così ottenuto, si dedurrà la somma versata al richiedente dalle autorità del suo paese. Il costo di costruzione del lavoro costruito sul terreno non potrebbe entrare più in fila di conto nella cornice del risarcimento del danno subito e questo per le ragioni indicate più sopra (paragrafi 28 e 29 sopra).
33. Nello specifico, la data da prendere in considerazione è il 14 luglio 1997 quando il tribunale di Nuoro dichiarò l’illegalità dell’espropriazione dei terreni dei richiedenti e stimò il valore venale dei beni a circa 1 298 363 349 ITL (670 549 EUR) per i tre richiedenti congiuntamente (paragrafo 15 della sentenza al principale). Rivalutata ed aumentata degli interessi, al 31 agosto 2008, e dopo deduzione dell’importo già ottenuto dagli interessati, questa somma ammonta congiuntamente a 1 803 374 EUR per i tre richiedenti e costituisce, secondo la Corte, un risarcimento adeguato del danno materiale subito dagli interessati.
B. Danno morale
34. I richiedenti sollecitano 200 000 EUR ciascuno.
35. Il Governo si rimette alla saggezza della Corte pure considerando esorbitante la somma indicata dai richiedenti.
36. La Corte stima che il sentimento di impotenza e di frustrazione di fronte allo spodestamento illegale dei loro beni abbia causato ai richiedenti un torto morale importante che c’è luogo di riparare in modo adeguato. Deliberando in equità, come richiede l’articolo 41 della Convenzione, la Corte decide di assegnare a ciascuno dei richiedenti 15 000 EUR a questo capo, o 45 000 EUR al totale.
C. Oneri e spese
37. I richiedenti chiedono le somme di 251 513,31 EUR, a titolo di rimborso degli oneri incorsi dinnanzi al tribunale di Nuoro, e di 48 190 EUR, più tassa sul valore aggiunto (IVA), a titolo del rimborso degli oneri incorsi dinnanzi alla Corte.
38. Trattandosi degli oneri del procedimento dinnanzi al tribunale di Nuoro, il Governo sostiene che i richiedenti hanno ottenuto già il rimborso di questi a livello interno e, ad ogni modo, fa valere che la decisione concernente il rimborso di questi oneri dipenda unicamente dalla competenza delle giurisdizioni nazionali. In quanto agli oneri del procedimento introdotto dinnanzi alla Corte, il Governo si rimette per ciò alla saggezza di questa.
39. La Corte ricorda che il sussidio degli oneri e spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si vengano stabiliti la loro realtà, la loro necessità e, in più, il carattere ragionevole del loro tasso (Iatridis c. Grecia (soddisfazione equa) [GC], no 31107/96, § 54, CEDH 2000-XI). Inoltre, gli oneri di giustizia sono recuperabili solamente nella misura in cui si riferiscono alla violazione constatata (Van di Hurk c. Paesi Bassi, sentenza del 19 aprile 1994, serie A no 288, § 66).
40. La Corte non dubita della necessità di impegnare degli oneri, ma trova eccessive le parcelle totali rivendicate a questo titolo. Considera quindi che c’è luogo di rimborsarli in parte. Tenuto conto delle circostanze della causa, e deliberando in equità come richiede l’articolo 41 della Convenzione, la Corte giudica ragionevole assegnare un importo di 30 000 EUR, aumentato dell’IVA, per l’insieme degli oneri sostenuti.
D. Interessi moratori
41. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Stabilisce, per sei voci contro una,
a) che lo stato convenuto deve versare congiuntamente ai richiedenti, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. 1 803 374,00 EUR (uno milione otto cento tremila tre cento settantaquattro euro) per danno materiale,;
ii. 45 000 EUR (quaranta cinquemila euro) per danno morale,;
iii. 30 000 EUR (trentamila euro) per oneri e spese,;
iv. ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dai richiedenti su suddette somme;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale,;
2. Respinge, per sei voci contro una, la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 21 ottobre 2008, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione dissidente della Sig.ra Tulkens.
F.T.
S.D.

OPINIONE DISSIDENTE DELLA SIG.RA GIUDICE TULKENS
Non condivido la decisione della maggioranza in quanto alla valutazione e la determinazione del danno materiale. Se tecnicamente, a dispetto dell’evidente problema di sicurezza giuridica che tale situazione crea, la camera poteva, probabilmente, distanziarsi dalla giurisprudenza anteriore nella misura in cui i richiedenti si sono opposti allo scioglimento (paragrafi 7-9), ancora occorreva che fossero degli argomenti giuridici decisivi. Ora, non mi sembra il caso questo.
1. È di giurisprudenza consolidata, conformemente ai principi generali della responsabilità internazionale degli Stati allo sguardo dei diritti dell’uomo, che una sentenza che constata una violazione della Convenzione provoca per lo stato l’obbligo di mettere termine alla violazione constatata, di cancellarne le conseguenze e di evitare delle violazioni simili.
2. Non è contestato che la situazione nello specifico è quella della privazione arbitraria di beni. Più precisamente, l’atto dello stato convenuto che la Corte ha ritenuto contrario alla Convenzione non era un’espropriazione che fosse stata legittima se un indennizzo adeguato fosse stato versato; al contrario, si trattava di una confisca illecita dello stato sul terreno dei richiedenti (paragrafi 94-95 della sentenza al principale del 8 dicembre 2005).
3. In questa situazione di privazione arbitraria di beni, la Corte ha iniziato la sua giurisprudenza nella sentenza Papamichalopoulos ed altri c. Grecia (articolo 50) del 31 ottobre 1995. Ha deciso che lo stato dovesse versare agli interessati, per danno e perdita di godimento dalla presa di possesso da parte delle autorità dei loro terreni, una somma equivalente al valore reale di questi aumentato del plusvalore portato dall’esistenza degli edifici (paragrafo 39). Questa giurisprudenza è stata seguita nelle sentenze Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia (soddisfazione equa) del 30 ottobre 2003 e Carbonara e Ventura c). Italia (soddisfazione equa) dell’ 11 dicembre 2003 che riguardavano tutte e due, come la presente causa, dei casi di spodestamento illecito. A titolo di danno materiale, la Corte ha concesso, in mancanza di restituzione dei terreni, delle somme che includevano il valore reale di questi rispetto al mercato immobiliare al momento della decisione della sentenza. Inoltre, ha cercato di compensare le perdite subite che non sarebbero state coperte dal versamento di questo importo, tenendo all’occorrenza conto del potenziale del terreno in causa, calcolato, a partire dal costo di costruzione degli immobili eretti dallo stato.
4. Le sentenze Scordino c. Italia (no 3) del 6 marzo 2007 e Pasculli c. Italia del 4 dicembre 2007 consolidano questa giurisprudenza. In caso di spodestamento illecito di un bene, la Corte ricorda che l’indennizzo deve riflettere l’idea di una cancellazione totale delle conseguenze dell’ingerenza controversa. Osserva che la natura della violazione constatata nella sentenza al principale le permette di partire dal principio di una restitutio in integrum e che, concretamente, la restituzione dei terreni controversi, in questa compresi gli edifici esistenti, avrebbe posto i richiedenti, il più possibile, in una situazione equivalente a quella in cui si troverebbero se non ci fosse stata trasgressione alle esigenze dell’articolo 1 del Protocollo no 1. A difetto di restituzione, la Corte decide che lo stato dovrà versare agli interessati una somma corrispondente al valore reale del terreno e che a questo importo si aggiungerà una somma per il plusvalore portato dalla presenza di edifici.
Il governo italiano ha chiesto il rinvio alla Grande Camera di queste due sentenze-che portano, di nuovo, sulla stessa questione di quella che è al centro della presente causa-invitando espressamente la Corte a modificare la sua giurisprudenza in materia. Con le decisioni del 9 luglio 2007 e del 2 giugno 2008, il collegio della Grande Camera non ha accettato le istanze.
5. Tuttavia, la camera stima dovere abbandonare l’insieme di questa giurisprudenza e giustifica questo cambiamento improvviso con tre ragioni principali.
Innanzitutto, il timore di introdurre delle disuguaglianze di trattamento tra i richiedenti in funzione della natura del lavoro costruito dall’amministrazione pubblica che non ha necessariamente un legame col potenziale del terreno nella sua qualità originaria (paragrafo 29). È perlomeno singolare volere correggere una disuguaglianza di trattamento, nello specifico più virtuale che reale, abbassando, in modo arbitrario, gli indennizzi applicabili a tutte le persone riguardate da un spodestamento illegale. Peraltro, per correggere un’eventuale disuguaglianza di trattamento, la maggioranza ne reintroduce semplicemente un’altra, quella che colpisce oramai i richiedenti rispetto alla situazione reale che è la loro e rispetto agli altri richiedenti le cui cause sono state trattate precedentemente. Infine, e più fondamentale, questa stessa pratica dell’ “espropriazione indiretta”, un eufemismo per qualificare di fatto un’espropriazione illegale, arriva a risultati imprevedibili ed arbitrari che privano le persone riguardate di una protezione efficace dei loro diritti.
Il secondo argomento è il rifiuto di assegnare all’indennizzo per danno materiale un scopo punitivo o dissuasivo a riguardo dello stato convenuto. Non si tratta di ciò. Il danno materiale avrebbe tale scopo o tale carattere se l’importo accordato non avesse più nessun legame né nessun rapporto col danno constatato. Ora, tale non è il caso nello specifico nella misura in cui la funzione compensatoria del danno addotto è stabilita chiaramente. Difatti, se fossero restati in possesso dei loro terreni, i richiedenti avrebbero potuto evidentemente sfruttarli o metterli in un modo o nell’altro in valore.
Infine, senza che ciò sia determinante ai fini della decisione, la maggioranza stima dovere prendere in conto un “fatto nuovo” nel sistema nazionale. Con le sentenze no 348 e 349 del 22 ottobre 2007, la Corte costituzionale ha giudicato difatti che la legislazione interna doveva essere compatibile con la Convenzione, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte; perciò, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 5 bis del decreto-legge no 333 del 11 luglio 1992, come modificato dalla legge no 662 del 1996. In seguito la legge delle finanze no 244 del 24 dicembre 2007 ha stabilito che l’indennità di espropriazione per un terreno edificabile dovesse corrispondere al valore venale del bene. Niente in questa giurisprudenza che sembra riguardare soprattutto il posto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel sistema costituzionale italiano, né in questa nuova legge viene a contraddire il metodo di calcolo dell’indennizzo della Corte per ciò che riguarda l’espropriazione indiretta nella misura in cui, da una parte all’altra , gli altri danni non sono presi in conto.
6. In questa situazione particolare delle espropriazioni “indirette”, penso che la giurisprudenza che la Corte ha sviluppato si è basata finora su degli elementi solidi. Siccome l’illegalità intrinseca della confisca sul terreno è all’origine della violazione constatata sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, l’indennizzo deve riflettere l’idea di una cancellazione totale delle conseguenze dell’ingerenza controversa e deve rappresentare il valore pieno ed intero dei beni. Peraltro, la decisione con la quale una giurisdizione nazionale prende atto di un’occupazione illegale di un terreno e dichiara l’espropriazione indiretta di questo non ha per effetto di regolarizzare la situazione denunciata. Si limita ad interinare una situazione illegale, situazione che non può essere risanata quindi in mancanza di un risarcimento conforme ai criteri che si applicano ai casi di privazione illegale dei beni. A contrario, lo stato trarrebbe profitto o utile dal suo comportamento illegale. Ora, tale è esattamente il risultato dubbio al quale la sentenza della camera arriva.
7. C’è infine un ultimo punto su cui vorrei essere molto chiara. Anche se tale non è affatto il caso nello specifico, non rimetto in nessun modo in questione né in causa il carattere di utilità pubblica dei beni o degli altri lavori che sarebbero stati costruiti sui terreni controversi. Penso più largamente, anche che, in certi casi, l’interesse pubblico prevalga sull’interesse individuale a rispetto del diritto di proprietà perché, ai miei occhi, il diritto di proprietà deve essere anche un diritto finalizzato, cioè girato verso la soddisfazione di bisogni sociali che superano il solo interesse personale del suo titolare. Penso semplicemente che, in un Stato di diritto, lo stato deve prendere le misure di espropriazione necessarie al bene pubblico secondo le vie legali.

Testo Tradotto

Conclusion Dommage matériel – réparation ; Préjudice moral – réparation
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE GUISO-GALLISAY c. ITALIE
(Requête no 58858/00)
ARRÊT
(Satisfaction équitable)
STRASBOURG
21 octobre 2008
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Guiso-Gallisay c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Antonella Mularoni,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
András Sajó,
Işıl Karakaş, juges,
et de Sally Dollé, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 29 septembre 2008,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 58858/00) dirigée contre la République italienne et dont trois ressortissants de cet Etat, M. S. G.-G., M. G. F. G.-G. et Mme A. G.-G. (« les requérants »), ont saisi la Cour le 7 avril 2000 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des Droits de l’Homme et des Libertés fondamentales (« la Convention »)
2. Par un arrêt du 8 décembre 2005 (« l’arrêt au principal »), la Cour a jugé que l’ingérence dans le droit au respect des biens du requérant n’était pas compatible avec le principe de légalité et que, partant, il y avait eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 (Guiso-Gallisay c. Italie, no 58858/00, §§ 96-97 et point 2 du dispositif, 8 décembre 2005).
3. En s’appuyant sur l’article 41 de la Convention, les requérants réclamaient une somme correspondant à la valeur du terrain litigieux, déduction faite de l’indemnité obtenue au plan national, et augmentée de la valeur des immeubles construits sur leur terrain. Les requérants demandaient également une somme à titre de remboursement de l’impôt à la source auquel les sommes reconnues par le tribunal ont été soumises. Ils sollicitaient en outre une indemnité pour dommage moral. Enfin ils revendiquaient le remboursement des frais de justice devant les juridictions nationales et des frais encourus devant la Cour européenne.
4. La question de l’application de l’article 41 de la Convention ne se trouvant pas en état, la Cour l’a réservée et a invité le Gouvernement et les requérants à lui soumettre par écrit, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt deviendrait définitif, leurs observations sur ladite question et notamment à lui donner connaissance de tout accord auquel ils pourraient aboutir (ibidem, § 108, et point 3 du dispositif).
5. Le délai fixé pour permettre aux parties de rechercher un accord amiable est échu sans que les parties n’aboutissent à un tel accord. Le requérant a déposé des observations. Celles-ci ont été transmises au Gouvernement.
6. Le 9 octobre 2006, le président de la Chambre, auquel la suite de la procédure était confiée (point 3 c) du dispositif de l’arrêt au principal), a décidé de demander aux parties de nommer chacune un expert devant évaluer le préjudice matériel et de déposer un rapport d’expertise avant le 4 janvier 2007.
7. Le 22 janvier 2008, la Cour a communiqué aux parties l’intention de se dessaisir au profit de la Grand Chambre (articles 72 § 2 du règlement et 30 de la Convention).
8. Le 28 février 2008, les requérants se sont opposés à pareil dessaisissement, tandis que le Gouvernement n’a pas formulé d’objections.
9. Le 27 mai 2008, estimant que l’opposition des requérant satisfaisait aux conditions énoncées à l’article 72 § 2 du règlement, la Cour a décidé de ne pas se dessaisir.
EN DROIT
10. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage matériel
1. Arguments des requérants
11. Les requérants demandent à la Cour de leur accorder une satisfaction équitable conformément à la jurisprudence en matière d’expropriation indirecte (Carbonara et Ventura c. Italie (satisfaction équitable), no 24638/94, 11 décembre 2003 ; Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italie (satisfaction équitable), no 31524/96, 30 octobre 2003). Ils demandent à être intégralement dédommagés, déduction faite de la somme perçue au niveau national, et réclament une somme couvrant la valeur actuelle des terrains, augmentée de la plus-value apportée par l’existence de bâtiments, et la perte de jouissance. Ils demandent aussi une somme à titre de remboursement de l’impôt à la source auquel les sommes reconnues par le tribunal ont été soumises.
12. A l’appui de leurs prétentions, les requérants ont déposé un rapport d’expertise. L’estimation porte sur une superficie totale de 77 808 mètres carrés. Deux bâtiments, plusieurs habitations et une salle de sport y ont été construits, pour un volume de 149 826 mètres cubes. L’expert a déterminé à 9 890 000,00 EUR la valeur des terrains au moment de la privation et indexée à la date de l’expertise (28 novembre 2006). Il a établi la valeur à la même date des terrains à 21 486 000,000 EUR. Par ailleurs, l’expert a indiqué que le manque à gagner pour les requérants, en calculant également le coût de construction des immeubles construits sur les terrains, s’élève à 46 250 000,00 EUR. S’appuyant sur l’expertise, et après déduction de la somme perçue au niveau national au titre de l’indemnité d’expropriation, les requérants demandent 15 360 641,01 EUR à titre de dommage matériel. Ils invitent en outre la Cour à ne pas prendre en compte l’expertise du Gouvernement car elle serait tardive.
13. Pour résumer les conclusions de l’expert :
1. valeur des terrains indexée au 31 octobre 2006 (date de l’expertise) + intérêts 9 890 000,00 EUR
2. valeur des terrains selon le marché immobilier à la date de l’expertise 21 486 000,00 EUR
3. Coût de construction des bâtiments érigés sur les terrains 34 604 715,17 EUR
4. Manque à gagner en calculant également le coût de construction des bâtiments construits 46 250 000,00 EUR
2. Arguments du Gouvernement
14. Le Gouvernement fait valoir que la valeur vénale des terrains a été évaluée au cours de la procédure devant les juridictions internes. Dans le cas où la Cour calculerait le dommage matériel sur la base de la valeur vénale, les requérants devraient percevoir uniquement une somme correspondant à la différence entre cette valeur et le montant de l’indemnité calculée aux termes de la loi no 662 de 1996. Le Gouvernement soutient que la décision par laquelle les tribunaux nationaux constatent l’illégalité commise par l’administration a pour effet de légaliser la situation puisqu’elle remplace l’acte d’expropriation qui a fait défaut. Par conséquent, la perte de la disponibilité des terrains n’a pas engendré des conséquences très graves pour les requérants. Il s’ensuit que le dédommagement matériel devrait s’élever à hauteur de la valeur vénale des biens au moment de la transformation irréversible du terrain ou à la date du jugement national déclarant qu’un transfert de propriété doit être considéré comme ayant eu lieu. En outre, cette valeur devrait être calculée sur la base des expertises effectuées au cours de la procédure nationale.
15. Par ailleurs, le Gouvernement soutient que les requérants n’auraient droit à aucune indemnité correspondant à l’augmentation de la valeur vénale des terrains à la suite de la réalisation des ouvrages publics et à aucune indemnité à titre de remboursement de l’impôt à la source auquel les sommes reconnues par le tribunal ont été soumises.
16. Le Gouvernement a également produit une expertise. L’expert a fixé à 3 458 307,24 EUR la valeur des terrains au moment de la privation et indexée à la date de l’expertise. Il a établi la valeur actuelle des terrains à 6 503 622,02 EUR. Par ailleurs, selon l’expert, la somme reçue par les requérants au niveau national au titre de l’indemnité d’expropriation serait largement supérieure à la valeur commerciale des terrains et compenserait donc les pertes subies.
17. Pour résumer les conclusions de l’expert :
1. valeur des terrains indexée au 31 octobre 2006 + intérêts 3 458 307,24 EUR
2. valeur des terrains selon le marché immobilier à la date de l’expertise 6 503 622,02 EUR
3. Décision de la Cour
18. D’emblée, la Cour répond à la question de savoir s’il y a lieu de prendre en compte l’expertise du Gouvernement. A cet égard, elle note que les parties ont été invitées à soumettre leur expertise avant le 4 janvier 2007.
Il ressort du dossier de l’affaire que le Gouvernement a déposé son expertise dans le délai imparti. Celle-ci ne saurait donc passer pour tardive.
19. La Cour rappelle ensuite qu’un arrêt constatant une violation entraîne pour l’État défendeur l’obligation de mettre un terme à la violation et d’en effacer les conséquences de manière à rétablir autant que faire se peut la situation antérieure à celle-ci (Iatridis c. Grèce (satisfaction équitable) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI).
20. Les États contractants parties à une affaire sont en principe libres de choisir les moyens dont ils useront pour se conformer à un arrêt constatant une violation. Ce pouvoir d’appréciation quant aux modalités d’exécution d’un arrêt traduit la liberté de choix dont est assortie l’obligation primordiale imposée par la Convention aux États contractants : assurer le respect des droits et libertés garantis (article 1). Si la nature de la violation permet une restitutio in integrum, il incombe à l’État défendeur de la réaliser, la Cour n’ayant ni la compétence ni la possibilité pratique de l’accomplir elle-même. Si, en revanche, le droit national ne permet pas ou ne permet qu’imparfaitement d’effacer les conséquences de la violation, l’article 41 habilite la Cour à accorder, s’il y a lieu, à la partie lésée la satisfaction qui lui semble appropriée (Brumărescu c. Roumanie (satisfaction équitable) [GC], no 28342/95, § 20, CEDH 2000-I).
21. Dans son arrêt au principal, la Cour a dit que l’ingérence litigieuse ne satisfaisait pas à la condition de légalité (paragraphes 93-97). L’acte de l’État défendeur que la Cour a tenu pour contraire à la Convention n’était pas en l’espèce une expropriation qui eût été légitime si une indemnisation adéquate avait été versée ; au contraire, elle était une mainmise de l’État sur le terrain des requérants (paragraphes 94-95 de l’arrêt au principal).
22. A cet égard, la Cour a relevé que, le 14 juillet 1997, le tribunal de Nuoro a pris note de la situation d’illégalité et a déclaré les requérants comme étant privés de leurs biens au bénéfice de l’occupant (paragraphe 94 de l’arrêt au principal). En exécution de ce jugement, confirmé le 17 juillet 2003, les requérants ont reçu à titre de dédommagement, le 25 mars 1998, 970 746 447 lires italiennes chacun (environ 501 349 EUR). S’agissant de l’indemnité, la Cour constatait que l’application rétroactive de la loi budgétaire no 662 de 1996 au cas d’espèce a eu pour effet de priver les requérants d’une réparation intégrale du préjudice subi (paragraphe 95 de l’arrêt au principal).
23. Il ressort clairement de ces éléments que la Cour a retenu le statut de « victime » des requérants pour parvenir ensuite au constat de violation de l’article 1 du Protocole no 1 (Eckle c. Allemagne, arrêt du 15 juillet 1982, série A no 51, p. 32, §§ 69 et suiv. ; Amuur c. France, 25 juin 1996, Recueil 1996-III, p. 846, § 36 ; Dalban c. Roumanie [GC], no 28114/95, § 44, CEDH 1999-VI et Jensen c. Danemark (déc.), no 48470/99, CEDH 2001-X). Par ailleurs, les requérants restent toujours « victimes », leur situation demeurant inchangée depuis le prononcé de l’arrêt au principal.
24. En outre, la Cour constate que, dans tous les cas, l’expropriation indirecte tend à entériner une situation de fait découlant des illégalités commises par l’administration et permet ainsi à cette dernière de tirer bénéfice de son comportement illégal. Que ce soit en vertu d’un principe jurisprudentiel ou d’un texte de loi comme l’article 43 du Répertoire, l’expropriation indirecte ne saurait donc constituer une alternative à une expropriation en bonne et due forme (voir Serrao c. Italie, no 67198/01, § 81, 13 octobre 2005).
25. La Cour rappelle avoir fondé sa jurisprudence en matière de satisfaction équitable en cas de privation arbitraire de biens suivant les principes élaborés par la Cour permanente de justice internationale, qui dans son arrêt du 13 septembre 1928 dans l’affaire relative à l’usine de Chorzów, a jugé :
« (…) la réparation doit, autant que possible, effacer toutes les conséquences de l’acte illicite et rétablir l’état qui aurait vraisemblablement existé si ledit acte n’avait pas été commis. Restitution en nature, ou, si elle n’est pas possible, paiement d’une somme correspondant à la valeur qu’aurait la restitution en nature; allocation, s’il y a lieu, de dommages-intérêts pour les pertes subies et qui ne seraient pas couvertes par la restitution en nature ou le paiement qui en prend la place; tels sont les principes desquels doit s’inspirer la détermination du montant de l’indemnité due à cause d’un fait contraire au droit international. » (Recueil des arrêts, série A no 17, p. 47)
26. La Cour a adopté une position très semblable dans l’affaire Papamichalopoulos et autres c. Grèce ((article 50), série A no 330-B, §§ 36 et 39). Elle y a conclu à une violation en raison d’une expropriation de fait illégale (occupation de terres par la marine grecque depuis 1967) qui durait depuis plus de vingt-cinq ans à la date de l’arrêt au principal rendu le 24 juin 1993. La Cour enjoignit en conséquence à l’État grec de verser aux requérants, pour dommage et perte de jouissance depuis la prise de possession par les autorités de ces terrains, une somme équivalente à la valeur actuelle des terrains augmentée de la plus-value apportée par l’existence de certains bâtiments qui avaient été édifiés depuis l’occupation.
27. En application de la jurisprudence Papamichalopoulos et autres c. Grèce, dans plusieurs affaires concernant l’Italie (Carbonara et Ventura c. Italie (satisfaction équitable), no 24638/94, 11 décembre 2003 ; Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italie (satisfaction équitable), no 31524/96, 30 octobre 2003 ; Scordino c. Italie (no 3) (satisfaction équitable), no 43662/98, CEDH 2007-… ; Pasculli c. Italie (satisfaction équitable), no 36818/97, 4 décembre 2007), la Cour a octroyé des sommes incluant la valeur du terrain au moment du prononcé de l’arrêt par rapport au marché immobilier et, afin de compenser la perte de jouissance des biens, le coût de construction des ouvrages bâtis par l’État.
La Cour après mure réflexion estime que l’extension de la jurisprudence Papamichalopoulos et autres c. Grèce aux cas de l’expropriation indirecte, dont la jurisprudence sus-citée est la conséquence, ne se justifie pas.
28. D’une part, la date aléatoire de l’arrêt de la Cour n’a aucun lien avec la détermination du dommage matériel subi par les requérants. D’autre part, il faut tenir compte du fait crucial que dans l’affaire Papamichalopoulos et autres c. Grèce, toutes les juridictions avaient reconnu le titre de propriété dans le chef des requérants sans que l’État eût offert une compensation monétaire, même partielle. En revanche, dans le cas d’espèce, la propriété des biens n’était pas l’objet de controverse et les requérants n’ont pas demandé, dans la procédure interne, la restitution du bien. Le tribunal de Nuoro, saisi d’une action en dédommagement, a déclaré l’illégalité de l’expropriation tout en consacrant le transfert de propriété et en dédommageant les requérants dépossédés (paragraphes 16-19 de l’arrêt au principal). Aux yeux de la Cour, la date à tenir en compte est celle où la perte de la propriété des biens a été reconnue dans le système national, à savoir, dans le cas de l’expropriation indirecte, la date de l’arrêt de la juridiction interne.
29. La Cour aux fins de la détermination de l’indemnité à allouer aux requérants a jusqu’ici adopté le critère de compenser les pertes subies qui ne seraient pas couvertes par le versement du montant correspondant à la valeur marchande des biens et la non-jouissance du bien litigieux, en chiffrant automatiquement ces pertes à la hauteur de la valeur brute des ouvrages réalisés par l’État, et en l’ajoutant à la valeur actualisée des terrains. Or, la Cour estime que cette méthode de dédommagement, telle quelle a été appliquée, entre autres, dans les affaires Carbonara et Ventura, Scordino et Pasculli précités, ne se justifie pas et peut introduire des inégalités de traitement entre les requérants, en fonction de la nature de l’ouvrage public bâti par l’administration publique qui n’a pas nécessairement un lien avec le potentiel du terrain dans sa qualité originaire. Par exemple, deux requérants ayant perdu la propriété de leurs terrains adjacents – d’une valeur similaire au moment de la privation du bien litigieux –, obtiendraient une réparation différente du préjudice subi en fonction des ouvrages bâtis par l’expropriant (en prenant pour hypothèse une commune qui construit sur une parcelle des logements et réalise sur une autre parcelle adjacente des espaces verts, le manque de justification de la différence des deux montants de dédommagement sensiblement différents est évidente). On peut ajouter que la méthode de calcul du préjudice matériel en fonction de la date du prononcé de l’arrêt de la Cour, ainsi que de la valeur des ouvrages réalisés par l’État, laisse la place à une marge d’arbitraire. De surcroît, elle attribue à l’indemnisation pour le dommage matériel un but punitif ou dissuasif à l’égard de l’État défendeur au lieu d’une fonction compensatoire pour les requérants.
30. La Cour estime le moment venu d’adopter une nouvelle approche. En effet, à côté des motifs sus-exposés, un fait nouveau dans le système national concerné doit être pris en compte et, aux yeux de la Cour, justifie un revirement jurisprudentiel concernant l’application de l’article 41 de la Convention dans le cas d’expropriation indirecte.
31. La Cour souligne qu’avec les arrêts nos 348 et 349 du 22 octobre 2007, la Cour constitutionnelle a jugé que la loi interne doit être compatible avec la Convention telle qu’interprétée par la jurisprudence de la Cour et, par conséquent, a déclaré inconstitutionnel l’article 5 bis du décret-loi no 333 du 11 juillet 1992, tel que modifié par la loi no 662 de 1996. Par la suite, la loi de finances no 244 du 24 décembre 2007 a établi que l’indemnité d’expropriation pour un terrain constructible doit correspondre à la valeur vénale du bien. Lorsque l’expropriation rentre dans le cadre d’une réforme économique et sociale, une réduction de 25% sera appliquée. Cette disposition est applicable à toutes les procédures d’expropriation en cours au 1er janvier 2008, sauf celles où la décision sur l’indemnité d’expropriation a été acceptée ou est devenue définitive. Il est utile de remarquer la nouvelle approche des autorités italiennes afin d’apporter une réponse adéquate au problème mis en évidence par les requêtes en matière d’expropriation indirecte dirigées contre l’Italie. Il paraît par ailleurs évident que la méthode de calcul de l’indemnisation sur la base de la valeur des biens à la date de l’arrêt de la Cour empêcherait les autorités internes de se conformer à la jurisprudence de la Cour, de sorte que le principe de subsidiarité ne pourrait pas trouver application.
32. La Cour décide, par conséquent, que pour évaluer le préjudice subi par un requérant, il y a lieu de prendre en considération la date à laquelle l’intéressé a eu la certitude juridique d’avoir perdu son droit de propriété sur le bien litigieux. La valeur vénale totale du bien fixée à cette date par les juridictions nationales est ensuite à réévaluer et à majorer des intérêts au jour de l’adoption de l’arrêt de la Cour. Du montant ainsi obtenu, on déduira la somme versée au requérant par les autorités de son pays. Le coût de construction de l’ouvrage bâti sur le terrain ne saurait plus entrer en ligne de compte dans le cadre de la réparation du préjudice subi et ce pour les raisons indiquées plus haut (paragraphes 28 et 29 ci-dessus).
33. En l’espèce, la date à prendre en considération est le 14 juillet 1997 quand le tribunal de Nuoro déclara l’illégalité de l’expropriation des terrains des requérants et estima la valeur vénale des biens à environ 1 298 363 349 ITL (670 549 EUR) pour les trois requérants conjointement (paragraphe 15 de l’arrêt au principal). Réévaluée et majorée des intérêts (au 31 août 2008) et après déduction du montant déjà obtenu par les intéressés, cette somme s’élève à 1 803 374 EUR pour les trois requérants conjointement et constitue, selon la Cour, une réparation adéquate du préjudice matériel subi par les intéressés.
B. Dommage moral
34. Les requérants sollicitent chacun 200 000 EUR.
35. Le Gouvernement s’en remet à la sagesse de la Cour tout en considérant exorbitante la somme indiquée par les requérants.
36. La Cour estime que le sentiment d’impuissance et de frustration face à la dépossession illégale de leurs biens a causé aux requérants un tort moral important qu’il y a lieu de réparer de manière adéquate. Statuant en équité, comme le veut l’article 41 de la Convention, la Cour décide d’allouer à chacun des requérants 15 000 EUR de ce chef, soit 45 000 EUR au total.
C. Frais et dépens
37. Les requérants demandent les sommes de 251 513,31 EUR, à titre de remboursement des frais encourus devant le tribunal de Nuoro, et de 48 190 EUR, taxe sur la valeur ajoutée (TVA) en sus, au titre du remboursement des frais encourus devant la Cour.
38. S’agissant des frais de la procédure devant le tribunal de Nuoro, le Gouvernement soutient que les requérants ont déjà obtenu le remboursement de ceux-ci au niveau interne et, en tout état de cause, il fait valoir que la décision concernant le remboursement de ces frais relève uniquement de la compétence des juridictions nationales. Quant aux frais de la procédure introduite devant la Cour, le Gouvernement s’en remet à la sagesse de celle-ci.
39. La Cour rappelle que l’allocation des frais et dépens au titre de l’article 41 présuppose que se trouvent établis dans leur réalité, leur nécessité et, de plus, le caractère raisonnable de leur taux (Iatridis c. Grèce (satisfaction équitable) [GC], no 31107/96, § 54, CEDH 2000-XI). En outre, les frais de justice ne sont recouvrables que dans la mesure où ils se rapportent à la violation constatée (Van de Hurk c. Pays-Bas, arrêt du 19 avril 1994, série A no 288, § 66).
40. La Cour ne doute pas de la nécessité d’engager des frais, mais elle trouve excessifs les honoraires totaux revendiqués à ce titre. Elle considère dès lors qu’il y a lieu de les rembourser en partie. Compte tenu des circonstances de la cause, et statuant en équité comme le veut l’article 41 de la Convention, la Cour juge raisonnable d’allouer un montant de 30 000 EUR, augmenté de la TVA, pour l’ensemble des frais exposés.
D. Intérêts moratoires
41. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR
1. Dit, par six voix contre une,
a) que l’État défendeur doit verser conjointement aux requérants, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes:
i. 1 803 374,00 EUR (un million huit cent trois mille trois cent soixante-quatorze euros) pour dommage matériel ;
ii. 45 000 EUR (quarante cinq mille euros) pour dommage moral ;
iii. 30 000 EUR (trente mille euros), pour frais et dépens ;
iv. tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par les requérants sur lesdites sommes ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
2. Rejette, par six voix contre une, la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 21 octobre 2008, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Sally Dollé Françoise Tulkens
Greffière Présidente
Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l’exposé de l’opinion dissidente de Mme Tulkens.
F.T.
S.D.

OPINION DISSIDENTE DE Mme LA JUGE TULKENS
Je ne partage pas la décision de la majorité quant à l’évaluation et la détermination du dommage matériel. Si techniquement, en dépit de l’évident problème de sécurité juridique qu’une telle situation crée, la chambre pouvait, sans doute, se distancer de la jurisprudence antérieure dans la mesure où les requérants se sont opposés au dessaisissement (paragraphes 7-9), encore fallait-il que ce soit avec des arguments juridiques décisifs. Or, tel ne me semble pas le cas.
1. Il est de jurisprudence constante, conformément aux principes généraux de la responsabilité internationale des États au regard des droits de l’homme, qu’un arrêt constatant une violation de la Convention entraîne pour l’État l’obligation de mettre un terme à la violation constatée, d’en effacer les conséquences et d’éviter des violations semblables.
2. Il n’est pas contesté que la situation en l’espèce est celle de la privation arbitraire de biens. Plus précisément, l’acte de l’État défendeur que la Cour a tenu pour contraire à la Convention n’était pas une expropriation qui eût été légitime si une indemnisation adéquate avait été versée ; au contraire, il s’agissait d’une mainmise illicite de l’État sur le terrain des requérants (paragraphes 94-95 de l’arrêt au principal du 8 décembre 2005).
3. Dans cette situation de privation arbitraire de biens, la Cour a initié sa jurisprudence dans l’arrêt Papamichalopoulos et autres c. Grèce (article 50) du 31 octobre 1995. Elle a décidé que l’État devait verser aux intéressés, pour dommage et perte de jouissance depuis la prise en possession par les autorités de leurs terrains, une somme équivalente à la valeur actuelle de ceux-ci augmentée de la plus-value apportée par l’existence des bâtiments (paragraphe 39). Cette jurisprudence a été suivie dans les arrêts Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italie (satisfaction équitable) du 30 octobre 2003 et Carbonara et Ventura c. Italie (satisfaction équitable) du 11 décembre 2003, qui portaient tous les deux, comme la présente affaire, sur des cas de dépossession illicite. Au titre du dommage matériel, la Cour a octroyé, à défaut de restitution des terrains, des sommes incluant la valeur actuelle de ceux-ci par rapport au marché immobilier au moment du prononcé de l’arrêt. En outre, elle a cherché à compenser les pertes subies qui ne seraient pas couvertes par le versement de ce montant, en tenant compte du potentiel du terrain en cause, calculé, le cas échéant, à partir du coût de construction des immeubles érigés par l’État.
4. Les arrêts Scordino c. Italie (no 3) du 6 mars 2007 et Pasculli c. Italie du 4 décembre 2007 consolident cette jurisprudence. En cas de dépossession illicite d’un bien, la Cour rappelle que l’indemnisation doit refléter l’idée d’un effacement total des conséquences de l’ingérence litigieuse. Elle observe que la nature de la violation constatée dans l’arrêt au principal lui permet de partir du principe d’une restitutio in integrum et que, concrètement, la restitution des terrains litigieux, en ce compris les bâtiments existants, aurait placé les requérants, le plus possible, dans une situation équivalente à celle où ils se trouveraient s’il n’y avait pas eu manquement aux exigences de l’article 1 du Protocole no 1. A défaut de restitution, la Cour décide que l’État devra verser aux intéressés une somme correspondant à la valeur actuelle du terrain et qu’à ce montant s’ajoutera une somme pour la plus-value apportée par la présence de bâtiments.
Le gouvernement italien a demandé le renvoi à la Grande Chambre de ces deux arrêts – qui portent, à nouveau, sur la même question que celle qui est au centre de la présente affaire – en invitant expressément la Cour à modifier sa jurisprudence en la matière. Par des décisions des 9 juillet 2007 et 2 juin 2008, le collège de la Grande Chambre n’a pas accepté les demandes.
5. Néanmoins, la chambre estime devoir abandonner l’ensemble de cette jurisprudence et elle justifie ce revirement par trois raisons principales.
Tout d’abord, la crainte d’introduire des inégalités de traitement entre les requérants en fonction de la nature de l’ouvrage bâti par l’administration publique qui n’a pas nécessairement un lien avec le potentiel du terrain dans sa qualité originaire (paragraphe 29). Il est pour le moins singulier de vouloir corriger une inégalité de traitement, en l’espèce plus virtuelle que réelle, en abaissant, de manière arbitraire, les indemnisations applicables à toutes les personnes concernées par une dépossession illégale. Par ailleurs, pour corriger une éventuelle inégalité de traitement, la majorité en réintroduit tout simplement une autre, celle qui frappe désormais les requérants par rapport à la situation réelle qui est la leur et par rapport aux autres requérants dont les affaires ont été traitées précédemment. Enfin, et plus fondamentalement, cette pratique même de « l’expropriation indirecte », un euphémisme pour qualifier en fait une expropriation illégale, aboutit à des résultats imprévisibles et arbitraires qui privent les personnes concernées d’une protection efficace de leurs droits.
Le deuxième argument est le refus d’attribuer à l’indemnisation pour dommage matériel un but punitif ou dissuasif à l’égard de l’État défendeur. Il ne s’agit pas de cela. Le dommage matériel aurait un tel but ou un tel caractère si le montant accordé n’avait plus aucun lien ni aucun rapport avec le dommage constaté. Or, tel n’est pas le cas en l’espèce dans la mesure où la fonction compensatoire du dommage allégué est clairement établie. En effet, s’ils étaient restés en possession de leurs terrains, les requérants auraient évidemment pu les exploiter ou les mettre en valeur d’une manière ou d’une autre.
Enfin, sans que cela soit déterminant aux fins de la décision, la majorité estime devoir prendre en compte un « fait nouveau » dans le système national. Par les arrêts no 348 et 349 du 22 octobre 2007, la Cour constitutionnelle a en effet jugé que la législation interne devait être compatible avec la Convention, telle qu’interprétée par la jurisprudence de la Cour ; en conséquence, elle a déclaré inconstitutionnel l’article 5 bis du décret-loi no 333 du 11 juillet 1992, tel que modifié par la loi no 662 de 1996. Par la suite la loi de finances no 244 du 24 décembre 2007 a établi que l’indemnité d’expropriation pour un terrain constructible doit correspondre à la valeur vénale du bien. Rien dans cette jurisprudence, qui semble concerner surtout la place de la Convention européenne des droits de l’homme dans le système constitutionnel italien, ni dans cette nouvelle loi ne vient contredire la méthode de calcul de l’indemnisation de la Cour en ce qui concerne l’expropriation indirecte dans la mesure où, de part et d’autre, les autres dommages ne sont pas pris en compte.
6. Dans cette situation particulière des expropriations « indirectes », je pense que la jurisprudence que la Cour a développée jusqu’à présent s’est fondée sur des éléments solides. Comme l’illégalité intrinsèque de la mainmise sur le terrain est à l’origine de la violation constatée sous l’angle de l’article 1 du Protocole no 1, l’indemnisation doit refléter l’idée d’un effacement total des conséquences de l’ingérence litigieuse et représenter la valeur pleine et entière des biens. Par ailleurs, la décision par laquelle une juridiction nationale prend acte d’une occupation illégale d’un terrain et déclare l’expropriation indirecte de celui-ci n’a pas pour effet de régulariser la situation dénoncée. Elle se limite à entériner une situation illégale, situation qui ne peut dès lors être redressée en l’absence d’une réparation conforme aux critères s’appliquant aux cas de privation illégale des biens. A contrario, l’État tirerait profit ou bénéfice de son comportement illégal. Or, tel est exactement le résultat douteux auquel l’arrêt de la chambre aboutit.
7. Il y a enfin un dernier point sur lequel je voudrais être très claire. Même si tel n’est pas tout à fait le cas en l’espèce, je ne remets aucunement en question ni en cause le caractère d’utilité publique des biens ou des autres ouvrages qui auraient été construits sur les terrains litigieux. Plus largement, je pense aussi que, dans certains cas, l’intérêt public l’emporte sur l’intérêt individuel au respect du droit de propriété car, à mes yeux, le droit de propriété doit également être un droit finalisé, c’est-à-dire tourné vers la satisfaction de besoins sociaux dépassant le seul intérêt personnel de son titulaire. Je pense simplement que, dans un État de droit, l’État doit prendre les mesures d’expropriation nécessaires au bien public selon les voies légales.

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