Conclusione Violazione dell’art. 6-1
SECONDA SEZIONE
CAUSA GIUSTI C. ITALIA
(Richiesta no 13175/03)
SENTENZA
STRASBURGO
18 ottobre 2011
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Giusti c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Danutė Jočienė, Davide Thór Björgvinsson, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, Guido Raimondi, giudici,
e di Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 13 Settembre 2011,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 13175/03) diretta contro la Repubblica italiana e in cui due cittadini di questo Stato, i Sigg. G. e T. G. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 13 gennaio 1999 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da S. F., avvocato a Benevento. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo coagente, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 6 luglio 2009, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permetteva il paragrafo 3 dell’articolo 29 della Convenzione, in vigore all’epoca, aveva deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della richiesta allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1933 e 1936 e risiedono a Benevento.
A. Il procedimento principale
5. Il 20 maggio 1985, i richiedenti furono citati dai fratelli I. dinnanzi al tribunale di Benevento nella cornice dell’esecuzione di un contratto di vendita che contemplava il trasferimento di proprietà di un appartamento in compenso parziale della cessione di un terreno, RG no 701/85.
6. Delle ventotto udienze fissate tra il 23 settembre 1985 ed li 9 giugni 1998, due furono rinviate su richiesta dei richiedenti e due su richiesta dei richiedenti.
7. Con un giudizio depositato il 5 novembre 1998, il tribunale fece diritto all’istanza dei fratelli I.
8. Il 30 dicembre 1998, i richiedenti investirono la corte di appello di Napoli, RG no 19/99 che li respinse con una sentenza depositata il 28 novembre 2000.
B. Il procedimento “Pinto”
9. Il 13 gennaio 1999, mentre il procedimento principale era ancora pendente in appello, i richiedenti si rivolsero alla Corte denunciando la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
10. Il 25 settembre 2001, in seguito all’entrata in vigore della legge “Pinto”, investirono la corte di appello di Roma chiedendo il risarcimento dei danni subiti a causa della durata del procedimento principale, RG no 5822 /2001).
11. Con una decisione depositata il 20 marzo 2002, la corte di appello constatò il superamento di una durata ragionevole, respinse la domanda di risarcimento e compensò gli oneri e le spese.
12. Il 19 aprile 2002, i richiedenti ricorsero in cassazione. Il 29 maggio 2002, l’amministrazione formò un ricorso incidentale. Con una sentenza depositata il 30 gennaio 2003, la Corte di cassazione respinse le istanze dei richiedenti e compensò gli oneri e spese.
13. Con una lettera del 29 marzo 2003, i richiedenti pregarono la Corte di riprendere l’esame della loro richiesta e formularono dei nuovi motivi di appello relativi al procedimento “Pinto.”
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
14. Il diritto e la pratica interna pertinenti figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006-V.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
15. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, i richiedenti si lamentano della durata del procedimento principale e della mancanza di indennizzo nella cornice del rimedio “Pinto.”
16. Il Governo si oppone a questa tesi.
17. L’articolo 6 § 1 della Convenzione nella sua parte pertinente è formulato così:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile .”
A. Sull’ammissibilità
1. Requisito di “vittima”
18. Il Governo sostiene che i richiedenti non possono più definirsi “vittime” della violazione dell’articolo 6 § 1 perché hanno ottenuto della corte di appello “Pinto” una constatazione di violazione. Il comportamento dei richiedenti durante il procedimento principale e la conclusione sfavorevole di questa giustificherebbe pienamente la mancanza di ogni risarcimento per la durata controversa.
19. La Corte, dopo avere esaminato l’insieme dei fatti della causa e gli argomenti delle parti, considera che la sola constatazione di violazione costituisce una correzione insufficiente (vedere Delle Cave e Corrado c. Italia, no 14626/03, §§ 26-31, 5 giugno 2007; Cocchiarella precitatao, §§ 69-98). Pertanto, i richiedenti possono sempre definirsi “vittime”, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
2. Mancanza di danno importante
20. Nelle sue osservazioni depositate alla cancelleria il 27 ottobre 2009, sette mesi circa prima dell’entrata in vigore del Protocollo no 14, il Governo sollevava un’eccezione derivata dalla mancanza di danno importante per i richiedenti. Affermava che la posta del procedimento o la mancanza di angoscia con l’attesa di ciò che era dovuto, così come di altre circostanze particolari della causa, come il carattere manifestamente mal fondato di una rivendicazione o i vantaggi collaterali che il passaggio del tempo può provocare per una parte, giocano un ruolo importante per stabilire l’esistenza di un danno importante. Il Governo sottolineava che i richiedenti non avevano dimostrato nessun interesse a giungere ad una conclusione veloce del procedimento a cui erano parti.
21. Il Governo si riferiva al testo dell’articolo 37 § 1 c, della Convenzione, interpretato alla luce dell’articolo 35 § 3 b) come modificato dal Protocollo no 14 secondo cui la Corte può dichiarare una richiesta inammissibile quando “il richiedente non ha subito nessun danno importante, salvo se il rispetto dei diritti dell’uomo garantito dalla Convenzione e dai suoi Protocolli esigono un esame della richiesta al merito ed a patto di non respingere per questo motivo nessuna causa che non è stata esaminata debitamente da un tribunale interno.”
22. La Corte osserva al primo colpo che il Protocollo no 14 è entrato in vigore il 1 giugno 2010. Ai termini del suo articolo 20, la nuova disposizione si applica a partire dalla data della sua entrata in vigore a tutte le richieste pendenti dinnanzi alla Corte che non sono state dichiarate prima ammissibili. Di conseguenza, la Corte deve esaminare se c’è luogo di applicare nello specifico questo nuovo criterio di ammissibilità.
23. In applicazione del paragrafo 3 b) dell’articolo 35, la Corte ha il dovere di verificare se il richiedente ha subito un “danno importante” e, in caso negativo, controllare che nessuna delle due clausole di salvaguardia si trovi ad applicarsi.
24. La Corte ricorda che questo nuovo criterio è stato concepito per permetterle di trattare velocemente le richieste a carattere futile per concentrarsi sulla sua missione essenziale che è di garantire a livello europeo la protezione giuridica dei diritti garantiti dalla Convenzione e dei suoi Protocolli (Stefanescu c. Romania, (dec.), no 12 aprile 2011n § 35). Conclusione del principio di de minimis non curat praetor, la nuova condizione di ammissibilità rinvia all’idea che la violazione di un diritto, qualunque sia la sua realtà da un punto di vista rigorosamente giuridico, deve raggiungere una soglia minima di gravità per giustificare un esame da parte di una giurisdizione internazionale (Korolev, precitata).
25. La Corte ha dovuto già pronunciarsi sul nuovo criterio di ammissibilità. Nelle cause Adrian Mihai Ionescu c. Romania, (dec.), no 36659/04, 1 giugno 2010, e Korolev c. Russia (dec). no 25551/05, 1 luglio 2010 che riguardavano rispettivamente l’equità di un procedimento civile e l’inadempimento di una sentenza, la Corte ha preso in conto, nella determinazione della mancanza di danno importante, la posta dei procedimenti interni.
26. Nella prima causa, il danno finanziario subito dal richiedente in ragione del mancata osservanza di clausole contrattuali era di 90 EUR mentre nel secondo, lo stato non aveva versato al richiedente la somma che gli era stata accordata dai tribunali interni e che ammontava a meno di un euro.
27. Nella causa Rinck c. Francia (dec). no 18774/09, 19 ottobre 2010, concernente l’equità di un procedimento penale, la Corte si è dedicata esclusivamente alla conclusione del procedimento, ossia la gravità della condanna del richiedente, senza prendere in conto la natura e la gravità della violazione addotta della Convenzione. La Corte ha stimato così che la condanna a 150 EUR di multa più il ritiro di un punto della patente non poteva costituire un danno importante e che, ad ogni modo, il richiedente non aveva subito delle “conseguenze significative sulla sua situazione personale” in ragione della condanna.
28. Nella causa Holub c. Repubblica ceco (dec). no 24880/05, 14 dicembre 2010, il richiedente adduceva che una violazione del principio del contraddittorio si era prodotta nel procedimento dinnanzi alla Corte Costituzionale. La Corte ha stabilito che ” non si potrebbe assimilare il “danno” ai sensi dell’articolo 35 § 3 b) al valore economico della disputa che era all’origine del procedimento civile interno, ma che c’è luogo di esaminare l’esistenza di un eventuale danno risultante dalla violazione addotta nell’esercizio del diritto del richiedente, ossia il difetto di comunicazione al richiedente dei commenti delle altre parti al procedimento sul suo ricorso costituzionale. La Corte ha dichiarato poi il motivo di appello inammissibile in applicazione del nuovo criterio al motivo che il richiedente non aveva indicato quali mezzi, in aggiunta a quelli sollevati nel suo ricorso costituzionale, avrebbe voluto sottoporre alla Corte Costituzionale: di conseguenza, non aveva dimostrato in nessun modo che avrebbe potuto portare degli elementi in replica a detti commenti che non contenevano niente che gli fosse sconosciuto (vedere anche Bratři Zátkové, a.s,. c. Repubblica ceco, (dec.) no 20862/06, 8 febbraio 2011 ed Benet Praha, spol. s r.o. c. Repubblica ceca, no 33908/04, 24 febbraio 2011 con cui la Corte ha confermato l’approccio adottato nel causa Holub, precitata). Nella causa Benet Praha, spol. s r.o., precitata, la Corte, senza prendere in considerazione la posta del procedimento civile, ha concluso all’inapplicabilità del nuovo criterio in ragione del fatto che la violazione del principio del contraddittorio aveva avuto un’incidenza importante nell’esercizio del diritto ad un processo equo.
29. Nella causa Gaglione ed altri c. Italia, no 45867/07 ed altri, 21 dicembre 2010, concernente il ritardo nel pagamento di somme accordate dai corsi di appello “Pinto”, per valutare l’applicabilità del nuovo criterio di ammissibilità, la Corte ha preso in conto tanto la somma, oggetto della decisione da eseguire, che la gravità della violazione, ossia il numero di mesi di ritardo nell’esecuzione.
30. Nella causa Sancho Cruz ed altre cause “Riforma agraria” c. Portogallo, no 8851/07 e 14 altre richieste, 18 gennaio 2011, concernenti i procedimenti di indennizzo, la Corte ha riaffermato che l’articolo 35 § 3 b) “richiama un esame riguardante la posta, e non unicamente la conclusione, della causa”.
31. Nella causa Graftoniuc c. Romania (dec). no 30934/05, 22 febbraio 2011, riguardante la mancanza di indicizzazione al tasso di inflazione di una somma dovuta dallo stato durante il periodo di ritardo del suo pagamento, la Corte ha stimato che suddetta somma, circa 25 EUR, non costituiva un danno importante.
32. Nella causa Giuran c. Romania (no 24360/04, 21 giugno 2011,) relativa ad un procedimento penale per furto di beni mobili appartenenti al richiedente, la Corte ha respinto l’eccezione del governo convenuto che prende in conto, entra altri, il valore affettivo che l’interessato legava ai beni in gioco ed il fatto che il problema sottomesso ai giudici nazionali costituiva per il richiedente una questione di principio.
33. Si è obbligato a constatare che ad oggi, la giurisprudenza, ancora limitata, fornisce solamente parzialmente i criteri che permettono di verificare se la violazione del diritto ha raggiunto la “soglia minima” di gravità per giustificare un esame da parte di una giurisdizione internazionale. La valutazione di questa soglia è, per natura, relativa e dipende dalle circostanze dello specifico (Rinck, precitata).
34. Alla vista di ciò che precede, la Corte stima che per verificare se la violazione di un diritto raggiunge la soglia minima di gravità, c’è luogo di prendere in conto in particolare i seguenti elementi: la natura del diritto presumibilmente violato, la gravità dell’incidenza della violazione addotta nell’esercizio di un dritto e/o le conseguenze eventuali della violazione sulla situazione personale del richiedente. Nella valutazione di queste conseguenze, la Corte esaminerà, in particolare, la posta del procedimento nazionale o la sua conclusione.
35. La Corte rileva che nello specifico i richiedenti si lamentavano della durata di un procedimento civile, riguardante l’esecuzione di un contratto (paragrafo 5 sopra) essendosi dilungata per quindici anni e sei mesi circa per due gradi di giurisdizione. All’evidenza, tale durata non potrebbe essere compatibile col principio del termine ragionevole previsto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione. Secondo la Corte, per valutare la gravità delle conseguenze di questo tipo di affermazione, la posta della causa dinnanzi ai giudici nazionali potrebbe essere determinante solamente nell’ipotesi dove il valore fosse debole o irrisorio, il che non è il caso nell’occorrenza poiché il valore dell’esecuzione del contratto in questione è importante.
36. Tenuto conto di ciò che precede, la Corte stima che la prima condizione dell’articolo 35 § 3 b) della Convenzione, ossia la mancanza di danno importante per i richiedenti non è stata assolta e che c’è luogo di respingere l’eccezione del Governo.
3. Conclusione
37. La Corte rileva che questo motivo di appello non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Lo dichiaralo allo stesso modo ammissibile.
B. Sul merito
38. La Corte constata che il procedimento principale è cominciato il 20 maggio 1985 e si è concluso il 28 novembre 2000. È durato circa quindici anni e sei mesi per due gradi di giurisdizione dunque.
39. La Corte ha trattato a più riprese cause che sollevavano delle questioni simili a quella del caso di specie e ha constatato un’incomprensione dell’esigenza del “termine ragionevole”, tenuto conto dei criteri emanati in materia dalla sua giurisprudenza ben consolidata (vedere, in primo luogo, Cocchiarella precitata). Non vedendo niente che possa condurre ad una conclusione differente nella presente causa, la Corte stima che c’è luogo anche di constatare una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione per lo stesso motivo.
II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
40. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, i richiedenti si lamentano della durata del procedimento “Pinto.”
41. La Corte constata che il procedimento “Pinto” è cominciato il 25 settembre 2001 e si è concluso il 30 gennaio 2003. È durato dunque globalmente un anno e quattro mesi per due gradi di giurisdizione.
42. Alla luce della sua giurisprudenza, la Corte stima che la durata globale del procedimento non si rivela sufficientemente importante affinché si possa concludere ad una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Belperio e Ciarmoli c. Italia, no 7932/04, 21 dicembre 2010).
43. Invocando l’articolo 13 della Convenzione, i richiedenti denunciano anche la non effettività del rimedio “Pinto” al motivo che non garantirebbe una correzione sufficiente rispetto a quello che si potrebbe ottenere applicando i criteri elaborati dalla Corte.
44. La Corte ricorda che, secondo la giurisprudenza Delle Cave e Corrado precitata, §§ 43-46, e Simaldone c. Italia, no 22644/03, §§ 71-72, CEDH 2009 -… (brani), l’insufficienza dell’indennizzo “Pinto” non rimette in causa l’effettività di questa via di ricorso.
45. Ne segue che questi motivi di appello sono manifestamente mal fondati e devono essere respinti in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
46. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
47. I richiedenti richiedono 20 000 euro (EUR) ciascuno a titolo del danno morale che avrebbero subito.
48. Il Governo contesta queste pretese, stimandole eccessive.
49. La Corte stima che avrebbe potuto accordare ai richiedenti, in mancanza di vie di ricorso interne e tenuto conto dei ritardi che sono loro imputabili, la somma di 14 000 EUR ciascuno. Il fatto che le giurisdizioni “Pinto” non abbiano concesso ai richiedenti nessun indennizzo a questo titolo arriva ad un risultato manifestamente irragionevole. Di conseguenza, avuto riguardo alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto” ed al fatto che è giunta però ad una constatazione di violazione, tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella precitata, §§ 139-142 e 146, e deliberando in equità, la Corte accorda ad ogni richiedente 6 300 EUR per danno morale.
B. Oneri e spese
50. I richiedenti chiedono anche 4 281,59 EUR per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alle giurisdizioni “Pinto” e 3 127,06 EUR per quelli impegnati dinnanzi alla Corte.
51. Il Governo contesta queste pretese.
52. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei suddetti criteri, la Corte stima ragionevole la somma di 2 500 EUR di cui 1 000 EUR a titolo degli oneri e spese del procedimento nazionale e 1 500 EUR per il procedimento dinnanzi alla Corte, e l’accorda congiuntamente ai richiedenti.
C. Interessi moratori
53. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dalla durata eccessiva del procedimento principale ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare, entro tre mesi a contare dal giorno dove la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione:
i. 6 300 EUR (seimila tre cento euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale, ad ogni richiedente;
ii. 2 500 EUR (duemila cinque cento euro) più ogni importo che può essere dovuto congiuntamente a titolo di imposta dai richiedenti, per oneri e spese, ai richiedenti;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 18 Ottobre 2011, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Francesca Tulkens
Cancelliere Presidentessa