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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE GIUSEPPE ROMANO c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli: 06, P1-1
Numero: 35659/02/2013
Stato: Italia
Data: 2013-03-05 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusioni: Violazione dell’articolo 6 – Diritto ad un processo equo, Articolo 6-Procedimento civile Articolo 6-1 – Termine ragionevole, Violazione dell’articolo 1 del Protocollo n° 1 – Protezione della proprietà, articolo 1 al. 1 del Protocollo n° 1 – Rispetto dei beni,

SECONDA SEZIONE

CAUSA GIUSEPPE ROMANO C. ITALIA

( Richiesta no 35659/02)

SENTENZA

STRASBURGO

5 marzo 2013

Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nel causa Giuseppe Romano c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta dA:
Danutė Jočienė, presidentessa,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Paulo Pinto di Albuquerque,
Helen Keller giudici e
di Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 5 febbraio 2013,
Rende la sentenza che ha adottata in questa data :
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 35659/02) diretta contro la Repubblica italiana e di cui un cittadino di questo Stato, OMISSIS (“il richiedente”), aveva investito la Commissione europea dei diritti dell’uomo (“la Commissione”) il 20 maggio 1998 in virtù del vecchio articolo 25 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da OMISSIS, avvocato a Benevento. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, così come col suo coagente, la Sig.ra P. Accardo.
3. Il richiedente si lamenta della durata del procedimento di fallimento, del tempo necessario per ricuperare i suoi crediti così come del ritardo nell’ottenimento dell’importo riconosciuto nella cornice del procedimento “Pinto.” Invoca a questo titolo gli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione. Il richiedente denuncia anche il fatto di non disporre di una via di ricorso efficace per sollecitare la liquidazione dei beni che fanno parte dell’attivo del fallimento così come l’inefficacità del rimedio previsto dalla legge “Pinto.” Invoca a questo titolo l’articolo 13 della Convenzione.
4. Il 9 maggio 2006, la richiesta è stata comunicata al Governo. Siccome lo permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
1. Il procedimento introdotto dinnanzi al giudice di istanza di Benevento
5. Il 29 settembre 1984, il richiedente, vecchio salariato del società C.T, citò questa ultima dinnanzi al giudice di istanza di Benevento per ottenere le retribuzioni insolute alle quali stimava avere diritto così come il premio di anzianità, trattamento di fine rapporto-T.F.R.
6. Il 9 ottobre 1984, il giudice fissò al 12 dicembre 1984 l’udienza di arringhe.
7. Con un giudizio depositato il 29 dicembre 1984, il giudice condannò la società convenuta al pagamento di 17 273 347 lire italiane (ITL, in favore del richiedente,).
8. Il 30 aprile 1985, il curatore del fallimento (vedere sotto) interpose appello dinnanzi al tribunale di Benevento per ottenere la revoca del giudizio depositato il 29 dicembre 1984.
9. Con un giudizio depositato il 4 agosto 1986, il tribunale di Benevento respinse questa domanda.
2. Il procedimento di fallimento
10. Nel frattempo, con un giudizio depositato il 21 novembre 1984, il tribunale di Benevento dichiarò il fallimento della società di fatto che esiste tra il Sig. C.T. ed il Sig. G.T.
11. Il 14 gennaio 1985, sulla base del giudizio del giudice di istanza di Benevento depositata il 29 dicembre 1984 (vedere sopra paragrafo 7), il richiedente introdusse una domanda dinnanzi al tribunale per essere ammesso al passivo del fallimento alla quota della somma per la quale il società C.T. era stata condannata.
12. Il 23 ottobre 1985, il tribunale respinse la domanda del richiedente, adducendo che il giudizio del giudice di istanza era nullo perché successivo alla dichiarazione di fallimento della società di fatto che esiste tra il Sig. C.T. ed il Sig. G.T.
13. Il 24 marzo 1986, lo stato del passivo del fallimento fu dichiarato esecutivo e, il 8 aprile 1986, il richiedente fece opposizione.
14. Con un giudizio depositato il 24 gennaio 1992, il tribunale fece diritto alla domanda di questo ultimo ed ammise questo al passivo del fallimento alla quota di 18 633 206 ITL.
15. Il 16 maggio 2002, il procedimento di fallimento fu chiuso e, all’epoca della ripartizione finale dell’attivo, il richiedente ottenne il pagamento di 5 751, 84 euros (EUR).
3. Il procedimento introdotto conformemente alla legge no 89 del 24 marzo 2001 (“legge Pinto”)
16. Il 16 ottobre 2001, il richiedente introdusse un ricorso dinnanzi alla corte di appello di Roma conformemente al “legge Pinto”, lamentandosi della durata del procedimento e della limitazione del suo diritto al rispetto dei suoi beni.
17. Con una decisione depositata il 24 marzo 2003, la corte di appello condannò il ministero della Giustizia al pagamento di 1 000 EUR per il danno giuridico che il richiedente aveva subito. Questa decisione diventò definitiva il 10 maggio 2004.
4. Il procedimento in esecuzione della decisione preso conformemente al “legge Pinto”
18. Il ministero della Giustizia non avendo pagato la somma accordata dalla corte di appello di Roma, il 11 novembre 2003 il richiedente notificò al ministero un’ingiunzione di pagare.
19. Il 10 febbraio 2004, il ministero della Giustizia assegnò al richiedente 1 244,81 EUR.
IN DIRITTO
I. SULL’ECCEZIONE DEL GOVERNO DERIVATA DAL NON-ESAURIMENTO DELLE VIE DI RICORSO INTERNE
20. Il Governo eccepisce innanzitutto che, il richiedente non essendo dotato si in cassazione contro la decisione della corte di appello di Roma depositata il 24 marzo 2003, ha omesso di esaurire le vie di ricorso interni.
21. La Corte rileva al primo colpo che la decisione della corte di appello “Pinto” è diventata definitiva il 10 maggio 2004. Alla luce della sua giurisprudenza, Di Salute c. Italia, déc.), no 56079/00, 24 giugno 2004, ricorda che è a partire dal 26 luglio 2004 che deve essere esatto dei richiedenti che consumano del ricorso in cassazione al senso del “legge Pinto” alle fini dell’articolo 35 § 1 della Convenzione per lamentarsi della durata del procedimento.
22. La Corte osserva inoltre che il motivo di appello del richiedente derivato dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione è legato rigorosamente alla durata del procedimento.
23. Respinge l’eccezione del Governo derivato della no-esaurimento delle vie di ricorso interni dunque.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE (DURATA DEL PROCEDIMENTO)
24. Invocando gli articoli 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta della durata del procedimento di fallimento. Questo articolo è formulato così:
“Ogni persona ha diritto affinché che la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
A. Sull’ammissibilità
25. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3, ha, della Convenzione. Rileva peraltro che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
26. Il Governo fa valere che il procedimento di fallimento è stato complesso.
27. Il richiedente reitera il suo motivo di appello.
28. La Corte osserva che il procedimento di fallimento nella quale il richiedente era creditore è durato circa sedici anni ed un mese per un grado di giurisdizione. Constata anche che il richiedente ha ottenuto 1 244,81 EUR in ragione della durata del procedimento nella cornice del procedimento “Pinto.”
29. La Corte ha trattato a più riprese delle richieste che sollevano delle questioni simili a queste del caso di specifico e ha constatato un’incomprensione dell’esigenza del “termine ragionevole”, tenuto conto dei criteri emanati in materia dalla sua giurisprudenza buona invalsa (vedere, tra molte altre, Cocchiarella c. Italia [GC], no 64886/01, §§ 117-121, CEDH 2006-V. Non vedendo niente che possa condurre ad una conclusione differente nella presente causa, la Corte stima che c’è luogo anche di constatare, in questa richiesta, una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
III. Su La Violazione Addotta Di L’articolo 1 Del Protocollo No 1 A La Convenzione, Relativamente Al Ritardo In L’ottenimento Dei Crediti In La Cornice Di Il Procedimento Di Fallimento,
30. Invocando l’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, il richiedente si lamenta del tempo necessario per ricuperare il suo credito nella cornice del procedimento di fallimento. Questo articolo è formulato così:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Sull’ammissibilità
31. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato al senso dell’articolo 35 § 3, ha, della Convenzione. Rileva peraltro che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
32. Il Governo fa valere che il richiedente non ha beneficiato di un “bene” al senso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, i crediti ammessi allo stato passivo del fallimento che non è né certo né definitive.
33. Il richiedente reitera il suo motivo di appello.
34. A titolo preliminare, la Corte rileva che, secondo la giurisprudenza degli organi della Convenzione, un guadagno futuro costituisce un “bene” al senso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione se il guadagno è stato acquisito o fa l’oggetto di un credito esigibile. Nel caso di specifico, il richiedente, vecchio salariato del società C.T, è stato ammesso allo stato passivo del fallimento di questa ultima il 24 gennaio 1992 per un importo di 18 633 206 ITL di cui una parte gli è stata assegnata in seguito alla chiusa del procedimento di fallimento. Non fa di dubbio che i crediti del richiedente costituiscono un “bene” al senso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione (vedere Ambruosi c) dunque. Italia, no 31227/96, § 20, 19 ottobre 2000; Saggio c. Italia, no 41879/98, §§ 24-25, 25 ottobre 2001 e F.L. c. Italia, no 25639/94, § 23-24, 20 dicembre 2001.
35. La Corte rileva inoltre che il motivo di appello del richiedente deve essere esaminato sul terreno del diritto degli Stati di regolamentare, in virtù dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, l’uso dei beni nell’interesse generale.
36. Per essere in conformità con l’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, l’ingerenza delle autorità pubbliche, non contestata tra le parti nel caso di specifico, nel diritto al rispetto dei beni del richiedente deve soddisfare al principio di legalità, inseguire un scopo legittimo e predisporre un giusto equilibrano tra le esigenze dell’interesse generale e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo, Broniowski c. Polonia [GC], no 31443/96, §§ 144-146, CEDH 2004-V e Belev ed altri c. Bulgaria, nostri 16354/02, ed altri, § 86, 2 aprile 2009.
37. La Corte constata che l’ingerenza controversa aveva una base legale che consiste in particolare nella vecchia legge sul fallimento, decreto reale no 267 del 16 marzo 1942, nelle sue parti concernente la domanda di ammissione dei creditori allo stato del passivo del fallimento e la liquidazione dell’attivo di questa, regolamentate rispettivamente con gli articoli 93 e segue e 104 e segue di suddetto decreto. Di più, questa ingerenza prevedeva degli scopi legittimi conformi all’interesse generale, a sapere una buona gestione dell’amministrazione e la protezione dei diritti di altrui attraverso una gestione equa dei beni della società in fallimento.
38. In ciò che riguarda il rispetto del “giusto equilibro”, la Corte ricorda che lo stato non saprebbe in principio essere tenuto responsabile di un difetto di pagamento dovuto all’insolvenza di un debitore privato, Cinghiale c. Francia, no 50342/99, § 39, 27 maggio 2003,
39. Però, rileva avere riconosciuto che, nei casi di collocamento in liquidazione di una società avendo fatto l’oggetto di una privatizzazione parziale, i ritardi nell’esecuzione di giudizi che riconoscono dei crediti in favore dei richiedenti, vecchi salariati dalla società messa in liquidazione, e l’impossibilità per questi di ottenere il pagamento dell’interezza dei loro crediti ha provocato una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, Belev ed altri, precitato, §§ 97-99 e Hristova ed altri c. Bulgaria, i nostri 11472/04 e 40590/08, §§ 48-51, 26 giugno 2012.
40. Girandosi verso la presente causa, la Corte nota avere concluso alla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione in ragione della durata eccessiva del procedimento di fallimento. Rileva poi che il ritardo nel pagamento del richiedente non era dovuto principalmente all’insolvenza della società debitrice ma era la conseguenza della durata eccessiva del procedimento controverso (vedere, ha contrario, F.L. c. Italia, precitato e Saggio c. Italia, precitato).
41. Di conseguenza, la Corte stima che nello specifico, il giusto equilibra chi deve essere predisposto tra le salvaguardie del diritto dell’individuo al rispetto dei suoi beni e le esigenze dell’interesse generale non è stato preservato. Conclude alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione dunque.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 6 § 1 E 13 DELLA CONVENZIONE IN QUANTO ALLA PRETESA IMPOSSIBILITÀ DI CONTROLLARE L’ATTIVITÀ DEL CURATORE DEL FALLIMENTO
42. Il richiedente si lamenta di non disporre di una via di ricorso per controllare l’attività del curatore e per sollecitare la liquidazione dei beni che fanno parte del fallimento. Invoca a questo titolo gli articoli 6 § 1 della Convenzione, in quanto al diritto di accesso al tribunale, e 13 della Convenzione. Il testo dell’articolo 6 § 1 della Convenzione sono rinviati sopra al paragrafo 24. L’articolo 13 della Convenzione dispone così:
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
43. Il Governo sostiene che il richiedente si sarebbe potuto avvalere dei rimedi previsti dagli articoli 26 e 36 della vecchia legge sul fallimento, decreto reale no 267 del 16 marzo 1942, previdente rispettivamente la possibilità di introdurre un reclamo contro gli atti del giudice delegato del fallimento e del curatore del fallimento. Nota anche che, nei cause Saggio c. Italia (precitato, §§ 21 e 44, e Chizzotti c. Italia, no 15535/02, § 46, 2 febbraio 2006, la Corte ha riconosciuto la validità di rimedi simili nella cornice di procedimenti di amministrazione straordinaria.
44. Il richiedente reitera il suo motivo di appello.
45. Anche ammesso che i motivi di appello sollevati dal richiedente siano stati supportati sufficientemente, come il Governo, la Corte rileva avere riconosciuto implicitamente, nelle cause citate dal governo convenuto, che la possibilità di contestare dinnanzi alle istanze giudiziali gli atti del commissario liquidatore nella cornice di un procedimento di amministrazione straordinaria costituisce un rimedio efficace allo sguardo dell’articolo 13 della Convenzione. Questi rimedi che sono assimilabili a quelli previsto dagli articoli 26 e 36 della vecchia legge sul fallimento evidentemente, la Corte respinge il motivo di appello del richiedente per difetto manifesto di fondamento, al senso dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
V. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 ALLA CONVENZIONE, IN QUANTO AL TEMPO NECESSARIO PER OTTENERE LA SOMMA ACCORDATA DALLA CORTE D’ APPELLO DI ROMA AL SENSO DELLA “LEGGE PINTO”)
46. Il richiedente si lamenta del tempo necessario per ottenere la somma accordata dalla corte di appello di Roma al senso del “legge Pinto.” Invoca l’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione. Il testo di questo articolo è rinviato sopra al paragrafo 30.
47. Il Governo contesta la tesi del richiedente.
48. Il richiedente reitera il suo motivo di appello.
A. Sull’ammissibilità
49. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3, ha, della Convenzione. Rileva peraltro che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
50. La Corte rileva avere concluso a più riprese alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione nei casi simili (vedere, tra molto altri, Simaldone c. Italia, no 22644/03, § 84, 31 marzo 2009 e Gaglione ed altri c. Italia, nostri 45867/07 ed altri, § 47, 21 dicembre 2010.
51. Rileva che il Governo non ha fornito di argomenti che permettono di arrivare ad una conclusione differente nello specifico. Pertanto, conclude che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione.
VI. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 13 E 53 DELLA CONVENZIONE IN QUANTO ALLA MANCANZA DI EFFICACIA DEL RIMEDIO PREVISTO DALLA “LEGGE PINTO”
52. Invocando gli articoli 13 e 53 della Convenzione, il richiedente si lamenta per il fatto che la “legge Pinto” non costituisce un rimedio efficace per lamentarsi della durata del procedimento e della limitazione del suo diritto al rispetto dei beni.
53. La Corte considera che questo motivo di appello deve essere analizzato unicamente sotto l’angolo dell’articolo 13 della Convenzione di cui il testo è rinviato sopra al paragrafo 42.
54. Il Governo contesta la tesi del richiedente.
55. Il richiedente reitera il suo motivo di appello.
56. Allo visto in materia della sua giurisprudenza consolidata (Simaldone, precitato, §§ 39-64 e Gaglione ed altri, precitato, §§ 12-45, la Corte stima che c’è luogo di dichiarare questo motivo di appello inammissibile per difetto manifesto di fondamento al senso dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
VI. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
57. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
58. Il richiedente richiede 86 500 EUR a titolo del danno morale che avrebbe subito.
59. Il Governo contesta queste pretese.
60. La Corte considera che c’è luogo di concedere al richiedente 10 700 EUR a titolo del danno morale.
B. Oneri e spese
61. Il richiedente chiede anche 15 754,78 EUR per gli oneri e spese impegnati dinnanzi alla Corte.
62. Il Governo contesta queste pretese.
63. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente non può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese che nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto dei documenti nel suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte stima ragionevole la somma di 1000 EUR per il procedimento dinnanzi alla Corte e l’accordo al richiedente.
C. Interessi moratori
64. La Corte giudica appropriato di ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello tratti dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, in ciò che riguarda la durata del procedimento, e dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione ed inammissibile per il surplus;

2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;

3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, in ciò che riguarda il tempo necessario al richiedente per ricuperare i suoi crediti nella cornice del procedimento di fallimento così come la somma accordata dalla corte di appello di Roma al senso della “legge Pinto”;

4. Stabilisce,
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i, 10 700 EUR, diecimila sette cento euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
ii, 1 000 EUR, mille euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese,;
b) che a contare della scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;

5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 5 marzo 2013, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Danutė Jočienė
Cancelliere Presidentessa

Testo Tradotto

Conclusions : Violation de l’article 6 – Droit à un procès équitable (Article 6 – Procédure civile Article 6-1 – Délai raisonnable) Violation de l’article 1 du Protocole n° 1 – Protection de la propriété (article 1 al. 1 du Protocole n° 1 – Respect des biens)

DEUXIÈME SECTION

AFFAIRE GIUSEPPE ROMANO c. ITALIE

(Requête no 35659/02)

ARRÊT

STRASBOURG

5 mars 2013

Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Giuseppe Romano c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Danutė Jočienė, présidente,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, juges,
et de Stanley Naismith, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 5 février 2013,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 35659/02) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet Etat, OMISSIS (« le requérant »), avait saisi la Commission européenne des droits de l’homme (« la Commission ») le 20 mai 1998 en vertu de l’ancien article 25 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant est représenté par OMISSIS, avocat à Bénévent. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, Mme E. Spatafora, ainsi que par sa coagente, Mme P. Accardo.
3. Le requérant se plaint de la durée de la procédure de faillite, du temps nécessaire pour récupérer ses créances ainsi que du retard dans l’obtention du montant reconnu dans le cadre de la procédure « Pinto ». Il invoque à ce titre les articles 6 § 1 de la Convention et 1 du Protocole no 1 à la Convention. Le requérant dénonce aussi le fait de ne pas disposer d’une voie de recours efficace afin de solliciter la liquidation des biens faisant partie de l’actif de la faillite ainsi que l’inefficaité du remède prévu par la loi « Pinto ». Il invoque à ce titre l’article 13 de la Convention.
4. Le 9 mai 2006, la requête a été communiquée au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
1. La procédure introduite devant le juge d’instance de Bénévent
5. Le 29 septembre 1984, le requérant, ancien salarié de la société C.T., assigna cette dernière devant le juge d’instance de Bénévent afin d’obtenir les rétributions non-payées auxquelles il estimait avoir droit ainsi que la prime d’ancienneté (trattamento di fine rapporto – T.F.R.).
6. Le 9 octobre 1984, le juge fixa au 12 décembre 1984 l’audience de plaidoiries.
7. Par un jugement déposé le 29 décembre 1984, le juge condamna la société défenderesse au paiement de 17 273 347 lires italiennes (ITL) en faveur du requérant.
8. Le 30 avril 1985, le syndic de la faillite (voir ci-dessous) interjeta appel devant le tribunal de Bénévent afin d’obtenir la révocation du jugement déposé le 29 décembre 1984.
9. Par un jugement déposé le 4 août 1986, le tribunal de Bénévent rejeta cette demande.
2. La procédure de faillite
10. Entre-temps, par un jugement déposé le 21 novembre 1984, le tribunal de Bénévent déclara la faillite de la société de fait existant entre M. C.T. et M. G.T.
11. Le 14 janvier 1985, sur la base du jugement du juge d’instance de Bénévent déposé le 29 décembre 1984 (voir paragraphe 7 ci-dessus), le requérant introduisit une demande devant le tribunal afin d’être admis au passif de la faillite à la hauteur de la somme pour laquelle la société C.T. avait été condamnée.
12. Le 23 octobre 1985, le tribunal rejeta la demande du requérant, alléguant que le jugement du juge d’instance était nul car successif à la déclaration de faillite de la société de fait existant entre M. C.T. et M. G.T.
13. Le 24 mars 1986, l’état du passif de la faillite fut déclaré exécutoire et, le 8 avril 1986, le requérant fit opposition.
14. Par un jugement déposé le 24 janvier 1992, le tribunal fit droit à la demande de ce dernier et admit celui-ci au passif de la faillite à la hauteur de 18 633 206 ITL.
15. Le 16 mai 2002, la procédure de faillite fut close et, lors de la répartition finale de l’actif, le requérant obtint le paiement de 5 751, 84 euros (EUR).
3. La procédure introduite conformément à la loi no 89 du 24 mars 2001 (« loi Pinto »)
16. Le 16 octobre 2001, le requérant introduisit un recours devant la cour d’appel de Rome conformément à la « loi Pinto », se plaignant de la durée de la procédure et de la limitation de son droit au respect de ses biens.
17. Par une décision déposée le 24 mars 2003, la cour d’appel condamna le ministère de la Justice au paiement de 1 000 EUR pour le dommage moral que le requérant avait subi. Cette décision devint définitive le 10 mai 2004.
4. La procédure en exécution de la décision prise conformément à la « loi Pinto »
18. Le ministère de la Justice n’ayant pas payé la somme accordée par la cour d’appel de Rome, le 11 novembre 2003 le requérant signifia au ministère une injonction de payer.
19. Le 10 février 2004, le ministère de la Justice alloua au requérant 1 244,81 EUR.
EN DROIT
I. SUR L’EXCEPTION DU GOUVERNEMENT TIRÉE DU NON-ÉPUISEMENT DES VOIES DE RECOURS INTERNES
20. Le Gouvernement excipe tout d’abord que, le requérant ne s’étant pas pourvu en cassation contre la décision de la cour d’appel de Rome déposée le 24 mars 2003, il a omis d’épuiser les voies de recours internes.
21. La Cour relève d’emblée que la décision de la cour d’appel « Pinto » est devenue définitive le 10 mai 2004. A la lumière de sa jurisprudence (Di Sante c. Italie (déc.), no 56079/00, 24 juin 2004), elle rappelle que c’est à partir du 26 juillet 2004 qu’il doit être exigé des requérants qu’ils usent du recours en cassation au sens de la « loi Pinto » aux fins de l’article 35 § 1 de la Convention pour se plaindre de la durée de la procédure.
22. La Cour observe en outre que le grief du requérant tiré de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention est strictement lié à la durée de la procédure.
23. Elle rejette donc l’exception du Gouvernement tiré du non-épuisement des voies de recours internes.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION (DURÉE DE LA PROCÉDURE)
24. Invoquant les articles 6 § 1 de la Convention, le requérant se plaint de la durée de la procédure de faillite. Cet article est ainsi libellé :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue (…) dans un délai raisonnable, par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) »
A. Sur la recevabilité
25. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 (a) de la Convention. Elle relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
26. Le Gouvernement fait valoir que la procédure de faillite a été complexe.
27. Le requérant réitère son grief.
28. La Cour observe que la procédure de faillite dans laquelle le requérant était créancier a duré environ seize ans et un mois pour un degré de juridiction. Elle constate aussi que le requérant a obtenu 1 244,81 EUR en raison de la durée de la procédure dans le cadre de la procédure « Pinto ».
29. La Cour a traité à maintes reprises des requêtes soulevant des questions semblables à celles du cas d’espèce et a constaté une méconnaissance de l’exigence du « délai raisonnable », compte tenu des critères dégagés par sa jurisprudence bien établie en la matière (voir, parmi beaucoup d’autres, Cocchiarella c. Italie [GC], no 64886/01, §§ 117-121, CEDH 2006 V). N’apercevant rien qui puisse mener à une conclusion différente dans la présente affaire, la Cour estime qu’il y a également lieu de constater, dans cette requête, une violation de l’article 6 § 1 de la Convention.
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1 A LA CONVENTION (RELATIVEMENT AU RETARD DANS L’OBTENTION DES CRÉANCES DANS LE CADRE DE LA PROCÉDURE DE FAILLITE)
30. Invoquant l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention, le requérant se plaint du temps nécessaire afin de récupérer sa créance dans le cadre de la procédure de faillite. Cet article est ainsi libellé :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
A. Sur la recevabilité
31. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 (a) de la Convention. Elle relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
32. Le Gouvernement fait valoir que le requérant n’a pas bénéficié d’un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention, les créances admises à l’état passif de la faillite n’étant ni certes ni définitives.
33. Le requérant réitère son grief.
34. A titre liminaire, la Cour relève que, selon la jurisprudence des organes de la Convention, un gain futur constitue un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention si le gain a été acquis ou fait l’objet d’une créance exigible. Dans le cas d’espèce, le requérant, ancien salarié de la société C.T., a été admis à l’état passif de la faillite de cette dernière le 24 janvier 1992 pour un montant de 18 633 206 ITL, dont une partie lui a été allouée à la suite de la clôturé de la procédure de faillite. Il ne fait donc pas de doute que les créances du requérant constituent un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention (voir Ambruosi c. Italie, no 31227/96, § 20, 19 octobre 2000 ; Saggio c. Italie, no 41879/98, §§ 24-25, 25 octobre 2001 et F.L. c. Italie, no 25639/94, § 23-24, 20 décembre 2001).
35. La Cour relève en outre que le grief du requérant doit être examiné sur le terrain du droit des Etats de réglementer, en vertu de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention, l’usage des biens dans l’intérêt général.
36. Pour être en conformité avec l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention, l’ingérence des autorités publiques, non contestée entre les parties dans le cas d’espèce, dans le droit au respect des biens du requérant doit satisfaire au principe de légalité, poursuivre un but légitime et ménager un juste équilibre entre les exigences de l’intérêt général et la sauvegarde des droits fondamentaux de l’individu (Broniowski c. Pologne [GC], no 31443/96, §§ 144-146, CEDH 2004 V et Belev et autres c. Bulgarie, nos 16354/02, et autres, § 86, 2 avril 2009).
37. La Cour constate que l’ingérence litigieuse avait une base légale consistant notamment en l’ancienne loi sur la faillite (décret royal no 267 du 16 mars 1942), dans ses parties concernant la demande d’admission des créanciers à l’état du passif de la faillite et la liquidation de l’actif de celle-ci (réglementées respectivement par les articles 93 et suivants et 104 et suivants dudit décret). De plus, cette ingérence visait des buts légitimes conformes à l’intérêt général, à savoir une bonne gestion de l’administration et la protection des droits d’autrui à travers une gestion équitable des biens de la société en faillite.
38. En ce qui concerne le respect du « juste équilibre », la Cour rappelle que l’Etat ne saurait en principe être tenu responsable d’un défaut de paiement dû à l’insolvabilité d’un débiteur privé (Sanglier c. France, no 50342/99, § 39, 27 mai 2003)
39. Cependant, elle relève avoir reconnu que, dans des cas de mise en liquidation d’une société ayant fait l’objet d’une privatisation partielle, les retards dans l’exécution de jugements reconnaissant des créances en faveur des requérants, anciens salariés da la société mise en liquidation, et l’impossibilité pour ceux-ci d’obtenir le paiement de l’intégralité de leurs créances ont entraîné une violation de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention (Belev et autres, précité, §§ 97-99 et Hristova et autres c. Bulgarie, nos 11472/04 et 40590/08, §§ 48-51, 26 juin 2012).
40. Se tournant vers la présente affaire, la Cour note avoir conclu à la violation de l’article 6 § 1 de la Convention en raison de la durée excessive de la procédure de faillite. Elle relève ensuite que le retard dans le paiement du requérant n’était pas dû principalement à l’insolvabilité de la société débitrice mais était la conséquence de la durée excessive de la procédure litigieuse (voir, a contrario, F.L. c. Italie, précité et Saggio c. Italie, précité).
41. Par conséquent, la Cour estime qu’en l’espèce, le juste équilibre qui doit être ménagé entre la sauvegarde du droit de l’individu au respect de ses biens et les exigences de l’intérêt général n’a pas été préservé. Elle conclut donc à la violation de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention.
IV. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DES ARTICLES 6 § 1 ET 13 DE LA CONVENTION QUANT À LA PRÉTENDUE IMPOSSIBILITÉ DE CONTRÔLER L’ACTIVITÉ DU SYNDIC DE LA FAILLITE
42. Le requérant se plaint de ne pas disposer d’une voie de recours pour contrôler l’activité du syndic et pour solliciter la liquidation des biens faisant partie de la faillite. Il invoque à ce titre les articles 6 § 1 de la Convention (quant au droit d’accès au tribunal) et 13 de la Convention. Le texte de l’article 6 § 1 de la Convention est reporté au paragraphe 24 ci-dessus. L’article 13 de la Convention dispose ainsi :
« Toute personne dont les droits et libertés reconnus dans la (…) Convention ont été violés, a droit à l’octroi d’un recours effectif devant une instance nationale, alors même que la violation aurait été commise par des personnes agissant dans l’exercice de leurs fonctions officielles. »
43. Le Gouvernement soutient que le requérant aurait pu se prévaloir des remèdes prévus par les articles 26 et 36 de l’ancienne loi sur la faillite (décret royal no 267 du 16 mars 1942), prévoyant respectivement la possibilité d’introduire une réclamation contre les actes du juge délégué de la faillite et du syndic de la faillite. Il note aussi que, dans les affaires Saggio c. Italie (précité, §§ 21 et 44) et Chizzotti c. Italie (no 15535/02, § 46, 2 février 2006), la Cour a reconnu la validité de remèdes similaires dans le cadre de procédures d’administration extraordinaire.
44. Le requérant réitère son grief.
45. Même en admettant que les griefs soulevés par le requérant aient été suffisamment étayés, à l’instar du Gouvernement, la Cour relève avoir implicitement reconnu, dans les affaires citées par le gouvernement défendeur, que la possibilité de contester devant les instances judiciaires les actes du commissaire liquidateur dans le cadre d’une procédure d’administration extraordinaire constitue un remède efficace au regard de l’article 13 de la Convention. Ces remèdes étant de toute évidence assimilables à ceux prévus par les articles 26 et 36 de l’ancienne loi sur la faillite, la Cour rejette le grief du requérant pour défaut manifeste de fondement, au sens de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
V. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1 A LA CONVENTION (QUANT AU TEMPS NÉCESSAIRE POUR OBTENIR LA SOMME ACCORDÉE PAR LA COUR D’APPEL DE ROME AU SENS DE LA « LOI PINTO »)
46. Le requérant se plaint du temps nécessaire pour obtenir la somme accordée par la cour d’appel de Rome au sens de la « loi Pinto ». Il invoque l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention. Le texte de cet article est reporté au paragraphe 30 ci-dessus.
47. Le Gouvernement conteste la thèse du requérant.
48. Le requérant réitère son grief.
A. Sur la recevabilité
49. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 (a) de la Convention. Elle relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
50. La Cour relève avoir conclu à maintes reprises à la violation de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention dans des cas similaires (voir, parmi beaucoup d’autres, Simaldone c. Italie, no 22644/03, § 84, 31 mars 2009 et Gaglione et autres c. Italie, nos 45867/07 et autres, § 47, 21 décembre 2010).
51. Elle relève que le Gouvernement n’a pas fourni d’arguments permettant d’aboutir à une conclusion différente en l’espèce. Partant, elle conclut qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention.
VI. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DES ARTICLES 13 ET 53 DE LA CONVENTION QUANT AU MANQUE D’EFFICACITÉ DU REMÈDE PRÉVU PAR LA « LOI PINTO »
52. Invoquant les articles 13 et 53 de la Convention, le requérant se plaint du fait que la « loi Pinto » ne constitue pas un remède efficace pour se plaindre de la durée de la procédure et de la limitation de son droit au respect des biens.
53. La Cour considère que ce grief doit être analysé uniquement sous l’angle de l’article 13 de la Convention, dont le texte est reporté au paragraphe 42 ci-dessus.
54. Le Gouvernement conteste la thèse du requérant.
55. Le requérant réitère son grief.
56. Au vu de sa jurisprudence constante en la matière (Simaldone, précité, §§ 39-64 et Gaglione et autres, précité, §§ 12-45), la Cour estime qu’il y a lieu de déclarer ce grief irrecevable pour défaut manifeste de fondement au sens de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
VI. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
57. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
58. Le requérant réclame 86 500 EUR au titre du préjudice moral qu’il aurait subi.
59. Le Gouvernement conteste ces prétentions.
60. La Cour considère qu’il y a lieu d’octroyer au requérant 10 700 EUR au titre du préjudice moral.
B. Frais et dépens
61. Le requérant demande également 15 754,78 EUR pour les frais et dépens engagés devant la Cour.
62. Le Gouvernement conteste ces prétentions.
63. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. En l’espèce et compte tenu des documents en sa possession et de sa jurisprudence, la Cour estime raisonnable la somme de 1000 EUR pour la procédure devant la Cour et l’accorde au requérant.
C. Intérêts moratoires
64. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,

1. Déclare la requête recevable quant aux griefs tirés de l’article 6 § 1 de la Convention, en ce qui concerne la durée de la procédure, et de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention et irrecevable pour le surplus ;

2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention ;

3. Dit qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention, en ce qui concerne le temps nécessaire au requérant pour récupérer ses créances dans le cadre de la procédure de faillite ainsi que la somme accordée par la cour d’appel de Rome au sens de la « loi Pinto » ;

4. Dit,
a) que l’Etat défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes :
i) 10 700 EUR (dix mille sept cents euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour dommage moral ;
ii) 1 000 EUR (mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par le requérant, pour frais et dépens ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;

5. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 5 mars 2013, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Stanley Naismith Danutė Jočienė
Greffier Présidente

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