Conclusioni: Violazione dell’articolo 6 – Diritto ad un processo equo, Articolo 6-Procedimento civile Articolo 6-1 – Termine ragionevole, Violazione dell’articolo 1 del Protocollo n° 1 – Protezione della proprietà, articolo 1 al. 1 del Protocollo n° 1 – Rispetto dei beni,
SECONDA SEZIONE
CAUSA GIUSEPPE ROMANO C. ITALIA
( Richiesta no 35659/02)
SENTENZA
STRASBURGO
5 marzo 2013
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nel causa Giuseppe Romano c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta dA:
Danutė Jočienė, presidentessa,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Paulo Pinto di Albuquerque,
Helen Keller giudici e
di Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 5 febbraio 2013,
Rende la sentenza che ha adottata in questa data :
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 35659/02) diretta contro la Repubblica italiana e di cui un cittadino di questo Stato, OMISSIS (“il richiedente”), aveva investito la Commissione europea dei diritti dell’uomo (“la Commissione”) il 20 maggio 1998 in virtù del vecchio articolo 25 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da OMISSIS, avvocato a Benevento. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, così come col suo coagente, la Sig.ra P. Accardo.
3. Il richiedente si lamenta della durata del procedimento di fallimento, del tempo necessario per ricuperare i suoi crediti così come del ritardo nell’ottenimento dell’importo riconosciuto nella cornice del procedimento “Pinto.” Invoca a questo titolo gli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione. Il richiedente denuncia anche il fatto di non disporre di una via di ricorso efficace per sollecitare la liquidazione dei beni che fanno parte dell’attivo del fallimento così come l’inefficacità del rimedio previsto dalla legge “Pinto.” Invoca a questo titolo l’articolo 13 della Convenzione.
4. Il 9 maggio 2006, la richiesta è stata comunicata al Governo. Siccome lo permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
1. Il procedimento introdotto dinnanzi al giudice di istanza di Benevento
5. Il 29 settembre 1984, il richiedente, vecchio salariato del società C.T, citò questa ultima dinnanzi al giudice di istanza di Benevento per ottenere le retribuzioni insolute alle quali stimava avere diritto così come il premio di anzianità, trattamento di fine rapporto-T.F.R.
6. Il 9 ottobre 1984, il giudice fissò al 12 dicembre 1984 l’udienza di arringhe.
7. Con un giudizio depositato il 29 dicembre 1984, il giudice condannò la società convenuta al pagamento di 17 273 347 lire italiane (ITL, in favore del richiedente,).
8. Il 30 aprile 1985, il curatore del fallimento (vedere sotto) interpose appello dinnanzi al tribunale di Benevento per ottenere la revoca del giudizio depositato il 29 dicembre 1984.
9. Con un giudizio depositato il 4 agosto 1986, il tribunale di Benevento respinse questa domanda.
2. Il procedimento di fallimento
10. Nel frattempo, con un giudizio depositato il 21 novembre 1984, il tribunale di Benevento dichiarò il fallimento della società di fatto che esiste tra il Sig. C.T. ed il Sig. G.T.
11. Il 14 gennaio 1985, sulla base del giudizio del giudice di istanza di Benevento depositata il 29 dicembre 1984 (vedere sopra paragrafo 7), il richiedente introdusse una domanda dinnanzi al tribunale per essere ammesso al passivo del fallimento alla quota della somma per la quale il società C.T. era stata condannata.
12. Il 23 ottobre 1985, il tribunale respinse la domanda del richiedente, adducendo che il giudizio del giudice di istanza era nullo perché successivo alla dichiarazione di fallimento della società di fatto che esiste tra il Sig. C.T. ed il Sig. G.T.
13. Il 24 marzo 1986, lo stato del passivo del fallimento fu dichiarato esecutivo e, il 8 aprile 1986, il richiedente fece opposizione.
14. Con un giudizio depositato il 24 gennaio 1992, il tribunale fece diritto alla domanda di questo ultimo ed ammise questo al passivo del fallimento alla quota di 18 633 206 ITL.
15. Il 16 maggio 2002, il procedimento di fallimento fu chiuso e, all’epoca della ripartizione finale dell’attivo, il richiedente ottenne il pagamento di 5 751, 84 euros (EUR).
3. Il procedimento introdotto conformemente alla legge no 89 del 24 marzo 2001 (“legge Pinto”)
16. Il 16 ottobre 2001, il richiedente introdusse un ricorso dinnanzi alla corte di appello di Roma conformemente al “legge Pinto”, lamentandosi della durata del procedimento e della limitazione del suo diritto al rispetto dei suoi beni.
17. Con una decisione depositata il 24 marzo 2003, la corte di appello condannò il ministero della Giustizia al pagamento di 1 000 EUR per il danno giuridico che il richiedente aveva subito. Questa decisione diventò definitiva il 10 maggio 2004.
4. Il procedimento in esecuzione della decisione preso conformemente al “legge Pinto”
18. Il ministero della Giustizia non avendo pagato la somma accordata dalla corte di appello di Roma, il 11 novembre 2003 il richiedente notificò al ministero un’ingiunzione di pagare.
19. Il 10 febbraio 2004, il ministero della Giustizia assegnò al richiedente 1 244,81 EUR.
IN DIRITTO
I. SULL’ECCEZIONE DEL GOVERNO DERIVATA DAL NON-ESAURIMENTO DELLE VIE DI RICORSO INTERNE
20. Il Governo eccepisce innanzitutto che, il richiedente non essendo dotato si in cassazione contro la decisione della corte di appello di Roma depositata il 24 marzo 2003, ha omesso di esaurire le vie di ricorso interni.
21. La Corte rileva al primo colpo che la decisione della corte di appello “Pinto” è diventata definitiva il 10 maggio 2004. Alla luce della sua giurisprudenza, Di Salute c. Italia, déc.), no 56079/00, 24 giugno 2004, ricorda che è a partire dal 26 luglio 2004 che deve essere esatto dei richiedenti che consumano del ricorso in cassazione al senso del “legge Pinto” alle fini dell’articolo 35 § 1 della Convenzione per lamentarsi della durata del procedimento.
22. La Corte osserva inoltre che il motivo di appello del richiedente derivato dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione è legato rigorosamente alla durata del procedimento.
23. Respinge l’eccezione del Governo derivato della no-esaurimento delle vie di ricorso interni dunque.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE (DURATA DEL PROCEDIMENTO)
24. Invocando gli articoli 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta della durata del procedimento di fallimento. Questo articolo è formulato così:
“Ogni persona ha diritto affinché che la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
A. Sull’ammissibilità
25. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3, ha, della Convenzione. Rileva peraltro che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
26. Il Governo fa valere che il procedimento di fallimento è stato complesso.
27. Il richiedente reitera il suo motivo di appello.
28. La Corte osserva che il procedimento di fallimento nella quale il richiedente era creditore è durato circa sedici anni ed un mese per un grado di giurisdizione. Constata anche che il richiedente ha ottenuto 1 244,81 EUR in ragione della durata del procedimento nella cornice del procedimento “Pinto.”
29. La Corte ha trattato a più riprese delle richieste che sollevano delle questioni simili a queste del caso di specifico e ha constatato un’incomprensione dell’esigenza del “termine ragionevole”, tenuto conto dei criteri emanati in materia dalla sua giurisprudenza buona invalsa (vedere, tra molte altre, Cocchiarella c. Italia [GC], no 64886/01, §§ 117-121, CEDH 2006-V. Non vedendo niente che possa condurre ad una conclusione differente nella presente causa, la Corte stima che c’è luogo anche di constatare, in questa richiesta, una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
III. Su La Violazione Addotta Di L’articolo 1 Del Protocollo No 1 A La Convenzione, Relativamente Al Ritardo In L’ottenimento Dei Crediti In La Cornice Di Il Procedimento Di Fallimento,
30. Invocando l’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, il richiedente si lamenta del tempo necessario per ricuperare il suo credito nella cornice del procedimento di fallimento. Questo articolo è formulato così:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Sull’ammissibilità
31. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato al senso dell’articolo 35 § 3, ha, della Convenzione. Rileva peraltro che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
32. Il Governo fa valere che il richiedente non ha beneficiato di un “bene” al senso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, i crediti ammessi allo stato passivo del fallimento che non è né certo né definitive.
33. Il richiedente reitera il suo motivo di appello.
34. A titolo preliminare, la Corte rileva che, secondo la giurisprudenza degli organi della Convenzione, un guadagno futuro costituisce un “bene” al senso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione se il guadagno è stato acquisito o fa l’oggetto di un credito esigibile. Nel caso di specifico, il richiedente, vecchio salariato del società C.T, è stato ammesso allo stato passivo del fallimento di questa ultima il 24 gennaio 1992 per un importo di 18 633 206 ITL di cui una parte gli è stata assegnata in seguito alla chiusa del procedimento di fallimento. Non fa di dubbio che i crediti del richiedente costituiscono un “bene” al senso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione (vedere Ambruosi c) dunque. Italia, no 31227/96, § 20, 19 ottobre 2000; Saggio c. Italia, no 41879/98, §§ 24-25, 25 ottobre 2001 e F.L. c. Italia, no 25639/94, § 23-24, 20 dicembre 2001.
35. La Corte rileva inoltre che il motivo di appello del richiedente deve essere esaminato sul terreno del diritto degli Stati di regolamentare, in virtù dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, l’uso dei beni nell’interesse generale.
36. Per essere in conformità con l’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, l’ingerenza delle autorità pubbliche, non contestata tra le parti nel caso di specifico, nel diritto al rispetto dei beni del richiedente deve soddisfare al principio di legalità, inseguire un scopo legittimo e predisporre un giusto equilibrano tra le esigenze dell’interesse generale e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo, Broniowski c. Polonia [GC], no 31443/96, §§ 144-146, CEDH 2004-V e Belev ed altri c. Bulgaria, nostri 16354/02, ed altri, § 86, 2 aprile 2009.
37. La Corte constata che l’ingerenza controversa aveva una base legale che consiste in particolare nella vecchia legge sul fallimento, decreto reale no 267 del 16 marzo 1942, nelle sue parti concernente la domanda di ammissione dei creditori allo stato del passivo del fallimento e la liquidazione dell’attivo di questa, regolamentate rispettivamente con gli articoli 93 e segue e 104 e segue di suddetto decreto. Di più, questa ingerenza prevedeva degli scopi legittimi conformi all’interesse generale, a sapere una buona gestione dell’amministrazione e la protezione dei diritti di altrui attraverso una gestione equa dei beni della società in fallimento.
38. In ciò che riguarda il rispetto del “giusto equilibro”, la Corte ricorda che lo stato non saprebbe in principio essere tenuto responsabile di un difetto di pagamento dovuto all’insolvenza di un debitore privato, Cinghiale c. Francia, no 50342/99, § 39, 27 maggio 2003,
39. Però, rileva avere riconosciuto che, nei casi di collocamento in liquidazione di una società avendo fatto l’oggetto di una privatizzazione parziale, i ritardi nell’esecuzione di giudizi che riconoscono dei crediti in favore dei richiedenti, vecchi salariati dalla società messa in liquidazione, e l’impossibilità per questi di ottenere il pagamento dell’interezza dei loro crediti ha provocato una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, Belev ed altri, precitato, §§ 97-99 e Hristova ed altri c. Bulgaria, i nostri 11472/04 e 40590/08, §§ 48-51, 26 giugno 2012.
40. Girandosi verso la presente causa, la Corte nota avere concluso alla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione in ragione della durata eccessiva del procedimento di fallimento. Rileva poi che il ritardo nel pagamento del richiedente non era dovuto principalmente all’insolvenza della società debitrice ma era la conseguenza della durata eccessiva del procedimento controverso (vedere, ha contrario, F.L. c. Italia, precitato e Saggio c. Italia, precitato).
41. Di conseguenza, la Corte stima che nello specifico, il giusto equilibra chi deve essere predisposto tra le salvaguardie del diritto dell’individuo al rispetto dei suoi beni e le esigenze dell’interesse generale non è stato preservato. Conclude alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione dunque.
IV. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 6 § 1 E 13 DELLA CONVENZIONE IN QUANTO ALLA PRETESA IMPOSSIBILITÀ DI CONTROLLARE L’ATTIVITÀ DEL CURATORE DEL FALLIMENTO
42. Il richiedente si lamenta di non disporre di una via di ricorso per controllare l’attività del curatore e per sollecitare la liquidazione dei beni che fanno parte del fallimento. Invoca a questo titolo gli articoli 6 § 1 della Convenzione, in quanto al diritto di accesso al tribunale, e 13 della Convenzione. Il testo dell’articolo 6 § 1 della Convenzione sono rinviati sopra al paragrafo 24. L’articolo 13 della Convenzione dispone così:
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
43. Il Governo sostiene che il richiedente si sarebbe potuto avvalere dei rimedi previsti dagli articoli 26 e 36 della vecchia legge sul fallimento, decreto reale no 267 del 16 marzo 1942, previdente rispettivamente la possibilità di introdurre un reclamo contro gli atti del giudice delegato del fallimento e del curatore del fallimento. Nota anche che, nei cause Saggio c. Italia (precitato, §§ 21 e 44, e Chizzotti c. Italia, no 15535/02, § 46, 2 febbraio 2006, la Corte ha riconosciuto la validità di rimedi simili nella cornice di procedimenti di amministrazione straordinaria.
44. Il richiedente reitera il suo motivo di appello.
45. Anche ammesso che i motivi di appello sollevati dal richiedente siano stati supportati sufficientemente, come il Governo, la Corte rileva avere riconosciuto implicitamente, nelle cause citate dal governo convenuto, che la possibilità di contestare dinnanzi alle istanze giudiziali gli atti del commissario liquidatore nella cornice di un procedimento di amministrazione straordinaria costituisce un rimedio efficace allo sguardo dell’articolo 13 della Convenzione. Questi rimedi che sono assimilabili a quelli previsto dagli articoli 26 e 36 della vecchia legge sul fallimento evidentemente, la Corte respinge il motivo di appello del richiedente per difetto manifesto di fondamento, al senso dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
V. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 ALLA CONVENZIONE, IN QUANTO AL TEMPO NECESSARIO PER OTTENERE LA SOMMA ACCORDATA DALLA CORTE D’ APPELLO DI ROMA AL SENSO DELLA “LEGGE PINTO”)
46. Il richiedente si lamenta del tempo necessario per ottenere la somma accordata dalla corte di appello di Roma al senso del “legge Pinto.” Invoca l’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione. Il testo di questo articolo è rinviato sopra al paragrafo 30.
47. Il Governo contesta la tesi del richiedente.
48. Il richiedente reitera il suo motivo di appello.
A. Sull’ammissibilità
49. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3, ha, della Convenzione. Rileva peraltro che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
50. La Corte rileva avere concluso a più riprese alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione nei casi simili (vedere, tra molto altri, Simaldone c. Italia, no 22644/03, § 84, 31 marzo 2009 e Gaglione ed altri c. Italia, nostri 45867/07 ed altri, § 47, 21 dicembre 2010.
51. Rileva che il Governo non ha fornito di argomenti che permettono di arrivare ad una conclusione differente nello specifico. Pertanto, conclude che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione.
VI. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 13 E 53 DELLA CONVENZIONE IN QUANTO ALLA MANCANZA DI EFFICACIA DEL RIMEDIO PREVISTO DALLA “LEGGE PINTO”
52. Invocando gli articoli 13 e 53 della Convenzione, il richiedente si lamenta per il fatto che la “legge Pinto” non costituisce un rimedio efficace per lamentarsi della durata del procedimento e della limitazione del suo diritto al rispetto dei beni.
53. La Corte considera che questo motivo di appello deve essere analizzato unicamente sotto l’angolo dell’articolo 13 della Convenzione di cui il testo è rinviato sopra al paragrafo 42.
54. Il Governo contesta la tesi del richiedente.
55. Il richiedente reitera il suo motivo di appello.
56. Allo visto in materia della sua giurisprudenza consolidata (Simaldone, precitato, §§ 39-64 e Gaglione ed altri, precitato, §§ 12-45, la Corte stima che c’è luogo di dichiarare questo motivo di appello inammissibile per difetto manifesto di fondamento al senso dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
VI. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
57. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
58. Il richiedente richiede 86 500 EUR a titolo del danno morale che avrebbe subito.
59. Il Governo contesta queste pretese.
60. La Corte considera che c’è luogo di concedere al richiedente 10 700 EUR a titolo del danno morale.
B. Oneri e spese
61. Il richiedente chiede anche 15 754,78 EUR per gli oneri e spese impegnati dinnanzi alla Corte.
62. Il Governo contesta queste pretese.
63. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente non può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese che nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto dei documenti nel suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte stima ragionevole la somma di 1000 EUR per il procedimento dinnanzi alla Corte e l’accordo al richiedente.
C. Interessi moratori
64. La Corte giudica appropriato di ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello tratti dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, in ciò che riguarda la durata del procedimento, e dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, in ciò che riguarda il tempo necessario al richiedente per ricuperare i suoi crediti nella cornice del procedimento di fallimento così come la somma accordata dalla corte di appello di Roma al senso della “legge Pinto”;
4. Stabilisce,
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i, 10 700 EUR, diecimila sette cento euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
ii, 1 000 EUR, mille euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese,;
b) che a contare della scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 5 marzo 2013, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Danutė Jočienė
Cancelliere Presidentessa