Conclusione Non – violazione dell’art. 2 (risvolto materiale); Non -violazione dell’art. 2 (risvolto materiale); Non -violazione dell’art. 2 (risvolto materiale); Non -violazione dell’art. 2 (risvolto procedurale); Non -violazione dell’art.13; Non -violazione dell’art. 38
GRANDE CAMERA
CAUSA GIULIANI E GAGGIO C. ITALIA
( Richiesta no 23458/02)
SENTENZA
STRASBURGO
24 marzo 2011
Questa sentenza è definitiva. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Giuliani e Gaggio c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, riunendosi in una Grande Camera composta da:
Jean-Paul Costa, presidente, Christos Rozakis, Francesca Tulkens, Ireneu Cabral Barreto, Boštjan il Sig. Zupančič, Nina Vajić, Elisabetta Steiner, Alvina Gyulumyan, Renate Jaeger, Davide Thór Björgvinsson, Ineta Ziemele, Isabelle Berro-Lefèvre, Ledi Bianku, Nona Tsotsoria, Zdravka Kalaydjieva, Işıl Karakaş, Guido Raimondi, giudici,
e di Vincent Berger, giureconsulto,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 29 settembre 2010 ed il 16 febbraio 2011,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 23458/02) diretta contro la Repubblica italiana e in cui tre cittadini di questo Stato, OMISSIS, moglie di G., ed OMISSIS (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 18 giugno 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono stati rappresentati da N. P. e G. Pisapia, avvocati a Roma. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e col suo coagente, il Sig. N. Lettieri.
3. I richiedenti si lamentavano del decesso del loro figlio e fratello, C. G., che stimavano essere dovuto ad un ricorso eccessivo alla forza. Adducevano inoltre che lo stato convenuto non aveva preso le disposizioni legislative, amministrative e regolamentari necessarie per ridurre per quanto possibile le conseguenze nefaste dell’uso della forza, che l’organizzazione e la pianificazione delle operazioni di polizia non erano stati conformi all’obbligo di proteggere la vita e che l’inchiesta sulle circostanze del decesso del loro prossimo non era stata efficace.
4. La richiesta è stata assegnata alla quarta sezione della Corte, articolo 52 § 1 dell’ordinamento. Il 6 febbraio 2007, dopo un’udienza avendo portato al tempo stesso sulle questioni di ammissibilità e su queste di fondo, articolo 54 § 3 dell’ordinamento, è stata dichiarata ammissibile con una camera di suddetta sezione, composta dei giudici di cui segue il nome: Sir Nicolas Bratza, Josep Casadevall, Giovanni Bonello, Kristaq Traja, Vladimiro Zagrebelsky, Stanislav Pavlovschi, Lech Garlicki, così come di Lawrence Early, cancelliere di sezione.
5. Il 25 agosto 2009, una camera della quarta sezione, composta da Sir Nicolas Bratza, Josep Casadevall, Lech Garlicki, Giovanni Bonello, Vladimiro Zagrebelsky, Ljiljana Mijović, Ján Šikuta, giudici, e di Lawrence Early, cancelliere di sezione, ha reso una sentenza in che ha concluso: all’unanimità, che non c’era stata violazione dell’articolo 2 della Convenzione nel suo risvolto materiale per ciò che era dell’uso eccessivo della forza; per cinque voci contro due, che non c’era stata violazione dell’articolo 2 della Convenzione nel suo risvolto materiale per ciò che era degli obblighi positivi di proteggere la vita; per quattro voci contro tre, che c’era stata violazione dell’articolo 2 della Convenzione nel suo risvolto procedurale; all’unanimità, che non c’era luogo di esaminare la causa sotto l’angolo degli articoli 3, 6 e 13 della Convenzione; all’unanimità, che non c’era stata violazione dell’articolo 38 della Convenzione. Ha concesso anche, per danno morale, 15 000 euro, EUR, per ciascuno ai richiesti OMISSIS, e 10 000 EUR al richiedente OMISSIS.
6. Il 24 novembre 2009, il Governo ed i richiedenti hanno chiesto il rinvio della causa dinnanzi alla Grande Camera in virtù degli articoli 43 della Convenzione e 73 dell’ordinamento. Il 1 marzo 2010, un collegio della Grande Camera ha fatto diritto a queste domande.
7. La composizione della Grande Camera è stata formata conformemente agli articoli 26 §§ 4 e 5 della Convenzione e 24 dell’ordinamento.
8. Tanto i richiedenti che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte complementari, articolo 59 § 1 dell’ordinamento.
9. Il 27 settembre 2010, i giudici, titolari e supplenti, nominati per riunirsi nella presente causa hanno visionato il CD-ROM sottomesso dalle parti il 28 giugno ed il 9 luglio 2010, paragrafo 139 sotto.
10. Un’udienza si è svolta in pubblico al Palazzo dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, il 29 settembre 2010, articolo 59 § 3 dell’ordinamento.
Sono comparsi:
OMISSIS
La Corte li ha ascoltati nelle loro dichiarazioni.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
11. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1938, nel 1944 e nel 1972; risiedono a Genova ed a Milano. Sono rispettivamente il padre, la madre ed la sorella di C. G. che fu ferito mortalmente da un proiettile all’epoca delle manifestazioni in margine del “G8” che hanno avuto luogo a Genova nel luglio 2001.
A. Il contesto in cui si è tenuto il G8 a Genova ed i fatti che hanno preceduto il decesso di C. G.
12. I 19, 20 e 21 luglio 2001 si svolse a Genova il vertice dice del “G8.” Di numerosi manifestazioni “antiglobalizzazione” furono organizzati nella città ed un importante dispositivo di sicurezza fu messo in posto con le autorità italiane. In virtù dell’articolo 4 § 1 della legge no 149 del 8 giugno 2000, il prefetto di Genova era autorizzato a ricorrere al personale militare delle forze armate per le esigenze di sicurezza pubblica legata allo svolgimento del vertice. Inoltre, una “zona rossa” era stata delimitata con l’aiuto di una rete metallica nella parte della città, il centro storico, riguardato dalle riunioni del G8. Del tipo, soli i rivierasco e le persone che dovevano lavorare potevano aderire ci. L’accesso al porto era stato vietato e l’aeroporto chiuso al traffico. La zona rossa era cinta in una zona gialla che, al suo turno, era vincolata da una zona bianca (zona normale).
13. L’ordine di servizio del 19 luglio 2001 fu emesso dal comandante delle forze dell’ordine la veglio del decesso di C. G.. Riassume così le precedenze delle forze dell’ordine: mettere in opera dentro alla zona rossa una linea di difesa che permette di respingere velocemente ogni tentativo di intrusione; mettere in opera nella zona gialla una linea di difesa per potere fare fronte ad ogni azione, tenuto conto della posizione dei manifestanti in differenti luoghi così come delle azioni che provengono da elementi più estremisti; prendere delle misure di ordine pubblico sugli assi toccati dalle manifestazioni, avuto riguardo al pericolo di aggressioni avvantaggiate dagli effetti della massa.
14. Le parti si accordano sul fatto che l’ordine di servizio del 19 luglio 2001 ha modificato i piani stabiliti fino là in quanto al modo di esporre le risorse ed i mezzi disponibili, per permettere alle forze dell’ordine di bloccare efficacemente ogni tentativo di intrusione nella zona rossa di persone che partecipano alla manifestazione detta dei “Tute Bianche”, le combinazioni bianche, annunciati ed autorizzata per l’indomani.
15. I richiedenti sostengono che l’ordine di servizio del 19 luglio ha assegnato ad un plotone di carabinieri implicati nel decesso di C. G. una funzione dinamica mentre prima era supposto essere statico. Il Governo ha indicato che le istruzioni contenute negli ordini di servizio sono state trasmesse oralmente agli ufficiali presenti sul terreno.
16. Un sistema di comunicazione radio era stato messo in posto, con una centrale operativa situata presso la questura, uffici della polizia, di Genova che era in contatto con le forze presenti sul terreno. I carabinieri ed i poliziotti non potevano comunicare direttamente tra essi con radio; potevano unire solamente la centrale operativa.
17. La mattina del 20 luglio, dei gruppi di manifestanti particolarmente aggressivi, incappucciati e mascherati ( i “Black Block”) provocarono numerosi incidenti e scontri con le forze dell’ordine. Il corteo dei Tute Bianche doveva partire dallo stadio Carlini. Si trattava di una manifestazione che raggruppa parecchie organizzazioni: dei rappresentanti del movimento “no global”, dei centri sociali, dei giovani comunisti dello Partito “Rifondazione comunista.” Credevano nella contestazione non violenta (disobbedienza civile) ma avevano annunciato un obiettivo politico: tentare di superare il limite della zona rossa. Il 19 luglio 2001, il capo dell’ufficio della polizia (questore) di Genova aveva vietato al corteo dei Tute Bianche di penetrare in questa zona o in quell’adiacente ed aveva esposto le forze dell’ordine in modo da arrestare il corteo al livello del posto Verdi. Il corteo poteva sfilare tra lo stadio Carlini e tutte le lunghezze della via Tolemaide dunque, fino al posto Verdi, o buoni al di là dell’incrocio tra questa via ed i viali Torino, dove- come sarà indicato poi- degli scontri ebbero luogo.
18. Verso 13 h 30, il corteo si mise in strada ed avanzò lentamente verso l’ovest. Nel settore della via Tolemaide, c’erano delle tracce di disordini sopraggiunti precedentemente. Un gruppo di contatto composto di politici ed un gruppo di giornalisti muniti di cineprese o di macchina fotografica lavorava in testa al corteo. Quest’ ultimo rallentava e segnò parecchie fermate. Nella zona di via Tolemaide, degli incidenti opposero delle persone mascherate ed incappucciate alle forze dell’ordine. Il corteo raggiunse la galleria della strada ferrata, all’incrocio del viale Torino. Improvviso, degli arnesi lacrimogeni furono lanciati sul corteo coi carabinieri posti sotto gli ordini del Sig. M.. I carabinieri avanzarono facendo uso dei loro manganelli. Il corteo fu respinto verso l’est fino all’incrocio con la via di Invrea.
19. I manifestanti si divisero: certi si diressero verso il mare, di altri si rifugiarono di prima via di Invrea poi nel settore del posto Alimonda. Certi dei manifestanti reagirono all’assalto lanciando verso le forze dell’ordine degli oggetti contundenti, come delle bottiglie in bicchiere o dei container a scarti. Dei blindati di carabinieri percorsero a viva andatura la via Casaregis e la via di Invrea, sfondando le barricate poste dai manifestanti e provocando l’allontanamento dei manifestanti presenti sui luoghi. A 15 h 22, la centrale operativa ordinò al Sig. M. di spostarsi e di lasciare passare il corteo.
20. Certi espressi organizzarono una risposta violenta. Degli scontri con le forze dell’ordine ebbero luogo. Verso 15 h 40, un gruppo di manifestanti attaccò un furgone corazzato dei carabinieri e l’incendiò.
B. Il decesso di C. G.
21. Verso le 17, la presenza di un gruppo di espressa parvenza molto aggressiva fu notata dalla battaglione Sicilia, composto di una cinquantina di carabinieri imbucati vicino piazza Alimonda. Due jeep Defender sostavano vicino ad essi. Il funzionario di polizia L. ordinò di incaricare i manifestanti. A piede e seguito con le jeep, i carabinieri eseguirono questo ordine. I manifestanti riuscirono a respingere il carico, ed i carabinieri furono costretti di ripiegarsi in modo disordinata vicino piazza Alimonda. Le immagini prese da elicottero a 17 h 23 mostrano i manifestanti che avanzano lungo via Caffa decorrendo dopo le forze dell’ordine.
22. Tenuto conto del ritiro dei carabinieri, le jeep provarono a lasciare i luoghi in retromarcia. Una di esse riuscì ad allontanarsi, mentre l’altro restò bloccato con un container a scarti rovesciati. Improvviso, parecchi manifestanti armati di pietre, di bastoni e di barre di ferro lo vincolarono. I finestrini laterale parte posteriore e l’occhiale posteriore della jeep furono rotti. I manifestanti insultarono e minacciarono gli occupanti della jeep e lanciarono delle pietre ed un estintore verso il veicolo.
23. A bordo della jeep si trovavano tre carabinieri: OMISSIS (“F.C. “), l’autista, OMISSIS (“M.P. “) e OMISSIS (“D.R. “). M.P, intossicato dalle granate lacrimogene che aveva lanciato durante la giornata, era stato autorizzato dal capitano C., comandando di una compagnia di carabinieri, ad ammontare nella jeep per allontanarsi dal luogo degli scontri. Si accovacciato dietro alla jeep, ferito, terrorizzato, si proteggeva, secondo le dichiarazioni del manifestante P., da un lato con un scudo. Pure urlante ai manifestanti di andarsene “se no li avrebbe uccisi”, M.P. sguaina la sua pistola Beretta 9 mm, lo puntò in direzione del lunotto posteriore spezzato del veicolo e, dopo alcune decine di secondi, fece due spari.
24. Uno di questi spari raggiunse C. G., un manifestante incappucciato, al viso, sotto l’occhio sinistro. Era vicino alla parte posteriore della jeep ed aveva appena raccolto e di sollevare un estintore vuoto. Crollò vicino alla ruota posteriore sinistra del veicolo.
25. Poco dopo, F.C. riesce a ripartire la jeep e, nello scopo di liberarsi, fece retromarcia, scorrevole così sul corpo di C. G.. Passò poi la prima velocità ed arrotolò una seconda volta sul corpo lasciando i luoghi. La jeep si diresse allora verso piazza Tommaseo.
26. Dopo “alcuni metri”, il maresciallo dei carabinieri A. ammontò a bordo della jeep e si mise al volante, “l’autista che è in stato di shock”. Il carabiniere R. ammontò anche nel veicolo.
27. Delle forze di polizia che sostavano dall’altro lato di piazza Alimonda intervennero e dispersero i manifestanti. Furono raggiunte dai carabinieri. A 17 h 27, un poliziotto presente sui luoghi chiamò la centrale operativa per chiedere un’ambulanza. Un medico arrivato constatò in seguito, sul posto il decesso di C. G..
28. Il ministero dell’interno, ministero dell’Interno, ha affermato che era impossibile indicare il numero preciso di carabinieri e dei poliziotti presenti sui luoghi al momento del decesso di C. G.; c’erano approssimativamente cinquanta carabinieri, ad una distanza di 150 metri della jeep. Inoltre, a 200 metri, all’altezza di piazza Tommaseo, c’era un gruppo di poliziotti.
29. Appellandosi, entra altri, sulle testimonianze si concesse dai membri delle forze dell’ordine durante un processo parallelo, il “processo dei 25”, vedere sotto i paragrafi 121-138, i richiedenti indicano in particolare che in piazza Alimonda i carabinieri avevano potuto togliere le loro maschere antigas, mangiare e rimettere si. In questo “contesto calmo”, il capitano C. aveva ordinato a M.P. ed a D.R. di ammontare a bordo di una delle due jeep. Stimava che questi due carabinieri erano psicologicamente “a terra” (“a terra”) e non soddisfacevano più le condizioni fisiche per essere in servizio. Considerando inoltre che M.P. doveva smettere di lanciare gli ordigni lacrimogeni, gli aveva tolto il suo lancia-lacrimogeni così come la bisaccia contenente gli ordigni.
30. Riferendosi alle fotografie prese poco prima il tiro mortale, i richiedenti sottolineano che l’arma era tenuta orizzontalmente e verso il basso. Rinviano inoltre alle dichiarazioni del tenente-colonnello T., paragrafo 43 sotto che ha affermato essere trovato si ad una decina di metri da piazza Alimonda ed a trenta – quaranta metri della jeep. Ad alcune decine di metri della jeep si trovavano i carabinieri, un centinaio. I poliziotti erano alla fine della via Caffa, verso la piazzaTommaseo. I richiedenti ricordano che le fotografie versate alla pratica dell’inchiesta mostrano chiaramente la presenza di carabinieri no lontano dalla jeep.
C. l’indagine condotta dalle autorità nazionali
1. I primi atti di inchiesta
31. Un bossolo fu scoperto ad alcuni metri del corpo di C. G.. Nessuna pallottola fu trovata. Accanto al corpo fu ricuperato, tra l’altro, un estintore ed una pietra sporca di sangue. Questi oggetti furono investiti dalla polizia. Risulta della pratica che la procura affidò trentasei atti alla polizia di inchiesta. La jeep che aveva riparato M.P, l’arma e l’attrezzatura di questo ultimo restarono tra le mani dei carabinieri; furono oggetto di un sequestro giudiziale in seguito. Un bossolo fu ritrovato dentro alla jeep.
32. La sera del 20 luglio 2001, la squadra mobile della polizia di Genova ascoltò due polizieschi, Sigg. M. e F.. Il 21 luglio 2001, il capitano C., responsabile della compagnia Eco, riferì gli avvenimenti della vigilia ed indicò i nomi dei carabinieri che si erano trovati a bordo della jeep. Dichiarò non avere inteso di spari, probabilmente a causa dell’orecchietta della radio, del casco e della maschera antigas che limitava il suo ascolto.
2. Il collocamento in esame di M.P. e di F.C.
33. Nella notte del 20 al 21 luglio 2001, M.P. e F.C. è identificato ed ascoltato dalla procura di Genova in quanto persone sospettate di omicidio volontario. Questi interrogatori ebbero luogo nei locali del precetto dei carabinieri a Genova.
ha, Le prime dichiarazioni di M.P.
34. M.P. era un carabiniere ausiliare, assegnato al battaglione no 12 “Sicilie” ed integrato alla compagnia Eco, costituita per i bisogni del G8. Con quattro altre compagnie venute altre regioni dell’Italia, la compagnia Eco faceva parte del CCIR, collocato sotto gli ordini del tenente-colonnello T.. La compagnia Eco era sotto gli ordini del capitano C. e della sua collaboratori M. e Z., e sotto la direzione ed il coordinamento del Sig. L., un funzionario della polizia, vizio questore, di Roma. Ciascuna delle cinque compagnie era diviso in quattro plotoni di cinquanta uomini ciascuno. Il comandante di tutte le compagnie era il colonnello L..
35. Nato il 13 agosto 1980 ed entrato in servizio il 16 settembre 2000, M.P. aveva, all’epoca dei fatti, vent’ anni ed undici mesi. Faceva il granatiere ed era stato destinato al lancio di ordigni lacrimogeni. Dichiarò che durante le operazioni di mantenimento e di ristabilimento dell’ordine pubblico, era supposto spostarsi a piedi col suo plotone. Dopo avere lanciato parecchi arnesi lacrimogeni, aveva avuto gli occhi ed il viso bruciato ed aveva chiesto al capitano C. l’autorizzazione di ammontare a bordo di una jeep. Poco dopo, un altro carabiniere (D.R), ferito, l’aveva raggiunto.
36. M.P. afferma avere avuto molto paura, a causa di tutto ciò che aveva visto lanciare durante la giornata, ed avere temuto in particolare che i manifestanti non lanciano delle bottiglie Molotov. Spiegò che la sua paura era stata aumentata quando era stato ferito alla gamba con un oggetto metallico ed alla testa con una pietra. Aveva percepito la presenza di aggressori in ragione degli zampilli di pietre ed aveva pensato che le centinaia di manifestanti accerchiavano la jeep”, anche se aggiunse che “al momento degli spari non c’era nessuno vista.” Precisò essere stato “in preda al panico.” Ad un dato momento, aveva realizzato che la sua mano aveva agguantato la sua pistola; aveva estratto la sua mano, esercito, con l’occhiale posteriore della jeep e dopo circa un minuto aveva derivato due spari. Non sostenne essere visto si della presenza di C. G. dietro la jeep, né prima di né dopo avere sparato.
b) Le dichiarazioni di F.C.
37. F.C, l’autista della jeep, nato il 3 settembre 1977, era in servizio da ventidue mesi. All’epoca dei fatti, aveva ventitre anni e dieci mesi. Dichiarò che si era trovato in una viuzza vicino al posto Alimonda e che aveva cercato di spettare verso la piazza in retromarcia perché il plotone arretrava sotto la spinta dei manifestanti. La sua strada era stata bloccata tuttavia da un container a scarti, ed il motore aveva appoggiato. Aveva concentrato i suoi sforzi sul modo di estrarre la jeep, mentre i suoi compagni a bordo del veicolo urlavano. Di questo fatto, non aveva inteso le detonazioni. Infine, dichiarò: “Non ho notato non di nessuno a terra perché portavo una maschera che mi lasciava solamente un campo visivo parziale, ed anche perché la visione laterale, nell’automobile, non è ottimale. Ho fatto retromarcia e non ho percepito nessuna resistenza; in fatto, ho percepito un soprassalto della ruota sulla sinistra, ed io ha pensato ad un mucchio di detrito perché il container a scarti era stato rovesciato. Avevo solamente un’idea in testa, quella di allontanarmi da questo disastro.”
c) Le dichiarazioni di D.R.
38. D.R, nato il 25 gennaio 1982, effettuava il suo servizio militare dal 16 marzo 2001. All’epoca dei fatti, era vecchio di diciannove anni e sei mesi. Dichiarò che era stato colpito al viso ed alla schiena con le pietre lanciate dai manifestanti e che aveva cominciato a sanguinare. Aveva provato a proteggersi coprendo il viso, e M.P. aveva tentato a sua colta di riparare facendogli scudo col suo corpo. In quel momento, non aveva più niente visto, ma aveva sentito gli urla ed il rumore dei colpi e degli oggetti che entravano nell’abitacolo della jeep. Aveva inteso M.P. urlare agli aggressori di arrestare e di partire, poi due detonazioni.
d) Le secondo dichiarazioni di M.P.
39. L’ 11 settembre 2001, M.P, interrogato dalla procura, confermò le sue dichiarazioni del 20 luglio 2001 ed aggiunse di avere urlato ai manifestanti “andatevene o io vi uccido! .”
3. Le altre dichiarazioni raccolte durante l’inchiesta
A) Le dichiarazioni fatte da altri carabinieri
40. Il maresciallo A. che si trovava nell’altra jeep presente in piazza Alimonda, dichiarò di avere visto che la jeep a bordo della quale si trovava M.P. era immobilizzata da un container dei rifiuti e che era circondata da numerosi manifestanti, “certamente più di venti.” Questi ultimi lanciavano dei proiettili sulla jeep. Aveva visto in particolare un manifestante avviare un estintore contro l’occhiale posteriore. Aveva inteso le detonazioni ed aveva visto C. G. crollare. La jeep era passata poi due volte sul corpo di C. G.. Una volta che la jeep era riuscita a lasciare la piazzaAlimonda, si era avvicinato a questa ed aveva visto che l’autista era sceso dall’automobile ed aveva chiesto dell’aiuto, visibilmente agitato. Aveva preso allora la piazzadell’autista ed aveva notato che M.P. aveva una pistola in mano; gli aveva ordinato di rimettere la tacca di sicurezza. Aveva pensato immediatamente che si trattava dell’arma che aveva appena derivato, ma non ne aveva discusso con M.P che era ferito e sanguinava della testa. L’autista gli dice che aveva inteso le detonazioni mentre egli manovrava la jeep. Non raccolse nessuna spiegazione in quanto alle circostanze avendo cinto la decisione di derivare e non pose nessuna questione a questo motivo.
41. Il carabiniere R. aveva raggiunto a piedi la jeep. Dichiarò avere visto l’arma uscita della sua guaina ed avere chiesto a M.P. se avesse derivato. Questo aveva risposto dall’affermativo, senza precisare se aveva derivato nell’aria o in direzione di un manifestante dato. M.P. ripeteva senza tregua “volevano uccidermi, non voglio morire.”
42. Il 11 settembre 2001, la procura intese sopra il capitano C., comandando della compagnia Eco, paragrafo 34. Questo dichiarò che aveva autorizzato M.P. ad ammontare nella jeep e che aveva ricuperato i lancia-lacrimogeno di questo ultimo perché era in difficoltà. Precisò ulteriormente, al “processo dei 25”, udienza del 20 settembre 2005 che M.P. era fisicamente inabile ad inseguire il suo servizio in ragione di problemi psicologici e di tensione nervosa. Il Sig. C. si era diretto poi coi suoi uomini-una cinquantina-verso l’angolo del posto Alimonda e della via Caffa. Era stato pregato dal funzionario di polizia L. di risalire la via Caffa in direzione della via Tolemaide per aiutare le forze occupate laggiù a respingere i manifestanti. Era stato perplessa faccia a questa domanda, vista il numero di uomini alla sua disposizione ed il loro stato di stanchezza, ma li aveva imbucati tuttavia via Caffa. Sotto la spinta dei manifestanti che vengono dalla via Tolemaide, i carabinieri erano stati costretti di arretrare; si erano ripiegati di prima nell’ordine poi in modo disordinata. Il Sig. C. non aveva realizzato che all’epoca del ritiro le due jeep seguivano i carabinieri, la presenza di questi veicoli che non hanno nessuna “giustificazione funzionale.” I manifestanti non erano stati dispersi che grazie all’intervento di squadre mobili della polizia, presenti dall’altro lato del posto Alimonda. Era solamente dopo questa dispersione che aveva constatato che un uomo incappucciato giaceva a terra, apparentemente gravemente ferito. Certi dei suoi uomini portavano un casco attrezzato di videocamere, ciò che doveva permettere di chiarire lo svolgimento dei fatti; il registrazioni video realizzato era stato rimesso al colonnello Leso.
43. Il tenente-colonnello T., superiore gerarchico del capitano C., dichiarò essere arrestato si ad una decina di metri del posto Alimonda ed a trenta -quaranta metri della jeep, ed avere notato che questa passava su un corpo esteso a terra.
b, Le dichiarazioni del funzionario di polizia L.
44. Il 21 dicembre 2001, il Sig. L. fu sentito con la procura. Dichiarò che aveva appreso la modifica degli ordini di servizio il 20 luglio 2001 alla mattina. Il 26 aprile 2005 nella cornice del “processo dei 25”, il Sig. L. affermò all’epoca dell’udienza tenuta che il 19 luglio 2001 era stato informato che nessuno corteo era stato autorizzato per l’indomani. Il 20 luglio, ignorava sempre che un corteo autorizzato doveva sfilare. Durante la giornata, si era reso posto Tommaseo, dove avevano luogo degli scontri coi manifestanti. A 15 h 30, ad un momento calmo, il tenente-colonnello T. e le due jeep avevano raggiunto il contingente. Tra 16 ore e 16 h 45, il contingente era stato implicato negli scontri viale Torino. Poi era arrivato nel settore delle piazze Tommaseo ed Alimonda. Il tenente-colonnello T. e le due jeep erano spettati ed il contingente era stato riorganizzato. Il Sig. L. aveva notato, alla fine della via Caffa, un gruppo di manifestanti che avevano formato una barriera coi container su roulette e che avanzavano verso le forze dell’ordine. Aveva chiesto al Sig. C. se i suoi uomini erano in grado di fare fronte alla situazione ed aveva ottenuto una risposta affermativa. Il Sig. L. ed il contingente si erano messi allora vicino alla via Caffa. Aveva inteso un ordine di recesso ed aveva assistito alla pensione disordinata del contingente.
c) Le altre dichiarazioni fatte alla procura,
45. Dei manifestanti presenti al momento dei fatti furono anche sentiti con la procura. Alcuni di loro dichiararono essere molto stato vicino alla jeep, avere loro stessi lanciato delle pietre ed avere dato sulla jeep dei colpi con l’aiuto di bastoni o di altri oggetti. Secondo uno dei manifestanti, M.P. aveva urlato “bastardi, vado a tutto uccidervi! .” Un altro si era accorto che il carabiniere a bordo della jeep aveva estratto la sua pistola; aveva urlato allora ai suoi compagni di fare attenzione e si era allontanato. Un altro dichiarò che M.P. si era protetto da un lato con un scudo.
46. Alcune persone che avevano assistito ai fatti dalle finestre dai loro alloggi dichiararono di avere visto un manifestante raccogliere un estintore e sollevarlo. Avevano sentito due detonazioni ed avevano visto il manifestante crollare.
4. Il materiale audiovisivo
47. La procura ordinò alle forze dell’ordine di rimettergli il materiale audiovisivo potendo contribuire alla ricostituzione dei fatti sopraggiunti in piazza Alimonda. Difatti, delle fotografie e del registrazioni video erano state realizzate dalle squadre di ripresa, delle cineprese ammontate su degli elicotteri e delle mini-cineprese poste sui caschi di alcuni agenti. Delle immagini di origine privata erano anche disponibili.
5. Le perizie
a) L’autopsia
48. Nelle ventiquattro ore, la procura ordinò un’autopsia per stabilire la causa del decesso di C. G.. Il 21 luglio 2001, a 12 h 10, un parere di autopsia-precisando che la parte lesa poteva nominare un perito ed un difensore-fu notificato al primo richiedente, padre della vittima. A 15 h 15, Sigg. Ca. e S., periti della procura, furono investiti formalmente del mandato, e le operazioni di autopsia cominciarono. I richiedenti non mandarono né rappresentante né perito scelto con essi.
49. I periti chiesero alla procura un termine di sessanta giorni per depositare il loro rapporto di autopsia. La procura fece diritto a questa domanda. Il 23 luglio 2001, la procura autorizzò l’incenerimento del corpo di C. G., desiderato dalla famiglia.
50. Il rapporto di perizia fu depositato il 6 novembre 2001. Indicava che C. G. era stato raggiunto sotto il œil sinistro con un proiettile e che questo aveva attraversato il cranio ed era risultato dalla parete posteriore sinistra. La traiettoria del proiettile era stata il segui: era stato tratto a più da cinquanta centimetri di distanza, della parte anteriore verso la parte posteriore, della destra verso la sinistra, dell’altezza verso il basso. C. G. misurava 1,65 metro. Il tiratore si trovava di fronte alla vittima, leggermente spostato verso la destra. Secondo i periti, lo sparo alla testa aveva provocato la morte in alcuni minuti; il passaggio della jeep sul corpo aveva causato solamente delle lesioni minori e non valutabili agli organi toracici ed addominali.
b) Le perizie medicolegali praticate su M.P. e su D.R.
51. Dopo avere lasciato piazza Alimonda, i tre carabinieri che si trovavano a bordo della jeep si erano resi alle emergenze dell’ospedale di Genova. M.P. aveva segnalato delle contusioni diffuse alla gamba dritta ed un trauma cranico con ferite aperte; in dispetto del parere dei medici che volevano ricoverarlo, M.P. aveva firmato una scarica e, verso 21 h 30, aveva lasciato l’ospedale. Soffriva di un trauma cranico, indotto secondo lui con un colpo alla testa che gli era stata portata con un oggetto contundente quando era a bordo della jeep.
52. D.R. presentava delle contusioni e delle escoriazioni sul naso e lo zigomo destro, delle contusioni alla spallottola sinistra ed al piede sinistro. F.C. soffriva di una sindrome psicologica post-traumatica guaribile in quindici giorni.
53. Delle perizie medicolegali furono compiute per stabilire la natura di queste lesioni ed il loro legame con l’aggressione subita dagli occupanti della jeep. Queste perizie conclusero che le lesioni inflitte a M.P. ed a D.R. non avevano impiegato i loro giorni in pericolo. Le lesioni di M.P. alla testa erano potuti essere causate da un lancio di pietra, ma non si poteva determinare l’origine delle altre lesioni. La lesione di D.R. al viso era potuto essere provocata da un zampillo di pietra, e quell’alla spallottola con un colpo portato con l’aiuto di un’asse.
c) Le perizie balistiche ordinate dalla procura
i. La prima perizia
54. Il 4 settembre 2001, la procura incaricò il Sig. C. di stabilire se i due bossoli ritrovati sui luoghi, una nella jeep, l’altro ad alcuni metri del corpo di C. G. -paragrafo 31 sopra, provenivano dalla stessa arma, ed in particolare di quella di M.P. Nel suo rapporto del 5 dicembre 2001, il perito stimò che c’erano il 90% di probabilità che il bossolo scoperto nella jeep provenisse dalla pistola di M.P, mentre non vi era che il 10% di probabilità che quello ritrovato vicino al corpo di C. G. fosse la conclusione di questa stessa arma. In applicazione dell’articolo 392 del codice di procedimento penale (CPP), questa perizia fu effettuata unilateralmente, cioè senza possibilità per la parte lesa di partecipare.
ii. La seconda perizia
55. La procura nominò un secondo perito, l’ispettore di polizia M.. In un rapporto presentato il 15 gennaio 2002, questo indicò che c’erano il 60% di probabilità che il bossolo ritrovato vicino al corpo della vittima provenisse dall’arma di M.P. Conclude che i due bossoli provenivano da questa pistola e stimò inoltre che la distanza tra M.P. e C. G. al momento dell’impatto si trovava tra 110 e 140 centimetri. Questa perizia fu effettuata unilateralmente.
iii. La terza perizia
56. Il 12 febbraio 2002, la procura incaricò un collegio di periti, composto di Sigg. B., Benedetti, R. e T., di “ricostituire, anche sotto forma virtuale, la condotta di M.P. e di C. G. nei momenti avendo preceduto immediatamente e seguito l’istante dove la pallottola ha raggiunto il corpo.” I periti dovevano “determinare in particolare la distanza avendo diviso M.P. e C. G., gli angoli di vista rispettiva ed il campo visivo di M.P. dentro alla jeep al momento dei tiri.” Risulta della pratica che il Sig. R. era l’autore di un articolo, pubblicato nel settembre 2001 in una rivista specializzata, Tac Armi in cui aveva affermato, entra altri, che la condotta di M.P. si analizzava in una “evidente reazione di difesa, pienamente giustificata”.
57. I rappresentanti ed i periti dei richiedenti parteciparono agli atti della perizia collegiale. Io Vinci, avvocato dei richiedenti, dichiarò volere non formulare di domanda di incidente probatorio (proposizione incidentale probatoria). L’articolo 392 § 1 f, e 2 del CPP permettono in particolare alla procura ed all’imputato di pregare il giudice delle investigazioni preliminari, (giudice per l’indagini preliminari -il “GIP”) di ordinare una perizia se questa riguarda una persona, una cosa o un luogo di cui lo stato è suscettibile di modificarsi in modo inevitabile o quando, se fosse ordinata durante i dibattimenti, questa perizia potrebbe provocare la sospensione di questi durante un periodo superiore a sessanta giorni. Ai termini dell’articolo 394 del CPP, la parte lesa può chiedere alla procura di sollecitare un incidente probatorio. Se decide di non accettare questa domanda, la procura deve emettere un’ordinanza motivata e notificarla alla parte lesa.
58. Una discesa sui luoghi fu effettuata il 20 aprile 2002. A questa occasione, un impatto provocato da un sparo fu scoperto sul muro di un edificio di piazza Alimonda, a circa cinque metri di quota.
59. Il 10 giugno 2002, i periti depositarono il loro rapporto. Questo documento indicava al primo colpo che l’indisponibilità del cadavere di C. G., in ragione del suo incenerimento, aveva costituito un importante ostacolo che aveva reso il lavoro dei periti non esauriente; difatti, questi non avevano potuto riesaminare certe parti del corpo né avevano potuto ricercare dei microtracce. Sulla base del “poco materiale a disposizione”, i periti tentavano di prima di rispondere alla questione di sapere che era stato l’impatto della pallottola su C. G., esponendo il seguente considerazioni.
60. Le lesioni al cranio erano molto gravi ed avevano provocato la morte “dopo poco tempo.” La pallottola non era uscita intera della testa di C. G.; difatti, risultava dal resoconto (referto radiologico) dello scanner “total body” del cadavere effettuato prima dell’autopsia che le ossa della parte occipitale si trovavano al di sotto probabilmente un “frammento sottocutaneo di natura metallica.” Per il suo aspetto, questo pezzo di metallo opaco sembrava essere un frammento di corazza. L’orifizio di entrata sul viso aveva un aspetto che non suscitava un’interpretazione univoca, la sua forma irregolare che si spiega con la tipologia dei tessuti della zona del corpo raggiunto dalla pallottola in primo luogo. Una spiegazione poteva essere avanzata tuttavia secondo la quale la pallottola non aveva colpito forse direttamente C. G. ma aveva incontrato un oggetto intermedio, capace di deformarla e di rallentarla, prima di raggiungere il corpo della vittima. Questa ipotesi avrebbe spiegato le dimensioni ridotte dell’orifizio di uscita ed il fatto che la pallottola si era frammentata dentro alla testa di C. G..
61. I periti avevano ritrovato un piccolo frammento metallico di piombo, proveniente verosimilmente della pallottola che si era staccata dal passamontagna di C. G. all’epoca della manipolazione di questa; era impossibile sapere se questo frammento proveniva dalla parte anteriore, laterale o posteriore del passamontagna. Portava delle tracce di una materia che non apparteneva al proiettile in quanto tale ma proveniente di un materiale utilizzato nella costruzione. Inoltre, dei microfono-frammenti di piombo erano stati trovati alla parte anteriore e dietro al passamontagna, ciò che sembrava confermare l’ipotesi secondo la quale la pallottola aveva in parte perso la sua corazza all’epoca dell’impatto. Non era possibile stabilire la natura dell’ “oggetto intermedio” che sarebbe stato toccato dalla pallottola, ma si poteva escludere che si trattasse dell’estintore che C. G. aveva tenuto ad estremità di braccio. La distanza di tiro era stata superiore a 50-100 centimetri.
62. Per ricostituire i fatti nella cornice della “teoria dell’oggetto intermedio”, i periti avevano proceduto poi alle prove di tiro ed al simulazioni video e con l’aiuto di un software. Concludevano che non era possibile stabilire la traiettoria della pallottola perché questa era stata modificata certamente dalla collisione. Basandosi su un sequenza video dei fatti che mostrano una pietra che si disgrega nell’aria e sulla detonazione percepita nella banda suo, i periti stimavano che la pietra era esplosa immediatamente dopo lo sparo. Una simulazione con computer mostrava verso l’alto la pallottola tirata che colpiva C. G. dopo avere colpito questa pietra, lanciata da un altro manifestante contro la jeep. I periti stimavano che la distanza tra C. G. e la jeep erano state di circa 1,75 metro e che al momento dello sparo M.P. aveva potuto vedere C. G..
6. Le investigazioni condotte dai richiedenti
63. I richiedenti depositarono una dichiarazione fatta il 19 febbraio 2002 dinnanzi al loro avvocato con J.M, un manifestante. Questo ultimo aveva dichiarato in particolare che C. G. era ancora vivente dopo il passaggio della jeep sul suo corpo. I richiedenti produssero anche la dichiarazione di un carabiniere (V.M) facendo stato di una pratica secondo lui diffusa in seno alle forze dell’ordine, consistendo in modificare i proiettili del tipo di quell’utilizzato da M.P. per aumentare ne la capacità di espansione e dunque di frammentazione.
64. I richiedenti sottoposero infine due rapporti redatti dai periti che avevano loro stessi scelti. Secondo uno di essi, il Sig. G., la pallottola era frammentata già nel momento in cui aveva raggiunto la vittima. La frammentazione della pallottola poteva spiegarsi con un difetto di fabbricazione o con una manipolazione del proiettile che mira ad aumentare la sua capacità di frammentazione. Del parere del perito, queste due ipotesi si verificavano tuttavia raramente e, quindi, erano meno probabili di quell’emessa coi periti della procura, a sapere che la pallottola aveva urtato un oggetto intermedio.
65. Gli altri periti incaricati dai richiedenti di ricostituire lo svolgimento dei fatti stimavano che la pietra si era frammentata colpendo non la pallottola derivata da M.P, ma la jeep. Per potere ricostituire i fatti a partire dal materiale audiovisivo, ed in particolare a partire dalle fotografie, bisognava stabilire necessariamente la posizione precisa del fotografo, in particolare il suo angolo di visione, tenendo anche conto del tipo di materiale utilizzato. Inoltre, bisognava mettere in rapporto, da una parte, le immagini ed il tempo, e, altro parte, le immagini ed il suono. I periti dei richiedenti criticavano il metodo dei periti della procura che si erano basati su un “simulazione video e di software” e non avevano analizzato le immagini disponibili con rigore e precisione. Alcune critiche erano formulate anche a riguardo del metodo seguito all’epoca delle prove di sparo.
66. I periti dei richiedenti concludevano che al momento dello sparo C. G. si trovava a circa tre metri della jeep. Non si poteva negare che la pallottola era frammentata quando aveva raggiunto la vittima; non ne rimaneva meno che si doveva escludere un impatto con la pietra che appariva sul video. Difatti, una pietra avrebbe deformato la pallottola in modo differente ed avrebbe lasciato un altro tipo di traccia sul corpo di C. G.. Di più, M.P. non aveva sparato verso l’alto.
D. La richiesta di archiviazione e l’opposizione dei richiedenti
1. L’istanza di archiviazione senza seguito
67. Al termine dell’inchiesta interna, la procura di Genova decise di chiedere l’archiviazione senza seguito delle accuse portate contro M.P. e F.C. A titolo preliminare, osservava che l’organizzazione delle operazioni di mantenimento e di ristabilimento dell’ordine pubblico era stata modificata profondamente nella notte dal 19 al 20 luglio 2001, e considerava che ciò spiegava una parte delle disfunzioni sopraggiunte il 20 luglio. Non enumerava tuttavia le modifiche e le disfunzioni che ne avevano derivato.
68. La procura notava poi che le versioni dei fatti di Sigg. L. e C. divergevano su un punto preciso: il primo affermava che la decisione di imbucare le forze dell’ordine nella via Caffa per bloccare i manifestanti era stata presa di un comune accordo, mentre il secondo sosteneva che si trattava di una decisione unilaterale del Sig. L., preso in dispetto dei rischi legati al numero, riduce degli effettivi ed al loro stato di stanchezza.
69. Peraltro, i periti si accordavano sui seguenti fatti: la pistola di M.P. aveva sparato due pallottole di cui la prima aveva raggiunto mortalmente C. G.; la pallottola in causa non si era frammentata unicamente perché aveva raggiunto la vittima; la fotografia che mostra C. G. che porta l’estintore era stata presa mentre si trovava a circa tre metri della jeep.
70. In compenso, i periti avevano delle opinioni divergenti sui seguenti punti:
ha, nel momento in cui era stato raggiunto, C. G. era a 1,75 metro della jeep secondo i periti della procura, ma a circa 3 metri per i periti del famiglia Giuliani;
b) per i periti del famiglia G., il tiro era partito prima che si potesse vedere la pietra sul video, mentre i periti della procura pensavano il contrario.
71. Le parti che si accordano a dire che la pallottola era frammentata già quando aveva raggiunto la vittima, la procura ne deduceva che erano anche di accordo sulle cause di questa frammentazione e che i richiedenti aderivano alla “teoria dell’oggetto intermedio.” Le altre ipotesi suscettibili di spiegare la frammentazione della pallottola avanzata dai richiedenti- come una manipolazione o un difetto di fabbricazione del proiettile-erano considerate dai richiedenti loro stessi come essendo molto più improbabili. Quindi, queste ipotesi non potevano secondo la procura fornire una spiegazione valida.
72. L’inchiesta era stata lunga, in particolare in ragione dei ritardi accusati da certi periti, della “superficialità” del rapporto di autopsia e degli errori commessa dal Sig. Cantarella, uno dei periti. Allo stesso tempo, aveva permesso di abbordare e di approfondire ogni questione pertinente e di concludere che l’ipotesi della pallottola tirata verso l’alto e deviata da una pietra era più convincente.” In compenso, gli elementi della pratica non permettevano di stabilire se M.P. aveva derivato nella sola intenzione di disperdere i manifestanti o prendendo il rischio di ferire ne o di uccidere ne uno o parecchi. Tre ipotesi alle quali “egli non c’aura[it] mai di risposta certa”, potevano essere formulate come segue:
-si trattava di tiri di intimidazione e dunque di un omicidio involontario;
-M.P. aveva derivato per arrestare l’aggressione ed aveva preso il rischio di uccidere, ipotesi nella quale c’era stato omicidio volontario,;
-M.P. aveva previsto C. G. e si trattava di un omicidio volontario.
Secondo la procura, gli elementi della pratica permettevano di escludere la terza ipotesi.
73. La procura considerava poi che la collisione tra le pietre e la pallottola non erano di natura tale da rompere il legame di causalità tra i comportamenti di M.P. ed il decesso di C. G.. Dato che questo legame di causalità rimaneva, la questione era di sapere se M.P. aveva agito in stato di legittima difesa.
74. Era accertato che l’integrità fisica degli occupanti della jeep era stata minacciata e che M.P. “aveva risposto” mentre era in pericolo. Bisognava valutare questa risposta, tanti l’affatto di vista della necessità che la proporzionalità, “questo ultimo aspetto che è più delicato”.
75. Del parere della procura, M.P. non aveva avuto di altra opzione e lui non si poteva aspettarsi di ciò che si comportasse diversamente, perché “la jeep era accerchiata dai manifestanti [e] l’aggressione fisica contro gli occupanti era evidente e violenta.” Questo era a buon diritto che M.P. aveva avuto il sentimento di essere in pericolo di morte. La pistola era un strumento capace di fare cessare l’aggressione, ed il non si poteva criticare M.P. per l’attrezzatura che gli era stata fornita. Il non si poteva esigere di M.P. che si astenesse da utilizzare la sua arma e subisse un’aggressione suscettibile di minacciare la sua integrità fisica. Queste considerazioni giustificavano l’archiviazione senza seguito della causa.
2. L’opposizione dei richiedenti
76. Il 10 dicembre 2002, i richiedenti fecero opposizione all’istanza di archiviazione della procura. Adducevano che poiché la procura sé aveva riconosciuto che l’inchiesta era stata caratterizzata dagli errori e con le questioni che non avevano trovato risposta certa, dei dibattimenti contraddittori erano indispensabili alla ricerca della verità. Stimavano che il non si poteva affermare al tempo stesso che M.P. aveva derivato nell’aria e che aveva agito in stato di legittima difesa, di aveva dichiarato tanto quanto l’interessato non avere visto C. G. al momento di derivare.
77. I richiedenti facevano notare poi che la tesi dell’oggetto intermedio, che contestavano, era stata emessa un anno dopo i fatti e si basava su una semplice ipotesi non corroborata dagli elementi obiettivi. Altre spiegazioni potevano essere avanzate.
78. I richiedenti facevano osservare anche che risultava della pratica che C. G. era ancora vivente dopo il passaggio della jeep sul suo corpo. Sottolineavano che l’autopsia avendo concluso alla mancanza di lesioni apprezzabili provocate dai passaggi della jeep era stata qualificata di superficiale con la procura, e criticavano la scelta di affidare parecchi atti ai carabinieri di inchiesta.
79. Seguiva che M.P. e F.C. sarebbero dovuti essere rinviati in giudizio. A titolo accessorio, i richiedenti chiedevano il compimento di altri atti di inchiesta, ed in particolare:
a) una perizia che mira a stabilire le cause ed il momento del decesso di C. G., in particolare per sapere se questo era ancora vivente durante e dopo il passaggio della jeep;
b) un ascolto del capo della polizia, Sig. De G., e del carabiniere Z., per sapere quali direttive era stato dato in quanto al porto dell’arma sulla coscia;
c) la ricerca e l’identificazione della persona avendo lanciato la pietra che avrebbe deviato la pallottola;
d) un secondo ascolto dei manifestanti che si erano presentati spontaneamente;
e) l’ascolto del carabiniere V.M che aveva fatto stato della pratica che consiste nell’ incidere la punta dei proiettili, paragrafo 63 sopra,;
f) una perizia sui bossoli ritrovati e sulle armi di tutti gli agenti presenti in piazza Alimonda al momento dei fatti.
3. L’udienza dinnanzi al GIP
80. L’udienza dinnanzi al GIP ebbe luogo il 17 aprile 2003. I richiedenti mantennero la loro tesi secondo la quale la pallottola mortale non era stata deviata ed avevano raggiunto direttamente la vittima. Concedevano invece che non c’erano prove che M.P. avesse modificato il proiettile per renderlo più ad alto rendimento; si trattava là di una semplice ipotesi.
81. Il rappresentante della procura dichiarò di avere l’impressione che “certe questioni di cui [aveva] crudo che erano l’oggetto di una convergenza, non erano e [qu] ‘ egli ci [aveva] contrariamente alle divergenze.” Ricordò che il perito dei richiedenti, il Sig. Gentile, era di accordo sul fatto che il proiettile era stato danneggiato prima di raggiungere C. G.. Di più, aveva riconosciuto che, tra le cause possibili del danno, c’era una collisione con un oggetto o un difetto intrinseco del proiettile, e che la seconda causa era meno probabile della prima.
E. La decisione del GIP
82. Con un’ordinanza depositata alla cancelleria il 5 maggio 2003, il GIP di Genova accolse l’istanza di archiviazione della procura della repubblia1.
1. La determinazione dei fatti
83. Il GIP si riferì ad un riassunto dei fatti stabiliti da un anonimo francesi e messi sul netto con un sito anarchico (www.anarchy99.net), riassunto che stimava credibile tenuto conto della sua concordanza col materiale audiovisivo e le dichiarazioni dei testimoni. Il racconto in questione descriveva la situazione che aveva regnato in piazza Alimonda e riferiva un carico degli espresso contro i carabinieri con, in prima linea, quelli che lanciava tutto ciò che trovavano e, in seconda linea, quelli che trasportava dei container e pattumiere potendo servire di barricate mobili. L’atmosfera era descritta sulla piazza come “pazza furiosa”, con le forze dell’ordine attaccato da una folla che avanzava, lanciava dei proiettili e ne ricuperava subito di altri. I carabinieri, al loro turno, lanciavano dei lacrimogeni, ma un contingente fu costretto alla fine di arretrare verso la piazza Alimonda, dove una delle due jeep che li accompagnavano si trovò bloccata ed accerchiata dai manifestanti. Armati di barre di ferro e di altri oggetti, questi ultimi cominciarono a battere contro la carrozzeria della jeep di cui il finestrino posteriore fu rotto rapidamente. L’autore del racconto intese due detonazioni e fu in grado di vedere la mano di uno dei due carabinieri dentro alla jeep che tiene un’arma. Quando la jeep si allontanò e che il rumore si attenuò, vide il corpo di un giovane uomo gravemente ferito alla testa e giacendo a terra. L’autore del racconto ha descritto anche a fronte la collera di certa espressi alla notizia della morte di uno di essi.
84. Il GIP osservò che il racconto del manifestante anonimo concordava coi conclusioni dell’inchiesta secondo che, verso le 17, un gruppo di manifestanti si era radunato via Caffa, all’incrocio con la via Tolemaide, erigendo delle barricate con le pattumiere, dei carri di supermercato e di altri oggetti. A partire da questa barricata, il gruppo aveva cominciato a lanciare delle multipli pietre ed oggetti contundenti su un contingente di carabinieri che, alla partenza posizionata piazza Alimonda, all’angolo con la via Caffa, aveva cominciato ad avanzare nello scopo di arrestare i manifestanti di cui il numero era aumentato nel frattempo. Due jeep di cui una condotta con F.C. e riparando M.P. e D.R, avevano raggiunto il contingente dei carabinieri; i manifestanti avevano caricato però, violentemente, cortese il contingente a ritirarsi. Le jeep avevano fatto retromarcia verso la piazza Alimonda, dove una di esse aveva cozzato un container contro scarti. In alcuni istanti, i manifestanti avevano accerchiato il veicolo, il sorprendente con tutti i mezzi disponibili e lanciando delle pietre. Siccome lo mostrava il materiale audiovisivo versato alla pratica, i finestrini della jeep erano stati rotti dalle pietre, delle barre di ferro e dei bastoni. L’accanimento degli espressi contro la jeep era stato “impressionante”; certe pietre avevano raggiunto i carabinieri al viso ed alla testa, ed uno dei manifestanti, il Sig. M., aveva introdotto una lunga trave in legna con una delle finestre, loquace così a D.R. delle contusioni con scorticature alla spalla destra.
85. Una delle fotografie mostrava M.P. in treno di respingere un estintore col suo piede; si trattava molto probabilmente dell’oggetto metallico che gli era valso un’importante contusione alla gamba. Sulle fotografie successive appariva una mano che tiene al di sotto un’arma la ruota di scorta della jeep, mentre un giovane uomo, C. G., si dedicava verso il suolo e sollevava un estintore, con ogni probabilità nello scopo dell’avviare verso il finestrino posteriore della jeep. Questo era in quel momento che due spari erano stati derivati dall’interno della jeep e che il giovane uomo era caduto a terra. La jeep aveva circolato a due riprese sul suo corpo prima di potere lasciare i luoghi.
86. Tutti gli elementi disponibili, ivi compreso le dichiarazioni di M.P. del 20 luglio 2001, paragrafi 34-36 sopra, portavano a pensare che il decesso di C. G. era stato provocato da uno degli spari derivati da M.P. Il GIP citava quasi integralmente le dichiarazioni in questione, dove M.P. faceva stato del suo panico, delle lesioni che gli erano state inflitte, così come a D.R, e per il fatto che al momento in cui aveva puntato la sua pistola non aveva visto nessuno ma aveva percepito la presenza di aggressori a causa del lancio ininterrotto di pietre. Questa versione concordava con le dichiarazioni di D.R. e di F.C, così come con queste di altri militari e dei testimoni. Di più, risultava della pratica che M.P. aveva delle contusioni e delle lesioni alla gamba dritta, al braccio ed al vertice del cranio; D.R. soffriva di escoriazioni al viso e di contusioni alla spalla ed al piede; F.C. aveva una sindrome post-traumatica guaribile in quindici giorni, paragrafi 51-53 sopra.
2. La teoria dell’ “oggetto intermedio”
87. Il GIP prese atto di ciò che gli elementi della pratica mostravano che la prima pallottola sparata da M.P. aveva toccato mortalmente C. G.. Uscendo con l’osso occipitale del cranio, questa pallottola aveva perso un frammento del suo rivestimento, risultava così delle radiografie fatte prima dell’autopsia. Questa circostanza, così come le caratteristiche delle lesioni di entrata e di uscita, avevano portato i periti della procura a formulare la tesi secondo la quale il proiettile aveva colpito un oggetto prima di raggiungere C. G.. La ferita di entrata era difatti, molto irregolare e la ferita di uscita aveva delle dimensioni ridotte, si prodursi così in caso di dispersione di energia e/o di frammentazione del proiettile.
88. Nell’occorrenza, si trattava di un proiettile corazzato di calibro 9 mm parabellum, dunque di grande potere. Questo potere e la debole resistenza dei tessuti attraversati dalla pallottola confermavano la tesi dei periti della procura. Di più, nel passamontagna della vittima si era trovato un “minuscolo frammento di piombo”, compatibile coi proiettili di cui M.P. disponeva, e su che erano raggelati delle particelle di osso, ciò che dava a pensare che la pallottola aveva perso una parte della sua corazza prima di raggiungere l’osso.
89. Secondo le simulazioni di tiro, l’oggetto intermedio avendo frammentato la pallottola non poteva essere l’estintore portato dalla vittima né uno delle ossa che aveva attraversato; poteva trattarsi, invece, di una delle numerose pietre lanciate dai manifestanti in direzione della jeep. Ciò sembrava confermato dal sequenza video che mostra una pietra che si disgregava nell’aria, al momento stesso dove si intendeva una detonazione. La simultaneità del suono e della disintegrazione dell’oggetto conduceva a giudicare meno convincente la tesi dei periti dei richiedenti secondo la quale la pietra in questione si era schiacciata contro il tetto della jeep. Di più, il frammento di piombo presente nel passamontagna della vittima portava delle tracce di materiali di costruzione. Infine, le prove di tiro mostravano che quando erano colpiti da un proiettile, gli oggetti composti di materiali di costruzione “esplodevano” in modo simile a quella visibile sul sequenza video e danneggiavano la corazza delle cartucce. I test compiuti mostravano che la disintegrazione aveva delle caratteristiche differenti, la produzione di polvere, meno abbondante, era consecutiva e non concomitante alla frammentazione, quando dei tali oggetti erano lanciati contro un veicolo.
90. Il secondo sparo derivato da M.P. aveva lasciato una traccia, a 5,30 metri di altezza, sul muro della chiesa di piazza Alimonda. Il primo aveva raggiunto C. G.. La traiettoria iniziale di questo tiro non era potuta essere stabilita dalla perizia balistica. I periti della procura avevano preso però in conto lo fa che la jeep aveva una quota di 1,96 metro e che la pietra visibile nel film si trovava ad una quota di circa 1,90 metro quando la cinepresa aveva fissato l’immagine. Quindi, avevano effettuato delle prove di tiro posizionando l’arma a circa 1,30 metro di una pietra sospesa a 1,90 metro del suolo: ne era risultato che il proiettile era stato deviato verso il basso ed aveva raggiunto un “traghetto di recupero”, situato a 1,75 metro dell’arma, alle quote che vanno di 1,10 a 1,80 metro. Questi dati concordavano con le deposizioni di certe espressi, testimoni oculari dei fatti secondo che C. G. si trovava a circa 2 metri della jeep quando era stato raggiunto mortalmente dalla pallottola. I periti della procura non disponevano di queste deposizioni nel momento in cui avevano compiuto il loro mandato.
91. Alla luce degli elementi precedenti, c’era luogo di pensare che, conformemente ai conclusioni dei periti della procura, lo sparo era stato derivato verso l’alto, al di sotto C. G. che misurava 1,65 metro. Difatti, la pietra si era disgregata a 1,90 metro dal suolo.
3. L’angolo visuale di M.P.
92. Era probabile che l’angolo visuale di M.P. era stato limitato dalla ruota di scorta della jeep. Era però difficile avere delle certezze su questo punto, perché il viso di M.P. non appariva su nessuna delle fotografie versate alla pratica, mentre queste ultime mostravano chiaramente la sua mano che tiene l’arma. Le immagini davano tuttavia a pensare che era allungato a metà, in posizione semidistesa, o accovacciato sull’investimento, siccome lo confermavano le proprie dichiarazioni di M.P. così come queste di D.R. e del manifestante P.. Ciò permetteva di concludere che M.P. non aveva potuto vedere le persone che si trovavano sotto vicino alla porta posteriore della jeep la ruota di scorta, e che aveva derivato nello scopo di intimidire i manifestanti.
4. La qualifica giuridica della condotta di M.P.
93. Avendo ricostituito così i fatti, il GIP si dedicò sulla qualifica giuridica della condotta di M.P. A questo riguardo, la procura aveva formulato due ipotesi, paragrafo 72 sopra,: a che M.P. aveva derivato più alto possibile nella sola intenzione di intimidire gli aggressori al quale caso doveva rispondere di un omicidio involontario, omicidio colposo,; b che M.P. aveva sparato senza prevedere che cosa o ciò che questo fosse, nell’intenzione di fare cessare l’aggressione al quale caso doveva rispondere di un omicidio volontario in ragione di un “dolo eventuale” perché aveva accettato il rischio di colpire dei manifestanti.
94. Il GIP stimò che la prima delle ipotesi della procura non era corretta. Difatti, così M.P. aveva derivato più alto possibile, la sua condotta sarebbe stata non punibile ai termini dell’articolo 53 del codice penale (CP) e, ad ogni modo, il legame di causalità sarebbe stato interrotto da un fattore imprevedibile ed incontrollabile, a sapere la collisione del proiettile con un oggetto intermedio.
95. Così invece si seguiva la seconda ipotesi della procura, si imporsi di stabilire se una causa di giustificazione, a sapere l’uso legittimo degli armi et/ou la legittima difesa-articoli 53 e 52 del CP, vedere sotto i paragrafi 142-144, neutralizzavano la responsabilità penale e rendevano la condotta di M.P. non punibile.
5. La questione di sapere se M.P. aveva fatto un uso legittimo delle armi (articolo 53 del CP)
96. Il GIP si dedicò di prima sulla questione di sapere se il ricorso ad un’arma fosse stato necessario. L’articolo 53 del CP, paragrafo 143 sotto, conferiva agli ufficiali pubblici un potere più ampio che quello di cui disponeva ogni persona nella cornice della legittima difesa; difatti, questa causa di giustificazione non era subordinata alla condizione della proporzionalità tra minaccia e reazioni, ma a quella della “necessità.” Anche per gli ufficiali pubblici, l’uso di un’arma era un rimedio estremo, extrema ratio,; però, la realizzazione di un avvenimento più grave che quello previsto con l’ufficiale pubblico non poteva essere messo al carico di questo ultimo, perché ciò rilevava del rischio inerente all’utilizzazione delle armi da fuoco. In generale, l’articolo 53 del CP giustificava il ricorso alla forza quando era necessario per bloccare una violenza o una resistenza all’autorità.
97. M.P. si era trovato in una situazione di estrema violenza che tende a destabilizzare l’ordine pubblico e prevedendo i carabinieri di cui l’integrità fisica era minacciata direttamente. Il GIP citò a questo riguardo dei brani delle testimonianze di due aggressori della jeep, Sigg. P.i e M., facendo stato, ancora una volta, della violenza con la quale l’attacco era stato condotto, e si riferì alle fotografie versate alla pratica. La condotta della vittima non si analizzava in un atto di aggressione isolata, ma in una delle fasi di una violenta attacco che parecchie persone avevano portato contro la jeep, facendo ribaltarla e provando, probabilmente, di aprire ne la porta posteriore.
98. Gli elementi della pratica portavano ad escludere che M.P. avesse previsto deliberatamente C. G.; però, a supporre anche che tale fosse stato il caso, nelle circostanze particolari dello specifico la sua condotta sarebbe stata giustificata dall’articolo 53 del CP, perché era legittimo derivare verso gli aggressori per obbligarli a cessare il loro attacco, provando a limitare i danni allo stesso tempo, evitando di toccare degli organi vitali per esempio. In conclusione, l’uso dell’arma da fuoco era giustificato e suscettibile di non essere gravemente pregiudizievole, dal momento che M.P. aveva sparato “certamente verso l’alto” e che la pallottola aveva raggiunto unicamente C. G. perché la sua traiettoria era stata deviata in modo imprevedibile.
6. La questione di sapere se M.P. aveva agito in stato di legittima difesa (articolo 52 del CP)
99. Il GIP stimò poi dovere decidere se M.P. aveva agito in stato di legittima difesa, criterio più rigoroso” di neutralizzazione della responsabilità. Stimò che M.P. aveva, a buon diritto, avuto l’impressione di un pericolo per la sua integrità fisica e quella dei suoi compagni, e che questo pericolo era rimasto in ragione della violenta aggressione contro la jeep perpetrata da una folla di aggressori, e non solamente con C. G.. Per essere valutata nel suo contesto, la risposta di M.P. doveva essere messa in rapporto con questa aggressione. La tesi della famiglia della vittima secondo la quale le lesioni che M.P. aveva avuto alla testa non erano dovute alle pietre lanciate dai manifestanti ma ad un shock contro la leva interna del lampeggiatore posizionato sul tetto della jeep, non poteva essere considerata.
100. La risposta di M.P. era stato necessario tenuto conto del numero di aggressori, dei mezzi utilizzati, del carattere continuo degli atti di violenza, delle lesioni dei carabinieri presenti nella jeep e della difficoltà per il veicolo di allontanarsi dal posto perché il motore aveva appoggiato. Questa risposta era stata adeguata, visto il grado di violenza.
101. Così M.P. non aveva estratto la sua arma e tirate due volte, l’aggressione non avrebbe cessato, e se l’estintore-che M.P. aveva respinto già una volta con la sua gamba-aveva potuto penetrare nella jeep, avrebbe causato dell’incidi lesioni ai suoi occupanti, addirittura più peggiore. In materia di proporzionalità tra aggressioni e rispondi, la Corte di cassazione aveva precisato che bisognava mettere in relazione i beni minacciati ed i mezzi alla disposizione dell’imputato, e che poteva avere legittima difesa anche se il danno inflitto all’aggressore era leggermente superiore a quello che l’imputato rischiava di subire, vedere sentenza della prima sezione della Corte di cassazione no 08204 del 13 aprile 1987, Catania). Di più, la risposta doveva essere quella che, nelle circostanze dello specifico, era l’unica possibile, altri risposte meno pregiudizievoli per l’aggressore che è impropri ad allontanare il pericolo, vedere sentenza della prima sezione della Corte di cassazione no 02554 del 1 dicembre 1995, P.M. e V.. Quando l’aggredito disponeva di un’arma da fuoco come solo mezzo di difesa, doveva limitarsi a mostrarsi pronto ad utilizzarla o sparare verso il suolo o in aria, o ancora verso l’aggressore ma provando tuttavia a colpirlo nelle zone non vitali per ferirlo e non ucciderlo (vedere sentenza della Corte di cassazione del 20 settembre 1982) T.).
102. Nello specifico, M.P. disponeva di un solo mezzo per bloccare l’aggressione: la sua arma da fuoco. Ne aveva fatto un uso proporzionato, dal momento che prima di derivare aveva urlato ai manifestanti di andare ne si affinché questi cambiano comportamento; aveva derivato poi verso l’alto e la pallottola aveva raggiunto la vittima con una tragica fatalità, per una t