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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE GIULIANI ET GAGGIO c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, 02, 38
Numero: 23458/02/2009
Stato: Italia
Data: 2009-08-25 00:00:00
Organo: Sezione Quarta
Testo Originale

Conclusione Non- violazione dell’art. 2 (risvolto materiale); Violazione dell’art. 2 (risvolto procedurale); Non -violazione dell’art. 38; danno morale – risarcimento
QUARTA SEZIONE
CAUSA GIULIANI E GAGGIO C. ITALIA
( Richiesta no 23458/02)
SENTENZA
STRASBURGO
25 agosto 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Giuliani e Gaggio c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, quarta sezione, riunendosi in una camera composta da:
Nicolas Bratza, presidente, Josep Casadevall, Lech Garlicki Giovanni Bonello, Vladimiro Zagrebelsky, Ljiljana Mijović, Ján Šikuta, giudici,
e di Lawrence Early, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 26 giugno 2008 ed
il 18 giugno 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 23458/02) diretta contro la Repubblica italiana e in cui tre cittadini di questo Stato, il Sig. G. G., la Sig.ra A. G., moglie di G., e la Sig.ra E. G.(“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 18 giugno 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono stati rappresentati da N. P. e G. P., avvocati a Roma. I richiedenti sono rispettivamente il padre, la madre ed la sorella di C. G.. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo coagente, F. Crisafulli.
3. I richiedenti adducevano in particolare che C. G. era deceduto in ragione di un ricorso eccessivo alla forza pubblica.
4. Un’udienza consacrata al tempo stesso alle questioni di ammissibilità ed a quelle del merito (articolo 54 § 3 dell’ordinamento) si è svolta in pubblico al Palazzo dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, il 5 dicembre 2006 (articolo 59 § 3 dell’ordinamento).
Sono comparsi:
-per il Governo il
Sig. F. Crisafulli, coagente,;
-per i richiesti
Sig. N. P., la Sig.ra A. M., la
Sig.ra G. P., avvocati al foro di Roma consiglieri.
5. Con una decisione del 6 febbraio 2007, la camera ha dichiarato la richiesta ammissibile.
6. Tanto i richiedenti che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte complementari (articolo 59 § 1 dell’ordinamento). Le parti hanno ciascuna sottoposto dei commenti scritti sulle osservazioni dell’altra.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
7. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1938, 1944 e 1972 e risiedono a Genova ed a Milano.
A. Il contesto in cui si è svolto il G8 a Genova e le circostanze che hanno preceduto il decesso di C. G.
8. Il 19, 20 e 21 luglio 2001 si svolse a Genova il vertice detto del “G8.” Delle numerose manifestazioni “non global” furono organizzate nella città ed un importante dispositivo di sicurezza fu messo in posto dalle autorità italiane. La legge no 349 dell’ 8 giugno 2000 autorizzava il prefetto di Genova a ricorrere al personale delle forze armate. Inoltre, una “zona rossa” era stata delimitata con l’aiuto di una rete metallica nella parte della città riguardata dalle riunioni del G8, ossia il centro storico della città. Per cui, solo i rivieraschi e le persone che dovevano lavorare potevano accedervi. L’accesso al porto era stato vietato e l’aeroporto chiuso al traffico. La zona rossa era cinta in una zona gialla che, a sua volta, era vincolata da una zona bianca (zona normale).
9. Concernente gli ordini scritti del comandante delle forze dell’ordine, responsabile del mantenimento e del ristabilimento dell’ordine pubblico, il Governo ha sottoposto alla Corte degli ordini di servizio datati 14, 17 e 19 luglio 2001. Ciascuno di questi ordini di servizio comincia con la frase: “la presente modifica e completa come segue l’ordinanza di servizio no 2143/R del 12 luglio relativa ai servizi di ordine e di sicurezza contemplati in occasione del vertice del G8 che si terrà a Genova dal 20 al 22 luglio.” Questa ordinanza del 12 luglio non è stata fornita alla Corte.
10. L’ordine di servizio del 19 luglio 2001 è quello della vigilia dei fatti. Riassume così le precedenze delle forze dell’ordine: mettere in opera dentro alla “zona rossa” una linea di difesa che permette di respingere velocemente ogni tentativo di intrusione; mettere in opera nella “zona gialla” una linea di difesa per potere fare fronte ad ogni azione, tenuto conto della posizione dei manifestanti in differenti luoghi così come delle azioni provenienti da elementi più estremisti; infine, prendere delle misure di ordine pubblico sugli assi toccati dalle manifestazioni, avuto riguardo al pericolo di aggressioni favorite dagli effetti di massa.
11. Le parti si accordano sul fatto che l’ordine di servizio del 19 luglio 2001 ha modificato i piani stabiliti fino là in quanto al modo di esporre le risorse ed i mezzi disponibili, affinché le forze dell’ordine potessero bloccare efficacemente ogni tentativo di intrusione nella zona rossa di persone che partecipavano alla manifestazione delle “Tute bianche” annunciata ed autorizzata per l’indomani.
Appellandosi a delle testimonianze concesse nella cornice di un procedimento penale sollecitato contro venticinque manifestanti (vedere, sotto, il “processo dei 25”), i richiedenti hanno indicato che l’ordine di servizio del 19 luglio aveva interessato il plotone dei carabinieri dandogli una funzione dinamica mentre prima era supposto essere statico.
In quanto al modo in cui queste istruzioni sono state diffuse, il Governo ha indicato che gli ordini dati e ricevuti dagli ufficiali sul campo sono state trasmesse oralmente. I richiedenti, in quanto ad essi, si riferiscono alle testimonianze raccolte dalla procura ed anche nella cornice del “processo dei 25”, particolarmente presso il Sig. L. ( paragrafo 56 sotto).
12. Le parti si accordano a dire che un sistema di comunicazione radio è stato messo in posto, con una centrale operativa situata presso la questura ( uffici della polizia) e che questa centrale era in contatto radio con le forze presenti sul campo. I carabinieri ed i poliziotti non potevano comunicare direttamente tra loro tramite radio; potevano raggiungere solamente la centrale operativa.
13. Risulta dal giudizio reso nel “processo dei 25” (vedere sotto), versato alla pratica che prima dell’inizio del G8 vi erano stati dei momenti di tensione: il 16 luglio, una bomba era stata mandata ai carabinieri. Il 17 luglio, un furgone contenente un ordigno esplosivo era stato scoperto vicino allo stadio Carlini, il luogo che avrebbe ospitato i manifestanti che avrebbero partecipato alla grande manifestazione del 20 luglio (il corteo delle “Tute bianche”). Il 18 luglio, le forze dell’ordine si recarono allo stadio Carlini per effettuare dei controlli. Circa 500 manifestanti erano sul posto. L’ispezione durò circa un’ora ed ebbe luogo in presenza dei giornalisti. I manifestanti presentavano dei “mezzi di difesa individuale”, ossia degli scudi in plexiglas e dei vestiti che potevano assorbire degli eventuali scontri con le forze dell’ordine.
14. Lo stesso giudizio fa stato del fatto che, la mattina del 20 luglio, dei gruppi di manifestanti particolarmente aggressivi (con passamontagna e mascherati, i “black blocks”) provocarono numerosi incidenti e scontri con le forze dell’ordine. Verso le 13 h 30, il corteo delle “Tute bianche” era pronto a sfilare. La partenza era contemplata dallo stadio Carlini. Si trattava di una manifestazione che raggruppava parecchie organizzazioni: dei rappresentanti del movimento “no global”, dei centri sociali, dei giovani comunisti del Partito “Rifondazione comunista.” Credevano nella contestazione non violenta (disobbedienza civile) ma avevano annunciato un obiettivo politico: tentare di superare il limite della zona rossa. Ecco perché in data del 19 luglio 2001 il questore di Genova aveva vietato al corteo delle “Tute bianche” di penetrare nella zona rossa o in quella adiacente ed aveva disposto le forze dell’ordine in modo da arrestare il corteo a livello della piazza Verdi. Il corteo poteva sfilare tra lo stadio Carlini e lungo tutta la via Tolemaide dunque, fino alla piazza Verdi, o ben al di là dell’incrocio tra questa via e viale Torino, incrocio dove si svolsero i fatti che sono qui di seguito in questione. Verso le 13 h 30, il corteo si mise in strada ed avanzò lentamente verso ovest. Durante la discesa, i manifestanti apparvero tranquilli e gioiosi, almeno fino al momento in cui notarono delle colonne di fumo nella direzione di via Canevari ed un’automobile completamente bruciata in via Montevideo, il che generò una certa tensione. Nel settore della via Tolemaide, c’erano delle tracce di disordini anteriori. Un gruppo di contatto composto da politici ed un gruppo di giornalisti muniti di cineprese o di macchina fotografica camminavano in testa del corteo. Quest’ultimo rallentò e segnò parecchie fermate. Più in basso, nella zona di via Tolemaide, degli incidenti opposero delle persone mascherate e con passamontagna alle forze dell’ordine. Il corteo raggiunse la galleria della ferrovia, all’incrocio di viale Torino. Improvvisamente, degli ordigni lacrimogeni furono lanciati sul corteo dai carabinieri posti sotto gli ordini del Sig. M..
15. Il Sig. M., comandante della compagnia dei carabinieri Alpha, aveva fatto sapere alla sua centrale che la sua radio poteva ricevere solamente le comunicazioni e che non disponeva di una guida di Genova che conosceva bene le vie. Si trovava posto in via Tommaseo con due cento carabinieri. Questi erano attrezzati della nuovo manganello Tonfa, di uno scudo, dei nuovi ordigni lacrimogeni CS e di lanciatori, così come di una tuta ignifugata e di attrezzature anti-incendio. Alle 14 h 29, la centrale radio ordinò al Sig. M. di recarsi velocemente in piazza Giusti, perché il corteo delle “Tute bianche” stava percorrendo il viale Gastaldi. Il Sig. M. accettò. Aveva tre itinerari possibili per recarsi al suo punto di destinazione, ma scelse quello che l’esponeva al rischio di incrociare il corteo delle “Tute bianche”, cioè l’itinerario passante per via Invrea e che incrociava viale Torino. Alcuni minuti prima delle 15, essendosi ritrovato sulla strada dei manifestanti, i carabinieri attaccarono il corteo delle “Tute bianche”, utilizzando da prima dei gas lacrimogeni poi avanzando ed avvalendosi dei loro manganelli. Il corteo fu respinto verso est, all’incrocio con via Casaregis. L’assalto durò circa due minuti. Non era stato ordinato né dalla centrale operativa dei carabinieri né dalla persona che aveva la competenza necessaria. I carabinieri respinsero i manifestanti fino all’incrocio con la via Invrea. In questo luogo, questi ultimi si divisero: certi si diressero verso il mare, altri cercarono un riparo in via Invrea, poi nel settore di piazza Alimonda. Alcuni manifestanti reagirono, trovarono degli oggetti che potevano essere utilizzati come oggetti contundenti, come delle bottiglie in vetro o dei cassonetti dei rifiuti, e cominciarono ad avviarsi verso le forze dell’ordine. Dei blindati dei carabinieri percorsero a grande velocità via Casaregis e via Invrea, sfondando le barricate messe in posto dai manifestanti con l’aiuto dei cassonetti e provocando l’allontanamento dei manifestanti presenti sui luoghi. Alle 15 h 22 min. 52 s., la centrale operativa ordinò al Sig. M. di spostarsi e di lasciare passare il corteo delle “Tute bianche.” L’assalto finì, i carabinieri si ritirarono in via Casaregis poi in via di Invrea, in direzione nord, seguirono la via Tolemaide, verso ovest.
16. Certi manifestanti organizzarono una risposta violenta e degli scontri con le forze dell’ordine. Verso le 15 h 40, un gruppo di manifestanti attaccò un furgone corazzato dei carabinieri e l’incendiò in seguito.
17. Verso le 17, la presenza di un gruppo di espressa parvenza molto aggressiva fu notato in particolare dal battaglione Sicilia, composto da una cinquantina di carabinieri appostati vicino a piazza Alimonda.
18. Il funzionario di polizia L. ordinò a suddetti carabinieri di caricare i manifestanti. A piedi e seguiti da due jeep Defender, i carabinieri caricarono.
19. Poco dopo, i manifestanti riuscirono tuttavia a respingere l’attacco delle forze dell’ordine: i carabinieri si ritirarono in modo disordinato vicino a piazza Alimonda, lasciando senza protezione le due jeep Defender che si trovavano in coda alla disposizione (la procura, nella sua istanza di archiviazione senza seguito della causa, descrisse questo come « ripiegamento disordinato che lascia scoperti i due defender che si trovano alle spalle del reparto »). Le immagini prese dall’ elicottero mostravano i manifestanti che avanzavano in via Caffa, alle 17 h 23, correndo dietro alle forze dell’ordine.
B. Il decesso di C. G.
20. Le due jeep in questione si bloccarono reciprocamente in piazza Alimonda. Mentre una di queste riusciva alla fine ad allontanarsi, l’altra, in ragione di una falsa manovra del conducente, restò immobilizzata in piazza Alimonda, bloccata da un cassonetto dei rifiuti rovesciato.
21. La jeep fu raggiunta da un gruppo di manifestanti armati di pietre, di bastoni e di sbarre di ferro. I finestrini laterali della parte posteriore e il lunotto posteriore della jeep furono rotti. I manifestanti urlarono delle ingiurie e delle minacce contro gli occupanti della jeep e lanciarono delle pietre verso il veicolo.
22. A bordo della jeep si trovavano tre carabinieri: M. P., F. C. e D. RANDO.
23. Uno di essi, M. P. (qui di seguito “M.P. “), era un granatiere di vent’ anni. Intossicato dalle granate lacrimogene che aveva lanciato all’epoca di scontri precedente, era stato autorizzato dal capitano C. (comandante della compagnia Eco in seno al CCIR« contingente di contenzione e intervento risolutivo ») a salire sulla jeep per allontanarsi dai luoghi del precedente scontro. Accovacciato dietro alla jeep, ferito, terrorizzato, proteggendosi da un lato con un scudo, secondo la dichiarazione del manifestante P., urlava ai manifestanti di andarsene, “se no li avrebbe uccisi”, M.P. sfoderò la sua Beretta 9 mm, la puntò in direzione del lunotto posteriore spezzato del veicolo e, dopo alcune decine di secondi, tirò due spari.
24. Il primo sparo raggiunse C. G. al viso, sotto l’occhio sinistro, e lo ferì gravemente, mentre si trovava ad alcuni metri al massimo dalla parte posteriore della jeep ed aveva appena raccolto un estintore vuoto. C. G. crollò vicino alla ruota posteriore sinistra del veicolo.
25. Poco dopo, F. C. (qui di seguito “F.C. “), l’autista, riuscì a ripartire e, allo scopo di liberarsi, fece retromarcia, passando così sul corpo di C. G.. Passò poi alla prima e passò una seconda volta sul corpo di C. G. lasciando i luoghi. La jeep si diresse allora verso piazza Tommaseo.
26. Dopo “alcuni metri”, il maresciallo dei carabinieri A. salì a bordo della jeep e si mise al volante, “essendo l’autista in stato di shock”. Anche il carabiniere RANDO salì sul veicolo.
27. Dopo la partenza della jeep, J.M, un manifestante, si avvicinò a C. G. ed osservò che questo perdeva molto sangue che spruzzava da un buco situato vicino all’occhio sinistro, e constatò che “il polso di C. G. era molto veloce e debole.” Alcuni istanti più tardi, dopo l’arrivo di parecchi carabinieri e poliziotti, J.M. si allontanò da C. G..
28. Delle forze di polizia che sostavano dall’altro lato di piazza Alimonda intervennero e dispersero i manifestanti (secondo la dichiarazione del capitano C.). Furono raggiunte dai carabinieri.
29. Alle 17 h27 min. 25 s., un poliziotto presente sui luoghi chiamò la centrale operativa per chiedere un’ambulanza. Un medico arrivato in seguito sul posto, constatò il decesso di C. G..
1. Le indicazioni fornite dalle parti in quanto ai momenti che hanno preceduto la morte di C. G.
30. I momenti che hanno preceduto la morte di C. G. sono stati ricostituiti come segue nella nota del ministero dell’interno versato alla pratica dal Governo:
“Alle 6, il settore ricevette l’ordine di servizio e tre plotoni si misero vicino alla questura. Dopo alcune ore, il contingente fu sciolto; due plotoni restarono.
Verso la fine della mattinata, il contingente fu mandato in piazza Tommaseo, dove arrivò mentre gli scontri coi manifestanti erano finiti. Il funzionario di polizia L. prese il comando del contingente.
Gli effettivi furono posti in via Rimassa, vicino ai giardini King, e si trovarono esposti a lanci di oggetti diversi. A partire dalle ore 15, il contingente che seguiva i manifestanti, percorse la via Ivrea ed arrivò a piazza Alimonda, dove la situazione era relativamente calma; il contingente fu riorganizzato dunque. I carabinieri presenti erano una cinquantina circa.
Le due jeep Defender utilizzate per garantire il collegamento tra i contingenti erano sul posto. Il funzionario di polizia L. ed il capitano C. decisero di disporre il contingente in via Caffa, in direzione di via Tolemaide, per fare fronte ad un gruppo di manifestanti che aveva eretto una barricata utilizzando dei cassonetti di rifiuti. I carabinieri furono oggetto di un’intensa serie lanci di pietre e di bottiglie. Temendo di essere raggiunti da altri manifestanti che venivano dalla via Odessa, i carabinieri ripiegarono a piedi, lasciando scoperte le due jeep che si trovavano dietro il contingente.
Nell’agitazione del momento, gli autisti delle due jeep provarono a ritirarsi al più presto, in retromarcia, verso piazza Tommaseo. Nel loro tentativo di fare inversione, le jeep si fecero ostacolo una con l’altra; quella condotta da F. C. (F.C) non riuscì a finire la sua manovra e si ritrovò bloccata sul davanti da un cassonetto dei rifiuti . Alcuni istanti più tardi, fu raggiunta dai manifestanti venuti da via Tolemaide e da via Odessa. .”
31. Appellandosi tra l’altro a delle testimonianze concesse dai membri delle forze dell’ordine durante il “processo dei 25”, i richiedenti descrivono così le circostanze della morte di C. G.:
“Il corteo delle “Tute bianche” arrivò in via Tolemaide verso le 14 h 50. Alle 14 h 53, le forze dell’ordine, la compagnia dei carabinieri proveniente dal battaglione Lombardia, l’attaccarono. Gli assalti si ripeterono otto volte e furono condotti con l’aiuto di diciannove blindati, di autopompe, di ordigni lacrimogeni, di manganelli. L’ultimo attacco ebbe luogo alle 17 h 15.
Nel frattempo, la compagnia Eco- che aveva aiutato il battaglione Lombardia in alcuni degli assalti-si era posizionata in piazza Alimonda -via Caffa ed era agli ordini del funzionario di polizia L.. Due jeep Defender la raggiunsero. I carabinieri poterono togliere le loro maschere antigas, mangiare e riposarsi.
Allo stesso momento, la polizia, agli ordini del funzionario di polizia F., era posizionata in via Caffa.
In questo contesto calmo, il capitano C. ordinò a M.P. ed a D.RANDO di salire a bordo di una delle due jeep. Giudicava opportuno fare salire i due carabinieri, essendo questi psicologicamente “a terra” e non rispondendo più alle condizioni fisiche per essere in servizio. Stimando inoltre che M.P. doveva smettere di lanciare degli ordigni lacrimogeni, gli tolse i suoi lancia-lacrimogeni così come la bisaccia contenente gli ordigni.
Alle 17 h 20, la compagnia Eco, composta in quel momento da un centinaio di uomini, eseguì l’ordine del funzionario di polizia L., rimise le maschere antigas, gli scudi e si mise in marcia in via Caffa verso via Tolemaide. Fu deciso di attaccare il corteo, in presenza del tenente colonnello T.. Le due jeep seguivano il plotone. Parecchi cassonetti dei rifiuti servivano come barriera ai manifestanti. La compagnia Eco cominciò la sua ritirata seguendo la via Caffa, verso piazza Alimonda. La ritirata fu accompagnata dalle due jeep che viaggiavano in retromarcia. Circa settanta manifestanti seguirono i carabinieri. Arrivata in piazza Alimonda, la jeep nella quale si trovava M.P. incontrò sulla sua strada un cassonetto dei rifiuti che arrestò il suo percorso. Alcuni manifestanti gettarono contro il veicolo delle pietre e poi un estintore che ricadde per terra.
C. G. si diresse verso un estintore che giaceva per terra . In quel momento un carabiniere presente nella jeep aveva, già una pistola in mano ed era pronto a sparare. C. G. prese l’estintore e lo sollevò. Erano le 17 h 27. Fu raggiunto allo stesso momento dal proiettile mortale. ”
32. Trattandosi della pistola, i richiedenti rinviano alle fotografie versate alla pratica dell’inchiesta e sottolineano che l’arma era tenuta orizzontalmente e verso il basso.
33. Il ministero dell’interno ha affermato che era impossibile indicare il numero preciso di carabinieri e di poliziotti che si trovano sui luoghi al momento del decesso di C. G.; c’erano approssimativamente cinquanta carabinieri, ad una distanza di 150 metri dalla jeep. Inoltre, a 200 metri, all’altezza di piazza Tommaseo, c’era un gruppo di poliziotti (reparto mobile della polizia di stato).
34. I richiedenti rinviano in quanto ad essi alle dichiarazioni del tenente colonnello T. (vedere sotto) che ha affermato di essersi trovato ad una decina di metri di piazza Alimonda ed a trenta -quaranta metri dalla jeep. Ad alcune decine di metri dalla jeep si trovavano i carabinieri, un centinaio. I poliziotti erano alla fine di via Caffa, verso piazza Tommaseo. I richiedenti ricordano inoltre che le fotografie versate alla pratica dell’inchiesta mostrano chiaramente la presenza di carabinieri ad alcuni metri della jeep in questione.
2. Le indicazioni dei richiedenti in quanto agli istanti che hanno seguito immediatamente la partenza della jeep
35. Un film sottomesso dai richiedenti e basato su delle immagini versate alla pratica dell’inchiesta mostra parecchie persone e dei membri delle forze dell’ordine che si avvicinano al corpo della vittima. Vicino alla testa della vittima, una pietra sporca di sangue che non appare all’inizio della sequenza ma è visibile alla fine. In più, un poliziotto presente vicino al corpo di C. G. (M. L.) indica con un dito un manifestante ed urla “sei stato tu, sei stato tu! “, dopo ciò dei membri delle forze dell’ordine si lanciano all’inseguimento dell’uomo in questione per ricuperarlo, ma in vano.
36. Il carabiniere C. che ha testimoniato al “processo dei 25”, udienza del 20 settembre 2005, ha indicato che una giovane donna si era avvicinata al corpo di C. G. ed aveva sollevato il passamontagna che portava. Una ferita a forma di stella era visibile sulla fronte della vittima. La ragazza aveva dichiarato che C. G. era morto e che a suo avviso non era a causa di una sassata. Due minuti circa dopo che questa frase era stata pronunciata, M. L. si era concesso a ciò che il Sig. C. qualificava come “ispessimento” e che era stato mostrato in televisione.
C. l’indagine condotta dalle autorità nazionali
1. I primi atti di inchiesta
37. La squadra mobile della polizia della provincia di Genova – 3 sezione – reati contro le persone – si recò sul posto verso le 18. Risulta dal rapporto stabilito dalla Sig.ra B., funzionario di polizia appartenente alla squadra mobile della polizia di Genova che verso le 18 questa si recò in piazza Alimonda con due altri funzionari di polizia, avendo segnalato la centrale operativa il decesso di un giovane uomo. Trovò il corpo della vittima ricoperto da un lenzuolo. Per quanto possibile, circoscrisse i luoghi, cioè chiuse piazza Alimonda al pubblico, per permettere alla polizia scientifica di effettuare i rilievi. Il viso della vittima era scoperto, trovandosi il passamontagna dietro la testa. I poliziotti F. e M. furono sentiti (paragrafi 41-42 sotto).
38. Un bossolo fu scoperto ad alcuni metri dal corpo di C. G.. Nessun proiettile fu trovato. Accanto al corpo fu ricuperato un estintore così come una pietra sporca di sangue, del denaro, un cutter, un telefono portatile, un accendino e delle chiavi. Questi oggetti furono sequestrati dalla polizia. Peraltro, risulta dalla pratica che la procura affidò alla polizia trentasei atti d’ inchiesta.
39. La jeep, dopo la sua partenza da piazza Alimonda, ma anche l’arma e l’ attrezzature di M.P, restarono nelle mani dei carabinieri; il veicolo, l’arma e l’attrezzatura furono in seguito oggetto di un sequestro giudiziale. Un bossolo fu ritrovato dentro alla jeep.
40. Il cadavere fu trasportato, su ordine della procura, all’ospedale Galliera. Poté essere identificato grazie alle impronte digitali, iscritte nello schedario dell’autorità giudiziale.
41. Alle 21 h 30, il poliziotto F., responsabile del gruppo dei poliziotti presenti in via Caffa, fu sentito all’ufficio della squadra mobile della polizia di Genova. Dichiarò di avere visto un contingente di carabinieri che era stato sopraffatto(“travolto”) in piazza Alimonda da un numero impressionante di manifestanti che tentavano di attaccare i poliziotti. Le due jeep Defender erano isolate nel mezzo dei manifestanti, accerchiate e danneggiate seriamente. Immediatamente dopo, le due jeep erano riuscite a ripartire. A terra giaceva un uomo con il passamontagna. In prossimità, c’era un estintore.
42. Alle 20 h 50, all’ufficio della squadra mobile della polizia di Genova, il poliziotto M. dichiarò di avere raggiunto piazza Alimonda col suo gruppo di poliziotti agli ordini di F. ed avere visto a terra C. G. che sanguinava abbondantemente dalla testa. In prossimità, c’era un estintore. Una volta arrivata l’ambulanza, un medico aveva tentato di rianimare C. G., aveva poi constatato il decesso ed aspettato l’arrivo del magistrato.
43. Il 21 luglio 2001, il capitano C., responsabile della compagnia Eco, riferì gli avvenimenti della vigilia ed indicò i nomi dei carabinieri che si trovavano a bordo della jeep in causa che era stata accerchiata da numerosi manifestanti armati di sbarre di ferro, di pietre e di tavole di elgno. Affermò che una volta che la jeep era riuscita a ripartire, la polizia presente dall’altro lato della piazza era intervenuta ed aveva disperso i manifestanti, permettendo così di vedere il corpo di una persona con il passamontagna giacente al suolo. Il Sig. C. dichiarò di non avere sentito degli spari, probabilmente a causa dell’auricolare della radio, del casco e della maschera antigas che limitava il suo ascolto.
44. Il 28 luglio 2001, l’ufficiale M. redasse una nota di servizio che riprendeva le considerazioni dell’ufficiale C., a proposito dei fatti sopraggiunti in piazza Alimonda.
2. Il collocamento in esame di M.P. e F.C, due dei tre carabinieri presenti a bordo della jeep
45. La sera del 20 luglio 2001, due dei tre carabinieri presenti a bordo della jeep al momento dei fatti furono identificati e furono ascoltati dalla procura di Genova, nei locali del comando dei carabinieri a Genova, in quanto persone sospettate di omicidio volontario.
a) Prima dichiarazione del tiratore (M.P), ascoltato dalla procura il 20 luglio 2001, alle 23, nei locali del comando dei carabinieri a Genova
46. M.P. era un carabiniere ausiliare, assegnato al battaglione no 12 “Sicilia” ed integrato alla compagnia Eco, costituita per i bisogni del G8. Con quattro altre compagnie venute da altre regioni d’Italia, la compagnia Eco faceva parte del CCIR, collocato sotto gli ordini del tenente-colonnello T.. La compagnia Eco era sotto gli ordini del capitano C. e della sua collaboratori M. e Z., e sotto la direzione ed il coordinamento del Sig. L., un funzionario della polizia (vice questore) di Roma. Inoltre, c’era un battaglione di paracadutisti e delle strutture denominati G2 e G3. Ciascuna delle cinque compagnie era divisa in quattro plotoni di cinquanta uomini ciascuno. Il comandante di tutte le compagnie era il colonnello L.; il vice-comandante incaricato del coordinamento era il tenente-colonnello T..
47. M.P, nato il 13 agosto 1980, ed entrato in servizio il 16 settembre 2000, era granatiere ed era stato destinato al lancio degli ordigni lacrimogeni. Dichiarò che durante le operazioni di mantenimento e di ristabilimento dell’ordine pubblico (MROP), era supposto di spostarsi a piedi col suo plotone. Dopo avere lanciato parecchi ordigni lacrimogeni, aveva avuto gli occhi ed il viso bruciato ed aveva chiesto al capitano C. l’autorizzazione di salire a bordo della jeep condotta da F.C. Poco dopo, un altro carabiniere (D. RANDO) ferito, li aveva raggiunti.
48. M.P. afferma di avere avuto molta paura, a causa di tutto ciò che aveva visto lanciare durante la giornata, e di avere temuto in particolare che i manifestanti lanciassero delle bottiglie Molotov. Poi spiegò che la sua paura era aumentata quando era stato ferito alla gamba con un oggetto metallico ed alla testa con una pietra. Dichiarò di avere percepito la presenza di aggressori in ragione dei lanci di pietre e di avere pensato che le centinaia di manifestanti accerchiavano la jeep”, anche se aggiunse che “al momento dei lanci non c’era nessuno vista.” Precisò di essere stato “in preda al panico.” M.P. descrive il momento dello sparo dicendo che ad un certo momento aveva realizzato che la sua mano aveva agguantato la sua pistola, che aveva fatto uscire la sua mano, tramite il lunotto posteriore della jeep e che dopo circa un minuto aveva esploso due spari. M.P. non diede nessuna precisione in quanto al momento in cui aveva tolto la sicura della sua pistola. Non sostenne di essersi accorto della presenza di C. G. dietro alla jeep, né prima di né dopo avere sparato.
b) Dichiarazione dell’autista (F.C), ascoltato dalla procura il 20 luglio 2001, nei locali del comando dei carabinieri
49. F.C, l’autista, nato il 3 settembre 1977, era in servizio da ventidue mesi. Dichiarò che si era trovato in una viuzza vicino a piazza Alimonda e che aveva cercato di ritornare verso la piazza in retromarcia perché il plotone arretrava sotto la spinta dei manifestanti. Tuttavia, la sua strada era stata bloccata da un cassonetto dei rifiuti che non era riuscito a spostare, avendo appoggiato il motore. Affermò di avere concentrato i suoi sforzi sul modo di svincolare la jeep, mentre i colleghi a bordo del veicolo urlavano. Per questo fatto, non aveva sentito le detonazioni della pistola di M.P. Infine, dichiarò: “Non ho notato persone a terra perché portavo una maschera che mi lasciava solamente un campo visivo parziale, ed anche perché la visione laterale, nell’automobile, non è ottimale. Ho fatto retromarcia e non ho sentito nessuna resistenza; in effetti, ho sentito un soprassalto della ruota sulla sinistra, ho pensato ad un mucchio di detriti dato che il cassonetto dei rifiuti era stato rovesciato; avevo solamente un’idea in testa, quella di allontanarmi da questo disastro.”
c) Dichiarazione del terzo carabiniere (D.R) presente a bordo della jeep al momento dei fatti, ascoltato dalla procura il 21 luglio 2001,
50. D.R che è nato il 25 gennaio 1982, e che effettuava il suo servizio militare (carabiniere di leva) dal 16 marzo 2001, dichiarò che era stato colpito al viso ed alla schiena con le pietre lanciate dai manifestanti e che aveva cominciato a sanguinare. Aveva provato a proteggersi nascondendosi il viso, e M.P. aveva tentato a sua volta di ripararlo facendogli scudo con il suo corpo. In quel momento, non aveva più visto niente, ma aveva sentito le urla ed il rumore dei colpi e degli oggetti che entravano nell’abitacolo della jeep. Aveva ascoltato M.P. urlare agli aggressori di fermarsi e di andarsene, poi due spari appena dopo.
d) La seconda dichiarazione di M.P. alla procura
51. L’ 11 settembre 2001, M.P, interrogato dalla procura, confermò le sue dichiarazioni del 20 luglio 2001 ed aggiunse di avere urlato ai manifestanti “andatevene o io vi uccido! .”
3. Dichiarazioni raccolte durante l’inchiesta
a) Dichiarazioni fatte da altri carabinieri
52. Il maresciallo A. che si trovava nell’altra jeep immobilizzata un momento sulla piazza Alimonda, dichiarò di avere notato che la jeep a bordo della quale si trovava M.P. era immobilizzata da un cassonetto dei rifiuti e che era circondata da un numero importante di manifestanti, “certamente più di venti.” Questi ultimi lanciavano dei proiettili sulla jeep. Il maresciallo aveva visto in particolare che un manifestante aveva lanciato un estintore contro il lunotto posteriore. Dichiarò di avere sentito le detonazioni e di avere visto C. G. crollare. Aveva visto anche la manovra della jeep che era passata due volte sul corpo di C. G.. Una volta che la jeep era riuscita a lasciare piazza Alimonda, si era avvicinato a questa ed aveva visto che F.C, l’autista, era sceso dall’automobile ed aveva chiesto aiuto, visibilmente agitato. Il maresciallo aveva preso il posto dell’autista ed aveva notato che M.P. aveva una pistola in mano; gli aveva ordinato di rimettere la sicura. Dichiarò di avere pensato immediatamente che si trattava dell’arma che aveva appena esploso i due spari ma di non averne parlato a M.P, essendo questo ultimo ferito e sanguinante dalla testa. Il maresciallo affermò che F.C. gli aveva raccontato di avere sentito le detonazioni mentre egli manovrava la jeep. Il maresciallo non raccolse nessuna spiegazione in quanto alle circostanze che avevano portato alla decisione di sparare e non pose nessuna domanda a questo motivo.
53. Il carabiniere R. aveva raggiunto a piedi la jeep in questione. Dichiarò di avere visto l’arma di M.P. fuori dalla sua guaina e di avere chiesto allora a M.P. se avesse sparato. Questo aveva risposto affermativamente, senza precisare se aveva sparato in aria o in direzione di un dato manifestante. Il Sig. R. riferì che M.P. ripeteva senza tregua “volevano uccidermi, non voglio morire.”
54. L’ 11 settembre 2001, la procura ascoltò il capitano C. che era incaricato del comando della compagnia di carabinieri alla quale M.P. era leso durante il G8, e che era posto sotto gli ordini del tenente-colonnello T.. Il Sig. C. dichiarò che aveva autorizzato M.P. a salire nella jeep e che aveva recuperato i lancia-lacrimogeni di questo ultimo perché M.P. era in difficoltà. Precisò ulteriormente, al “processo dei 25”, udienza del 20 settembre 2005 che M.P. era fisicamente inabile ad inseguire il suo servizio in ragione di problemi psicologici e di tensione nervosa. Il Sig. C. si era diretto poi coi suoi uomini-una cinquantina-verso l’angolo di piazza Alimonda e di via Caffa. Il Sig. C. indicò di essere stato pregato dal funzionario di polizia L. di risalire via Caffa in direzione di via Tolemaide per aiutare le forze impegnate laggiù a respingere i manifestanti. Dichiarò di essere stato perplesso di fronte a questa richiesta, visto il numero e lo stato di stanchezza degli uomini a sua disposizione. Tuttavia, il Sig. C. ed i suoi uomini si erano messi in via Caffa. Sotto la spinta dei manifestanti che venivano da via Tolemaide, i carabinieri erano stati costretti ad arretrare; avevano ripiegato da prima in modo ordinato poi in modo disordinato. Il Sig. C. indicò di non avere realizzato che all’epoca del ritiro dei carabinieri due jeep Defender seguivano questi, non avendo la presenza di questi veicoli nessuna “giustificazione funzionale.” Il capitano C. dichiarò inoltre che i manifestanti erano stati dispersi solo grazie all’intervento di squadre mobili della polizia, presenti dall’altro lato di piazza Alimonda, e che allora solamente aveva constatato che un uomo accasciato giaceva a livello del suolo, apparentemente gravemente ferito. Il Sig. C. indicò infine che certi dei suoi uomini portavano un casco attrezzato di videocamere, il che avrebbe permesso di chiarire lo svolgimento dei fatti, e che le registrazioni video erano state date al responsabile del CCIR, il colonnello Leso.
55. Il tenente-colonnello T. dichiarò essersi fermato ad una decina di metri da paizza Alimonda ed a trenta – quaranta metri dalla jeep in questione, ed avere notato che questa passava su un corpo steso a terra.
b) Dichiarazioni del funzionario di polizia L.
56. Il 21 dicembre 2001, il Sig. L. fu sentito dalla procura. Dichiarò che il 20 luglio 2001 si era presentato alle 6 al luogo dove era supposto di prendere in carico due cento uomini, per cominciare il suo servizio. Due ore più tardi, non avendo visto arrivare nessuno, si era informato presso la questura ed aveva appreso che gli ordini di servizio erano stati modificati. Secondo le precisazioni fornite ulteriormente dal Sig. L., udienza del 26 aprile 2005, processo dei 25, questo ultimo era stato informato il 19 luglio che nessun corteo era stato autorizzato per l’indomani. Il 20 luglio non era stato informato del fatto che un corteo autorizzato doveva sfilare. Gli era stato chiesto di recarsi vicino alla fiera e di raggiungere un contingente di cento carabinieri per controllare la zona. Il Sig. L. aveva potuto entrare in contatto col contingente ed il suo capitano – il Sig. C. – solo alle 12 h 30. Si era recato in piazza Tommaseo, dove si svolgevano degli scontri coi manifestanti. Alle 15 h 30, in un momento di calma, il tenente-colonnello T. e le due jeep avevano raggiunto il contingente. Avevano pranzato. Il contingente era stato implicato negli scontri di viale Torino tra le 16 e le 16 h 45. Poi era arrivato a piazza Tommaseo – piazza Alimonda. Il tenente-colonnello T. e le due jeep erano ritornati. Il contingente era stato riorganizzato. Il Sig. L. dichiarò di avere notato, alla fine di via Caffa, un gruppo di manifestanti che avevano formato una barriera coi cassonetti della spazzatura e che avanzavano verso le forze dell’ordine. Il Sig. L. affermò di avere chiesto al Sig. C. se i suoi uomini erano in grado di fare fronte alla situazione e di avere ottenuto una risposta affermativa. Il Sig. L. ed il contingente si erano messi allora vicino a via Caffa. Aveva sentito un ordine di ritiro ed aveva assistito alla ritirata disordinata del contingente.
c) Dichiarazioni concesse alla procura da parte dei manifestanti,
57. Furono anche ascoltati dei manifestanti presenti al momento dei fatti. Alcuni di loro dichiararono di essere stati molto vicino alla jeep, di avere loro stessi lanciato delle pietre e di avere dato sulla jeep dei colpi con l’aiuto di bastoni o di altri oggetti. Uno dei manifestanti dichiarò che M.P. aveva urlato “bastardi, vi ucciderò tutti! .” Un altro si era accorto che M.P, a bordo della jeep, aveva estratto la sua pistola, ed egli aveva urlato allora ai suoi compagni di fare attenzione e si era allontanato. Un altro dichiarò che M.P. si era protetto da un lato con un scudo (paragrafo 23 sopra).
d) Altre dichiarazioni concesse alla procura
58. Alcune persone avendo assistito ai fatti dalle finestre delle loro abitazioni dichiararono di avere visto un manifestante raccogliere un estintore e sollevarlo. Avevano ascoltato due esplosioni ed avevano visto il manifestante crollare.
4. Materiale audiovisivo
59. Durante l’inchiesta, la procura ordinò alle forze dell’ordine di rimetterle il materiale audiovisivo che poteva contribuire alla ricostituzione dei fatti sopraggiunti in piazza Alimonda. Durante le operazioni di mantenimento e di ristabilimento dell’ordine pubblico, delle fotografie e delle registrazioni video erano state realizzate dalle squadre di ripresa, dalle cineprese montate su degli elicotteri e delle mini-cineprese poste sui caschi di alcuni agenti. Peraltro, erano anche disponibili delle immagini di fonti private.
5. Le perizie
a) L’autopsia
60. In ventiquattro ore, la procura ordinò un’autopsia ai fini della determinazione della causa del decesso di C. G.. Il 21 luglio 2001, alle 12 h 10, un parere di autopsia-che precisava che la parte lesa poteva nominare un perito ed un difensore-fu notificato al primo richiedente.
Alle 15 h 15, i Sigg. C. e S., periti della procura, furono investiti formalmente del mandato, e le operazioni di autopsia cominciarono. I richiedenti non mandarono nessun rappresentante né perito nominato da loro.
Il mandato dato ai periti si leggeva così: “I periti devono indicare quale è la causa del decesso di C. G. e di dire se, nei fattori determinanti di questa, sono intervenuti dei fattori esogeni come delle sostanze chimico-tossicologiche. Nell’ipotesi in cui dei colpi di arma da fuoco avrebbero causato la morte, i periti devono precisare il numero di spari, il punto di impatto, la traiettoria seguita nel corpo, la posizione della vittima rispetto al tiratore e, se possibile, la distanza di tiro, ed indicare se prima della ferita mortale vi è stata una lotta mortale.”
61. Finita l’autopsia, il corpo fu messo a disposizione della famiglia di C. G. che desiderava cremarlo. Visto la complessità delle questioni, i periti chiesero alla procura un termine di sessanta giorni per depositare il loro rapporto. La procura fece diritto a questa istanza.
62. Il 23 luglio 2001, la procura autorizzò la cremazione del corpo di C. G. desiderato dalla famiglia.
63. Il rapporto di perizia fu depositato il 6 novembre 2001. I periti rilevarono che C. G. era stato raggiunto sotto l’occhio sinistro da un proiettile e che questo aveva attraversato il cranio ed era uscito dalla parete posteriore sinistra. La traiettoria del proiettile era stata la seguente: tirata da più di cinquanta centimetri di distanza, dalla parte anteriore verso la parte posteriore, da destra verso sinistra, dall’alto verso il basso. C. G. era alto 1,65 m. Il tiratore si trovava di fronte alla vittima, leggermente spostato verso destra. Secondo i periti, lo sparo alla testa era di una gravità tale da aver provocato la morte in alcuni minuti; il passaggio della jeep sul corpo aveva causato solamente delle lesioni minori e non valutabili agli organi toracici ed addominali.
b) Le perizie medico-legali praticate su M.P. e D. R
64. Dopo avere lasciato piazza Alimonda, i tre carabinieri che si erano trovati nella jeep si erano recati ai servizi di emergenza dell’ospedale Galliera, a Genova. M.P. riportava delle contusioni diffuse sulla gamba destra ed un trauma cranico con lesioni aperte; malgrado il parere dei medici che volevano ricoverarlo, M.P. aveva firmato una liberatori e, verso le 21 h 30, aveva lasciato l’ospedale. Soffriva di un trauma cranico, indotto secondo lui da un colpo alla testa dovuto ad un oggetto contundente, colpo ricevuto mentre era a bordo della jeep. Secondo i medici, non si trattava di un stato di salute che poteva mettere M.P. in pericolo di morte.
65. D.R presentava delle contusioni e delle escoriazioni sul naso ed lo zigomo destro, delle contusioni sulla spallottola sinistra ed sul piede sinistro. F.C. aveva segnalato una sindrome psicologica post-traumatica guaribile in quindici giorni.
66. Le perizie medicolegali effettuate per stabilire la natura precisa di queste lesioni ed i legami di queste con l’aggressione subita dagli occupanti della jeep conclusero che le lesioni inflitte a D.R ed a M.P. non avevano messo la loro vita in pericolo. A riguardo di M.P, le lesioni di cui soffriva alla testa avevano potute essere causate da un ciottolo di pietra, ma non si poteva determinare l’origine delle altre lesioni. In quanto a D.R, la lesione che presentava al viso aveva potuto essere causata da un ciottolo di pietra, e quella alla spallottola da un colpo portato con l’aiuto di un’asse .
c) Le perizie balistiche ordinate dalla procura
i. La prima perizia
67. Il 4 settembre 2001, la procura incaricò il Sig. C. di stabilire se i due bossoli ritrovati sui luoghi, uno nella jeep, l’altro ad alcuni metri dal corpo di C. G., provenivano dalla stessa arma, in particolare da quella di M.P. Nel suo rapporto del 5 dicembre 2001, il perito stimava che c’era il 90% di probabilità che il bossolo scoperto nella jeep provenisse dalla pistola Beretta di M.P, mentre c’era solo il 10% di probabilità che quella ritrovato vicino al corpo di C. G. provenisse da questa stessa pistola. Questa perizia fu effettuata unilateralmente in virtù dell’articolo 392 del codice di procedura penale, cioè senza che ci fosse possibilità per la parte lesa di parteciparvi.
ii. La seconda perizia
68. La procura nominò un secondo perito, l’ispettore di polizia B. M.. In un rapporto presentato il 15 gennaio 2002, questo era del parere che c’era il 60% di probabilità che il bossolo ritrovato vicino al corpo della vittima provenisse dall’arma di M.P. Concludeva che i due bossoli provenivano dalla pistola di M.P. In quanto alla distanza tra M.P. e C. G. al momento dell’impatto, stimava che si trovavano tra i 110 e 140 centimetri. Questa perizia fu effettuata unilateralmente.
iii. La terza perizia, collegiale,
69. Il 12 febbraio 2002, la procura ordinò ad un collegio di periti composti da N. B., P. B., P. R. e C. T., “dopo avere visionato il materiale video e fotografico ed le planimetrie versate alla pratica, gli oggetti sequestrati, le perizie già effettuate, per ricostruire, anche sotto forma virtuale, la condotta di M.P. e di C. G. nei momenti che hanno immediatamente preceduto e seguito l’istante in cui la pallottola ha raggiunto il corpo. Si tratta in particolare di determinare la distanza che divideva M.P. e C. G., i rispettivi angoli di vista ed il campo visivo di M.P. dentro alla jeep al momento dei colpi.” Risulta dalla pratica che il Sig. R. aveva fatto comparire un articolo, nel settembre 2001, in una rivista specializzata (TAC Armi) in cui aveva stimato che M.P. aveva agito in stato di legittima difesa.
I periti furono autorizzati a consultare l’insieme della documentazione, del materiale audiovisivo e delle perizie di cui disponeva la procura. I rappresentanti ed i periti dei richiedenti parteciparono agli atti di perizia. Risulta dal verbale che i richiedenti furono rappresentati da V. che dichiarò di volere non formulare un’istanza di incidente probatorio (incidente probatorio).
70. Un sopralluogo sui luoghi fu effettuato il 20 aprile 2002. In questa occasione, un impatto provocato dal secondo sparo fu scoperto sul muro di un edificio di piazza Alimonda, a circa cinque metri di altezza.
71. Il 10 giugno 2002, il rapporto di perizia, intitolato “Studio della dinamica degli avvenimenti che hanno portato al decesso di C. G. attraverso l’analisi delle immagini”, fu depositato alla procura. Questo rapporto aveva per oggetto di determinare la posizione delle due persone riguardate e la distanza tra loro al momento dello sparo, questo al fine di stabilire l’angolo della visuale. I periti precisavano al primo colpo che l’indisponibilità del cadavere di C. G., in ragione della sua cremazione, aveva costituito un importante ostacolo che aveva reso il loro lavoro non esauriente in ragione dell’impossibilità, da una parte, di riesaminare certe parti del corpo e, dall’altra parte, di ricercare delle microtracce .
72. Innanzitutto, sulla base del “poco materiale a disposizione”, i periti tentavano di rispondere alla questione di sapere quale fosse stato l’impatto della pallottola su C. G.. Secondo loro, le lesioni al cranio erano molto gravi ed avevano provocato la morte “dopo poco tempo.” Constatavano poi che la pallottola non era uscita intera della testa di C. G., avendo permesso difatti la scannerizzazione effettuata prima dell’autopsia di identificare un pezzo di metallo opaco che, per il suo aspetto, sembrava essere un frammento di blindato. In quanto all’orifizio di entrata sulla parte di fronte del viso, aveva un aspetto che non suscitava un’interpretazione univoca, piegandosi la sua forma irregolare con la tipologia dei tessuti della zona del corpo raggiunto dalla pallottola in primo luogo. Una spiegazione poteva essere avanzata tuttavia secondo la quale la pallottola non aveva raggiunto direttamente C. G. ma aveva incontrato un oggetto intermedio, capace di deformarla e di rallentarla, prima di raggiungere il corpo della vittima. Questa ipotesi concordava con le dimensioni ridotte dell’orifizio di uscita e col fatto che la pallottola si era frammentata dentro alla testa di C. G..
73. Partendo da questa ipotesi, i periti avevano ricercato poi delle tracce, ed essi affermarono di avere ritrovato un piccolo frammento metallico di piombo, proveniente verosimilmente dalla pallottola. Siccome si era staccato dal passamontagna di C. G. all’epoca della manipolazione di questa, era impossibile sapere se questo frammento proveniva dalla parte anteriore, laterale o posteriore del passamontagna. Ciò dicendo, i periti facevano stato di tracce di una materia non appartenente al proiettile in quanto tale ma proveniente da un materiale utilizzato nella costruzione. Inoltre, dei micro-frammenti di piombo erano stati trovati nella parte anteriore e dietro al passamontagna, ciò che sembrava confermare l’ipotesi secondo la quale la pallottola aveva in parte perso la sua corazza al momento dell’impatto.
In quanto alla natura dell’ “oggetto intermedio”, i periti affermavano che non era possibile stabilire di che oggetto si trattasse ma che si poteva escludere l’estintore che C. G. teneva all’ estremità del braccio.
74. Infine, in quanto alla distanza di tiro, i periti stimavano che era stata superiore a 50-100 centimetri.
75. Per ricostituire i fatti nella cornice dell’ “ipotesi della collisione con un oggetto”, i periti avevano proceduto poi a prove di tiro ed a simulazioni video e di software. Le loro conclusioni erano le seguenti: partendo dal postulato che la pallottola aveva urtato un altro oggetto, non era loro possibile stabilirne la traiettoria, poiché questa era stata modificata certamente dalla collisione. Basandosi su un sequenza video che mostrava una pietra che si disgregava nell’aria e sulla detonazione percepita nella banda suono, i periti stimavano che la pietra era esplosa immediatamente dopo lo sparo.
Sulla base di una simulazione di software, i periti concludevano che la pallottola tirata da M.P verso l’alto aveva colpito C. G. in seguito alla collisione con questa pietra che era stata lanciata da un altro manifestante contro la jeep. I periti stimavano che la distanza tra C. G. e la jeep era di circa 1,75 metri al momento dello sparo e che in questo momento preciso M.P. poteva vedere C. G..
6. Le investigazioni condotte dai richiedenti
76. I richiedenti depositarono una dichiarazione fatta dinnanzi al loro avvocato dal manifestante J.M. in data del 19 febbraio 2002. J.M. aveva dichiarato in particolare che C. G. era ancora vico dopo il passaggio della jeep sul suo corpo e che aveva attirato l’attenzione degli agenti sul ferito ed aveva urlato delle parole come “medico, ospedale….” All’arrivo dei membri delle forze dell’ordine, J.M. si era allontanato.
I richiedenti sottoposero poi una dichiarazione di un carabiniere (V.M) facendo stato di una pratica secondo lui diffusa in seno alle forze dell’ordine, consistente nel modificare i proiettili del tipo di quello utilizzato da M.P. per aumentarne la capacità di espansione e dunque di frammentazione.
77. I richiedenti depositarono infine due rapporti di perizia redatti dai periti che avevano loro stessi nominato. Secondo uno di loro, il Sig. G., la pallottola era già frammentata nel momento in cui aveva raggiunto la vittima. La frammentazione della pallottola poteva spiegarsi con un difetto o con una manipolazione del proiettile tesa ad aumentare la sua capacità di frammentazione. Il perito stimava che ciò si verificava in un numero limitato di casi e che quindi si trattava di un’ipotesi meno probabile che quella emessa dai periti della procura, ossia che la pallottola aveva urtato un oggetto durante la sua traiettoria.
Inoltre, gli altri periti incaricati dai richiedenti di ricostituire lo svolgimento dei fatti esclusero che “la pietra” si era frammentata in seguito ad una collisione con la pallottola tirata da M.P. ; la pietra si era frammentata a loro avviso contro la jeep. Secondo i periti, per potere ricostituire i fatti a partire dal materiale audiovisivo, ed in particolare a partire dalle fotografie, bisognava stabilire necessariamente la posizione precisa del fotografo, in particolare il suo angolo di visione, tenendo anche conto del tipo di materiale (focale, cassa, cinepresa) utilizzato. Inoltre, bisognava mettere in rapporto, da una parte, le immagini ed il tempo, e, dall’altra parte, le immagini ed il suono. Peraltro, i periti contestarono il metodo dei periti incaricati dalla procura che si era basato su un “simulazione video e di software” e non avevano analizzato le immagini disponibili con rigore e precisione. Delle critiche simili furono formulate a riguardo di questi stessi periti, al motivo che non avevano seguito un metodo affidabile all’epoca delle prove di tiro.
78. I periti dei richiedenti conclusero che C. G. si trovava a circa tre metri della jeep al momento dello sparo e che, se non si poteva negare che la pallottola omicida era frammentata quando aveva raggiunto C. G., si doveva escludere che avesse urtato la pietra visibile sull’immagine, in particolare perché una pietra avrebbe deformato differentemente la pallottola ed avrebbe lasciato un altro tipo di tracce sul corpo di C. G.. In più, M.P. non aveva tirato verso l’alto.
7. L’istanza di archiviazione senza seguito
79. A titolo preliminare, la procura osservò che l’organizzazione delle operazioni di mantenimento e di ristabilimento dell’ordine pubblico era stata modificata profondamente nella notte dal 19 al 20 luglio 2001, e considerò che ciò spiegava una parte delle disfunzioni sopraggiunte il 20 luglio. Non enumerò tuttavia le modifiche e le disfunzioni derivanti.
Sulla base degli elementi della pratica, la procura ricostituì i fatti che avevano preceduto la morte di C. G.. In quanto all’iniziativa di appostarsi in via Caffa per bloccare in via Tolemaide i manifestanti presenti, la procura prese nota del fatto che la versione dei fatti presentati dal Sig. L. divergeva in parte da quella del capitano C.: mentre il Sig. L. parlava di una decisione presa di comune accordo, il capitano C. sosteneva che gli uomini erano stati appostati su decisione unilaterale del Sig. L., e questo malgrado i rischi che poteva comportare tale decisione, numero ridotto e stanchezza degli uomini del distaccamento.
80. La procura esaminò poi i rapporti di perizia e rilevò che i differenti periti si accordavano in particolare sul fatto che la pistola di M.P. aveva tirato due pallottole di cui la prima aveva portato un colpo mortale a C. G.; che la pallottola in causa non si era frammentata unicamente perché aveva raggiunto C. G.; che la fotografia che mostra C. G. che porta l’estintore era stata presa mentre era a circa a tre metri della jeep.
I periti avevano in compenso, delle opinioni divergenti in particolare sui seguenti punti:
a) nel momento in cui era stato raggiunto, C. G. era a 1,75 metri dalla jeep secondo i periti della procura, ma a circa 3 metri per i periti del famiglia G.;
b) concernente il divario tra le immagini della pietra ed il rumore dell’esplosione: per i periti del famiglia G., il colpo era partito prima che si potesse vedere la pietra, mentre i periti della procura pensavano il contrario.
81. Dato che le parti si accordavano nel dire che la pallottola era frammentata già quando aveva raggiunto la vittima, la procura ne dedusse che le parti erano anche d’i accordo sulle cause di questa frammentazione e che i richiedenti aderivano alla “teoria della pallottola deviata da un oggetto solido.” Il passaggio pertinente dell’istanza di archiviazione si legge così:
“I punti che non sono oggetto di nessuna contestazione sostanziale sono indicati schematicamente qui di seguito:
(…)
Prima di toccare G., la pallottola ha incontrato sulla sua traiettoria un oggetto che ne ha causato la frammentazione parziale.
La nota in basso alla pagina dice: Alla pagina 13 del rapporto di perizia del 10.06.02, il perito, il Sig. T., afferma: “In breve, tutti gli elementi di cui disponiamo indicano che la pallottola, prima di raggiungere il viso di C. G., è entrata in contatto con un oggetto duro (bersaglio intermedio) capace di rallentarne la traiettoria in modo significativa, di danneggiarne la corazza, favorendo così la sua disgregazione, e di lasciare delle tracce sul nocciolo di piombo.” Il perito della famiglia GG., il Sig. G., afferma in quanto a lui, alla pagina 2 del suo rapporto di perizia depositata il 09.08.02: “Possiamo aderire al parere del professore T. solamente secondo che un proiettile di tale calibro, conforme all’attrezzatura NATO, non avrebbe potuto (la negazione è stata aggiunta il 5.10.02 dalla mano del Sig. G., durante il confronto tra i periti) essere frammentato in seguito ad un solo impatto finale con la vittima”.
Le altre ipotesi suscettibili di spiegare la frammentazione della pallottola che erano state avanzate dai richiedenti – come una manipolazione della pallottola tesa ad aumentare la sua capacità di frammentarsi o un difetto di fabbricazione-erano considerate dai richiedenti stessi come “molto più improbabili.” Per la loro più di debole probabilità, queste ipotesi non potevano secondo la procura fornire una spiegazione valida.
82. Prima di passare alle considerazioni giuridiche, la procura osservò che l’inchiesta era stata lunga, in particolare in ragione del ritardo di alcuni periti e della “superficialità” del rapporto di autopsia, così come degli errori commessi dal Sig. C., uno dei periti. Poi, stimò che l’inchiesta era stata condotta a termine e che ogni questione pertinente era stata approfondita. In conclusione, la procura giudicò che l’ipotesi della pallottola tirata verso l’alto e deviata da una pietra lanciata nell’aria era più convincente.” Tuttavia, considerò che gli elementi della pratica non permettevano di determinare se M.P. aveva tirato nella sola intenzione di disperdere i manifestanti o assumendosi il rischio di ferirne o di ucciderne uno o parecchi. Tre ipotesi furono considerate, e non ci sarebbe mai stata una risposta certa”:
-nel primo caso, si trattava di tiri di intimidazione e dunque di un omicidio che risulta da una mancanza;
-nel secondo caso, M.P. aveva tirato per arrestare l’aggressione ed aveva assunto il rischio di uccidere in quale caso ci sarebbe stato omicidio volontario;
-nel terzo caso, M.P. aveva mirati a C. G. e si trattava anche di un omicidio volontario.
Secondo la procura, gli elementi della pratica permettevano di escludere la terza ipotesi.
83. La procura considerò poi che la collisione tra la pietre e la pallottola non era di natura tale da rompere il legame di causalità tra i comportamenti di M.P. e la morte di C. G.. Il legame di causalità rimaneva, essendo la questione di sapere se M.P. aveva agito in stato di legittima difesa.
84. Agli occhi della procura, era accertato che l’integrità fisica degli occupanti della jeep era minacciata e che M.P. “aveva risposto” mentre era in pericolo. Detto ciò, bisognava valutare la risposta di M.P, tanto dal punto di vista della necessità che della proporzionalità, “essendo questo ultimo aspetto il più delicato”.
In quanto alla questione di sapere se M.P. aveva un’altra opzione e se ci si poteva aspettare che si comportasse diversamente, la procura rispose negativamente avanzando le seguenti ragioni: “la jeep era accerchiata dai manifestanti, l’aggressione fisica contro gli occupanti era evidente e violenta.” Era a buon diritto che M.P. aveva avuto il sentimento di essere in pericolo di morte. La pistola era un strumento capace di fermare l’aggressione, ed non si poteva criticare M.P. in quanto alla scelta dell’attrezzatura che si gli era stata fornita. Da un punto di vista giuridico, non si poteva esigere da M.P. che evitasse di utilizzare la sua arma da fuoco e subisse un’aggressione suscettibile di minacciare la sua integrità fisica.
85. Alla luce di queste considerazioni, la procura chiese l’archiviazione senza seguito della causa.
8. L’opposizione dei richiedenti
86. Il 10 dicembre 2002, i richiedenti fecero opposizione all’istanza di archiviazione senza seguito. Appellandosi al fatto che la procura stessa aveva riconosciuto che l’inchiesta era stata caratterizzata da errori e a dubbi che non avevano trovato risposte certe, sostenevano che i dibattimenti contraddittori erano indispensabili alla ricerca della verità.
87. In quanto a M.P, i richiedenti contestavano la tesi della pallottola deviata dalla pietra ed adducevano che non si poteva affermare al tempo stesso che M.P. avesse sparato in aria e che avesse agito in stato di legittima difesa, tanto più che l’interessato aveva dichiarato di non avere visto C. G. al momento dello sparo.
I richiedenti facevano notare poi che la tesi della pallottola deviata da un oggetto era stata emessa un anno dopo i fatti da un perito nominato dalla procura e che si basava su una semplice ipotesi non corroborata da elementi obiettivi. Il perito dei richiedenti aveva stimato che una collisione con una pietra avrebbe deformato la pallottola in un altro modo. Inoltre, i richiedenti si riferivano alla dichiarazione che faceva stato della pratica che consisteva nel modificare le pallottole per aumentarne la capacità di espansione e dunque di frammentazione.
88. A riguardo di F.C, i richiedenti facevano osservare che risultava dalla pratica che C. G. era ancora vivo dopo il passaggio della jeep sul suo corpo. A questo riguardo, sottolineavano che l’autopsia che aveva concluso alla mancanza di lesioni apprezzabili provocate dal passaggio della jeep era stata qualificata come superficiale dalla procura.
89. Alla luce di queste considerazioni, e criticando la scelta di affidare parecchi atti ai carabinieri dell’ inchiesta, i richiedenti insistevano affinché un processo avesse luogo, al fine della determinazione delle responsabilità in quanto al decesso di C. G..
90. A titolo accessorio, i richiedenti chiedevano il compimento di altri atti di inchiesta, in particolare:
a) una perizia tesa a stabilire le cause ed il momento del decesso di C. G., in particolare per sapere se questo era ancora vivo durante e dopo il passaggio della jeep;
b) un ascolto del capo della polizia, Sig. D. G., e del carabiniere Z., per sapere quali direttive erano state date in quanto al porto dell’arma sulla coscia;
c) la ricerca e l’identificazione della persona che aveva lanciato la pietra in causa;
d) un secondo ascolto dei manifestanti che si erano presentati spontaneamente;
e) l’ascolto del carabiniere V.M che aveva fatto stato della pratica che consisteva nell’ incidere la punta dei proiettili per dare loro un migliore effetto;
f) una perizia sui bossoli ritrovati e sulle armi di tutti i poliziotti o dei carabinieri che si trovavano in piazza Alimonda al momento dei fatti.
9. L’udienza dinnanzi al giudice delle investigazioni preliminari
91. L’udienza dinnanzi al giudice delle investigazioni preliminari ebbe luogo il 17 aprile 2003. Risulta dal resoconto di udienza che i richiedenti mantennero la loro tesi secondo cui la pallottola in causa non si era frammentata in seguito ad una collisione con la pietra. Esclusero la possibilità che la pallottola fosse stata deviata e sostennero che questa aveva raggiunto direttamente la vittima. V., il rappresentante dei richiedenti all’udienza, dichiarò in quanto all’ipotesi secondo cui era stato possibile modificare il proiettile per renderlo di più alto rendimento, seguendo la pratica riferita da un testimone: “evidentemente non abbiamo prove, si tratta di una testimonianza che si è prodotta per avanzare differenti ipotesi. Certamente, non possiamo affermare, e noi non lo pretendiamo che M.P. ha fatto questo.”
92. Il procuratore presente all’udienza dichiarò che aveva l’impressione che “certe questioni di cui [aveva] creduto che erano l’oggetto di una convergenza, non lo erano [che] c’[erano] al contrario delle divergenze.” Ricordò che il perito dei richiedenti, il Sig. G., era d’ accordo sul fatto che il proiettile era stato danneggiato prima di raggiungere C. G. e che aveva riconosciuto che, tra le cause possibili del danno c’era una collisione con qualcosa o un difetto intrinseco del proiettile, e che questa seconda ipotesi era meno probabile della prima.
10. La decisione del giudice delle investigazioni preliminari
93. Con un’ordinanza depositata alla cancelleria il 5 maggio 2003, il giudice delle investigazioni preliminari di Genova archiviò la causa senza seguito.
94. Per ricostituire i fatti, il giudice fece riferimento ad un riassunto dei fatti stabiliti da un anonimo e messo in bella copia da un sito anarchico (www.anarchy99.net), riassunto che il giudico stimava credibile tenuto conto della sua concordanza col materiale audiovisivo e le dichiarazioni di testimoni:
“[ è] particolarmente interessante dedicarsi sulla descrizione, versata alla pratica, che un partecipante anonimo alle manifestazioni aveva messo in linea su un sito Internet che può essere collegato agli anarchici francesi (www.anarchy99.net); dà un resoconto preciso e cer

Testo Tradotto

Conclusion Non-violations de l’art. 2 (volet matériel) ; Violation de l’art. 2 (volet procédural) ; Non-violation de l’art. 38 ; Préjudice moral – réparation
QUATRIÈME SECTION
AFFAIRE GIULIANI et GAGGIO c. ITALIE
(Requête no 23458/02)
ARRÊT
STRASBOURG
25 août 2009
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Giuliani et Gaggio c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (quatrième section), siégeant en une chambre composée de :
Nicolas Bratza, président,
Josep Casadevall,
Lech Garlicki
Giovanni Bonello,
Vladimiro Zagrebelsky,
Ljiljana Mijović,
Ján Šikuta, juges,
et de Lawrence Early, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 26 juin 2008 et
le 18 juin 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette dernière date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 23458/02) dirigée contre la République italienne et dont trois ressortissants de cet Etat, M. G. G., Mme A. G. (épouse G.) et Mme E. G. (« les requérants »), ont saisi la Cour le 18 juin 2002 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérants ont été représentés par Mes N. P. et G. P., avocats à Rome. Les requérants sont respectivement le père, la mère et la sœur de C. G.. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, E. Spatafora, et par son coagent, F. Crisafulli.
3. Les requérants alléguaient en particulier que C. G. était décédé en raison d’un recours excessif à la force publique.
4. Une audience consacrée à la fois aux questions de recevabilité et à celles de fond (article 54 § 3 du règlement) s’est déroulée en public au Palais des droits de l’homme, à Strasbourg, le 5 décembre 2006 (article 59 § 3 du règlement).
Ont comparu :
– pour le Gouvernement
M. F. Crisafulli, coagent ;
– pour les requérants
M. N. P.,
Mme A. M.,
Mme G. P., avocats au barreau de Rome conseils.
5. Par une décision du 6 février 2007, la chambre a déclaré la requête recevable.
6. Tant les requérants que le Gouvernement ont déposé des observations écrites complémentaires (article 59 § 1 du règlement). Les parties ont chacune soumis des commentaires écrits sur les observations de l’autre.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
7. Les requérants sont nés respectivement en 1938, 1944 et 1972 et résident à Gênes et à Milan.
A. Le contexte dans lequel s’est déroulé le G8 à Gênes et les circonstances ayant précédé le décès de C. G.
8. Les 19, 20 et 21 juillet 2001 se déroula à Gênes le sommet dit du « G8 ». De nombreuses manifestations « antimondialistes » furent organisées dans la ville et un important dispositif de sécurité fut mis en place par les autorités italiennes. La loi no 349 du 8 juin 2000 autorisait le préfet de Gênes à recourir au personnel des forces armées. En outre, une « zone rouge » avait été délimitée à l’aide d’un filet métallique dans la partie de la ville concernée par les réunions du G8 (à savoir le centre historique de la ville). De la sorte, seuls les riverains et les personnes qui devaient y travailler pouvaient y accéder. L’accès au port avait été interdit et l’aéroport fermé au trafic. La zone rouge était enclavée dans une zone jaune qui, à son tour, était entourée d’une zone blanche (zone normale).
9. Concernant les ordres écrits du commandant des forces de l’ordre, responsable du maintien et du rétablissement de l’ordre public, le Gouvernement a soumis à la Cour des ordres de service datés des 14, 17 et 19 juillet 2001. Chacun de ces ordres de service commence par la phrase : « la présente modifie et complète comme suit l’ordonnance de service no 2143/R du 12 juillet relative aux services d’ordre et de sûreté prévus à l’occasion du sommet du G8 qui se tiendra à Gênes du 20 au 22 juillet ». Cette ordonnance du 12 juillet n’a pas été fournie à la Cour.
10. L’ordre de service du 19 juillet 2001 est celui de la veille des faits. Il résume ainsi les priorités des forces de l’ordre : mettre en place à l’intérieur de la « zone rouge » une ligne de défense permettant de repousser rapidement toute tentative d’intrusion ; mettre en place dans la « zone jaune » une ligne de défense pour pouvoir faire face à toute action, compte tenu de la position des manifestants en différents endroits ainsi que des actions provenant d’éléments plus extrémistes ; enfin, prendre des mesures d’ordre public sur les axes touchés par les manifestations, eu égard au danger d’agressions favorisé par les effets de masse.
11. Les parties s’accordent sur le fait que l’ordre de service du 19 juillet 2001 a modifié les plans établis jusque-là quant à la manière de déployer les ressources et les moyens disponibles, afin que les forces de l’ordre puissent contrer efficacement toute tentative d’intrusion dans la zone rouge de personnes participant à la manifestation des « Tute bianche » (les combinaisons blanches), annoncée et autorisée pour le lendemain.
S’appuyant sur des témoignages livrés dans le cadre d’une procédure pénale diligentée à l’encontre de vingt-cinq manifestants (voir, ci-dessous, le « procès des 25 »), les requérants ont indiqué que l’ordre de service du 19 juillet avait affecté le peloton de carabiniers en cause à une fonction dynamique alors qu’auparavant il était censé être statique.
Quant à la manière dont ces instructions ont été diffusées, le Gouvernement a indiqué que les ordres donnés et reçus par les officiers sur le terrain ont été transmis oralement. Les requérants, quant à eux, se réfèrent aux témoignages recueillis par le parquet et également dans le cadre du « procès des 25 », notamment auprès de M. L. (paragraphe 56 ci-dessous).
12. Les parties s’accordent à dire qu’un système de communication radio a été mis en place, avec une centrale opérationnelle située auprès de la questura (bureaux de la police), et que cette centrale était en contact radio avec les forces présentes sur le terrain. Les carabiniers et les policiers ne pouvaient pas communiquer directement entre eux par radio ; ils ne pouvaient joindre que la centrale opérationnelle.
13. Il ressort du jugement rendu dans le « procès des 25 » (voir ci-dessous), versé au dossier, qu’avant le début du G8 il y avait eu des moments de tension : le 16 juillet, une bombe avait été envoyée aux carabiniers. Le 17 juillet, un fourgon contenant un engin explosif avait été découvert près du stade Carlini, le lieu qui allait héberger les manifestants qui participeraient à la grande manifestation du 20 juillet (le cortège des « Tute bianche »). Le 18 juillet, les forces de l’ordre se rendirent au stade Carlini pour effectuer des contrôles. Environ 500 manifestants étaient sur place. L’inspection dura environ une heure et eut lieu en présence de journalistes. Les manifestants présentaient des « moyens de défense individuels », à savoir des boucliers en plexiglas et des vêtements pouvant absorber d’éventuels chocs avec les forces de l’ordre.
14. Le même jugement fait état de ce que, le matin du 20 juillet, des groupes de manifestants particulièrement agressifs, cagoulés et masqués (les « black blocks ») provoquèrent de nombreux incidents et accrochages avec les forces de l’ordre. Vers 13 h 30, le cortège des « Tute bianche » était prêt à défiler. Le départ était prévu au stade Carlini. Il s’agissait d’une manifestation regroupant plusieurs organisations : des représentants du mouvement « no global », des centres sociaux, des jeunes communistes du Parti « Rifondazione comunista ». Ils croyaient en la contestation non violente (désobéissance civile) mais avaient annoncé un objectif politique : tenter de franchir la limite de la zone rouge. C’est pourquoi à la date du 19 juillet 2001 le questore de Gênes avait interdit au cortège des « Tute bianche » de pénétrer dans la zone rouge ou dans celle adjacente et avait déployé les forces de l’ordre de manière à arrêter le cortège au niveau de la place Verdi. Le cortège pouvait donc défiler entre le stade Carlini et toute la longueur de la rue Tolemaide, jusqu’à la place Verdi, soit bien au-delà du croisement entre cette rue et le boulevard Torino, croisement où se déroulèrent les faits dont il est question ci-après. Vers 13 h 30, le cortège se mit en route et avança lentement vers l’ouest. Pendant la descente, les manifestants apparurent tranquilles et joyeux, du moins jusqu’au moment où ils remarquèrent des colonnes de fumée dans la direction de la rue Canevari et une voiture complètement brûlée rue Montevideo, ce qui engendra une certaine tension. Dans le secteur de la rue Tolemaide, il y avait des traces de désordres antérieurs. Un groupe de contact composé de politiciens et un groupe de journalistes munis de caméras ou d’appareils photo marchaient en tête du cortège. Ce dernier ralentit et marqua plusieurs arrêts. Plus bas, dans la zone de la rue Tolemaide, des incidents opposèrent des personnes masquées et cagoulées aux forces de l’ordre. Le cortège atteignit le tunnel de la voie ferrée, au croisement du boulevard Torino. Soudain, des engins lacrymogènes furent lancés sur le cortège par des carabiniers placés sous les ordres de M. M..
15. M. M., commandant de la compagnie des carabiniers Alpha, avait fait savoir à sa centrale que sa radio pouvait seulement recevoir les communications et qu’il ne disposait pas d’un guide de Gênes connaissant bien les rues. Il se trouvait place Tommaseo avec deux cents carabiniers. Ceux-ci étaient équipés de la nouvelle matraque Tonfa, d’un bouclier, de nouveaux engins lacrymogènes CS et de lanceurs, ainsi que d’une combinaison ignifugée et d’équipements anti-incendie. A 14 h 29, la centrale radio ordonna à M. M. de se rendre rapidement place Giusti, car le cortège des « Tute bianche » était en train de descendre le boulevard Gastaldi. M. M. accepta. Il avait trois itinéraires possibles pour se rendre à son point de destination, mais il choisit celui qui l’exposait au risque de croiser le cortège des « Tute bianche », c’est-à-dire l’itinéraire passant par la rue d’Invrea et croisant le boulevard Torino. Quelques minutes avant 15 heures, s’étant retrouvés sur le chemin des manifestants, les carabiniers attaquèrent le cortège des « Tute bianche », en utilisant d’abord des gaz lacrymogènes puis en avançant et en usant de leurs matraques. Le cortège fut repoussé vers l’est (au croisement avec la rue Casaregis). L’assaut dura environ deux minutes. Il n’avait été ordonné ni par la centrale opérationnelle des carabiniers ni par la personne ayant la compétence nécessaire. Les carabiniers repoussèrent les manifestants jusqu’au croisement avec la rue d’Invrea. A cet endroit, ces derniers se divisèrent : certains se dirigèrent vers la mer, d’autres cherchèrent un abri rue d’Invrea, puis dans le secteur de la place Alimonda. Des manifestants réagirent, trouvèrent des objets pouvant être utilisés comme des objets contondants, tels que des bouteilles en verre ou des conteneurs à déchets, et commencèrent à les lancer vers les forces de l’ordre. Des blindés de carabiniers parcoururent à grande vitesse la rue Casaregis et la rue d’Invrea, défonçant les barricades mises en place par les manifestants à l’aide de conteneurs et provoquant l’éloignement des manifestants présents sur les lieux. A 15 h 22 mn 52 s, la centrale opérationnelle ordonna à M. M. de se déplacer et de laisser passer le cortège des « Tute bianche ». L’assaut terminé, les carabiniers se retirèrent rue Casaregis puis rue d’Invrea, en direction du nord, puis suivirent la rue Tolemaide, vers l’ouest.
16. Certains manifestants organisèrent une riposte violente et des accrochages avec les forces de l’ordre. Vers 15 h 40, un groupe de manifestants attaqua un fourgon blindé des carabiniers et l’incendia par la suite.
17. Vers 17 heures, la présence d’un groupe de manifestants semblant très agressifs fut remarquée notamment par le bataillon Sicilia, composé d’une cinquantaine de carabiniers postés près de la place Alimonda.
18. Le fonctionnaire de police L. ordonna auxdits carabiniers de charger les manifestants. A pied et suivis par deux jeeps Defender, les carabiniers chargèrent.
19. Peu après, les manifestants parvinrent toutefois à repousser l’attaque des forces de l’ordre : les carabiniers se replièrent de manière désordonnée à proximité de la place Alimonda, laissant sans protection les deux jeeps Defender qui se trouvaient en queue de dispositif (le parquet, dans sa demande de classement sans suite de l’affaire, décrit ceci comme « ripiegamento disordinato che lascia scoperti i due defender che si trovano alle spalle del reparto »). Les images prises par hélicoptère montrent les manifestants qui avancent rue Caffa, à 17 h 23, en courant après les forces de l’ordre.
B. Le décès de C. G.
20. Les deux jeeps en question se bloquèrent réciproquement place Alimonda. Alors que l’une d’elle réussissait finalement à s’éloigner, l’autre, en raison d’une fausse manœuvre du conducteur, resta immobilisée place Alimonda, bloquée par un conteneur à déchets renversé.
21. La jeep fut rejointe par un groupe de manifestants armés de pierres, de bâtons et de barres de fer. Les vitres latérales arrière et la lunette arrière de la jeep furent brisées. Les manifestants hurlèrent des injures et des menaces à l’encontre des occupants de la jeep et lancèrent des pierres vers le véhicule.
22. A bord de la jeep se trouvaient trois carabiniers : M. P., F. C. et D. R.e.
23. L’un d’eux, M. P. (ci-après « M.P. »), était un grenadier âgé de vingt ans. Intoxiqué par les grenades lacrymogènes qu’il avait lancées lors d’accrochages antérieurs, il avait été autorisé par le capitaine C. (commandant de la compagnie ECHO, au sein du CCIR – « contingente di contenzione e intervento risolutivo ») à monter dans la jeep pour s’éloigner des lieux du précédent affrontement. Accroupi à l’arrière de la jeep, blessé, paniqué, se protégeant d’un côté avec un bouclier (selon la déclaration du manifestant P.), hurlant aux manifestants de s’en aller, « sinon il les tuerait », M.P. dégaina son Beretta 9 mm, le pointa en direction de la lunette arrière brisée du véhicule et, après quelques dizaines de secondes, tira deux coups de feu.
24. Le premier coup de feu atteignit C. G. au visage, sous l’œil gauche, et le blessa grièvement, alors qu’il se trouvait à quelques mètres tout au plus de l’arrière de la jeep et venait de ramasser un extincteur vide. C. G. s’écroula à proximité de la roue arrière gauche du véhicule.
25. Peu après, F. C. (ci-après « F.C. »), le chauffeur, réussit à redémarrer et, dans le but de se dégager, fit marche arrière, roulant ainsi sur le corps de C. G.. Il passa ensuite la première vitesse et roula une deuxième fois sur le corps de C. G. en quittant les lieux. La jeep se dirigea alors vers la place Tommaseo.
26. Après « quelques mètres », le maréchal des carabiniers A. monta à bord de la jeep et se mit au volant, « le chauffeur étant en état de choc ». Le carabinier R. monta également dans le véhicule.
27. Après le départ de la jeep, J.M., un manifestant, s’approcha de C. G. et observa que celui-ci perdait beaucoup de son sang, qui giclait d’un orifice situé près de l’œil gauche, et constata que « le pouls de C. G. était très rapide et faible ». Quelques instants plus tard, après l’arrivée de plusieurs carabiniers et policiers, J.M. s’éloigna de C. G..
28. Des forces de police qui stationnaient de l’autre côté de la place Alimonda intervinrent et dispersèrent les manifestants (selon la déclaration du capitaine C.). Elles furent rejointes par des carabiniers.
29. A 17 h27 mn 25 s, un policier présent sur les lieux appela la centrale opérationnelle pour demander une ambulance. Par la suite, un médecin arrivé sur place constata le décès de C. G..
1. Les indications fournies par les parties quant aux moments ayant précédé la mort de C. G.
30. Les moments ayant précédé la mort de C. G. ont été reconstitués comme suit dans la note du ministère de l’Intérieur versée au dossier par le Gouvernement :
« A 6 heures, le secteur reçut l’ordre de service et trois pelotons se placèrent à proximité de la questura. Après quelques heures, le contingent fut dissous ; deux pelotons restèrent.
Vers la fin de la matinée, le contingent fut envoyé place Tommaseo, où il arriva alors que les affrontements avec les manifestants étaient terminés. Le fonctionnaire de police L. prit le commandement du contingent.
Les effectifs furent placés rue Rimassa, à proximité des jardins King, et se trouvèrent exposés à des jets d’objets divers. A partir de 15 heures, le contingent, qui suivait les manifestants, parcourut la rue Ivrea et arriva place Alimonda, où la situation était relativement calme ; le contingent fut donc réorganisé. Les carabiniers présents étaient une cinquantaine environ.
Les deux jeeps Defender utilisées pour assurer la liaison entre les contingents étaient sur place. Le fonctionnaire de police L. et le capitaine C. décidèrent de disposer le contingent rue Caffa, en direction de la rue Tolemaide, pour faire face à un groupe de manifestants qui avait érigé une barricade en utilisant des conteneurs à déchets. Les carabiniers firent l’objet d’une intense série de jets de pierres et de bouteilles. Craignant d’être rejoints par d’autres manifestants venant de la rue Odessa, les carabiniers se replièrent à pied, laissant à découvert les deux jeeps qui se trouvaient derrière le contingent.
Dans l’agitation du moment, les chauffeurs des deux jeeps essayèrent de se replier au plus vite, en marche arrière, vers la place Tommaseo. Dans leur tentative pour faire demi-tour, les jeeps se firent obstacle l’une l’autre ; celle conduite par F. C. (F.C.) ne parvint pas à terminer sa manœuvre et se retrouva bloquée à l’avant pas un conteneur à déchets. Quelques instants plus tard, elle fut rejointe par des manifestants venus de la rue Tolemaide et de la rue Odessa. ».
31. S’appuyant entre autres sur des témoignages livrés par des membres des forces de l’ordre au cours du « procès des 25 », les requérants décrivent ainsi les circonstances de la mort de C. G. :
« Le cortège des « Tute bianche » (combinaisons blanches) arriva rue Tolemaide vers 14 h 50. A 14 h 53, les forces de l’ordre (la compagnie des carabiniers issus du bataillon Lombardia) l’attaquèrent. Les assauts se répétèrent huit fois et furent menés à l’aide de dix-neuf blindés, d’autopompes, d’engins lacrymogènes, de matraques. La dernière attaque eut lieu à 17 h 15.
Entre-temps, la compagnie ECHO – qui avait aidé le bataillon Lombardia dans quelques-uns des assauts – s’était positionnée place Alimonda-rue Caffa et était aux ordres du fonctionnaire de police L.. Deux jeeps Defender la rejoignirent. Les carabiniers purent enlever leurs masques à gaz, manger et se reposer.
Au même moment, la police, aux ordres du fonctionnaire de police F., était positionnée rue Caffa.
Dans ce contexte calme, le capitaine C. ordonna à M.P. et à D.R. de monter à bord de l’une des deux jeeps. Il jugeait opportun de faire monter les deux carabiniers, ceux-ci étant psychologiquement « à plat » (« a terra ») et ne remplissant plus les conditions physiques pour être en service. Estimant en outre que M.P. devait cesser de lancer des engins lacrymogènes, il lui enleva son lance-lacrymogènes ainsi que la besace contenant les engins.
A 17 h 20, la compagnie ECHO, composée à ce moment-là d’une centaine d’hommes, exécuta l’ordre du fonctionnaire de police L., remit les masques à gaz, les boucliers et se mit en marche rue Caffa vers la rue Tolemaide. Il fut décidé d’attaquer le cortège, en la présence du lieutenant colonel T.. Les deux jeeps suivaient le peloton. Plusieurs conteneurs à déchets servaient de barrière aux manifestants. La compagnie ECHO commença sa retraite en suivant la rue Caffa, vers la place Alimonda. La retraite fut accompagnée par les deux jeeps roulant en marche arrière. Environ soixante-dix manifestants suivirent les carabiniers. Arrivée place Alimonda, la jeep dans laquelle se trouvait M.P. rencontra sur son chemin un conteneur à déchets, qui arrêta son parcours. Des manifestants jetèrent contre le véhicule des pierres puis un extincteur, qui retomba par terre.
C. G. se dirigea vers un extincteur gisant au sol. A ce moment-là, un carabinier présent dans la jeep avait déjà un pistolet en main et était prêt à tirer. C. G. prit l’extincteur et le souleva. Il était 17 h 27. Il fut atteint au même moment par la balle mortelle. »
32. S’agissant du pistolet, les requérants renvoient aux photographies versées au dossier de l’enquête et soulignent que l’arme était tenue horizontalement et vers le bas.
33. Le ministère de l’Intérieur a affirmé qu’il était impossible d’indiquer le nombre précis de carabiniers et de policiers se trouvant sur les lieux au moment du décès de C. G. ; il y avait approximativement cinquante carabiniers, à une distance de 150 mètres de la jeep. En outre, à 200 mètres, à hauteur de la place Tommaseo, il y avait un groupe de policiers (reparto mobile della polizia di stato).
34. Les requérants renvoient quant à eux aux déclarations du lieutenant colonel T. (voir ci-dessous), qui a affirmé s’être trouvé à une dizaine de mètres de la place Alimonda et à trente-quarante mètres de la jeep. A quelques dizaines de mètres de la jeep se trouvaient les carabiniers (une centaine). Les policiers étaient à la fin de la rue Caffa, vers la place Tommaseo. Les requérants rappellent en outre que les photographies versées au dossier de l’enquête montrent clairement la présence de carabiniers à quelques mètres de la jeep en question.
2. Les indications des requérants quant aux instants ayant suivi immédiatement le départ de la jeep
35. Un film soumis par les requérants et basé sur des images versées au dossier de l’enquête montre plusieurs personnes et des membres des forces de l’ordre qui s’approchent du corps de la victime. Près de la tête de la victime, une pierre souillée de sang qui n’apparaît pas au début de la séquence mais est visible à la fin. De plus, un policier présent près du corps de C. G. (M. L.) montre du doigt un manifestant et hurle « sei stato tu, sei stato tu ! » (« c’est toi ! c’est toi ! »), après quoi des membres des forces de l’ordre se lancent à la poursuite de l’homme en question pour le rattraper, mais en vain.
36. Le carabinier C., qui a témoigné au « procès des 25 » (audience du 20 septembre 2005), a indiqué qu’une jeune femme s’était approchée du corps de C. G. et avait soulevé la cagoule qu’il portait. Une blessure en forme d’étoile était visible sur le front de la victime. La jeune fille avait déclaré que C. G. était mort et qu’à son avis ce n’était pas à cause d’un coup de pierre. Deux minutes environ après que cette phrase avait été prononcée, M. L. s’était livré à ce que M. C. qualifiait d’« épanchement » et qui avait été montré à la télévision.
C. L’enquête menée par les autorités nationales
1. Les premiers actes d’enquête
37. La brigade mobile de la police de la province de Gênes- 3e section- infractions contre les personnes- se rendit sur place vers 18 heures. Il ressort du rapport établi par Mme B., fonctionnaire de police appartenant à la brigade mobile de la police de Gênes, que vers 18 heures celle-ci se rendit place Alimonda avec deux autres fonctionnaires de police, la centrale opérationnelle ayant signalé le décès d’un jeune homme. Elle trouva le corps de la victime recouvert d’un drap. Dans la mesure du possible, elle circonscrivit les lieux (c’est-à-dire ferma la place Alimonda au public) pour permettre à la police scientifique d’effectuer les relevés. Le visage de la victime était découvert, la cagoule se trouvant derrière la tête. Les policiers F. et M. furent entendus (paragraphes 41-42 ci-dessous).
38. Une douille fut découverte à quelques mètres du corps de C. G.. Aucune balle ne fut trouvée. A côté du corps furent récupérés un extincteur ainsi qu’une pierre souillée de sang, de l’argent, un cutter, un téléphone portable, un briquet et des clefs. Ces objets furent saisis par la police. Par ailleurs, il ressort du dossier que le parquet confia à la police trente-six actes d’enquête.
39. La jeep, après son départ de la place Alimonda, mais aussi l’arme et l’équipement de M.P., restèrent entre les mains des carabiniers ; le véhicule, l’arme et l’équipement firent par la suite l’objet d’une saisie judiciaire. Une douille fut retrouvée à l’intérieur de la jeep.
40. Le cadavre fut transporté, sur ordre du parquet, à l’hôpital Galliera. Il put être identifié grâce aux empreintes digitales, inscrites dans le fichier de l’autorité judiciaire.
41. A 21 h 30, le policier F., responsable du groupe de policiers présents rue Caffa, fut entendu au bureau de la brigade mobile de la police de Gênes. Il déclara avoir vu place Alimonda un contingent de carabiniers qui était entraîné (« travolto ») par un nombre impressionnant de manifestants qui tentaient d’attaquer les policiers. Les deux jeeps Defender étaient isolées au milieu des manifestants, encerclées et sérieusement endommagées. Immédiatement après, les deux jeeps étaient parvenues à repartir. A terre gisait un homme cagoulé. A proximité, il y avait un extincteur.
42. A 20 h 50, au bureau de la brigade mobile de la police de Gênes, le policier Martino déclara avoir rejoint la place Alimonda avec son groupe de policiers aux ordres de F. et avoir vu à terre C. G., qui saignait abondamment de la tête. A proximité, il y avait un extincteur. Une fois l’ambulance arrivée, un médecin avait tenté de réanimer C. G., puis avait constaté le décès et attendu l’arrivée du magistrat.
43. Le 21 juillet 2001, le capitaine C., responsable de la compagnie ECHO, relata les événements de la veille et indiqua les noms des carabiniers s’étant trouvés à bord de la jeep en cause, qui avait été encerclée par de nombreux manifestants armés de barres de fer, de pierres et de planches de bois. Il affirma qu’une fois que la jeep était parvenue à repartir, la police présente de l’autre côté de la place était intervenue et avait dispersé les manifestants, permettant ainsi de voir un corps cagoulé gisant au sol. M. C. déclara ne pas avoir entendu de coups de feu, probablement à cause de l’oreillette de la radio, du casque et du masque à gaz qui limitaient son audition.
44. Le 28 juillet 2001, l’officier M. rédigea une note de service, qui reprenait les considérations de l’officier C., au sujet des faits survenus place Alimonda.
2. La mise en examen de M.P. et F.C., deux des trois carabiniers présents à bord de la jeep
45. Le soir du 20 juillet 2001, deux des trois carabiniers présents à bord de la jeep au moment des faits furent identifiés et entendus par le parquet de Gênes, dans les locaux du commandement des carabiniers à Gênes, en tant que personnes soupçonnées d’homicide volontaire.
a) Première déclaration du tireur (M.P.), entendu par le parquet le 20 juillet 2001, à 23 heures, dans les locaux du commandement des carabiniers à Gênes
46. M.P. était un carabinier auxiliaire, affecté au bataillon no 12 « Sicilia » et intégré à la compagnie ECHO, constituée pour les besoins du G8. Avec quatre autres compagnies venues d’autres régions d’Italie, la compagnie ECHO faisait partie du CCIR, placé sous les ordres du lieutenant-colonel T.. La compagnie ECHO était sous les ordres du capitaine C. et de ses adjoints M. et Z., et sous la direction et la coordination de M. L., un fonctionnaire de la police (vice questore) de Rome. En outre, il y avait un bataillon de parachutistes et des structures dénommées G2 et G3. Chacune des cinq compagnies était divisée en quatre pelotons de cinquante hommes chacun. Le commandant de toutes les compagnies était le colonel L. ; le vice-commandant chargé de la coordination était le lieutenant-colonel T..
47. M.P., né le 13 août 1980, et entré en service le 16 septembre 2000, était grenadier et avait été affecté au lancer d’engins lacrymogènes. Il déclara que pendant les opérations de maintien et de rétablissement de l’ordre public (MROP), il était censé se déplacer à pied avec son peloton. Après avoir lancé plusieurs engins lacrymogènes, il avait eu les yeux et le visage brûlés et avait demandé au capitaine C. l’autorisation de monter à bord de la jeep conduite par F.C. Peu après, un autre carabinier (D. R.), blessé, les avait rejoints.
48. M.P. affirma avoir eu très peur, à cause de tout ce qu’il avait vu lancer pendant la journée, et avoir craint notamment que les manifestants ne lancent des cocktails Molotov. Puis il expliqua que sa peur avait été accrue lorsqu’il avait été blessé à la jambe par un objet métallique et à la tête par une pierre. Il déclara avoir perçu la présence d’agresseurs en raison des jets de pierres et avoir pensé que « des centaines de manifestants encerclaient la jeep », même s’il ajouta qu’« au moment des tirs il n’y avait personne en vue ». Il précisa avoir été « en proie à la panique ». M.P. décrivit le moment du tir en disant qu’à un certain moment il avait réalisé que sa main avait empoigné son pistolet, qu’il avait sorti sa main, armée, par la lunette arrière de la jeep et qu’après environ une minute il avait tiré deux coups de feu. M.P. ne donna aucune précision quant au moment où il avait enlevé le cran de sûreté de son pistolet. Il soutint ne pas s’être aperçu de la présence de C. G. derrière la jeep, ni avant ni après avoir tiré.
b) Déclaration du chauffeur (F.C.), entendu par le parquet le 20 juillet 2001, dans les locaux du commandement des carabiniers
49. F.C., le chauffeur, né le 3 septembre 1977, était en service depuis vingt-deux mois. Il déclara qu’il s’était trouvé dans une ruelle à proximité de la place Alimonda et qu’il avait cherché à revenir vers la place en marche arrière parce que le peloton reculait sous la poussée des manifestants. Toutefois, sa route avait été bloquée par un conteneur à déchets qu’il n’était pas arrivé à déplacer, le moteur ayant calé. Il affirma avoir concentré ses efforts sur la manière de dégager la jeep, tandis que les collègues à bord du véhicule hurlaient. De ce fait, il n’avait pas entendu les détonations du pistolet de M.P. Enfin, il déclara : « Je n’ai pas remarqué de personnes à terre parce que je portais un masque, qui ne me laissait qu’un champ de vision partiel (…), et aussi parce que la vision latérale, dans la voiture, n’est pas optimale. J’ai fait marche arrière et je n’ai senti aucune résistance ; en fait, j’ai senti un soubresaut de la roue sur la gauche, j’ai pensé à un tas de détritus étant donné que le conteneur à déchets avait été renversé ; je n’avais qu’une idée en tête, celle de m’éloigner de ce désastre ».
c) Déclaration du troisième carabinier (D.R.) présent à bord de la jeep au moment des faits, entendu par le parquet le 21 juillet 2001
50. D.R., qui est né le 25 janvier 1982, et qui effectuait son service militaire (carabiniere di leva) depuis le 16 mars 2001, déclara qu’il avait été touché au visage et au dos par des pierres lancées par des manifestants et qu’il avait commencé à saigner. Il avait essayé de se protéger en se couvrant le visage, et M.P. avait tenté à son tour de l’abriter en faisant rempart de son corps. A ce moment-là, il n’avait plus rien vu, mais il avait entendu les hurlements et le bruit des coups et des objets qui entraient dans l’habitacle de la jeep. Il avait entendu M.P. hurler aux agresseurs d’arrêter et de s’en aller, puis deux coups de feu juste après.
d) La deuxième déclaration de M.P. au parquet
51. Le 11 septembre 2001, M.P., interrogé par le parquet, confirma ses déclarations du 20 juillet 2001 et ajouta avoir hurlé aux manifestants « allez vous-en ou je vous tue ! ».
3. Déclarations recueillies pendant l’enquête
a) Déclarations faites par d’autres carabiniers
52. Le maréchal A., qui se trouvait dans l’autre jeep immobilisée un moment sur la place Alimonda, déclara avoir noté que la jeep à bord de laquelle se trouvait M.P. était immobilisée par un conteneur à déchets et qu’elle était entourée par un nombre important de manifestants, « certainement plus de vingt ». Ces derniers lançaient des projectiles sur la jeep. Le maréchal avait vu notamment qu’un manifestant avait lancé un extincteur contre la lunette arrière. Il déclara avoir entendu les détonations et avoir vu C. G. s’écrouler. Il avait également vu la manœuvre de la jeep, qui était passée deux fois sur le corps de C. G.. Une fois que la jeep avait réussi à quitter la place Alimonda, il s’était approché de celle-ci et avait vu que F.C., le chauffeur, était descendu de la voiture et demandait de l’aide, visiblement agité. Le maréchal avait pris la place du chauffeur et avait remarqué que M.P. avait un pistolet à la main ; il lui avait ordonné de remettre le cran de sûreté. Il déclara avoir pensé immédiatement qu’il s’agissait de l’arme qui venait de tirer les deux coups de feu mais ne pas en avoir parlé à M.P., ce dernier étant blessé et saignant de la tête. Le maréchal affirma que F.C. lui avait raconté avoir entendu les détonations pendant qu’il manœuvrait la jeep. Le maréchal ne recueillit aucune explication quant aux circonstances ayant entouré la décision de tirer et ne posa aucune question à ce sujet.
53. Le carabinier R. avait rejoint à pied la jeep en question. Il déclara avoir vu l’arme de M.P. sortie de sa gaine et avoir alors demandé à M.P. s’il avait tiré. Celui-ci avait répondu par l’affirmative, sans préciser s’il avait tiré en l’air ou en direction d’un manifestant donné. M. R. relata que M.P. répétait sans cesse « ils voulaient me tuer, je ne veux pas mourir ».
54. Le 11 septembre 2001, le parquet entendit le capitaine C., qui était chargé du commandement de la compagnie de carabiniers à laquelle M.P. était affecté pendant le G8, et qui était placé sous les ordres du lieutenant-colonel T.. M. C. déclara qu’il avait autorisé M.P. à monter dans la jeep et qu’il avait récupéré le lance-lacrymogènes de ce dernier parce que M.P. était en difficulté. Il précisa ultérieurement (au « procès des 25 », audience du 20 septembre 2005) que M.P. était physiquement inapte à poursuivre son service en raison de problèmes psychologiques et de tension nerveuse. M. C. s’était ensuite dirigé avec ses hommes – une cinquantaine – vers l’angle de la place Alimonda et de la rue Caffa. M. C. indiqua avoir été prié par le fonctionnaire de police L. de remonter la rue Caffa en direction de la rue Tolemaide pour aider les forces occupées là-bas à repousser les manifestants. Il déclara avoir été perplexe face à cette demande, vu le nombre et l’état de fatigue des hommes à sa disposition. Néanmoins, M. C. et ses hommes s’étaient placés rue Caffa. Sous la poussée des manifestants venant de la rue Tolemaide, les carabiniers avaient été contraints de reculer ; ils s’étaient repliés d’abord dans l’ordre puis de manière désordonnée. M. C. indiqua ne pas avoir réalisé que lors du retrait des carabiniers deux jeeps Defender suivaient ceux-ci, la présence de ces véhicules n’ayant aucune « justification fonctionnelle ». Le capitaine C. déclara en outre que les manifestants n’avaient été dispersés que grâce à l’intervention de brigades mobiles de la police, présentes de l’autre côté de la place Alimonda, et qu’alors seulement il avait constaté qu’un homme cagoulé gisait à même le sol, apparemment grièvement blessé. M. C. indiqua enfin que certains de ses hommes portaient un casque équipé de caméras vidéo, ce qui permettrait d’éclaircir le déroulement des faits, et que les enregistrements vidéo avaient été remis au responsable du CCIR, le colonel Leso.
55. Le lieutenant-colonel T. déclara s’être arrêté à une dizaine de mètres de la place Alimonda et à trente-quarante mètres de la jeep en question, et avoir remarqué que celle-ci passait sur un corps étendu à terre.
b) Déclarations du fonctionnaire de police L.
56. Le 21 décembre 2001, M. L. fut entendu par le parquet. Il déclara que le 20 juillet 2001 il s’était présenté à 6 heures à l’endroit où il était censé prendre en charge deux cents hommes, pour commencer son service. Deux heures plus tard, n’ayant vu arriver personne, il s’était renseigné auprès de la questura et avait appris que les ordres de service avaient été modifiés. Selon les précisions fournies ultérieurement par M. L. (audience du 26 avril 2005, procès des 25), ce dernier avait été informé le 19 juillet qu’aucun cortège n’avait été autorisé pour le lendemain. Le 20 juillet il n’était pas au courant de ce qu’un cortège autorisé devait défiler. On lui avait demandé de se rendre près de la foire et de rejoindre un contingent de cent carabiniers afin de contrôler la zone. M. L. n’avait pu entrer en contact avec le contingent et son capitaine – M. C. – qu’à 12 h 30. Il s’était rendu place Tommaseo, où se déroulaient des accrochages avec les manifestants. A 15 h 30, dans un moment calme, le lieutenant-colonel T. et les deux jeeps avaient rejoint le contingent. Un déjeuner avait été pris. Le contingent avait été impliqué dans des accrochages boulevard Torino entre 16 heures et 16 h 45. Puis il était arrivé place Tommaseo-place Alimonda. Le lieutenant-colonel T. et les deux jeeps étaient revenus. Le contingent avait été réorganisé. M. L. déclara avoir remarqué, au bout de la rue Caffa, un groupe de manifestants qui avaient formé une barrière avec des conteneurs sur roulettes et qui avançaient vers les forces de l’ordre. M. L. affirma avoir demandé à M. C. si ses hommes étaient en mesure de faire face à la situation et avoir obtenu une réponse affirmative. M. L. et le contingent s’étaient alors placés près de la rue Caffa. Il avait entendu un ordre de repli et avait assisté à la retraite désordonnée du contingent.
c) Déclarations livrées au parquet par des manifestants
57. Des manifestants présents au moment des faits furent également entendus. Certains d’entre eux déclarèrent avoir été très près de la jeep, avoir eux-mêmes lancé des pierres et avoir donné sur la jeep des coups à l’aide de bâtons ou d’autres objets. L’un des manifestants déclara que M.P. avait hurlé « bâtards, je vais tous vous tuer ! ». Un autre s’était aperçu que M.P., à bord de la jeep, avait sorti son pistolet, et il avait alors hurlé à ses camarades de faire attention et s’était éloigné. Un autre déclara que M.P. s’était protégé d’un côté avec un bouclier (paragraphe 23 ci-dessus).
d) Autres déclarations livrées au parquet
58. Des personnes ayant assisté aux faits depuis les fenêtres de leurs habitations déclarèrent avoir vu un manifestant ramasser un extincteur et le soulever. Ils avaient entendu deux détonations et avaient vu le manifestant s’écrouler.
4. Matériel audiovisuel
59. Au cours de l’enquête, le parquet ordonna aux forces de l’ordre de lui remettre le matériel audiovisuel pouvant contribuer à la reconstitution des faits survenus place Alimonda. Pendant les opérations de maintien et de rétablissement de l’ordre public, des photographies et des enregistrements vidéo avaient été réalisés par des équipes de tournage, des cameras montées sur des hélicoptères et des mini-caméras placées sur les casques de quelques agents. Par ailleurs, des images de source privée étaient également disponibles.
5. Les expertises
a) L’autopsie
60. Dans les vingt-quatre heures, le parquet ordonna une autopsie aux fins de l’établissement de la cause du décès de C. G.. Le 21 juillet 2001, à 12 h 10, un avis d’autopsie – précisant que la partie lésée pouvait nommer un expert et un défenseur – fut notifié au premier requérant.
A 15 h 15, MM. C. et S., experts du parquet, furent formellement investis du mandat, et les opérations d’autopsie commencèrent. Les requérants n’envoyèrent aucun représentant ni expert désigné par eux.
Le mandat donné aux experts se lisait ainsi : « Les experts doivent indiquer quelle est la cause du décès de C. G. et dire si, dans les facteurs déterminants de celle-ci, sont intervenus des facteurs exogènes tels que des substances chimiques-toxicologiques. Dans l’hypothèse où des tirs d’arme à feu auraient causé la mort, les experts doivent préciser le nombre de coups de feu, le point d’impact, la trajectoire suivie dans le corps, la position de la victime par rapport au tireur et, si possible, la distance de tir, et indiquer si avant la blessure mortelle il y a eu une lutte mortelle ».
61. L’autopsie terminée, le corps fut mis à la disposition de la famille de C. G., qui souhaitait l’incinérer. Vu la complexité des questions, les experts demandèrent au parquet un délai de soixante jours pour déposer leur rapport. Le parquet fit droit à cette demande.
62. Le 23 juillet 2001, le parquet autorisa l’incinération du corps de C. G. souhaitée par la famille.
63. Le rapport d’expertise fut déposé le 6 novembre 2001. Les experts relevaient que C. G. avait été atteint sous l’œil gauche par un projectile et que celui-ci avait traversé le crâne et était ressorti par la paroi postérieure gauche. La trajectoire du projectile avait été la suivante : tiré à plus de cinquante centimètres de distance, de l’avant vers l’arrière, de la droite vers la gauche, du haut vers le bas. C. G. mesurait 1,65 m. Le tireur se trouvait face à la victime, légèrement décalé vers la droite. Selon les experts, le coup de feu à la tête était d’une gravité telle qu’il avait entraîné la mort en quelques minutes ; le passage de la jeep sur le corps n’avait causé que des lésions mineures et non évaluables aux organes thoraciques et abdominaux.
b) Les expertises médicolégales pratiquées sur M.P. et D.R.
64. Après avoir quitté la place Alimonda, les trois carabiniers qui s’étaient trouvés dans la jeep s’étaient rendus aux services d’urgence de l’hôpital Galliera, à Gênes. M.P. avait signalé des contusions diffuses à la jambe droite et un traumatisme crânien avec blessures ouvertes ; malgré l’avis des médecins voulant l’hospitaliser, M.P. avait signé une décharge et, vers 21 h 30, avait quitté l’hôpital. Il souffrait d’un traumatisme crânien, provoqué selon lui par un coup à la tête dû à un objet contondant, coup reçu pendant qu’il était à bord de la jeep. Selon les médecins, il ne s’agissait pas d’un état de santé pouvant mettre M.P. en danger de mort.
65. D.R. présentait des contusions et des écorchures sur le nez et la pommette droite, des contusions à l’épaule gauche et au pied gauche. F.C. avait signalé un syndrome psychologique post-traumatique guérissable en quinze jours.
66. Les expertises médicolégales effectuées pour établir la nature précise de ces lésions et les liens de celles-ci avec l’agression subie par les occupants de la jeep conclurent que les blessures infligées à D.R. et à M.P. n’avaient pas mis leur vie en danger. Concernant M.P., les blessures dont il souffrait à la tête avaient pu être causées par un jet de pierre, mais on ne pouvait pas déterminer l’origine des autres blessures. Quant à D.R., la lésion qu’il présentait au visage avait pu être causée par un jet de pierre, et celle à l’épaule par un coup porté à l’aide d’une planche.
c) Les expertises balistiques ordonnées par le parquet
i. La première expertise
67. Le 4 septembre 2001, le parquet chargea M. C. d’établir si les deux douilles retrouvées sur les lieux (l’une dans la jeep, l’autre à quelques mètres du corps de C. G.) provenaient de la même arme, en particulier de celle de M.P. Dans son rapport du 5 décembre 2001, l’expert estimait qu’il y avait 90 % de chances que la douille découverte dans la jeep provienne du pistolet Beretta de M.P., alors qu’il n’y avait que 10 % de chances que celle retrouvée à proximité du corps de C. G. provienne de ce même pistolet. Cette expertise fut effectuée unilatéralement en vertu de l’article 392 du code de procédure pénale, c’est-à-dire sans qu’il y ait possibilité pour la partie lésée d’y participer.
ii. La deuxième expertise
68. Le parquet nomma un deuxième expert, l’inspecteur de police B. M.. Dans un rapport présenté le 15 janvier 2002, celui-ci était d’avis qu’il y avait 60 % de chances que la douille retrouvée près du corps de la victime provienne de l’arme de M.P. Il concluait que les deux douilles provenaient du pistolet de M.P. Quant à la distance entre M.P. et C. G. au moment de l’impact, il estimait qu’elle se situait entre 110 et 140 centimètres. Cette expertise fut effectuée unilatéralement.
iii. La troisième expertise (collégiale)
69. Le 12 février 2002, le parquet ordonna à un collège d’experts composé de N. B., P. B., P. R. et C. T., « après avoir visionné le matériel vidéo et photographique et les planimétries versés au dossier, les objets saisis, les expertises déjà effectuées, de reconstituer, même sous forme virtuelle, la conduite de M.P. et de C. G. dans les moments ayant immédiatement précédé et suivi l’instant où la balle a atteint le corps. Il s’agit en particulier de déterminer la distance qui séparait M.P. et C. G., les angles de vue respectifs et le champ de vision de M.P. à l’intérieur de la jeep au moment des tirs ». Il ressort du dossier que M. R, avait fait paraître un article, en septembre 2001, dans une revue spécialisée (TAC Armi), dans lequel il avait estimé que M.P. avait agi en état de légitime défense.
Les experts furent autorisés à consulter l’ensemble de la documentation, du matériel audiovisuel et des expertises dont disposait le parquet. Les représentants et les experts des requérants participèrent aux actes d’expertise. Il ressort du procès-verbal que les requérants furent représentés pas Me V., qui déclara ne pas vouloir formuler de demande d’incident probatoire (incidente probatorio).
70. Un déplacement sur les lieux fut effectué le 20 avril 2002. A cette occasion, un impact provoqué par le deuxième coup de feu fut découvert sur le mur d’un bâtiment de la place Alimonda, à environ cinq mètres de hauteur.
71. Le 10 juin 2002, le rapport d’expertise (intitulé « Etude de la dynamique des événements ayant abouti au décès de C. G. à travers l’analyse des images ») fut déposé au parquet. Ce rapport avait pour objet de déterminer la position des deux personnes concernées et la distance entre elles au moment du coup de feu, ce aux fins d’établir l’angle visuel. Les experts précisaient d’emblée que l’indisponibilité du cadavre de C. G. (en raison de son incinération) avait constitué un important obstacle qui avait rendu leur travail non exhaustif en raison de l’impossibilité, d’une part, de réexaminer certaines parties du corps et, d’autre part, de rechercher des microtraces.
72. Tout d’abord, sur la base du « peu de matériel à disposition », les experts tentaient de répondre à la question de savoir quel avait été l’impact de la balle sur C. G.. Selon eux, les blessures au crâne étaient très graves et avaient entraîné la mort « après peu de temps ». Ils constataient ensuite que la balle n’était pas sortie entière de la tête de C. G., le scanner effectué avant l’autopsie ayant en effet permis d’identifier un morceau de métal opaque qui, de par son aspect, semblait être un fragment de blindage. Quant à l’orifice d’entrée sur l’avant du visage, il avait un aspect qui ne se prêtait pas à une interprétation univoque, sa forme irrégulière s’expliquant en premier lieu par la typologie des tissus de la zone du corps atteinte par la balle. Une explication pouvait toutefois être avancée, selon laquelle la balle n’avait pas atteint directement C. G. mais avait rencontré un objet intermédiaire, capable de la déformer et de la ralentir, avant d’atteindre le corps de la victime. Cette hypothèse concordait avec les dimensions réduites de l’orifice de sortie et avec le fait que la balle s’était fragmentée à l’intérieur de la tête de C. G..
73. Partant de cette hypothèse, les experts avaient ensuite recherché des traces, et ils affirmaient avoir retrouvé un petit fragment métallique de plomb, provenant vraisemblablement de la balle. Comme il s’était détaché de la cagoule de C. G. lors de la manipulation de celle-ci, il était impossible de savoir si ce fragment provenait de la partie antérieure, latérale ou postérieure de la cagoule. Cela dit, les experts faisaient état de traces d’une matière n’appartenant pas au projectile en tant que tel mais provenant d’un matériel utilisé dans la construction. En outre, des micro-fragments de plomb avaient été trouvés à l’avant et à l’arrière de la cagoule, ce qui semblait confirmer l’hypothèse selon laquelle la balle avait en partie perdu son blindage au moment de l’impact.
Quant à la nature de l’« objet intermédiaire », les experts affirmaient qu’il n’était pas possible d’établir de quel objet il s’agissait mais que l’on pouvait exclure l’extincteur que C. G. tenait à bout de bras.
74. Enfin, quant à la distance de tir, les experts estimaient qu’elle avait été supérieure à 50-100 centimètres.
75. Pour reconstituer les faits dans le cadre de « l’hypothèse de la collision avec un objet », les experts avaient ensuite procédé à des essais de tir et à des simulations vidéo et logicielle. Leurs conclusions étaient les suivantes : en partant du postulat que la balle avait heurté un autre objet, il ne leur était pas possible d’en établir la trajectoire, puisque celle-ci avait certainement été modifiée par la collision. Se fondant sur une séquence vidéo montrant une pierre se désintégrant en l’air et sur la détonation perçue dans la bande son, les experts estimaient que la pierre avait explosé immédiatement après le coup de feu.
Sur la base d’une simulation logicielle, les experts concluaient que la balle tirée vers le haut par M.P. avait frappé C. G. à la suite de la collision avec cette pierre, qui avait été lancée par un autre manifestant contre la jeep. Les experts estimaient que la distance entre C. G. et la jeep avait été d’environ 1,75 mètre au moment du coup de feu et qu’à ce moment précis M.P. pouvait voir C. G..
6. Les investigations menées par les requérants
76. Les requérants déposèrent une déclaration faite devant leur avocat par le manifestant J.M. en date du 19 février 2002. J.M. avait notamment déclaré que C. G. était encore vivant après le passage de la jeep sur son corps et qu’il avait attiré l’attention des agents sur le blessé et avait hurlé des mots comme « médecin, hôpital…». A l’arrivée des membres des forces de l’ordre, J.M. s’était éloigné.
Les requérants soumirent ensuite une déclaration d’un carabinier (V.M.) faisant état d’une pratique selon lui répandue au sein des forces de l’ordre, consistant à modifier les projectiles du type de celui utilisé par M.P. afin d’en accroître la capacité d’expansion et donc de fragmentation.
77. Les requérants déposèrent enfin deux rapports d’expertise rédigés par des experts qu’ils avaient eux-mêmes désignés. Selon l’un d’eux, M. G., la balle était déjà fragmentée au moment où elle avait atteint la victime. La fragmentation de la balle pouvait s’expliquer par un défaut ou par une manipulation du projectile ayant visé à accroître sa capacité de fragmentation. L’expert estimait que cela se vérifiait dans un nombre limité de cas et que dès lors il s’agissait d’une hypothèse moins probable que celle émise par les experts du parquet (à savoir que la balle avait heurté un objet pendant sa trajectoire).
En outre, les autres experts chargés par les requérants de reconstituer le déroulement des faits exclurent que « la pierre » s’était fragmentée à la suite d’une collision avec la balle tirée par M.P. ; la pierre s’était à leur avis fragmentée contre la jeep. Selon les experts, pour pouvoir reconstituer les faits à partir du matériel audiovisuel, et notamment à partir des photographies, il fallait forcément établir la position précise du photographe, notamment son angle de vision, en tenant compte également du type de matériel (focale, boîtier, caméra) utilisé. En outre, il fallait mettre en rapport, d’une part, les images et le temps, et, d’autre part, les images et le son. Par ailleurs, les experts contestèrent la méthode des experts mandatés par le parquet, qui s’étaient basés sur une « simulation vidéo et logicielle » et n’avaient pas analysé les images disponibles avec rigueur et précision. Des critiques similaires furent formulées à l’égard de ces mêmes experts, au motif qu’ils n’avaient pas suivi une méthode fiable lors des essais de tir.
78. Les experts des requérants conclurent que C. G. se trouvait à environ trois mètres de la jeep au moment du coup de feu et que, si l’on ne pouvait nier que la balle meurtrière était fragmentée lorsqu’elle avait atteint C. G., on devait exclure qu’il ait heurté la pierre visible sur l’image, notamment parce qu’une pierre aurait déformé différemment la balle et aurait laissé un autre type de traces sur le corps de C. G.. De plus, M.P. n’avait pas tiré vers le haut.
7. La demande de classement sans suite
79. A titre préliminaire, le parquet observa que l’organisation des opérations de maintien et de rétablissement de l’ordre public avait été profondément modifiée dans la nuit du 19 au 20 juillet 2001, et considéra que cela expliquait une partie des dysfonctionnements survenus le 20 juillet. Il n’énuméra toutefois pas les modifications et les dysfonctionnements en découlant.
Sur la base des éléments du dossier, le parquet reconstitua les faits ayant précédé la mort de C. G.. Quant à l’initiative de se poster rue Caffa pour bloquer les manifestants présents rue Tolemaide, le parquet prit note de ce que la version des faits présentée par M. L. divergeait en partie de celle du capitaine C. : alors que M. L. parlait d’une décision prise d’un commun accord, le capitaine C. soutenait que les hommes avaient été postés sur décision unilatérale de M. L., et ce malgré les risques que pouvait comporter une telle décision (nombre réduit et fatigue des hommes du détachement).
80. Le parquet examina ensuite les rapports d’expertise et releva que les différents experts s’accordaient notamment sur le fait que le pistolet de M.P. avait tiré deux balles, dont la première avait porté un coup mortel à C. G. ; que la balle en cause ne s’était pas fragmentée uniquement parce qu’elle avait atteint C. G. ; que la photographie montrant C. G. portant l’extincteur avait été prise alors qu’il était à environ trois mètres de la jeep.
En revanche, les experts avaient des opinions divergentes notamment sur les points suivants :
a) au moment où il avait été atteint, C. G. était à 1,75 mètre de la jeep selon les experts du parquet, mais à environ 3 mètres pour les experts de la famille G. ;
b) concernant le décalage entre l’image de la pierre et le bruit de la détonation : pour les experts de la famille G., le tir était parti avant qu’on puisse voir la pierre, alors que les experts du parquet pensaient le contraire.
81. Etant donné que les parties s’accordaient à dire que la balle était déjà fragmentée lorsqu’elle avait atteint la victime, le parquet en déduisit que les parties étaient également d’accord sur les causes de cette fragmentation et que les requérants adhéraient à la « théorie de la balle déviée par un objet solide ». Le passage pertinent de la demande de classement se lit ainsi :
« Les points ne faisant l’objet d’aucune contestation substantielle sont indiqués schématiquement ci-après :
(…)
Avant de toucher G., la balle a rencontré sur sa trajectoire un objet qui en a causé la fragmentation partielle.
La note en bas de page dit : A la page 13 du rapport d’expertise du 10.06.02, l’expert, M. Torre, affirme : « En bref, tous les éléments dont nous disposons indiquent que la balle, avant d’atteindre le visage de C. G., est entrée en contact avec un objet dur (cible intermédiaire) capable d’en ralentir la trajectoire de manière significative, d’en endommager le blindage, favorisant ainsi sa désagrégation, et de laisser des traces sur le noyau de plomb ». L’expert de la famille G., M. G., affirme quant à lui, à la page 2 de son rapport d’expertise déposé le 09.08.02 : « Nous ne pouvons que souscrire à l’avis du professeur Torre selon lequel un projectile d’un tel calibre, conforme à l’équipement OTAN, n’aurait pu (la négation a été ajoutée le 5.10.02 de la main de M. Gentile, durant la confrontation entre les experts) être fragmenté à la suite d’un seul impact final avec la victime ».
Les autres hypothèses susceptibles d’expliquer la fragmentation de la balle qui avaient été avancées par les requérants – telles qu’une manipulation de la balle visant à accroître sa capacité à se fragmenter ou un défaut de fabrication – étaient considérées par les requérants eux-mêmes comme étant « beaucoup plus improbables ». De par leur plus faible probabilité, ces hypothèses ne pouvaient selon le parquet fournir une explication valable.
82. Avant de passer aux considérations juridiques, le parquet observa que l’enquête avait été longue, notamment en raison du retard de quelques experts et de la « superficialité » du rapport d’autopsie, ainsi que des erreurs commises par M. C., l’un des experts. Ensuite, il estima que l’enquête avait été menée à terme et que toute question pertinente avait été approfondie. En conclusion, le parquet jugea que l’hypothèse de la balle tirée vers le haut et déviée par une pierre lancée en l’air était « la plus convaincante ». Toutefois, il considéra que les éléments du dossier ne permettaient pas de déterminer si M.P. avait tiré dans la seule intention de disperser les manifestants ou en prenant le risque d’en blesser ou d’en tuer un ou plusieurs. Trois hypothèses étaient retenues, et « il n’y aurait jamais de réponse certaine » :
– dans le premier cas, il s’agissait de tirs d’intimidation et donc d’un homicide résultant d’une faute ;
– dans le deuxième cas, M.P. avait tiré pour arrêter l’agression et avait pris le risque de tuer, auquel cas il y avait eu homicide volontaire ;
– dans le troisième cas, M.P. avait visé C. G. et il s’agissait également d’un homicide volontaire.
Selon le parquet, les éléments du dossier permettaient d’exclure la troisième hypothèse.
83. Le parquet considéra ensuite que la collision entre la pierre et la balle n’était pas de nature à rompre le lien de causalité entre le comportement de M.P. et la mort de C. G.. Le lien de causalité subsistait, la question étant de savoir si M.P. avait agi en état de légitime défense.
84. Aux yeux du parquet, il était avéré que l’intégrité physique des occupants de la jeep était menacée et que M.P. avait « riposté » alors qu’il était en danger. Cela dit, il fallait évaluer la riposte de M.P., tant du point de vue de la nécessité que de la proportionnalité, « ce dernier aspect étant le plus délicat ».
Quant à la question de savoir si M.P. avait une autre option et si l’on pouvait s’attendre à ce qu’il se conduise autrement, le parquet répondit par la négative en avançant les raisons suivantes : « la jeep était encerclée par les manifestants, l’agression physique contre les occupants était évidente et virulente ». C’était à juste titre que M.P. avait eu le sentiment d’être en danger de mort. Le pistolet était un instrument capable d’arrêter l’agression, et l’on ne pouvait critiquer M.P. quant au choix de l’équipement qu’on lui avait fourni. D’un point de vue juridique, l’on ne pouvait exiger de M.P. qu’il évite d’utiliser son arme à feu et subisse une agression susceptible de menacer son intégrité physique.
85. A la lumière de ces considérations, le parquet demanda le classement sans suite de l’affaire.
8. L’opposition des requérants
86. Le 10 décembre 2002, les requérants firent opposition à la demande de classement sans suite. S’appuyant sur le fait que le parquet lui-même avait reconnu que l’enquête avait été caractérisée par des erreurs et par des doutes qui n’avaient pas trouvé de réponses certaines, ils soutenaient que des débats contradictoires étaient indispensables à la recherche de la vérité.
87. Quant à M.P., les requérants contestaient la thèse de la balle déviée par la pierre et alléguaient que l’on ne pouvait affirmer à la fois que M.P. avait tiré en l’air et qu’il avait agi en état de légitime défense, d’autant que l’intéressé avait déclaré ne pas avoir vu C. G. au moment de tirer.
Les requérants faisaient ensuite remarquer que la thèse de la balle déviée par un objet avait été émise un an après les faits par un expert nommé par le parquet et qu’elle se fondait sur une simple hypothèse non corroborée par des éléments objectifs. L’expert des requérants avait estimé qu’une collision avec une pierre aurait déformé la balle d’une autre manière. En outre, les requérants se référaient à la déclaration faisant état de la pratique consistant à modifier les balles pour en accroître la capacité d’expansion et donc de fragmentation.
88. Concernant F.C., les requérants faisaient observer qu’il ressortait du dossier que C. G. était encore vivant après le passage de la jeep sur son corps. A cet égard, ils soulignaient que l’autopsie ayant conclu à l’absence de lésions appréciables provoquées par les passages de la jeep avait été qualifiée de superficielle par le parquet.
89. A la lumière de ces considérations, et critiquant le choix de confier aux carabiniers plusieurs actes d’enquête, les requérants insistaient pour qu’un procès ait lieu, aux fins de l’établissement des responsabilités quant au décès de C. G..
90. A titre subsidiaire, les requérants demandaient l’accomplissement d’autres actes d’enquête, notamment :
a) une expertise visant à établir les causes et le moment du décès de C. G., en particulier pour savoir si celui-ci était encore vivant pendant et après le passage de la jeep ;
b) une audition du chef de la police, M. D. G., et du carabinier Z., pour savoir quelles directives avaient été données quant au port de l’arme sur la cuisse ;
c) la recherche et l’identification de la personne ayant lancé la pierre en cause ;
d) une deuxième audition des manifestants qui s’étaient présentés spontanément ;
e) l’audition du carabinier V.M., qui avait fait état de la pratique consistant à entailler la pointe des projectiles afin de leur donner un meilleur effet ;
f) une expertise sur les douilles retrouvées et sur les armes de tous les policiers ou gendarmes qui se trouvaient place Alimonda au moment des faits.
9. L’audience devant la juge des investigations préliminaires
91. L’audience devant la juge des investigations préliminaires eut lieu le 17 avril 2003. Il ressort du compte rendu d’audience que les requérants maintinrent leur thèse selon laquelle la balle en cause ne s’était pas fragmentée à la suite d’une collision avec la pierre. Ils exclurent la possibilité que la balle ait été déviée et soutinrent que celle-ci avait directement atteint la victime. Me V., le représentant des requérants à l’audience, déclara quant à l’hypothèse selon laquelle on avait pu modifier le projectile afin de le rendre plus performant, suivant la pratique relatée par un témoin : « évid

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