Conclusione Non- violazione dell’art. 2 (risvolto materiale); Violazione dell’art. 2 (risvolto procedurale); Non -violazione dell’art. 38; danno morale – risarcimento
QUARTA SEZIONE
CAUSA GIULIANI E GAGGIO C. ITALIA
( Richiesta no 23458/02)
SENTENZA
STRASBURGO
25 agosto 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Giuliani e Gaggio c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, quarta sezione, riunendosi in una camera composta da:
Nicolas Bratza, presidente, Josep Casadevall, Lech Garlicki Giovanni Bonello, Vladimiro Zagrebelsky, Ljiljana Mijović, Ján Šikuta, giudici,
e di Lawrence Early, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 26 giugno 2008 ed
il 18 giugno 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 23458/02) diretta contro la Repubblica italiana e in cui tre cittadini di questo Stato, il Sig. G. G., la Sig.ra A. G., moglie di G., e la Sig.ra E. G.(“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 18 giugno 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono stati rappresentati da N. P. e G. P., avvocati a Roma. I richiedenti sono rispettivamente il padre, la madre ed la sorella di C. G.. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo coagente, F. Crisafulli.
3. I richiedenti adducevano in particolare che C. G. era deceduto in ragione di un ricorso eccessivo alla forza pubblica.
4. Un’udienza consacrata al tempo stesso alle questioni di ammissibilità ed a quelle del merito (articolo 54 § 3 dell’ordinamento) si è svolta in pubblico al Palazzo dei diritti dell’uomo, a Strasburgo, il 5 dicembre 2006 (articolo 59 § 3 dell’ordinamento).
Sono comparsi:
-per il Governo il
Sig. F. Crisafulli, coagente,;
-per i richiesti
Sig. N. P., la Sig.ra A. M., la
Sig.ra G. P., avvocati al foro di Roma consiglieri.
5. Con una decisione del 6 febbraio 2007, la camera ha dichiarato la richiesta ammissibile.
6. Tanto i richiedenti che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte complementari (articolo 59 § 1 dell’ordinamento). Le parti hanno ciascuna sottoposto dei commenti scritti sulle osservazioni dell’altra.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
7. I richiedenti sono nati rispettivamente nel 1938, 1944 e 1972 e risiedono a Genova ed a Milano.
A. Il contesto in cui si è svolto il G8 a Genova e le circostanze che hanno preceduto il decesso di C. G.
8. Il 19, 20 e 21 luglio 2001 si svolse a Genova il vertice detto del “G8.” Delle numerose manifestazioni “non global” furono organizzate nella città ed un importante dispositivo di sicurezza fu messo in posto dalle autorità italiane. La legge no 349 dell’ 8 giugno 2000 autorizzava il prefetto di Genova a ricorrere al personale delle forze armate. Inoltre, una “zona rossa” era stata delimitata con l’aiuto di una rete metallica nella parte della città riguardata dalle riunioni del G8, ossia il centro storico della città. Per cui, solo i rivieraschi e le persone che dovevano lavorare potevano accedervi. L’accesso al porto era stato vietato e l’aeroporto chiuso al traffico. La zona rossa era cinta in una zona gialla che, a sua volta, era vincolata da una zona bianca (zona normale).
9. Concernente gli ordini scritti del comandante delle forze dell’ordine, responsabile del mantenimento e del ristabilimento dell’ordine pubblico, il Governo ha sottoposto alla Corte degli ordini di servizio datati 14, 17 e 19 luglio 2001. Ciascuno di questi ordini di servizio comincia con la frase: “la presente modifica e completa come segue l’ordinanza di servizio no 2143/R del 12 luglio relativa ai servizi di ordine e di sicurezza contemplati in occasione del vertice del G8 che si terrà a Genova dal 20 al 22 luglio.” Questa ordinanza del 12 luglio non è stata fornita alla Corte.
10. L’ordine di servizio del 19 luglio 2001 è quello della vigilia dei fatti. Riassume così le precedenze delle forze dell’ordine: mettere in opera dentro alla “zona rossa” una linea di difesa che permette di respingere velocemente ogni tentativo di intrusione; mettere in opera nella “zona gialla” una linea di difesa per potere fare fronte ad ogni azione, tenuto conto della posizione dei manifestanti in differenti luoghi così come delle azioni provenienti da elementi più estremisti; infine, prendere delle misure di ordine pubblico sugli assi toccati dalle manifestazioni, avuto riguardo al pericolo di aggressioni favorite dagli effetti di massa.
11. Le parti si accordano sul fatto che l’ordine di servizio del 19 luglio 2001 ha modificato i piani stabiliti fino là in quanto al modo di esporre le risorse ed i mezzi disponibili, affinché le forze dell’ordine potessero bloccare efficacemente ogni tentativo di intrusione nella zona rossa di persone che partecipavano alla manifestazione delle “Tute bianche” annunciata ed autorizzata per l’indomani.
Appellandosi a delle testimonianze concesse nella cornice di un procedimento penale sollecitato contro venticinque manifestanti (vedere, sotto, il “processo dei 25”), i richiedenti hanno indicato che l’ordine di servizio del 19 luglio aveva interessato il plotone dei carabinieri dandogli una funzione dinamica mentre prima era supposto essere statico.
In quanto al modo in cui queste istruzioni sono state diffuse, il Governo ha indicato che gli ordini dati e ricevuti dagli ufficiali sul campo sono state trasmesse oralmente. I richiedenti, in quanto ad essi, si riferiscono alle testimonianze raccolte dalla procura ed anche nella cornice del “processo dei 25”, particolarmente presso il Sig. L. ( paragrafo 56 sotto).
12. Le parti si accordano a dire che un sistema di comunicazione radio è stato messo in posto, con una centrale operativa situata presso la questura ( uffici della polizia) e che questa centrale era in contatto radio con le forze presenti sul campo. I carabinieri ed i poliziotti non potevano comunicare direttamente tra loro tramite radio; potevano raggiungere solamente la centrale operativa.
13. Risulta dal giudizio reso nel “processo dei 25” (vedere sotto), versato alla pratica che prima dell’inizio del G8 vi erano stati dei momenti di tensione: il 16 luglio, una bomba era stata mandata ai carabinieri. Il 17 luglio, un furgone contenente un ordigno esplosivo era stato scoperto vicino allo stadio Carlini, il luogo che avrebbe ospitato i manifestanti che avrebbero partecipato alla grande manifestazione del 20 luglio (il corteo delle “Tute bianche”). Il 18 luglio, le forze dell’ordine si recarono allo stadio Carlini per effettuare dei controlli. Circa 500 manifestanti erano sul posto. L’ispezione durò circa un’ora ed ebbe luogo in presenza dei giornalisti. I manifestanti presentavano dei “mezzi di difesa individuale”, ossia degli scudi in plexiglas e dei vestiti che potevano assorbire degli eventuali scontri con le forze dell’ordine.
14. Lo stesso giudizio fa stato del fatto che, la mattina del 20 luglio, dei gruppi di manifestanti particolarmente aggressivi (con passamontagna e mascherati, i “black blocks”) provocarono numerosi incidenti e scontri con le forze dell’ordine. Verso le 13 h 30, il corteo delle “Tute bianche” era pronto a sfilare. La partenza era contemplata dallo stadio Carlini. Si trattava di una manifestazione che raggruppava parecchie organizzazioni: dei rappresentanti del movimento “no global”, dei centri sociali, dei giovani comunisti del Partito “Rifondazione comunista.” Credevano nella contestazione non violenta (disobbedienza civile) ma avevano annunciato un obiettivo politico: tentare di superare il limite della zona rossa. Ecco perché in data del 19 luglio 2001 il questore di Genova aveva vietato al corteo delle “Tute bianche” di penetrare nella zona rossa o in quella adiacente ed aveva disposto le forze dell’ordine in modo da arrestare il corteo a livello della piazza Verdi. Il corteo poteva sfilare tra lo stadio Carlini e lungo tutta la via Tolemaide dunque, fino alla piazza Verdi, o ben al di là dell’incrocio tra questa via e viale Torino, incrocio dove si svolsero i fatti che sono qui di seguito in questione. Verso le 13 h 30, il corteo si mise in strada ed avanzò lentamente verso ovest. Durante la discesa, i manifestanti apparvero tranquilli e gioiosi, almeno fino al momento in cui notarono delle colonne di fumo nella direzione di via Canevari ed un’automobile completamente bruciata in via Montevideo, il che generò una certa tensione. Nel settore della via Tolemaide, c’erano delle tracce di disordini anteriori. Un gruppo di contatto composto da politici ed un gruppo di giornalisti muniti di cineprese o di macchina fotografica camminavano in testa del corteo. Quest’ultimo rallentò e segnò parecchie fermate. Più in basso, nella zona di via Tolemaide, degli incidenti opposero delle persone mascherate e con passamontagna alle forze dell’ordine. Il corteo raggiunse la galleria della ferrovia, all’incrocio di viale Torino. Improvvisamente, degli ordigni lacrimogeni furono lanciati sul corteo dai carabinieri posti sotto gli ordini del Sig. M..
15. Il Sig. M., comandante della compagnia dei carabinieri Alpha, aveva fatto sapere alla sua centrale che la sua radio poteva ricevere solamente le comunicazioni e che non disponeva di una guida di Genova che conosceva bene le vie. Si trovava posto in via Tommaseo con due cento carabinieri. Questi erano attrezzati della nuovo manganello Tonfa, di uno scudo, dei nuovi ordigni lacrimogeni CS e di lanciatori, così come di una tuta ignifugata e di attrezzature anti-incendio. Alle 14 h 29, la centrale radio ordinò al Sig. M. di recarsi velocemente in piazza Giusti, perché il corteo delle “Tute bianche” stava percorrendo il viale Gastaldi. Il Sig. M. accettò. Aveva tre itinerari possibili per recarsi al suo punto di destinazione, ma scelse quello che l’esponeva al rischio di incrociare il corteo delle “Tute bianche”, cioè l’itinerario passante per via Invrea e che incrociava viale Torino. Alcuni minuti prima delle 15, essendosi ritrovato sulla strada dei manifestanti, i carabinieri attaccarono il corteo delle “Tute bianche”, utilizzando da prima dei gas lacrimogeni poi avanzando ed avvalendosi dei loro manganelli. Il corteo fu respinto verso est, all’incrocio con via Casaregis. L’assalto durò circa due minuti. Non era stato ordinato né dalla centrale operativa dei carabinieri né dalla persona che aveva la competenza necessaria. I carabinieri respinsero i manifestanti fino all’incrocio con la via Invrea. In questo luogo, questi ultimi si divisero: certi si diressero verso il mare, altri cercarono un riparo in via Invrea, poi nel settore di piazza Alimonda. Alcuni manifestanti reagirono, trovarono degli oggetti che potevano essere utilizzati come oggetti contundenti, come delle bottiglie in vetro o dei cassonetti dei rifiuti, e cominciarono ad avviarsi verso le forze dell’ordine. Dei blindati dei carabinieri percorsero a grande velocità via Casaregis e via Invrea, sfondando le barricate messe in posto dai manifestanti con l’aiuto dei cassonetti e provocando l’allontanamento dei manifestanti presenti sui luoghi. Alle 15 h 22 min. 52 s., la centrale operativa ordinò al Sig. M. di spostarsi e di lasciare passare il corteo delle “Tute bianche.” L’assalto finì, i carabinieri si ritirarono in via Casaregis poi in via di Invrea, in direzione nord, seguirono la via Tolemaide, verso ovest.
16. Certi manifestanti organizzarono una risposta violenta e degli scontri con le forze dell’ordine. Verso le 15 h 40, un gruppo di manifestanti attaccò un furgone corazzato dei carabinieri e l’incendiò in seguito.
17. Verso le 17, la presenza di un gruppo di espressa parvenza molto aggressiva fu notato in particolare dal battaglione Sicilia, composto da una cinquantina di carabinieri appostati vicino a piazza Alimonda.
18. Il funzionario di polizia L. ordinò a suddetti carabinieri di caricare i manifestanti. A piedi e seguiti da due jeep Defender, i carabinieri caricarono.
19. Poco dopo, i manifestanti riuscirono tuttavia a respingere l’attacco delle forze dell’ordine: i carabinieri si ritirarono in modo disordinato vicino a piazza Alimonda, lasciando senza protezione le due jeep Defender che si trovavano in coda alla disposizione (la procura, nella sua istanza di archiviazione senza seguito della causa, descrisse questo come « ripiegamento disordinato che lascia scoperti i due defender che si trovano alle spalle del reparto »). Le immagini prese dall’ elicottero mostravano i manifestanti che avanzavano in via Caffa, alle 17 h 23, correndo dietro alle forze dell’ordine.
B. Il decesso di C. G.
20. Le due jeep in questione si bloccarono reciprocamente in piazza Alimonda. Mentre una di queste riusciva alla fine ad allontanarsi, l’altra, in ragione di una falsa manovra del conducente, restò immobilizzata in piazza Alimonda, bloccata da un cassonetto dei rifiuti rovesciato.
21. La jeep fu raggiunta da un gruppo di manifestanti armati di pietre, di bastoni e di sbarre di ferro. I finestrini laterali della parte posteriore e il lunotto posteriore della jeep furono rotti. I manifestanti urlarono delle ingiurie e delle minacce contro gli occupanti della jeep e lanciarono delle pietre verso il veicolo.
22. A bordo della jeep si trovavano tre carabinieri: M. P., F. C. e D. RANDO.
23. Uno di essi, M. P. (qui di seguito “M.P. “), era un granatiere di vent’ anni. Intossicato dalle granate lacrimogene che aveva lanciato all’epoca di scontri precedente, era stato autorizzato dal capitano C. (comandante della compagnia Eco in seno al CCIR« contingente di contenzione e intervento risolutivo ») a salire sulla jeep per allontanarsi dai luoghi del precedente scontro. Accovacciato dietro alla jeep, ferito, terrorizzato, proteggendosi da un lato con un scudo, secondo la dichiarazione del manifestante P., urlava ai manifestanti di andarsene, “se no li avrebbe uccisi”, M.P. sfoderò la sua Beretta 9 mm, la puntò in direzione del lunotto posteriore spezzato del veicolo e, dopo alcune decine di secondi, tirò due spari.
24. Il primo sparo raggiunse C. G. al viso, sotto l’occhio sinistro, e lo ferì gravemente, mentre si trovava ad alcuni metri al massimo dalla parte posteriore della jeep ed aveva appena raccolto un estintore vuoto. C. G. crollò vicino alla ruota posteriore sinistra del veicolo.
25. Poco dopo, F. C. (qui di seguito “F.C. “), l’autista, riuscì a ripartire e, allo scopo di liberarsi, fece retromarcia, passando così sul corpo di C. G.. Passò poi alla prima e passò una seconda volta sul corpo di C. G. lasciando i luoghi. La jeep si diresse allora verso piazza Tommaseo.
26. Dopo “alcuni metri”, il maresciallo dei carabinieri A. salì a bordo della jeep e si mise al volante, “essendo l’autista in stato di shock”. Anche il carabiniere RANDO salì sul veicolo.
27. Dopo la partenza della jeep, J.M, un manifestante, si avvicinò a C. G. ed osservò che questo perdeva molto sangue che spruzzava da un buco situato vicino all’occhio sinistro, e constatò che “il polso di C. G. era molto veloce e debole.” Alcuni istanti più tardi, dopo l’arrivo di parecchi carabinieri e poliziotti, J.M. si allontanò da C. G..
28. Delle forze di polizia che sostavano dall’altro lato di piazza Alimonda intervennero e dispersero i manifestanti (secondo la dichiarazione del capitano C.). Furono raggiunte dai carabinieri.
29. Alle 17 h27 min. 25 s., un poliziotto presente sui luoghi chiamò la centrale operativa per chiedere un’ambulanza. Un medico arrivato in seguito sul posto, constatò il decesso di C. G..
1. Le indicazioni fornite dalle parti in quanto ai momenti che hanno preceduto la morte di C. G.
30. I momenti che hanno preceduto la morte di C. G. sono stati ricostituiti come segue nella nota del ministero dell’interno versato alla pratica dal Governo:
“Alle 6, il settore ricevette l’ordine di servizio e tre plotoni si misero vicino alla questura. Dopo alcune ore, il contingente fu sciolto; due plotoni restarono.
Verso la fine della mattinata, il contingente fu mandato in piazza Tommaseo, dove arrivò mentre gli scontri coi manifestanti erano finiti. Il funzionario di polizia L. prese il comando del contingente.
Gli effettivi furono posti in via Rimassa, vicino ai giardini King, e si trovarono esposti a lanci di oggetti diversi. A partire dalle ore 15, il contingente che seguiva i manifestanti, percorse la via Ivrea ed arrivò a piazza Alimonda, dove la situazione era relativamente calma; il contingente fu riorganizzato dunque. I carabinieri presenti erano una cinquantina circa.
Le due jeep Defender utilizzate per garantire il collegamento tra i contingenti erano sul posto. Il funzionario di polizia L. ed il capitano C. decisero di disporre il contingente in via Caffa, in direzione di via Tolemaide, per fare fronte ad un gruppo di manifestanti che aveva eretto una barricata utilizzando dei cassonetti di rifiuti. I carabinieri furono oggetto di un’intensa serie lanci di pietre e di bottiglie. Temendo di essere raggiunti da altri manifestanti che venivano dalla via Odessa, i carabinieri ripiegarono a piedi, lasciando scoperte le due jeep che si trovavano dietro il contingente.
Nell’agitazione del momento, gli autisti delle due jeep provarono a ritirarsi al più presto, in retromarcia, verso piazza Tommaseo. Nel loro tentativo di fare inversione, le jeep si fecero ostacolo una con l’altra; quella condotta da F. C. (F.C) non riuscì a finire la sua manovra e si ritrovò bloccata sul davanti da un cassonetto dei rifiuti . Alcuni istanti più tardi, fu raggiunta dai manifestanti venuti da via Tolemaide e da via Odessa. .”
31. Appellandosi tra l’altro a delle testimonianze concesse dai membri delle forze dell’ordine durante il “processo dei 25”, i richiedenti descrivono così le circostanze della morte di C. G.:
“Il corteo delle “Tute bianche” arrivò in via Tolemaide verso le 14 h 50. Alle 14 h 53, le forze dell’ordine, la compagnia dei carabinieri proveniente dal battaglione Lombardia, l’attaccarono. Gli assalti si ripeterono otto volte e furono condotti con l’aiuto di diciannove blindati, di autopompe, di ordigni lacrimogeni, di manganelli. L’ultimo attacco ebbe luogo alle 17 h 15.
Nel frattempo, la compagnia Eco- che aveva aiutato il battaglione Lombardia in alcuni degli assalti-si era posizionata in piazza Alimonda -via Caffa ed era agli ordini del funzionario di polizia L.. Due jeep Defender la raggiunsero. I carabinieri poterono togliere le loro maschere antigas, mangiare e riposarsi.
Allo stesso momento, la polizia, agli ordini del funzionario di polizia F., era posizionata in via Caffa.
In questo contesto calmo, il capitano C. ordinò a M.P. ed a D.RANDO di salire a bordo di una delle due jeep. Giudicava opportuno fare salire i due carabinieri, essendo questi psicologicamente “a terra” e non rispondendo più alle condizioni fisiche per essere in servizio. Stimando inoltre che M.P. doveva smettere di lanciare degli ordigni lacrimogeni, gli tolse i suoi lancia-lacrimogeni così come la bisaccia contenente gli ordigni.
Alle 17 h 20, la compagnia Eco, composta in quel momento da un centinaio di uomini, eseguì l’ordine del funzionario di polizia L., rimise le maschere antigas, gli scudi e si mise in marcia in via Caffa verso via Tolemaide. Fu deciso di attaccare il corteo, in presenza del tenente colonnello T.. Le due jeep seguivano il plotone. Parecchi cassonetti dei rifiuti servivano come barriera ai manifestanti. La compagnia Eco cominciò la sua ritirata seguendo la via Caffa, verso piazza Alimonda. La ritirata fu accompagnata dalle due jeep che viaggiavano in retromarcia. Circa settanta manifestanti seguirono i carabinieri. Arrivata in piazza Alimonda, la jeep nella quale si trovava M.P. incontrò sulla sua strada un cassonetto dei rifiuti che arrestò il suo percorso. Alcuni manifestanti gettarono contro il veicolo delle pietre e poi un estintore che ricadde per terra.
C. G. si diresse verso un estintore che giaceva per terra . In quel momento un carabiniere presente nella jeep aveva, già una pistola in mano ed era pronto a sparare. C. G. prese l’estintore e lo sollevò. Erano le 17 h 27. Fu raggiunto allo stesso momento dal proiettile mortale. ”
32. Trattandosi della pistola, i richiedenti rinviano alle fotografie versate alla pratica dell’inchiesta e sottolineano che l’arma era tenuta orizzontalmente e verso il basso.
33. Il ministero dell’interno ha affermato che era impossibile indicare il numero preciso di carabinieri e di poliziotti che si trovano sui luoghi al momento del decesso di C. G.; c’erano approssimativamente cinquanta carabinieri, ad una distanza di 150 metri dalla jeep. Inoltre, a 200 metri, all’altezza di piazza Tommaseo, c’era un gruppo di poliziotti (reparto mobile della polizia di stato).
34. I richiedenti rinviano in quanto ad essi alle dichiarazioni del tenente colonnello T. (vedere sotto) che ha affermato di essersi trovato ad una decina di metri di piazza Alimonda ed a trenta -quaranta metri dalla jeep. Ad alcune decine di metri dalla jeep si trovavano i carabinieri, un centinaio. I poliziotti erano alla fine di via Caffa, verso piazza Tommaseo. I richiedenti ricordano inoltre che le fotografie versate alla pratica dell’inchiesta mostrano chiaramente la presenza di carabinieri ad alcuni metri della jeep in questione.
2. Le indicazioni dei richiedenti in quanto agli istanti che hanno seguito immediatamente la partenza della jeep
35. Un film sottomesso dai richiedenti e basato su delle immagini versate alla pratica dell’inchiesta mostra parecchie persone e dei membri delle forze dell’ordine che si avvicinano al corpo della vittima. Vicino alla testa della vittima, una pietra sporca di sangue che non appare all’inizio della sequenza ma è visibile alla fine. In più, un poliziotto presente vicino al corpo di C. G. (M. L.) indica con un dito un manifestante ed urla “sei stato tu, sei stato tu! “, dopo ciò dei membri delle forze dell’ordine si lanciano all’inseguimento dell’uomo in questione per ricuperarlo, ma in vano.
36. Il carabiniere C. che ha testimoniato al “processo dei 25”, udienza del 20 settembre 2005, ha indicato che una giovane donna si era avvicinata al corpo di C. G. ed aveva sollevato il passamontagna che portava. Una ferita a forma di stella era visibile sulla fronte della vittima. La ragazza aveva dichiarato che C. G. era morto e che a suo avviso non era a causa di una sassata. Due minuti circa dopo che questa frase era stata pronunciata, M. L. si era concesso a ciò che il Sig. C. qualificava come “ispessimento” e che era stato mostrato in televisione.
C. l’indagine condotta dalle autorità nazionali
1. I primi atti di inchiesta
37. La squadra mobile della polizia della provincia di Genova – 3 sezione – reati contro le persone – si recò sul posto verso le 18. Risulta dal rapporto stabilito dalla Sig.ra B., funzionario di polizia appartenente alla squadra mobile della polizia di Genova che verso le 18 questa si recò in piazza Alimonda con due altri funzionari di polizia, avendo segnalato la centrale operativa il decesso di un giovane uomo. Trovò il corpo della vittima ricoperto da un lenzuolo. Per quanto possibile, circoscrisse i luoghi, cioè chiuse piazza Alimonda al pubblico, per permettere alla polizia scientifica di effettuare i rilievi. Il viso della vittima era scoperto, trovandosi il passamontagna dietro la testa. I poliziotti F. e M. furono sentiti (paragrafi 41-42 sotto).
38. Un bossolo fu scoperto ad alcuni metri dal corpo di C. G.. Nessun proiettile fu trovato. Accanto al corpo fu ricuperato un estintore così come una pietra sporca di sangue, del denaro, un cutter, un telefono portatile, un accendino e delle chiavi. Questi oggetti furono sequestrati dalla polizia. Peraltro, risulta dalla pratica che la procura affidò alla polizia trentasei atti d’ inchiesta.
39. La jeep, dopo la sua partenza da piazza Alimonda, ma anche l’arma e l’ attrezzature di M.P, restarono nelle mani dei carabinieri; il veicolo, l’arma e l’attrezzatura furono in seguito oggetto di un sequestro giudiziale. Un bossolo fu ritrovato dentro alla jeep.
40. Il cadavere fu trasportato, su ordine della procura, all’ospedale Galliera. Poté essere identificato grazie alle impronte digitali, iscritte nello schedario dell’autorità giudiziale.
41. Alle 21 h 30, il poliziotto F., responsabile del gruppo dei poliziotti presenti in via Caffa, fu sentito all’ufficio della squadra mobile della polizia di Genova. Dichiarò di avere visto un contingente di carabinieri che era stato sopraffatto(“travolto”) in piazza Alimonda da un numero impressionante di manifestanti che tentavano di attaccare i poliziotti. Le due jeep Defender erano isolate nel mezzo dei manifestanti, accerchiate e danneggiate seriamente. Immediatamente dopo, le due jeep erano riuscite a ripartire. A terra giaceva un uomo con il passamontagna. In prossimità, c’era un estintore.
42. Alle 20 h 50, all’ufficio della squadra mobile della polizia di Genova, il poliziotto M. dichiarò di avere raggiunto piazza Alimonda col suo gruppo di poliziotti agli ordini di F. ed avere visto a terra C. G. che sanguinava abbondantemente dalla testa. In prossimità, c’era un estintore. Una volta arrivata l’ambulanza, un medico aveva tentato di rianimare C. G., aveva poi constatato il decesso ed aspettato l’arrivo del magistrato.
43. Il 21 luglio 2001, il capitano C., responsabile della compagnia Eco, riferì gli avvenimenti della vigilia ed indicò i nomi dei carabinieri che si trovavano a bordo della jeep in causa che era stata accerchiata da numerosi manifestanti armati di sbarre di ferro, di pietre e di tavole di elgno. Affermò che una volta che la jeep era riuscita a ripartire, la polizia presente dall’altro lato della piazza era intervenuta ed aveva disperso i manifestanti, permettendo così di vedere il corpo di una persona con il passamontagna giacente al suolo. Il Sig. C. dichiarò di non avere sentito degli spari, probabilmente a causa dell’auricolare della radio, del casco e della maschera antigas che limitava il suo ascolto.
44. Il 28 luglio 2001, l’ufficiale M. redasse una nota di servizio che riprendeva le considerazioni dell’ufficiale C., a proposito dei fatti sopraggiunti in piazza Alimonda.
2. Il collocamento in esame di M.P. e F.C, due dei tre carabinieri presenti a bordo della jeep
45. La sera del 20 luglio 2001, due dei tre carabinieri presenti a bordo della jeep al momento dei fatti furono identificati e furono ascoltati dalla procura di Genova, nei locali del comando dei carabinieri a Genova, in quanto persone sospettate di omicidio volontario.
a) Prima dichiarazione del tiratore (M.P), ascoltato dalla procura il 20 luglio 2001, alle 23, nei locali del comando dei carabinieri a Genova
46. M.P. era un carabiniere ausiliare, assegnato al battaglione no 12 “Sicilia” ed integrato alla compagnia Eco, costituita per i bisogni del G8. Con quattro altre compagnie venute da altre regioni d’Italia, la compagnia Eco faceva parte del CCIR, collocato sotto gli ordini del tenente-colonnello T.. La compagnia Eco era sotto gli ordini del capitano C. e della sua collaboratori M. e Z., e sotto la direzione ed il coordinamento del Sig. L., un funzionario della polizia (vice questore) di Roma. Inoltre, c’era un battaglione di paracadutisti e delle strutture denominati G2 e G3. Ciascuna delle cinque compagnie era divisa in quattro plotoni di cinquanta uomini ciascuno. Il comandante di tutte le compagnie era il colonnello L.; il vice-comandante incaricato del coordinamento era il tenente-colonnello T..
47. M.P, nato il 13 agosto 1980, ed entrato in servizio il 16 settembre 2000, era granatiere ed era stato destinato al lancio degli ordigni lacrimogeni. Dichiarò che durante le operazioni di mantenimento e di ristabilimento dell’ordine pubblico (MROP), era supposto di spostarsi a piedi col suo plotone. Dopo avere lanciato parecchi ordigni lacrimogeni, aveva avuto gli occhi ed il viso bruciato ed aveva chiesto al capitano C. l’autorizzazione di salire a bordo della jeep condotta da F.C. Poco dopo, un altro carabiniere (D. RANDO) ferito, li aveva raggiunti.
48. M.P. afferma di avere avuto molta paura, a causa di tutto ciò che aveva visto lanciare durante la giornata, e di avere temuto in particolare che i manifestanti lanciassero delle bottiglie Molotov. Poi spiegò che la sua paura era aumentata quando era stato ferito alla gamba con un oggetto metallico ed alla testa con una pietra. Dichiarò di avere percepito la presenza di aggressori in ragione dei lanci di pietre e di avere pensato che le centinaia di manifestanti accerchiavano la jeep”, anche se aggiunse che “al momento dei lanci non c’era nessuno vista.” Precisò di essere stato “in preda al panico.” M.P. descrive il momento dello sparo dicendo che ad un certo momento aveva realizzato che la sua mano aveva agguantato la sua pistola, che aveva fatto uscire la sua mano, tramite il lunotto posteriore della jeep e che dopo circa un minuto aveva esploso due spari. M.P. non diede nessuna precisione in quanto al momento in cui aveva tolto la sicura della sua pistola. Non sostenne di essersi accorto della presenza di C. G. dietro alla jeep, né prima di né dopo avere sparato.
b) Dichiarazione dell’autista (F.C), ascoltato dalla procura il 20 luglio 2001, nei locali del comando dei carabinieri
49. F.C, l’autista, nato il 3 settembre 1977, era in servizio da ventidue mesi. Dichiarò che si era trovato in una viuzza vicino a piazza Alimonda e che aveva cercato di ritornare verso la piazza in retromarcia perché il plotone arretrava sotto la spinta dei manifestanti. Tuttavia, la sua strada era stata bloccata da un cassonetto dei rifiuti che non era riuscito a spostare, avendo appoggiato il motore. Affermò di avere concentrato i suoi sforzi sul modo di svincolare la jeep, mentre i colleghi a bordo del veicolo urlavano. Per questo fatto, non aveva sentito le detonazioni della pistola di M.P. Infine, dichiarò: “Non ho notato persone a terra perché portavo una maschera che mi lasciava solamente un campo visivo parziale, ed anche perché la visione laterale, nell’automobile, non è ottimale. Ho fatto retromarcia e non ho sentito nessuna resistenza; in effetti, ho sentito un soprassalto della ruota sulla sinistra, ho pensato ad un mucchio di detriti dato che il cassonetto dei rifiuti era stato rovesciato; avevo solamente un’idea in testa, quella di allontanarmi da questo disastro.”
c) Dichiarazione del terzo carabiniere (D.R) presente a bordo della jeep al momento dei fatti, ascoltato dalla procura il 21 luglio 2001,
50. D.R che è nato il 25 gennaio 1982, e che effettuava il suo servizio militare (carabiniere di leva) dal 16 marzo 2001, dichiarò che era stato colpito al viso ed alla schiena con le pietre lanciate dai manifestanti e che aveva cominciato a sanguinare. Aveva provato a proteggersi nascondendosi il viso, e M.P. aveva tentato a sua volta di ripararlo facendogli scudo con il suo corpo. In quel momento, non aveva più visto niente, ma aveva sentito le urla ed il rumore dei colpi e degli oggetti che entravano nell’abitacolo della jeep. Aveva ascoltato M.P. urlare agli aggressori di fermarsi e di andarsene, poi due spari appena dopo.
d) La seconda dichiarazione di M.P. alla procura
51. L’ 11 settembre 2001, M.P, interrogato dalla procura, confermò le sue dichiarazioni del 20 luglio 2001 ed aggiunse di avere urlato ai manifestanti “andatevene o io vi uccido! .”
3. Dichiarazioni raccolte durante l’inchiesta
a) Dichiarazioni fatte da altri carabinieri
52. Il maresciallo A. che si trovava nell’altra jeep immobilizzata un momento sulla piazza Alimonda, dichiarò di avere notato che la jeep a bordo della quale si trovava M.P. era immobilizzata da un cassonetto dei rifiuti e che era circondata da un numero importante di manifestanti, “certamente più di venti.” Questi ultimi lanciavano dei proiettili sulla jeep. Il maresciallo aveva visto in particolare che un manifestante aveva lanciato un estintore contro il lunotto posteriore. Dichiarò di avere sentito le detonazioni e di avere visto C. G. crollare. Aveva visto anche la manovra della jeep che era passata due volte sul corpo di C. G.. Una volta che la jeep era riuscita a lasciare piazza Alimonda, si era avvicinato a questa ed aveva visto che F.C, l’autista, era sceso dall’automobile ed aveva chiesto aiuto, visibilmente agitato. Il maresciallo aveva preso il posto dell’autista ed aveva notato che M.P. aveva una pistola in mano; gli aveva ordinato di rimettere la sicura. Dichiarò di avere pensato immediatamente che si trattava dell’arma che aveva appena esploso i due spari ma di non averne parlato a M.P, essendo questo ultimo ferito e sanguinante dalla testa. Il maresciallo affermò che F.C. gli aveva raccontato di avere sentito le detonazioni mentre egli manovrava la jeep. Il maresciallo non raccolse nessuna spiegazione in quanto alle circostanze che avevano portato alla decisione di sparare e non pose nessuna domanda a questo motivo.
53. Il carabiniere R. aveva raggiunto a piedi la jeep in questione. Dichiarò di avere visto l’arma di M.P. fuori dalla sua guaina e di avere chiesto allora a M.P. se avesse sparato. Questo aveva risposto affermativamente, senza precisare se aveva sparato in aria o in direzione di un dato manifestante. Il Sig. R. riferì che M.P. ripeteva senza tregua “volevano uccidermi, non voglio morire.”
54. L’ 11 settembre 2001, la procura ascoltò il capitano C. che era incaricato del comando della compagnia di carabinieri alla quale M.P. era leso durante il G8, e che era posto sotto gli ordini del tenente-colonnello T.. Il Sig. C. dichiarò che aveva autorizzato M.P. a salire nella jeep e che aveva recuperato i lancia-lacrimogeni di questo ultimo perché M.P. era in difficoltà. Precisò ulteriormente, al “processo dei 25”, udienza del 20 settembre 2005 che M.P. era fisicamente inabile ad inseguire il suo servizio in ragione di problemi psicologici e di tensione nervosa. Il Sig. C. si era diretto poi coi suoi uomini-una cinquantina-verso l’angolo di piazza Alimonda e di via Caffa. Il Sig. C. indicò di essere stato pregato dal funzionario di polizia L. di risalire via Caffa in direzione di via Tolemaide per aiutare le forze impegnate laggiù a respingere i manifestanti. Dichiarò di essere stato perplesso di fronte a questa richiesta, visto il numero e lo stato di stanchezza degli uomini a sua disposizione. Tuttavia, il Sig. C. ed i suoi uomini si erano messi in via Caffa. Sotto la spinta dei manifestanti che venivano da via Tolemaide, i carabinieri erano stati costretti ad arretrare; avevano ripiegato da prima in modo ordinato poi in modo disordinato. Il Sig. C. indicò di non avere realizzato che all’epoca del ritiro dei carabinieri due jeep Defender seguivano questi, non avendo la presenza di questi veicoli nessuna “giustificazione funzionale.” Il capitano C. dichiarò inoltre che i manifestanti erano stati dispersi solo grazie all’intervento di squadre mobili della polizia, presenti dall’altro lato di piazza Alimonda, e che allora solamente aveva constatato che un uomo accasciato giaceva a livello del suolo, apparentemente gravemente ferito. Il Sig. C. indicò infine che certi dei suoi uomini portavano un casco attrezzato di videocamere, il che avrebbe permesso di chiarire lo svolgimento dei fatti, e che le registrazioni video erano state date al responsabile del CCIR, il colonnello Leso.
55. Il tenente-colonnello T. dichiarò essersi fermato ad una decina di metri da paizza Alimonda ed a trenta – quaranta metri dalla jeep in questione, ed avere notato che questa passava su un corpo steso a terra.
b) Dichiarazioni del funzionario di polizia L.
56. Il 21 dicembre 2001, il Sig. L. fu sentito dalla procura. Dichiarò che il 20 luglio 2001 si era presentato alle 6 al luogo dove era supposto di prendere in carico due cento uomini, per cominciare il suo servizio. Due ore più tardi, non avendo visto arrivare nessuno, si era informato presso la questura ed aveva appreso che gli ordini di servizio erano stati modificati. Secondo le precisazioni fornite ulteriormente dal Sig. L., udienza del 26 aprile 2005, processo dei 25, questo ultimo era stato informato il 19 luglio che nessun corteo era stato autorizzato per l’indomani. Il 20 luglio non era stato informato del fatto che un corteo autorizzato doveva sfilare. Gli era stato chiesto di recarsi vicino alla fiera e di raggiungere un contingente di cento carabinieri per controllare la zona. Il Sig. L. aveva potuto entrare in contatto col contingente ed il suo capitano – il Sig. C. – solo alle 12 h 30. Si era recato in piazza Tommaseo, dove si svolgevano degli scontri coi manifestanti. Alle 15 h 30, in un momento di calma, il tenente-colonnello T. e le due jeep avevano raggiunto il contingente. Avevano pranzato. Il contingente era stato implicato negli scontri di viale Torino tra le 16 e le 16 h 45. Poi era arrivato a piazza Tommaseo – piazza Alimonda. Il tenente-colonnello T. e le due jeep erano ritornati. Il contingente era stato riorganizzato. Il Sig. L. dichiarò di avere notato, alla fine di via Caffa, un gruppo di manifestanti che avevano formato una barriera coi cassonetti della spazzatura e che avanzavano verso le forze dell’ordine. Il Sig. L. affermò di avere chiesto al Sig. C. se i suoi uomini erano in grado di fare fronte alla situazione e di avere ottenuto una risposta affermativa. Il Sig. L. ed il contingente si erano messi allora vicino a via Caffa. Aveva sentito un ordine di ritiro ed aveva assistito alla ritirata disordinata del contingente.
c) Dichiarazioni concesse alla procura da parte dei manifestanti,
57. Furono anche ascoltati dei manifestanti presenti al momento dei fatti. Alcuni di loro dichiararono di essere stati molto vicino alla jeep, di avere loro stessi lanciato delle pietre e di avere dato sulla jeep dei colpi con l’aiuto di bastoni o di altri oggetti. Uno dei manifestanti dichiarò che M.P. aveva urlato “bastardi, vi ucciderò tutti! .” Un altro si era accorto che M.P, a bordo della jeep, aveva estratto la sua pistola, ed egli aveva urlato allora ai suoi compagni di fare attenzione e si era allontanato. Un altro dichiarò che M.P. si era protetto da un lato con un scudo (paragrafo 23 sopra).
d) Altre dichiarazioni concesse alla procura
58. Alcune persone avendo assistito ai fatti dalle finestre delle loro abitazioni dichiararono di avere visto un manifestante raccogliere un estintore e sollevarlo. Avevano ascoltato due esplosioni ed avevano visto il manifestante crollare.
4. Materiale audiovisivo
59. Durante l’inchiesta, la procura ordinò alle forze dell’ordine di rimetterle il materiale audiovisivo che poteva contribuire alla ricostituzione dei fatti sopraggiunti in piazza Alimonda. Durante le operazioni di mantenimento e di ristabilimento dell’ordine pubblico, delle fotografie e delle registrazioni video erano state realizzate dalle squadre di ripresa, dalle cineprese montate su degli elicotteri e delle mini-cineprese poste sui caschi di alcuni agenti. Peraltro, erano anche disponibili delle immagini di fonti private.
5. Le perizie
a) L’autopsia
60. In ventiquattro ore, la procura ordinò un’autopsia ai fini della determinazione della causa del decesso di C. G.. Il 21 luglio 2001, alle 12 h 10, un parere di autopsia-che precisava che la parte lesa poteva nominare un perito ed un difensore-fu notificato al primo richiedente.
Alle 15 h 15, i Sigg. C. e S., periti della procura, furono investiti formalmente del mandato, e le operazioni di autopsia cominciarono. I richiedenti non mandarono nessun rappresentante né perito nominato da loro.
Il mandato dato ai periti si leggeva così: “I periti devono indicare quale è la causa del decesso di C. G. e di dire se, nei fattori determinanti di questa, sono intervenuti dei fattori esogeni come delle sostanze chimico-tossicologiche. Nell’ipotesi in cui dei colpi di arma da fuoco avrebbero causato la morte, i periti devono precisare il numero di spari, il punto di impatto, la traiettoria seguita nel corpo, la posizione della vittima rispetto al tiratore e, se possibile, la distanza di tiro, ed indicare se prima della ferita mortale vi è stata una lotta mortale.”
61. Finita l’autopsia, il corpo fu messo a disposizione della famiglia di C. G. che desiderava cremarlo. Visto la complessità delle questioni, i periti chiesero alla procura un termine di sessanta giorni per depositare il loro rapporto. La procura fece diritto a questa istanza.
62. Il 23 luglio 2001, la procura autorizzò la cremazione del corpo di C. G. desiderato dalla famiglia.
63. Il rapporto di perizia fu depositato il 6 novembre 2001. I periti rilevarono che C. G. era stato raggiunto sotto l’occhio sinistro da un proiettile e che questo aveva attraversato il cranio ed era uscito dalla parete posteriore sinistra. La traiettoria del proiettile era stata la seguente: tirata da più di cinquanta centimetri di distanza, dalla parte anteriore verso la parte posteriore, da destra verso sinistra, dall’alto verso il basso. C. G. era alto 1,65 m. Il tiratore si trovava di fronte alla vittima, leggermente spostato verso destra. Secondo i periti, lo sparo alla testa era di una gravità tale da aver provocato la morte in alcuni minuti; il passaggio della jeep sul corpo aveva causato solamente delle lesioni minori e non valutabili agli organi toracici ed addominali.
b) Le perizie medico-legali praticate su M.P. e D. R
64. Dopo avere lasciato piazza Alimonda, i tre carabinieri che si erano trovati nella jeep si erano recati ai servizi di emergenza dell’ospedale Galliera, a Genova. M.P. riportava delle contusioni diffuse sulla gamba destra ed un trauma cranico con lesioni aperte; malgrado il parere dei medici che volevano ricoverarlo, M.P. aveva firmato una liberatori e, verso le 21 h 30, aveva lasciato l’ospedale. Soffriva di un trauma cranico, indotto secondo lui da un colpo alla testa dovuto ad un oggetto contundente, colpo ricevuto mentre era a bordo della jeep. Secondo i medici, non si trattava di un stato di salute che poteva mettere M.P. in pericolo di morte.
65. D.R presentava delle contusioni e delle escoriazioni sul naso ed lo zigomo destro, delle contusioni sulla spallottola sinistra ed sul piede sinistro. F.C. aveva segnalato una sindrome psicologica post-traumatica guaribile in quindici giorni.
66. Le perizie medicolegali effettuate per stabilire la natura precisa di queste lesioni ed i legami di queste con l’aggressione subita dagli occupanti della jeep conclusero che le lesioni inflitte a D.R ed a M.P. non avevano messo la loro vita in pericolo. A riguardo di M.P, le lesioni di cui soffriva alla testa avevano potute essere causate da un ciottolo di pietra, ma non si poteva determinare l’origine delle altre lesioni. In quanto a D.R, la lesione che presentava al viso aveva potuto essere causata da un ciottolo di pietra, e quella alla spallottola da un colpo portato con l’aiuto di un’asse .
c) Le perizie balistiche ordinate dalla procura
i. La prima perizia
67. Il 4 settembre 2001, la procura incaricò il Sig. C. di stabilire se i due bossoli ritrovati sui luoghi, uno nella jeep, l’altro ad alcuni metri dal corpo di C. G., provenivano dalla stessa arma, in particolare da quella di M.P. Nel suo rapporto del 5 dicembre 2001, il perito stimava che c’era il 90% di probabilità che il bossolo scoperto nella jeep provenisse dalla pistola Beretta di M.P, mentre c’era solo il 10% di probabilità che quella ritrovato vicino al corpo di C. G. provenisse da questa stessa pistola. Questa perizia fu effettuata unilateralmente in virtù dell’articolo 392 del codice di procedura penale, cioè senza che ci fosse possibilità per la parte lesa di parteciparvi.
ii. La seconda perizia
68. La procura nominò un secondo perito, l’ispettore di polizia B. M.. In un rapporto presentato il 15 gennaio 2002, questo era del parere che c’era il 60% di probabilità che il bossolo ritrovato vicino al corpo della vittima provenisse dall’arma di M.P. Concludeva che i due bossoli provenivano dalla pistola di M.P. In quanto alla distanza tra M.P. e C. G. al momento dell’impatto, stimava che si trovavano tra i 110 e 140 centimetri. Questa perizia fu effettuata unilateralmente.
iii. La terza perizia, collegiale,
69. Il 12 febbraio 2002, la procura ordinò ad un collegio di periti composti da N. B., P. B., P. R. e C. T., “dopo avere visionato il materiale video e fotografico ed le planimetrie versate alla pratica, gli oggetti sequestrati, le perizie già effettuate, per ricostruire, anche sotto forma virtuale, la condotta di M.P. e di C. G. nei momenti che hanno immediatamente preceduto e seguito l’istante in cui la pallottola ha raggiunto il corpo. Si tratta in particolare di determinare la distanza che divideva M.P. e C. G., i rispettivi angoli di vista ed il campo visivo di M.P. dentro alla jeep al momento dei colpi.” Risulta dalla pratica che il Sig. R. aveva fatto comparire un articolo, nel settembre 2001, in una rivista specializzata (TAC Armi) in cui aveva stimato che M.P. aveva agito in stato di legittima difesa.
I periti furono autorizzati a consultare l’insieme della documentazione, del materiale audiovisivo e delle perizie di cui disponeva la procura. I rappresentanti ed i periti dei richiedenti parteciparono agli atti di perizia. Risulta dal verbale che i richiedenti furono rappresentati da V. che dichiarò di volere non formulare un’istanza di incidente probatorio (incidente probatorio).
70. Un sopralluogo sui luoghi fu effettuato il 20 aprile 2002. In questa occasione, un impatto provocato dal secondo sparo fu scoperto sul muro di un edificio di piazza Alimonda, a circa cinque metri di altezza.
71. Il 10 giugno 2002, il rapporto di perizia, intitolato “Studio della dinamica degli avvenimenti che hanno portato al decesso di C. G. attraverso l’analisi delle immagini”, fu depositato alla procura. Questo rapporto aveva per oggetto di determinare la posizione delle due persone riguardate e la distanza tra loro al momento dello sparo, questo al fine di stabilire l’angolo della visuale. I periti precisavano al primo colpo che l’indisponibilità del cadavere di C. G., in ragione della sua cremazione, aveva costituito un importante ostacolo che aveva reso il loro lavoro non esauriente in ragione dell’impossibilità, da una parte, di riesaminare certe parti del corpo e, dall’altra parte, di ricercare delle microtracce .
72. Innanzitutto, sulla base del “poco materiale a disposizione”, i periti tentavano di rispondere alla questione di sapere quale fosse stato l’impatto della pallottola su C. G.. Secondo loro, le lesioni al cranio erano molto gravi ed avevano provocato la morte “dopo poco tempo.” Constatavano poi che la pallottola non era uscita intera della testa di C. G., avendo permesso difatti la scannerizzazione effettuata prima dell’autopsia di identificare un pezzo di metallo opaco che, per il suo aspetto, sembrava essere un frammento di blindato. In quanto all’orifizio di entrata sulla parte di fronte del viso, aveva un aspetto che non suscitava un’interpretazione univoca, piegandosi la sua forma irregolare con la tipologia dei tessuti della zona del corpo raggiunto dalla pallottola in primo luogo. Una spiegazione poteva essere avanzata tuttavia secondo la quale la pallottola non aveva raggiunto direttamente C. G. ma aveva incontrato un oggetto intermedio, capace di deformarla e di rallentarla, prima di raggiungere il corpo della vittima. Questa ipotesi concordava con le dimensioni ridotte dell’orifizio di uscita e col fatto che la pallottola si era frammentata dentro alla testa di C. G..
73. Partendo da questa ipotesi, i periti avevano ricercato poi delle tracce, ed essi affermarono di avere ritrovato un piccolo frammento metallico di piombo, proveniente verosimilmente dalla pallottola. Siccome si era staccato dal passamontagna di C. G. all’epoca della manipolazione di questa, era impossibile sapere se questo frammento proveniva dalla parte anteriore, laterale o posteriore del passamontagna. Ciò dicendo, i periti facevano stato di tracce di una materia non appartenente al proiettile in quanto tale ma proveniente da un materiale utilizzato nella costruzione. Inoltre, dei micro-frammenti di piombo erano stati trovati nella parte anteriore e dietro al passamontagna, ciò che sembrava confermare l’ipotesi secondo la quale la pallottola aveva in parte perso la sua corazza al momento dell’impatto.
In quanto alla natura dell’ “oggetto intermedio”, i periti affermavano che non era possibile stabilire di che oggetto si trattasse ma che si poteva escludere l’estintore che C. G. teneva all’ estremità del braccio.
74. Infine, in quanto alla distanza di tiro, i periti stimavano che era stata superiore a 50-100 centimetri.
75. Per ricostituire i fatti nella cornice dell’ “ipotesi della collisione con un oggetto”, i periti avevano proceduto poi a prove di tiro ed a simulazioni video e di software. Le loro conclusioni erano le seguenti: partendo dal postulato che la pallottola aveva urtato un altro oggetto, non era loro possibile stabilirne la traiettoria, poiché questa era stata modificata certamente dalla collisione. Basandosi su un sequenza video che mostrava una pietra che si disgregava nell’aria e sulla detonazione percepita nella banda suono, i periti stimavano che la pietra era esplosa immediatamente dopo lo sparo.
Sulla base di una simulazione di software, i periti concludevano che la pallottola tirata da M.P verso l’alto aveva colpito C. G. in seguito alla collisione con questa pietra che era stata lanciata da un altro manifestante contro la jeep. I periti stimavano che la distanza tra C. G. e la jeep era di circa 1,75 metri al momento dello sparo e che in questo momento preciso M.P. poteva vedere C. G..
6. Le investigazioni condotte dai richiedenti
76. I richiedenti depositarono una dichiarazione fatta dinnanzi al loro avvocato dal manifestante J.M. in data del 19 febbraio 2002. J.M. aveva dichiarato in particolare che C. G. era ancora vico dopo il passaggio della jeep sul suo corpo e che aveva attirato l’attenzione degli agenti sul ferito ed aveva urlato delle parole come “medico, ospedale….” All’arrivo dei membri delle forze dell’ordine, J.M. si era allontanato.
I richiedenti sottoposero poi una dichiarazione di un carabiniere (V.M) facendo stato di una pratica secondo lui diffusa in seno alle forze dell’ordine, consistente nel modificare i proiettili del tipo di quello utilizzato da M.P. per aumentarne la capacità di espansione e dunque di frammentazione.
77. I richiedenti depositarono infine due rapporti di perizia redatti dai periti che avevano loro stessi nominato. Secondo uno di loro, il Sig. G., la pallottola era già frammentata nel momento in cui aveva raggiunto la vittima. La frammentazione della pallottola poteva spiegarsi con un difetto o con una manipolazione del proiettile tesa ad aumentare la sua capacità di frammentazione. Il perito stimava che ciò si verificava in un numero limitato di casi e che quindi si trattava di un’ipotesi meno probabile che quella emessa dai periti della procura, ossia che la pallottola aveva urtato un oggetto durante la sua traiettoria.
Inoltre, gli altri periti incaricati dai richiedenti di ricostituire lo svolgimento dei fatti esclusero che “la pietra” si era frammentata in seguito ad una collisione con la pallottola tirata da M.P. ; la pietra si era frammentata a loro avviso contro la jeep. Secondo i periti, per potere ricostituire i fatti a partire dal materiale audiovisivo, ed in particolare a partire dalle fotografie, bisognava stabilire necessariamente la posizione precisa del fotografo, in particolare il suo angolo di visione, tenendo anche conto del tipo di materiale (focale, cassa, cinepresa) utilizzato. Inoltre, bisognava mettere in rapporto, da una parte, le immagini ed il tempo, e, dall’altra parte, le immagini ed il suono. Peraltro, i periti contestarono il metodo dei periti incaricati dalla procura che si era basato su un “simulazione video e di software” e non avevano analizzato le immagini disponibili con rigore e precisione. Delle critiche simili furono formulate a riguardo di questi stessi periti, al motivo che non avevano seguito un metodo affidabile all’epoca delle prove di tiro.
78. I periti dei richiedenti conclusero che C. G. si trovava a circa tre metri della jeep al momento dello sparo e che, se non si poteva negare che la pallottola omicida era frammentata quando aveva raggiunto C. G., si doveva escludere che avesse urtato la pietra visibile sull’immagine, in particolare perché una pietra avrebbe deformato differentemente la pallottola ed avrebbe lasciato un altro tipo di tracce sul corpo di C. G.. In più, M.P. non aveva tirato verso l’alto.
7. L’istanza di archiviazione senza seguito
79. A titolo preliminare, la procura osservò che l’organizzazione delle operazioni di mantenimento e di ristabilimento dell’ordine pubblico era stata modificata profondamente nella notte dal 19 al 20 luglio 2001, e considerò che ciò spiegava una parte delle disfunzioni sopraggiunte il 20 luglio. Non enumerò tuttavia le modifiche e le disfunzioni derivanti.
Sulla base degli elementi della pratica, la procura ricostituì i fatti che avevano preceduto la morte di C. G.. In quanto all’iniziativa di appostarsi in via Caffa per bloccare in via Tolemaide i manifestanti presenti, la procura prese nota del fatto che la versione dei fatti presentati dal Sig. L. divergeva in parte da quella del capitano C.: mentre il Sig. L. parlava di una decisione presa di comune accordo, il capitano C. sosteneva che gli uomini erano stati appostati su decisione unilaterale del Sig. L., e questo malgrado i rischi che poteva comportare tale decisione, numero ridotto e stanchezza degli uomini del distaccamento.
80. La procura esaminò poi i rapporti di perizia e rilevò che i differenti periti si accordavano in particolare sul fatto che la pistola di M.P. aveva tirato due pallottole di cui la prima aveva portato un colpo mortale a C. G.; che la pallottola in causa non si era frammentata unicamente perché aveva raggiunto C. G.; che la fotografia che mostra C. G. che porta l’estintore era stata presa mentre era a circa a tre metri della jeep.
I periti avevano in compenso, delle opinioni divergenti in particolare sui seguenti punti:
a) nel momento in cui era stato raggiunto, C. G. era a 1,75 metri dalla jeep secondo i periti della procura, ma a circa 3 metri per i periti del famiglia G.;
b) concernente il divario tra le immagini della pietra ed il rumore dell’esplosione: per i periti del famiglia G., il colpo era partito prima che si potesse vedere la pietra, mentre i periti della procura pensavano il contrario.
81. Dato che le parti si accordavano nel dire che la pallottola era frammentata già quando aveva raggiunto la vittima, la procura ne dedusse che le parti erano anche d’i accordo sulle cause di questa frammentazione e che i richiedenti aderivano alla “teoria della pallottola deviata da un oggetto solido.” Il passaggio pertinente dell’istanza di archiviazione si legge così:
“I punti che non sono oggetto di nessuna contestazione sostanziale sono indicati schematicamente qui di seguito:
(…)
Prima di toccare G., la pallottola ha incontrato sulla sua traiettoria un oggetto che ne ha causato la frammentazione parziale.
La nota in basso alla pagina dice: Alla pagina 13 del rapporto di perizia del 10.06.02, il perito, il Sig. T., afferma: “In breve, tutti gli elementi di cui disponiamo indicano che la pallottola, prima di raggiungere il viso di C. G., è entrata in contatto con un oggetto duro (bersaglio intermedio) capace di rallentarne la traiettoria in modo significativa, di danneggiarne la corazza, favorendo così la sua disgregazione, e di lasciare delle tracce sul nocciolo di piombo.” Il perito della famiglia GG., il Sig. G., afferma in quanto a lui, alla pagina 2 del suo rapporto di perizia depositata il 09.08.02: “Possiamo aderire al parere del professore T. solamente secondo che un proiettile di tale calibro, conforme all’attrezzatura NATO, non avrebbe potuto (la negazione è stata aggiunta il 5.10.02 dalla mano del Sig. G., durante il confronto tra i periti) essere frammentato in seguito ad un solo impatto finale con la vittima”.
Le altre ipotesi suscettibili di spiegare la frammentazione della pallottola che erano state avanzate dai richiedenti – come una manipolazione della pallottola tesa ad aumentare la sua capacità di frammentarsi o un difetto di fabbricazione-erano considerate dai richiedenti stessi come “molto più improbabili.” Per la loro più di debole probabilità, queste ipotesi non potevano secondo la procura fornire una spiegazione valida.
82. Prima di passare alle considerazioni giuridiche, la procura osservò che l’inchiesta era stata lunga, in particolare in ragione del ritardo di alcuni periti e della “superficialità” del rapporto di autopsia, così come degli errori commessi dal Sig. C., uno dei periti. Poi, stimò che l’inchiesta era stata condotta a termine e che ogni questione pertinente era stata approfondita. In conclusione, la procura giudicò che l’ipotesi della pallottola tirata verso l’alto e deviata da una pietra lanciata nell’aria era più convincente.” Tuttavia, considerò che gli elementi della pratica non permettevano di determinare se M.P. aveva tirato nella sola intenzione di disperdere i manifestanti o assumendosi il rischio di ferirne o di ucciderne uno o parecchi. Tre ipotesi furono considerate, e non ci sarebbe mai stata una risposta certa”:
-nel primo caso, si trattava di tiri di intimidazione e dunque di un omicidio che risulta da una mancanza;
-nel secondo caso, M.P. aveva tirato per arrestare l’aggressione ed aveva assunto il rischio di uccidere in quale caso ci sarebbe stato omicidio volontario;
-nel terzo caso, M.P. aveva mirati a C. G. e si trattava anche di un omicidio volontario.
Secondo la procura, gli elementi della pratica permettevano di escludere la terza ipotesi.
83. La procura considerò poi che la collisione tra la pietre e la pallottola non era di natura tale da rompere il legame di causalità tra i comportamenti di M.P. e la morte di C. G.. Il legame di causalità rimaneva, essendo la questione di sapere se M.P. aveva agito in stato di legittima difesa.
84. Agli occhi della procura, era accertato che l’integrità fisica degli occupanti della jeep era minacciata e che M.P. “aveva risposto” mentre era in pericolo. Detto ciò, bisognava valutare la risposta di M.P, tanto dal punto di vista della necessità che della proporzionalità, “essendo questo ultimo aspetto il più delicato”.
In quanto alla questione di sapere se M.P. aveva un’altra opzione e se ci si poteva aspettare che si comportasse diversamente, la procura rispose negativamente avanzando le seguenti ragioni: “la jeep era accerchiata dai manifestanti, l’aggressione fisica contro gli occupanti era evidente e violenta.” Era a buon diritto che M.P. aveva avuto il sentimento di essere in pericolo di morte. La pistola era un strumento capace di fermare l’aggressione, ed non si poteva criticare M.P. in quanto alla scelta dell’attrezzatura che si gli era stata fornita. Da un punto di vista giuridico, non si poteva esigere da M.P. che evitasse di utilizzare la sua arma da fuoco e subisse un’aggressione suscettibile di minacciare la sua integrità fisica.
85. Alla luce di queste considerazioni, la procura chiese l’archiviazione senza seguito della causa.
8. L’opposizione dei richiedenti
86. Il 10 dicembre 2002, i richiedenti fecero opposizione all’istanza di archiviazione senza seguito. Appellandosi al fatto che la procura stessa aveva riconosciuto che l’inchiesta era stata caratterizzata da errori e a dubbi che non avevano trovato risposte certe, sostenevano che i dibattimenti contraddittori erano indispensabili alla ricerca della verità.
87. In quanto a M.P, i richiedenti contestavano la tesi della pallottola deviata dalla pietra ed adducevano che non si poteva affermare al tempo stesso che M.P. avesse sparato in aria e che avesse agito in stato di legittima difesa, tanto più che l’interessato aveva dichiarato di non avere visto C. G. al momento dello sparo.
I richiedenti facevano notare poi che la tesi della pallottola deviata da un oggetto era stata emessa un anno dopo i fatti da un perito nominato dalla procura e che si basava su una semplice ipotesi non corroborata da elementi obiettivi. Il perito dei richiedenti aveva stimato che una collisione con una pietra avrebbe deformato la pallottola in un altro modo. Inoltre, i richiedenti si riferivano alla dichiarazione che faceva stato della pratica che consisteva nel modificare le pallottole per aumentarne la capacità di espansione e dunque di frammentazione.
88. A riguardo di F.C, i richiedenti facevano osservare che risultava dalla pratica che C. G. era ancora vivo dopo il passaggio della jeep sul suo corpo. A questo riguardo, sottolineavano che l’autopsia che aveva concluso alla mancanza di lesioni apprezzabili provocate dal passaggio della jeep era stata qualificata come superficiale dalla procura.
89. Alla luce di queste considerazioni, e criticando la scelta di affidare parecchi atti ai carabinieri dell’ inchiesta, i richiedenti insistevano affinché un processo avesse luogo, al fine della determinazione delle responsabilità in quanto al decesso di C. G..
90. A titolo accessorio, i richiedenti chiedevano il compimento di altri atti di inchiesta, in particolare:
a) una perizia tesa a stabilire le cause ed il momento del decesso di C. G., in particolare per sapere se questo era ancora vivo durante e dopo il passaggio della jeep;
b) un ascolto del capo della polizia, Sig. D. G., e del carabiniere Z., per sapere quali direttive erano state date in quanto al porto dell’arma sulla coscia;
c) la ricerca e l’identificazione della persona che aveva lanciato la pietra in causa;
d) un secondo ascolto dei manifestanti che si erano presentati spontaneamente;
e) l’ascolto del carabiniere V.M che aveva fatto stato della pratica che consisteva nell’ incidere la punta dei proiettili per dare loro un migliore effetto;
f) una perizia sui bossoli ritrovati e sulle armi di tutti i poliziotti o dei carabinieri che si trovavano in piazza Alimonda al momento dei fatti.
9. L’udienza dinnanzi al giudice delle investigazioni preliminari
91. L’udienza dinnanzi al giudice delle investigazioni preliminari ebbe luogo il 17 aprile 2003. Risulta dal resoconto di udienza che i richiedenti mantennero la loro tesi secondo cui la pallottola in causa non si era frammentata in seguito ad una collisione con la pietra. Esclusero la possibilità che la pallottola fosse stata deviata e sostennero che questa aveva raggiunto direttamente la vittima. V., il rappresentante dei richiedenti all’udienza, dichiarò in quanto all’ipotesi secondo cui era stato possibile modificare il proiettile per renderlo di più alto rendimento, seguendo la pratica riferita da un testimone: “evidentemente non abbiamo prove, si tratta di una testimonianza che si è prodotta per avanzare differenti ipotesi. Certamente, non possiamo affermare, e noi non lo pretendiamo che M.P. ha fatto questo.”
92. Il procuratore presente all’udienza dichiarò che aveva l’impressione che “certe questioni di cui [aveva] creduto che erano l’oggetto di una convergenza, non lo erano [che] c’[erano] al contrario delle divergenze.” Ricordò che il perito dei richiedenti, il Sig. G., era d’ accordo sul fatto che il proiettile era stato danneggiato prima di raggiungere C. G. e che aveva riconosciuto che, tra le cause possibili del danno c’era una collisione con qualcosa o un difetto intrinseco del proiettile, e che questa seconda ipotesi era meno probabile della prima.
10. La decisione del giudice delle investigazioni preliminari
93. Con un’ordinanza depositata alla cancelleria il 5 maggio 2003, il giudice delle investigazioni preliminari di Genova archiviò la causa senza seguito.
94. Per ricostituire i fatti, il giudice fece riferimento ad un riassunto dei fatti stabiliti da un anonimo e messo in bella copia da un sito anarchico (www.anarchy99.net), riassunto che il giudico stimava credibile tenuto conto della sua concordanza col materiale audiovisivo e le dichiarazioni di testimoni:
“[ è] particolarmente interessante dedicarsi sulla descrizione, versata alla pratica, che un partecipante anonimo alle manifestazioni aveva messo in linea su un sito Internet che può essere collegato agli anarchici francesi (www.anarchy99.net); dà un resoconto preciso e cer