A.N.P.T.ES. Associazione Nazionale per la Tutela degli Espropriati. Oltre 5.000 espropri trattati in 15 anni di attività.
Qui trovi tutto cio che ti serve in tema di espropriazione per pubblica utilità.

Se desideri chiarimenti in tema di espropriazione compila il modulo cliccando qui e poi chiamaci ai seguenti numeri: 06.91.65.04.018 - 340.95.85.515

Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE GIAVI c. GRÈCE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 1
Articoli: 14, 35, P1-1
Numero: 25816/09/2013
Stato: Grecia
Data: 2013-10-03 00:00:00
Organo: Sezione Prima
Testo Originale

Conclusioni: Parzialmente inammissibile Non -violazione dell’articolo 14+P1-1 – Interdizione della discriminazione, Articolo 14 – Discriminazione, (articolo 1 del Protocollo n° 1 – Protezione del proprietà articolo 1 al. 1 del Protocollo n° 1 – Rispetto dei beni,

PRIMA SEZIONE

CAUSA GIAVI C. GRECIA

( Richiesta no 25816/09)

SENTENZA

STRASBURGO

3 ottobre 2013

Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nel causa Giavi c. Grecia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, riunendosi in una camera composta da:
Isabelle Berro-Lefèvre, presidentessa,
Elisabetta Steiner,
Khanlar Hajiyev,
Mirjana Lazarova Trajkovska,
Julia Laffranque,
Linos-Alexandre Sicilianos,
Erik Møse, giudici e
di Søren Nielsen, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 10 settembre 2013,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 25816/09) diretta contro la Repubblica ellenica e in cui una cittadina di questo Stato, la Sig.ra A. G. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 15 aprile 2009 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da Me L. P., avvocato ad Atene. Il governo greco (“il Governo”) è rappresentato presso dalle delegate del suo agente, la Sig.ra G. Papadaki, assessore del Consulente legale dello stato, e la Sig.ra Z. Hadjipavlou, ascoltatrice presso del Consulente legale dello stato.
3. Il richiedente adduce una violazione dell’articolo 6 § 1 (termine ragionevole) della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo no 1, preso isolatamente e/o combinato con l’articolo 14 della Convenzione.
4. Il 24 marzo 2010, la vicepresidentessa della prima sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Siccome lo permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciara sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1931 e ha risieduto a Glyka Nera.
6. Il 18 giugno 1997, il richiedente, donna delle pulizie all’ospedale generale della prefettura dell’Attica dell’ovest, investe il tribunale di prima istanza di Atene di un’azione contro l’ospedale con la quale richiedeva una somma di 27 413 254 dracme (80 449,75 euro, corrispondente ai complementi di stipendi ed indennità che non gli sarebbero state versate tra il 1 giugno 1994 ed i 21 marzi 1997, data della sua partenza alla pensione. Chiedeva anche degli interessi su questa somma a contare della notificazione dell’azione alla parte avversa e fino al versamento. L’azione fu notificata alla parte avversa il 24 giugno 1997.
7. L’udienza ebbe luogo il 16 dicembre 1997.
8. Con un giudizio del 28 aprile 1998, il tribunale respinse l’azione al motivo che a contare del 1 luglio 1988, il regime degli stipendi del personale degli ospedali pubblici non si applicava più alla situazione contrattuale del richiedente che era stato modificato. Il giudizio fu messo al netto e fu certificato conforme il 22 settembre 1998.
9. Il 24 marzo 2000, il richiedente interpose appello contro questo giudizio dinnanzi alla corte di appello di Atene ed il 5 aprile 2000 invitò questa a fissare la data dell’udienza. I dibattimenti ebbero luogo il 30 maggio 2000.
10. Il 5 luglio 2001, la corte di appello annullò parzialmente il giudizio ed accordò al richiedente l’intimo di 22 244 224 dracme. Negò di accordargli degli interessi sulla somma accordata, a contare della notificazione dell’azione, il 24 giugno 1997, e fino al versamento, al motivo che il richiedente aveva rinunciato a percepire degli interessi perché aveva trasformato la sua azione in recupero, katapsifistiki agogi, in azione declaratoria, anagnoristiki agogi. Giudicò, inoltre, che le pretese del richiedente per il periodo dal 1 giugno al 31 dicembre 1994 erano estinte dalla prescrizione biennale prevista all’articolo 48 § 3 del decreto 496/1974, relativo alla contabilità delle persone giuridiche di dritto pubblico, ai contratti ed alle prescrizioni, che prese in conto di ufficio in applicazione dell’articolo 52, 3 frase, dello stesso decreto.
11. La sentenza fu messa al netta e fu certificata conforme il 24 agosto 2001.
12. Il 10 settembre 2001, il richiedente si ricorse in cassazione. Si basava, entra altri, sugli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1. Sosteneva che nessuno motivo valido poteva giustificare l’applicazione di un termine di prescrizione di due anni alle pretese degli impiegati di persone giuridiche pubbliche contro queste, mentre il termine di diritto comune era di cinque anni, articolo 250 del codice civile che quell’applicabile agli altri creditori delle stesse persone giuridiche era anche di cinque anni, articolo 48 § 1 del decreto, e che quell’applicabile ai crediti delle stesse persone giuridiche verso i terzo era anche di cinque anni (articolo 44 del decreto). Sottolineava che gli interessi di tesoreria delle persone giuridiche pubbliche non avrebbero saputo valere essi un trattamento di favore allo scapito dei loro impiegati.
13. L’udienza, inizialmente fissata al 2 aprile 2002, fu rinviata, alla domanda del richiedente, al 21 gennaio 2003. A questa data, fu rinviata ancora alla domanda di questa. Il 11 gennaio 2007, il richiedente chiese la determinazione di una notizia dato di udienza. Questa fu fissato al 16 ottobre 2007 ma fu rinviata, di nuovo alla domanda del richiedente, al 23 settembre 2008, data alla quale ebbe luogo.
14. Il richiedente ammette che il suo avvocato sollecitò il rinvio delle udienze del 2 aprile 2002 e 21 gennaio 2003 perché il rapporto redatto dal giudice delatore era sfavorevole alle tesi di questa e stimava opportuno di aspettare delle sentenze del Consiglio di stato e della Corte dei conti che sarebbero favorevoli ai suoi interessi.
15. Con una sentenza del 4 novembre 2008, messi al netto e certificato conforme il 15 dicembre 2008, la Corte di cassazione respinse il ricorso.
16. Affermò che la prescrizione stabilita dagli articoli 48 § 3 e 49 del decreto, più corta di quella stabilito dall’articolo 44 per i crediti delle persone giuridiche di dritto pubblico al riguardo di terzo, non disconosceva 4 § 1 l’articolo della Costituzione (uguaglianza dinnanzi alla legge) perché era giustificata dal bisogno di liquidazione veloce degli obblighi delle persone giuridiche di dritto pubblico. Aggiunse che la determinazione di termini di prescrizione differente secondo il tipo di pretese, di debitori e di creditori non violava l’articolo 6 § 1 della Convenzione né l’articolo 1 del Protocollo no 1 che non impedisce il legislatore di stabilire delle regole che fissano un termine di prescrizione differente secondo i casi. Di conseguenza, la corte di appello, considerando che le pretese del richiedente stabilito fino al 31 dicembre 1994 erano estinte da prescrizione alla data dell’introduzione della sua azione, due anni dopo la fine dell’anno durante quale erano nate, non aveva violato gli articoli 6 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1.
17. Infine, la Corte di cassazione sottolineò che l’esame di ufficio coi tribunali del gioco della prescrizione al profitto dello stato e delle persone giuridiche di dritto pubblico, contemplata all’articolo 52, 3 frase del decreto ed istituita per i motivi di interesse pubblico, non era contrario agli articoli 4 § 1 della Costituzione, 6 § 1 della Convenzione, perché le parti avverse delle persone giuridiche non erano private del loro diritto di sollevare delle obiezioni per confutare il gioco della prescrizione, e 1 del Protocollo no 1, perché questo articolo non impediva il legislatore di stabilire delle regole concernente la prescrizione delle pretese e la presa in conto di ufficio di questa coi tribunali.
18. La somma accordata al richiedente con la corte di appello gli fu versata il 9 luglio 2002.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNI PERTINENTI
A. La prescrizione
19. L’articolo 250 del codice civile contempla:
Si prescrivono con cinque anni le pretese [che riguardano]: (…) 17o gli stipendi e stipendio di ogni genere, i redditi arretrati, le pensioni di pensione, gli assegni alimentari, così come tutta altra prestazione periodicamente rinnovabile “
20. Il decreto legislativo no 496/1974 del 19 luglio 1974, relativo alla contabilità delle persone giuridiche di dritto pubblico ai contratti ed ai termini di prescrizione, disponi ciò che segue:
Articolo 44 § 1
“Ogni debito verso una persona giuridica di dritto pubblico è estinta da prescrizione dopo lo scorrimento di cinque anni a contare della fine dell’anno economico nella quale è stata constatata. “
Articolo 48
“1. Il termine di prescrizione delle pretese pecuniarie contro le persone giuridiche di dritto pubblico è di cinque anni, salvo se è precisato diversamente nel presente decreto.
(…)
3. Il termine di prescrizione per le pretese degli impiegati delle persone giuridiche di dritto pubblico contro queste, che questi impiegati siano legati loro coi contratti di dritti pubblico o di diritto privato, a causa di ritardo nel versamento di stipendi altri sussidi o delle indennità è di due anni. “
Articolo 49
“Il termine di prescrizione comincia a decorrere a contare della fine dell’anno economico durante la quale la pretesa è nata ed il suo recupero con via giudiziale è possibile. “
Articolo 52
“(…) La prescrizione è presa in conto di ufficio coi tribunali. “
21. L’articolo 90 § 3 della legge no 2362/1995 sulla contabilità pubblica dispone:
“Le pretese dei funzionari che hanno una relazione contrattuale di dritta pubblico o di diritto privato contro lo stato che riguarda la loro rimunerazione o tutto altro tipo di indennità sono prescritte entro due anni a contare della loro nascita. “
22. Con una sentenza no 9/2009 del 4 maggio 2009, la Corte speciale suprema, incaricata di deliberare tra altri sui conflitti di giurisprudenza tra le giurisdizioni, ha tolto una divergenza che era nata di sentenze contraddittorie del Consiglio di stato e della Corte di cassazione a proposito della costituzionalità dell’articolo 48 § 3 del decreto legislativo no 496/1974. La Corte speciale suprema ha giudicato che la prescrizione biennale prevista a questo articolo era stata stabilita per le ragioni di interesse generale ed in particolare il bisogno di una liquidazione veloce dei crediti che derivano dei sussidi mensili accordati con le persone giuridiche di dritto pubblico. Una liquidazione veloce era necessaria alla protezione del patrimonio e della situazione finanziaria di queste persone giuridiche ai quali contribuivano i cittadini col pagamento delle imposte. Di conseguenza, la disposizione dell’articolo 48 § 3 che imponevano una prescrizione biennale per i crediti dei funzionari delle persone giuridiche di dritto pubblici, non ignorava il principio di uguaglianza garantita dall’articolo 4 della Costituzione.
23. Deliberando così, la Corte speciale suprema ha seguito in materia la giurisprudenza della Corte di cassazione.
24. Inoltre, tanto la Corte di cassazione, sentenze 31/2007 e 272/2009, che il Consiglio di stato (sentenza 3546/2004) ha giudicato che la prescrizione biennale non creava una discriminazione tra, da una parte, i funzionari delle persone giuridiche di dritto pubblico e, altro parte, gli impiegati delle imprese private o gli imprenditori nelle loro relazioni con queste persone giuridiche che essi beneficiavano di una prescrizione di cinque anni, perché questa differenziazione si giustificava non solo con la necessità di proteggere il patrimonio delle persone giuridiche di dritto pubblico ma anche in ragione dello statuto speciale dei funzionari e del regime giuridico differente che si applicava ai rapporti dei funzionari e degli impiegati delle imprese private coi loro datori di lavoro.
25. Deliberando sulla compatibilità dell’articolo 90 § 3 della legge no 2362/1995 recentemente sulla contabilità pubblica con la Costituzione, la Corte speciale suprema ha giudicato che questo articolo non era contrario all’articolo 4 § 1, uguaglianza dinnanzi alla legge, della Costituzione, sentenza no 1/2012 del 4 aprile 2012. Considerò che la prescrizione biennale era stata istituita da questo articolo per i motivi di interesse generale ed in particolare il bisogno di liquidare velocemente le pretese che risultano dai pagamenti periodici e degli obblighi dello stato e che era necessario per la protezione del patrimonio e della situazione finanziaria di questo. Era anche necessaria per evitare ogni modifica dei dati economici sul fondamento dai quali lo stato contemplava il funzionamento dell’amministrazione, le spese e la preparazione del bilancio, ed ogni conseguenza nefasta che poteva avere sull’esecuzione del bilancio la soddisfazione delle pretese che potrebbero essere accumulate col passare degli anni da numerose azioni di funzionari portate contro lo stato. L’interesse di questo di contemplare le sue entrate e le sue spese senza che sia ostacolato dai debiti non regolate giustificava la determinazione dei termini per l’introduzione delle azioni giudiziali. La differenziazione che comprendeva l’articolo 90 § 3 rispetto alle prescrizioni contemplate 90 § agli articoli 1 e 86 §§ 2 e 3 della stessa legge, si giustificava anche con le differenze esistenti tra funzionari pubblici ed impiegati di diritto privato così come con lo statuto giuridico differente che regolava le relazioni di queste due categorie di professionisti coi loro datori di lavoro.
B. Il codice di procedura civile
26. L’articolo 672A del codice di procedimento civile contempla:
“Le decisioni giudiziali sulle controversie relative agli stipendi versati devono essere rese tardivamente obbligatoriamente, in prima istanza, entro quindici giorni a contare dell’udienza e, in appello, entro un mese a contare di questa. “
C. La Costituzione
27. L’articolo 103 § 4 della Costituzione dispongono:
“I funzionari che occupano una stazione statutaria sono inamovibili, finché questa stazione esiste. (…) “
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1, COMPOSTO CON L’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE
28. Il richiedente si lamenta che la determinazione di termini di prescrizione più corta per i crediti degli impiegati di persone pubbliche contro queste rispetto a quelli che si applica allo stato in quanto creditore o a quelli che rileva del diritto comune, e che sono presi in conto di ufficio coi tribunali, l’ha privata di una parte dei suoi complementi di stipendi ed indennità insolute, senza che ciò sia giustificato da nessuno scopo di interesse pubblico. Invoca l’articolo 1 del Protocollo no 1, composto con l’articolo 14 della Convenzione. Questi articoli sono formulati così:
Articolo 1 del Protocollo no 1
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
Articolo 14 della Convenzione
“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione deve essere garantito, senza distinzione nessuna, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche od ogni altra opinione, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, la fortuna, la nascita od ogni altra situazione. “
29. In primo luogo, il Governo sostiene che il richiedente non è titolare di un “bene” al senso della Convenzione e che sarebbe riconosciuto dal diritto interno. Le pretese di questa contro l’ospedale per il periodo dal 1 giugno al 31 dicembre 1994 sono state respinte come prescritte con le giurisdizioni interne. Queste pretese non possono essere fondate né sul diritto interno né sulla giurisprudenza, in particolare dopo l’adozione della sentenza della Corte speciale suprema che è costrittivo per tutte le giurisdizioni.
30. In secondo luogo, il Governo pretende che la scelta del legislatore di contemplare per le pretese degli impiegati delle persone giuridiche di dritto pubblico un termine di prescrizione più corta che quell’applicabile agli impiegati del settore privato o ai crediti delle persone giuridiche loro stesse non costituisce un attentato al diritto al rispetto dei beni. L’articolo 48 § 3 del decreto 496/1974 non privano il funzionario del suo bene, ma fisso di anticipo un termine sufficiente in che l’interessato deve tentare il recupero dei suoi crediti con via giudiziale o extragiudiziale. Nello specifico, questo articolo esisteva prima della nascita delle pretese del richiedente e questa doveva conoscerlo.
31. Secondo il Governo, la determinazione di una prescrizione biennale insegue un scopo legittimo di interesse pubblico: la liquidazione veloce, giudiziale o extragiudiziale, delle pretese che derivano dei sussidi accordati dalle persone giuridiche di dritto pubblico, è necessaria per la protezione del patrimonio e della situazione finanziaria di queste. Una tale liquidazione veloce è giustificata tanto dall’importo alzato delle pretese cumulate di un gran numero di funzionari che sono introdotti spesso collettivamente che con le conseguenze nefaste che l’introduzione intempestiva di queste pretese potrebbe avere sul bilancio delle persone giuridiche. L’articolo 48 § 3 si applicano all’insieme dei funzionari, in attività o alla pensione, ed alla maggioranza schiacciante delle pretese di questi; si tratta dunque non di un’eccezione introdotta dal legislatore al diritto civile o al diritto del lavoro, ma di una regolamentazione che riguarda una grande categoria di pretese. Dovere riservare dei denari pubblici per coprire degli obblighi potendo concretarsi in modo imprevedibili parecchi anni dopo i fatti generatori delle pretese afferenti sarebbe sorgente dell’importa disfunzioni per le persone giuridiche di dritto pubblico ed introdurrebbe dei rischi nella loro gestione finanziaria.
32. Infine, il Governo afferma che è compatibile col diritto comunitario di contemplare nel diritto interno delle regole meno favorevoli per l’introduzione delle vie di ricorso contro lo stato rispetto a queste che riguarda gli individui (sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee) Aprile (C-228/1996, § 19, Dillexport (C-343/1996, § 26, e Marchi e Spencer, (C-62/2000), §§ 35, 41-42,).
33. Sotto l’angolo dell’articolo 14 della Convenzione, il Governo reitera per l’essenziale gli stessi argomenti.
34. Il richiedente sostiene che il suo diritto a percepire la differenza degli stipendi per il periodo dal 1 giugno al 31 dicembre 1994 è stato riconosciuto dalla sentenza della corte di appello del 5 luglio 2001 e che se è stata privata di questa somma, questo è perché questa stessa corte ha applicato nel suo caso l’articolo 48 § 3.
35. Si avvale, inoltre, del sentenza Zouboulidis c. Grecia (no 2) (no 36963/06, 25 giugno 2009 in che la Corte ha giudicato che l’applicazione con le giurisdizioni interne di disposizioni speciali che accordano allo stato dei privilegi aveva recato offesa al diritto del richiedente al rispetto dei suoi beni ed aveva rotto appena l’equilibro a predisporre tra le protezioni della proprietà e le esigenze dell’interesse generale. Sottolinea che la sentenza della Corte suprema speciale che è stata resa prima della sentenza Zouboulidis precitato non è dirimant perché non ha preso in conto l’articolo 1 del Protocollo no 1.
36. Secondo la giurisprudenza della Corte, l’articolo 1 del Protocollo nº 1 contiene tre norme distinte: la prima che si esprime nella prima frase del primo capoverso e riveste un carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, figurando che nel secondo, fraseggia dello stesso capoverso, prevedi la privazione di proprietà e la sottopone a certe condizioni; in quanto alla terza, registrata nel secondo capoverso, riconosce agli Stati il potere, entra altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale. Non si tratta per tanto di regole prive di rapporti tra esse. La seconda e la terza hanno fatto riferimento agli esempi particolari di attentati al diritto di proprietà; quindi, devono interpretarsi alla luce del principio consacrato dalla prima (vedere, per esempio, Scordino c. Italia (no 1) [GC], no 36813/97, § 78, CEDH 2006-V, e Kozacıoğlu c. Turchia [GC], no 2334/03, § 48, 19 febbraio 2009.
37. La Corte ricorda che la nozione di “bene”, menzionato alla prima parte dell’articolo 1 del Protocollo nº 1, ha una portata autonoma che non si limita alla proprietà di beni corporali. In ogni causa, importa di esaminare se le circostanze, considerate nel loro insieme, hanno reso il richiedente titolare di un interesse sostanziale protetto dall’articolo 1 del Protocollo nº 1, Iatridis c. Grecia [GC], nº 31107/96, § 54, CEDH 1999-II, Beyeler c. Italia, [GC], nº 33202/96, § 100, CEDH 2000-I, e Broniowski c. Polonia [GC], nº 31443/96, § 129, CEDH 2004-V.
38. Di più, una distinzione è discriminatoria al senso dell’articolo 14, se “manca di giustificazione obiettiva e ragionevole”, questo essere-a-argomento se non insegue un “scopo legittimo” o se non c’è “rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto.” Peraltro, gli Stati contraenti godono di un certo margine di valutazione per determinare se e delle distinzioni giustificano in quale misura delle differenze tra situazioni analoghe ad altri riguardi di trattamento, Zeïbek c. Grecia, no 46368/06, § 46, 9 luglio 2009.
39. Nella presente causa, la Corte nota che con la sua sentenza del 5 luglio 2001, la corte di appello ha accordato una somma di 22 244 224 dracme che corrispondeva ai complementi di stipendi ed indennità al richiedente non versati. Ha negato di accordargli degli interessi moratori sulla somma accordata al motivo che l’azione aveva un carattere declaratorio e ha giudicato che le pretese del richiedente per il periodo dal 1 giugno al 31 dicembre 1994 erano estinte da prescrizione.
40. Ne risulta che le pretese del richiedente entrano nel campo di applicazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 e del diritto al rispetto dei beni che garantisce, ciò che basta a rendere l’articolo 14 della Convenzione applicabile, Fabris c. Francia [GC], no 16574/08, §§ 48-55, 7 febbraio 2013.
41. La Corte constata che questo aspetto della richiesta non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
42. La Corte ricorda che il solo fatto che le pretese del richiedente erano sottoposte ad un termine di prescrizione non dà nessun problema a riguardo della Convenzione. L’istituzione di termini di prescrizione è un fatto riferimento comune ai sistemi giuridici degli Stati contraenti, mirando a garantire la sicurezza ́giuridica fissando un termine alle azioni ed ad impedire l’ingiustizia che potrebbe prodursi se i tribunali fossero chiamati a pronunciarsi su degli avvenimenti sopraggiunti lontano nel passaggio (́J.A). Pye, Oxford, Ltd e J.A. Pye (Oxford, Land Ltd c,). Regno Unito [GC], no 44302/02, § 68, Stubbings ed altri c. Regno Unito, 22 ottobre 1996, § 51, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-IV.
43. In generale, la Corte ricorda che un’ampia latitudine ha lasciato di solito allo stato per prendere delle misure di ordine generale in materia economica o sociale (vedere, James ed altri c, per esempio). Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 46, serie Ha no 98; Nazionale & Provinciale Edificio Society, Leeds Permanente Edificio Society e Yorkshire Edificio Society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, § 80, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VII. Di più, la Corte gode di una competenza limitata per verificare il rispetto del diritto interno, Håkansson e Sturesson c. Svezia, 21 febbraio 1990, § 47, serie Ha no 171-ha, e lei non ha per compito di sostituirsi alle giurisdizioni interne. Appartiene al primo capo alle autorità nazionali, in particolare ai corsi e tribunali, che tocca di interpretare la legislazione interna, Waite e Kennedy c. Germania [GC], no 26083/94, § 54, CEDH 1999-I.
44. Tuttavia, il ruolo della Corte è di ricercare se i risultati ai quali sono giunti le giurisdizioni nazionali sono compatibili coi diritti garantiti dalla Convenzione ed i suoi Protocolli. La Corte rileva che, nonostante il silenzio dell’articolo 1 del Protocollo no 1 in materia di esigenze procedurali, un procedimento giudiziale afferente al diritto al rispetto dei beni deve offrire anche alla persona riguardata un’occasione adeguata di esporre la sua causa alle autorità competenti per contestare infatti le misure che recano offesa ai diritti garantiti da questa disposizione. Per assicurarsi del rispetto di questa condizione, c’è luogo di considerare i procedimenti applicabili di un punto di vista generale (vedere Ad c Capitale Bank). Bulgaria, no 49429/99, § 134, CEDH 2005-XII (brani); Zafranas c. Grecia, no 4056/08, § 36, 4 ottobre 2011.
45. La Corte nota che il Governo reitera e sviluppa i suoi argomenti del causa Zouboulidis secondo che è in un scopo di interesse generale che le persone giuridiche di dritto pubblico beneficiano di termini di prescrizione più corta, nell’occorrenza due anni, per potere quadrare velocemente conti loro. Per rispondere al rimprovero che la Corte gli aveva indirizzato nella sentenza precitata e secondo che non forniva di elementi concreti sull’impatto sulla situazione finanziaria dello stato che avrebbe una decisione favorevole alle pretese di persone nella stessa situazione che il richiedente, ibid. § 35, il Governo porta degli elementi per dimostrare nella presente causa che l’è rivendicata dai funzionari delle persone giuridiche di dritto pubblico raggiungono degli importi molto importanti, ciò che comprometterebbe seriamente la realizzazione degli scopi di servizio pubblico di queste persone giuridiche se il termine di prescrizione fosse di cinque anni, tenendo conto della situazione economica e finanziaria reale.
46. Così il Governo indica che sono pendenti dinnanzi al Consiglio di stato i ricorsi di 257 impiegati attualmente dello stesso ospedale che quello dove lavora il richiedente e di cui le pretese ammontano a 2 570 000 euros. Indica anche che in esecuzione di decisioni giudiziali, lo stato ha versato agli impiegati di 34 ospedali dell’Attica una somma globale di 38 247 297,50 euros, interessi inclusi. Il sono accordate ai funzionari dello stato per il periodo 2003-2009 a titolo di stipendi e sussidi, in virtù di decisioni giudiziali, ammontano a 224 418 473,77 euros di cui 101 280 045,93 euros per il solo ministero della Salute e della Solidarietà sociale. Il Governo sostiene che se i funzionari beneficiassero di un termine di prescrizione di cinque anni, l’importo di queste somme sarebbe di più del doppio.
47. La Corte nota che la presente causa si distingue del causa Zouboulidis con almeno due aspetti. Da una parte, all’epoca delle circostanze di fatto del sentenza Zouboulidis, esisteva una divergenza di giurisprudenza tra i Consigli di stato e la Corte di cassazione che non era stata tolta ancora dalla Corte suprema speciale, paragrafo 22 sopra. Altra parte, gli argomenti invocati dal Governo a sostegno della sua tesi in questa causa, era di al naturale generale ed astratta (§§ 35-36 della sentenza precitata). Ora, la situazione non è più lo stesso nella cornice della presente causa, considerando le precisioni portate dal Governo e riassunte al paragrafo precedente.
48. La Corte non mette in dubbio il diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessari per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale (vedere, tra molto altri, Meïdanis c. Grecia, no 33977/06, § 26, 22 maggio 2008, né il diritto delle giurisdizioni nazionali di interpretare le disposizioni del diritto interno, diritti sottolineati dal Governo nello specifico. Ora, le pretese dei salariati delle persone giuridiche di dritto pubblico possono giustificare una regolamentazione nel senso dell’interesse della tesoreria, della gestione efficace dei denari pubblici e della continuità del servizio pubblico. La Corte constata a questo riguardo che il termine di prescrizione di due anni è stato istituito dal decreto legislativo no 496/1974 del 19 luglio 1974, relativo alla contabilità delle persone giuridiche di dritto pubblico, ai contratti ed ai termini di prescrizione. Secondo le alte giurisdizioni nazionali (Corte di cassazione) Consiglio di stato e Corte speciale suprema, l’interesse pubblico previsto dal termine speciale di due anni è, in particolare, il bisogno di un pronto ordinamento dei crediti derivando dei sussidi mensili accordati con le persone giuridiche di dritto pubblico, una liquidazione veloce che è necessario alla protezione del patrimonio e della situazione finanziaria di queste persone giuridiche ai quali contribuivano i cittadini col pagamento delle imposte. Questo interesse è ad avvicinare di quello misi in evidenza con la Corte speciale suprema, nella sua sentenza 1/2012 che prevede la prescrizione delle pretese dei funzionari contro lo stato, di evitare ogni modifica dei dati economici sul fondamento dai quali lo stato contemplava il funzionamento dell’amministrazione, le spese, la preparazione e l’esecuzione corrette del bilancio. L’interesse di contemplare le entrate e le spese senza che sia ostacolato dai debiti non regolate giustificava la determinazione di un termine di prescrizione di due anni per l’introduzione delle azioni giudiziali, per evitare le conseguenze nefaste che potrebbero avere sull’esecuzione del bilancio la soddisfazione delle pretese accumulate col passare degli anni da numerose azioni di funzionari portate contro lo stato, paragrafo 25 sopra. Ne va parimenti per il bilancio delle persone giuridiche, secondo il Governo che rileva l’importo alzato delle pretese cumulate, spesso introdotte collettivamente, di un gran numero di funzionari contro queste.
49. I dati forniti dal Governo, paragrafo 46 sopra, illustrano il carattere imprevedibile che potrebbe avere, per le persone giuridiche, delle pretese introdotte parecchi anni dopo i fatti generatori afferenti, che li obbligano a riservare dei denari pubblici per coprire degli obblighi potendo concretarsi in modo imprevedibile, così come le conseguenze nefaste delle uguali pretese sul loro bilancio. È, inoltre, indubitabile che la determinazione della fondatezza di queste azioni dipenderebbe dai tribunali e rischierebbe di ingombrare di più il loro ruolo.
50. Il Governo spiega sebbene l’articolo 48 § 3 si applicano all’insieme dei funzionari, in attività o alla pensione, ed alla maggioranza schiacciante delle pretese di questi; si tratta dunque non di un’eccezione introdotta dal legislatore al diritto civile o al diritto del lavoro, ma di una regolamentazione che riguarda una grande categoria di pretese alla scala della funzione pubblica tutta intera. La Corte rileva su questo punto che, per la Corte di cassazione ed il Consiglio di stato, la differenziazione tra funzionari delle persone giuridiche ed impiegati delle imprese private si giustifica non solo con la necessità di proteggere il patrimonio delle persone giuridiche, ma anche a causa dello statuto speciale dei funzionari e del regime giuridico differente che si applicava ai rapporti dei funzionari pubblici e degli impiegati privati coi loro datori di lavoro rispettivi. Un ragionamento analogo è stato fatto nella sentenza 1/2012 precitata della Corte suprema speciale in ciò che riguarda le pretese dei funzionari contro lo stato. La Corte suprema speciale ha considerato in particolare che la differenziazione che comprendeva l’articolo 90 § 3 rispetto alle prescrizioni contemplate 90 § agli articoli 1 e 86 §§ 2 e 3 della stessa legge, si giustificava anche con le differenze esistenti tra funzionari pubblici ed impiegati di diritto privato così come con lo statuto giuridico differente che regolava le relazioni di queste due categorie di professionisti coi loro datori di lavoro, paragrafo 25 sopra.
51. Appartiene all’ordine giuridico interno dello stato riguardato di regolare le modalità procedurali dei ricorsi in giustizia in modo da garantire la salvaguardia dei diritti dei funzionari per quanto queste modalità non rendono in pratiche impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordine giuridico interno. Un termine di prescrizione di due anni non limito eccessivamente, del parere della Corte, la possibilità per i funzionari di rivendicare in giustizia degli stipendi e dei sussidi che sono dovuti loro con l’amministrazione. Nell’occorrenza, il richiedente non ha invocato di elementi concreti che l’avrebbero impedita dissuasi o di un modo qualsiasi di esercitare il suo ricorso nei due anni da quando la sua pretesa ha preso nascita.
52. Infine, la Corte rileva che contrariamente alla sentenza Zouboulidis precitato, nello specifico, il richiedente focalizza piuttosto il suo motivo di appello sulla differenza di trattamento che esisterebbe tra i funzionari pubblici, da una parte, ed i salariati del settore privato o i creditori dello stato altri che i suoi propri funzionari di altra parte. La Corte considera che si tratta là delle situazioni che non sono comparabili: non c’è nessuna analogia tra funzionari pubblici e salariati del settore privato ed in quanto agli altri creditori, si tratta per la maggior parte dei fornitori dello stato che hanno una relazione puntuale con questo, in occasione dell’esecuzione di un contratto, e non una relazione salariale che è consolidata, come questo è il caso dei funzionari. Del resto, la Corte nota, nell’occorrenza, che la Corte speciale suprema ha messo in evidenza lo statuto giuridico differente che regolava le relazioni di queste due categorie di professionisti coi loro datori di lavoro, paragrafi 24-25 sopra. Ne va così in modo particolare per il fatto che i funzionari pubblici sono inamovibili in virtù della Costituzione, paragrafo 27 sopra. Queste differenze di statuto potrebbero giustificare dei periodi più lunghi in favore dei salariati del settore privato affinché possano portare in giustizia le loro dispute salariali.
53. Alla luce di ciò che precede, la Corte constata che l’applicazione con le giurisdizioni interne delle disposizioni speciali che contemplano un termine di prescrizione di due anni per le pretese degli impiegati delle persone giuridiche di dritto pubblico contro queste non hanno rotto appena l’equilibro a predisporre tra le protezioni della proprietà e le esigenze dell’interesse generale.
54. Non c’è stata dunque violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 in combinazione con l’articolo 14 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE ALLO SGUARDO DELLA DURATA DEL PROCEDIMENTO
55. Il richiedente si lamenta del superamento di un “termine ragionevole” per il procedimento. Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione di cui la parte pertinente dispone:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
56. Il periodo da prendere in considerazione ha cominciato il 18 giugno 1997, con l’immissione nel processo della corte d’appello col richiedente, e si è conclusa il 15 dicembre 2008, col collocamento al netto della sentenza della Corte di cassazione. Si è stesa su undici anni e cinque mesi dunque circa per tre gradi di giurisdizione di cui sette anni e tre mesi dinnanzi alla Corte di cassazione.
57. Il Governo sostiene che un ritardo di un anno sei mesi e tredici giorni dinnanzi alla corte d’appello, del collocamento al netto del giudizio del tribunale di prima istanza alla domanda di determinazione della data di udienza dinnanzi alla corte di appello, ed un ritardo di sei anni, cinque mesi e ventuno giorni dinnanzi alla Corte di cassazione, in ragione della domanda di rinvio dell’udienza e della domanda tardiva per la determinazione di una notizia dato, sono imputabili all’unica richiesta che non ha preso l’iniziativa di fare avanzare il procedimento.
58. Il richiedente sostiene che nessuno ritardo gli è imputabile.
59. La Corte ricorda che il carattere ragionevole della durata di un procedimento si rivaluta secondo le circostanze della causa ed avuto riguardo ai criteri consacrati dalla sua giurisprudenza, in particolare la complessità della causa, il comportamento dei richiedenti e quello delle autorità competenti così come la posta della controversia per gli interessati (vedere, tra molto altri, Frydlender c. Francia [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII.
60. La Corte nota che la controversia del richiedente riguardava dei complementi di stipendi ed indennità che stimava essere dovuti egli su un certo periodo e che non gli erano stati versati. Nelle controversie di questo tipo, l’articolo 672A del codice di procedimento civile contempla che le decisioni giudiziali devono essere rese velocemente tanto in prima istanza che in appello, paragrafo 26 sopra.
61. Nello specifico, la Corte rileva che l’udienza dinnanzi al tribunale di prima istanza ha avuto luogo il 16 dicembre 1997 e che il giudizio è stato reso il 28 aprile 1998 e messi al netto il 22 settembre 1998. L’udienza dinnanzi alla corte di appello ha avuto luogo il 30 maggio 2000 e la sentenza è stata resa il 5 luglio 2001 e messi al netto il 24 agosto 2001. Dei tali termini non sono compatibili con quegli indicati nell’articolo 672A precitato. La Corte nota, inoltre, che il procedimento in prima istanza è durato un anno e tre mesi e quell’in appello un anno e cinque mesi, ciò che non è eccessivo secondo i suoi standard.
62. Tuttavia, la Corte non saprebbe fare astrazione per il fatto che l’udienza dinnanzi alla Corte di cassazione è stata rinviata a tre riprese alla domanda del richiedente, o dal 2 aprile 2002 al 21 gennaio 2003, poi fino al 16 ottobre 2007 ed al 23 settembre 2008. Se il periodo di inattività dopo il secondo rinvio è stato così lungo, questo è perché il richiedente non ha invitato la Corte di cassazione a fissare una nuova udienza che il 11 gennaio 2007. Siccome l’ammette lei stessa, il suo avvocato ha chiesto il rinvio delle udienze del 2 aprile 2002 e 21 gennaio 2003 perché il rapporto redatto dal giudice delatore era sfavorevole alle sue tesi e ha stimato opportuno di aspettare delle sentenze del Consiglio di stato e della Corte dei conti che sarebbero favorevoli ai suoi interessi.
63. Risulta della cronologia del procedimento che quella dinnanzi alla Corte di cassazione sarebbe stato anche ragionevole se l’udienza inizialmente fissata al 2 aprile 2002 non era stata rinviata alla domanda del richiedente. Del resto, la sentenza della Corte di cassazione è stata resa il 4 novembre 2008, o un mese ed undici giorni dopo l’udienza del 23 settembre 2008.
64. Nelle circostanze della causa, la Corte considera che i termini suddetti non sono incompatibili con l’esigenza di un termine ragionevole del procedimento posto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.
65. Segue che questo motivo di appello è manifestamente male fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
66. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta di una violazione del suo diritto ad un processo equo in ciò che i motivi della sentenza della Corte di cassazione sarebbero arbitrari, erronei ed impresso di parzialità.
67. La Corte nota che nell’occorrenza, il richiedente ha potuto presentare senza ostacoli tutti gli argomenti che giudicava pertinente per la difesa dei suoi interessi. I suoi diritti procedurali sono stati rispettati allo stesso titolo che quelli della parte avversa e lei non si sono visti rifiutare nessuno vantaggio di procedimento di cui avrebbe goduto questo ultimo. Le affermazioni del richiedente cadono difatti, esclusivamente sul fondo della controversia e la Corte non può esaminarli dunque.
68. Segue che questo motivo di appello è manifestamente male fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1, composto con l’articolo 14 della Convenzione ed inammissibile per il surplus;

2. Stabilisce che non c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1, composto con l’articolo 14 della Convenzione.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 3 ottobre 2013, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Søren Nielsen Isabelle Berro-Lefèvre
Cancelliere Presidentessa

Testo Tradotto

Conclusions : Partiellement irrecevable Non-violation de l’article 14+P1-1 – Interdiction de la discrimination (Article 14 – Discrimination) (article 1 du Protocole n° 1 – Protection de la propriété article 1 al. 1 du Protocole n° 1 – Respect des biens)

PREMIÈRE SECTION

AFFAIRE GIAVI c. GRÈCE

(Requête no 25816/09)

ARRÊT

STRASBOURG

3 octobre 2013

Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Giavi c. Grèce,
La Cour européenne des droits de l’homme (première section), siégeant en une chambre composée de :
Isabelle Berro-Lefèvre, présidente,
Elisabeth Steiner,
Khanlar Hajiyev,
Mirjana Lazarova Trajkovska,
Julia Laffranque,
Linos-Alexandre Sicilianos,
Erik Møse, juges,
et de Søren Nielsen, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 10 septembre 2013,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 25816/09) dirigée contre la République hellénique et dont une ressortissante de cet Etat, Mme A. G. (« la requérante »), a saisi la Cour le 15 avril 2009 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. La requérante est représentée par Me L. P., avocat à Athènes. Le gouvernement grec (« le Gouvernement ») est représenté par les déléguées de son agent, Mme G. Papadaki, assesseure auprès du Conseil juridique de l’Etat, et Mme Z. Hadjipavlou, auditrice auprès du Conseil juridique de l’Etat.
3. La requérante allègue une violation de l’article 6 § 1 (délai raisonnable) de la Convention et de l’article 1 du Protocole no 1, pris isolément et/ou combiné avec l’article 14 de la Convention.
4. Le 24 mars 2010, la vice-présidente de la première section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. La requérante est née en 1931 et réside à Glyka Nera.
6. Le 18 juin 1997, la requérante, femme de ménage à l’hôpital général de la préfecture de l’Attique de l’Ouest, saisit le tribunal de première instance d’Athènes d’une action contre l’hôpital, par laquelle elle réclamait une somme de 27 413 254 drachmes (80 449,75 euros), correspondant à des compléments de salaires et indemnités qui ne lui auraient pas été versés entre le 1er juin 1994 et le 21 mars 1997, date de son départ à la retraite. Elle demandait aussi des intérêts sur cette somme à compter de la notification de l’action à la partie adverse et jusqu’au versement. L’action fut notifiée à la partie adverse le 24 juin 1997.
7. L’audience eut lieu le 16 décembre 1997.
8. Par un jugement du 28 avril 1998, le tribunal rejeta l’action au motif qu’à compter du 1er juillet 1988, le régime des salaires du personnel des hôpitaux publics ne s’appliquait plus à la situation contractuelle de la requérante, qui avait été modifiée. Le jugement fut mis au net et certifié conforme le 22 septembre 1998.
9. Le 24 mars 2000, la requérante interjeta appel contre ce jugement devant la cour d’appel d’Athènes et le 5 avril 2000 elle invita celle-ci à fixer la date de l’audience. Les débats eurent lieu le 30 mai 2000.
10. Le 5 juillet 2001, la cour d’appel infirma partiellement le jugement et accorda à la requérante la somme de 22 244 224 drachmes. Elle refusa de lui accorder des intérêts sur la somme accordée (à compter de la notification de l’action, le 24 juin 1997, et jusqu’au versement) au motif que la requérante avait renoncé à percevoir des intérêts car elle avait transformé son action en recouvrement (katapsifistiki agogi) en action déclaratoire (anagnoristiki agogi). Elle jugea, en outre, que les prétentions de la requérante pour la période du 1er juin au 31 décembre 1994 étaient éteintes par la prescription biennale prévue à l’article 48 § 3 du décret 496/1974, relatif à la comptabilité des personnes morales de droit public, aux contrats et aux prescriptions, qu’elle prit en compte d’office en application de l’article 52, 3e phrase, du même décret.
11. L’arrêt fut mis au net et certifié conforme le 24 août 2001.
12. Le 10 septembre 2001, la requérante se pourvut en cassation. Elle se fondait, entre autres, sur les articles 6 § 1 de la Convention et 1 du Protocole no 1. Elle soutenait qu’aucun motif valable ne pouvait justifier l’application d’un délai de prescription de deux ans aux prétentions des employés de personnes morales publiques à l’encontre de celles-ci, alors que le délai de droit commun était de cinq ans (article 250 du code civil), que celui applicable aux autres créanciers des mêmes personnes morales était également de cinq ans (article 48 § 1 du décret) et que celui applicable aux créances des mêmes personnes morales envers les tiers était de cinq ans également (article 44 du décret). Elle soulignait que les intérêts de trésorerie des personnes morales publiques ne sauraient leur valoir un traitement de faveur au détriment de leurs employés.
13. L’audience, initialement fixée au 2 avril 2002, fut ajournée, à la demande de la requérante, au 21 janvier 2003. A cette date, elle fut encore ajournée à la demande de celle-ci. Le 11 janvier 2007, la requérante demanda la fixation d’une nouvelle date d’audience. Celle-ci fut fixée au 16 octobre 2007 mais elle fut reportée, de nouveau à la demande de la requérante, au 23 septembre 2008, date à laquelle elle eut lieu.
14. La requérante admet que son avocat sollicita l’ajournement des audiences des 2 avril 2002 et 21 janvier 2003 car le rapport rédigé par le juge rapporteur était défavorable aux thèses de celle-ci et il estimait opportun d’attendre des arrêts du Conseil d’Etat et de la Cour des comptes qui seraient favorables à ses intérêts.
15. Par un arrêt du 4 novembre 2008 (mis au net et certifié conforme le 15 décembre 2008), la Cour de cassation rejeta le pourvoi.
16. Elle affirma que la prescription établie par les articles 48 § 3 et 49 du décret, plus courte que celle établie par l’article 44 pour les créances des personnes morales de droit public à l’égard de tiers, ne méconnaissait pas l’article 4 § 1 de la Constitution (égalité devant la loi) car elle était justifiée par le besoin de liquidation rapide des obligations des personnes morales de droit public. Elle ajouta que l’établissement de délais de prescription différents suivant le type de prétentions, de débiteurs et de créanciers ne violait pas l’article 6 § 1 de la Convention ni l’article 1 du Protocole no 1, qui n’empêchent pas le législateur d’établir des règles fixant un délai de prescription différent selon les cas. Par conséquent, la cour d’appel, considérant que les prétentions de la requérante établies jusqu’au 31 décembre 1994 étaient éteintes par prescription à la date de l’introduction de son action, deux ans après la fin de l’année durant laquelle elles étaient nées, n’avait pas violé les articles 6 de la Convention et 1 du Protocole no 1.
17. Enfin, la Cour de cassation souligna que l’examen d’office par les tribunaux du jeu de la prescription au profit de l’Etat et des personnes morales de droit public, prévue à l’article 52, 3e phrase du décret et instituée pour des motifs d’intérêt public, n’était pas contraire aux articles 4 § 1 de la Constitution, 6 § 1 de la Convention (car les parties adverses des personnes morales n’étaient pas privées de leur droit de soulever des objections pour réfuter le jeu de la prescription) et 1 du Protocole no 1 (car cet article n’empêchait pas le législateur d’établir des règles concernant la prescription des prétentions et la prise en compte d’office de celle-ci par les tribunaux).
18. La somme accordée à la requérante par la cour d’appel lui fut versée le 9 juillet 2002.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
A. La prescription
19. L’article 250 du code civil prévoit :
« Se prescrivent par cinq ans les prétentions [qui concernent] : (…) 17o les salaires et appointements de toute espèce, les revenus arriérés, les pensions de retraite, les pensions alimentaires, ainsi que toute autre prestation périodiquement renouvelable (…) »
20. Le décret législatif no 496/1974 du 19 juillet 1974, relatif à la comptabilité des personnes morales de droit public aux contrats et aux délais de prescription, dispose ce qui suit :
Article 44 § 1
« Toute dette envers une personne morale de droit public est éteinte par prescription (…) après l’écoulement de cinq ans à compter de la fin de l’année économique dans laquelle elle a été constatée. »
Article 48
« 1. Le délai de prescription des prétentions pécuniaires contre les personnes morales de droit public est de cinq ans, sauf s’il est précisé autrement dans le présent décret.
(…)
3. Le délai de prescription pour les prétentions des employés des personnes morales de droit public contre celles-ci, que ces employés leur soient liés par des contrats de droit public ou de droit privé, pour cause de retard dans le versement de salaires, d’autres allocations ou des indemnités (…) est de deux ans. »
Article 49
« Le délai de prescription commence à courir à compter de la fin de l’année économique pendant laquelle la prétention est née et son recouvrement par voie judiciaire est possible. »
Article 52
« (…) La prescription est prise en compte d’office par les tribunaux. »
21. L’article 90 § 3 de la loi no 2362/1995 sur la comptabilité publique dispose :
« Les prétentions des fonctionnaires ayant une relation contractuelle de droit public ou de droit privé (…) contre l’Etat, qui concernent leur rémunération ou toute autre sorte d’indemnité (…) sont prescrites dans un délai de deux ans à compter de leur naissance. »
22. Par un arrêt no 9/2009 du 4 mai 2009, la Cour spéciale suprême, chargée de statuer entre autres sur les conflits de jurisprudence entre les juridictions, a levé une divergence qui était née d’arrêts contradictoires du Conseil d’Etat et de la Cour de cassation au sujet de la constitutionnalité de l’article 48 § 3 du décret législatif no 496/1974. La Cour spéciale suprême a jugé que la prescription biennale prévue à cet article avait été établie pour des raisons d’intérêt général et notamment le besoin d’une liquidation rapide des créances découlant des allocations mensuelles accordées par les personnes morales de droit public. Une liquidation rapide était nécessaire à la protection du patrimoine et de la situation financière de ces personnes morales auxquels contribuaient les citoyens par le paiement des impôts. Par conséquent, la disposition de l’article 48 § 3, qui imposait une prescription biennale pour les créances des fonctionnaires des personnes morales de droit public, ne méconnaissait pas le principe d’égalité garanti par l’article 4 de la Constitution.
23. En statuant ainsi, la Cour spéciale suprême a suivi la jurisprudence de la Cour de cassation en la matière.
24. En outre, tant la Cour de cassation (arrêts 31/2007 et 272/2009) que le Conseil d’Etat (arrêt 3546/2004) ont jugé que la prescription biennale ne créait pas une discrimination entre, d’une part, les fonctionnaires des personnes morales de droit public et, d’autre part, les employés des entreprises privées ou les entrepreneurs dans leurs relations avec ces personnes morales, qui eux bénéficiaient d’une prescription de cinq ans, car cette différenciation se justifiait non seulement par la nécessité de protéger le patrimoine des personnes morales de droit public mais aussi en raison du statut spécial des fonctionnaires et du régime juridique différent qui s’appliquait aux rapports des fonctionnaires et des employés des entreprises privées avec leurs employeurs.
25. Statuant récemment sur la compatibilité de l’article 90 § 3 de la loi no 2362/1995 sur la comptabilité publique avec la Constitution, la Cour spéciale suprême a jugé que cet article n’était pas contraire à l’article 4 § 1 (égalité devant la loi) de la Constitution (arrêt no 1/2012 du 4 avril 2012). Elle considéra que la prescription biennale avait été instituée par cet article pour des motifs d’intérêt général et notamment le besoin de liquider rapidement les prétentions qui résultent des paiements périodiques et des obligations de l’Etat et qui était nécessaire pour la protection du patrimoine et de la situation financière de celui-ci. Elle était nécessaire aussi afin d’éviter toute modification des données économiques sur le fondement desquels l’Etat prévoyait le fonctionnement de l’administration, les dépenses et la préparation du budget, et toute conséquence néfaste que pouvait avoir sur l’exécution du budget la satisfaction des prétentions qui pourraient être accumulées au fil des années par de nombreuses actions de fonctionnaires portées contre l’Etat. L’intérêt de celui-ci de prévoir ses recettes et ses dépenses sans qu’il soit entravé par des dettes non réglées justifiait l’établissement des délais pour l’introduction des actions judiciaires. La différenciation que comportait l’article 90 § 3 par rapport aux prescriptions prévues aux articles 90 § 1 et 86 §§ 2 et 3 de la même loi, se justifiait aussi par les différences existantes entre fonctionnaires publics et employés de droit privé ainsi que par le statut juridique différent qui régissait les relations de ces deux catégories de professionnels avec leurs employeurs.
B. Le code de procédure civile
26. L’article 672A du code de procédure civile prévoit :
« Les décisions judiciaires sur les litiges relatifs aux salaires versés tardivement doivent être rendues obligatoirement, en première instance, dans un délai de quinze jours à compter de l’audience et, en appel, dans un délai d’un mois à compter de celle-ci. »
C. La Constitution
27. L’article 103 § 4 de la Constitution dispose :
« Les fonctionnaires qui occupent un poste statutaire sont inamovibles, tant que ce poste existe. (…) »
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1, COMBINE AVEC L’ARTICLE 14 DE LA CONVENTION
28. La requérante se plaint que la fixation de délais de prescription plus courts pour les créances des employés de personnes publiques à l’encontre de celles-ci par rapport à ceux s’appliquant à l’Etat en tant que créancier ou à ceux relevant du droit commun, et qui sont pris en compte d’office par les tribunaux, l’a privée d’une partie de ses compléments de salaires et indemnités impayés, sans que cela soit justifié par aucun but d’intérêt public. Elle invoque l’article 1 du Protocole no 1, combiné avec l’article 14 de la Convention. Ces articles sont ainsi libellés :
Article 1 du Protocole no 1
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
Article 14 de la Convention
« La jouissance des droits et libertés reconnus dans la (…) Convention doit être assurée, sans distinction aucune, fondée notamment sur le sexe, la race, la couleur, la langue, la religion, les opinions politiques ou toutes autres opinions, l’origine nationale ou sociale, l’appartenance à une minorité nationale, la fortune, la naissance ou toute autre situation. »
29. En premier lieu, le Gouvernement soutient que la requérante n’est pas titulaire d’un « bien » au sens de la Convention et qui serait reconnu par le droit interne. Les prétentions de celle-ci à l’encontre de l’hôpital pour la période du 1er juin au 31 décembre 1994 ont été rejetées comme prescrites par les juridictions internes. Ces prétentions ne peuvent être fondées ni sur le droit interne ni sur la jurisprudence, notamment après l’adoption de l’arrêt de la Cour spéciale suprême qui est contraignant pour toutes les juridictions.
30. En deuxième lieu, le Gouvernement prétend que le choix du législateur de prévoir pour les prétentions des employés des personnes morales de droit public un délai de prescription plus court que celui applicable aux employés du secteur privé ou aux créances des personnes morales elles-mêmes ne constitue pas une atteinte au droit au respect des biens. L’article 48 § 3 du décret 496/1974 ne prive pas le fonctionnaire de son bien, mais fixe d’avance un délai suffisant dans lequel l’intéressé doit tenter le recouvrement de ses créances par voie judiciaire ou extrajudiciaire. En l’espèce, cet article existait avant la naissance des prétentions de la requérante et celle-ci devait le connaître.
31. Selon le Gouvernement, l’établissement d’une prescription biennale poursuit un but légitime d’intérêt public : la liquidation rapide, judiciaire ou extrajudiciaire, des prétentions découlant des allocations accordées par les personnes morales de droit public, est nécessaire pour la protection du patrimoine et de la situation financière de celles-ci. Une telle liquidation rapide est justifiée tant par le montant élevé des prétentions cumulées d’un grand nombre de fonctionnaires, qui sont souvent introduites collectivement, que par les conséquences néfastes que l’introduction intempestive de ces prétentions pourrait avoir sur le budget des personnes morales. L’article 48 § 3 s’applique à l’ensemble des fonctionnaires, en activité ou à la retraite, et à la majorité écrasante des prétentions de ceux-ci ; il s’agit donc non pas d’une exception introduite par le législateur au droit civil ou au droit du travail, mais d’une réglementation concernant une grande catégorie de prétentions. Devoir réserver des deniers publics pour couvrir des obligations pouvant se concrétiser de manière imprévisible plusieurs années après les faits générateurs des prétentions y afférentes serait source d’importants dysfonctionnements pour les personnes morales de droit public et introduirait des aléas dans leur gestion financière.
32. Enfin, le Gouvernement affirme qu’il est compatible avec le droit communautaire de prévoir dans le droit interne des règles moins favorables pour l’introduction des voies de recours contre l’Etat par rapport à celles qui concernent les particuliers (arrêts de la Cour de justice des Communautés européennes, Aprile (C-228/1996, § 19), Dillexport (C-343/1996, § 26) et Marks et Spencer (C-62/2000), §§ 35, 41-42)).
33. Sous l’angle de l’article 14 de la Convention, le Gouvernement réitère pour l’essentiel les mêmes arguments.
34. La requérante soutient que son droit à percevoir la différence des salaires pour la période du 1er juin au 31 décembre 1994 a été reconnu par l’arrêt de la cour d’appel du 5 juillet 2001 et que si elle a été privée de cette somme, c’est parce que cette même cour a appliqué dans son cas l’article 48 § 3.
35. Elle se prévaut, en outre, de l’arrêt Zouboulidis c. Grèce (no 2) (no 36963/06, 25 juin 2009), dans lequel la Cour a jugé que l’application par les juridictions internes de dispositions spéciales accordant à l’Etat des privilèges avait porté atteinte au droit du requérant au respect de ses biens et rompu le juste équilibre à ménager entre la protection de la propriété et les exigences de l’intérêt général. Elle souligne que l’arrêt de la Cour suprême spéciale qui a été rendu avant l’arrêt Zouboulidis précité n’est pas dirimant car il n’a pas pris en compte l’article 1 du Protocole no 1.
36. Selon la jurisprudence de la Cour, l’article 1 du Protocole nº 1 contient trois normes distinctes : la première, qui s’exprime dans la première phrase du premier alinéa et revêt un caractère général, énonce le principe du respect de la propriété ; la deuxième, figurant dans la seconde phrase du même alinéa, vise la privation de propriété et la soumet à certaines conditions ; quant à la troisième, consignée dans le second alinéa, elle reconnaît aux Etats le pouvoir, entre autres, de réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général. Il ne s’agit pas pour autant de règles dépourvues de rapports entre elles. La deuxième et la troisième ont trait à des exemples particuliers d’atteintes au droit de propriété ; dès lors, elles doivent s’interpréter à la lumière du principe consacré par la première (voir, par exemple, Scordino c. Italie (no 1) [GC], no 36813/97, § 78, CEDH 2006 V, et Kozacıoğlu c. Turquie [GC], no 2334/03, § 48, 19 février 2009).
37. La Cour rappelle que la notion de « bien », évoquée à la première partie de l’article 1 du Protocole nº 1, a une portée autonome qui ne se limite pas à la propriété de biens corporels. Dans chaque affaire, il importe d’examiner si les circonstances, considérées dans leur ensemble, ont rendu le requérant titulaire d’un intérêt substantiel protégé par l’article 1 du Protocole nº 1 (Iatridis c. Grèce [GC], nº 31107/96, § 54, CEDH 1999-II, Beyeler c. Italie, [GC], nº 33202/96, § 100, CEDH 2000-I, et Broniowski c. Pologne [GC], nº 31443/96, § 129, CEDH 2004-V).
38. De plus, une distinction est discriminatoire au sens de l’article 14, si elle « manque de justification objective et raisonnable », c’est-à-dire si elle ne poursuit pas un « but légitime » ou s’il n’y a pas de « rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé ». Par ailleurs, les Etats contractants jouissent d’une certaine marge d’appréciation pour déterminer si et dans quelle mesure des différences entre situations analogues à d’autres égards justifient des distinctions de traitement (Zeïbek c. Grèce, no 46368/06, § 46, 9 juillet 2009).
39. Dans la présente affaire, la Cour note que par son arrêt du 5 juillet 2001, la cour d’appel a accordé à la requérante une somme de 22 244 224 drachmes qui correspondait à des compléments de salaires et indemnités non versés. Elle a refusé de lui accorder des intérêts moratoires sur la somme accordée au motif que l’action avait un caractère déclaratoire et a jugé que les prétentions de la requérante pour la période du 1er juin au 31 décembre 1994 étaient éteintes par prescription.
40. Il en résulte que les prétentions de la requérante entrent dans le champ d’application de l’article 1 du Protocole no 1 et du droit au respect des biens qu’il garantit, ce qui suffit à rendre l’article 14 de la Convention applicable (Fabris c. France [GC], no 16574/08, §§ 48-55, 7 février 2013).
41. La Cour constate que cet aspect de la requête n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
42. La Cour rappelle que le seul fait que les prétentions de la requérante étaient soumises à un délai de prescription ne pose aucun problème à l’égard de la Convention. L’institution de délais de prescription est un trait commun aux systèmes juridiques des Etats contractants, visant à garantir la sécurité́ juridique en fixant un terme aux actions et à empêcher l’injustice qui pourrait se produire si les tribunaux étaient appelés à se prononcer sur des événements survenus loin dans le passé (J.A. Pye (Oxford) Ltd et J.A. Pye (Oxford) Land Ltd c. Royaume-Uni [GC], no 44302/02, § 68, Stubbings et autres c. Royaume-Uni, 22 octobre 1996, § 51, Recueil des arrêts et décisions 1996 IV).
43. En général, la Cour rappelle qu’une ample latitude est d’ordinaire laissée à l’Etat pour prendre des mesures d’ordre général en matière économique ou sociale (voir par exemple, James et autres c. Royaume-Uni, 21 février 1986, § 46, série A no 98 ; National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society et Yorkshire Building Society c. Royaume-Uni, 23 octobre 1997, § 80, Recueil des arrêts et décisions 1997 VII). De plus, la Cour jouit d’une compétence limitée pour vérifier le respect du droit interne (Håkansson et Sturesson c. Suède, 21 février 1990, § 47, série A no 171 A) et elle n’a pas pour tâche de se substituer aux juridictions internes. C’est au premier chef aux autorités nationales, notamment aux cours et tribunaux, qu’il incombe d’interpréter la législation interne (Waite et Kennedy c. Allemagne [GC], no 26083/94, § 54, CEDH 1999-I).
44. Néanmoins, le rôle de la Cour est de rechercher si les résultats auxquels sont parvenues les juridictions nationales sont compatibles avec les droits garantis par la Convention et ses Protocoles. La Cour relève que, nonobstant le silence de l’article 1 du Protocole no 1 en matière d’exigences procédurales, une procédure judiciaire afférente au droit au respect des biens doit aussi offrir à la personne concernée une occasion adéquate d’exposer sa cause aux autorités compétentes afin de contester effectivement les mesures portant atteinte aux droits garantis par cette disposition. Pour s’assurer du respect de cette condition, il y a lieu de considérer les procédures applicables d’un point de vue général (voir Capital Bank AD c. Bulgarie, no 49429/99, § 134, CEDH 2005 XII (extraits) ; Zafranas c. Grèce, no 4056/08, § 36, 4 octobre 2011).
45. La Cour note que le Gouvernement réitère et développe ses arguments de l’affaire Zouboulidis selon lesquels c’est dans un but d’intérêt général que les personnes morales de droit public bénéficient de délais de prescription plus courts, en l’occurrence deux ans, afin de pouvoir rapidement apurer leurs comptes. Pour répondre au reproche que la Cour lui avait adressé dans l’arrêt précité et selon lequel il ne fournissait pas d’éléments concrets sur l’impact sur la situation financière de l’Etat qu’aurait une décision favorable aux prétentions de personnes dans la même situation que le requérant (ibid. § 35), le Gouvernement apporte des éléments pour démontrer dans la présente affaire que les sommes revendiquées par les fonctionnaires des personnes morales de droit public atteignent des montants très importants, ce qui compromettrait sérieusement la réalisation des buts de service public de ces personnes morales si le délai de prescription était de cinq ans, tenant compte de la situation économique et financière actuelle.
46. Ainsi le Gouvernement indique que sont actuellement pendants devant le Conseil d’Etat les pourvois de 257 employés du même hôpital que celui où travaille la requérante et dont les prétentions s’élèvent à 2 570 000 euros. Il indique aussi qu’en exécution de décisions judiciaires, l’Etat a versé aux employés de 34 hôpitaux de l’Attique une somme globale de 38 247 297,50 euros, intérêts inclus. Les sommes accordées aux fonctionnaires de l’Etat pour la période 2003-2009 à titre de salaires et allocations, en vertu de décisions judiciaires, s’élèvent à 224 418 473,77 euros dont 101 280 045,93 euros pour le seul ministère de la Santé et de la Solidarité sociale. Le Gouvernement soutient que si les fonctionnaires bénéficiaient d’un délai de prescription de cinq ans, le montant de ces sommes serait de plus du double.
47. La Cour note que la présente affaire se distingue de l’affaire Zouboulidis par au moins deux aspects. D’une part, à l’époque des circonstances de fait de l’arrêt Zouboulidis, il existait une divergence de jurisprudence entre le Conseil d’Etat et la Cour de cassation qui n’avait pas encore été levée par la Cour suprême spéciale (paragraphe 22 ci-dessus). D’autre part, les arguments invoqués par le Gouvernement à l’appui de sa thèse dans cette affaire, étaient de nature générale et abstraite (§§ 35-36 de l’arrêt précité). Or, la situation n’est plus la même dans le cadre de la présente affaire, étant donné les précisions apportées par le Gouvernement et résumées au paragraphe précédent.
48. La Cour ne met pas en doute le droit des Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général (voir, parmi beaucoup d’autres, Meïdanis c. Grèce, no 33977/06, § 26, 22 mai 2008) ni le droit des juridictions nationales d’interpréter les dispositions du droit interne, droits soulignés par le Gouvernement en l’espèce. Or, les prétentions des salariés des personnes morales de droit public peuvent justifier une réglementation dans le sens de l’intérêt de la trésorerie, de la gestion efficace des deniers publics et de la continuité du service public. La Cour constate à cet égard que le délai de prescription de deux ans a été institué par le décret législatif no 496/1974 du 19 juillet 1974, relatif à la comptabilité des personnes morales de droit public, aux contrats et aux délais de prescription. Selon les hautes juridictions nationales (Cour de cassation, Conseil d’Etat et Cour spéciale suprême), l’intérêt public visé par le délai spécial de deux ans est, notamment, le besoin d’un prompt règlement des créances découlant des allocations mensuelles accordées par les personnes morales de droit public, une liquidation rapide étant nécessaire à la protection du patrimoine et de la situation financière de ces personnes morales auxquels contribuaient les citoyens par le paiement des impôts. Cet intérêt est à rapprocher de celui mis en exergue par la Cour spéciale suprême, dans son arrêt 1/2012 visant la prescription des prétentions des fonctionnaires contre l’Etat, d’éviter toute modification des données économiques sur le fondement desquels l’Etat prévoyait le fonctionnement de l’administration, les dépenses, la préparation et l’exécution correcte du budget. L’intérêt de prévoir les recettes et les dépenses sans qu’il soit entravé par des dettes non réglées justifiait l’établissement d’un délai de prescription de deux ans pour l’introduction des actions judiciaires, afin d’éviter les conséquences néfastes que pourraient avoir sur l’exécution du budget la satisfaction des prétentions accumulées au fil des années par de nombreuses actions de fonctionnaires portées contre l’Etat (paragraphe 25 ci-dessus). Il en va de même pour le budget des personnes morales, selon le Gouvernement, qui relève le montant élevé des prétentions cumulées, souvent introduites collectivement, d’un grand nombre de fonctionnaires contre celles-ci.
49. Les données fournies par le Gouvernement (paragraphe 46 ci-dessus) illustrent le caractère imprévisible que pourraient avoir, pour des personnes morales, des prétentions introduites plusieurs années après les faits générateurs y afférent, les obligeant à réserver des deniers publics pour couvrir des obligations pouvant se concrétiser de manière imprévisible, ainsi que les conséquences néfastes de pareilles prétentions sur leur budget. Il est, en outre, indubitable que la détermination du bien-fondé de ces actions relèverait des tribunaux et risquerait d’encombrer davantage leur rôle.
50. Le Gouvernement explique encore que l’article 48 § 3 s’applique à l’ensemble des fonctionnaires, en activité ou à la retraite, et à la majorité écrasante des prétentions de ceux-ci ; il s’agit donc non pas d’une exception introduite par le législateur au droit civil ou au droit du travail, mais d’une réglementation concernant une grande catégorie de prétentions à l’échelle de la fonction publique tout entière. La Cour relève sur ce point que, pour la Cour de cassation et le Conseil d’Etat, la différenciation entre fonctionnaires des personnes morales et employés des entreprises privées se justifie non seulement par la nécessité de protéger le patrimoine des personnes morales, mais aussi du fait du statut spécial des fonctionnaires et du régime juridique différent qui s’appliquait aux rapports des fonctionnaires publics et des employés privés avec leurs employeurs respectifs. Un raisonnement analogue a été fait dans l’arrêt 1/2012 précité de la Cour suprême spéciale en ce qui concerne les prétentions des fonctionnaires contre l’Etat. La Cour suprême spéciale a considéré notamment que la différenciation que comportait l’article 90 § 3 par rapport aux prescriptions prévues aux articles 90 § 1 et 86 §§ 2 et 3 de la même loi, se justifiait aussi par les différences existantes entre fonctionnaires publics et employés de droit privé ainsi que par le statut juridique différent qui régissait les relations de ces deux catégories de professionnels avec leurs employeurs (paragraphe 25 ci-dessus).
51. Il appartient à l’ordre juridique interne de l’Etat concerné de régler les modalités procédurales des recours en justice de manière à assurer la sauvegarde des droits des fonctionnaires pour autant que ces modalités ne rendent pas en pratique impossible ou excessivement difficile l’exercice des droits conférés par l’ordre juridique interne. Un délai de prescription de deux ans ne limite pas excessivement, de l’avis de la Cour, la possibilité pour les fonctionnaires de revendiquer en justice des salaires et des allocations qui leur sont dus par l’administration. En l’occurrence, la requérante n’a pas invoqué d’éléments concrets qui l’auraient empêchée ou dissuadée d’une manière quelconque d’exercer son recours dans les deux ans depuis que sa prétention a pris naissance.
52. Enfin, la Cour relève que contrairement à l’arrêt Zouboulidis précité, en l’espèce, la requérante focalise son grief plutôt sur la différence de traitement qui existerait entre les fonctionnaires publics, d’une part, et les salariés du secteur privé ou les créanciers de l’Etat autres que ses propres fonctionnaires d’autre part. La Cour considère qu’il s’agit là des situations qui ne sont pas comparables : il n’y a aucune analogie entre fonctionnaires publics et salariés du secteur privé et quant aux autres créanciers, il s’agit pour la plupart des fournisseurs de l’Etat qui ont une relation ponctuelle avec celui-ci, à l’occasion de l’exécution d’un contrat, et non une relation salariale qui est constante, comme c’est le cas des fonctionnaires. Du reste, la Cour note, en l’occurrence, que la Cour spéciale suprême a mis en évidence le statut juridique différent qui régissait les relations de ces deux catégories de professionnels avec leurs employeurs (paragraphes 24-25 ci-dessus). Il en va ainsi tout particulièrement du fait que les fonctionnaires publics sont inamovibles en vertu de la Constitution (paragraphe 27 ci-dessus). Ces différences de statut pourraient justifier des périodes plus longues en faveur des salariés du secteur privé pour qu’ils puissent porter en justice leurs différends salariaux.
53. A la lumière de ce qui précède, la Cour constate que l’application par les juridictions internes des dispositions spéciales qui prévoient un délai de prescription de deux ans pour les prétentions des employés des personnes morales de droit public contre celles-ci n’a pas rompu le juste équilibre à ménager entre la protection de la propriété et les exigences de l’intérêt général.
54. Il n’y a donc pas eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 en combinaison avec l’article 14 de la Convention.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION AU REGARD DE LA DURÉE DE LA PROCÉDURE
55. La requérante se plaint du dépassement d’un « délai raisonnable » pour la procédure. Elle invoque l’article 6 § 1 de la Convention, dont la partie pertinente dispose :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue (…) dans un délai raisonnable, par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) »
56. La période à prendre en considération a débuté le 18 juin 1997, avec la saisine du tribunal de grande instance par la requérante, et s’est terminée le 15 décembre 2008, avec la mise au net de l’arrêt de la Cour de cassation. Elle s’est donc étalée sur onze ans et cinq mois environ pour trois degrés de juridiction, dont sept ans et trois mois devant la Cour de cassation.
57. Le Gouvernement soutient qu’un retard d’un an six mois et treize jours devant le tribunal de grande instance (de la mise au net du jugement du tribunal de première instance à la demande de fixation de la date d’audience devant la cour d’appel) et un retard de six ans, cinq mois et vingt-et-un jours devant la Cour de cassation (en raison de la demande d’ajournement de l’audience et de la demande tardive pour la fixation d’une nouvelle date) sont imputables à la seule requérante, qui n’a pas pris l’initiative de faire avancer la procédure.
58. La requérante soutient qu’aucun retard ne lui est imputable.
59. La Cour rappelle que le caractère raisonnable de la durée d’une procédure s’apprécie suivant les circonstances de la cause et eu égard aux critères consacrés par sa jurisprudence, en particulier la complexité de l’affaire, le comportement des requérants et celui des autorités compétentes ainsi que l’enjeu du litige pour les intéressés (voir, parmi beaucoup d’autres, Frydlender c. France [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII).
60. La Cour note que le litige de la requérante portait sur des compléments de salaires et indemnités qu’elle estimait lui être dus sur une certaine période et qui ne lui avaient pas été versés. Dans des litiges de ce type, l’article 672A du code de procédure civile prévoit que les décisions judiciaires doivent être rendues rapidement tant en première instance qu’en appel (paragraphe 26 ci-dessus).
61. En l’espèce, la Cour relève que l’audience devant le tribunal de première instance a eu lieu le 16 décembre 1997 et que le jugement a été rendu le 28 avril 1998 et mis au net le 22 septembre 1998. L’audience devant la cour d’appel a eu lieu le 30 mai 2000 et l’arrêt a été rendu le 5 juillet 2001 et mis au net le 24 août 2001. De tels délais ne sont pas compatibles avec ceux indiqués dans l’article 672A précité. La Cour note, en outre, que la procédure en première instance a duré un an et trois mois et celle en appel un an et cinq mois, ce qui selon ses standards n’est pas excessif.
62. Toutefois, la Cour ne saurait faire abstraction du fait que l’audience devant la Cour de cassation a été ajournée à trois reprises à la demande de la requérante, soit du 2 avril 2002 au 21 janvier 2003, puis jusqu’au 16 octobre 2007 et au 23 septembre 2008. Si la période d’inactivité après le deuxième ajournement a été si longue, c’est parce que la requérante n’a invité la Cour de cassation à fixer une nouvelle audience que le 11 janvier 2007. Comme elle l’admet elle-même, son avocat a demandé l’ajournement des audiences des 2 avril 2002 et 21 janvier 2003 car le rapport rédigé par le juge rapporteur était défavorable à ses thèses et il a estimé opportun d’attendre des arrêts du Conseil d’Etat et de la Cour des comptes qui seraient favorables à ses intérêts.
63. Il ressort de la chronologie de la procédure que celle devant la Cour de cassation aurait été également raisonnable si l’audience initialement fixée au 2 avril 2002 n’avait pas été ajournée à la demande de la requérante. Du reste, l’arrêt de la Cour de cassation a été rendu le 4 novembre 2008, soit un mois et onze jours après l’audience du 23 septembre 2008.
64. Dans les circonstances de la cause, la Cour considère que les délais susmentionnés ne sont pas incompatibles avec l’exigence d’un délai raisonnable de la procédure posée par l’article 6 § 1 de la Convention.
65. Il s’ensuit que ce grief est manifestement mal fondé et doit être rejeté en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
III. SUR LES AUTRES VIOLATIONS ALLÉGUÉES
66. Invoquant l’article 6 § 1 de la Convention, la requérante se plaint d’une violation de son droit à un procès équitable en ce que les motifs de l’arrêt de la Cour de cassation seraient arbitraires, erronés et empreints de partialité.
67. La Cour note qu’en l’occurrence, la requérante a pu présenter sans entraves tous les arguments qu’elle jugeait pertinents pour la défense de ses intérêts. Ses droits procéduraux ont été respectés au même titre que ceux de la partie adverse et elle ne s’est vue refuser aucun avantage de procédure dont aurait joui ce dernier. En effet, les allégations de la requérante portent exclusivement sur le fond du litige et la Cour ne peut donc pas les examiner.
68. Il s’ensuit que ce grief est manifestement mal fondé et doit être rejeté en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant au grief tiré de l’article 1 du Protocole no 1, combiné avec l’article 14 de la Convention et irrecevable pour le surplus ;

2. Dit qu’il n’y a pas eu violation de l’article 1 du Protocole no 1, combiné avec l’article 14 de la Convention.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 3 octobre 2013, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Søren Nielsen Isabelle Berro-Lefèvre
Greffier Présidente

A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza

Il Diritto dell'Espropriazione è una materia molto complessa e poco conosciuta, che "ingloba" parti importanti di molteplici rami del diritto. Per tutelarsi è quindi essenziale farsi assistere da un Professionista (con il quale si consiglia di concordare in anticipo i costi da sostenere, come ormai consentito dalle leggi in vigore).

Se l'espropriato ha già un Professionista di sua fiducia, può comunicagli che sul nostro sito trova strumenti utili per il suo lavoro.
Per capire come funziona la procedura, quando intervenire e i costi da sostenere, si consiglia di consultare la Sezione B.6 - Come tutelarsi e i Costi da sostenere in TRE Passi.

  • La consulenza iniziale, con esame di atti e consigli, è sempre gratuita
    - Per richiederla cliccate qui: Colloquio telefonico gratuito
  • Un'eventuale successiva assistenza, se richiesta, è da concordare
    - Con accordo SCRITTO che garantisce l'espropriato
    - Con pagamento POSTICIPATO (si paga con i soldi che si ottengono dall'Amministrazione)
    - Col criterio: SE NON OTTIENI NON PAGHI

Se l'espropriato è assistito da un Professionista aderente all'Associazione pagherà solo a risultato raggiunto, "con i soldi" dell'Amministrazione. Non si deve pagare se non si ottiene il risultato stabilito. Tutto ciò viene pattuito, a garanzia dell'espropriato, con un contratto scritto. è ammesso solo un rimborso spese da concordare: ad. es. 1.000 euro per il DAP (tutelarsi e opporsi senza contenzioso) o 2.000 euro per il contenzioso. Per maggiori dettagli si veda la pagina 20 del nostro Vademecum gratuito.

La data dell'ultimo controllo di validità dei testi è la seguente: 15/10/2024