Conclusione Parzialmente inammissibile; Violazione dell’art. 6-1; danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA GAGLIANO GIORGI C. ITALIA
, Richiesta no 23563/07,
SENTENZA
STRASBURGO
6 marzo 2012
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nel causa Gagliano Giorgi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta di:
Francesca Tulkens, presidentessa,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović, Işıl Karakaş,
Guido Raimondi, Paulo Pinto di Albuquerque, Helen Keller, giudici, e di Francesca Elens-Passos, greffière collaboratrice di sezione,
Visto la richiesta suddetta introdotta il 31 maggio 2007,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 14 febbraio 2012,
Rende la sentenza che ha, adottata a questa ultima, dato:
IN FATTO
1. Il richiedente, il Sig. OMISSIS, è un cittadino italiano, nato in 1949 e residente a Milano. Ha investito la Corte il 31 maggio 2007. È rappresentato dinnanzi alla Corte con OMISSISi, avvocati a Milano. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e col suo coagente, il Sig. N. Lettieri.
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
2. I fatti della causa, come sono stati esposti dalle parti, si possono riepilogare come segue.
A. Il procedimento principale
3. Il richiedente faceva il presso ispettore dell’Ufficio degli Estero della Questura (Questura, di Milano,).
4. Con un decreto del 5 settembre 1988, notificato il seguente giorno, la procura del tribunale di Milano informò il richiedente che aveva iniziato dei perseguimenti al suo carico per concussione, articoli 317 e 81 del codice penale, ed ordinò la perquisizione del domicilio, dell’automobile e dell’ufficio del richiedente che ebbe luogo il 6 settembre 1988.
5. Il 9 settembre 1988, il computer del richiedente fu investito.
6. Il 20 marzo 1989, il giudice istruttore (“il giudice”) del tribunale di Milano ordinò delle notizie perquisizioni che ebbero luogo il seguente giorno. Il 20 marzo 1989, il giudice emise un mandato di arresto contro il richiedente dei capi di concussione, articoli 317 e 81 del codice penale, e falso (articolo 479 dello stesso codice). Il richiedente era accusato di avere costretto o spinti parecchi cittadini esteri che necessitano di titoli di soggiorno a versargli delle somme di denaro per ottenere i titoli dell’Ufficio degli Estero. Era accusato anche di avere alterato il verbale di certe dichiarazioni fatte da un cittadino estero avendo denunciato questa pratica. Il giudice ordinò anche l’arresto di sei altre persone implicate negli stessi fatti.
7. Il 21 marzo 1989, il Prefetto di polizia (Questore) di Milano sospese il richiedente delle sue funzioni.
8. Ad una data non precisata, il richiedente formulò una prima domanda di collocamento in libertà che fu respinta dal giudice il 28 marzo 1989, in ragione del rischio di dissimulazione delle prove da parte del richiedente.
9. In una data non precisata, il richiedente contestò il mandato di arresto dinnanzi alla camera del tribunale di Milano incaricata di riesaminare le misure di precauzione, tribunale del riesame. Il 30 marzo 1989, questa respinse il richiedente.
10. Ad una data non precisata, il richiedente introdusse una notizia chiedo di collocamento in libertà dinnanzi al giudice. Con un’ordinanza depositata il 21 aprile 1989, questo ultimo respinse questa domanda, in ragione del rischio di dissimulazione delle prove. L’ordinanza del giudice fu confermata, il 29 maggio 1989, col tribunale del riesame.
11. Con un’ordinanza depositata il 21 giugno 1989, il giudice, in seguito ad una terza domanda del richiedente, ordinò la sua rimessa in libertà, al motivo che, la procura avendo raccolto sufficientemente di prove, il rischio di dissimulazione non rimaneva più.
12. Con un’ordinanza depositata il 25 gennaio 1990, il giudice ordinò il rinvio dinnanzi al tribunale di Milano del richiedente per concussione e falso, RG no185/90. Sette altre persone furono rinviate in giustizia.
13. In seguito a sei udienze, tenute tra l’ 8 e il 23 maggio 1990, di istruzione e di arringhe, da un giudizio del 25 maggio 1990, depositati alla cancelleria il tribunale condannò il richiedente per concussione e falso a quattro anni e sei mesi di reclusione il 22 giugno 1990, ed all’interdizione continua dell’esercizio di funzioni pubbliche.
14. Il 26 maggio 1990, il richiedente attaccò questo giudizio dinnanzi alla corte di appello di Milano, RG no 4630/90, chiedendo il rinnovo dell’istruzione e delle arringhe, il suo proscioglimento o la riqualificazione dei fatti contestati in corruzione.
15. Il 5 luglio 1990, dinnanzi al giudice di istanza di Monza, il richiedente fece elezione di domicilio, ai fini del procedimento dinnanzi alla corte di appello di Milano, nel comune di S. Zenone al Lambro (Milano), presso la Sig.ra V.S.
16. Il 7 aprile 1993, il presidente della corte di appello di Milano fece notificare la citazione a comparire all’udienza del 18 maggio 1993 ad uno degli avvocati del richiedente.
17. Delle sette udienze fissate tra il 18 maggio ed i 29 novembre 1993, un fu rinviata di ufficio, un’in ragione di ciò che il Questura di Milano non aveva prodotto i documenti chiesti dalla corte, un riguardò la dichiarazione di contumace del richiedente, una le domande di istruzione probatoria e la produzione di documenti con gli avvocati degli imputati, un’il deposito di documenti da parte del Questura, una l’ascolto dei testimoni, una la presentazione dei conclusioni.
18. Con una sentenza del 29 novembre 1993, depositato il 22 dicembre 1993, la corte di appello non confermò la responsabilità del richiedente alla cancelleria che per certi degli episodi di concussioni che gli erano rimproverate e di questo capo riportò a tre anni ed otto mesi la pena globale trattenuta al suo carico per questo reato e quello di falso.
19. Il 24 dicembre 1993, questo ultimo si ricorse in cassazione e chiese a titolo principale l’annullamento della sentenza della corte di appello in ragione di ciò che la citazione a comparire all’udienza del 18 maggio 1993 era stata notificata al domicilio del suo avvocato e non al domicilio che aveva eletto il 5 luglio 1990. A titolo accessorio, sollecitò di nuovo la riqualificazione in corruzione dei fatti contestati.
20. Con una sentenza del 29 settembre 1994, depositato il 1 dicembre 1994, la Corte di cassazione annullò la sentenza della corte di appello alla cancelleria e rinviò la causa ad un’altra sezione di questa, in ragione, entra altri, della nullità della citazione a comparire.
21. Il 10 marzo 1994, il Questore di Milano revocò nel frattempo, la sospensione del richiedente delle sue funzioni. Questo ultimo fu trasferito al Questura di Torino.
22. L’udienza di arringhe della causa dinnanzi alla corte di appello di Milano, RG no 2637/94, fu fissata al 29 gennaio 1996. Ad una data non precisata, la corte di appello dichiarò la contumacia del richiedente.
23. Con una sentenza del 1 marzo 1996, depositato il 30 aprile 1996, la corte di appello, dopo avere riqualificato i fatti in “corruzione”, dichiarò l’estinzione di questo reato per prescrizione alla cancelleria. Condannò il richiedente col beneficio della condizionale per falso ad una pena di reclusione di un anno ed alla pena accessoria dell’interdizione dell’esercizio di funzioni pubbliche per un anno.
24. Ad una data non precisata, anteriore al luglio 1996, il richiedente si ricorse di nuovo in cassazione. Fece valere che la cancelleria della corte di appello, notificando che la citazione a comparire al suo domicilio eletto, a sapere l’abitazione della Sig.ra V.S, aveva indirizzato erroneamente il raccomandato all’attenzione di questa e non all’attenzione del richiedente.
25. Con una sentenza del 7 ottobre 1997, depositato il 18 ottobre 1997, la Corte di cassazione fece diritto alla domanda del richiedente alla cancelleria e rinviò la pratica ad un’altra sezione della corte di appello.
26. Ad una data non precisata, la cancelleria della corte di appello notificò la citazione a comparire all’udienza del 26 marzo 1998, RG no 4288/97, ad uno degli avvocati del richiedente.
27. A questa data, la corte di appello dichiarò la nullità della citazione ed ordinò presso la notificazione della citazione per l’udienza del 11 giugno 1998 con la polizia giudiziale della Sig.ra V.S. e presso del Questura di Torino, dove il richiedente aveva preso servizio nel frattempo.
28. In seguito all’udienza del 11 giugno 1998, con una sentenza dello stesso giorno, depositato alla cancelleria il 24 giugno 1998, la corte di appello dichiarò che il capo di accusa di corruzione era prescritto e condannò il richiedente ad un anno di reclusione per falso ed alla pena accessoria dell’interdizione dell’esercizio di funzioni pubbliche per un anno. Confermò l’utile del rinvio dell’esecuzione della pena.
29. Il 2 ottobre 1998, il richiedente si ricorse in cassazione. Addusse che la notificazione della citazione a comparire all’udienza del 11 giugno 1998 effettuato presso della Sig.ra V.S. non indicava correttamente l’autorità giudiziale competente e che quell’effettuato al Questura di Torino non era regolare poiché rimessa al suo superiore gerarchico.
30. Con una sentenza del 14 aprile 1999, depositato il 29 aprile 1999, la Corte di cassazione respinse il richiedente al motivo alla cancelleria che, secondo la giurisprudenza della stessa corte, la rimessa ad un superiore gerarchico provoca una presunzione di cognizione da parte del destinatario della notificazione che è di questo fatto regolare.
B. La prima richiesta introdotta dinnanzi alla Corte
31. Il 12 ottobre 1999, il richiedente investe la Corte di una richiesta (no52228/99, concernente l’equità del procedimento penale sollecitato al suo carico,).
32. Il 8 novembre 2002, la Corte, deliberando al senso dell’articolo 28 della Convenzione, dichiarò la richiesta manifestamente male fondata.
C. Il procedimento “Pinto”
33. Il 16 ottobre 2001, il richiedente investe la corte di appello di Brescia al senso del legge “Pinto”, chiedendo 60 000 000 lire italiane [30 987 euro (EUR)] per il danno morale e materiale che pretendeva avere subito a causa della durata del procedimento principale.
34. Con una decisione depositata il 21 febbraio 2002, la corte di appello conclude unicamente alla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione per la fase che va del deposito del giudizio del tribunale di Milano, 22 giugno 1990, al pronunziata della prima sentenza in appello, 29 novembre 1993, stimando che le altre fasi del procedimento non avevano subito nessuna stagnazione, tenuto conto del numero di giudici che avevano avuto a deliberare sulla causa. Non accordò nessuno indennizzo, al motivo che il richiedente non aveva dimostrato avere subito di danno patrimoniale o morale e che, comunque, essendo stato condannato alla conclusione del procedimento principale, non aveva potuto subire nessuno danno morale legato alla durata di questa.
35. Il 24 aprile 2002, il richiedente si ricorse in cassazione. Con una sentenza depositata il 24 ottobre 2003, la Corte di cassazione annullò la decisione controversa, stimando che la conclusione sfavorevole di un processo non esclude in si l’esistenza di un danno morale che deriva della sua durata e che, peraltro, i danni subiti a causa della durata di un procedimento devono essere dimostrati dall’interessato. Rinviò la causa dinnanzi alla corte di appello di Brescia.
36. Il 20 aprile 2004, il richiedente investe questa ultima, facendo valere, entra altri che dopo il deposito della sentenza del 24 ottobre 2003, la Corte di cassazione plenaria aveva reso quattro sentenze che escludono la necessità di dimostrare il danno morale, nostri 1338, 1339, 1340 e 1341 del 2004.
37. Con una decisione del 7 luglio 2004, depositato il 21 luglio 2004, la corte di appello respinse il ricorso, al motivo che i principi che derivano delle sentenze della Corte di cassazione plenaria non erano direttamente applicabili nel procedimento di rinvio e che il richiedente non aveva dimostrato il danno morale, siccome era tenuto di fare. La corte di appello rilevò peraltro che il richiedente aveva interesse al prolungamento del procedimento penale per ottenere la prescrizione dei reati di cui era accusato.
38. Il 15 novembre 2004, il richiedente si ricorse in cassazione. Con una sentenza depositata il 6 dicembre 2006, la Corte di cassazione respinse il richiedente e lo condannò al pagamento di 3 000 EUR per oneri e spese del procedimento.
D. La seconda richiesta introdotta dinnanzi alla Corte
39. Il 10 novembre 2004, il richiedente aveva investito nel frattempo, di nuovo la Corte, richiesta no 40739/04, lamentandosi della durata del procedimento penale, della durata del procedimento “Pinto” e della mancanza di effettività del rimedio “Pinto.”
40. Il 11 gennaio 2005, la Corte, in applicazione dell’articolo 28 della Convenzione, dichiarò la richiesta inammissibile nella sua globalità. Con lettera del 17 gennaio, il richiedente fu informato che “tenuto conto dell’insieme degli elementi nel suo possesso, e nella misura in cui era competente per conoscere delle affermazioni formulate, la Corte non ha rilevato nessuna apparenza di violazione dei diritti e libertà garantite dalla Convenzione o i suoi Protocolli.”
II. IL DIRITTO E LE PRATICA INTERNI PERTINENTI
A. Il legge “Pinto”
41. Il diritto e la pratica interna pertinenti relative alla legge no 89 del 24 marzo 2001, detta “legge Pinto”, figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006-V.
B. La rinuncia alla prescrizione in materia penale.
42. L’articolo 157 § 7 del codice penale, come modificato seguito alla sentenza no 275/1990 della Corte costituzionale, si legge così:
Articolo 157 § 7
“L’imputato può sempre rinunciare alla prescrizione in modo espressa. “
MOTIVI D’ APPELLO
43. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta della durata del procedimento principale e della mancanza di correzione nella cornice del procedimento “Pinto.” Contesta in particolare che la corte di appello di Brescia, nelle sue decisioni del 21 febbraio 2002 e 7 luglio 2004, ha limitato solamente a due anni la durata del procedimento principale che supera il termine “ragionevole” e non ha accordato di indennizzo al motivo che non aveva dimostrato al contrario il danno morale subito, ciò che sarebbe, in re ipsa.
44. Invocando gli articoli 1, 13 e 46, si lamenta della mancanza di effettività del rimedio “Pinto”, in ragione di questo che la decisione della corte di appello di Brescia del 7 luglio 2004 e la sentenza della Corte di cassazione del 6 dicembre 2006 non hanno applicato i criteri di indennizzo non stabilito la Corte e seguito nelle sentenze della Corte di cassazione plenaria del 2004.
45. Sulla base dell’articolo 6 § 1, si lamenta della durata del procedimento “Pinto.”
46. Invocando gli articoli 1, 13 e 46, si lamenta della mancanza di effettività del rimedio “Pinto”, in ragione della durata del procedimento “Pinto.”
IN DIRITTO
I. MOTIVI D’ APPELLO TIRATI DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
47. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta della durata del procedimento principale e della mancanza di correzione nella cornice del procedimento “Pinto” così come della durata di questa ultima.
48. Il Governo oppone a questa tesi.
49. L’articolo 6 della Convenzione, nelle sue parti pertinenti, si legge così:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, della fondatezza di ogni accusa in materia penale diretta “
A. Sulla durata del procedimento principale e la mancanza di correzione nella cornice del procedimento “Pinto”
50. La Corte rileva che il richiedente adduce la violazione dell’articolo 6 della Convenzione per il fatto che non ha ottenuto nessuno indennizzo per un procedimento essendo durato dieci anni e sette mesi per tre gradi di giurisdizione.
Mancanza di danno importante
51. Nelle sue osservazioni del 20 maggio 2010, il Governo invoca la mancanza di ogni danno importante per il richiedente. Si riferisce al testo dell’articolo 35 § 3 b, della Convenzione, come modificato dal Protocollo no 14 secondo che la Corte può dichiarare una richiesta inammissibile quando “il richiedente non ha subito nessuno danno importante, salvo se il rispetto dei diritti dell’uomo garantito dalla Convenzione ed i suoi Protocolli esigono un esame della richiesta al fondo ed a patto di non respingere per questo motivo nessuna causa che non è stata esaminata debitamente da un tribunale interno.”
52. Il Governo afferma, in particolare, che il prolungamento del procedimento controverso ha permesso al richiedente di beneficiare di una riduzione della pena in ragione dell’estinzione del reato di corruzione per prescrizione. Il Governo sostiene, inoltre, che il richiedente avrebbe dato prova di un comportamento ostruzionistico all’epoca del processo per fare inseguire i termini di prescrizione.
53. La parte richiesta respinge gli argomenti del Governo in quanto alla sua condotta all’epoca del processo e neghi tutto preteso utile che deriverebbe della dichiarazione di prescrizione in questione. Fa valere in particolare che, la sentenza di appello del 1 marzo 1996 avendo accordato già al richiedente l’utile del rinvio, suddetta dichiarazione non avrebbe provocato nessuna modifica sostanziale della pena inflitta a questo ultimo.
54. La Corte ricorda che il nuovo criterio della mancanza di danno importante è stato concepito per permettergli di trattare velocemente le richieste a carattere futile per concentrarsi sulla sua missione essenziale che è di garantire al livello europeo la protezione giuridica dei diritti garantiti dalla Convenzione ed i suoi Protocolli, Stefanescu c. Romania, déc.), no 11774/04, 12 aprile 2011, § 35.
55. Conclusione del principio di minimis no pulisse praetor, la nuova condizione di ammissibilità rinvia all’idea che la violazione di un diritto, qualunque sia la sua realtà di un punto di vista rigorosamente giuridica, deve raggiungere una soglia minima di gravità per giustificare un esame con una giurisdizione internazionale, Korolev c. Russia (déc), nº 25551/05, 1 luglio 2010. La valutazione di questa soglia è, con natura, relativa e dipende delle circostanze dello specifico (Korolev, precitata, e, mutatis mutandis, Soering c. Regno Unito, 7 luglio 1989, § 100, serie Ha no 161. Questa valutazione deve tenere conto tanto la percezione soggettiva del richiedente che la posta obiettiva della controversia.
56. Allo visto dei criteri che si liberano in materia della sua giurisprudenza, la Corte stima che per verificare se la violazione di un diritto raggiunge la soglia minima di gravità, c’è luogo di prendere in particolare in conto i seguenti elementi: la natura del diritto presumibilmente violato, la gravità dell’incidenza della violazione addotta nell’esercizio di un diritto e/o le conseguenze eventuali della violazione sulla situazione personale del richiedente, Giusti c. Italia, no 13175/03, § 34, 18 ottobre 2011.
57. Nello specifico, la Corte constata che, in ragione della durata del procedimento controverso, il 11 giugno 1998, la corte di appello ha dichiarato l’estinzione del capo di accusa di corruzione per prescrizione. Ciò ha provocato una diminuzione della pena considerata contro il richiedente evidentemente, tanto più che il reato prescritto era abbinato della pena più pesante dei due rimproverati all’interessato, sebbene gli elementi della pratica non permettono di valutare l’importanza esatta di questa riduzione né di chiarire ulteriormente il legame esistente tra le violazioni del termine ragionevole e questa. La Corte osserva anche che il richiedente ha deciso di non rinunciare alla prescrizione, possibilità che gli era offerta in dritto italiano (vedere Diritto interno pertinente) § 42 sopra. In queste circostanze, la Corte è dell’opinione che la riduzione della pena in questione a tutto di meno compensati o particolarmente ridotto i danni che derivano normalmente della durata eccessiva del procedimento. La Corte vede del resto, male la pertinenza delle osservazioni della parte richiesta che ha fatto riferimento al fatto che la sentenza del 1 marzo 1996 aveva concesso all’imputato l’utile del rinvio dell’esecuzione della pena (vedere sopra § 23). Nota a questo riguardo che con questa stessa sentenza la Corte di appello di Milano aveva già in fatto dichiarato l’estinzione del reato di corruzione per prescrizione.
58. Quindi, la Corte considera che il richiedente non ha subito un “danno importante” allo sguardo del suo diritto ad un processo in un termine ragionevole.
59. In quanto alla questione di sapere se il rispetto dei diritti dell’uomo garantito dalla Convenzione ed i suoi Protocolli esigono di esaminare la richiesta al fondo, la Corte ricorda che questa nozione rinvia già alle condizioni definite per l’applicazione degli articoli 37 § 1 e 38 § 1, nella sua redazione anteriore al Protocollo no 14, della Convenzione. Gli organi della Convenzione hanno interpretato in modo costante queste disposizioni come esigenti il perseguimento dell’esame di una causa, in dispetto della conclusione di un ordinamento amichevole o l’esistenza di una causa di radiazione del ruolo. È stato giudicato in compenso già che questo esame non si imporsi quando esiste una giurisprudenza chiara e molto abbondante sulla questione relativa alla Convenzione che si porsi nella causa sottoposta alla Corte (vedere, entra altri, Van Houten c. Paesi Bassi (radiazione), no 25149/03, CEDH 2005-IX, e Kavak c. Turchia, déc.), no 34719/04 e 37472/05, 19 maggio 2009.
60. Nello specifico, la Corte stima che nessuno imperativo derivato dell’ordine pubblico europeo al quale partecipa la Convenzione ed i suoi Protocolli non giustificano di inseguire l’esame del motivo di appello.
61. Difatti, suddetto motivo di appello pone la questione del diritto al termine ragionevole in materia penale ed in particolare quella della durata del procedimento principale nella cornice del rimedio introduce dal legge “Pinto” che è stato oggetto di una giurisprudenza copiosa della Corte (vedere, entra altri, Cocchiarella c. Italia [GC], precitata, Simaldone c. Italia, no 22644/03, 31 marzo 2009 e Labita c. Italia [GC], no 26772/95, CEDH 2000-IV.
62. In queste condizioni, la Corte stima che il rispetto dei diritti dell’uomo non esige il perseguimento dell’esame di questo motivo di appello.
63. Infine, trattandosi della terza condizione posta dal nuovo criterio di ammissibilità che esige che la causa sia stata esaminata” “debitamente da un tribunale interno, la Corte ricorda che mira a garantire che ogni causa sarà oggetto di un esame giurisdizionale o sul piano nazionale, o sul piano europeo. Questa clausola riflette anche il principio di sussidiarietà, come risulta in particolare dell’articolo 13 della Convenzione che esige che i ricorsi effettivi contro le violazioni siano disponibili al livello nazionale (Korolev, precitata). Combinata alla clausola di salvaguardia precedente, garantisce che non sono in gioco dinnanzi alla Corte delle questioni serie di applicazione o di interpretazione della Convenzione e dei suoi Protocolli, o delle questioni importanti relative al diritto nazionale (vedere il Rapporto esplicativo al Protocollo no 14, § 83,).
64. Nello specifico, la Corte constata che la questione che cade sulla durata del procedimento penale è stata esaminata a due riprese col giudice di appello e col giudice di cassazione competente ai termini del legge “Pinto”, il richiedente avendo sottoposto i mezzi derivati del rifiuto della corte di appello di accordargli un indennizzo pecuniario a questo ultimo.
65. In queste condizioni, la Corte stima che la causa è stata esaminata debitamente da un tribunale interna, nessuna questione seria relativa all’interpretazione o all’applicazione della Convenzione o al diritto nazionale non avendo lasciato senza risposta.
66. Le condizioni del nuovo criterio di ammissibilità essendo riunite, la Corte stima che questo motivo di appello deve essere dichiarato inammissibile in virtù dell’articolo 35 §§ 3 b, e 4 della Convenzione.
B. Sulla durata del procedimento “Pinto”
67. La Corte osserva che il richiedente invoca presumibilmente una violazione dell’articolo 6 della Convenzione a causa della durata eccessiva del procedimento “Pinto.”
68. Il Governo non ha formulato di osservazioni su questo punto.
1. I principi applicabili
69. In quanto al termine che può essere considerato ragionevole al senso dell’articolo 6 § 1, la Corte ricorda che i criteri applicabili non saprebbero essere quegli adottato per valutare la durata dei procedimenti ordinari, avuto riguardo alla natura della via di ricorso “Pinto” ed al fatto che queste cause non rivestono normalmente nessuna complessità. Nella cornice di un ricorso indennizzante che mira a risanare le conseguenze della durata eccessiva dei procedimenti, un zelo particolare si imporsi agli Stati affinché la violazione sia constatata e risanata al più presto possibile, Belperio e Ciarmoli c. Italia, no 7932/04, § 42, 21 dicembre 2010.
70. In ciò che riguarda la fase giudiziale del procedimento, nel causa Vaney c. Francia (no 53946/00) § 53, 30 novembre 2004, dove il richiedente si lamentava della durata di un procedimento penale così come della durata di un ricorso in responsabilità dello stato per la lentezza di questa, la Corte ha concluso anche alla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione in relazione alla durata del secondo procedimento.
71. Nel causa Cocchiarella (precitata, § 99, la Corte ha indicato che il termine di quattro mesi previsti dal legge “Pinto” rispetto l’esigenza di celerità richiesta per un ricorso effettivo. Tuttavia, ha accettato che le durate di nove mesi per un’istanza e di quattordici mesi per due istanze poteva passare per ragionevoli, sebbene superando il termine previsto dal legge “Pinto”, Riccardi Pizzati c. Italia [GC], no 62361/00, § 98, 29 marzo 2006, Giuseppe Mostacciuolo c. Italia (no 2) [GC], no 65102/01, § 97, 29 marzo 2006.
72. Più recentemente, nella causa Belperio e Ciarmoli (precitata, § 48, la Corte ha considerato irragionevole un procedimento “Pinto”, essendo durato due anni ed otto mesi per un grado di giurisdizione, ivi compreso la fase dell’esecuzione. All’epoca della comunicazione di questa stessa causa, il 9 giugno 2009, la Corte ha fissato inoltre, a circa un anno e sei mesi, per un grado di giurisdizione, più fase di esecuzione, e due anni e sei mesi, per due gradi di giurisdizione, ivi compreso fraseggio di esecuzione, il termine in che un procedimento Pinto globalmente considerato dovrebbe concludersi per essere considerato ragionevole.
73. Alla luce di ciò che precede, la Corte stima che per soddisfare alle esigenze del “termine ragionevole” al senso dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, la durata di un procedimento “Pinto” dinnanzi alla corte di appello competente e la Corte di cassazione, inclusa la fase di esecuzione della decisione, non dovrebbe, in principio e salvo circostanze eccezionali, superare due anni e sei mesi.
2. L’applicazione al caso di specie
74. La Corte nota che il procedimento “Pinto”, cominciata il 16 ottobre 2001, si è conclusa il 6 dicembre 2006 e è durato dunque cinque anni ed un mese, a riportare a quattro anni e due mesi tenuto conto dei ritardi imputabili al richiedente, per due gradi di giurisdizioni. La Corte nota anche che, il richiedente non avendo ottenuto nessuno indennizzo, il procedimento “Pinto” non ha avuto fase di esecuzione.
75. Anche supponendo che il procedimento in questione rivestiva una complessità particolare a causa dei numerosi rinvii durante il procedimento principale, o tre dinnanzi alla corte di appello e tanto dinnanzi alla Corte di cassazione, la Corte sottolinea che la sua durata ha superato largamente il termine suddetto di due anni e sei mesi, tanto più che non ha compreso nessuna fase di esecuzione.
76. Pertanto, la Corte stima che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1, sotto l’angolo del diritto ad un giudizio in un termine ragionevole.
II. MOTIVO D’ APPELLO TRATTO DALLA MANCANZA DI EFFETTIVITÀ DEL RIMEDIO PINTO IN RAGIONE, DA UNA PARTE, DELLA MANCATA APPLICAZIONE, DA PARTE DELLE GIURISDIZIONI INTERNE DEI CRITERI DI INDENNIZZO STABILITO DALLA CORTE E, DALL’ALTRA PARTE, DALLA DURATA DEL PROCEDIMENTO “PINTO” (ARTICOLI 1) 13 E 46 DELLA CONVENZIONE,
77. La Corte stima che questi motivi di appello dovrebbero essere analizzati unicamente sotto l’angolo dell’articolo 13 che si legge come segue:
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
78. La Corte ricorda, da una parte, che l’articolo 13 non saprebbe interpretare si come esigente un ricorso interno per ogni motivo di appello, così ingiustificato o egli, che un individuo può presentare sul terreno della Convenzione: deve trattarsi di un motivo di appello difendibile allo sguardo di questa, Boyle e Rice c. Regno Unito, serie Ha no 131, § 52, 24 aprile 1988. Nella presente causa, la Corte ha appena concluso che i motivi di appello del richiedente derivato della durata del procedimento principale e della mancanza di correzione nella cornice del procedimento “Pinto” sono inammissibili per mancanza di danno importante (vedere sopra § 66). Queste stesse considerazioni lo portano a concludere, sotto l’angolo dell’articolo 13, che il si non era in presenza di motivi di appello difendibili (vedere, tra molto altri, Al-Shari ed altri c. Italia, déc.), no 57/03, 5 luglio 2005, Walter c. Italia, déc.), no 18059/06, 11 luglio 2006, e Schiavone c. Italia, déc.), no 65039/01, 13 novembre 2007. L’articolo 13 non trova ad applicarsi nello specifico dunque.
79. Dell’altra parte, la Corte ricorda che, secondo la giurisprudenza Delle Cave e Corrado, nº 14626/03, §§ 43-46, 5 giugno 2007, e Simaldone (precitata, § 83, né l’insufficienza dell’indennizzo “Pinto” né la circostanza che il legge “Pinto” non permette di indennizzare il richiedente per la durata globale del procedimento ma prende in conto il solo danno che può riferirsi al periodo che supera il termine ragionevole non rimettono in causa, per l’istante, l’effettività di questa via di ricorso.
80. Pure sottolineando che si può escludere solamente la lentezza eccessiva del ricorso indennizzante ne ledo il suo carattere adeguato (Cocchiarella, precitata, § 86, la Corte considera che la durata del procedimento constatato nello specifico, sebbene provocando la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, non è sufficientemente importante per rimettere in causa l’effettività del rimedio “Pinto”, avuto anche riguardo all’esistenza di una fase supplementare di rinvio.
81. C’è luogo nello specifico di dichiarare questo motivo di appello inammissibile per difetto manifesto di fondamento al senso dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
82. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
83. Il richiedente richiede 30 987,41 euro (EUR, a titolo del danno patrimoniale e morale,). Fa valere che la sua situazione giudiziale ha provocato una mancanza a guadagnare, lucrum cessans, importando in termine di stipendi no percepii a causa della sua sospensione del servizio e del danno causato alla sua cava così come portato gravemente attentato alla sua vita di relazione professionale e familiare.
84. Il Governo stima che le pretese del richiedente sono sproporzionate.
85. In quanto al danno patrimoniale, la Corte stima che il richiedente non ha dimostrato in nessun modo l’esistenza di un legame diretto tra le violazioni constatata, a sapere la durata eccessiva del rimedio “Pinto” e la mancanza a guadagnare sofferto presumibilmente. Quindi, c’è luogo di non accordare niente nello specifico.
86. In quanto al danno morale in ragione della durata del procedimento “Pinto”, la Corte ricorda che è una giurisdizione internazionale che ha per compito principale di garantire il rispetto dei diritti dell’uomo come garantiti nella Convenzione ed i suoi Protocolli, piuttosto che di compensare, minuziosamente ed in modo esauriente, i danni subiti dai richiedenti. Contrariamente alle giurisdizioni nazionali, la Corte ha per ruolo privilegiato di adottare dei giudizi pubblici che stabiliscono le norme in materia dei diritti dell’uomo applicabile in tutta l’Europa (vedere, mutatis mutandis, Goncharova ed altri e 68 altri “pensionati privilegiati” c. Russia, nostri 23113/08 ed altre richieste, §§ 22-24, 15 ottobre 2009.
87. Osserva che nel caso di specifico, il richiedente è stato vittima dell’incapacità delle autorità italiane a garantire lo svolgimento del procedimento “Pinto” in un termine compatibile con gli obblighi che derivano dell’adesione dello stato convenuto alla Convenzione.
88. La Corte rileva che più di 2 000 richieste che portano principalmente o unicamente su questo stesso problema sono pendenti contro l’Italia e che il numero di questo tipo di richieste è in consolidato aumento dal 2008. Stima che, nelle situazioni che implicano un numero significativo delle vittime poste in una situazione simile, un approccio globale si imporsi.
89. Allo visto di ciò che precede e deliberando in equità, la Corte considera opportuna di accordare una somma forfetaria di 500 EUR al richiedente a titolo di danno morale in ragione della durata eccessiva del procedimento “Pinto” che ha appena constatato.
B. Oneri e spese
90. La parte richiedente domanda anche il rimborso degli oneri e spese impegnate dinnanzi alle giurisdizioni nazionali e dinnanzi alla Corte, che quantifica in 15 600 EUR.
91. Il Governo trova eccessivo ed ingiustificati gli oneri richiesti.
92. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Allo visto di ciò che precede, la lettera di richiamo di pagamento stabilito al riguardo del richiedente dal suo avvocato prodotto dalla parte richiesta non saprebbe essere considerata come essendo un documento di natura tale da giustificare degli oneri e spese a questo titolo. Pertanto, la Corte respinge la domanda.
C. Interessi moratori
93. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,:
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato della durata eccessiva del procedimento “Pinto” ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione in ragione della durata eccessiva del procedimento “Pinto”;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 500 EUR, cinque centesimi euro, per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare della scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà ad aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 6 marzo 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa