A.N.P.T.ES. Associazione Nazionale per la Tutela degli Espropriati. Oltre 5.000 espropri trattati in 15 anni di attività.
Qui trovi tutto cio che ti serve in tema di espropriazione per pubblica utilità.

Se desideri chiarimenti in tema di espropriazione compila il modulo cliccando qui e poi chiamaci ai seguenti numeri: 06.91.65.04.018 - 340.95.85.515

Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE GAGLIANO GIORGI c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, 13, 35, 06
Numero: 23563/07/2012
Stato: Italia
Data: 2012-03-06 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Parzialmente inammissibile; Violazione dell’art. 6-1; danno morale – risarcimento
SECONDA SEZIONE
CAUSA GAGLIANO GIORGI C. ITALIA
, Richiesta no 23563/07,
SENTENZA
STRASBURGO
6 marzo 2012
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nel causa Gagliano Giorgi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta di:
Francesca Tulkens, presidentessa,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović, Işıl Karakaş,
Guido Raimondi, Paulo Pinto di Albuquerque, Helen Keller, giudici, e di Francesca Elens-Passos, greffière collaboratrice di sezione,
Visto la richiesta suddetta introdotta il 31 maggio 2007,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 14 febbraio 2012,
Rende la sentenza che ha, adottata a questa ultima, dato:
IN FATTO
1. Il richiedente, il Sig. OMISSIS, è un cittadino italiano, nato in 1949 e residente a Milano. Ha investito la Corte il 31 maggio 2007. È rappresentato dinnanzi alla Corte con OMISSISi, avvocati a Milano. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e col suo coagente, il Sig. N. Lettieri.
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
2. I fatti della causa, come sono stati esposti dalle parti, si possono riepilogare come segue.
A. Il procedimento principale
3. Il richiedente faceva il presso ispettore dell’Ufficio degli Estero della Questura (Questura, di Milano,).
4. Con un decreto del 5 settembre 1988, notificato il seguente giorno, la procura del tribunale di Milano informò il richiedente che aveva iniziato dei perseguimenti al suo carico per concussione, articoli 317 e 81 del codice penale, ed ordinò la perquisizione del domicilio, dell’automobile e dell’ufficio del richiedente che ebbe luogo il 6 settembre 1988.
5. Il 9 settembre 1988, il computer del richiedente fu investito.
6. Il 20 marzo 1989, il giudice istruttore (“il giudice”) del tribunale di Milano ordinò delle notizie perquisizioni che ebbero luogo il seguente giorno. Il 20 marzo 1989, il giudice emise un mandato di arresto contro il richiedente dei capi di concussione, articoli 317 e 81 del codice penale, e falso (articolo 479 dello stesso codice). Il richiedente era accusato di avere costretto o spinti parecchi cittadini esteri che necessitano di titoli di soggiorno a versargli delle somme di denaro per ottenere i titoli dell’Ufficio degli Estero. Era accusato anche di avere alterato il verbale di certe dichiarazioni fatte da un cittadino estero avendo denunciato questa pratica. Il giudice ordinò anche l’arresto di sei altre persone implicate negli stessi fatti.
7. Il 21 marzo 1989, il Prefetto di polizia (Questore) di Milano sospese il richiedente delle sue funzioni.
8. Ad una data non precisata, il richiedente formulò una prima domanda di collocamento in libertà che fu respinta dal giudice il 28 marzo 1989, in ragione del rischio di dissimulazione delle prove da parte del richiedente.
9. In una data non precisata, il richiedente contestò il mandato di arresto dinnanzi alla camera del tribunale di Milano incaricata di riesaminare le misure di precauzione, tribunale del riesame. Il 30 marzo 1989, questa respinse il richiedente.
10. Ad una data non precisata, il richiedente introdusse una notizia chiedo di collocamento in libertà dinnanzi al giudice. Con un’ordinanza depositata il 21 aprile 1989, questo ultimo respinse questa domanda, in ragione del rischio di dissimulazione delle prove. L’ordinanza del giudice fu confermata, il 29 maggio 1989, col tribunale del riesame.
11. Con un’ordinanza depositata il 21 giugno 1989, il giudice, in seguito ad una terza domanda del richiedente, ordinò la sua rimessa in libertà, al motivo che, la procura avendo raccolto sufficientemente di prove, il rischio di dissimulazione non rimaneva più.
12. Con un’ordinanza depositata il 25 gennaio 1990, il giudice ordinò il rinvio dinnanzi al tribunale di Milano del richiedente per concussione e falso, RG no185/90. Sette altre persone furono rinviate in giustizia.
13. In seguito a sei udienze, tenute tra l’ 8 e il 23 maggio 1990, di istruzione e di arringhe, da un giudizio del 25 maggio 1990, depositati alla cancelleria il tribunale condannò il richiedente per concussione e falso a quattro anni e sei mesi di reclusione il 22 giugno 1990, ed all’interdizione continua dell’esercizio di funzioni pubbliche.
14. Il 26 maggio 1990, il richiedente attaccò questo giudizio dinnanzi alla corte di appello di Milano, RG no 4630/90, chiedendo il rinnovo dell’istruzione e delle arringhe, il suo proscioglimento o la riqualificazione dei fatti contestati in corruzione.
15. Il 5 luglio 1990, dinnanzi al giudice di istanza di Monza, il richiedente fece elezione di domicilio, ai fini del procedimento dinnanzi alla corte di appello di Milano, nel comune di S. Zenone al Lambro (Milano), presso la Sig.ra V.S.
16. Il 7 aprile 1993, il presidente della corte di appello di Milano fece notificare la citazione a comparire all’udienza del 18 maggio 1993 ad uno degli avvocati del richiedente.
17. Delle sette udienze fissate tra il 18 maggio ed i 29 novembre 1993, un fu rinviata di ufficio, un’in ragione di ciò che il Questura di Milano non aveva prodotto i documenti chiesti dalla corte, un riguardò la dichiarazione di contumace del richiedente, una le domande di istruzione probatoria e la produzione di documenti con gli avvocati degli imputati, un’il deposito di documenti da parte del Questura, una l’ascolto dei testimoni, una la presentazione dei conclusioni.
18. Con una sentenza del 29 novembre 1993, depositato il 22 dicembre 1993, la corte di appello non confermò la responsabilità del richiedente alla cancelleria che per certi degli episodi di concussioni che gli erano rimproverate e di questo capo riportò a tre anni ed otto mesi la pena globale trattenuta al suo carico per questo reato e quello di falso.
19. Il 24 dicembre 1993, questo ultimo si ricorse in cassazione e chiese a titolo principale l’annullamento della sentenza della corte di appello in ragione di ciò che la citazione a comparire all’udienza del 18 maggio 1993 era stata notificata al domicilio del suo avvocato e non al domicilio che aveva eletto il 5 luglio 1990. A titolo accessorio, sollecitò di nuovo la riqualificazione in corruzione dei fatti contestati.
20. Con una sentenza del 29 settembre 1994, depositato il 1 dicembre 1994, la Corte di cassazione annullò la sentenza della corte di appello alla cancelleria e rinviò la causa ad un’altra sezione di questa, in ragione, entra altri, della nullità della citazione a comparire.
21. Il 10 marzo 1994, il Questore di Milano revocò nel frattempo, la sospensione del richiedente delle sue funzioni. Questo ultimo fu trasferito al Questura di Torino.
22. L’udienza di arringhe della causa dinnanzi alla corte di appello di Milano, RG no 2637/94, fu fissata al 29 gennaio 1996. Ad una data non precisata, la corte di appello dichiarò la contumacia del richiedente.
23. Con una sentenza del 1 marzo 1996, depositato il 30 aprile 1996, la corte di appello, dopo avere riqualificato i fatti in “corruzione”, dichiarò l’estinzione di questo reato per prescrizione alla cancelleria. Condannò il richiedente col beneficio della condizionale per falso ad una pena di reclusione di un anno ed alla pena accessoria dell’interdizione dell’esercizio di funzioni pubbliche per un anno.
24. Ad una data non precisata, anteriore al luglio 1996, il richiedente si ricorse di nuovo in cassazione. Fece valere che la cancelleria della corte di appello, notificando che la citazione a comparire al suo domicilio eletto, a sapere l’abitazione della Sig.ra V.S, aveva indirizzato erroneamente il raccomandato all’attenzione di questa e non all’attenzione del richiedente.
25. Con una sentenza del 7 ottobre 1997, depositato il 18 ottobre 1997, la Corte di cassazione fece diritto alla domanda del richiedente alla cancelleria e rinviò la pratica ad un’altra sezione della corte di appello.
26. Ad una data non precisata, la cancelleria della corte di appello notificò la citazione a comparire all’udienza del 26 marzo 1998, RG no 4288/97, ad uno degli avvocati del richiedente.
27. A questa data, la corte di appello dichiarò la nullità della citazione ed ordinò presso la notificazione della citazione per l’udienza del 11 giugno 1998 con la polizia giudiziale della Sig.ra V.S. e presso del Questura di Torino, dove il richiedente aveva preso servizio nel frattempo.
28. In seguito all’udienza del 11 giugno 1998, con una sentenza dello stesso giorno, depositato alla cancelleria il 24 giugno 1998, la corte di appello dichiarò che il capo di accusa di corruzione era prescritto e condannò il richiedente ad un anno di reclusione per falso ed alla pena accessoria dell’interdizione dell’esercizio di funzioni pubbliche per un anno. Confermò l’utile del rinvio dell’esecuzione della pena.
29. Il 2 ottobre 1998, il richiedente si ricorse in cassazione. Addusse che la notificazione della citazione a comparire all’udienza del 11 giugno 1998 effettuato presso della Sig.ra V.S. non indicava correttamente l’autorità giudiziale competente e che quell’effettuato al Questura di Torino non era regolare poiché rimessa al suo superiore gerarchico.
30. Con una sentenza del 14 aprile 1999, depositato il 29 aprile 1999, la Corte di cassazione respinse il richiedente al motivo alla cancelleria che, secondo la giurisprudenza della stessa corte, la rimessa ad un superiore gerarchico provoca una presunzione di cognizione da parte del destinatario della notificazione che è di questo fatto regolare.
B. La prima richiesta introdotta dinnanzi alla Corte
31. Il 12 ottobre 1999, il richiedente investe la Corte di una richiesta (no52228/99, concernente l’equità del procedimento penale sollecitato al suo carico,).
32. Il 8 novembre 2002, la Corte, deliberando al senso dell’articolo 28 della Convenzione, dichiarò la richiesta manifestamente male fondata.
C. Il procedimento “Pinto”
33. Il 16 ottobre 2001, il richiedente investe la corte di appello di Brescia al senso del legge “Pinto”, chiedendo 60 000 000 lire italiane [30 987 euro (EUR)] per il danno morale e materiale che pretendeva avere subito a causa della durata del procedimento principale.
34. Con una decisione depositata il 21 febbraio 2002, la corte di appello conclude unicamente alla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione per la fase che va del deposito del giudizio del tribunale di Milano, 22 giugno 1990, al pronunziata della prima sentenza in appello, 29 novembre 1993, stimando che le altre fasi del procedimento non avevano subito nessuna stagnazione, tenuto conto del numero di giudici che avevano avuto a deliberare sulla causa. Non accordò nessuno indennizzo, al motivo che il richiedente non aveva dimostrato avere subito di danno patrimoniale o morale e che, comunque, essendo stato condannato alla conclusione del procedimento principale, non aveva potuto subire nessuno danno morale legato alla durata di questa.
35. Il 24 aprile 2002, il richiedente si ricorse in cassazione. Con una sentenza depositata il 24 ottobre 2003, la Corte di cassazione annullò la decisione controversa, stimando che la conclusione sfavorevole di un processo non esclude in si l’esistenza di un danno morale che deriva della sua durata e che, peraltro, i danni subiti a causa della durata di un procedimento devono essere dimostrati dall’interessato. Rinviò la causa dinnanzi alla corte di appello di Brescia.
36. Il 20 aprile 2004, il richiedente investe questa ultima, facendo valere, entra altri che dopo il deposito della sentenza del 24 ottobre 2003, la Corte di cassazione plenaria aveva reso quattro sentenze che escludono la necessità di dimostrare il danno morale, nostri 1338, 1339, 1340 e 1341 del 2004.
37. Con una decisione del 7 luglio 2004, depositato il 21 luglio 2004, la corte di appello respinse il ricorso, al motivo che i principi che derivano delle sentenze della Corte di cassazione plenaria non erano direttamente applicabili nel procedimento di rinvio e che il richiedente non aveva dimostrato il danno morale, siccome era tenuto di fare. La corte di appello rilevò peraltro che il richiedente aveva interesse al prolungamento del procedimento penale per ottenere la prescrizione dei reati di cui era accusato.
38. Il 15 novembre 2004, il richiedente si ricorse in cassazione. Con una sentenza depositata il 6 dicembre 2006, la Corte di cassazione respinse il richiedente e lo condannò al pagamento di 3 000 EUR per oneri e spese del procedimento.
D. La seconda richiesta introdotta dinnanzi alla Corte
39. Il 10 novembre 2004, il richiedente aveva investito nel frattempo, di nuovo la Corte, richiesta no 40739/04, lamentandosi della durata del procedimento penale, della durata del procedimento “Pinto” e della mancanza di effettività del rimedio “Pinto.”
40. Il 11 gennaio 2005, la Corte, in applicazione dell’articolo 28 della Convenzione, dichiarò la richiesta inammissibile nella sua globalità. Con lettera del 17 gennaio, il richiedente fu informato che “tenuto conto dell’insieme degli elementi nel suo possesso, e nella misura in cui era competente per conoscere delle affermazioni formulate, la Corte non ha rilevato nessuna apparenza di violazione dei diritti e libertà garantite dalla Convenzione o i suoi Protocolli.”
II. IL DIRITTO E LE PRATICA INTERNI PERTINENTI
A. Il legge “Pinto”
41. Il diritto e la pratica interna pertinenti relative alla legge no 89 del 24 marzo 2001, detta “legge Pinto”, figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006-V.
B. La rinuncia alla prescrizione in materia penale.
42. L’articolo 157 § 7 del codice penale, come modificato seguito alla sentenza no 275/1990 della Corte costituzionale, si legge così:
Articolo 157 § 7
“L’imputato può sempre rinunciare alla prescrizione in modo espressa. “
MOTIVI D’ APPELLO
43. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta della durata del procedimento principale e della mancanza di correzione nella cornice del procedimento “Pinto.” Contesta in particolare che la corte di appello di Brescia, nelle sue decisioni del 21 febbraio 2002 e 7 luglio 2004, ha limitato solamente a due anni la durata del procedimento principale che supera il termine “ragionevole” e non ha accordato di indennizzo al motivo che non aveva dimostrato al contrario il danno morale subito, ciò che sarebbe, in re ipsa.
44. Invocando gli articoli 1, 13 e 46, si lamenta della mancanza di effettività del rimedio “Pinto”, in ragione di questo che la decisione della corte di appello di Brescia del 7 luglio 2004 e la sentenza della Corte di cassazione del 6 dicembre 2006 non hanno applicato i criteri di indennizzo non stabilito la Corte e seguito nelle sentenze della Corte di cassazione plenaria del 2004.
45. Sulla base dell’articolo 6 § 1, si lamenta della durata del procedimento “Pinto.”
46. Invocando gli articoli 1, 13 e 46, si lamenta della mancanza di effettività del rimedio “Pinto”, in ragione della durata del procedimento “Pinto.”
IN DIRITTO
I. MOTIVI D’ APPELLO TIRATI DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
47. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta della durata del procedimento principale e della mancanza di correzione nella cornice del procedimento “Pinto” così come della durata di questa ultima.
48. Il Governo oppone a questa tesi.
49. L’articolo 6 della Convenzione, nelle sue parti pertinenti, si legge così:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, della fondatezza di ogni accusa in materia penale diretta “
A. Sulla durata del procedimento principale e la mancanza di correzione nella cornice del procedimento “Pinto”
50. La Corte rileva che il richiedente adduce la violazione dell’articolo 6 della Convenzione per il fatto che non ha ottenuto nessuno indennizzo per un procedimento essendo durato dieci anni e sette mesi per tre gradi di giurisdizione.
Mancanza di danno importante
51. Nelle sue osservazioni del 20 maggio 2010, il Governo invoca la mancanza di ogni danno importante per il richiedente. Si riferisce al testo dell’articolo 35 § 3 b, della Convenzione, come modificato dal Protocollo no 14 secondo che la Corte può dichiarare una richiesta inammissibile quando “il richiedente non ha subito nessuno danno importante, salvo se il rispetto dei diritti dell’uomo garantito dalla Convenzione ed i suoi Protocolli esigono un esame della richiesta al fondo ed a patto di non respingere per questo motivo nessuna causa che non è stata esaminata debitamente da un tribunale interno.”
52. Il Governo afferma, in particolare, che il prolungamento del procedimento controverso ha permesso al richiedente di beneficiare di una riduzione della pena in ragione dell’estinzione del reato di corruzione per prescrizione. Il Governo sostiene, inoltre, che il richiedente avrebbe dato prova di un comportamento ostruzionistico all’epoca del processo per fare inseguire i termini di prescrizione.
53. La parte richiesta respinge gli argomenti del Governo in quanto alla sua condotta all’epoca del processo e neghi tutto preteso utile che deriverebbe della dichiarazione di prescrizione in questione. Fa valere in particolare che, la sentenza di appello del 1 marzo 1996 avendo accordato già al richiedente l’utile del rinvio, suddetta dichiarazione non avrebbe provocato nessuna modifica sostanziale della pena inflitta a questo ultimo.
54. La Corte ricorda che il nuovo criterio della mancanza di danno importante è stato concepito per permettergli di trattare velocemente le richieste a carattere futile per concentrarsi sulla sua missione essenziale che è di garantire al livello europeo la protezione giuridica dei diritti garantiti dalla Convenzione ed i suoi Protocolli, Stefanescu c. Romania, déc.), no 11774/04, 12 aprile 2011, § 35.
55. Conclusione del principio di minimis no pulisse praetor, la nuova condizione di ammissibilità rinvia all’idea che la violazione di un diritto, qualunque sia la sua realtà di un punto di vista rigorosamente giuridica, deve raggiungere una soglia minima di gravità per giustificare un esame con una giurisdizione internazionale, Korolev c. Russia (déc), nº 25551/05, 1 luglio 2010. La valutazione di questa soglia è, con natura, relativa e dipende delle circostanze dello specifico (Korolev, precitata, e, mutatis mutandis, Soering c. Regno Unito, 7 luglio 1989, § 100, serie Ha no 161. Questa valutazione deve tenere conto tanto la percezione soggettiva del richiedente che la posta obiettiva della controversia.
56. Allo visto dei criteri che si liberano in materia della sua giurisprudenza, la Corte stima che per verificare se la violazione di un diritto raggiunge la soglia minima di gravità, c’è luogo di prendere in particolare in conto i seguenti elementi: la natura del diritto presumibilmente violato, la gravità dell’incidenza della violazione addotta nell’esercizio di un diritto e/o le conseguenze eventuali della violazione sulla situazione personale del richiedente, Giusti c. Italia, no 13175/03, § 34, 18 ottobre 2011.
57. Nello specifico, la Corte constata che, in ragione della durata del procedimento controverso, il 11 giugno 1998, la corte di appello ha dichiarato l’estinzione del capo di accusa di corruzione per prescrizione. Ciò ha provocato una diminuzione della pena considerata contro il richiedente evidentemente, tanto più che il reato prescritto era abbinato della pena più pesante dei due rimproverati all’interessato, sebbene gli elementi della pratica non permettono di valutare l’importanza esatta di questa riduzione né di chiarire ulteriormente il legame esistente tra le violazioni del termine ragionevole e questa. La Corte osserva anche che il richiedente ha deciso di non rinunciare alla prescrizione, possibilità che gli era offerta in dritto italiano (vedere Diritto interno pertinente) § 42 sopra. In queste circostanze, la Corte è dell’opinione che la riduzione della pena in questione a tutto di meno compensati o particolarmente ridotto i danni che derivano normalmente della durata eccessiva del procedimento. La Corte vede del resto, male la pertinenza delle osservazioni della parte richiesta che ha fatto riferimento al fatto che la sentenza del 1 marzo 1996 aveva concesso all’imputato l’utile del rinvio dell’esecuzione della pena (vedere sopra § 23). Nota a questo riguardo che con questa stessa sentenza la Corte di appello di Milano aveva già in fatto dichiarato l’estinzione del reato di corruzione per prescrizione.
58. Quindi, la Corte considera che il richiedente non ha subito un “danno importante” allo sguardo del suo diritto ad un processo in un termine ragionevole.
59. In quanto alla questione di sapere se il rispetto dei diritti dell’uomo garantito dalla Convenzione ed i suoi Protocolli esigono di esaminare la richiesta al fondo, la Corte ricorda che questa nozione rinvia già alle condizioni definite per l’applicazione degli articoli 37 § 1 e 38 § 1, nella sua redazione anteriore al Protocollo no 14, della Convenzione. Gli organi della Convenzione hanno interpretato in modo costante queste disposizioni come esigenti il perseguimento dell’esame di una causa, in dispetto della conclusione di un ordinamento amichevole o l’esistenza di una causa di radiazione del ruolo. È stato giudicato in compenso già che questo esame non si imporsi quando esiste una giurisprudenza chiara e molto abbondante sulla questione relativa alla Convenzione che si porsi nella causa sottoposta alla Corte (vedere, entra altri, Van Houten c. Paesi Bassi (radiazione), no 25149/03, CEDH 2005-IX, e Kavak c. Turchia, déc.), no 34719/04 e 37472/05, 19 maggio 2009.
60. Nello specifico, la Corte stima che nessuno imperativo derivato dell’ordine pubblico europeo al quale partecipa la Convenzione ed i suoi Protocolli non giustificano di inseguire l’esame del motivo di appello.
61. Difatti, suddetto motivo di appello pone la questione del diritto al termine ragionevole in materia penale ed in particolare quella della durata del procedimento principale nella cornice del rimedio introduce dal legge “Pinto” che è stato oggetto di una giurisprudenza copiosa della Corte (vedere, entra altri, Cocchiarella c. Italia [GC], precitata, Simaldone c. Italia, no 22644/03, 31 marzo 2009 e Labita c. Italia [GC], no 26772/95, CEDH 2000-IV.
62. In queste condizioni, la Corte stima che il rispetto dei diritti dell’uomo non esige il perseguimento dell’esame di questo motivo di appello.
63. Infine, trattandosi della terza condizione posta dal nuovo criterio di ammissibilità che esige che la causa sia stata esaminata” “debitamente da un tribunale interno, la Corte ricorda che mira a garantire che ogni causa sarà oggetto di un esame giurisdizionale o sul piano nazionale, o sul piano europeo. Questa clausola riflette anche il principio di sussidiarietà, come risulta in particolare dell’articolo 13 della Convenzione che esige che i ricorsi effettivi contro le violazioni siano disponibili al livello nazionale (Korolev, precitata). Combinata alla clausola di salvaguardia precedente, garantisce che non sono in gioco dinnanzi alla Corte delle questioni serie di applicazione o di interpretazione della Convenzione e dei suoi Protocolli, o delle questioni importanti relative al diritto nazionale (vedere il Rapporto esplicativo al Protocollo no 14, § 83,).
64. Nello specifico, la Corte constata che la questione che cade sulla durata del procedimento penale è stata esaminata a due riprese col giudice di appello e col giudice di cassazione competente ai termini del legge “Pinto”, il richiedente avendo sottoposto i mezzi derivati del rifiuto della corte di appello di accordargli un indennizzo pecuniario a questo ultimo.
65. In queste condizioni, la Corte stima che la causa è stata esaminata debitamente da un tribunale interna, nessuna questione seria relativa all’interpretazione o all’applicazione della Convenzione o al diritto nazionale non avendo lasciato senza risposta.
66. Le condizioni del nuovo criterio di ammissibilità essendo riunite, la Corte stima che questo motivo di appello deve essere dichiarato inammissibile in virtù dell’articolo 35 §§ 3 b, e 4 della Convenzione.
B. Sulla durata del procedimento “Pinto”
67. La Corte osserva che il richiedente invoca presumibilmente una violazione dell’articolo 6 della Convenzione a causa della durata eccessiva del procedimento “Pinto.”
68. Il Governo non ha formulato di osservazioni su questo punto.
1. I principi applicabili
69. In quanto al termine che può essere considerato ragionevole al senso dell’articolo 6 § 1, la Corte ricorda che i criteri applicabili non saprebbero essere quegli adottato per valutare la durata dei procedimenti ordinari, avuto riguardo alla natura della via di ricorso “Pinto” ed al fatto che queste cause non rivestono normalmente nessuna complessità. Nella cornice di un ricorso indennizzante che mira a risanare le conseguenze della durata eccessiva dei procedimenti, un zelo particolare si imporsi agli Stati affinché la violazione sia constatata e risanata al più presto possibile, Belperio e Ciarmoli c. Italia, no 7932/04, § 42, 21 dicembre 2010.
70. In ciò che riguarda la fase giudiziale del procedimento, nel causa Vaney c. Francia (no 53946/00) § 53, 30 novembre 2004, dove il richiedente si lamentava della durata di un procedimento penale così come della durata di un ricorso in responsabilità dello stato per la lentezza di questa, la Corte ha concluso anche alla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione in relazione alla durata del secondo procedimento.
71. Nel causa Cocchiarella (precitata, § 99, la Corte ha indicato che il termine di quattro mesi previsti dal legge “Pinto” rispetto l’esigenza di celerità richiesta per un ricorso effettivo. Tuttavia, ha accettato che le durate di nove mesi per un’istanza e di quattordici mesi per due istanze poteva passare per ragionevoli, sebbene superando il termine previsto dal legge “Pinto”, Riccardi Pizzati c. Italia [GC], no 62361/00, § 98, 29 marzo 2006, Giuseppe Mostacciuolo c. Italia (no 2) [GC], no 65102/01, § 97, 29 marzo 2006.
72. Più recentemente, nella causa Belperio e Ciarmoli (precitata, § 48, la Corte ha considerato irragionevole un procedimento “Pinto”, essendo durato due anni ed otto mesi per un grado di giurisdizione, ivi compreso la fase dell’esecuzione. All’epoca della comunicazione di questa stessa causa, il 9 giugno 2009, la Corte ha fissato inoltre, a circa un anno e sei mesi, per un grado di giurisdizione, più fase di esecuzione, e due anni e sei mesi, per due gradi di giurisdizione, ivi compreso fraseggio di esecuzione, il termine in che un procedimento Pinto globalmente considerato dovrebbe concludersi per essere considerato ragionevole.
73. Alla luce di ciò che precede, la Corte stima che per soddisfare alle esigenze del “termine ragionevole” al senso dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, la durata di un procedimento “Pinto” dinnanzi alla corte di appello competente e la Corte di cassazione, inclusa la fase di esecuzione della decisione, non dovrebbe, in principio e salvo circostanze eccezionali, superare due anni e sei mesi.
2. L’applicazione al caso di specie
74. La Corte nota che il procedimento “Pinto”, cominciata il 16 ottobre 2001, si è conclusa il 6 dicembre 2006 e è durato dunque cinque anni ed un mese, a riportare a quattro anni e due mesi tenuto conto dei ritardi imputabili al richiedente, per due gradi di giurisdizioni. La Corte nota anche che, il richiedente non avendo ottenuto nessuno indennizzo, il procedimento “Pinto” non ha avuto fase di esecuzione.
75. Anche supponendo che il procedimento in questione rivestiva una complessità particolare a causa dei numerosi rinvii durante il procedimento principale, o tre dinnanzi alla corte di appello e tanto dinnanzi alla Corte di cassazione, la Corte sottolinea che la sua durata ha superato largamente il termine suddetto di due anni e sei mesi, tanto più che non ha compreso nessuna fase di esecuzione.
76. Pertanto, la Corte stima che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1, sotto l’angolo del diritto ad un giudizio in un termine ragionevole.
II. MOTIVO D’ APPELLO TRATTO DALLA MANCANZA DI EFFETTIVITÀ DEL RIMEDIO PINTO IN RAGIONE, DA UNA PARTE, DELLA MANCATA APPLICAZIONE, DA PARTE DELLE GIURISDIZIONI INTERNE DEI CRITERI DI INDENNIZZO STABILITO DALLA CORTE E, DALL’ALTRA PARTE, DALLA DURATA DEL PROCEDIMENTO “PINTO” (ARTICOLI 1) 13 E 46 DELLA CONVENZIONE,
77. La Corte stima che questi motivi di appello dovrebbero essere analizzati unicamente sotto l’angolo dell’articolo 13 che si legge come segue:
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
78. La Corte ricorda, da una parte, che l’articolo 13 non saprebbe interpretare si come esigente un ricorso interno per ogni motivo di appello, così ingiustificato o egli, che un individuo può presentare sul terreno della Convenzione: deve trattarsi di un motivo di appello difendibile allo sguardo di questa, Boyle e Rice c. Regno Unito, serie Ha no 131, § 52, 24 aprile 1988. Nella presente causa, la Corte ha appena concluso che i motivi di appello del richiedente derivato della durata del procedimento principale e della mancanza di correzione nella cornice del procedimento “Pinto” sono inammissibili per mancanza di danno importante (vedere sopra § 66). Queste stesse considerazioni lo portano a concludere, sotto l’angolo dell’articolo 13, che il si non era in presenza di motivi di appello difendibili (vedere, tra molto altri, Al-Shari ed altri c. Italia, déc.), no 57/03, 5 luglio 2005, Walter c. Italia, déc.), no 18059/06, 11 luglio 2006, e Schiavone c. Italia, déc.), no 65039/01, 13 novembre 2007. L’articolo 13 non trova ad applicarsi nello specifico dunque.
79. Dell’altra parte, la Corte ricorda che, secondo la giurisprudenza Delle Cave e Corrado, nº 14626/03, §§ 43-46, 5 giugno 2007, e Simaldone (precitata, § 83, né l’insufficienza dell’indennizzo “Pinto” né la circostanza che il legge “Pinto” non permette di indennizzare il richiedente per la durata globale del procedimento ma prende in conto il solo danno che può riferirsi al periodo che supera il termine ragionevole non rimettono in causa, per l’istante, l’effettività di questa via di ricorso.
80. Pure sottolineando che si può escludere solamente la lentezza eccessiva del ricorso indennizzante ne ledo il suo carattere adeguato (Cocchiarella, precitata, § 86, la Corte considera che la durata del procedimento constatato nello specifico, sebbene provocando la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, non è sufficientemente importante per rimettere in causa l’effettività del rimedio “Pinto”, avuto anche riguardo all’esistenza di una fase supplementare di rinvio.
81. C’è luogo nello specifico di dichiarare questo motivo di appello inammissibile per difetto manifesto di fondamento al senso dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
82. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
83. Il richiedente richiede 30 987,41 euro (EUR, a titolo del danno patrimoniale e morale,). Fa valere che la sua situazione giudiziale ha provocato una mancanza a guadagnare, lucrum cessans, importando in termine di stipendi no percepii a causa della sua sospensione del servizio e del danno causato alla sua cava così come portato gravemente attentato alla sua vita di relazione professionale e familiare.
84. Il Governo stima che le pretese del richiedente sono sproporzionate.
85. In quanto al danno patrimoniale, la Corte stima che il richiedente non ha dimostrato in nessun modo l’esistenza di un legame diretto tra le violazioni constatata, a sapere la durata eccessiva del rimedio “Pinto” e la mancanza a guadagnare sofferto presumibilmente. Quindi, c’è luogo di non accordare niente nello specifico.
86. In quanto al danno morale in ragione della durata del procedimento “Pinto”, la Corte ricorda che è una giurisdizione internazionale che ha per compito principale di garantire il rispetto dei diritti dell’uomo come garantiti nella Convenzione ed i suoi Protocolli, piuttosto che di compensare, minuziosamente ed in modo esauriente, i danni subiti dai richiedenti. Contrariamente alle giurisdizioni nazionali, la Corte ha per ruolo privilegiato di adottare dei giudizi pubblici che stabiliscono le norme in materia dei diritti dell’uomo applicabile in tutta l’Europa (vedere, mutatis mutandis, Goncharova ed altri e 68 altri “pensionati privilegiati” c. Russia, nostri 23113/08 ed altre richieste, §§ 22-24, 15 ottobre 2009.
87. Osserva che nel caso di specifico, il richiedente è stato vittima dell’incapacità delle autorità italiane a garantire lo svolgimento del procedimento “Pinto” in un termine compatibile con gli obblighi che derivano dell’adesione dello stato convenuto alla Convenzione.
88. La Corte rileva che più di 2 000 richieste che portano principalmente o unicamente su questo stesso problema sono pendenti contro l’Italia e che il numero di questo tipo di richieste è in consolidato aumento dal 2008. Stima che, nelle situazioni che implicano un numero significativo delle vittime poste in una situazione simile, un approccio globale si imporsi.
89. Allo visto di ciò che precede e deliberando in equità, la Corte considera opportuna di accordare una somma forfetaria di 500 EUR al richiedente a titolo di danno morale in ragione della durata eccessiva del procedimento “Pinto” che ha appena constatato.
B. Oneri e spese
90. La parte richiedente domanda anche il rimborso degli oneri e spese impegnate dinnanzi alle giurisdizioni nazionali e dinnanzi alla Corte, che quantifica in 15 600 EUR.
91. Il Governo trova eccessivo ed ingiustificati gli oneri richiesti.
92. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Allo visto di ciò che precede, la lettera di richiamo di pagamento stabilito al riguardo del richiedente dal suo avvocato prodotto dalla parte richiesta non saprebbe essere considerata come essendo un documento di natura tale da giustificare degli oneri e spese a questo titolo. Pertanto, la Corte respinge la domanda.
C. Interessi moratori
93. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,:
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato della durata eccessiva del procedimento “Pinto” ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione in ragione della durata eccessiva del procedimento “Pinto”;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 500 EUR, cinque centesimi euro, per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare della scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà ad aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 6 marzo 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa

Testo Tradotto

Conclusion Partiellement irrecevable ; Violation de l’art. 6-1 ; Préjudice moral – réparation
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE GAGLIANO GIORGI c. ITALIE
(Requête no 23563/07)
ARRÊT
STRASBOURG
6 mars 2012
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Gagliano Giorgi c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
Işıl Karakaş,
Guido Raimondi,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, juges,
et de Françoise Elens-Passos, greffière adjointe de section,
Vu la requête susmentionnée introduite le 31 mai 2007,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 14 février 2012,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette dernière date :
EN FAIT
1. Le requérant, M. OMISSIS, est un ressortissant italien, né en 1949 et résidant à Milan. Il a saisi la Cour le 31 mai 2007. Il est représenté devant la Cour par OMISSISi, avocats à Milan. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, Mme E. Spatafora, et par son coagent, M. N. Lettieri.
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
2. Les faits de la cause, tels qu’ils ont été exposés par les parties, peuvent se résumer comme suit.
A. La procédure principale
3. Le requérant était inspecteur auprès du Bureau des Étrangers de la Préfecture de police (Questura) de Milan.
4. Par un décret du 5 septembre 1988, notifié le jour suivant, le parquet du tribunal de Milan informa le requérant qu’il avait entamé des poursuites à son encontre pour concussion (articles 317 et 81 du code pénal) et ordonna la perquisition du domicile, de la voiture et du bureau du requérant, laquelle eut lieu le 6 septembre 1988.
5. Le 9 septembre 1988, l’ordinateur du requérant fut saisi.
6. Le 20 mars 1989, le juge d’instruction (« le juge ») du tribunal de Milan ordonna de nouvelles perquisitions, qui eurent lieu le jour suivant. Le 20 mars 1989, le juge émit un mandat d’arrêt à l’encontre du requérant des chefs de concussion (articles 317 et 81 du code pénal) et faux (article 479 du même code). Le requérant était accusé d’avoir contraint ou poussé plusieurs ressortissants étrangers nécessitant de titres de séjour à lui verser des sommes d’argent afin d’obtenir les titres du Bureau des Etrangers. Il était aussi accusé d’avoir altéré le procès-verbal de certaines déclarations faites par un ressortissant étranger ayant dénoncé cette pratique. Le juge ordonna aussi l’arrestation de six autres personnes impliquées dans les mêmes faits.
7. Le 21 mars 1989, le Préfet de police (Questore) de Milan suspendit le requérant de ses fonctions.
8. A une date non précisée, le requérant formula une première demande de mise en liberté, qui fut rejetée par le juge le 28 mars 1989, en raison du risque de dissimulation des preuves de la part du requérant.
9. A une date non précisée, le requérant contesta le mandat d’arrêt devant la chambre du tribunal de Milan chargée de réexaminer les mesures de précaution (tribunale del riesame). Le 30 mars 1989, celle-ci débouta le requérant.
10. A une date non précisée, le requérant introduisit une nouvelle demande de mise en liberté devant le juge. Par une ordonnance déposée le 21 avril 1989, ce dernier rejeta cette demande, en raison du risque de dissimulation des preuves. L’ordonnance du juge fut confirmée, le 29 mai 1989, par le tribunale del riesame.
11. Par une ordonnance déposée le 21 juin 1989, le juge, à la suite d’une troisième demande du requérant, ordonna sa remise en liberté, au motif que, le parquet ayant recueilli suffisamment de preuves, le risque de dissimulation ne subsistait plus.
12. Par une ordonnance déposée le 25 janvier 1990, le juge ordonna le renvoi devant le tribunal de Milan du requérant pour concussion et faux (RG no185/90). Sept autres personnes furent renvoyées en justice.
13. A la suite de six audiences, tenues entre les 8 et 23 mai 1990, d’instruction et de plaidoiries, par un jugement du 25 mai 1990, déposé au greffe le 22 juin 1990, le tribunal condamna le requérant pour concussion et faux à quatre ans et six mois de réclusion et à l’interdiction perpétuelle de l’exercice de fonctions publiques.
14. Le 26 mai 1990, le requérant attaqua ce jugement devant la cour d’appel de Milan (RG no 4630/90), demandant le renouvellement de l’instruction et des plaidoiries, son acquittement ou la requalification des faits contestés en corruption.
15. Le 5 juillet 1990, devant le juge d’instance de Monza, le requérant fit élection de domicile, aux fins de la procédure devant la cour d’appel de Milan, dans la commune de S. Zenone al Lambro (Milan), auprès de Mme V.S.
16. Le 7 avril 1993, le président de la cour d’appel de Milan fit notifier l’assignation à comparaître à l’audience du 18 mai 1993 à l’un des avocats du requérant.
17. Des sept audiences fixées entre le 18 mai et le 29 novembre 1993, une fut renvoyée d’office, une en raison de ce que la Questura de Milan n’avait pas produit les documents demandés par la cour, une concerna la déclaration de contumace du requérant, une les demandes d’instruction probatoire et la production de documents par les avocats des accusés, une le dépôt de documents de la part de la Questura, une l’audition des témoins, une la présentation des conclusions.
18. Par un arrêt du 29 novembre 1993, déposé au greffe le 22 décembre 1993, la cour d’appel ne confirma la responsabilité du requérant que pour certains des épisodes de concussions qui lui étaient reprochés et de ce chef ramena à trois ans et huit mois la peine globale retenue à son encontre pour ce délit et celui de faux.
19. Le 24 décembre 1993, ce dernier se pourvut en cassation et demanda à titre principal l’annulation de l’arrêt de la cour d’appel en raison de ce que l’assignation à comparaître à l’audience du 18 mai 1993 avait été notifiée au domicile de son avocat et non pas au domicile qu’il avait élu le 5 juillet 1990. A titre subsidiaire, il sollicita à nouveau la requalification en corruption des faits contestés.
20. Par un arrêt du 29 septembre 1994, déposé au greffe le 1er décembre 1994, la Cour de cassation annula l’arrêt de la cour d’appel et renvoya l’affaire à une autre section de celle-ci, en raison, entre autres, de la nullité de l’assignation à comparaître.
21. Entre-temps, le 10 mars 1994, le Questore de Milan révoqua la suspension du requérant de ses fonctions. Ce dernier fut muté à la Questura de Turin.
22. L’audience de plaidoiries de l’affaire devant la cour d’appel de Milan (RG no 2637/94) fut fixée au 29 janvier 1996. A une date non précisée, la cour d’appel déclara la contumace du requérant.
23. Par un arrêt du 1er mars 1996, déposé au greffe le 30 avril 1996, la cour d’appel, après avoir requalifié les faits en « corruption », déclara l’extinction de ce délit pour prescription. Elle condamna le requérant avec sursis pour faux à une peine de réclusion d’un an et à la peine accessoire de l’interdiction de l’exercice de fonctions publiques pour un an.
24. A une date non précisée, antérieure à juillet 1996, le requérant se pourvut à nouveau en cassation. Il fit valoir que le greffe de la cour d’appel, en notifiant l’assignation à comparaître à son domicile élu, à savoir l’habitation de Mme V.S., avait erronément adressé le recommandé à l’attention de celle-ci et non à l’attention du requérant.
25. Par un arrêt du 7 octobre 1997, déposé au greffe le 18 octobre 1997, la Cour de cassation fit droit à la demande du requérant et renvoya le dossier à une autre section de la cour d’appel.
26. A une date non précisée, le greffe de la cour d’appel notifia l’assignation à comparaître à l’audience du 26 mars 1998 (RG no 4288/97) à l’un des avocats du requérant.
27. A cette date, la cour d’appel déclara la nullité de l’assignation et ordonna la notification de l’assignation pour l’audience du 11 juin 1998 par la police judiciaire auprès de Mme V.S. et auprès de la Questura de Turin, où le requérant avait entre-temps pris service.
28. A la suite de l’audience du 11 juin 1998, par un arrêt du même jour, déposé au greffe le 24 juin 1998, la cour d’appel déclara que le chef d’accusation de corruption était prescrit et condamna le requérant à un an de réclusion pour faux et à la peine accessoire de l’interdiction de l’exercice de fonctions publiques pour un an. Elle confirma le bénéfice du sursis de l’exécution de la peine.
29. Le 2 octobre 1998, le requérant se pourvut en cassation. Il allégua que la notification de l’assignation à comparaître à l’audience du 11 juin 1998 effectuée auprès de Mme V.S. n’indiquait pas correctement l’autorité judiciaire compétente et que celle effectuée à la Questura de Turin n’était pas régulière puisque remise à son supérieur hiérarchique.
30. Par un arrêt du 14 avril 1999, déposé au greffe le 29 avril 1999, la Cour de cassation débouta le requérant au motif que, d’après la jurisprudence de la même cour, la remise à un supérieur hiérarchique entraîne une présomption de connaissance de la part du destinataire de la notification, laquelle est de ce fait régulière.
B. La première requête introduite devant la Cour
31. Le 12 octobre 1999, le requérant saisit la Cour d’une requête (no52228/99) concernant l’équité de la procédure pénale diligentée à son encontre.
32. Le 8 novembre 2002, la Cour, statuant au sens de l’article 28 de la Convention, déclara la requête manifestement mal fondée.
C. La procédure « Pinto »
33. Le 16 octobre 2001, le requérant saisit la cour d’appel de Brescia au sens de la loi « Pinto », demandant 60 000 000 lires italiennes [30 987 euros (EUR)] pour le préjudice moral et matériel qu’il prétendait avoir subi à cause de la durée de la procédure principale.
34. Par une décision déposée le 21 février 2002, la cour d’appel conclut à la violation de l’article 6 § 1 de la Convention uniquement pour la phase allant du dépôt du jugement du tribunal de Milan (22 juin 1990) au prononcé du premier arrêt en appel (29 novembre 1993), en estimant que les autres phases de la procédure n’avaient subi aucune stagnation, compte tenu du nombre de juges qui avaient eu à statuer sur l’affaire. Elle n’accorda aucune indemnisation, au motif que le requérant n’avait pas démontré avoir subi de dommage matériel ou moral et que, de toute manière, ayant été condamné à l’issue de la procédure principale, il n’avait pu subir aucun dommage moral lié à la durée de celle-ci.
35. Le 24 avril 2002, le requérant se pourvut en cassation. Par un arrêt déposé le 24 octobre 2003, la Cour de cassation cassa la décision litigieuse, estimant que l’issue défavorable d’un procès n’exclut pas en soi l’existence d’un dommage moral découlant de sa durée et que, par ailleurs, les préjudices subis du fait de la durée d’une procédure doivent être démontrés par l’intéressé. Elle renvoya l’affaire devant la cour d’appel de Brescia.
36. Le 20 avril 2004, le requérant saisit cette dernière, faisant valoir, entre autres, qu’après le dépôt de l’arrêt du 24 octobre 2003, la Cour de cassation plénière avait rendu quatre arrêts excluant la nécessité de démontrer le dommage moral (nos 1338, 1339, 1340 et 1341 de 2004).
37. Par une décision du 7 juillet 2004, déposée le 21 juillet 2004, la cour d’appel rejeta le recours, au motif que les principes découlant des arrêts de la Cour de cassation plénière n’étaient pas directement applicables dans la procédure de renvoi et que le requérant n’avait pas démontré le dommage moral, comme il était tenu de faire. La cour d’appel releva par ailleurs que le requérant avait intérêt au prolongement de la procédure pénale afin d’obtenir la prescription des délits dont il était accusé.
38. Le 15 novembre 2004, le requérant se pourvut en cassation. Par un arrêt déposé le 6 décembre 2006, la Cour de cassation débouta le requérant et le condamna au paiement de 3 000 EUR pour frais et dépens de la procédure.
D. La deuxième requête introduite devant la Cour
39. Entre-temps, le 10 novembre 2004, le requérant avait saisi à nouveau la Cour (requête no 40739/04), se plaignant de la durée de la procédure pénale, de la durée de la procédure « Pinto » et du manque d’effectivité du remède « Pinto ».
40. Le 11 janvier 2005, la Cour, en application de l’article 28 de la Convention, déclara la requête irrecevable dans sa globalité. Par lettre du 17 janvier, le requérant fut informé que « compte tenu de l’ensemble des éléments en sa possession, et dans la mesure où elle était compétente pour connaître des allégations formulées, la Cour n’a relevé aucune apparence de violation des droits et libertés garantis par la Convention ou ses Protocoles ».
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
A. La loi « Pinto »
41. Le droit et la pratique internes pertinents relatifs à la loi no 89 du 24 mars 2001, dite « loi Pinto », figurent dans l’arrêt Cocchiarella c. Italie ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006-V).
B. La renonciation à la prescription en matière pénale.
42. L’article 157 § 7 du code pénal, tel que modifié suite à l’arrêt no 275/1990 de la Cour constitutionnelle, se lit ainsi :
Article 157 § 7
« L’accusé peut toujours renoncer à la prescription de façon expresse. »
GRIEFS
43. Invoquant l’article 6 § 1 de la Convention, le requérant se plaint de la durée de la procédure principale et du manque de redressement dans le cadre de la procédure « Pinto ». Il conteste notamment que la cour d’appel de Brescia, dans ses décisions des 21 février 2002 et 7 juillet 2004, a limité à deux ans seulement la durée de la procédure principale excédant le délai « raisonnable » et n’a pas accordé d’indemnisation au motif qu’il n’avait pas fait la preuve du dommage moral subi, ce qui serait, au contraire, in re ipsa.
44. Invoquant les articles 1, 13 et 46, il se plaint du manque d’effectivité du remède « Pinto », en raison de ce que la décision de la cour d’appel de Brescia du 7 juillet 2004 et l’arrêt de la Cour de cassation du 6 décembre 2006 n’ont pas appliqué les critères d’indemnisation établis pas la Cour et suivis dans les arrêts de la Cour de cassation plénière de 2004.
45. Sur la base de l’article 6 § 1, il se plaint de la durée de la procédure « Pinto ».
46. Invoquant les articles 1, 13 et 46, il se plaint du manque d’effectivité du remède « Pinto », en raison de la durée de la procédure « Pinto ».
EN DROIT
I. GRIEFS TIRÉS DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
47. Invoquant l’article 6 § 1 de la Convention, le requérant se plaint de la durée de la procédure principale et du manque de redressement dans le cadre de la procédure « Pinto » ainsi que de la durée de cette dernière.
48. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
49. L’article 6 de la Convention, dans ses parties pertinentes, se lit ainsi :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue (…) dans un délai raisonnable, par un tribunal (…), qui décidera (…) du bien-fondé de toute accusation en matière pénale dirigée (…) »
A. Sur la durée de la procédure principale et le manque de redressement dans le cadre de la procédure « Pinto »
50. La Cour relève que le requérant allègue la violation de l’article 6 de la Convention du fait qu’il n’a obtenu aucune indemnisation pour une procédure ayant duré dix ans et sept mois pour trois degrés de juridiction.
Absence de préjudice important
51. Dans ses observations du 20 mai 2010, le Gouvernement invoque l’absence de tout préjudice important pour le requérant. Il se réfère au texte de l’article 35 § 3 b) de la Convention, tel que modifié par le Protocole no 14, selon lequel la Cour peut déclarer une requête irrecevable lorsque « le requérant n’a subi aucun préjudice important, sauf si le respect des droits de l’homme garantis par la Convention et ses Protocoles exige un examen de la requête au fond et à condition de ne rejeter pour ce motif aucune affaire qui n’a pas été dûment examinée par un tribunal interne ».
52. Le Gouvernement affirme, notamment, que le prolongement de la procédure litigieuse a permis au requérant de bénéficier d’une réduction de la peine en raison de l’extinction du délit de corruption pour prescription. Le Gouvernement soutient, en outre, que le requérant aurait fait preuve d’un comportement obstructionniste lors du procès afin de faire courir les délais de prescription.
53. La partie requérante rejette les arguments du Gouvernement quant à sa conduite lors du procès et nie tout prétendu bénéfice qui découlerait de la déclaration de prescription en question. Elle fait valoir en particulier que, l’arrêt d’appel du 1er mars 1996 ayant déjà accordé au requérant le bénéfice du sursis, ladite déclaration n’aurait entraîné aucune modification substantielle de la peine infligée à ce dernier.
54. La Cour rappelle que le nouveau critère du manque de préjudice important a été conçu pour lui permettre de traiter rapidement les requêtes à caractère futile afin de se concentrer sur sa mission essentielle, qui est d’assurer au niveau européen la protection juridique des droits garantis par la Convention et ses Protocoles (Stefanescu c. Roumanie (déc.), no 11774/04, 12 avril 2011, § 35).
55. Issue du principe de minimis non curat praetor, la nouvelle condition de recevabilité renvoie à l’idée que la violation d’un droit, quelle que soit sa réalité d’un point de vue strictement juridique, doit atteindre un seuil minimum de gravité pour justifier un examen par une juridiction internationale (Korolev c. Russie (déc), nº 25551/05, 1 juillet 2010). L’appréciation de ce seuil est, par nature, relative et dépend des circonstances de l’espèce (Korolev, précitée, et, mutatis mutandis, Soering c. Royaume-Uni, 7 juillet 1989, § 100, série A no 161). Cette appréciation doit tenir compte tant de la perception subjective du requérant que de l’enjeu objectif du litige.
56. Au vu des critères se dégageant de sa jurisprudence en la matière, la Cour estime qu’afin de vérifier si la violation d’un droit atteint le seuil minimum de gravité, il y a lieu de prendre en compte notamment les éléments suivants : la nature du droit prétendument violé, la gravité de l’incidence de la violation alléguée dans l’exercice d’un droit et/ou les conséquences éventuelles de la violation sur la situation personnelle du requérant (Giusti c. Italie, no 13175/03, § 34, 18 octobre 2011).
57. En l’espèce, la Cour constate que, en raison de la durée de la procédure litigieuse, le 11 juin 1998, la cour d’appel a déclaré l’extinction du chef d’accusation de corruption pour prescription. Cela a de toute évidence entraîné une diminution de la peine retenue à l’encontre du requérant, d’autant plus que le délit prescrit était assorti de la peine la plus lourde des deux reprochés à l’intéressé, quoique les éléments du dossier ne permettent pas d’apprécier l’importance exacte de cette réduction ni d’éclaircir ultérieurement le lien existant entre la violation du délai raisonnable et celle-ci. La Cour observe également que le requérant a décidé de ne pas renoncer à la prescription, possibilité qui lui était offerte en droit italien (voir Droit interne pertinent, § 42 ci-dessus). Dans ces circonstances, la Cour est de l’opinion que la réduction de la peine en question à tout de moins compensé ou particulièrement réduit les préjudices découlant normalement de la durée excessive de la procédure. Au demeurant, la Cour voit mal la pertinence des observations de la partie requérante ayant trait au fait que l’arrêt du 1er mars 1996 avait octroyé au prévenu le bénéfice du sursis de l’exécution de la peine (voir § 23 ci-dessus). Elle note à cet égard que par ce même arrêt la Cour d’appel de Milan avait en fait déjà déclaré l’extinction du délit de corruption pour prescription.
58. Dès lors, la Cour considère que le requérant n’a pas subi un « préjudice important » au regard de son droit à un procès dans un délai raisonnable.
59. Quant à la question de savoir si le respect des droits de l’homme garantis par la Convention et ses Protocoles exige d’examiner la requête au fond, la Cour rappelle que cette notion renvoie aux conditions déjà définies pour l’application des articles 37 § 1 et 38 § 1 (dans sa rédaction antérieure au Protocole no 14) de la Convention. Les organes de la Convention ont interprété de manière constante ces dispositions comme exigeant la poursuite de l’examen d’une affaire, en dépit de la conclusion d’un règlement amiable ou l’existence d’une cause de radiation du rôle. Il a en revanche déjà été jugé que cet examen ne s’imposait pas lorsqu’il existe une jurisprudence claire et très abondante sur la question relative à la Convention qui se pose dans l’affaire soumise à la Cour (voir, entre autres, Van Houten c. Pays-Bas (radiation), no 25149/03, CEDH 2005-IX, et Kavak c. Turquie (déc.), no 34719/04 et 37472/05, 19 mai 2009).
60. En l’espèce, la Cour estime qu’aucun impératif tiré de l’ordre public européen auquel participent la Convention et ses Protocoles ne justifie de poursuivre l’examen du grief.
61. En effet, ledit grief pose la question du droit au délai raisonnable en matière pénale et notamment celle de la durée de la procédure principale dans le cadre du remède introduit par la loi « Pinto », qui ont fait l’objet d’une jurisprudence copieuse de la Cour (voir, entre autres, Cocchiarella c. Italie [GC], précité, Simaldone c. Italie, no 22644/03, 31 mars 2009 et Labita c. Italie [GC], no 26772/95, CEDH 2000-IV).
62. Dans ces conditions, la Cour estime que le respect des droits de l’homme n’exige pas la poursuite de l’examen de ce grief.
63. Enfin, s’agissant de la troisième condition posée par le nouveau critère de recevabilité, qui exige que l’affaire ait été « dûment examinée » par un tribunal interne, la Cour rappelle qu’elle vise à garantir que toute affaire fera l’objet d’un examen juridictionnel soit sur le plan national, soit sur le plan européen. Cette clause reflète également le principe de subsidiarité, tel qu’il ressort notamment de l’article 13 de la Convention, qui exige que des recours effectifs contre les violations soient disponibles au niveau national (Korolev, précitée). Combinée à la clause de sauvegarde précédente, elle garantit que ne sont pas en jeu devant la Cour des questions sérieuses d’application ou d’interprétation de la Convention et de ses Protocoles, ou des questions importantes relatives au droit national (voir le Rapport explicatif au Protocole no 14, § 83).
64. En l’espèce, la Cour constate que la question portant sur la durée de la procédure pénale a été examiné à deux reprises par le juge d’appel et par le juge de cassation compétents aux termes de la loi « Pinto », le requérant ayant soumis à ce dernier les moyens tirés du refus de la cour d’appel de lui accorder une indemnisation pécuniaire.
65. Dans ces conditions, la Cour estime que l’affaire a été dûment examinée par un tribunal interne, aucune question sérieuse relative à l’interprétation ou à l’application de la Convention ou au droit national n’ayant été laissée sans réponse.
66. Les conditions du nouveau critère de recevabilité étant réunies, la Cour estime que ce grief doit être déclaré irrecevable en vertu de l’article 35 §§ 3 b) et 4 de la Convention.
B. Sur la durée de la procédure « Pinto »
67. La Cour observe que le requérant invoque une violation de l’article 6 de la Convention du fait de la durée prétendument excessive de la procédure « Pinto ».
68. Le Gouvernement n’a pas formulé d’observations sur ce point.
1. Les principes applicables
69. Quant au délai qui peut être considéré raisonnable au sens de l’article 6 § 1, la Cour rappelle que les critères applicables ne sauraient être ceux adoptés pour évaluer la durée des procédures ordinaires, eu égard à la nature de la voie de recours « Pinto » et au fait que ces affaires ne revêtent normalement aucune complexité. Dans le cadre d’un recours indemnitaire visant à redresser les conséquences de la durée excessive des procédures, une diligence particulière s’impose aux États afin que la violation soit constatée et redressée dans le plus bref délai possible (Belperio et Ciarmoli c. Italie, no 7932/04, § 42, 21 décembre 2010).
70. En ce qui concerne la phase judiciaire de la procédure, dans l’affaire Vaney c. France (no 53946/00, § 53, 30 novembre 2004) où le requérant se plaignait de la durée d’une procédure pénale ainsi que de la durée d’un recours en responsabilité de l’État pour la lenteur de celle-ci, la Cour a conclu à la violation de l’article 6 § 1 de la Convention aussi en relation à la durée de la deuxième procédure.
71. Dans l’affaire Cocchiarella (précité, § 99), la Cour a indiqué que le délai de quatre mois prévu par la loi « Pinto » respecte l’exigence de célérité requise pour un recours effectif. Toutefois, elle a accepté que des durées de neuf mois pour une instance et de quatorze mois pour deux instances pouvait passer pour raisonnables, bien que dépassant le délai prévu par la loi « Pinto » (Riccardi Pizzati c. Italie [GC], no 62361/00, § 98, 29 mars 2006, Giuseppe Mostacciuolo c. Italie (no 2) [GC], no 65102/01, § 97, 29 mars 2006).
72. Plus récemment, dans l’affaire Belperio et Ciarmoli (précité, § 48), la Cour a considéré déraisonnable une procédure « Pinto », ayant duré deux ans et huit mois pour un degré de juridiction, y compris la phase de l’exécution. En outre, lors de la communication de cette même affaire, le 9 juin 2009, la Cour a fixé à environ un an et six mois (pour un degré de juridiction, plus phase d’exécution) et deux ans et six mois (pour deux degrés de juridiction, y compris phrase d’exécution) le délai dans lequel une procédure Pinto globalement considérée devrait s’achever pour être considérée raisonnable.
73. À la lumière de ce qui précède, la Cour estime qu’afin de satisfaire aux exigences du « délai raisonnable » au sens de l’article 6 § 1 de la Convention, la durée d’une procédure « Pinto » devant la cour d’appel compétente et la Cour de cassation, y incluse la phase d’exécution de la décision, ne devrait pas, en principe et sauf circonstances exceptionnelles, dépasser deux ans et six mois.
2. L’application au cas d’espèce
74. La Cour note que la procédure « Pinto », débutée le 16 octobre 2001, s’est achevée le 6 décembre 2006 et a donc duré cinq ans et un mois (à ramener à quatre ans et deux mois compte tenu des retards imputables au requérant) pour deux degrés de juridictions. La Cour remarque aussi que, le requérant n’ayant obtenu aucune indemnisation, la procédure « Pinto » n’a pas eu de phase d’exécution.
75. Même à supposer que la procédure en question revêtait une complexité particulière du fait des nombreux renvois au cours de la procédure principale, soit trois devant la cour d’appel et autant devant la Cour de cassation, la Cour souligne que sa durée a largement dépassé le délai susmentionné de deux ans et six mois, d’autant plus qu’elle n’a comporté aucune phase d’exécution.
76. Partant, la Cour estime qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1, sous l’angle du droit à un jugement dans un délai raisonnable.
II. GRIEF TIRÉ DU MANQUE D’EFFECTIVITÉ DU REMÈDE PINTO EN RAISON, D’UNE PART, DE LA NON-APPLICATION, PAR LES JURIDICTIONS INTERNES DES CRITÈRES D’INDEMNISATION ÉTABLIS PAR LA COUR ET, D’AUTRE PART, DE LA DURÉE DE LA PROCÉDURE « PINTO » (ARTICLES 1, 13 et 46 DE LA CONVENTION)
77. La Cour estime que ces griefs devraient être analysés uniquement sous l’angle de l’article 13, qui se lit comme suit :
« Toute personne dont les droits et libertés reconnus dans la (…) Convention ont été violés, a droit à l’octroi d’un recours effectif devant une instance nationale, alors même que la violation aurait été commise par des personnes agissant dans l’exercice de leurs fonctions officielles. »
78. La Cour rappelle, d’une part, que l’article 13 ne saurait s’interpréter comme exigeant un recours interne pour tout grief, si injustifié soit-il, qu’un individu peut présenter sur le terrain de la Convention : il doit s’agir d’un grief défendable au regard de celle-ci (Boyle et Rice c. Royaume-Uni, série A no 131, § 52, 24 avril 1988). Dans la présente affaire, la Cour vient de conclure que les griefs du requérant tirés de la durée de la procédure principale et du manque de redressement dans le cadre de la procédure « Pinto » sont irrecevables pour absence de préjudice important (voir § 66 ci-dessus). Ces mêmes considérations l’amènent à conclure, sous l’angle de l’article 13, que l’on n’était pas en présence de griefs défendables (voir, parmi beaucoup d’autres, Al-Shari et autres c. Italie (déc.), no 57/03, 5 juillet 2005, Walter c. Italie (déc.), no 18059/06, 11 juillet 2006, et Schiavone c. Italie (déc.), no 65039/01, 13 novembre 2007). L’article 13 ne trouve donc pas à s’appliquer en l’espèce.
79. De l’autre part, la Cour rappelle que, selon la jurisprudence Delle Cave et Corrado (nº 14626/03, §§ 43-46, 5 juin 2007) et Simaldone (précité, § 83), ni l’insuffisance de l’indemnisation « Pinto » ni la circonstance que la loi « Pinto » ne permet pas d’indemniser le requérant pour la durée globale de la procédure mais prend en compte le seul préjudice qui peut se rapporter à la période excédant le délai raisonnable ne remettent pas en cause, pour l’instant, l’effectivité de cette voie de recours.
80. Tout en soulignant qu’on ne peut exclure que la lenteur excessive du recours indemnitaire en affecte son caractère adéquat (Cocchiarella, précité, § 86), la Cour considère que la durée de la procédure constatée en l’espèce, bien qu’entraînant la violation de l’article 6 § 1 de la Convention, n’est pas suffisamment importante pour remettre en cause l’effectivité du remède « Pinto », eu égard aussi à l’existence d’une phase supplémentaire de renvoi.
81. Il y a lieu en l’espèce de déclarer ce grief irrecevable pour défaut manifeste de fondement au sens de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
82. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
83. Le requérant réclame 30 987,41 euros (EUR) au titre du dommage matériel et moral. Il fait valoir que sa situation judiciaire a entraîné un manque à gagner (lucrum cessans) important en terme de salaires non perçus du fait de sa suspension du service et du préjudice causé à sa carrière ainsi que grièvement porté atteinte à sa vie de relation professionnelle et familiale.
84. Le Gouvernement estime que les prétentions du requérant sont disproportionnées.
85. Quant au préjudice matériel, la Cour estime que le requérant n’a aucunement démontré l’existence d’un lien direct entre la violation constatée, à savoir la durée excessive du remède « Pinto » et le manque à gagner prétendument souffert. Dès lors, il y a lieu de ne rien accorder en l’espèce.
86. Quant au préjudice moral en raison de la durée de la procédure « Pinto », la Cour rappelle qu’elle est une juridiction internationale ayant pour tâche principale d’assurer le respect des droits de l’homme tels que garantis dans la Convention et ses Protocoles, plutôt que de compenser, minutieusement et de manière exhaustive, les préjudices subis par les requérants. Contrairement aux juridictions nationales, la Cour a pour rôle privilégié d’adopter des jugements publics établissant les normes en matière des droits de l’homme applicables dans toute l’Europe (voir, mutatis mutandis, Goncharova et autres et 68 autres « retraités privilégiés » c. Russie, nos 23113/08 et autres requêtes, §§ 22-24, 15 octobre 2009).
87. Elle observe que dans le cas d’espèce, le requérant a été victime de l’incapacité des autorités italiennes à garantir le déroulement de la procédure « Pinto » dans un délai compatible avec les obligations qui découlent de l’adhésion de l’État défendeur à la Convention.
88. La Cour relève que plus de 2 000 requêtes portant principalement ou uniquement sur ce même problème sont pendantes contre l’Italie et que le nombre de ce type de requêtes est en constante augmentation depuis 2008. Elle estime que, dans des situations impliquant un nombre significatif des victimes placées dans une situation similaire, une approche globale s’impose.
89. Au vu de ce qui précède et statuant en équité, la Cour considère opportun d’accorder une somme forfaitaire de 500 EUR au requérant à titre de dommage moral en raison de la durée excessive de la procédure « Pinto » qu’elle vient de constater.
B. Frais et dépens
90. La partie requérante demande également le remboursement des frais et dépens engagés devant les juridictions nationales et devant la Cour, qu’elle quantifie en 15 600 EUR.
91. Le Gouvernement trouve excessifs et injustifiés les frais réclamés.
92. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. Au vu de ce qui précède, la lettre de rappel de paiement établie à l’égard du requérant par son avocat produite par la partie requérante ne saurait être considérée comme étant un document de nature à justifier des frais et dépens à ce titre. Partant, la Cour rejette la demande.
C. Intérêts moratoires
93. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ :
1. Déclare la requête recevable quant au grief tiré de la durée excessive de la procédure « Pinto » et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention en raison de la durée excessive de la procédure « Pinto » ;
3. Dit
a) que l’État défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 500 EUR (cinq cents euros) pour dommage moral, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ce montant sera à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
4. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 6 mars 2012, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Françoise Elens-Passos Françoise Tulkens
Greffière adjointe Présidente

A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza

Il Diritto dell'Espropriazione è una materia molto complessa e poco conosciuta, che "ingloba" parti importanti di molteplici rami del diritto. Per tutelarsi è quindi essenziale farsi assistere da un Professionista (con il quale si consiglia di concordare in anticipo i costi da sostenere, come ormai consentito dalle leggi in vigore).

Se l'espropriato ha già un Professionista di sua fiducia, può comunicagli che sul nostro sito trova strumenti utili per il suo lavoro.
Per capire come funziona la procedura, quando intervenire e i costi da sostenere, si consiglia di consultare la Sezione B.6 - Come tutelarsi e i Costi da sostenere in TRE Passi.

  • La consulenza iniziale, con esame di atti e consigli, è sempre gratuita
    - Per richiederla cliccate qui: Colloquio telefonico gratuito
  • Un'eventuale successiva assistenza, se richiesta, è da concordare
    - Con accordo SCRITTO che garantisce l'espropriato
    - Con pagamento POSTICIPATO (si paga con i soldi che si ottengono dall'Amministrazione)
    - Col criterio: SE NON OTTIENI NON PAGHI

Se l'espropriato è assistito da un Professionista aderente all'Associazione pagherà solo a risultato raggiunto, "con i soldi" dell'Amministrazione. Non si deve pagare se non si ottiene il risultato stabilito. Tutto ciò viene pattuito, a garanzia dell'espropriato, con un contratto scritto. è ammesso solo un rimborso spese da concordare: ad. es. 1.000 euro per il DAP (tutelarsi e opporsi senza contenzioso) o 2.000 euro per il contenzioso. Per maggiori dettagli si veda la pagina 20 del nostro Vademecum gratuito.

La data dell'ultimo controllo di validità dei testi è la seguente: 18/01/2025