Conclusione Parzialmente inammissibile; Eccezione preliminare respinta (vittima); Non-violazione dell’art. 2; violazione dell’arte. 2; violazione dell’art. 14+2; danno morale – risarcimento; Danno patrimoniale – decisione riservata
SECONDA SEZIONE
CAUSA G.N. ED ALTRI C. ITALIA
( Richiesta no 43134/05)
SENTENZA
(fondo)
STRASBURGO
1 dicembre 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa G.N. ed altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, Kristina Pardalos, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 10 novembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 43134/05) diretta contro la Repubblica italiana e in cui sette cittadini di questo Stato, il Sig. G.N, la Sig.ra G.S, il Sig. D.C., la Sig.ra G.D.M, M S.C, la Sig.ra E.S,. e la Sig.ra D.C. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 28 novembre 2005 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”). Il 28 agosto 2007, la presidentessa della camera ha aderito alla domanda di no-divulgazione della loro identità formulata dai richiedenti (articolo 47 § 3 dell’ordinamento).
2. Il Sig. G.N, la Sig.ra G.S, il Sig. S.C. e la Sig.ra E.S. sono stati rappresentati dinnanzi alla Corte da A. G.L. ed A. S., avvocati a Roma; il Sig. D.C., la Sig.ra G.D.M. e la Sig.ra D.C. sono stati rappresentati da A. G. L. ed U. R., avvocati rispettivamente a Roma ed a Milano. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato successivamente dai suoi agenti, il Sig. R. Adam e la Sig.ra E. Spatafora, così come dal suo coagente, il Sig. F. Crisafulli, ed dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri, questo ultimo è diventato coagente in seguito.
3. Il 6 maggio 2008, la Corte ha deciso di comunicare al Governo i motivi di appello derivati dagli articoli 2, 3 e 14 della Convenzione e di trattare questa richiesta con precedenza (articolo 41 dell’ordinamento della Corte). Siccome permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
A. I richiedenti
4. Il Sig. G.N, la Sig.ra G.S, il Sig. D.C., la Sig.ra G.D.M, il Sig. S.C,. e la Sig.ra E.S. hanno introdotto questa richiesta a loro nome proprio ed in qualità di eredi. In particolare, il Sig. G.N. e la Sig.ra G.S. sono i genitori della Sig.ra M.C.N. ; Il Sig. D.C. e la Sig.ra G.D.M. sono i genitori del Sig. N.C. ; M S.C. e la Sig.ra E.S. sono rispettivamente il figlio e la moglie del Sig. V.C.
5. La Sig.ra D.C. agisce a suo nome proprio.
6. Questa ultima è nata nel 1973 e risiede a Ravenna. IL SIG. G.N. e la Sig.ra G.S. sono nati rispettivamente nel 1950 e nel 1957 e risiedono a Villabate (Palermo). Il Sig. D.C. e la Sig.ra G.D.M. sono nati nel 1937 ed ne 1938 rispettivamente e risiedono ad Alfonsine (Ravenna). IL SIG. S.C. e la Sig.ra E.S. sono nati nel rispettivamente 1965 e nel 1920 e risiedono a Milano.
B. La contaminazione della Sig.ra D.C. e dei parenti prossimi degli altri richiedenti
7. La Sig.ra D.C., la Sig.ra M.C.N, il Sig. N.C. ed il Sig. V.C, colpiti da talassemia, ricevevano periodicamente gratuitamente delle trasfusioni di sangue e di prodotti sanguigni forniti dal servizio di salute nazionale.
8. A causa di suddette trasfusioni, queste persone furono contaminate tutte col virus di immunodeficienza umana (“HIV”) o il virus dell’epatite C.
9. In particolare il 1 giugno 1979, un’epatite “non-A, non-B”, contratta durante lo stesso anno, fu diagnosticata presso la Sig.ra D.C. in seguito alla scoperta, nel 1989, del “virus dell’epatite C”, la diagnosi di epatite “non-A non-B” fu modificato in “epatite C” il 27 luglio 1990.
10. In una data non precisata, precedente al mese di marzo 1985, la Sig.ra M.C.N. è stata infettata dal HIV. Decedette il 30 gennaio 1995.
11. Nell’agosto 1989, il virus dell’epatite C, contratto in una data non precisata tra il 1985 e la fine dell’anno 1988, fu scoperto presso il Sig. V.C. Questo decedette il 18 dicembre 1992.
12. Il 17 settembre 1990, il virus dell’epatite C, contratto in una data non precisata tra il 1981 e il 1988, fu scoperto presso il Sig. N.C. Questo decedette il 21 luglio 1998.
13. Delle quattro persone infettate, la Sig.ra D.C. è dunque l’unica ad oggi ad essere ancora in vita.
C. L’indennizzo ottenuto dai richiedenti o dai loro parenti prossimi in virtù della legge no 210 del 25 febbraio 1992 (“legge no 210/92”)
14. In date non precisate, la Sig.ra D.C., il Sig. G.N. (padre della Sig.ra M.C.N) all’epoca minorenne, la Sig.ra E.S. (vedova del Sig. V.C) ed il Sig. N.C introdussero presso il ministero della Salute un’istanza che tendeva all’ottenimento di un indennizzo in ragione della loro contaminazione o di quella dei loro parenti prossimi. Si basavano sulla legge no 210/92 (paragrafo 36 sotto).
15. Riguardando la Sig.ra D.C., il Sig. G.N. e la Sig.ra E.S, le commissioni mediche competenti, sollecitate dal ministero della Salute, riconobbero tra il 1993 e il 1994 l’esistenza di un legame di causalità tra, da una parte, le trasfusioni e/o la somministrazione di prodotti sanguigni che loro stessi o i loro parenti prossimi avevano subito e, dall’altra parte, la contaminazione col HIV o col virus dell’epatite C.
16. Secondo le informazione fornite dai richiedenti, il ministero della Salute versò poi le indennità chieste.
17. Parimenti, in una data non precisata, il Sig. N.C. conseguì l’indennizzo che aveva chiesto al ministero della Salute in seguito alla sua contaminazione col virus dell’epatite C.
18. Risulta dalla pratica che l’indennizzo in questione è stato chiesto dunque ed ottenuto da tutti i richiedenti o loro parenti prossimi contaminati. Solo la Sig.ra G.S. (madre della Sig.ra M.C.N) ed il Sig. S.C. (figlio del Sig. V.C) non hanno formulato simile istanza, perché era stata già depositata rispettivamente una dal padre e una dalla vedova dei de cujus, in virtù degli articoli 1 e 2, capoverso 3, della legge no 210/92 (vedere sotto paragrafo 36).
D. L’azione per danno-interessi iniziata dai richiedenti (causa “Emo uno”)
19. Il 21 dicembre 1993, un gruppo di un centinaio di richiedenti citò il ministero della Salute dinnanzi al tribunale di Roma per ottenere il risarcimento dei danni che stimavano avere subito in seguito alla loro contaminazione o di quella di un loro de cujus col HIV ed i virus dell’epatite B e C all’epoca del trasfusione e/o della somministrazione di sangue e di prodotti sanguigni di strutture sanitarie pubbliche.
20. Risulta dalla pratica che nel corso di questo procedimento tutti i richiedenti intervennero, in particolare nelle seguente date: La Sig.ra D.C. il 12 gennaio 1994; il Sig. G.N. e la Sig.ra G.S. , in qualità di eredi della Sig.ra M.C.N, il 5 aprile 1995; la Sig.ra E.S. , in qualità di erede del Sig. V.C, il 19 marzo 1991; il Sig. D.C. e la Sig.ra G.D.M. , in qualità di eredi del Sig. N.C, parte al procedimento dal 12 gennaio 1994 al 21 luglio 1998, giorno del suo decesso, allo stadio della presentazione dell’appello incidentale (vedere, al paragrafo 22 sotto, la sentenza Mas.A. ed altri c. Italia (ordinamento amichevole), no 53708/00, § 13, 7 giugno 2001); infine, il Sig. S.C, in qualità di erede del Sig. V.C, il 16 novembre 2001, data della formazione del ricorso in cassazione (paragrafo 25 sotto).
21. La Corte nota che i fatti legati a questo procedimento sono stati già esaminati dagli organi della Convenzione nella cornice di parecchie richieste che avevano riguardato la durata del processo. Si tratta in particolare delle seguenti cause: A.B, E.F. e C.C. c. Italia ,numeri 37874/97, 37878/97 e 37879/97, rapporto della Commissione del 4 marzo 1998, non pubblicato); M.A. ed altri c. Italia (ordinamento amichevole), numeri 44814/98, 45401/99, 45732/99, 47463/99 e 47724/99, 30 novembre 2000); M.L. ed altri c. Italia (ordinamento amichevole), no 53705/00, 5 aprile 2001); infine, Mas.A. ed altri c. Italia, precitata. La Corte nota che questa ultima richiesta era stata presentata, tra l’altro, dalla Sig.ra D.C., il Sig. D.C., la Sig.ra G.D.M. e la Sig.ra E.S, ossia quattro dei sette richiedenti che hanno introdotto la presente richiesta.
22. Lo svolgimento del procedimento “Emo uno” fino al 23 ottobre 2000 è stato descritto così dalla Corte nella sentenza Mas.A. ed altri (precitata, §§ 6-14):
“6. L’istruzione della causa cominciò il 12 gennaio 1994. I [richiedenti] costituiti presentarono un’istanza [per danno-interessi] ai termini degli articoli 186 bis e 186 ter del Codice di procedimento italiano, tendente ad ottenere il pagamento delle somme non contestata o un’ingiunzione di pagamento. Il giudice si riservò di decidere. Con un’ordinanza del 31 gennaio 1994, il giudice del collocamento in stato respinse l’istanza ai termini dell’articolo 186 bis, rinviò la discussione in quanto all’applicazione dell’articolo 186 ter alle seguenti udienze e pronunciò la disgiunzione delle istanze in gruppi di dieci persone per facilitare l’esame della causa.
7. Il 2 marzo 1994, i richiedenti contestarono la disgiunzione delle istanze in gruppi, chiesero la revoca di suddetta ordinanza ed insistettero nella loro istanza ai termini degli articoli 186 bis e 186 ter.
8. In seguito, parecchie udienze relative ai differenti gruppi dei richiedenti ebbero luogo. Il 18 giugno 1994, [un richiedente] intervenne nel procedimento. Il 26 ottobre 1994 si tenne un’udienza che riguardava tutti i richiedenti. Il 26 novembre 1994, i [richiedenti] costituiti chiesero che la parte convenuta versasse dei documenti alla pratica. Il 14 gennaio 1995, il giudice del collocamento in stato rinviò la causa all’ 8 aprile 1995. Questo giorno, i [richiedenti] costituiti chiesero al giudice l’autorizzazione di togliere le pratiche per sistemarle secondo un ordine sistematico.
9. Il 5 luglio 1995, il giudice rinviò la causa al 9 dicembre 1995. Questa udienza fu rinviata d’ ufficio all’ 11 dicembre 1995, data in cui i richiedenti versarono dei documenti alla pratica. L’udienza contemplata per il 10 febbraio 1996 fu rinviata d’ ufficio al 11 aprile 1996 in ragione del trasferimento del giudice del collocamento in stato. Questo giorno, il nuove giudice constatò che i documenti che la parte convenuta doveva versare alla pratica erano ancora mancanti e le ordinò di versarli.
10. Il 23 maggio 1996, il giudice stimò che per maggiore chiarezza conveniva dividere la pratica in tante cause quanto erano i richiedenti. Il 31 maggio 1996, i richiedenti depositarono un reclamo su questo punto al tribunale che lo respinse il 20 dicembre 1996. Nel frattempo, all’udienza del 3 luglio 1996, il giudice del collocamento in stato si riservò di decidere in attesa della pronunzia del tribunale.
11. Il 16 gennaio 1997, il giudice si riservò di decidere sull’istanza di congiunzione dei procedimenti fino al 4 febbraio 1997, data in cui constatò che la separazione delle pratiche non era stata fatta debitamente né in gruppi come aveva chiesto il primo giudice del collocamento in stato né per richiedente. Revocò, di conseguenza, l’ordinanza di separazione e pronunciò la congiunzione di tutte le cause stimando che dato che c’era un elenco sufficientemente aggiornato dei richiedenti superstiti e di quelli per cui gli eredi continuavano il procedimento, era almeno possibile domandare loro di presentare le loro conclusioni sul loro diritto al risarcimento, restando da determinare la questione dell’importo restante in seguito.
12. Il 29 maggio 1997, il giudice del collocamento in stato fissò l’udienza di presentazione delle conclusioni al 13 novembre 1997. L’udienza delle arringhe si tenne il 26 giugno 1998. Con un giudizio del 7 luglio 1998 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 27 novembre 1998, il tribunale dichiarò la responsabilità del ministero convenuto e lo condannò a riparare i danni il cui importo restava da stabilire durante un altro procedimento.
13. Il 12 maggio 1999, il ministro della Salute interpose appello al giudizio di prima istanza dinnanzi alla corte di appello di Roma. [Il 29 settembre 19992, i richiedenti] si costituirono nel procedimento, e presentarono un appello incidentale. La prima udienza si tenne il 30 settembre 1999. In questa data, il consigliere del collocamento in stato fissò la data per la presentazione delle conclusioni al 20 gennaio 2000. Questa udienza fu rinviata, su richiesta delle parti, al 9 marzo 2000. L’udienza delle arringhe ebbe luogo il 27 settembre 2000.
14. Con una sentenza del 4 ottobre 2000 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 23 ottobre 2000, la corte respinse [in parte] l’appello. “
23. In questa ultima sentenza, la corte di appello di Roma considerò che un test di rintracciamento del virus dell’epatite B e del HIV ed il procedimento di riscaldamento del sangue (termotrattamento) in vista dell’inattivazione di questo ultimo virus erano disponibili rispettivamente dal 1978 e dal 1985, sebbene la conoscenza dei virus e della loro trasmissibilità tramite via sanguigna risalga rispettivamente al 1970 ed al 1984. Rilevò anche che, dal 1988, il ministero della Salute aveva imposto il riscaldamento del sangue nella preparazione dei prodotti sanguigni, per prevenire la trasmissione dell’epatite chiamata all’epoca “non-A no-B”, anche se il test di rintracciamento dell’epatite C era stato disponibile solamente nel 1989.
24. La corte di appello condannò dunque unicamente il ministero della Salute per le infezioni da parte del virus dell’epatite B, del HIV ed del virus dell’epatite C sopraggiunte rispettivamente dopo il 1978, 1985 e il 1988, escludendo così il risarcimento dei richiedenti già costituiti a questo stadio del procedimento; divise tra le parti l’importo degli oneri e delle spese impegnate all’epoca dei procedimenti di prima istanza e di appello (vedere il paragrafo 14 della sentenza Mas.A. ed altri, precitata, al paragrafo 22 sopra, in fine).
25. Il 16 novembre 2001, i richiedenti e gli altri richiedenti ricorsero in cassazione. Il 5 dicembre 2001, il ministero della Salute fece ricorso a sua volta.
26. Con una sentenza depositata alla cancelleria il 31 maggio 2005, la Corte di cassazione confermò la sentenza della corte di appello di Roma e respinse i richiedenti. Affermò in particolare che, per il periodo anteriore alla scoperta da parte della comunità scientifica mondiale del HIV e del virus dell’epatite C e, di conseguenza, dei test di rintracciamento di questi virus, essendo sconosciuta la possibilità di contaminazione con questi virus, mancava il legame di causalità tra i comportamenti del ministero e l’avvenimento pregiudizievole (evento dannoso). La giurisdizione di appello aveva fatto riferimento dunque a buon diritto ai periodi (“epoche”) di collocamento in posto dei metodi di rintracciamento dei virus e non a quelli anteriori, dove era noto che le trasfusioni di sangue o la somministrazione di prodotti sanguigni potevano trasportare delle infezioni.
27. La Corte di cassazione sottolineò anche che l’indennizzo previsto dalla legge no 210/92 era una misura di assistenza fondata sugli articoli 2 e 38 della Costituzione, differente per natura dal risarcimento per responsabilità civile previsto all’articolo 2043 del codice civile. Difatti, in questo ultimo caso, “il risarcimento (danno risarcibile) il cui importo è determinato di caso in caso, è legato alla commissione di un reato civile (fatto illecito) mentre la concessione dell’indennizzo il cui importo è predeterminato dalla legge, dipende dalla sola verifica della contaminazione derivata dalla trasfusione.” La Corte di cassazione conclude dunque che il diritto all’indennizzo ai sensi della legge no 210/92 ed il diritto al risarcimento ai termini dell’articolo 2043 del codice civile potevano coesistere e che l’esistenza del ricorso stabilito dalla legge no 210/92 non escludeva la possibilità per gli interessati di pregare le autorità giudiziali di valutare l’esistenza di una responsabilità per mancanza dello stato in tale caso o in tal’altro.
28. La Corte di cassazione divise tra le parti l’importo degli oneri e spese del procedimento.
E. La conclusione degli ordinamenti amichevoli
29. Nel frattempo, con un decreto del 3 novembre 2003, il ministero della Salute aveva stabilito i criteri che permettevano di concludere degli ordinamenti amichevoli con le persone emofiliache contaminate in seguito alla somministrazione di prodotti sanguigni infetti (paragrafi 46-47 sotto). I richiedenti essendo stati colpiti da talassemia, non poterono beneficiare di suddetti ordinamenti.
30. Durante il procedimento dinnanzi alla Corte di cassazione “Emo uno”, tutte le parti in causa, fatta eccezione per i richiedenti e dieci altri richiedenti, conclusero degli ordinamenti amichevoli col ministero della Salute.
F. Il richiesta Mas.A. ed altri c. Italia (no 53708/00)
31. Questa richiesta, introdotta in particolare dalla Sig.ra D.C., il Sig. D.C., la Sig.ra G.D.M. e la Sig.ra E.S. (paragrafo 21 sopra) riguardava durata del procedimento “Emo Uno”, dal suo inizio fino alla data del 23 ottobre 2000.
Con una sentenza del 14 giugno 2001, la Corte ha cancellato la richiesta dal ruolo ai sensi dell’articolo 39 della Convenzione, avendo regolato le parti la causa amichevolmente.
Il testo della dichiarazione di accettazione dell’ordinamento amichevole, firmato da uno dei rappresentanti dei richiedenti, era redatto così:
“Ho preso cognizione della dichiarazione del governo italiano secondo la quale è pronto a versare a ciascuno dei due cento otto richiedenti la somma indicata nell’elenco a titolo del danno morale e per tutti i richiedenti, la somma globale di 80 000 000 ITL a titolo degli oneri e spese, in vista di un ordinamento amichevole della causa che ha per origine la richiesta no 53708/00 che ho introdotto dinnanzi alla Corte europea dei Diritti dell’uomo.
Accetto questa proposta e rinuncio peraltro ad ogni altra pretesa contro l’Italia a proposito dei fatti all’origine di suddetta richiesta. Dichiaro la causa definitivamente regolata.
La presente dichiarazione si inserisce nella cornice dell’ordinamento amichevole al quale il Governo ed io stesso siamo giunti.
Inoltre, mi impegno a non chiedere, dopo la pronunzia della sentenza, il rinvio della causa alla Grande Camera conformemente all’articolo 43 § 1 della Convenzione. “
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTE
A. Il diritto e la pratica interna pertinente in materia di trattamento del sangue così come di prevenzione della trasmissione del virus dell’epatite B, del HIV e del virus dell’epatite C,
32. La legge no 592/67 ha conferito al ministero della Salute delle competenze in materia di direzione e di sorveglianza dei servizi di raccolta, di trattamento, di conservazione e di distribuzione del sangue umano destinato alle trasfusioni così come dei servizi di preparazione dei prodotti sanguigni.
33. Il decreto del presidente della Repubblica no 1256/71 ha vietato la donazione di sangue da parte delle persone colpite dall’epatite, e di quelle che hanno subito delle trasfusioni di sangue, plasma, fibrinogeno o altri prodotti sanguigni nei sei mesi precedenti, in ragione dei rischi di trasmissione dell’epatite.
34. La legge no 833/78 ha prescritto, tra l’altro, l’adozione di norme uniformi in materia di raccolta, trattamento, conservazione e distribuzione del sangue. Queste norme sono state messe a posto dalla legge no 107/90 che ha abrogato la legge no 592/67.
35. Il ministero della Salute ha preso in particolare le seguenti misure in questo ambito:
-la circolare no 68 del 24 luglio 1978 che, per prevenire il rischio di trasmissione dell’epatite B tramite trasfusione, ha ordinato la ricerca dell’antigene dell’epatite B su ogni donazione di sangue e la distruzione dei lotti di sangue positivo a questo antigene. Il sangue umano poteva essere importato inoltre, esclusivamente da un paese che garantiva l’esistenza di controlli capaci di escludere la contaminazione con l’epatite B;
-la circolare no 64 del 3 agosto 1983, che ha descritto la sindrome dell’immunodeficienza acquisita (“AIDS”) come una patologia di natura virale che ha delle modalità di trasmissione simile a quelle dell’epatite B, in particolare tramite via sessuale e parenterale, cioè in seguito ad un’iniezione,;
-la circolare no 65 del 25 agosto 1984, che prevedeva delle misure di profilassi dell’AIDS ed indicava che la sindrome in questione poteva essere trasmessa tramite il sangue, i prodotti sanguigni e le secrezioni infettate;
-la circolare no 28 del 17 luglio 1985, che ordinava la ricerca dell’ anticorpo del HIV nel sangue proveniente da donatori così come il riscaldamento dei prodotti sanguigni destinati agli emofiliaci per impedire la trasmissione del HIV;
-il decreto no 14 del 15 gennaio 1988, che imponeva a tutti i centri di raccolta di sangue, di trasfusione e di produzione di prodotti sanguigni l’obbligo di effettuare la ricerca dell’ anticorpo del HIV su ogni esemplare di sangue o di plasma ricevuto tramite donazione;
-il decreto del 21 luglio 1990, che prevedeva che i centri di trasfusione ricercassero gli anticorpi del virus dell’epatite C su ogni unità di sangue o plasma ricevuta tramite donazione;
-il decreto del 15 gennaio 1991, che ordinava che i test di rintracciamento dell’epatite B e C e del HIV venissero effettuati su ogni donazione di sangue e che stabiliva l’ obbligo di informare le persone che ricevevano una trasfusione dei rischi associati a questa pratica.
B. Gli articoli pertinenti della legge no 210/92 e la giurisprudenza interna relativa a questa
36. Gli articoli pertinenti della legge no 210/92, come in vigore all’epoca dei fatti, si leggono così:
Articolo 1
“(…)
2. Le persone contaminate dal HIV in seguito alla somministrazione di sangue o di prodotti sanguigni [hanno il diritto di ottenere un indennizzo da parte dello stato].
3. Simile indennizzo spetta alle persone che hano subito dei danni irreversibili dopo essere state colpite da un’epatite in seguito ad una trasfusione “
Articolo 2
“1. L’indennizzo consiste in un sussidio periodico [assegno] (…).
3. In caso di decesso della persona contaminata in ragione di una patologia prevista dalla presente legge, un sussidio una tantum di 50 000 000 lire italiane [o circa 25 823 EUR] viene assegnato alle persone a carico, nel seguente ordine: congiunto, figli minorenni, figli maggiorenni inabili al lavoro, genitori, “
Articolo 3
“1. Le persone che desiderano ottenere un indennizzo devono introdurre un’istanza dinnanzi al ministero della Salute nel termine di dieci anni a contare dalla loro contaminazione col HIV “
Articolo 4
“1. Una commissione medica valuta l’esistenza di un legame di causalità tra la trasfusione o la somministrazione di prodotti sanguigni, da una parte, e la lesione all’integrità psichica e fisica o la morte dell’interessato, dall’altra parte “
Articolo 5
“1. La valutazione fatta dalla commissione medica può essere attaccata presso il ministero della Salute nel termine di trenta giorni a decorrere dalla sua notifica”
C. La giurisprudenza interna concernente le contaminazioni in seguito a trasfusioni
37. Oltre che nella causa oggetto della presente richiesta (causa “Emo uno”), le giurisdizioni interne hanno deliberato sulla stessa questione in due altre riprese.
1. La causa “Emo bis”
38. Con un giudizio depositato alla cancelleria il 14 giugno 2001, il tribunale di Roma condannò il ministero della Salute per i danni causati ad un certo numero di persone contaminate dal virus dell’epatite B, il HIV ed il virus dell’epatite C in seguito a trasfusioni di sangue e di prodotti sanguigni infetti. La condanna del ministero riguardava le infezioni sopraggiunte prima dell’identificazione del HIV e del virus dell’epatite C o prima del collocamento in posto di test di rintracciamento di questi virus e di quello dell’epatite B.
39. Il tribunale rilevò che il rischio di infezione associato alle trasfusioni era conosciuto dall’inizio degli anni 70. Per di più, sebbene il test di rintracciamento dell’epatite B fosse stato lanciato nel 1978, dei metodi di rivelazione indiretta di questo virus esistevano dall’inizio degli anni 70. Secondo il tribunale, era a partire da questo periodo che il ministero avrebbe dovuto verificare l’innocuità dei lotti di sangue importati dall’estero. Il tribunale stimò che, essendo i metodi di trasmissione dei tre virus in questione identici, l’adozione dei metodi e dei controlli che miravano ad evitare la trasmissione dell’epatite B avrebbe impedito allo stesso tempo la diffusione del HIV e del virus dell’epatite C.
40. Questa decisione fu confermata in seconda istanza da una sentenza della corte di appello di Roma depositata il 12 gennaio 2004.
41. Investita di un ricorso del ministero, la Corte di cassazione plenaria (Sezioni Unite) con una sentenza depositata alla cancelleria l’ 11 gennaio 2008, ricordò da prima la differenza tra, da un lato, l’indennizzo ai sensi della legge no 210/92, misura di assistenza che fa astrazione di un’ eventuale responsabilità dello stato, e, dell’altra, il risarcimento ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile che presuppone in compenso la commissione di un reato civile (illecito civile). Rilevò poi che a partire dalla fine degli anni 60, il ministero della Salute si era visto assegnare delle competenze di organizzazione e di controllo per la raccolta e la distribuzione di sangue umano destinato alle trasfusioni, in ragione in particolare delle sue funzioni di programmazione e di coordinamento in materia sanitaria, citò, tra l’altro, la legge no 592/67, il decreto del presidente della Repubblica no 1256/71 e la legge no 833/78; vedere sopra paragrafi 32-34. Constatò dunque che all’epoca il rischio di contaminazione da virus in seguito alla somministrazione di prodotti sanguigni era ben conosciuto. Essendo mancato agli obblighi derivanti da queste competenze, il ministero vedeva impegnata la sua responsabilità civile per omissione.
42. In quanto al dies a quo di questa responsabilità, la Corte di cassazione rilevò che a differenza di ciò che lei stessa aveva detto nella causa “Emo uno”, questo decorreva a partire dalla data in cui il virus dell’epatite B era stato conosciuto, costituendo il HIV ed il virus dell’epatite C solamente delle manifestazioni distinte dello stesso avvenimento, ossia l’attentato all’integrità fisica provocata dalla somministrazione di sangue infetto.
43. La Corte di cassazione indicò anche che spettava al giudice del merito fissare questa data. Rinviò dunque la causa alla corte di appello di Roma per riesame. Secondo le informazione fornite dai richiedenti, il procedimento dinnanzi alla corte di appello era pendente al 23 marzo 2009.
2. La causa “Emo ter”
44. Con un giudizio depositato alla cancelleria il 29 agosto 2005, il tribunale di Roma, investito da un terzo gruppo di persone contaminate dagli stessi virus, stimò che i test che permettevano di identificare il virus dell’epatite B erano stati disponibili a partire dagli anni 1972-1974 e concluse alla responsabilità del ministero della Salute per le infezioni provocate dal virus dell’epatite B, il HIV ed il virus dell’epatite C a partire da queste date. Il tribunale dichiarò di aderire ai motivi su cui vertevano le decisioni di primo grado e di appello adottate nella causa “Emo bis”, e di essere in disaccordo con la sentenza della Corte di cassazione nella sentenza “Emo uno.”
45. Il giudizio reso nella causa “Emo ter” fu attaccato dinnanzi alla corte di appello di Roma. Secondo le informazione fornite dai richiedenti, l’udienza successiva è stata fissata al 12 gennaio 2010.
D. Il diritto interno pertinente relativo alla conclusione degli ordinamenti amichevoli nei procedimenti riguardanti i danni subiti in seguito a trasfusioni di sangue infetto o di somministrazione di prodotti sanguigni infetti
46. La legge no 141 del 20 giugno 2003 (“legge no 141/03”) ha autorizzato una spesa pubblica rispettivamente di 98 500 000 euro (EUR) per l’anno 2003 e di 198 500 000 EUR per gli anni 2004 e 2005, per permettere la conclusione di ordinamenti amichevoli con “le persone trasfuse e contaminate dal sangue o dai prodotti sanguigni infetti che hanno iniziato delle azioni per danno-interessi pendenti” attualmente.
47. In seguito all’adozione di questa legge, il ministero della Salute ha specificato, con un decreto del 3 novembre 2003, i criteri di accesso alla via di risarcimento prevista. Le parti pertinenti di questo decreto si leggono così:
Articolo 1
“1. Gli individui colpiti da emofilia possono ottenere risarcimento del danno subito in seguito alla somministrazione di prodotti sanguigni infetti, secondo i seguenti criteri,:
a) conclusione di un ordinamento amichevole on gli eredi degli individui colpiti deceduti;
b) conclusione di un ordinamento amichevole con gli individui colpiti viventi che hanno ottenuto un giudizio favorevole;
c) conclusione di un ordinamento amichevole con gli individui raggiunti viventi che hanno iniziato un’azione giudiziale senza avere ottenuto ancora di giudizio favorevole “
48. Il decreto-legge no 159 del 1 ottobre 2007 (“decreto-legge no 159/07”) ha autorizzato per l’anno 2007 una spesa pubblica di 150 000 000 EUR affinché possano essere regolati in modo amichevole i procedimenti per danno-interessi pendenti, iniziati tra l’altro da “persone colpite da talassemia e da altre emoglobinopatie o da anemie ereditarie, gli emofiliaci e le persone che hanno subito delle trasfusioni occasionali” contaminate con la trasfusione di sangue infetto o la somministrazione di prodotti sanguigni infetti.
49. Infine, la legge finanziaria 2008, no 244 del 24 dicembre 2007, ha autorizzato una spesa pubblica di 180 000 000 EUR all’ anno, a partire dal 2008, in vista dell’ordinamento amichevole dei procedimenti per danno-interessi appendiamo, iniziati dalle categorie di persone previste dal decreto-legge no 159/07.
50. La determinazione dei criteri per la conclusione degli ordinamenti amichevoli prevista dal decreto-legge no 159/07 e dalla legge finanziaria del 2008 è stata delegata al ministro della Salute, congiuntamente al ministro dell’economia e delle Finanze.
III. LE FONTI DEL CONSIGLIO D’EUROPA
51. Tra il 1980 e 1988, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha adottato parecchie raccomandazioni che miravano in particolare ad invitare i governi degli Stati membri a:
-definire dei criteri di base per la qualità, il condizionamento, l’etichettatura ed il controllo dei prodotti sanguigni destinati al trattamento degli emofiliaci, sottolineando la necessità di ridurre i rischi di trasmissione dell’epatite, in particolare attraverso il controllo di ogni lotto ed unità di plasma utilizzati per la preparazione di concentrati di fattori di coagulazione (Raccomandazione no (80)5 del 30 aprile 1980);
-stabilire degli ordinamenti relativi all’importazione di sangue, dei suoi componenti e dei suoi derivati, in vista di limitare al massimo i rischi dovuti alla trasmissione di agenti infettivi (Raccomandazione no (81)14 del 11 settembre 1981);
-evitare l’impiego di preparazioni di fattori di coagulazione ottenute a partire da “vasti pool” di plasma, in particolare negli Stati membri che non hanno ancora raggiunto l’autosufficienza nella produzione di questi prodotti, tenuto conto in particolare della comparizione dell’AIDS e del rischio di trasmissione di questa malattia tramite sangue ed i prodotti sanguigni. Il Comitato ha raccomandato anche di informare i medici curanti ed i ricevitori, come gli emofiliaci, dei rischi potenziali della emoterapia (Raccomandazione no (83)8 del 23 giugno 1983);
-mettere in posto, nella cornice delle donazioni di sangue, un programma di preparazione di prodotti sanguigni, in particolare per i fattori di coagulazione anti-emofilia, che comprenda dei procedimenti appropriati che permettano l’inattivazione del HIV (Raccomandazione no (85)12 del 13 settembre 1985);
-conformarsi al principio secondo cui l’organizzazione della trasfusione dovrebbe dipendere dalla responsabilità delle autorità sanitarie nazionali. Queste dovrebbero mettere in opera dei controlli adeguati per garantire la sicurezza di questa attività, così come di quella della preparazione dei prodotti sanguigni. Le autorità sanitarie dovrebbero stabilire inoltre dei programmi nazionali di prelevamento, di preparazione e di distribuzione del sangue umano ispirato dei criteri del volontariato e della no-rimunerazione della donazione, per coprire i bisogni in prodotti sanguigni senza ricorso all’importazione.
Questa, se è necessaria, dovrebbe effettuarsi esclusivamente da paese che offre delle garanzie adeguate per garantire la sicurezza dei datori e dei ricevitori. Infine, la trasfusione che è un atto medico, dovrebbe in quanto tale dipendere dalle disposizioni legislative e regolamentari in materia di responsabilità (Raccomandazione no (88)4 del 7 marzo 1988).
IV. IL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA
52. L’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’unione europea si legge così nelle sue parti pertinenti:
“1. È vietata in particolare ogni discriminazione fondata sulle (…) caratteristiche genetiche, (…) un handicap (…) .”
IN DIRITTO
I. SULL’ECCEZIONE PRELIMINARE DEL GOVERNO
53. Il Governo stima, a titolo preliminare, che i richiedenti non possono definirsi “vittime” delle violazioni che adducono perché hanno ottenuto guadagno di causa nella cornice del procedimento di indennizzo previsto dalla legge no 210/92.
54. I richiedenti sostengono che l’indennizzo nella cornice della legge no 210/92 costituisce solamente una scarsa misura di solidarietà sociale che non permette, comunque, di decidere la questione della responsabilità dello stato.
55. La Corte osserva al primo colpo che questa richiesta mette in gioco gli articoli 2 e 3 della Convenzione che si mettono tra le disposizioni fondamentali della Convenzione (McCann ed altri c. Regno Unito, 27 settembre 1995, § 147, serie A no 324; Soering c. Regno Unito, 7 luglio 1989, § 88, serie A no 161).
56. Nota che risulta dalla pratica che l’indennizzo in questione è stato chiesto ed ottenuto da tutti i richiedenti o i loro parenti prossimi contaminati, eccetto dalla Sig.ra G.S. ed dal Sig. S.C, per le ragioni indicate sopra al paragrafo 18. Rileva poi che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, l’indennizzo previsto dalla legge no 210/92 è una misura di assistenza che differisce dal risarcimento previsto dall’articolo 2043 del codice civile per il fatto che fa astrazione di un’eventuale responsabilità civile dello stato in quanto alla contaminazione degli interessati. Inoltre, la Corte di cassazione ha considerato che l’esistenza del ricorso stabilito dalla legge no 210/92 non escludeva la possibilità per gli interessati di pregare le autorità giudiziali di valutare l’esistenza di una responsabilità per mancanza dello stato in tale caso o in tal’altro ( paragrafi 27 e 41 sopra).
57. Nel caso specifico, è proprio ciò che i richiedenti hanno fatto introducendo un’azione per danno-interessi affinché le autorità giudiziali valutassero la responsabilità dello stato in quanto alla loro contaminazione o a quella di loro parenti prossimi (paragrafi 19-28 sopra).
58. La Corte stima dunque che, avuto riguardo alle caratteristiche del procedimento di indennizzo riguardato dalla legge no 210/92, alle circostanze dello specifico ed alla necessità che, di fronte ai motivi di appello difendibili tratti dagli articoli 2 e 3 della Convenzione, gli Stati contraenti mettano in posto un sistema giudiziale efficace che miri ad identificare le cause delle violazioni addotte e, all’occorrenza, ad obbligare i responsabili a rispondere dei loro atti (vedere, mutatis mutandis, Calvelli e Ciglio c. Italia [GC], no 32967/96, § 49, CEDH 2002-I, e la giurisprudenza citata sotto ai paragrafi 81-82) i richiedenti possono essere considerati come “vittime” delle violazioni che adducono.
59. Quindi, c’è luogo di respingere l’eccezione sollevata dal Governo.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 2 DELLA CONVENZIONE
60. Invocando l’articolo 2 § 1 della Convenzione, i richiedenti si lamentano da una parte della violazione del diritto alla vita, in ragione, della mancanza dei controlli necessari per prevenire la somministrazione di sangue infetto e, dall’altra parte, del rifiuto di risarcimento del danno subito. In quanto a questo secondo risvolto, i richiedenti adducono la violazione dell’obbligo procedurale di protezione del diritto alla vita che deriva dall’articolo 2 della Convenzione.
61. Questo articolo è formulato così:
“1. Il diritto di ogni persona alla vita è protetto dalla legge. La morte non può essere inflitta a nessuno intenzionalmente, salvo nel corso dell’ esecuzione di una sentenza capitale pronunziata da un tribunale nel caso in cui il reato sia punito da questa pena per legge.
2. La morte non è considerata come inflitta in violazione di questo articolo nei casi in cui risultasse da un ricorso alla forza resa assolutamente necessaria:
a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale;
b) per effettuare un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta;
c) per reprimere, conformemente alla legge, una sommossa o un’insurrezione. “
A. Sull’ammissibilità
62. Il Governo sostiene che la Sig.ra D.C., dal momento che è vivente, non ha il locus standi per introdurre questa richiesta dinnanzi alla Corte, avendo questa riconosciuto lo statuto di vittima di una persona non deceduta SOLO nel caso di uso dI “forza omicida” da parte di agenti dello stato (İlhan c. Turchia [GC], no 22277/93, §§ 75-76, CEDH 2000-VII, e Makaratzis c. Grecia [GC], no 50385/99, §§ 49-55, CEDH 2004-XI). Concernente la situazione della richiedente, riassumendosi la condotta rimproverata allo stato come una trasgressione addotta all’obbligo generale di proteggere la vita, la constatazione di un semplice pericolo di morte, anche grave che sia, non basterebbe ad assegnare all’interessata la qualità di “vittima.”
63. I richiedenti si oppongono alla tesi del Governo ed osservano in particolare che l’obbligo di proteggere la vita copre ogni situazione che provoca un “pericolo serio ed imminente per la vita di una persona.”
64. La Corte nota che, oltre i due casi di applicazione dell’articolo 2 della Convenzione citati dal Governo, ha riconosciuto implicitamente, a più riprese, il locus standi dei richiedenti viventi che avevano sollevato dei motivi di appello sotto l’angolo di questa disposizione.
65. È il caso, per esempio, dei richiedenti la cui integrità fisica era stata messa in pericolo dal maneggi di uno terzo (Osman c. Regno Unito, 28 ottobre 1998, §§ 115-122, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-VIII) o da una catastrofe naturale (Boudaïeva ed altri c. Russia, numeri 15339/02, 21166/02, 20058/02, 11673/02 e 15343/02, § 146, CEDH 2008 -… (brani)).
66. La Corte ha esaminato anche a più riprese dei motivi di appello derivati dall’articolo 2 della Convenzione sollevata dai richiedenti colpiti da malattie gravi. Così, nel causa L.C.B. c. Regno Unito (9 giugno 1998, §§ 36-41, Raccolta 1998-III) dove il richiedente, colpito da leucemia, era la figlia di un militare che aveva prestato servizio sull’isola Christmas durante le prove nucleari britanniche, la Corte ha ricercato sotto l’angolo dell’articolo 2 se lo stato aveva fatto tutto ciò che ci si poteva aspettare da lui per impedire il collocamento in pericolo della vita dell’interessata.
67. Nella causa Nitecki c. Polonia (dec.) (no 65653/01, 21 marzo 2002) la Corte ha esaminato un motivo di appello derivato dall’articolo 2 della Convenzione riguardante ul rifiuto delle autorità nazionali di rimborsare al 100% il costo di un medicinale salva-vita ad un richiedente colpito da una sclerosi laterale amiotrofica . Nella causa Gheorghe c. Romania (dec.) (no 19215/04, 22 settembre 2005) la Corte ha preso in considerazione un motivo di appello derivato dall’articolo 2 e sollevato da un richiedente colpito emofilia che si lamentava del rifiuto delle autorità nazionali di garantirgli gratuitamente un trattamento medico preventivo.
68. Infine, nella decisione Karchen ed altri c. Francia (no 5722/04, 4 marzo 2008,) concernente la contaminazione di uno dei richiedenti, emofiliaco, col HIV in seguito alla somministrazione di prodotti sanguigni, la Corte ha considerato che l’interessato, essendo stato contaminato da un virus che metteva potenzialmente la sua vita in pericolo, aveva il locus standi per sollevare un motivo di appello derivato dall’articolo 2 della Convenzione.
69. La Corte considera dunque che non c’è ragione di scostarsi da questa giurisprudenza nel caso specifico. Ricorda poi che l’epatite C che la Sig.ra D.C. ha contratto ricevendo presso strutture sanitarie pubbliche del sangue e dei prodotti sanguigni infetti, è potenzialmente una malattia mortale (Testa c. Croazia, no 20877/04, § 10, 12 luglio 2007). Quindi, il richiedente vive, dal 1979 e fino ad oggi, in una situazione in cui la sua vita è minacciata gravemente dalla patologia in questione.
70. Alla vista di ciò che precede, la Corte stima che c’è luogo di respingere l’eccezione sollevata dal Governo e di considerare la Sig.ra D.C. come “vittima” della violazione dell’articolo 2 che adduce.
71. Per ciò che riguarda i richiedenti la Sig.ra D.C., il Sig. D.C., la Sig.ra G.D.M. e la Sig.ra E.S, anche in mancanza di osservazioni delle parti su questo punto, la Corte ha il dovere di constatare che queste persone hanno concluso un ordinamento amichevole col Governo nella cornice della causa Mas.A. ed altri (precitata, §§ 15-18) riguardante la durata del procedimento “Emo Uno” fino al 23 ottobre 2000 (paragrafo 31 sopra). Rileva che accettando di regolare in modo amichevole la richiesta no 53708/00, i richiedenti hanno rinunciato “ad ogni altra pretesa contro l’Italia a proposito dei fatti all’origine di suddetta richiesta.” Però, stima, da una parte, che l’accettazione di suddetto ordinamento amichevole vale come rinuncia della richiesta no 53708/00 e non potrebbe analizzarsi come rinuncia di ogni azione futura (vedere, mutatis mutandis, Richard c. Francia, no 33441/96, decisione della Commissione del 15 aprile 1997, non pubblicata; Richard c. Francia, 22 aprile 1998, §§ 46-50, Raccolta 1998-II). Considera, d’altra parte, che la presente causa ha per oggetto la questione, ben differente da quella menzionata nella richiesta no 53708/00, del rispetto da parte dello stato convenuto degli obblighi derivanti dall’articolo 2 della Convenzione, e riguarda anche dei fatti posteriori al 23 ottobre 2000. Quindi, l’ordinamento amichevole della richiesta no 53708/00 non potrebbe essere un ostacolo all’esame da parte della Corte del motivo di appello derivato dsll’articolo 2 della Convenzione s capo dei richiedenti la Sig.ra D.C., il Sig. D.C., la Sig.ra G.D.M. e la Sig.ra E.S.
72. In conclusione, la Corte constata che il motivo di appello derivato dall’articolo 2 della Convenzione non è manifestamente male fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) Il Governo
73. Il Governo rileva da prima che la Corte dovrebbe esaminare congiuntamente l’obbligo patrimoniale e l’obbligo procedurale che derivano dall’articolo 2 della Convenzione, perché in caso di morte inflitta accidentalmente in ragione di una mancanza medica il risvolto procedurale assorbirebbe il risvolto patrimoniale di questa disposizione. Il Governo ricorda a questo proposito la sentenza Lazzarini e Ghiacci c. Italia (dec.) (no 53749/00, 7 novembre 2002) nella quale la Corte ha respinto per non-esaurimento delle vie di ricorso interne l’insieme del motivo di appello derivato dall’articolo 2,essendo il procedimento civile iniziato dai richiedenti pendente.
74. Poi, osserva che il fatto che, nei procedimenti “Emo uno” e “Emo bis”, le giurisdizioni interne siano giunte a conclusioni differenti non significa in sé che la conclusione della prima causa sia stata irragionevole, perché si tratta dell’interpretazione delle circostanze della causa e del diritto applicabile da parte delle istanze interne, ambito che sfugge alla competenza della Corte.
75. Il Governo fa valere infine che le autorità italiane hanno messo in posto tutte le precauzioni considerabili per prevenire i rischi di contaminazione all’epoca delle trasfusioni, tenuto conto delle cognizioni scientifiche e dei mezzi tecnici disponibili all’epoca dei fatti controversi.
b) I richiedenti,
76. I richiedenti osservano da prima che la Corte dovrebbe analizzare separatamente il risvolto patrimoniale ed il risvolto procedurale dell’articolo 2 della Convenzione. Sostengono che il primo risvolto ha fatto riferimento alla condotta colpevole dello stato nella misura in cui il ministero della Salute, ignorando che gli obblighi di organizzazione e di controllo in materia di trattamento del sangue e dei prodotti sanguigni che il legislatore gli aveva imposto a partire dal 1967, ha, di fatto, causato la contaminazione tramite sangue infetto della Sig.ra D.C., della Sig.ra M.C.N, del Sig. N.C. e del Sig. V.C, così come di migliaia di altre persone.
77. I richiedenti fanno valere anche che lo stato ha omesso di informare, almeno fino all’adozione del decreto del 15 gennaio 1991 (paragrafo 35 sopra) i ricevitori di trasfusioni dei rischi associati a questa pratica. Così, ha mancato al suo obbligo positivo di proteggere la vita ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione.
78. In quanto all’aspetto procedurale del diritto alla vita, i richiedenti considerano che anche questo è stato ignorato dallo stato per il fatto che questo ultimo ha omesso di condurre “un’inchiesta completa, imparziale, approfondita, veloce ed adeguata per identificare i responsabili della violazione del diritto alla vita e per offrire alle vittime un risarcimento pecuniario adeguato.” In più, questa incomprensione apparirebbe ancora più grave alla luce del cambiamento improvviso giurisprudenziale operato dalla causa “Emo bis.”
2. Valutazione della Corte
a) Principi generali
79. La Corte ricorda che la prima frase dell’articolo 2 della Convenzione impone non solo allo stato l’obbligo di astenersi dal dare “intenzionalmente” la morte, ma anche di prendere le misure necessarie alla protezione della vita delle persone che dipendono dalla sua giurisdizione (L.C.B. c. Regno Unito, precitata, § 36, e Pretty c. Regno Unito, no 2346/02, § 38, CEDH 2002-III).
80. Gli obblighi positivi derivanti dall’articolo 2 implicano il collocamento in posto da parte dello stato di una cornice regolamentare che imponga agli ospedali, sia pubblici che privati, l’adozione di misure proprie a garantire la protezione della vita dei loro malati (vedere in particolare Erikson c. Italia ( dec.), no 37900/97, 26 ottobre 1999; Powell c. Regno Unito,( dec.), no 45305/99, CEDH 2000-V; Işıltan c. Turchia, no 20948/92, decisione della Commissione del 22 maggio 1995, Decisioni e rapporti, (DR), 81-A, e Calvelli e Ciglio, precitata, § 49).
81. Questi obblighi implicano anche l’instaurazione di un sistema giudiziale efficace ed indipendente che permetta di stabilire la causa del decesso di un individuo che si trova sotto la responsabilità di professionisti della salute, sia quelli che agiscono nella cornice del settore pubblico che quelli che lavorano nelle strutture private e, all’occorrenza, di obbligare questi a rispondere dei loro atti (vedere in particolare le decisioni Erikson c. Italia, Powell c. Regno Unito ed Işıltan c. Turchia, precitate, e la sentenza Calvelli e Ciglio, precitata, § 49).
82. La Corte ha affermato che, se l’attentato al diritto alla vita o all’integrità fisica non è volontario, l’obbligo positivo che deriva dall’articolo 2 di mettere a posto un sistema giudiziale efficace non esige necessariamente in ogni caso un ricorso di natura penale. Nel contesto specifico delle negligenze mediche, “simile obbligo può essere assolto anche, per esempio, se il sistema giuridico in causa offre agli interessati un ricorso dinnanzi alle giurisdizioni civili, da solo o congiuntamente ad un ricorso dinnanzi alle giurisdizioni penali, al fine di stabilire la responsabilità dei medici in causa e, all’occorrenza, di ottenere l’applicazione di ogni sanzione civile appropriata, come il versamento di danno-interessi e la pubblicazione della sentenza. Anche delle misure disciplinari possono essere previste” (Calvelli e Ciglio, precitata, § 51; Lazzarini e Ghiacci, precitata; Vo c. Francia [GC], no 53924/00, § 90, CEDH 2004-VIII; Karchen ed altri c. Francia, precitata).
83. La Corte ricorda anche che l’obbligo procedurale che deriva dall’articolo 2 della Convenzione è indipendente sul punto di sapere se lo stato è giudicato alla fine responsabile del decesso degli interessati (Šilih c. Slovenia [GC], no 71463/01, § 156, 9 aprile 2009). Ha sempre esaminato al merito la questione degli obblighi procedurali che derivano separatamente dall’articolo 2 della questione del rispetto dell’obbligo patrimoniale e ha constatato, all’occorrenza, una violazione distinta dell’articolo 2 nel suo risvolto procedurale (vedere, tra altre, Kaya c. Turchia, 19 febbraio 1998, §§ 74-78 e 86-92, Raccolta 1998-I; McKerr c. Regno Unito, no 28883/95, §§ 116-161, CEDH 2001-III; Scavuzzo-Hager ed altri c. Svizzera, no 41773/98, §§ 53-69 e 80-86, 7 febbraio 2006; e Ramsahai ed altri c. Paesi Bassi [GC], no 52391/99, §§ 286-289 e 323-357, CEDH 2007 -…). In certe cause, il rispetto dell’obbligo procedurale è stato anche oggetto di un voto separato sull’ammissibilità (vedere, per esempio, Slimani c. Francia, no 57671/00, §§ 41-43, CEDH 2004-IX, e Kanlıbaş c Turchia, (dec.), no 32444/96, 28 aprile 2005). Inoltre, in diverse occasioni, la violazione dell’obbligo procedurale che deriva dall’articolo 2 è stata addotta in mancanza di motivo di appello relativo all’aspetto patrimoniale di questa disposizione (Calvelli e Ciglio, precitata, §§ 41-57; Byrzykowski c. Polonia, no 11562/05, §§ 86 e 94-118, 27 giugno 2006; e Brecknell c. Regno Unito, no 32457/04, § 53, 27 novembre 2007).
84. La Corte ha stimato che l’obbligo procedurale che custodisce l’articolo 2 di condurre un’inchiesta effettiva, sebbene proceda dagli atti concernenti gli aspetti patrimoniali dell’articolo 2, può dare adito a constatazione di “ingerenza” distinta ed indipendente. In questa misura, può essere considerato come un obbligo staccabile che risulta dall’articolo 2 (Šilih, precitata, § 159).
b) Applicazione al caso specifico
i. Sul risvolto patrimoniale dell’articolo 2 della Convenzione
85. Nella presente causa, non è contestato che la Sig.ra D.C. ed i parenti prossimi degli altri richiedenti siano stati contaminati o dal virus dell’epatite C o dal HIV in seguito alla trasfusione o la somministrazione di sangue o prodotti sanguigni che sono stati forniti loro presso delle strutture sanitarie pubbliche, come non è in discussione che la contaminazione della Sig.ra M.C.N, del Sig. N.C. ed del Sig. V.C. ha in seguito provocato il decesso di questi. La Corte ha appena inoltre constatato che la contaminazione della Sig.ra D.C. ha messo in pericolo la vita dell’interessata (paragrafi 69-70 sopra).
86. Resta da sapere se le autorità italiane hanno fatto tutto ciò che ci si poteva ragionevolmente aspettare di loro per impedire la materializzazione di un rischio certo ed immediato per la vita di cui avevano o avrebbero dovuto avere cognizione (vedere, mutatis mutandis, Osman, precitata, § 116).
87. Rispondere a questa questione significa, secondo la Corte, stabilire le date a partire dalle quali il ministero della Salute aveva o avrebbe dovuto avere cognizione del rischio di trasmissione del HIV e del virus dell’epatite C, rispettivamente, tramite trasfusione o somministrazione di sangue o di prodotti sanguigni, così come dell’esistenza di misure capaci di ridurre o di eliminare questo rischio.
88. La Corte rileva che, nel procedimento “Emo Uno” nel quale i richiedenti sono stati parti, le autorità giudiziali hanno stabilito queste date. Hanno escluso in particolare la responsabilità del ministero della Salute in quanto alle infezioni da HIV sopraggiunte prima dell’anno di creazione del test di rintracciamento di questo virus (1985). La responsabilità è stata esclusa anche per ciò che concerne le infezioni da virus dell’epatite C contratte prima che il ministero imponesse il riscaldamento del sangue per evitare la trasmissione dell’epatite allora chiamata “non-A non-B”, cioè prima del 1988.
89. La Corte ricorda che ai termini dell’articolo 19 della Convenzione ha per compito di garantire il rispetto degli impegni che risultano dalla Convenzione per le Parti contraenti. Non può valutare lei stessa gli elementi di fatto che hanno condotto una giurisdizione nazionale ad adottare tale decisione piuttosto che tal’ altra; se no, si erigerebbe a giudice di quarta istanza ed ignorerebbe i limiti della sua missione (Kemmache c. Francia (no 3), 24 novembre 1994, § 44, serie A no 296-C). In particolare, non le appartiene conoscere degli errori di fatto o di diritto presumibilmente commessi da una giurisdizione interna, salvo se e nella misura in cui abbiano potuto portare attentato ai diritti e alle libertà salvaguardati dalla Convenzione (vedere, in particolare, García Ruiz c. Spagna [GC], no 30544/96, § 28, CEDH 1999-I).
90. La Corte potrebbe concludere che la valutazione della responsabilità del ministero della Salute fatta dalle giurisdizioni interne nel procedimento “Emo uno” è manifestamente arbitraria o irragionevole. Per ciò che riguarda il HIV del resto, come la Corte ha preso atto nella decisione Karchen ed altri c. Francia, precitata, è al congresso di Atlanta, nell’aprile 1985, che la comunità scientifica ha confermato l’efficacia e l’innocuità del riscaldamento del sangue come metodo di inattivazione di questo virus.
91. La Corte rileva che, nei procedimenti per danno-interessi “Emo bis” e “Emo ter”, le autorità giudiziali non hanno seguito l’orientamento dei giudici del procedimento “Emo Uno” in quanto alle date a partire dalle quali la responsabilità del ministero della Salute veniva impegnato a riguardo delle persone contaminate sia in seguito alla trasfusione sia in seguito alla somministrazione di sangue e di prodotti sanguigni. Tuttavia, a prescindere dal fatto che la “data cerniera” per affermare la responsabilità del ministero non è stata stabilita definitivamente nei procedimenti “Emo bis” e “Emo ter” che rimangono pendenti (paragrafi 43 e 45 sopra) la circostanza che un cambiamento improvviso giurisprudenziale abbia avuto luogo in questi procedimenti non basta per permettere di concludere che le decisioni adottate nel procedimento “Emo Uno” fossero inficiate di arbitrarietà. Peraltro, i richiedenti non hanno fornito nessun elemento in questo senso, perché, messo da parte il riferimento alle raccomandazioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (paragrafo 51 sopra) hanno fatto essenzialmente stato delle motivazioni delle decisioni giudiziali interne nei procedimenti “Emo bis” e “Emo ter”, appellandosi alle sorgenti legislative e regolamentari menzionate in suddette decisioni.
92. Nelle circostanze dello specifico, la Corte non potrebbe determinare in modo autonomo le date a partire dalle quali il ministero della Salute aveva o avrebbe dovuto avere cognizione dei rischi di trasmissione del HIV e del virus dell’epatite C tramite trasfusione, e dell’esistenza di misure capaci di ridurre questi rischi. Non potrebbe dunque neanche sostituirsi alle autorità nazionali nella valutazione della responsabilità del ministero della Salute.
93. Avuto riguardo a ciò che precede, la Corte stima dunque che non può essere rimproverato alle autorità italiane di avere mancato al loro obbligo di proteggere la vita della Sig.ra D.C. e dei parenti prossimi degli altri richiedenti.
94. In quanto al risvolto del motivo di appello derivato dalla mancanza di informazioni sui rischi associati alla pratica delle trasfusioni, alla luce delle conclusioni che ha appena esposto, la Corte considera che non si potrebbe rimproverare al ministero della Salute di non avere informato gli interessati di detti rischi, poiché non è stato stabilito che, all’epoca della contaminazione della Sig.ra D.C. e dei parenti prossimi degli altri richiedenti, il ministero conosceva o avrebbe dovuto conoscere questi rischi.
95. In conclusione, non c’è stata violazione del risvolto patrimoniale dell’articolo 2 della Convenzione.
ii. Sul risvolto procedurale dell’articolo 2 della Convenzione
96. La Corte osserva che i richiedenti, come le centinaia di persone infettate da differenti virus in seguito alla trasfusione o alla somministrazione di sangue o di prodotti sanguigni contaminati, hanno potuto iniziare un’azione per danno-interessi contro il ministero della Salute. La Corte stima che contemplando l’accesso ad una via di ricorso civile il sistema italiano ha offerto ai giudicabili dei mezzi che, sul piano teorico, soddisfanno le esigenze dell’articolo 2 della Convenzione (Calvelli e Ciglio, precitata, §§ 51-57, e Karchen ed altri, precitata). Tuttavia, questa disposizione vuole non solo che i meccanismi di protezione contemplati in diritto interno esistano in teoria ma anche, e soprattutto, che funzionino in pratica nei termini che permettono di concludere l’esame al merito delle cause concrete che sono sottoposte loro (Calvelli e Ciglio, precitata, § 53; Byrzykowski, precitata, § 105, e Dodov c. Bulgaria, no 59548/00, § 83, CEDH 2008 -…).
97. Nel caso specifico, la Corte rileva che il procedimento civile che mirava a deliberare sulla responsabilità del ministero della Salute è durato, per tre gradi di giurisdizione, dieci anni e tre mesi per la Sig.ra D.C., il Sig. D.C. e la Sig.ra G.D.M. , questi due ultimi, in quanto eredi del Sig. N.C, nove anni ed un mese per il Sig. G.N. e la Sig.ra G.S, ed otto anni ed un mese per la Sig.ra E.S.4 il procedimento è durato, infine, tre anni e sei mesi, per un grado di giurisdizione, per il Sig. S.C, intervenuto il 16 novembre 2001 in quanto erede del Sig. V.C.
98. La Corte nota che la Commissione europea dei diritti dell’uomo, esaminando nel 1998 la prima istanza di questo procedimento, ha concluso alla violazione dell’articolo 6 della Convenzione sotto l’angolo del “termine ragionevole” (A.B, E.F. e C.C., rapporto della Commissione precitato, § 24). Ha ricordato in particolare (ibidem, § 20) la giurisprudenza della Corte secondo la quale, nell’ambito dei procedimenti per risarcimento intentati dagli emofiliaci infettati dal virus dell’AIDS in seguito a trasfusioni sanguigne, “uno zelo eccezionale” si impone, “nonostante il numero di controversie da trattare”, e “che una durata di procedimento di più di quattro anni per ottenere un giudizio di prima istanza supera largamente il termine ragionevole per una causa di tale natura” (X c. Francia, 31 marzo 1992, § 47, serie A no 234-C, e Vallée c. Francia, 26 aprile 1994, §§ 47 e 49, serie A no 289-A). Pure ammettendo il carattere complesso del procedimento “Emo uno”, in ragione del numero di richiedenti, la Commissione ha rilevato un periodo di inattività, dal 14 gennaio 1995 all’ 11 aprile 1996, in particolare in ragione del trasferimento del giudice del collocamento in stato, che ha stimato incompatibile con lo zelo richiesto dalle circostanze della causa (A.B, E.F. e C.C., rapporto della Commissione precitato, § 21).
99. La Corte non può che aderire alle conclusioni della Commissione. Rileva in più che una parte importante del procedimento dinnanzi al tribunale di Roma è stata consacrata alla questione della disgiunzione delle istanze dei richiedenti che è stata ordinata a due riprese da differenti giudici del collocamento in stato, nel 1994 e nel 1996, poi non eseguita per ragioni non precisate e, infine, revocata nel 1997( paragrafo 22 sopra). La Corte stima che il trattamento di questa questione non è stato sufficientemente pronto e ha provocato dei ritardi nello svolgimento del procedimento di prima istanza.
100. In quanto alla fase ulteriore del procedimento, la Corte nota che quella dinnanzi alla Corte di cassazione si è prolungato per quasi tre anni e dieci mesi e che tutti i richiedenti avendo introdotto il ricorso in cassazione, eccetto i richiedenti e di dieci altri richiedenti, hanno concluso in seguito degli ordinamenti amichevoli col ministero della Salute (paragrafo 30 sopra) ciò che ha sminuito sensibilmente il numero dei richiedenti dinnanzi alla Corte suprema.
101. Tenuto conto di queste considerazioni ed alla luce della giurisprudenza della Corte sullo zelo speciale richiesto nel trattamento delle cause per risarcimento intentate dalle persone infettate dal virus dell’AIDS in seguito a trasfusioni (paragrafo 98 sopra) la Corte stima che la durata del procedimento è stata eccessiva. Peraltro, il ricorso previsto dalla legge no 89 del 24 marzo 2001 (“legge Pinto”) e che permette di lamentarsi della durata eccessiva di un procedimento (ricorso che i richiedenti non hanno formato) sarebbe stato insufficiente nello specifico, dal momento che non era semplicemente la durata del procedimento che era in causa, ma la questione di sapere se, nelle circostanze della causa prese globalmente , lo stato poteva passare per avere soddisfatto ai suoi obblighi procedurali allo sguardo dell’articolo 2 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Šilih, precitata, §§ 169-170; Byrzykowski, precitata, § 90).
102. In queste condizioni, la Corte stima che le autorità giudiziali italiane, di fronte ad un motivo di appello difendibile derivato dall’articolo 2 della Convenzione, sono mancate nell’ offrire una risposta adeguata e veloce conforme agli obblighi procedurali che derivano per lo stato da questa disposizione. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 2 nel suo risvolto procedurale.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 3 E 8 DELLA CONVENZIONE
103. Invocando gli articoli 3 e 8 della Convenzione, i richiedenti adducono di essere stati oggetto di un trattamento disumano e degradante che ha recato offesa al rispetto della loro vita privata e familiare. Per ciò che riguarda la Sig.ra D.C., la violazione deriverebbe dalle sofferenze fisiche e psicologiche dovute alla sua contaminazione. Per ciò che riguarda gli altri richiedenti, sarebbe imputabile, da una parte, all’impossibilità di ottenere il risarcimento dei danni subiti e, dall’altra parte, alla sofferenza psicologica dovuta alla contaminazione dei loro prossimi.
104. Queste disposizioni sono formulate così nelle loro parti pertinenti:
Articolo 3
“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
Articolo 8
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui. “
105. Il Governo contesta questi argomenti.
106. In quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 3 della Convenzione, la Corte stima che le circostanze dello specifico non potrebbero analizzarsi in un trattamento disumano o degradante. Constata che non solo viene a mancare l’intenzione di umiliare o di abbassare i richiedenti o il loro prossimi (vedere, mutatis mutandis, Kudła c. Polonia [GC], no 30210/96, § 92, CEDH 2000-XI, e D. c. Regno Unito, sentenza del 2 maggio 1997, § 49, Raccolta 1997-III) ma che inoltre non è stato stabilito che le autorità italiane avessero o avrebbero dovuto avere cognizione del rischio di infettare i richiedenti attraverso la somministrazione di sangue o di pro