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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE FRANCESCO SESSA c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 1
Articoli: 35, 09
Numero: 28790/08/2012
Stato: Italia
Data: 2012-04-03 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Non-violazione dell’articolo 9 – Libertà Di Pensiero Di Coscienza E Di Religione, Articolo 9-1 – Libertà Di Religione; Esprimere la Sua Religione O la Sua Convinzione; Articolo 9-2 – Necessario In Una Società Democratica; Protezione Dei Diritti E Libertà altrui,; Parzialmente inammissibile
SECONDA SEZIONE
CAUSA FRANCESCO SESSA C. ITALIA
( Richiesta no 28790/08)
SENTENZA
STRASBURGO
3 aprile 2012
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Francesco Sessa c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa,
Dragoljub Popović, Isabelle Berro-Lefèvre, András Sajó,
Guido Raimondi, Paulo Pinto di Albuquerque, Helen Keller, giudici, e di Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 6 marzo 2012,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 28790/08) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 3 giugno 2008 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da OMISSIS, avvocato a Salerno. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora.
3. Il richiedente addotto, in particolare, un attentato alla sua libertà di esprimere la sua religione.
4. Il 6 luglio 2009, la presidentessa della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1955 e ha risieduto a Napoli.
6. Il richiedente, di confessione ebraica, è un avvocato. Il 7 giugno 2005, in qualità di rappresentante di uno dei due querelanti in un procedimento penale contro certe banche, partecipò ad un’udienza dinnanzi al giudice dell’investigazioni preliminare (GIP) di Forlì relativo alla produzione immediata di un mezzo di prova (« incidente probatorio »). In questa occasione, essendo impedito il GIP titolare della causa, il suo sostituto invitò le parti a scegliere la data di rinvio dell’udienza tra due possibilità, ossiail 13 e 18 ottobre 2005, secondo il calendario già stabilito dal GIP titolare.
7. Il richiedente fece valere che le due date corrispondevano a due festeggiamenti ebraici, rispettivamente lo Yom Kippour ed il Souccot, ed affermò la sua impossibilità ad essere presente all’udienza di rinvio in ragione dei suoi obblighi religiosi. Il richiedente dichiarò essere membro della Comunità ebraica di Napoli ed addusse una violazione degli articoli 4 e 5 della legge no 101 del 8 marzo 1989, che regolava i rapporti tra lo stato e le unioni delle Comunità ebree italiane.
8. Il GIP fissò la data dell’udienza al 13 ottobre 2005.
9. Lo stesso giorno, il richiedente depositò un’istanza di rinvio dell’udienza all’attenzione del GIP titolare della causa. Il 20 giugno 2005, il GIP, dopo avere esaminato l’istanza del richiedente, decise di non deliberare e di versarla alla pratica.
10. L’ 11 luglio 2005, il richiedente depositò una querela penale contro il GIP titolare della causa e del suo sostituto, adducendo la violazione dell’articolo 2 della legge no 101 del 1989. Nella stessa data, informò dei fatti il Consiglio Superiore della Magistratura.
11. All’udienza del 13 ottobre 2005, il GIP rilevò che il richiedente era assente per “ragioni personali” e chiese alle parti di esprimere il loro parere concernente l’istanza di rinvio del 7 giugno. Il ministero pubblico e gli avvocati degli imputati espressero la loro opposizione a suddetta istanza, facendo valere in particolare la mancanza di una ragione di rinvio riconosciuta dalla legge, mentre l’avvocato dell’altro querelante appoggiò l’istanza del richiedente.
12. Con un’ordinanza dello stesso giorno, il GIP respinse la richiesta di rinvio del richiedente. Fece valere innanzitutto che, secondo l’articolo 401 del codice di procedimento penale, solo la presenza del ministero pubblico e dell’avvocato dell’imputato è necessaria all’epoca delle udienze consacrate alla produzione immediata delle prove, quella dell’avvocato del querelante essendo contemplata come una semplice facoltà. Inoltre, il codice di procedimento penale non contempla l’obbligo per il giudice di rinviare l’udienza in ragione di un impedimento legittimo a comparire del difensore del querelante. Infine, il GIP sottolineò che, trattandosi di un procedimento con un numero elevato di intervenienti (imputati, querelanti, periti d’ ufficio, periti nominati dalle parti, “e tenuto conto del sovraccarico di lavoro di questo ufficio- ciò che obbligherebbe a rinviare l’udienza al 2006-, il principio del termine ragionevole del procedimento impone il rigetto dell’istanza, introdotta da una persona non legittimata a chiedere il rinvio.”
13. Il 23 gennaio 2006, il Consiglio Superiore della Magistratura informò il richiedente della sua incompetenza a conoscere dei fatti controversi, dipendendo le affermazioni dall’esercizio dell’attività giurisdizionale.
14. Il 9 gennaio 2006, la procura di Ancona chiese nel frattempo, l’archiviazione senza seguito della querela depositata dal richiedente. Questo ultimo si oppose con un atto del 28 gennaio 2006.
15. Con un decreto del 21 settembre 2006, il GIP di Ancona ordinò l’archiviazione della causa. Nella sua decisione, il giudice sostenne che il querelante non aveva formato opposizione contro la richiesta di archiviazione della procura.
16. Il 19 gennaio 2007, il richiedente ricorse in cassazione adducendo che il GIP aveva ignorato erroneamente la sua opposizione del 28 gennaio 2006. La Corte di cassazione, affermando che l’opposizione del richiedente non era stata presa in conto a causa di un probabile errore della cancelleria, annullò il decreto del 21 settembre 2006 e rinviò la pratica al tribunale di Ancona.
17. Il 12 febbraio 2008, il richiedente e la procura parteciparono ad un’udienza dinnanzi al GIP di Ancona. Questo ultimo, con un’ordinanza del 15 febbraio 2008, ordinò l’archiviazione senza seguito della causa. Affermò che nessuno elemento nella pratica dimostrava che il GIP titolare della causa così come il suo sostituto all’udienza del 7 giugno 2006 avevano avuto l’intenzione di violare il diritto del richiedente ad esercitare liberamente il culto ebraico. Peraltro, la volontà di offendere la dignità del richiedente in ragione della sua confessione religiosa non risultava dalla pratica.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
18. La legge no 101 del 8 marzo 1989 contiene delle disposizioni che regolano i rapporti tra lo stato e le unioni delle Comunità ebree italiane. L’articolo 2 di suddetta legge afferma il diritto di esprimere e di esercitare liberamente la religione ebraica. Ai termini dell’articolo 4, l’Italia riconosce agli ebrei che lo chiedono il diritto di osservare il Sabato, nella cornice della flessibilità dell’organizzazione del lavoro e senza danno delle esigenze dei servizi essenziali previsti dal sistema giuridico statale.
L’articolo 5 della legge no 101 assimila lo Yom Kippour ed il Souccot, così come altri festeggiamenti ebraici, al Sabato.
19. Secondo il capoverso 5 dell’articolo 2 di suddetta legge, le manifestazioni di intolleranza e di pregiudizio religioso sono sanzionate ai termini dell’articolo 3 della legge no 654 di 1975, ossia la legge di ratifica della “Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale”. Secondo questa ultima disposizione chiunque diffonda delle idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, o incita a commettere degli atti di discriminazione per le ragioni razziali, etniche, nazionali o religiose, è punito con una pena fino ad un anno e sei mesi di reclusione.
20. L’articolo 401 del codice di procedimento penale, primo capoverso, concernente il procedimento che prevede la produzione immediata di un mezzo di prova (“incidente probatorio”), si legge così:
“L’udienza si svolge in camera del consiglio con la partecipazione necessaria del ministero pubblico e del difensore della persona messa in causa dalle investigazioni. Il difensore della parte lesa ha anche la facoltà di partecipare.”
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 9 D CONVENZIONE
21. Il richiedente adduce che il rifiuto dell’autorità giudiziale di rinviare l’udienza controversa, fissata ad una data che corrisponde ad un festeggiamento ebraico, l’ha impedito di partecipare nella sua qualità di rappresentante di uno dei querelanti e ha costituito un ostacolo al suo diritto ad esprimere liberamente la sua religione. Invoca l’articolo 9 §§ 1 e 2 della Convenzione, così formulata,:
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; questo diritto implica la libertà di cambiare religione o convinzione, così come la libertà di esprimere individualmente la sua religione o la sua convinzione o collettivamente, in pubblico o in privato, col culto, l’insegnamento, le pratiche ed il compimento dei riti.
2. La libertà di esprimere la sua religione o le sue convinzioni non possono essere oggetto di altre restrizioni se non quelle che, previste dalla legge, costituiscono delle misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza pubblica, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e libertà di altrui.”
22. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
23. Il Governo eccepisce innanzitutto del tardività della richiesta. Considera che il richiedente avrebbe dovuto introdurre la sua richiesta entro sei mesi a contare dal 13 ottobre 2005, ossia la data della decisione del GIP di non rinviare l’udienza controversa.
24. Il richiedente si oppone e chieda alla Corte di considerare l’ordinanza del 15 febbraio 2008, o l’archiviazione senza seguito della sua querela contro i magistrati responsabili della scelta della data dell’ udienza, come decisione interna definitiva per il calcolo del termine di sei mesi.
25. La Corte ricorda che in virtù dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, può essere investita di una causa solo “entro sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva” cioè dell’atto che chiude il processo d ‘ “esaurimento delle vie di ricorso interni”, ai sensi della stessa disposizione, tra altre, Kadiÿis c. Lettonia (no 2) (dec.), no 62393/00, 25 settembre 2003. Ricorda anche che secondo la regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne, un richiedente deve avvalersi normalmente dei ricorsi disponibili e sufficienti nell’ordine giuridico interno per permettere di ottenere il risarcimento delle violazioni addotte, tra altre, Assanidzé c. Georgia [GC], no 71503/01, § 127, CEDH 2004-II.
26. Nello specifico, il richiedente adduce la violazione del suo diritto di esprimere e di esercitare liberamente la religione ebraica, come protetto in dritto italiano dalla legge no 101 del 1989, da parte di due giudici del tribunale di Forlì che avrebbero esercitato le loro funzioni animate di un sentimento di intolleranza religiosa. Ora, suddetta legge contempla che le persone responsabili di manifestazioni di intolleranza e di pregiudizio religioso siano punite con sanzioni penali.
27. Secondo Corte, il Governo non potrebbe rimproverare al richiedente di avere investito il giudice penale per provare ad ottenere il risarcimento della violazione addotta, avvalendosi così della via di ricorso indicata dalla legge nazionale, e di avere aspettato la conclusione della querela prima di investire la Corte. Ne segue che la “decisione interna definitiva” ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, è l’ordinanza del 15 febbraio 2008 con la quale il GIP decise di archiviare la querela del richiedente. Di conseguenza, c’è luogo di allontanare l’eccezione di tardività del Governo.
28. La Corte constata che la richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
29. Il richiedente afferma che i magistrati implicati nella sua causa hanno agito con l’intenzione di raggiungere il suo diritto ad esprimere liberamente la sua confessione ebraica.
30. Ricorda che la legge no 101 del 1989 riconosce il suo diritto ad assentarsi dal lavoro in occasione dei festeggiamenti ufficiali ebraici, per esercitare liberamente il culto religioso. Peraltro, la limitazione di questo diritto non potrebbe essere giustificata dalle esigenze di servizio ineluttabili, potendo essere rinviata l’udienza del 13 ottobre 2005 ad un’altra data senza portare danno né al buono svolgimento del procedimento né ai diritti delle altre persone implicate nel processo. A questo riguardo, fa valere che l’udienza controversa non aveva nessun carattere di emergenza, perché non riguardava né una misura di privazione di libertà né i diritti di una persona detenuta. In più, avendo chiesto il rinvio dell’udienza con un preavviso di quattro mesi, il richiedente afferma che le autorità ebbero tutta la libertà di organizzare il calendario delle udienze per garantire il rispetto dei differenti diritti in gioco.
31. Il Governo sostiene che non c’è stata nessuna ingerenza nel diritto del richiedente ad esprimere liberamente la sua religione, dal momento che a questo non è stato mai impedito di partecipare ai festeggiamenti ebraici e di esercitare liberamente il suo culto. Afferma che le autorità si sono limitate a badare affinché l’esercizio del diritto del richiedente di ottenere il rinvio dell’udienza non ostacolasse l’esercizio dei servizi pubblici ed essenziali dello stato.
32. Il Governo fa valere che il diritto invocato dal richiedente non è un diritto assoluto. Innanzitutto, anche supponendo che la legge no 101 del 1989 riguardi le relazioni di lavoro tra un avvocato ed un tribunale, il capoverso 2 del suo articolo 4 contempla espressamente che le esigenze legate ai servizi essenziali prevalgono sul diritto dell’individuo a celebrare liberamente il culto. Ora, l’amministrazione della giustizia costituisce in sé un servizio essenziale dello stato che deve potere prevalere in ogni circostanza.
Inoltre, la partecipazione dell’avvocato della parte lesa all’udienza che prevede la produzione immediata di un mezzo di prova non è obbligatoria. Ad ogni modo, un avvocato impedito di partecipare ad un’udienza per ragioni personali ha la possibilità di nominare un sostituto conformemente all’articolo 102 del codice di procedimento penale. Scegliendo di non avvalersi di questa possibilità, il richiedente ha rinunciato a conciliare gli obblighi religiosi legati al suo culto con le esigenze legate al buon svolgimento della giustizia.
33. Infine, il Governo fa osservare che il rinvio dell’udienza controversa era suscettibile di recare offesa al buon svolgimento del procedimento ed al diritto di ventuno prevenuti ad avere un processo di una durata ragionevole. Suddetto rinvio avrebbe generato la necessità di rinnovare la notificazione della data dell’udienza alle numerose parti implicate, a differenti titoli, nel processo, difatti.
2. Valutazione della Corte
34. La Corte ricorda che se la libertà religiosa dipende da prima dal foro interno, implica anche quella di esprimere la sua religione, non solo in modo collettivo, in pubblico e nel cerchio di quelli con cui si condivide la fede: si può prevalere anche individualmente e in privato, ́Kokkinakis c. Grecia ̀del 25 maggio 1993, § 31, serie A no 260-A. L’articolo 9 enumera diverse forme che può prendere la manifestazione di una religione o di una convinzione, ossia il culto, l’insegnamento, le pratiche ed il compimento dei riti. Tuttavia, non protegge qualsiasi atto motivato ́o ispirato da una religione o convinzione, Kalaç c. Turchia, 1 luglio 1997, § 27, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-IV; Kosteski c. “ex-repubblica iugoslava di Macedonia”, no 55170/00, § 37, 13 aprile 2006.
35. Così, non dipendono dalla protezione dell’articolo 9 la revoca di un agente dal servizio pubblico per non avere rispettato gli orari di lavoro al motivo che la chiesa avventista del settimo giorno alla quale apparteneva, vietava ai suoi membri lavorare il venerdì dopo il tramonto, Konttinen c. Finlandia, no 24949/94, dec. 3 dicembre 1996, Decisioni e rapporti, (DR, 87, p,). 69, o il collocamento in pensione d’ ufficio per ragioni disciplinari di un militare che ha delle opinioni integraliste (Kalaç, precitata; vedere anche Stedman c. Regno Unito (dec.), no 29107/95, decisione della Commissione del 9 aprile 1997, DR 89, p. 104, concernente il licenziamento di una salariata da un datore di lavoro del settore privato in seguito al rifiuto dell’interessata di lavorare la domenica. In suddette cause, la Commissione e la Corte hanno considerato che le misure prese contro i richiedenti da parte delle autorità non erano motivate dalle loro convinzioni religiose ma erano giustificate dagli obblighi contrattuali specifici che legano gli interessati ai loro rispettivi datori di lavoro.
36. Nello specifico, la Corte osserva che il giudice delle investigazioni preliminari decise di non fare diritto all’istanza di rinvio del richiedente sulla base delle disposizioni del codice di procedimento penale al senso dalle quali solo la mancanza del ministero pubblico e del consigliere dell’imputato giustificava il rinvio dell’udienza che prevedeva la produzione immediata di un mezzo di prova, la presenza del consigliere del querelante non essendo in compenso necessaria.
37. Tenuto conto delle circostanze dello specifico, la Corte non è persuasa che la determinazione dell’udienza controversa ad una data corrispondente ad un festeggiamento ebraico, così come il rifiuto di posticiparla ad un’altra data, si possano analizzare in una restrizione al diritto del richiedente ad esercitare liberamente il suo culto. Innanzitutto, non è contestato che l’interessato si è potuto liberare dai suoi doveri religiosi. Inoltre, il richiedente che doveva aspettarsi del fatto che la sua istanza di rinvio venisse rifiutata conformemente alle disposizioni della legge in vigore, si sarebbe potuto fare sostituire all’udienza controversa per liberarsi dai suoi obblighi professionali.
La Corte nota infine che l’interessato non ha dimostrato di avere subito delle pressioni tese a fargli cambiare convinzione religiosa o ad impedirgli di esprimere la sua religione o la sua convinzione, Knudsen c. Norvegia, no 11045/84, decisione della Commissione dell’ 8 marzo 1985, DR 42, p. 258; Kottninen, precitata).
38. Comunque sia, anche supponendo l’esistenza di un’ingerenza nel diritto del richiedente protetto dall’articolo 9 § 1, la Corte stima che questa, prevista dalla legge, si giustificava con la protezione dei diritti e delle libertà altrui, ed in particolare il diritto dei giudicabili di beneficiare di un buono funzionamento dell’amministrazione della giustizia ed il rispetto del principio del termine ragionevole del procedimento, paragrafo 12 sopra, e che ha osservato un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto (vedere, mutatis mutandis, Casimiro e Ferreira c. Lussemburgo, (dec.), no 44888/98, 27 aprile 1999.
39. La Corte conclude che non c’è stata violazione dell’articolo 9 della Convenzione.
II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
40. Invocando l’articolo 13, il richiedente adduce che l’archiviazione senza seguito della sua querela l’ha privato di una decisione di giustizia effettiva. Inoltre, si lamenta di essere stato oggetto di una discriminazione contraria all’articolo 14 della Convenzione.
Articolo 13
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
Articolo 14
“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione deve essere garantito, senza distinzione nessuna, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche od ogni altra opinione, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, la fortuna, la nascita od ogni altra situazione. “
41. La Corte ricorda innanzitutto che l’articolo 13 della Convenzione garantisce l’esistenza in diritto interno di un ricorso che permette di prevalersi dei diritti e delle libertà della Convenzione come vi si possono trovare consacrati. Questa disposizione ha per conseguenza di esigere un ricorso interno che abilita ad esaminare il contenuto di un “motivo di appello difendibile” fondato sulla Convenzione dunque ed ad offrire la correzione appropriata, Kudła c. Polonia [GC], no 30210/96, § 157, CEDH 2000-XI. Essendo cos’, il diritto ad un ricorso effettivo ai sensi della Convenzione non potrebbe essere interpretato come se desse un diritto affinché una domanda venga accolta nel senso desiderato dall’interessato, Surmeli c. Germania, precitata, § 98. Nello specifico, la Corte non potrebbe rilevare nessuno elemento che permette di mettere in causa l’effettività della via penale sollecitata dinnanzi alle giurisdizioni interne.
42. In quanto al motivo di appello del richiedente derivato dall’articolo 14 della Convenzione, la Corte ricorda che questa disposizione vieta di trattare in modo differente, salvo giustificazione obiettiva e ragionevole, delle persone poste in situazioni comparabili, Andrejeva c. Lettonia [GC], no 55707/00, §§ 81 e 82, 18 febbraio 2009. Osserva che il richiedente non ha dimostrato per niente di essere stato discriminato rispetto alle persone che sono in una situazione analoga alla sua.
43. Ne segue che questi motivi di appello devono essere respinti come manifestamente mal fondati, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Dichiara, all’unanimità, la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 9 della Convenzione ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce, per quattro voci contro tre, che non c’è stata violazione dell’articolo 9 della Convenzione.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 3 aprile 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione separata comune ai giudici Tulkens, Popociæ e Keller.
F.T.
F.E.P.

OPINIONE DISSIDENTE COMUNE AI GIUDICI TULKENS, POPOVIĆ E KELLER
Non condividiamo la posizione della maggioranza secondo la quale non c’è stata, nello specifico, violazione dell’articolo 9 della Convenzione e ne spieghiamo qui le ragioni.
1. I fatti della causa sono relativamente semplici. Nella sua qualità di avvocato, il richiedente rappresentava una delle due parti civili in un procedimento penale contro certe banche. Il 7 giugno 2005, partecipò ad un’udienza dinnanzi al giudice delle investigazioni preliminari relative alla produzione di un mezzo di prova. Il giudice titolare essendo impedito, il suo sostituto invitò le parti a scegliere la data di rinvio dell’udienza tra due possibilità, ossia il 13 e il 18 ottobre 2005, secondo il calendario già stabilito dal giudice titolare. Il richiedente fece valere che le due date proposte corrispondevano a due feste ebraiche, lo Yom Kippour ed il Souccot. Il giudice fissò tuttavia la data dell’udienza al 13 ottobre 2005.
2. Lo stesso giorno, ossia il 7 giugno 2005, il richiedente depositò presso il giudice titolare una richiesta di rinvio dell’udienza. Il 20 giugno 2005, questo ultimo, senza deliberare sulla richiesta, versò questa alla pratica.
3. All’udienza del 13 ottobre 2005, il giudice rilevò che il richiedente era assente “per ragioni personali.” Dopo avere chiesto il parere del ministero pubblico e degli avvocati degli imputati, il giudice respinse l’istanza di rinvio della causa introdotta dal richiedente il 7 giugno 2005, istanza che era sostenuta tuttavia dall’avvocato dell’altra parte civile.
4. La valutazione della Corte si fonda su un ragionamento abbastanza breve che, sotto il suo doppio aspetto, l’esistenza di un’ingerenza e la proporzionalità, ci sembra problematico allo sguardo della libertà di religione che “figura tra gli elementi più essenziali dell’identità dei credenti e della loro concezione della vita, ma è anche un bene prezioso per gli atei, gli agnostici, gli scettici o gli indifferenti [e] suppongo, tra l’altro, [la libertà] di aderire o meno ad una religione e quella di praticarla o meno »1.
L’esistenza di un’ingerenza
5. In un primo tempo, la maggioranza stima che non c’è ingerenza nel diritto del richiedente protetto dall’articolo 9 della Convenzione. Constata che la decisione del giudice delle investigazioni preliminari di non fare diritto all’istanza di rinvio del richiedente si basa sulle disposizioni del codice di procedimento penale ai termini del quale l’udienza che prevede la produzione immediata di un mezzo di prova si svolge in camera del consiglio con la partecipazione necessaria del ministero pubblico e del convenuto della persona messa in causa dalle investigazioni. La maggioranza ne deduce che la presenza del consiglio del querelante non era necessaria dunque (paragrafo 36 della sentenza) e che, pertanto, la determinazione dell’udienza ad una data che corrispondeva ad un festeggiamento ebraico così come il rifiuto di rinviarla ad un’altra data non si può analizzare in una restrizione del diritto del richiedente ad esercitare liberamente il suo culto (paragrafo 37, al. 1) della sentenza.
6. Non possiamo condividere questo ragionamento. L’articolo 401 del codice di procedimento penale contempla certo la partecipazione obbligatoria del ministero pubblico e dell’avvocato dell’imputato ma questa disposizione precisa anche che “il convenuto della parte lesa ha la facoltà di partecipare.” Appartiene all’avvocato ed a lui solo dunque, in funzione degli interessi del suo cliente, la decisione di utilizzare o meno questa facoltà che gli è riconosciuta, senza che le autorità giudiziali possano immischiarsi nell’esercizio dei diritti della difesa né possano presumere la mancanza di necessità della sua partecipazione.
7. In appoggio della sua argomentazione, la maggioranza nota anche, in modo singolare, che il richiedente non ha dimostrato di avere subito delle pressioni tese a fargli cambiare convinzione religiosa o ad impedirgli di esprimere la sua religione o la sua convinzione (paragrafo 37, al. 2,) della sentenza. Ci sembra contrario al diritto al godimento della libertà di religione garantito dall’articolo 9 della Convenzione che l’esercizio di questa libertà, tanto nella sua dimensione interna che esterna, è subordinato, o addirittura condizionato alla prova da parte del richiedente di pressioni che avrebbe subito.
Un rapporto di proporzionalità
8. In un secondo tempo, supponendo anche l’esistenza di un’ingerenza nel diritto del richiedente protetto dall’articolo 9 § 1 della Convenzione, la maggioranza stima che questa è giustificata dalla protezione dei diritti e libertà di altrui, a sapere il diritto dei giudicabile di beneficiare di un buono funzionamento dell’amministrazione della giustizia, e che c’è un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto. Non lo pensiamo.
9. Sull’esigenza di proporzionalità che permette di determinare la necessità dell’ingerenza in una società democratica, la giurisprudenza della Corte è molto chiara: il carattere proporzionato di una misura suppone che, tra parecchi mezzi che permettono di raggiungere lo scopo legittimo perseguito, le autorità scelgano quello che è meno pregiudizievole per i diritti e le liberttà2. In questa prospettiva, la ricerca di una pianificazione ragionevole della situazione controversa può, in certe circostanze, costituire un mezzo meno restrittivo di raggiungere l’oggetto perseguito3.
10. Ora, nello specifico, pensiamo che le condizioni erano riunite per tentare di arrivare ad una pianificazione ed una pianificazione ragionevole – cioè che non provocava per le autorità giudiziali un carico sproporzionato – della situazione. Con alcune concessioni, questo avrebbe permesso di evitare un’ingerenza nella libertà religiosa del richiedente, senza per questo compromettere la realizzazione dello scopo legittimo che costituisce la buona amministrazione della giustizia evidentemente.
11. Il richiedente ha innanzitutto, immediatamente, fin dal momento della determinazione della data dell’udienza, sollevato la sua difficoltà e chiesto il rinvio di questa. Ha prevenuto dunque le autorità giudiziali in anticipo di quattro mesi, ciò che permetteva loro ragionevolmente di organizzare il calendario delle udienze per garantire il rispetto dei differenti diritti in gioco.
12. A contrario, la decisione S.H. e H.V. c. Austria della Commissione del 13 gennaio 1993 ci sembra riconoscere la forza di questo argomento. I richiedenti che erano ebraici praticanti, criticavano il rifiuto di un tribunale austriaco di aderire alla loro richiesta di rinvio di un’udienza in giustizia prevista in una causa che concerneva loro, al motivo che la data in cui era fissata corrispondeva ad una festa ebraica importante. La Commissione lascia intendere che, se i richiedenti, una volta avvertiti della data dell’udienza, avessero informato debitamente il tribunale del suo carattere problematico allo sguardo della loro religione, questo avrebbe dovuto stabilire una nuova data. Ma nello specifico, i richiedenti hanno reagito troppo tardi: mentre è stato notificato loro il 30 maggio che l’udienza avrebbe avuto luogo il 4 ottobre, hanno scritto al tribunale solo il 25 settembre per sollecitarne il rinvio. Tenuto conto della complessità della causa che implicava un gran numero di persone, e della tardività della richiesta, la Commissione considera che la decisione del tribunale non era irragionevole.
13. Poi, non è dimostrato nello specifico che la richiesta del richiedente, se fosse stata accettata, avrebbe provocato tale perturbazione nel funzionamento del servizio pubblico della giustizia. È ciò che si potrebbe chiamare il public service disturbance test. L’esigenza del termine ragionevole invocato dal giudice italiano per respingere la richiesta del richiedente è certamente legittima ma, senza altra spiegazione complementare, sembra piuttosto qui dell’ordine del pretesto. Certo, il rinvio chiesto dell’udienza poteva provocare certi inconvenienti amministrativi, come per esempio la necessità di rinnovare la notificazione della data di udienza alle parti implicate. Ma questi ci sembrano minimi e costituiscono forse il modico prezzo da pagare per il rispetto della libertà di religione in un società multiculturale4.
14. Infine, non appare in più dalla pratica che l’udienza in causa rivestiva un carattere di emergenza perché non riguardava delle misure privative di libertà o delle persone detenute. Se tale fosse stato il caso, il richiedente a sua volta sarebbe stato chiamato a fare delle concessioni, come farsi sostituire all’udienza per esempio.
15. In queste condizioni, a difetto per le autorità di portare la prova che hanno sviluppato gli sforzi ragionevoli necessari per permettere il rispetto del diritto del richiedente alla libertà di religione garantito dall’articolo 9 della Convenzione, stimiamo che c’è stata violazione di questa disposizione.
1 corte eur. D.H. (GC), sentenza Bayatyan c. Armenia del 7 luglio 2011, § 118. Voy. anche, entra altri, Corte eur. D.H, sentenza Kokkinakis c. Grecia del 25 maggio 1993, § 31; Corte eur. D.H. (GC), sentenza Buscarini ed altri c. San Marino del 19 febbraio 1999, § 34.

2 S. Van DROOGHENBROECK, La proporzionalità nel diritto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Prendere sul serio l’idea semplice, Bruxelles, Bruylant-pubblicazioni delle Facoltà universitaria Santo-Louis, 2001, pp. 190-219.

3 E. BRIBOSIA, J. RINGELHEIM ed I. RORIVE, “Pianificare la diversità,: il diritto dell’uguaglianza di fronte alla pluralità religiosa”, Rev. trim. Dr. h., 2009, pp. 319 e s.

4 ibid., p. 342.

Testo Tradotto

Conclusion Non-violation de l’article 9 – Liberté De Pensee De Conscience Et De Religion (Article 9-1 – Liberté De Religion ; Manifester Sa Religion Ou Sa Conviction ; Article 9-2 – Nécessaire Dans Une Société Démocratique ; Protection Des Droits Et Libertés D’autrui) ; Partiellement irrecevable
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE FRANCESCO SESSA c. ITALIE
(Requête no 28790/08)
ARRÊT
STRASBOURG
3 avril 2012
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Francesco Sessa c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Dragoljub Popović,
Isabelle Berro-Lefèvre,
András Sajó,
Guido Raimondi,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, juges,
et de Françoise Elens-Passos, greffière adjointe de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 6 mars 2012,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 28790/08) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet Etat, M. OMISSIS (« le requérant »), a saisi la Cour le 3 juin 2008 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant est représenté par Me OMISSIS, avocate à Salerne. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, Mme E. Spatafora.
3. Le requérant allégue, notamment, une atteinte à sa liberté de manifester sa religion.
4. Le 6 juillet 2009, la présidente de la deuxième section a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Le requérant est né en 1955 et réside à Naples.
6. Le requérant, de confession juive, est un avocat. Le 7 juin 2005, en qualité de représentant de l’un des deux plaignants dans une procédure pénale à l’encontre de certaines banques, il participa à une audience devant le juge des investigations préliminaire (GIP) de Forlì relative à la production immédiate d’un moyen de preuve (« incidente probatorio »). A cette occasion, le GIP titulaire de l’affaire étant empêché, son remplaçant invita les parties à choisir la date de renvoi de l’audience parmi deux possibilités, à savoir les 13 et 18 octobre 2005, selon le calendrier déjà établi par le GIP titulaire.
7. Le requérant fit valoir que les deux dates correspondaient à deux festivités juives, respectivement le Yom Kippour et le Souccot, et affirma son impossibilité à être présent à l’audience de renvoi en raison de ses obligations religieuses. Le requérant déclara être membre de la Communauté juive de Naples et allégua une violation des articles 4 et 5 de la loi no 101 du 8 mars 1989, réglant les rapports entre l’État et l’Union des Communautés Juives italiennes.
8. Le GIP fixa la date de l’audience au 13 octobre 2005.
9. Le même jour, le requérant déposa une demande de renvoi de l’audience à l’attention du GIP titulaire de l’affaire. Le 20 juin 2005, le GIP, après avoir examiné la demande du requérant, décida de ne pas statuer et de la verser au dossier.
10. Le 11 juillet 2005, le requérant déposa une plainte pénale à l’encontre du GIP titulaire de l’affaire et de son remplaçant, alléguant la violation de l’article 2 de la loi no 101 de 1989. A la même date, il informa des faits le Conseil Supérieur de la Magistrature.
11. A l’audience du 13 octobre 2005, le GIP releva que le requérant était absent pour des « raisons personnelles » et demanda aux parties d’exprimer leur avis concernant la demande de renvoi du 7 juin. Le ministère public et les avocats des prévenus exprimèrent leur opposition à ladite demande, faisant valoir notamment l’absence d’une raison de renvoi reconnue par la loi, tandis que l’avocat de l’autre plaignant appuya la demande du requérant.
12. Par une ordonnance du même jour, le GIP rejeta la demande de renvoi du requérant. Il fit valoir tout d’abord que, selon l’article 401 du code de procédure pénale, seule la présence du ministère public et de l’avocat du prévenu est nécessaire lors des audiences consacrées à la production immédiate des preuves, celle de l’avocat du plaignant étant prévue comme une simple faculté. En outre, le code de procédure pénale ne prévoit pas l’obligation pour le juge d’ajourner l’audience en raison d’un empêchement légitime à comparaître du défenseur du plaignant. Enfin, le GIP souligna que, s’agissant d’une procédure avec un nombre élevé d’intervenants (accusés, plaignants, experts d’office, experts désignés par les parties) « et compte tenu de la surcharge de travail de ce bureau – ce qui obligerait à repousser l’audience à 2006 –, le principe du délai raisonnable de la procédure impose le rejet de la demande, introduite par une personne non légitimée à demander le renvoi ».
13. Le 23 janvier 2006, le Conseil Supérieur de la Magistrature informa le requérant de son incompétence à connaître des faits litigieux, les allégations relevant de l’exercice de l’activité juridictionnelle.
14. Entre-temps, le 9 janvier 2006, le parquet d’Ancône demanda le classement sans suite de la plainte déposée par le requérant. Ce dernier s’y opposa par un acte du 28 janvier 2006.
15. Par un décret du 21 septembre 2006, le GIP d’Ancône ordonna le classement de l’affaire. Dans sa décision, le juge soutint que le plaignant n’avait pas formé opposition à l’encontre de la demande de classement du parquet.
16. Le 19 janvier 2007, le requérant se pourvut en cassation alléguant que le GIP avait erronément ignoré son opposition du 28 janvier 2006. La Cour de cassation, affirmant que l’opposition du requérant n’avait pas été prise en compte à cause d’une probable erreur du greffe, annula le décret du 21 septembre 2006 et renvoya le dossier au tribunal d’Ancône.
17. Le 12 février 2008, le requérant et le parquet participèrent à une audience devant le GIP d’Ancône. Ce dernier, par une ordonnance du 15 février 2008, ordonna le classement sans suite de l’affaire. Il affirma qu’aucun élément dans le dossier ne démontrait que le GIP titulaire de l’affaire ainsi que son substitut à l’audience du 7 juin 2006 avaient eu l’intention de violer le droit du requérant à exercer librement le culte juif. Par ailleurs, la volonté d’offenser la dignité du requérant en raison de sa confession religieuse ne ressortait pas du dossier.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
18. La loi no 101 du 8 mars 1989 contient des dispositions réglant les rapports entre l’État et l’Union des Communautés Juives italiennes. L’article 2 de ladite loi affirme le droit de manifester et d’exercer librement la religion juive. Aux termes de l’article 4, l’Italie reconnaît aux juifs qui le demandent le droit d’observer le Sabbat, dans le cadre de la flexibilité de l’organisation du travail et sans préjudice des exigences des services essentiels prévus par le système juridique étatique.
L’article 5 de la loi no 101 assimile le Yom Kippour et le Souccot, ainsi que d’autres festivités juives, au Sabbat.
19. Selon l’alinéa 5 de l’article 2 de ladite loi, les manifestations d’intolérance et de préjugé religieux sont sanctionnées aux termes de l’article 3 de la loi no 654 de 1975, à savoir la loi de ratification de la « Convention internationale sur l’élimination de toutes les formes de discrimination raciale ». Selon cette dernière disposition, quiconque diffuse des idées fondées sur la supériorité ou sur la haine raciale ou ethnique, ou incite à commettre des actes de discrimination pour des raisons raciales, ethniques, nationales ou religieuses, est puni avec une peine jusqu’à un an et six mois de réclusion.
20. L’article 401 du code de procédure pénale, premier alinéa, concernant la procédure visant la production immédiate d’un moyen de preuve (« incidente probatorio »), se lit ainsi :
« L’audience se déroule en chambre du conseil avec la participation nécessaire du ministère public et du défenseur de la personne mise en cause par les investigations. Le défenseur de la partie lésée a également la faculté d’y participer ».
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 9 DE LA CONVENTION
21. Le requérant allègue que le refus de l’autorité judiciaire de reporter l’audience litigieuse, fixée à une date correspondant à une festivité juive, l’a empêché d’y participer en sa qualité de représentant d’un des plaignants et a constitué une entrave à son droit à manifester librement sa religion. Il invoque l’article 9 §§ 1 et 2 de la Convention, ainsi libellé :
« 1. Toute personne a droit à la liberté de pensée, de conscience et de religion ; ce droit implique la liberté de changer de religion ou de conviction, ainsi que la liberté de manifester sa religion ou sa conviction individuellement ou collectivement, en public ou en privé, par le culte, l’enseignement, les pratiques et l’accomplissement des rites.
2. La liberté de manifester sa religion ou ses convictions ne peut faire l’objet d’autres restrictions que celles qui, prévues par la loi, constituent des mesures nécessaires, dans une société démocratique, à la sécurité publique, à la protection de l’ordre, de la santé ou de la morale publiques, ou à la protection des droits et libertés d’autrui. »
22. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
23. Le Gouvernement excipe tout d’abord de la tardivité de la requête. Il considère que le requérant aurait dû introduire sa requête dans un délai de six mois à compter du 13 octobre 2005, à savoir la date de la décision du GIP de ne pas reporter l’audience litigieuse.
24. Le requérant s’y oppose et demande à la Cour de considérer l’ordonnance du 15 février 2008, soit le classement sans suite de sa plainte contre les magistrats responsables du choix de la date d’audience, comme décision interne définitive pour le calcul du délai de six mois.
25. La Cour rappelle qu’en vertu de l’article 35 § 1 de la Convention, elle ne peut être saisie d’une affaire que « dans un délai de six mois à partir de la date de la décision interne définitive » c’est-à-dire de l’acte clôturant le processus d’« épuisement des voies de recours internes », au sens de la même disposition (entre autres, Kadiÿis c. Lettonie (no 2) (déc.), no 62393/00, 25 septembre 2003). Elle rappelle également que selon la règle de l’épuisement des voies de recours internes, un requérant doit se prévaloir des recours normalement disponibles et suffisants dans l’ordre juridique interne pour permettre d’obtenir la réparation des violations alléguées (entre autres, Assanidzé c. Géorgie [GC], no 71503/01, § 127, CEDH 2004-II).
26. En l’espèce, le requérant allègue la violation de son droit de manifester et d’exercer librement la religion juive, tel que protégé en droit italien par la loi no 101 de 1989, de la part de deux juges du tribunal de Forlì, lesquels auraient exercé leurs fonctions animés d’un sentiment d’intolérance religieuse. Or, ladite loi prévoit que les personnes responsables de manifestations d’intolérance et de préjugé religieux soient punies avec des sanctions pénales.
27. De l’avis de la Cour, le Gouvernement ne saurait reprocher au requérant d’avoir saisi le juge pénal pour essayer d’obtenir la réparation de la violation alléguée, se prévalant ainsi de la voie de recours indiquée par la loi nationale, et d’avoir attendu l’issue de la plainte avant de saisir la Cour. Il s’ensuit que la « décision interne définitive » au sens de l’article 35 § 1 de la Convention, est l’ordonnance du 15 février 2008 par laquelle le GIP décida de classer la plainte du requérant. Par conséquent, il y a lieu d’écarter l’exception de tardivité du Gouvernement.
28. La Cour constate que la requête n’est pas manifestement mal fondée au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’elle ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de la déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
29. Le requérant affirme que les magistrats impliqués dans son affaire ont agi avec l’intention d’atteindre son droit à manifester librement sa confession juive.
30. Il rappelle que la loi no 101 de 1989 reconnaît son droit de s’absenter du travail à l’occasion des festivités officielles juives, afin d’exercer librement le culte religieux. Par ailleurs, la limitation de ce droit ne saurait être justifiée par des exigences de service inéluctables, l’audience du 13 octobre 2005 pouvant être reportée à une autre date sans porter préjudice ni au bon déroulement de la procédure ni aux droits des autres personnes impliquées dans le procès. A cet égard, il fait valoir que l’audience litigieuse n’avait aucun caractère d’urgence, car elle ne concernait ni une mesure de privation de liberté ni les droits d’une personne détenue. De plus, ayant demandé le report de l’audience avec un préavis de quatre mois, le requérant affirme que les autorités eurent tout le loisir d’organiser le calendrier des audiences afin de garantir le respect des différents droits en jeu.
31. Le Gouvernement soutient qu’il n’y a eu aucune ingérence dans le droit du requérant à manifester librement sa religion, du moment que celui-ci n’a jamais été empêché de participer aux festivités juives et d’exercer librement son culte. Il affirme que les autorités se sont bornées à veiller à ce que l’exercice du droit du requérant d’obtenir le report de l’audience n’entrave pas l’exercice des services publics et essentiels de l’État.
32. Le Gouvernement fait valoir que le droit invoqué par le requérant n’est pas un droit absolu. Tout d’abord, même à supposer que la loi no 101 de 1989 concerne les relations de travail entre un avocat et un tribunal, l’alinéa 2 de son article 4 prévoit expressément que les exigences liées aux services essentiels l’emportent sur le droit de l’individu à célébrer librement le culte. Or, l’administration de la justice constitue en soi un service essentiel de l’Etat, lequel doit pouvoir primer en toute circonstance.
En outre, la participation de l’avocat de la partie lésée à l’audience visant la production immédiate d’un moyen de preuve n’est pas obligatoire. En tout état de cause, un avocat empêché de participer à une audience pour des raisons personnelles a la possibilité de nommer un remplaçant conformément à l’article 102 du code de procédure pénale. En choisissant de ne pas se prévaloir de cette possibilité, le requérant a renoncé à concilier les obligations religieuses liées à son culte avec les exigences liées au bon déroulement de la justice.
33. Enfin, le Gouvernement fait observer que le renvoi de l’audience litigieuse était susceptible de porter atteinte au bon déroulement de la procédure et au droit des vingt-et-un prévenus à avoir un procès d’une durée raisonnable. Ledit renvoi aurait en effet engendré la nécessité de renouveler la notification de la date de l’audience aux nombreuses parties impliquées, à différents titres, dans le procès.
2. Appréciation de la Cour
34. La Cour rappelle que si la liberté religieuse relève d’abord du for intérieur, elle implique également celle de manifester sa religion, non seulement de manière collective, en public et dans le cercle de ceux dont on partage la foi : on peut aussi s’en prévaloir individuellement et en privé (Kokkinakis c. Grèce du 25 mai 1993, § 31, série A no 260-A). L’article 9 énumère diverses formes que peut prendre la manifestation d’une religion ou d’une conviction, à savoir le culte, l’enseignement, les pratiques et l’accomplissement des rites. Néanmoins, il ne protège pas n’importe quel acte motivé ou inspiré par une religion ou conviction (Kalaç c. Turquie, 1er juillet 1997, § 27, Recueil des arrêts et décisions 1997-IV ; Kosteski c. « l’ex-République yougoslave de Macédoine », no 55170/00, § 37, 13 avril 2006).
35. Ainsi, ne relèvent pas de la protection de l’article 9 la révocation d’un agent du service public pour n’avoir pas respecté les horaires de travail au motif que l’Église adventiste du septième jour, à laquelle il appartenait, interdisait à ses membres de travailler le vendredi après le coucher du soleil (Konttinen c. Finlande, no 24949/94, déc. 3 décembre 1996, Décisions et rapports (DR) 87, p. 69) ou la mise en retraite d’office pour raisons disciplinaires d’un militaire ayant des opinions intégristes (Kalaç, précité ; voir également Stedman c. Royaume Uni (déc.), no 29107/95, décision de la Commission du 9 avril 1997, DR 89, p. 104, concernant le licenciement d’une salariée par un employeur du secteur privé à la suite du refus de l’intéressée de travailler le dimanche). Dans lesdites affaires, la Commission et la Cour ont considéré que les mesures prises à l’encontre des requérants par les autorités n’étaient pas motivées par leurs convictions religieuses mais étaient justifiées par les obligations contractuelles spécifiques liant les intéressés à leurs employeurs respectifs.
36. En l’espèce, la Cour observe que le juge des investigations préliminaires décida de ne pas faire droit à la demande de report du requérant sur la base des dispositions du code de procédure pénale au sens desquelles seule l’absence du ministère public et du conseil du prévenu justifie le renvoi de l’audience qui vise la production immédiate d’un moyen de preuve, la présence du conseil du plaignant n’étant en revanche pas nécessaire.
37. Compte tenu des circonstances de l’espèce, la Cour n’est pas persuadée que la fixation de l’audience litigieuse à une date correspondante à une festivité juive, ainsi que le refus de la reporter à une autre date, puissent s’analyser en une restriction au droit du requérant à exercer librement son culte. Tout d’abord, il n’est pas contesté que l’intéressé a pu s’acquitter de ses devoirs religieux. En outre, le requérant, qui devait s’attendre à ce que sa demande de report soit refusée conformément aux dispositions de la loi en vigueur, aurait pu se faire remplacer à l’audience litigieuse afin de s’acquitter de ses obligations professionnelles.
La Cour note enfin que l’intéressé n’a pas démontré avoir subi des pressions visant à le faire changer de conviction religieuse ou à l’empêcher de manifester sa religion ou sa conviction (Knudsen c. Norvège, no 11045/84, décision de la Commission du 8 mars 1985, DR 42, p. 258 ; Kottninen, précité).
38. Quoi qu’il en soit, même à supposer l’existence d’une ingérence dans le droit du requérant protégé par l’article 9 § 1, la Cour estime que celle-ci, prévue par la loi, se justifiait par la protection des droits et libertés d’autrui, et en particulier le droit des justiciables de bénéficier d’un bon fonctionnement de l’administration de la justice et le respect du principe du délai raisonnable de la procédure (paragraphe 12 ci-dessus), et qu’elle a observé un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé (voir, mutatis mutandis, Casimiro et Ferreira c. Luxembourg (dec.), no 44888/98, 27 avril 1999).
39. La Cour conclut qu’il n’y a pas eu violation de l’article 9 de la Convention.
II. SUR LES AUTRES VIOLATIONS ALLÉGUÉES
40. Invoquant l’article 13, le requérant allègue que le classement sans suite de sa plainte l’a privé d’une décision de justice effective. En outre, il se plaint d’avoir fait l’objet d’une discrimination contraire à l’article 14 de la Convention.
Article 13
« Toute personne dont les droits et libertés reconnus dans la (…) Convention ont été violés, a droit à l’octroi d’un recours effectif devant une instance nationale, alors même que la violation aurait été commise par des personnes agissant dans l’exercice de leurs fonctions officielles. »
Article 14
« La jouissance des droits et libertés reconnus dans la (…) Convention doit être assurée, sans distinction aucune, fondée notamment sur le sexe, la race, la couleur, la langue, la religion, les opinions politiques ou toutes autres opinions, l’origine nationale ou sociale, l’appartenance à une minorité nationale, la fortune, la naissance ou toute autre situation. »
41. La Cour rappelle tout d’abord que l’article 13 de la Convention garantit l’existence en droit interne d’un recours permettant de s’y prévaloir des droits et libertés de la Convention tels qu’ils peuvent s’y trouver consacrés. Cette disposition a donc pour conséquence d’exiger un recours interne habilitant à examiner le contenu d’un « grief défendable » fondé sur la Convention et à offrir le redressement approprié (Kudła c. Pologne [GC], no 30210/96, § 157, CEDH 2000-XI). Cela étant, le droit à un recours effectif au sens de la Convention ne saurait être interprété comme donnant droit à ce qu’une demande soit accueillie dans le sens souhaité par l’intéressé (Surmeli c. Allemagne, précité, § 98). En l’espèce, la Cour ne saurait relever aucun élément permettant de mettre en cause l’effectivité de la voie pénale diligentée devant les juridictions internes.
42. Quant au grief du requérant tiré de l’article 14 de la Convention, la Cour rappelle que cette disposition interdit de traiter de manière différente, sauf justification objective et raisonnable, des personnes placées dans des situations comparables (Andrejeva c. Lettonie [GC], no 55707/00, §§ 81 et 82, 18 février 2009). Elle observe que le requérant n’a nullement démontré avoir été discriminé par rapport à des personnes étant dans une situation analogue à la sienne.
43. Il s’ensuit que ces griefs doivent être rejetés comme étant manifestement mal fondés, en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
PAR CES MOTIFS, LA COUR
1. Déclare, à l’unanimité, la requête recevable quant au grief tiré de l’article 9 de la Convention et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit, par quatre voix contre trois, qu’il n’y a pas eu violation de l’article 9 de la Convention.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 3 avril 2012, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Françoise Elens-Passos Françoise Tulkens
Greffière adjointe Présidente
Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l’exposé de l’opinion séparée commune aux juges Tulkens, Popocić et Keller.
F.T.
F.E.P.

OPINION DISSIDENTE COMMUNE AUX JUGES TULKENS, POPOVIĆ ET KELLER
Nous ne partageons pas la position de la majorité selon laquelle il n’y a pas eu, en l’espèce, violation de l’article 9 de la Convention et nous en expliquons ici les raisons.
1. Les faits de la cause sont relativement simples. En sa qualité d’avocat, le requérant représentait une des deux parties civiles dans une procédure pénale à l’encontre de certaines banques. Le 7 juin 2005, il participa à une audience devant le juge des investigations préliminaires relative à la production d’un moyen de preuve. Le juge titulaire étant empêché, son remplaçant invita les parties à choisir la date de renvoi de l’audience parmi deux possibilités, à savoir les 13 et 18 octobre 2005, selon le calendrier déjà établi par le juge titulaire. Le requérant fit valoir que les deux dates proposées correspondaient à deux fêtes juives (le Yom Kippour et le Souccot). Le juge fixa néanmoins la date de l’audience au 13 octobre 2005.
2. Le même jour, à savoir le 7 juin 2005, le requérant déposa auprès du juge titulaire une demande de renvoi de l’audience. Le 20 juin 2005, ce dernier, sans statuer sur la demande, versa celle-ci au dossier.
3. A l’audience du 13 octobre 2005, le juge releva que le requérant était absent « pour des raisons personnelles ». Après avoir demandé l’avis du ministère public et des avocats des prévenus, le juge rejeta la demande de renvoi de l’affaire introduite par le requérant le 7 juin 2005, demande qui était pourtant appuyée par l’avocat de l’autre partie civile.
4. L’appréciation de la Cour repose sur un raisonnement assez bref qui, sous son double aspect (l’existence d’une ingérence et la proportionnalité), nous paraît problématique au regard de la liberté de religion qui « figure (…) parmi les éléments les plus essentiels de l’identité des croyants et de leur conception de la vie, mais (…) est aussi un bien précieux pour les athées, les agnostiques, les sceptiques ou les indifférents (…) [et] suppose, entre autres, [la liberté] d’adhérer ou non à une religion et celle de la pratiquer ou non »1.
L’existence d’une ingérence
5. Dans un premier temps, la majorité estime qu’il n’y a pas ingérence dans le droit du requérant protégé par l’article 9 de la Convention. Elle constate que la décision du juge des investigations préliminaires de ne pas faire droit à la demande de report du requérant se fonde sur les dispositions du code de procédure pénale aux termes duquel l’audience visant la production immédiate d’un moyen de preuve se déroule en chambre du conseil avec la participation nécessaire du ministère public et du défendeur de la personne mise en cause par les investigations. La majorité en déduit que la présence du conseil du plaignant n’était donc pas nécessaire (paragraphe 36 de l’arrêt) et que, partant, la fixation de l’audience à une date correspondant à une festivité juive ainsi que le refus de la reporter à une autre date ne peuvent s’analyser en une restriction du droit du requérant à exercer librement son culte (paragraphe 37, al. 1, de l’arrêt).
6. Nous ne pouvons partager ce raisonnement. L’article 401 du code de procédure pénale prévoit certes la participation obligatoire du ministère public et de l’avocat du prévenu mais cette disposition précise aussi que « le défendeur de la partie lésée a la faculté d’y participer ». C’est donc à l’avocat et à lui seul que revient, en fonction des intérêts de son client, la décision d’utiliser ou non cette faculté qui lui est reconnue, sans que les autorités judiciaires ne puissent s’immiscer dans l’exercice des droits de la défense ni présumer l’absence de nécessité de sa participation.
7. A l’appui de son argumentation, la majorité note aussi, de manière singulière, que le requérant n’a pas démontré avoir subi des pressions visant à le faire changer de conviction religieuse ou à l’empêcher de manifester sa religion ou sa conviction (paragraphe 37, al. 2, de l’arrêt). Il nous semble contraire au droit à la jouissance de la liberté de religion garanti par l’article 9 de la Convention que l’exercice de cette liberté, autant dans sa dimension intérieure qu’extérieure, soit subordonné, voire même conditionné à la preuve par le requérant de pressions qu’il aurait subies.
Un rapport de proportionnalité
8. Dans un second temps, même à supposer l’existence d’une ingérence dans le droit du requérant protégé par l’article 9 § 1 de la Convention, la majorité estime que celle-ci est justifiée par la protection des droits et libertés d’autrui, à savoir le droit des justiciables de bénéficier d’un bon fonctionnement de l’administration de la justice, et qu’il y a un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé. Nous ne le pensons pas.
9. Sur l’exigence de proportionnalité, qui permet de déterminer la nécessité de l’ingérence dans une société démocratique, la jurisprudence de la Cour est très claire : le caractère proportionné d’une mesure suppose que, parmi plusieurs moyens permettant d’atteindre le but légitime poursuivi, les autorités choisissent celui qui est le moins attentatoire aux droits et libertés2. Dans cette perspective, la recherche d’un aménagement raisonnable de la situation litigieuse peut, dans certaines circonstances, constituer un moyen moins restrictif d’atteindre l’objet poursuivi3.
10. Or, en l’espèce, nous pensons que les conditions étaient réunies pour tenter d’arriver à un aménagement et un aménagement raisonnable – c’est-à-dire qui n’entraîne pas pour les autorités judiciaires une charge disproportionnée – de la situation. Avec quelques concessions, celui-ci aurait permis d’éviter une ingérence dans la liberté religieuse du requérant, sans pour autant compromettre la réalisation du but légitime que constitue de toute évidence la bonne administration de la justice.
11. Tout d’abord, le requérant a immédiatement, dès le moment de la fixation de la date de l’audience, soulevé la difficulté qui était la sienne et demandé le report de celle-ci. Il a donc prévenu les autorités judiciaires quatre mois à l’avance, ce qui leur permettait raisonnablement d’organiser le calendrier des audiences afin de garantir le respect des différents droits en jeu.
12. A contrario, la décision S.H. et H.V. c. Autriche de la Commission du 13 janvier 1993 nous semble reconnaître la force de cet argument. Les requérants, qui étaient juifs pratiquants, critiquaient le refus d’un tribunal autrichien d’accéder à leur demande de report d’une audience en justice prévue dans une affaire les concernant, au motif que la date à laquelle elle était fixée correspondait à une fête juive importante. La Commission laisse entendre que, si les requérants, une fois avertis de la date de l’audience, avaient dûment informé le tribunal de son caractère problématique au regard de leur religion, celui-ci aurait dû établir une nouvelle date. Mais en l’espèce, les requérants ont réagi trop tard : alors qu’il leur a été notifié le 30 mai que l’audience aurait lieu le 4 octobre, ils n’ont écrit au tribunal que le 25 septembre pour en solliciter le report. Compte tenu de la complexité de l’affaire, qui impliquait un grand nombre de personnes, et de la tardiveté de la demande, la Commission considère que la décision du tribunal n’était pas déraisonnable.
13. Ensuite, il n’est pas démontré en l’espèce que la demande du requérant, si elle avait été acceptée, aurait provoqué une telle perturbation dans le fonctionnement du service public de la justice. C’est ce que l’on pourrait appeler le public service disturbance test. L’exigence du délai raisonnable invoquée par le juge italien pour rejeter la demande du requérant est certainement légitime mais, sans autre explication complémentaire, elle paraît ici plutôt de l’ordre du prétexte. Certes, le report demandé de l’audience pouvait entraîner certains inconvénients administratifs, comme par exemple la nécessité de renouveler la notification de la date d’audience aux parties impliquées. Mais ceux-ci nous paraissent minimes et constituent peut-être le modique prix à payer pour le respect de la liberté de religion dans une société multiculturelle4.
14. Enfin, il n’apparaît pas davantage du dossier que l’audience en cause revêtait un caractère d’urgence car elle ne concernait pas des mesures privatives de liberté ou des personnes détenues. Si tel avait été le cas, le requérant à son tour aurait été appelé à faire des concessions, comme par exemple se faire remplacer à l’audience.
15. Dans ces conditions, à défaut pour les autorités d’apporter la preuve qu’elles ont développé les efforts raisonnables nécessaires pour permettre le respect du droit du requérant à la liberté de religion garanti par l’article 9 de la Convention, nous estimons qu’il y a eu violation de cette disposition.
1 Cour eur. D.H. (GC), arrêt Bayatyan c. Arménie du 7 juillet 2011, § 118. Voy. également, entre autres, Cour eur. D.H., arrêt Kokkinakis c. Grèce du 25 mai 1993, § 31 ; Cour eur. D.H. (GC), arrêt Buscarini et autres c. Saint-Marin du 19 février 1999, § 34.

2 S. VAN DROOGHENBROECK, La proportionnalité dans le droit de la Convention européenne des droits de l’homme. Prendre l’idée simple au sérieux, Bruxelles, Bruylant-Publications des Facultés universitaires Saint-Louis, 2001, pp. 190-219.

3 E. BRIBOSIA, J. RINGELHEIM et I. RORIVE, « Aménager la diversité : le droit de l’égalité face à la pluralité religieuse », Rev. trim. dr. h., 2009, pp. 319 et s.

4 Ibid., p. 342.

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