Conclusione Non-violazione dell’articolo 9 – Libertà Di Pensiero Di Coscienza E Di Religione, Articolo 9-1 – Libertà Di Religione; Esprimere la Sua Religione O la Sua Convinzione; Articolo 9-2 – Necessario In Una Società Democratica; Protezione Dei Diritti E Libertà altrui,; Parzialmente inammissibile
SECONDA SEZIONE
CAUSA FRANCESCO SESSA C. ITALIA
( Richiesta no 28790/08)
SENTENZA
STRASBURGO
3 aprile 2012
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Francesco Sessa c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa,
Dragoljub Popović, Isabelle Berro-Lefèvre, András Sajó,
Guido Raimondi, Paulo Pinto di Albuquerque, Helen Keller, giudici, e di Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 6 marzo 2012,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 28790/08) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 3 giugno 2008 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da OMISSIS, avvocato a Salerno. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora.
3. Il richiedente addotto, in particolare, un attentato alla sua libertà di esprimere la sua religione.
4. Il 6 luglio 2009, la presidentessa della seconda sezione ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1955 e ha risieduto a Napoli.
6. Il richiedente, di confessione ebraica, è un avvocato. Il 7 giugno 2005, in qualità di rappresentante di uno dei due querelanti in un procedimento penale contro certe banche, partecipò ad un’udienza dinnanzi al giudice dell’investigazioni preliminare (GIP) di Forlì relativo alla produzione immediata di un mezzo di prova (« incidente probatorio »). In questa occasione, essendo impedito il GIP titolare della causa, il suo sostituto invitò le parti a scegliere la data di rinvio dell’udienza tra due possibilità, ossiail 13 e 18 ottobre 2005, secondo il calendario già stabilito dal GIP titolare.
7. Il richiedente fece valere che le due date corrispondevano a due festeggiamenti ebraici, rispettivamente lo Yom Kippour ed il Souccot, ed affermò la sua impossibilità ad essere presente all’udienza di rinvio in ragione dei suoi obblighi religiosi. Il richiedente dichiarò essere membro della Comunità ebraica di Napoli ed addusse una violazione degli articoli 4 e 5 della legge no 101 del 8 marzo 1989, che regolava i rapporti tra lo stato e le unioni delle Comunità ebree italiane.
8. Il GIP fissò la data dell’udienza al 13 ottobre 2005.
9. Lo stesso giorno, il richiedente depositò un’istanza di rinvio dell’udienza all’attenzione del GIP titolare della causa. Il 20 giugno 2005, il GIP, dopo avere esaminato l’istanza del richiedente, decise di non deliberare e di versarla alla pratica.
10. L’ 11 luglio 2005, il richiedente depositò una querela penale contro il GIP titolare della causa e del suo sostituto, adducendo la violazione dell’articolo 2 della legge no 101 del 1989. Nella stessa data, informò dei fatti il Consiglio Superiore della Magistratura.
11. All’udienza del 13 ottobre 2005, il GIP rilevò che il richiedente era assente per “ragioni personali” e chiese alle parti di esprimere il loro parere concernente l’istanza di rinvio del 7 giugno. Il ministero pubblico e gli avvocati degli imputati espressero la loro opposizione a suddetta istanza, facendo valere in particolare la mancanza di una ragione di rinvio riconosciuta dalla legge, mentre l’avvocato dell’altro querelante appoggiò l’istanza del richiedente.
12. Con un’ordinanza dello stesso giorno, il GIP respinse la richiesta di rinvio del richiedente. Fece valere innanzitutto che, secondo l’articolo 401 del codice di procedimento penale, solo la presenza del ministero pubblico e dell’avvocato dell’imputato è necessaria all’epoca delle udienze consacrate alla produzione immediata delle prove, quella dell’avvocato del querelante essendo contemplata come una semplice facoltà. Inoltre, il codice di procedimento penale non contempla l’obbligo per il giudice di rinviare l’udienza in ragione di un impedimento legittimo a comparire del difensore del querelante. Infine, il GIP sottolineò che, trattandosi di un procedimento con un numero elevato di intervenienti (imputati, querelanti, periti d’ ufficio, periti nominati dalle parti, “e tenuto conto del sovraccarico di lavoro di questo ufficio- ciò che obbligherebbe a rinviare l’udienza al 2006-, il principio del termine ragionevole del procedimento impone il rigetto dell’istanza, introdotta da una persona non legittimata a chiedere il rinvio.”
13. Il 23 gennaio 2006, il Consiglio Superiore della Magistratura informò il richiedente della sua incompetenza a conoscere dei fatti controversi, dipendendo le affermazioni dall’esercizio dell’attività giurisdizionale.
14. Il 9 gennaio 2006, la procura di Ancona chiese nel frattempo, l’archiviazione senza seguito della querela depositata dal richiedente. Questo ultimo si oppose con un atto del 28 gennaio 2006.
15. Con un decreto del 21 settembre 2006, il GIP di Ancona ordinò l’archiviazione della causa. Nella sua decisione, il giudice sostenne che il querelante non aveva formato opposizione contro la richiesta di archiviazione della procura.
16. Il 19 gennaio 2007, il richiedente ricorse in cassazione adducendo che il GIP aveva ignorato erroneamente la sua opposizione del 28 gennaio 2006. La Corte di cassazione, affermando che l’opposizione del richiedente non era stata presa in conto a causa di un probabile errore della cancelleria, annullò il decreto del 21 settembre 2006 e rinviò la pratica al tribunale di Ancona.
17. Il 12 febbraio 2008, il richiedente e la procura parteciparono ad un’udienza dinnanzi al GIP di Ancona. Questo ultimo, con un’ordinanza del 15 febbraio 2008, ordinò l’archiviazione senza seguito della causa. Affermò che nessuno elemento nella pratica dimostrava che il GIP titolare della causa così come il suo sostituto all’udienza del 7 giugno 2006 avevano avuto l’intenzione di violare il diritto del richiedente ad esercitare liberamente il culto ebraico. Peraltro, la volontà di offendere la dignità del richiedente in ragione della sua confessione religiosa non risultava dalla pratica.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
18. La legge no 101 del 8 marzo 1989 contiene delle disposizioni che regolano i rapporti tra lo stato e le unioni delle Comunità ebree italiane. L’articolo 2 di suddetta legge afferma il diritto di esprimere e di esercitare liberamente la religione ebraica. Ai termini dell’articolo 4, l’Italia riconosce agli ebrei che lo chiedono il diritto di osservare il Sabato, nella cornice della flessibilità dell’organizzazione del lavoro e senza danno delle esigenze dei servizi essenziali previsti dal sistema giuridico statale.
L’articolo 5 della legge no 101 assimila lo Yom Kippour ed il Souccot, così come altri festeggiamenti ebraici, al Sabato.
19. Secondo il capoverso 5 dell’articolo 2 di suddetta legge, le manifestazioni di intolleranza e di pregiudizio religioso sono sanzionate ai termini dell’articolo 3 della legge no 654 di 1975, ossia la legge di ratifica della “Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale”. Secondo questa ultima disposizione chiunque diffonda delle idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, o incita a commettere degli atti di discriminazione per le ragioni razziali, etniche, nazionali o religiose, è punito con una pena fino ad un anno e sei mesi di reclusione.
20. L’articolo 401 del codice di procedimento penale, primo capoverso, concernente il procedimento che prevede la produzione immediata di un mezzo di prova (“incidente probatorio”), si legge così:
“L’udienza si svolge in camera del consiglio con la partecipazione necessaria del ministero pubblico e del difensore della persona messa in causa dalle investigazioni. Il difensore della parte lesa ha anche la facoltà di partecipare.”
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 9 D CONVENZIONE
21. Il richiedente adduce che il rifiuto dell’autorità giudiziale di rinviare l’udienza controversa, fissata ad una data che corrisponde ad un festeggiamento ebraico, l’ha impedito di partecipare nella sua qualità di rappresentante di uno dei querelanti e ha costituito un ostacolo al suo diritto ad esprimere liberamente la sua religione. Invoca l’articolo 9 §§ 1 e 2 della Convenzione, così formulata,:
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; questo diritto implica la libertà di cambiare religione o convinzione, così come la libertà di esprimere individualmente la sua religione o la sua convinzione o collettivamente, in pubblico o in privato, col culto, l’insegnamento, le pratiche ed il compimento dei riti.
2. La libertà di esprimere la sua religione o le sue convinzioni non possono essere oggetto di altre restrizioni se non quelle che, previste dalla legge, costituiscono delle misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza pubblica, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e libertà di altrui.”
22. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
23. Il Governo eccepisce innanzitutto del tardività della richiesta. Considera che il richiedente avrebbe dovuto introdurre la sua richiesta entro sei mesi a contare dal 13 ottobre 2005, ossia la data della decisione del GIP di non rinviare l’udienza controversa.
24. Il richiedente si oppone e chieda alla Corte di considerare l’ordinanza del 15 febbraio 2008, o l’archiviazione senza seguito della sua querela contro i magistrati responsabili della scelta della data dell’ udienza, come decisione interna definitiva per il calcolo del termine di sei mesi.
25. La Corte ricorda che in virtù dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, può essere investita di una causa solo “entro sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva” cioè dell’atto che chiude il processo d ‘ “esaurimento delle vie di ricorso interni”, ai sensi della stessa disposizione, tra altre, Kadiÿis c. Lettonia (no 2) (dec.), no 62393/00, 25 settembre 2003. Ricorda anche che secondo la regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne, un richiedente deve avvalersi normalmente dei ricorsi disponibili e sufficienti nell’ordine giuridico interno per permettere di ottenere il risarcimento delle violazioni addotte, tra altre, Assanidzé c. Georgia [GC], no 71503/01, § 127, CEDH 2004-II.
26. Nello specifico, il richiedente adduce la violazione del suo diritto di esprimere e di esercitare liberamente la religione ebraica, come protetto in dritto italiano dalla legge no 101 del 1989, da parte di due giudici del tribunale di Forlì che avrebbero esercitato le loro funzioni animate di un sentimento di intolleranza religiosa. Ora, suddetta legge contempla che le persone responsabili di manifestazioni di intolleranza e di pregiudizio religioso siano punite con sanzioni penali.
27. Secondo Corte, il Governo non potrebbe rimproverare al richiedente di avere investito il giudice penale per provare ad ottenere il risarcimento della violazione addotta, avvalendosi così della via di ricorso indicata dalla legge nazionale, e di avere aspettato la conclusione della querela prima di investire la Corte. Ne segue che la “decisione interna definitiva” ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, è l’ordinanza del 15 febbraio 2008 con la quale il GIP decise di archiviare la querela del richiedente. Di conseguenza, c’è luogo di allontanare l’eccezione di tardività del Governo.
28. La Corte constata che la richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
29. Il richiedente afferma che i magistrati implicati nella sua causa hanno agito con l’intenzione di raggiungere il suo diritto ad esprimere liberamente la sua confessione ebraica.
30. Ricorda che la legge no 101 del 1989 riconosce il suo diritto ad assentarsi dal lavoro in occasione dei festeggiamenti ufficiali ebraici, per esercitare liberamente il culto religioso. Peraltro, la limitazione di questo diritto non potrebbe essere giustificata dalle esigenze di servizio ineluttabili, potendo essere rinviata l’udienza del 13 ottobre 2005 ad un’altra data senza portare danno né al buono svolgimento del procedimento né ai diritti delle altre persone implicate nel processo. A questo riguardo, fa valere che l’udienza controversa non aveva nessun carattere di emergenza, perché non riguardava né una misura di privazione di libertà né i diritti di una persona detenuta. In più, avendo chiesto il rinvio dell’udienza con un preavviso di quattro mesi, il richiedente afferma che le autorità ebbero tutta la libertà di organizzare il calendario delle udienze per garantire il rispetto dei differenti diritti in gioco.
31. Il Governo sostiene che non c’è stata nessuna ingerenza nel diritto del richiedente ad esprimere liberamente la sua religione, dal momento che a questo non è stato mai impedito di partecipare ai festeggiamenti ebraici e di esercitare liberamente il suo culto. Afferma che le autorità si sono limitate a badare affinché l’esercizio del diritto del richiedente di ottenere il rinvio dell’udienza non ostacolasse l’esercizio dei servizi pubblici ed essenziali dello stato.
32. Il Governo fa valere che il diritto invocato dal richiedente non è un diritto assoluto. Innanzitutto, anche supponendo che la legge no 101 del 1989 riguardi le relazioni di lavoro tra un avvocato ed un tribunale, il capoverso 2 del suo articolo 4 contempla espressamente che le esigenze legate ai servizi essenziali prevalgono sul diritto dell’individuo a celebrare liberamente il culto. Ora, l’amministrazione della giustizia costituisce in sé un servizio essenziale dello stato che deve potere prevalere in ogni circostanza.
Inoltre, la partecipazione dell’avvocato della parte lesa all’udienza che prevede la produzione immediata di un mezzo di prova non è obbligatoria. Ad ogni modo, un avvocato impedito di partecipare ad un’udienza per ragioni personali ha la possibilità di nominare un sostituto conformemente all’articolo 102 del codice di procedimento penale. Scegliendo di non avvalersi di questa possibilità, il richiedente ha rinunciato a conciliare gli obblighi religiosi legati al suo culto con le esigenze legate al buon svolgimento della giustizia.
33. Infine, il Governo fa osservare che il rinvio dell’udienza controversa era suscettibile di recare offesa al buon svolgimento del procedimento ed al diritto di ventuno prevenuti ad avere un processo di una durata ragionevole. Suddetto rinvio avrebbe generato la necessità di rinnovare la notificazione della data dell’udienza alle numerose parti implicate, a differenti titoli, nel processo, difatti.
2. Valutazione della Corte
34. La Corte ricorda che se la libertà religiosa dipende da prima dal foro interno, implica anche quella di esprimere la sua religione, non solo in modo collettivo, in pubblico e nel cerchio di quelli con cui si condivide la fede: si può prevalere anche individualmente e in privato, ́Kokkinakis c. Grecia ̀del 25 maggio 1993, § 31, serie A no 260-A. L’articolo 9 enumera diverse forme che può prendere la manifestazione di una religione o di una convinzione, ossia il culto, l’insegnamento, le pratiche ed il compimento dei riti. Tuttavia, non protegge qualsiasi atto motivato ́o ispirato da una religione o convinzione, Kalaç c. Turchia, 1 luglio 1997, § 27, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-IV; Kosteski c. “ex-repubblica iugoslava di Macedonia”, no 55170/00, § 37, 13 aprile 2006.
35. Così, non dipendono dalla protezione dell’articolo 9 la revoca di un agente dal servizio pubblico per non avere rispettato gli orari di lavoro al motivo che la chiesa avventista del settimo giorno alla quale apparteneva, vietava ai suoi membri lavorare il venerdì dopo il tramonto, Konttinen c. Finlandia, no 24949/94, dec. 3 dicembre 1996, Decisioni e rapporti, (DR, 87, p,). 69, o il collocamento in pensione d’ ufficio per ragioni disciplinari di un militare che ha delle opinioni integraliste (Kalaç, precitata; vedere anche Stedman c. Regno Unito (dec.), no 29107/95, decisione della Commissione del 9 aprile 1997, DR 89, p. 104, concernente il licenziamento di una salariata da un datore di lavoro del settore privato in seguito al rifiuto dell’interessata di lavorare la domenica. In suddette cause, la Commissione e la Corte hanno considerato che le misure prese contro i richiedenti da parte delle autorità non erano motivate dalle loro convinzioni religiose ma erano giustificate dagli obblighi contrattuali specifici che legano gli interessati ai loro rispettivi datori di lavoro.
36. Nello specifico, la Corte osserva che il giudice delle investigazioni preliminari decise di non fare diritto all’istanza di rinvio del richiedente sulla base delle disposizioni del codice di procedimento penale al senso dalle quali solo la mancanza del ministero pubblico e del consigliere dell’imputato giustificava il rinvio dell’udienza che prevedeva la produzione immediata di un mezzo di prova, la presenza del consigliere del querelante non essendo in compenso necessaria.
37. Tenuto conto delle circostanze dello specifico, la Corte non è persuasa che la determinazione dell’udienza controversa ad una data corrispondente ad un festeggiamento ebraico, così come il rifiuto di posticiparla ad un’altra data, si possano analizzare in una restrizione al diritto del richiedente ad esercitare liberamente il suo culto. Innanzitutto, non è contestato che l’interessato si è potuto liberare dai suoi doveri religiosi. Inoltre, il richiedente che doveva aspettarsi del fatto che la sua istanza di rinvio venisse rifiutata conformemente alle disposizioni della legge in vigore, si sarebbe potuto fare sostituire all’udienza controversa per liberarsi dai suoi obblighi professionali.
La Corte nota infine che l’interessato non ha dimostrato di avere subito delle pressioni tese a fargli cambiare convinzione religiosa o ad impedirgli di esprimere la sua religione o la sua convinzione, Knudsen c. Norvegia, no 11045/84, decisione della Commissione dell’ 8 marzo 1985, DR 42, p. 258; Kottninen, precitata).
38. Comunque sia, anche supponendo l’esistenza di un’ingerenza nel diritto del richiedente protetto dall’articolo 9 § 1, la Corte stima che questa, prevista dalla legge, si giustificava con la protezione dei diritti e delle libertà altrui, ed in particolare il diritto dei giudicabili di beneficiare di un buono funzionamento dell’amministrazione della giustizia ed il rispetto del principio del termine ragionevole del procedimento, paragrafo 12 sopra, e che ha osservato un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto (vedere, mutatis mutandis, Casimiro e Ferreira c. Lussemburgo, (dec.), no 44888/98, 27 aprile 1999.
39. La Corte conclude che non c’è stata violazione dell’articolo 9 della Convenzione.
II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
40. Invocando l’articolo 13, il richiedente adduce che l’archiviazione senza seguito della sua querela l’ha privato di una decisione di giustizia effettiva. Inoltre, si lamenta di essere stato oggetto di una discriminazione contraria all’articolo 14 della Convenzione.
Articolo 13
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
Articolo 14
“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione deve essere garantito, senza distinzione nessuna, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche od ogni altra opinione, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, la fortuna, la nascita od ogni altra situazione. “
41. La Corte ricorda innanzitutto che l’articolo 13 della Convenzione garantisce l’esistenza in diritto interno di un ricorso che permette di prevalersi dei diritti e delle libertà della Convenzione come vi si possono trovare consacrati. Questa disposizione ha per conseguenza di esigere un ricorso interno che abilita ad esaminare il contenuto di un “motivo di appello difendibile” fondato sulla Convenzione dunque ed ad offrire la correzione appropriata, Kudła c. Polonia [GC], no 30210/96, § 157, CEDH 2000-XI. Essendo cos’, il diritto ad un ricorso effettivo ai sensi della Convenzione non potrebbe essere interpretato come se desse un diritto affinché una domanda venga accolta nel senso desiderato dall’interessato, Surmeli c. Germania, precitata, § 98. Nello specifico, la Corte non potrebbe rilevare nessuno elemento che permette di mettere in causa l’effettività della via penale sollecitata dinnanzi alle giurisdizioni interne.
42. In quanto al motivo di appello del richiedente derivato dall’articolo 14 della Convenzione, la Corte ricorda che questa disposizione vieta di trattare in modo differente, salvo giustificazione obiettiva e ragionevole, delle persone poste in situazioni comparabili, Andrejeva c. Lettonia [GC], no 55707/00, §§ 81 e 82, 18 febbraio 2009. Osserva che il richiedente non ha dimostrato per niente di essere stato discriminato rispetto alle persone che sono in una situazione analoga alla sua.
43. Ne segue che questi motivi di appello devono essere respinti come manifestamente mal fondati, in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Dichiara, all’unanimità, la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 9 della Convenzione ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce, per quattro voci contro tre, che non c’è stata violazione dell’articolo 9 della Convenzione.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 3 aprile 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione separata comune ai giudici Tulkens, Popociæ e Keller.
F.T.
F.E.P.
OPINIONE DISSIDENTE COMUNE AI GIUDICI TULKENS, POPOVIĆ E KELLER
Non condividiamo la posizione della maggioranza secondo la quale non c’è stata, nello specifico, violazione dell’articolo 9 della Convenzione e ne spieghiamo qui le ragioni.
1. I fatti della causa sono relativamente semplici. Nella sua qualità di avvocato, il richiedente rappresentava una delle due parti civili in un procedimento penale contro certe banche. Il 7 giugno 2005, partecipò ad un’udienza dinnanzi al giudice delle investigazioni preliminari relative alla produzione di un mezzo di prova. Il giudice titolare essendo impedito, il suo sostituto invitò le parti a scegliere la data di rinvio dell’udienza tra due possibilità, ossia il 13 e il 18 ottobre 2005, secondo il calendario già stabilito dal giudice titolare. Il richiedente fece valere che le due date proposte corrispondevano a due feste ebraiche, lo Yom Kippour ed il Souccot. Il giudice fissò tuttavia la data dell’udienza al 13 ottobre 2005.
2. Lo stesso giorno, ossia il 7 giugno 2005, il richiedente depositò presso il giudice titolare una richiesta di rinvio dell’udienza. Il 20 giugno 2005, questo ultimo, senza deliberare sulla richiesta, versò questa alla pratica.
3. All’udienza del 13 ottobre 2005, il giudice rilevò che il richiedente era assente “per ragioni personali.” Dopo avere chiesto il parere del ministero pubblico e degli avvocati degli imputati, il giudice respinse l’istanza di rinvio della causa introdotta dal richiedente il 7 giugno 2005, istanza che era sostenuta tuttavia dall’avvocato dell’altra parte civile.
4. La valutazione della Corte si fonda su un ragionamento abbastanza breve che, sotto il suo doppio aspetto, l’esistenza di un’ingerenza e la proporzionalità, ci sembra problematico allo sguardo della libertà di religione che “figura tra gli elementi più essenziali dell’identità dei credenti e della loro concezione della vita, ma è anche un bene prezioso per gli atei, gli agnostici, gli scettici o gli indifferenti [e] suppongo, tra l’altro, [la libertà] di aderire o meno ad una religione e quella di praticarla o meno »1.
L’esistenza di un’ingerenza
5. In un primo tempo, la maggioranza stima che non c’è ingerenza nel diritto del richiedente protetto dall’articolo 9 della Convenzione. Constata che la decisione del giudice delle investigazioni preliminari di non fare diritto all’istanza di rinvio del richiedente si basa sulle disposizioni del codice di procedimento penale ai termini del quale l’udienza che prevede la produzione immediata di un mezzo di prova si svolge in camera del consiglio con la partecipazione necessaria del ministero pubblico e del convenuto della persona messa in causa dalle investigazioni. La maggioranza ne deduce che la presenza del consiglio del querelante non era necessaria dunque (paragrafo 36 della sentenza) e che, pertanto, la determinazione dell’udienza ad una data che corrispondeva ad un festeggiamento ebraico così come il rifiuto di rinviarla ad un’altra data non si può analizzare in una restrizione del diritto del richiedente ad esercitare liberamente il suo culto (paragrafo 37, al. 1) della sentenza.
6. Non possiamo condividere questo ragionamento. L’articolo 401 del codice di procedimento penale contempla certo la partecipazione obbligatoria del ministero pubblico e dell’avvocato dell’imputato ma questa disposizione precisa anche che “il convenuto della parte lesa ha la facoltà di partecipare.” Appartiene all’avvocato ed a lui solo dunque, in funzione degli interessi del suo cliente, la decisione di utilizzare o meno questa facoltà che gli è riconosciuta, senza che le autorità giudiziali possano immischiarsi nell’esercizio dei diritti della difesa né possano presumere la mancanza di necessità della sua partecipazione.
7. In appoggio della sua argomentazione, la maggioranza nota anche, in modo singolare, che il richiedente non ha dimostrato di avere subito delle pressioni tese a fargli cambiare convinzione religiosa o ad impedirgli di esprimere la sua religione o la sua convinzione (paragrafo 37, al. 2,) della sentenza. Ci sembra contrario al diritto al godimento della libertà di religione garantito dall’articolo 9 della Convenzione che l’esercizio di questa libertà, tanto nella sua dimensione interna che esterna, è subordinato, o addirittura condizionato alla prova da parte del richiedente di pressioni che avrebbe subito.
Un rapporto di proporzionalità
8. In un secondo tempo, supponendo anche l’esistenza di un’ingerenza nel diritto del richiedente protetto dall’articolo 9 § 1 della Convenzione, la maggioranza stima che questa è giustificata dalla protezione dei diritti e libertà di altrui, a sapere il diritto dei giudicabile di beneficiare di un buono funzionamento dell’amministrazione della giustizia, e che c’è un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto. Non lo pensiamo.
9. Sull’esigenza di proporzionalità che permette di determinare la necessità dell’ingerenza in una società democratica, la giurisprudenza della Corte è molto chiara: il carattere proporzionato di una misura suppone che, tra parecchi mezzi che permettono di raggiungere lo scopo legittimo perseguito, le autorità scelgano quello che è meno pregiudizievole per i diritti e le liberttà2. In questa prospettiva, la ricerca di una pianificazione ragionevole della situazione controversa può, in certe circostanze, costituire un mezzo meno restrittivo di raggiungere l’oggetto perseguito3.
10. Ora, nello specifico, pensiamo che le condizioni erano riunite per tentare di arrivare ad una pianificazione ed una pianificazione ragionevole – cioè che non provocava per le autorità giudiziali un carico sproporzionato – della situazione. Con alcune concessioni, questo avrebbe permesso di evitare un’ingerenza nella libertà religiosa del richiedente, senza per questo compromettere la realizzazione dello scopo legittimo che costituisce la buona amministrazione della giustizia evidentemente.
11. Il richiedente ha innanzitutto, immediatamente, fin dal momento della determinazione della data dell’udienza, sollevato la sua difficoltà e chiesto il rinvio di questa. Ha prevenuto dunque le autorità giudiziali in anticipo di quattro mesi, ciò che permetteva loro ragionevolmente di organizzare il calendario delle udienze per garantire il rispetto dei differenti diritti in gioco.
12. A contrario, la decisione S.H. e H.V. c. Austria della Commissione del 13 gennaio 1993 ci sembra riconoscere la forza di questo argomento. I richiedenti che erano ebraici praticanti, criticavano il rifiuto di un tribunale austriaco di aderire alla loro richiesta di rinvio di un’udienza in giustizia prevista in una causa che concerneva loro, al motivo che la data in cui era fissata corrispondeva ad una festa ebraica importante. La Commissione lascia intendere che, se i richiedenti, una volta avvertiti della data dell’udienza, avessero informato debitamente il tribunale del suo carattere problematico allo sguardo della loro religione, questo avrebbe dovuto stabilire una nuova data. Ma nello specifico, i richiedenti hanno reagito troppo tardi: mentre è stato notificato loro il 30 maggio che l’udienza avrebbe avuto luogo il 4 ottobre, hanno scritto al tribunale solo il 25 settembre per sollecitarne il rinvio. Tenuto conto della complessità della causa che implicava un gran numero di persone, e della tardività della richiesta, la Commissione considera che la decisione del tribunale non era irragionevole.
13. Poi, non è dimostrato nello specifico che la richiesta del richiedente, se fosse stata accettata, avrebbe provocato tale perturbazione nel funzionamento del servizio pubblico della giustizia. È ciò che si potrebbe chiamare il public service disturbance test. L’esigenza del termine ragionevole invocato dal giudice italiano per respingere la richiesta del richiedente è certamente legittima ma, senza altra spiegazione complementare, sembra piuttosto qui dell’ordine del pretesto. Certo, il rinvio chiesto dell’udienza poteva provocare certi inconvenienti amministrativi, come per esempio la necessità di rinnovare la notificazione della data di udienza alle parti implicate. Ma questi ci sembrano minimi e costituiscono forse il modico prezzo da pagare per il rispetto della libertà di religione in un società multiculturale4.
14. Infine, non appare in più dalla pratica che l’udienza in causa rivestiva un carattere di emergenza perché non riguardava delle misure privative di libertà o delle persone detenute. Se tale fosse stato il caso, il richiedente a sua volta sarebbe stato chiamato a fare delle concessioni, come farsi sostituire all’udienza per esempio.
15. In queste condizioni, a difetto per le autorità di portare la prova che hanno sviluppato gli sforzi ragionevoli necessari per permettere il rispetto del diritto del richiedente alla libertà di religione garantito dall’articolo 9 della Convenzione, stimiamo che c’è stata violazione di questa disposizione.
1 corte eur. D.H. (GC), sentenza Bayatyan c. Armenia del 7 luglio 2011, § 118. Voy. anche, entra altri, Corte eur. D.H, sentenza Kokkinakis c. Grecia del 25 maggio 1993, § 31; Corte eur. D.H. (GC), sentenza Buscarini ed altri c. San Marino del 19 febbraio 1999, § 34.
2 S. Van DROOGHENBROECK, La proporzionalità nel diritto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Prendere sul serio l’idea semplice, Bruxelles, Bruylant-pubblicazioni delle Facoltà universitaria Santo-Louis, 2001, pp. 190-219.
3 E. BRIBOSIA, J. RINGELHEIM ed I. RORIVE, “Pianificare la diversità,: il diritto dell’uguaglianza di fronte alla pluralità religiosa”, Rev. trim. Dr. h., 2009, pp. 319 e s.
4 ibid., p. 342.