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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE FRANCESCO QUATTRONE c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, 35, 06
Numero: 13431/07/2013
Stato: Italia
Data: 2013-11-26 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusioni: Parzialmente inammissibile
Violazione dell’articolo 6 – Diritto ad un processo equo, Articolo 6 – Procedimento civile Articolo 6-1 – Termine ragionevole,
Violazione dell’articolo 6 – Diritto ad un processo equo, Articolo 6 – Procedimento civile Articolo 6-1 – Processo equo, Danno patrimoniale – risarcimento
Danno morale – risarcimento

SECONDA SEZIONE

CAUSA FRANCESCO QUATTRONE C. ITALIA

( Richiesta no 13431/07)

SENTENZA

STRASBURGO

26 novembre 2013

Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nel causa Francesco Quattrone c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta di:
Işıl Karakaş, presidentessa,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Dragoljub Popović,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto di Albuquerque,
Egidijus Kūris, juges,et
di Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 5 novembre 2013,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 13431/07) diretta contro la Repubblica italiana e di cui un cittadino di questo Stato, OMISSIS (“il richiedente”), aveva investito la Corte il 22 marzo 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”). Il richiedente è deceduto il 2 novembre 2012. I suoi eredi, OMISSIS nato rispettivamente in 1969 e 1979, hanno informato la Corte che desideravano inseguire il procedimento. Per le ragioni di ordine pratico, la Corte continuerà di chiamare OMISSIS “il richiedente.”
2. Il richiedente è stato rappresentato da OMISSIS, avvocato a Messina. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora.
3. Il 11 febbraio 2010, la richiesta è stata comunicata al Governo in ciò che riguarda i motivi di appello derivati della durata di due procedimenti Pinto e della condanna del richiedente all’onere e spese, articolo 6 § 1 della Convenzione. Siccome lo permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, ha, inoltre, stato deciso che la camera si pronuncierebbe sull’ammissibilità ed il fondo allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
A. Il primo procedimento
1. Il procedimento penale RG nr 1099/1992
4. Con un’ordinanza del 6 settembre 1992, il giudice delle investigazioni preliminari, giudice per l’indagini preliminari-qui di seguito il “GIP”) di Reggio Calabria pose il richiedente in detenzione provvisoria in ragione dei gravi sospetti di colpevolezza per il reato di ricettazione che pesava su lui.
5. Il 13 novembre 1992, una citazione a domicilio (“arresti domiciliari”) sostituì la detenzione provvisoria. Il richiedente fu rimesso in libertà il 9 febbraio 1993 (“libertà provvisoria”).
6. Con una sentenza del 21 febbraio 1994, il tribunale di Reggio Calabria condannò il richiedente a tre anni di detenzione ed a 8 000 000 lire italiane di multa. Con una sentenza del 18 marzo 1998, la corte di appello di Reggio Calabria ridusse la pena ad un anno e nove mesi ed a 4 000 000 lire italiane di multa. Con una sentenza del 26 ottobre 1999, la Corte di cassazione annullò la condanna e rinviò la causa alla corte di appello.
7. Con una sentenza del 10 aprile 2002 di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 9 luglio 2002, la corte di appello di Messina prosciolse il richiedente al motivo che i fatti rimproverati non erano accertati ( “perché il fatto non sussiste”).
2. Il primo procedimento Pinto
8. Il 7 aprile 2003, il richiedente investe la corte di appello di Catanzaro al senso del legge “Pinto”, chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e giuridici subiti a causa della durata del procedimento principale, RG nr 1099/1992.
9. Con una decisione del 10 giugno 2003, la corte di appello (nr 64/2003) si dichiarò incompetente ed indicò che il ricorso doveva essere introdotto dinnanzi alla corte di appello di Reggio Calabria.
10. Il 26 gennaio 2004, il richiedente investe questa giurisdizione, nr 4/04 che, con un giudizio del 10 gennaio 2008, depositato alla cancelleria il 19 novembre 2008, constatò il superamento di una durata ragionevole e condannò il ministero della Giustizia al pagamento di 4 500 EUR al richiedente per danno morale, più oneri e spese. Il richiedente non si ricorse in cassazione.
11. Nelle osservazioni presentate il 14 luglio 2010 in risposta a queste del Governo, il richiedente afferma che il somma Pinto non era stato pagato ancora.
B. Il secondo procedimento RG nr 7/1991
12. Il 2 dicembre 1992, il GIP di Reggio Calabria pose in detenzione provvisoria il richiedente fino là citato a domicilio nella cornice del procedimento RG n. 1099/1992. Il richiedente era sospettato di complicità di omicidio. Con una decisione del 6 aprile 1993, la Corte di cassazione, dopo avere constatato la mancanza dell’incidi indizi di colpevolezza necessaria, ai termini dell’articolo 273 § 1 CPP, per giustificare la detenzione provvisoria, annullò ed annullò senza rinvio l’ordinanza di collocamento in detenzione.
13. Con un decreto del 3 giugno 1994, il GIP archiviò senza seguito i perseguimenti contro il richiedente.
C. Il terzo procedimento RG nr 1296/1992
14. Accusato di truffa, falso in scrittura pubblica (“falso in atto pubblico”) ed abuso di funzione (“abuso di ufficio”), il richiedente, detenuto nella prigione di Messina in esecuzione dell’ordinanza del 2 dicembre 1992, fu oggetto di un nuovo collocamento in detenzione provvisoria da parte del GIP di Reggio Calabria deciso ad una data non precisata.
15. Il richiedente fu messo in libertà il 13 marzo 1993. Con una sentenza del tribunale di Reggio Calabria del 16 gennaio 2001, depositato il 13 aprile 2001, il richiedente beneficiò alla cancelleria, partire ne, di un proscioglimento e, per il restante dei fatti, di un non luogo a procedere (“non doversi procedere”) al motivo che i fatti rimproverati erano, da una parte, coperti con la prescrizione e, altro parte, non era oggetto di lamento.
16. Il richiedente non investe le giurisdizioni interne al senso del “legge Pinto.”
D. Il quarto procedimento
1. Il procedimento penale RG nr 17/92
17. Il 13 marzo 1993, il GIP ordinò il collocamento del richiedente in detenzione provvisoria. La misura fu eseguita il 15 marzo 1993. Il richiedente era sospettato di abuso di funzione (“abuso di ufficio”) e di associazione di malviventi di tipo mafioso (“associazione a delinquere di stampo mafioso”). Il 24 giugno 1993, in ragione del suo stato di salute, fu trasferito in un ospedale. Il 13 ottobre 1993, il richiedente fu rimesso in libertà. Con una sentenza del 18 luglio 2003, depositato il 17 ottobre 2003, il tribunale di Reggio Calabria prosciolse il richiedente al motivo che i fatti rimproverati non erano accertati alla cancelleria (si “appollaiato egli fatto non sussiste”).
2. Il secondo procedimento Pinto
18. Il 27 luglio 2004, il richiedente investe la corte di appello di Catanzaro al senso del legge “Pinto”, chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e giuridici subiti a causa della durata del quarto procedimento principale, RG nr 17/92.
19. Con una decisione del 27 maggio 2005, depositato alla cancelleria il 14 giugno 2005, la corte di appello (nr 161/04) constatò il superamento di una durata ragionevole e condannò il ministero della Giustizia al pagamento di 27 700 EUR al richiedente per danno morale, più oneri e spese. Respinse, tuttavia, la domanda a titolo di danno patrimoniale, sostenendo che un tale danno era non la conseguenza della durata del procedimento in quanto tale ma bene della detenzione provvisoria e di questo che il collocamento in esame si era chiuso da un proscioglimento.
20. La somma accordata in esecuzione del decisione Pinto, aumentato di interessi, fu pagata il 21 ottobre 2005. Il richiedente ricevè 32 167,82 EUR.
21. Il richiedente si provvisto in cassazione. Nelle sue osservazioni la procura aveva proposto di considerare come bene fondato una parte dei motivi di appello del richiedente. Con una sentenza del 24 ottobre 2007, depositato il 5 febbraio 2008, RG nr 18589/05, la Corte di cassazione confermò la decisione della corte di appello e condannò il richiedente al pagamento di 10 000 EUR a titolo degli oneri di procedimento. La decisione non contiene di motivi su questo punto.
E. I procedimenti in risarcimento per detenzione provvisoria “ingiusta”
1. Il primo procedimento
22. Il 12 novembre 2003, il richiedente investe la corte di appello di Messina per ottenere il risarcimento dei danni subiti in ragione dei primi tre periodi di detenzione provvisoria. Chiese l’applicazione del massimale legale dell’indennizzo per ciascuno di questi periodi.
Con un’ordinanza del 19 gennaio 2005, depositato alla cancelleria il 1 marzo 2005, la corte di appello, sul fondamento dell’articolo 314 CPP, capoverso 1, risarcimento per ingiusta detenzione “sostanziale”, paragrafi 25 e 26 sotto, diventò parzialmente dritto alla domanda del richiedente. Ricordando la giurisprudenza della Corte di cassazione, sottolineò che il procedimento di risarcimento aveva un carattere indennizzante e che c’era luogo dunque di considerare la detenzione subita dall’interessato nel suo insieme. E questo a prescindere per il fatto che il richiedente era stato prosciolto, primo e terzo procedimenti, ed ottenuto un’archiviazione senza seguito, secondo procedimento, dopo l’annullamento dell’ordinanza di collocamento in detenzione mancanza dell’incidi indizi di colpevolezza, paragrafi 12 e 13 sopra. La corte di appello gli accordò 180 000 EUR per danni giuridici e materiali escludendo di questi ultimi quelli che era, secondo lei, la conseguenza a causa di essere accusato nella cornice di un procedimento penale che porta su dei crimini particolarmente gravi. Il richiedente si provvisto in cassazione ma fu respinto da una sentenza depositata alla cancelleria il 21 dicembre 2006.
2. Il secondo procedimento
23. Il 6 ottobre 2004, il richiedente investe la corte di appello di Reggio Calabria per ottenere il risarcimento dei danni subiti in ragione della sua carcerazione nella cornice del quarto procedimento penale. Con un’ordinanza del 9 dicembre 2005, depositato alla cancelleria il 21 dicembre 2005, basandosi sull’articolo 314 CPP, capoverso 1, (risarcimento per ingiusta detenzione “sostanziale”, paragrafi 25 e 26 sotto, la corte di appello fece diritto alla domanda del richiedente, accordandogli 150 000 EUR. Il richiedente si provvisto in cassazione ma fu respinto da una sentenza depositata alla cancelleria il 7 marzo 2008.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNI PERTINENTI
24. Il diritto e le pratica interni pertinenti relative alla legge no 89 del 24 marzo 2001, detta “legge Pinto” figurano nel sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006-V.
25. In ciò che riguarda il diritto a risarcimento per una detenzione provvisoria “ingiusta”, l’articolo 314 del CPP contempla un diritto al risarcimento in due casi distinti: quando, al termine del procedimento penale sul fondo, l’imputato è prosciolto, risarcimento per ingiustizia detta “sostanziale”, prevista dal capoverso 1, o quando è stabilito che l’indiziato è stato posto o mantenuto in detenzione provvisoria al disprezzo degli articoli 273 e 280 del CPP, risarcimento per ingiustizia detta “formale”, prevista dal capoverso 2. L’articolo 273 § 1 CPP dispone:
“Nessuno può essere sottomesso alle misure di detenzione provvisoria se non c’è al suo carico dell’incidi indizi di colpevolezza. “
26. L’articolo 314 §§ 1 e 2 del CPP si legge come segue:
“1. Chiunque è scarcerato da un giudizio definitivo al motivo che i fatti rimproverati non si sono prodursi, che non ha commesso i fatti, che i fatti non sono costitutivi di una violazione o non sono eretti in reato con la legge ha diritto ad un risarcimento per la detenzione provvisoria subita, a patto di non avere provocato [la sua detenzione] contribuito o a provocarla intenzionalmente o con mancanza pesante.
2. Lo stesso diritto è garantito ad ogni persona scarcerata per qualche motivo che questo sia o ad ogni persona condannata che è stata oggetto di una detenzione provvisoria durante il processo, quando è stabilito da una decisione definitiva che l’atto avendo ordinato la misura è stato preso prorogato o mentre le condizioni di applicabilità contemplata 273 e 280 agli articoli non erano riunite. “
27. La Corte di cassazione ha precisato, a più riprese che, con “decisione definitiva” che costituisce il fondamento per ottenere il risarcimento per detenzione ingiusta, ai termini del secondo capoverso dell’articolo 314 CPP, si riferisce a: l’ordinanza del tribunale incaricata di riesaminare le misure di precauzione (“tribunale della libertà e del riesame”) che non è stata contestata; una sentenza della Corte di cassazione che annulla una decisione di suddetto tribunale o che è stata investita direttamente dopo l’imposta di una misura di precauzione privativa di libertà, vedere sentenza della quarta sezione della Corte di cassazione no 18237 del 7 febbraio 2003, depositato alla cancelleria il 17 aprile 2003,; una decisione definitiva che cade sul fondo della responsabilità penale che stabilisce la mancanza ab initio delle condizioni necessarie per l’applicabilità della misura di precauzione, vedere le sentenze della quarta sezione della Corte di cassazione no 42022 del 6 novembre 2006, depositato alla cancelleria il 12 dicembre 2006 e no 2660 del 3 dicembre 2008, depositato il 21 gennaio 2009.
28. In quanto al posto della giurisprudenza della Corte nel sistema morale italiano e, in particolare, all’obbligo dei tribunali interni di adottare un’interpretazione del diritto nazionale conforme al diritto convenzionale, vedere il diritto e le pratica interne nel decisione Daddi c. Italia, déc.), no 15476/09, 2 giugno 2009.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE PRESUNTA DELLA DURATA DEI PROCEDIMENTI “PINTO”
29. Il richiedente adduce presumibilmente una violazione dell’articolo 6 della Convenzione a causa della durata eccessiva dei procedimenti “Pinto.” L’articolo 6 è formulato così nella sua parte pertinente:
“Ogni persona ha diritto a ciò che la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, con un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile .”
A. Sull’ammissibilità
30. La Corte, constatando che questo motivo di appello non cozza contro nessuno dei motivi di inammissibilità iscritta all’articolo 35 § 3 della Convenzione, dichiaralo lei ammissibile.
B. Sul merito
31. Il Governo sostiene che la durata dei due procedimenti Pinto non ha causato la violazione dell’articolo 6 § 1. In ciò che riguarda il primo procedimento, stima che la durata si giustificherebbe in ragione per il fatto che il richiedente aveva, innanzitutto, investito una giurisdizione incompetente, a sapere la corte di appello di Catanzaro; per ciò che è del secondo procedimento, afferma che una durata di meno di quattro anni per due gradi di giurisdizione non saprebbe essere considerata come irragionevole.
32. La Corte nota che i procedimenti “Pinto” che hanno cominciato il 7 aprile 2003 ed il 27 luglio 2004, si sono concluse rispettivamente il 19 novembre 2008 ed il 5 febbraio 2008. Sono durate cinque anni e sette mesi e tre anni e sei mesi per due gradi di giurisdizione dunque. Trattandosi del primo procedimento, prendendo che come punto di partenza la data alla quale il richiedente ha investito l’autorità competente per decidere la controversia, a sapere la corte di appello di Reggio Calabria, la durata globale pertinente, è anche da vicino cinque anni, 26 gennaio 2004-19 novembre 2008.
33. Nel sentenza CE.DI.SA Fortore S.N.C. Diagnostica Medica Chirurgica c. Italia, i nostri 41107/02 e 22405/03, § 39, 27 settembre 2011, la Corte ha considerato che in principio per due gradi di giurisdizione la durata di un procedimento “Pinto” non dovrebbe, salvo circostanze eccezionali, superare due anni.
34. La Corte osserva che la durata dei due procedimenti Pinto ha superato largamente il termine suddetto e che non esisteva, nello specifico, nessuna circostanza eccezionale di natura tale da giustificare questo superamento.
35. Pertanto, la Corte stima che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1.
II. SULLA VIOLAZIONE PRESUNTA DELL’ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE IN RAGIONE DELLA CONDANNA AGLI ONERI E SPESE DA PARTE DELLA CORTE DI CASSAZIONE “PINTO”
36. Il richiedente stima che l’importo degli oneri al pagamento del quale è stato condannato dalla Corte di cassazione “Pinto” è eccessivo, arbitrario e riveste un carattere punitivo. Nelle sue osservazioni del 14 luglio 2010, afferma non avere investito la Corte di cassazione nella cornice del primo procedimento Pinto di paura di essere condannato di nuovo agli oneri molto elevati in caso di rigetto della sua domanda.
A. Sull’ammissibilità
37. La Corte, constatando che questo motivo di appello non cozza contro nessuno dei motivi di inammissibilità iscritta all’articolo 35 § 3 della Convenzione, dichiaralo lei ammissibile.
B. Sul merito
38. Il Governo afferma che la condanna si giustifica in ragione per il fatto che la domanda del richiedente non era fondata e che la decisione di accordare e regolamentare il diritto al rimborso degli oneri e spese alla parte vittoriosa rileverebbe delle scelte discrezionali degli Stati.
39. La Corte nota, innanzitutto, l’importanza dell’importo degli oneri al pagamento dai quali il richiedente è stato condannato, a sapere 10 000 EUR. Rileva poi che la Corte di cassazione non ha giudicato la domanda del richiedente abusivo o temerario e nelle sue osservazioni la procura aveva considerato bene fondata una parte dei motivi di appello del richiedente (vedere sopra paragrafo 21).
40. Alla luce di queste considerazioni e tenuto conto della natura del procedimento Pinto, la Corte è del parere che una tale somma pone, in si, dei dubbi sulla sua compatibilità con lo spirito di un procedimento in risarcimento di una violazione della Convenzione (vedere Cocchiarella c). Italia [GC], no 64886/01, CEDH 2006-V.
41. La Corte constata, tuttavia, che la sentenza della Corte di cassazione Pinto è privata di ogni motivazione sull’importo per oneri e spese, ciò che rende impossibile di stabilire se questa sentenza costituisce un ostacolo al rimedio “Pinto” o se ha ridotto in modo sostanziale il diritto al risarcimento Pinto riconosciuto dalla corte di appello di Catanzaro.
42. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, l’articolo 6 § 1 della Convenzione obbligano i tribunali a motivare le loro decisioni, Van di Hurk c. Paesi Bassi, sentenza del 19 aprile 1994, § 61, serie Ha no 288.
43. La superficie di questo obbligo può variare secondo la natura della decisione e deve analizzarsi alla luce delle circostanze di ogni specifico, Ruiz Torija c. Spagna, sentenza del 9 dicembre 1994, § 29, serie Ha no 303-ha; Hiro Balani c. Spagna, sentenza del 9 dicembre 1994, § 27, serie Ha no 303-B; Higgins ed altri c. Francia, sentenza del 19 febbraio 1998, Raccolta delle sentenze e decisioni 1998-I, p. 60, § 42.
44. L’obbligo di motivazione si applica anche alla condanna agli oneri e spese, Tè Associazione foro tè Defence of Human Rights c. Romania, déc.), no 2959/11, 22 novembre 2011, ed alle multe imposte in ragione del carattere abusivo del ricorso (G.L). c. Italia, no 15384/89, decisione della Commissione del 9 maggio 1994, Decisioni e rapporti, (DR), 77-ha, p. 5.
45. Nello specifico, conto tenuto anche dell’importo alzato degli oneri rispetto alla natura del procedimento Pinto, la Corte stima che la mancanza di ogni giustificazione nei motivi della sentenza controversa ha provocato la violazione dell’articolo 6 della Convenzione.
III. SULLA VIOLAZIONE PRESUNTA DELLA DURATA DEI PROCEDIMENTI PRINCIPALI
46. Il richiedente denuncia la durata del primo, terzo e quarto procedimenti principali allo sguardo dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e, in ciò che riguarda specificamente la prima ed il quarto procedimento, l’insufficienza della correzione ottenuta nella cornice dei ricorsi “Pinto”, tenuto conto della mancanza di ogni risarcimento per le gravi accuse che hanno nociuto alla sua reputazione.
Sul terzo procedimento
47. La Corte ricorda al primo colpo che quando un richiedente si lamenta della durata di un procedimento nazionale è esatto che abbia investito i tribunali interni al senso del legge Pinto alle fini dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, Brusco c. Italia, déc.), no 69789/01, CEDH 2001-IX.
48. La Corte rileva che il richiedente non ha introdotto un tale ricorso rispetto al procedimento interno in oggetto.
49. Per questa ragione, la Corte stima che questa parte della richiesta è inammissibile per no-esaurimento delle vie di ricorso interni e deve essere respinta conformemente all’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
Sul primo ed il quarto procedimento
50. La Corte ricorda la sua giurisprudenza nel causa Cocchiarella c. Italia (sentenza precitata) § 84 secondo la quale, in questo genere di cause appartiene alla Corte di verificare, da una parte, se c’è stata riconoscenza con le autorità, almeno in sostanza, di una violazione di un diritto protetto dalla Convenzione e, altro parte, se la correzione può essere considerata come appropriata e sufficiente.
51. La prima condizione, a sapere la constatazione di violazione con le autorità nazionali, non suscita controversia siccome lui risulta delle decisioni dei corsi di appello Pinto di Reggio Calabria e Catanzaro.
52. In quanto alla seconda condizione, la Corte ricorda le caratteristiche che devono avere un ricorso interno per portare una correzione appropriata e sufficiente; si tratta in modo particolare per il fatto che per valutare l’importo dell’indennizzo assegnato dalle giurisdizioni nazionali, la Corte esamina, sulla base degli elementi di cui dispone, ciò che avrebbe accordato nella stessa situazione per il periodo preso in considerazione con la giurisdizione interna (Cocchiarella, precitato, §§ 86-107.
53. La Corte constata che i procedimenti controversi hanno cominciato il 6 settembre 1992 ed il 13 marzo 1993 e hanno preso fine il 9 luglio 2002 ed il 17 ottobre 2003. Così, la durata di suddette procedimenti sono stati rispettivamente di nove anni e dieci mesi per tre gradi di giurisdizione e di dieci anni e sette mesi per un grado di giurisdizione.
54. In ciò che riguarda il primo procedimento, il richiedente sostiene che non si è ricorso in cassazione in ragione per il fatto che il procedimento dinnanzi alla corte di appello Pinto è durato cinque anni, ciò che avrebbe privato di effettività il rimedio interno. Anche supponendo che, di questo fatto, il richiedente sia esentato di esaurire le vie di ricorso interni, questo motivo di appello deve essere respinto per difetto manifesto di fondamento.
55. Difatti, la Corte stima che la somma globalmente ottenuta dal richiedente, a sapere 4 500 EUR, superi quella che gli avrebbe potuto accordare tenuto conto dell’esistenza del ricorso Pinto.
56. In quanto al danno alla reputazione del richiedente che avrebbe avuto, entra altri, delle ripercussioni importanti sui suoi redditi professionali, la Corte stimo che suddetto danno non saprebbe essere imputato alla durata del procedimento ma piuttosto alle accuse che sono state portate contro lui senza che arrivano ad una dichiarazione di colpevolezza.
57. L’indennizzo ricevuto dal richiedente può passare per adeguato dunque e, di questo fatto, atto a riparare la violazione subita, Garino c. Italia, déc.), nostri 16605/03, 16641/03 e 16644/03.
58. Di conseguenza, il richiedente non può più definirsi “vittima” di una violazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione concernente la durata del primo procedimento, al senso dell’articolo 34 della Convenzione.
59. Per le stesse ragioni, il motivo di appello che cade sul quarto procedimento deve essere respinto per difetto manifesto di fondamento. Difatti, la Corte stima che la somma globalmente ottenuta dal richiedente, a sapere 27 700 EUR, superi quella che gli avrebbe potuto accordare tenuto conto dell’esistenza del ricorso Pinto. Alla luce delle ragioni esposte sopra al paragrafo 56, nessuno risarcimento a titolo di danno patrimoniale non saprebbe essere accordato al richiedente nella cornice del motivo di appello concernente la durata del procedimento.
56. Gli indennizzi ricevuti dal richiedente potendo passare per adeguati ed atti a riparare la violazione subita, Garino c, dunque. Italia, precitata), il richiedente non può più definirsi “vittima” di una violazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione, al senso dell’articolo 34 della Convenzione.
57. Questi motivi di appello sono manifestamente male dunque fondati e devono essere respinti in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
IV. SULLA VIOLAZIONE PRESUNTA DELLA DURATA DEI PROCEDIMENTI RELATIVI AL RISARCIMENTO PER DETENZIONE INGIUSTA
58. Il richiedente si lamenta in sostanza della durata dei procedimenti che cadono sul risarcimento per detenzione ingiusta.
59. Nei decisioni Grasso c. Italia, déc.), no 50488/99, 25 giugno 2002 e Mercuri c. Italia, déc.), no 47247/99, 5 luglio 2001, concernente le “detenzioni ingiuste”, la Corte ha stabilito che il diritto a risarcimento che i richiedenti intendevano fare valere al livello interno poteva essere qualificato di dritto civile al senso dell’articolo 6 della Convenzione e che, di conseguenza, suddetta disposizione trovava ad applicarsi (vedere anche, mutatis mutandis, Georgiadis c,). Grecia, 29 maggio 1997, §§ 32-36, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-III.
60. Nello specifico, la Corte rileva che il richiedente non ha investito le giurisdizioni “Pinto.”
61. La Corte ricorda che la regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interni mira a predisporre agli Stati contraenti l’occasione di prevenire o di risanare le violazioni addotte contro essi prima che queste affermazioni non gli siano sottoposte (vedere, tra molto altri, Remli c. Francia, 23 aprile 1996, § 33, Raccolta 1996-II, e Selmouni c. Francia [GC], no 25803/94, § 74, CEDH 1999-V. Questa regola si basi sull’ipotesi, oggetto dell’articolo 13 della Convenzione-e con che presenta delle strette affinità-, che l’ordine interno offre un ricorso effettivo in quanto alla violazione addotta, Kudła c. Polonia [GC], no 30210/96, § 152, CEDH 2000-XI. Del tipo, costituisce un aspetto importante del principio che vuole che il meccanismo di salvaguardia instaurata dalla Convenzione rivesta un carattere accessorio rispetto ai sistemi nazionali di garanzia dei diritti dell’uomo, Akdivar ed altri c. Turchia, 16 settembre 1996, § 65, Raccolta 1996-IV.
62. Però, l’obbligo che deriva dell’articolo 35 si limita a quella di fare verosimilmente un uso normale dei ricorsi effettivi, sufficienti ed accessibili, Sofri ed altri c. Italia, déc.), no 37235/97, CEDH 2003-VIII. In particolare, la Convenzione non prescrive l’esaurimento che i ricorsi al tempo stesso relativi alle violazioni incriminate, disponibili ed adeguati. Devono esistere non solo ad un grado sufficiente di certezza in teoria ma anche in pratica, mancano loro altrimenti l’effettività e l’accessibilità voluta, Dalia c. Francia, 19 febbraio 1998, § 38, Raccolta 1998-I.
63. La Corte ricorda che il semplice fatto di nutrire dei dubbi in quanto alle prospettive di successo di un ricorso dato che non è destinato al fallimento evidentemente non costituisco una ragione valida per giustificare la no-utilizzazione di ricorso interni, Brusco c. Italia, déc.), no 69789/01, CEDH 2001-IX, Scoppola c. Italia (no 2) [GC], no 10249/03, § 70, 17 settembre 2009. Al contrario, c’è interesse ad investire il tribunale competente, per permettergli di sviluppare i diritti esistenti avvalendosi del suo potere di interpretazione (vedere, Ciupercescu c. Romania, no 35555/03, § 169, 15 giugno 2010 ed Iambor c. Romania (no 1), no 64536/01, § 221, 24 giugno 2008. Per di più, la Corte nota che, per quanto possibile, in dritto interno un’interpretazione conforme al diritto convenzionale si imporsi alle giurisdizioni nazionali siccome l’ha affermato a parecchi rammendati la Corte costituzionale italiana, in particolare nelle sue sentenze i nostri 348 e 349 di 2007 (vedere Daddi c). Italia, déc.), no 15476/09, 2 giugno 2009.
64. La Corte stima che allo stadio reale niente permette di pensare che il legge Pinto non costituirebbe un ricorso ad esaurire per ovviare alla durata irragionevole del procedimento relativo alla detenzione ingiusta. Del resto il richiedente non ha fornito nessuno elemento o circostanza particolare di natura tale da portare la Corte a giungere ad una conclusione differente.
65. Di conseguenza, questo motivo di appello deve essere respinto per no-esaurimento delle vie di ricorso interni, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
V. SULLE VIOLAZIONI PRESUNTE DEGLI ARTICOLI 5 §§ 1 C) E 5, 8 E 13 DELLA CONVENZIONE E 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
66. Invocando gli articoli 5 §§ 1 c, e 5, 8 e 13 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1, il richiedente si lamenta che la detenzione provvisoria sofferta nella cornice dei quattro procedimenti principali era ingiusta e considera che il risarcimento accordato era insufficiente.
67. Padrona della qualifica giuridica dei fatti della causa, la Corte stima che i motivi di appello del richiedente chiamano esclusivamente un esame sotto l’angolo dell’articolo 5 §§ 1 c, e 5 che si leggono così:
Articolo 5
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà ed alla sicurezza. Nessuno può essere privato della sua libertà, salvo nei seguenti casi e secondo le vie legali:
(…)
c) se è stato arrestato e è stato detenuto in vista di essere condotto dinnanzi all’autorità giudiziale competente, quando ci sono delle ragioni plausibili di sospettare che ha commesso una violazione o che ci sono dei motivi ragionevoli di credere alla necessità di impedirgli di commettere una violazione o di fuggire dopo il compimento di questa;
(…)
5. Ogni vittima di un arresto o di una detenzione nelle condizioni contrarie alle disposizioni di questo articolo ha diritto a risarcimento. “
68. In ciò che riguarda la detenzione sofferta nella cornice del secondo procedimento principale, il richiedente sostiene che, tenuto conto di ciò che non era fondata sull’illegalità formale della detenzione ma unicamente sulla sua ingiustizia sostanziale, la decisione di accordare il risarcimento non è, in si, atto a riparare alla violazione dell’articolo 5 § 1 c, implicitamente riconosciuta con la Corte di cassazione. Infine, la detenzione provvisoria avrebbe nociuto gravemente alla sua reputazione.
69. La Corte rileva, innanzitutto che il 6 aprile 1993, annullando la misura della detenzione provvisoria decisa col giudice delle investigazioni preliminari, la Corte di cassazione ha stimato che non esistevano di ragioni plausibili di sospettare che il richiedente aveva commesso una violazione, paragrafo 12 sopra, ciò che costituisce una riconoscenza implicita della violazione dell’articolo 5 § 1 c. Osserva, poi, che la corte di appello di Messina ha fatto diritto, sul fondamento del primo capoverso dell’articolo 314 CPP che contemplano il risarcimento per la detenzione ingiusta “sostanziale”, vedere sopra paragrafo 25, alla domanda introdotta dal richiedente il 12 novembre 2003 ne che gli accorda 180 000 EUR per danni giuridici e materiali. La somma ottenuta dal richiedente è buona superiore a quella che la Corte avrebbe accordato a titolo di danno morale in caso di constatazione di violazione dell’articolo 5 § 1 c.
70. In queste condizioni, il compenso dovuto al richiedente secondo il CPP italiano a causa del suo proscioglimento si confonde con ogni compenso alla quale avrebbe potuto avere diritto al senso dell’articolo 5 § 1 c, della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, N.C. c. Italia [GC], no 24952/94, § 57, CEDH 2002-X e, Pisano c. Italia [GC], sentenza (radiazione) del 24 ottobre 2002, no 36732/97, § 47.
71. Infine, la Corte divide il parere dei tribunali nazionali secondo che l’attentato alla reputazione non saprebbe essere legata specificamente al fatto della detenzione ma all’esistenza stessa di un procedimento penale.
72. Quindi, la Corte stima che il richiedente non può più definirsi vittima al senso dell’articolo 34 della Convenzione, le autorità nazionali avendo riconosciuto ed avendo riparato la violazione della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, i sentenze Amuur c. Francia del 25 giugno 1996, § 36, Raccolta 1996-IIIet Dalban c. Romania [GC], no 28114/95, § 44, CEDH 1999-VI. Questa parte della richiesta è pertanto manifestamente male fondata e deve essere respinta conformemente all’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
73. Per ciò che è della detenzione sofferta nella cornice della prima, della terza e dei quarto procedimenti principali, la Corte constato che il richiedente sostiene avere esaurito le vie di ricorso interni avendo investito i corsi di appello competente per ottenere il risarcimento per la detenzione ingiusta.
74. La Corte rileva che non risulta della pratica che il richiedente abbia contestato le misure di collocamento in detenzione dinnanzi al tribunale incaricato di riesaminare sopra le misure di precauzione (vedere paragrafi 4-5) 14 e 17.
75. Nota che il procedimento in risarcimento per detenzione ingiusta non costituisce, nella mancanza di una riconoscenza preliminare dell’illegalità formale della detenzione, un rimedio effettivo per contestare le violazioni dell’articolo 5 della Convenzione. Difatti, i giudici del risarcimento per detenzione ingiusta non sono competenti per dichiarare l’ingiustizia formale di una detenzione ma possono accordare solamente, ai termini dell’articolo 314 § 2 CPP, un risarcimento sul fondamento di una preliminare decisione definitiva che attesta l’illegalità di tale detenzione (vedere sopra paragrafi 25-27). Segue che questa parte della richiesta deve essere respinta per no-esaurimento delle vie di ricorso interni, conformemente all’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
76. Trattandosi del motivo di appello che cade sulla violazione dell’articolo 5 § 5, la Corte ricorda che questa disposizione si trova rispettata dal momento che si può chiedere risarcimento del capo di una privazione di libertà operata nelle condizioni contrarie ai paragrafi 1, 2, 3 o 4, Wassink c. Paesi Bassi, 27 settembre 1990, § 38, serie Ha no 185-ha, e Houtman e Meeus c. Belgio, no 22945/07, § 43, 17 marzo 2009. Il diritto a risarcimento enunciato al paragrafo 5 suppone dunque che una violazione di uno di questi altri paragrafi sia stata stabilita da un’autorità nazionale o con le istituzioni della Convenzione. A questo riguardo, il godimento effettivo del diritto a risarcimento garanzia con questa ultima disposizione deve trovarsi assicurata ad un grado sufficiente di certezza, Stanev c. Bulgaria [GC], no 36760/06, § 182, CEDH 2012, Ciulla c. Italia, 22 febbraio 1989, § 44, Serie Ha no 148, Sakık ed altri c. Turchia, 26 novembre 1997, § 60, Raccolta 1997-VII, e N.C. c. Italia, sentenza precitata, § 49.
77. Nello specifico, per ciò che è del secondo procedimento, il richiedente ha investito, ai termini dell’articolo 314 CPP, i tribunali interni per ottenere il risarcimento per la detenzione ingiusta sofferta. Allo visto dei conclusioni alle quali la Corte è giunta sopra ai paragrafi 72-76, stima che i tribunali interni hanno garantito il godimento effettivo del diritto al risarcimento dell’articolo 5 § 5 della Convenzione.
78. Segue che questo motivo di appello deve essere respinto per difetto manifesto di fondamento in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 ha, e 4 della Convenzione.
79. In ciò che riguarda gli altri procedimenti, la Corte rileva che nessuna violazione dell’articolo 5 §§ 1, 2, 3 o 4 non sono stati constatati, né coi tribunali interni né anche con la Corte. Segue che l’articolo 5 § 5 non trovano ad applicarsi a questo riguardo ed il motivo di appello ci relativo deve essere respinto in quanto incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione, secondo l’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
VI. SULLE VIOLAZIONI PRESUNTE DEGLI ARTICOLI 3 E 5 DELLA CONVENZIONE
80. Il richiedente afferma, poi, che le quattro misure di detenzione provvisoria che si sono concatenate miravano a portarlo a confessare, ciò che avrebbe provocato la violazione degli articoli 3 e 5 della Convenzione.
81. Gli articoli 3 e 5 sono formulati così:
Articolo 3
“Nessuno può essere sottomesso a tortura né a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
Articolo 5
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà ed alla sicurezza. Nessuno può essere privato della sua libertà, salvo nei seguenti casi e secondo le vie legali:
a) se è detenuto regolarmente dopo condanna con un tribunale competente;
b) se è stato oggetto di un arresto o di una detenzione regolare per renitenza ad un’ordinanza resa, conformemente alla legge, con un tribunale o in vista di garantire l’esecuzione di un obbligo prescritto dalla legge;
c) se è stato arrestato e è stato detenuto vista di essere condotto dinnanzi all’autorità giudiziale competente, quando ci sono delle ragioni plausibili di sospettare che ha commesso una violazione o che ci sono dei motivi ragionevoli di credere alla necessità di impedirlo di commettere una violazione o di fuggire dopo il compimento di questa;
d) se si tratta della detenzione regolare di un minore, decisa per la sua educazione vigilata o della sua detenzione regolare, per tradurlo dinnanzi all’autorità competente,;
e) se si tratta della detenzione regolare di una persona suscettibile di propagare una malattia contagiosa, di un alienato, di un’alcolista, di un tossicodipendente o di un vagabondo,;
f) se si tratta dell’arresto o della detenzione regolare di una persona per impedirlo di penetrare irregolarmente nel territorio, o contro la quale un procedimento di sfratto o di estradizione è in corso.
(…)
82. Avendo investito i corsi di appello per ottenere il risarcimento per la detenzione ingiusta, il richiedente stima che avrebbe soddisfatto alla condizione dell’esaurimento delle vie di ricorso interni.
83. La Corte rileva che, per contestare la legalità delle quattro misure di detenzione provvisoria, il richiedente avrebbe dovuto o contestare presso ogni misura delle autorità nazionali competenti (in particolare, il tribunale incaricato di riesaminare le misure di precauzione, o, nella mancanza di un ricorso interno accessibile ed effettivo, investire la Corte nei sei mesi a partire dalla fine dell’ultimo periodo di detenzione provvisoria.
84. La Corte constata, da una parte, che non risulta della pratica che il richiedente abbia contestato presso dei tribunali competenti le misure di detenzione provvisoria ordinata nella cornice della prima, la terza ed il quarto procedimento e, altro parte che non è un rimedio effettivo per riconoscere l’ingiustizia “formale” di una detenzione provvisoria nella mancanza di una decisione definitiva preliminare che attesta l’illegalità di tale misura per le ragioni esposte sopra al paragrafo 79 il procedimento in risarcimento per detenzione ingiusta. La Corte stima che questo motivo di appello dovrebbe così essere respinto per no-esaurimento delle vie di ricorso interni. Tuttavia, anche supponendo che nessuna via di ricorso interni era in principio aperto al richiedente per sollevare almeno in sostanza il suo motivo di appello, tenuto conto di per il fatto che la richiesta è stata introdotta il 22 marzo 2007 e che il richiedente è stato rimesso definitivamente in libertà il 13 ottobre 1993, questo motivo di appello è stato introdotto al di là del termine dei sei mesi e deve essere respinto conformemente all’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
VII. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
85. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
86. Il richiedente richiedeva 2 500 000 euro (EUR) a titolo del danno morale e 1 800 000 EUR a titolo del danno patrimoniale subito in ragione degli attentati ai suoi diritti garantiti con gli articoli 3, 5, 6, 8, 13 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1. Sottolineava, in particolare, il fatto che aveva bisognato aspettare più di cinque anni “per ottenere dei disgraziati compensi per l’ingiusta detenzione provvisoria e per la durata anormale dei processi (con, ne più, una condanna al pagamento di una somma anormale per oneri e spese.”
87. Il richiedente chiedeva anche 10 000 EUR che costituiscono la somma alla quale era stato condannato dalla Corte di cassazione Pinto a titolo di onere del procedimento (vedere sopra paragrafo 21).
88. Il Governo sostiene che il richiedente ha chiesto solamente la soddisfazione equa al riguardo del motivo di appello relativo alla detenzione provvisoria ingiusta.
89. La Corte constata che, siccome risulta sopra del paragrafo 90, nelle sue osservazioni sulla soddisfazione equa il richiedente ha chiesto il risarcimento dei danni giuridici e patrimoniali che derivano non solo della durata dei procedimenti che cadono sul risarcimento per detenzione ingiusta ma anche della durata dei procedimenti Pinto e della condanna al pagamento degli oneri e spese con la Corte di cassazione.
90. La Corte rileva anche che l’unica basa a considerare per la concessione di una soddisfazione equa risiedo, nello specifico, nelle violazioni dell’articolo 6 della Convenzione, constatata sopra ai paragrafi 31-35 e 38-45.
91. Nel causa Belperio e Ciarmoli c. Italia, no 7932/04, 21 dicembre 2010, concernente la durata di procedimenti Pinto, la Corte ha stabilito che, allo visto delle circostanze specifiche delle cause, un approccio uniforme si imporsi ed una somma forfetaria di 200 EUR è stata accordata ad ogni richiedente. Nello specifico, tuttavia, tenuto conto delle circostanze particolari della causa e deliberando in equità siccome lo vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte stima equa di accordare globalmente congiuntamente agli eredi del richiedente 1 500 EUR per danno morale.
92. In ciò che riguarda il danno patrimoniale causato dalla condanna agli oneri nella cornice del procedimento dinnanzi alla Corte di cassazione Pinto, paragrafo 21 sopra, avuto riguardo al fatto che la corte di appello aveva accordato a titolo del danno morale una somma considerata come adeguata per riparare la violazione dell’articolo 6 della Convenzione, la Corte stima ragionevole di accordare congiuntamente agli eredi del richiedente 8 500 EUR.
B. Oneri e spese
93. Giustificativi in appoggio, il richiedente chiedeva 71 000 EUR per gli oneri del procedimento dinnanzi alla Corte. Chiedeva anche alla Corte di accordargli la somma di 40 000 EUR a titolo degli oneri dei procedimenti nazionali.
94. Il Governo sostiene che il sono richieste sono in generale eccessive e quella relativa al procedimento dinnanzi alla Corte non pertinente.
95. La Corte ricorda che il sussidio degli oneri e spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si trovano stabilisco la loro realtà, la loro necessità e, di più, il carattere ragionevole del loro tasso, Iatridis c. Grecia (soddisfazione equa) [GC], no 31107/96, § 54, CEDH 2000-XI. Inoltre, gli oneri di giustizia sono recuperabili solamente nella misura in cui si riferiscono alle violazioni constatate (vedere, per esempio, Beyeler c. Italia (soddisfazione equa) [GC], no 33202/96, § 27, 28 maggio 2002; Sahin c. Germania [GC], no 30943/96, § 105, CEDH 2003-VIII.
96. Nello specifico, tenuto conto dei documenti nel suo possesso e della sua giurisprudenza, la Corte stima ragionevole l’intimo di 2 000 EUR per gli oneri del procedimento dinnanzi a lei e l’accordo congiuntamente agli eredi del richiedente.
97. In ciò che riguarda il restante della domanda, la Corte ricorda che gli oneri relativi ai procedimenti nazionali dovuti essere necessari, questo essere-a-argomento che il richiedente li ha dovuti impegnare per impedire la violazione o ci fare ovviare. Nell’occorrenza, avuta riguardo alla natura delle violazioni dell’articolo 6 della Convenzione constatata sopra ai paragrafi 35 e 45, durata dei procedimenti Pinto e condanna al pagamento degli oneri del procedimento dinnanzi alla Corte di cassazione Pinto, la Corte stima che il richiedente non poteva o, secondo il caso, non era supposto iniziare nessuno procedimento per impedire le violazioni o per ovviare e non ha esposto dunque nessuno onere. Di conseguenza, la Corte respinge la domanda per il surplus.
C. Interessi moratori
98. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE ALL’UNANIMITÀ
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello derivati della durata dei procedimenti Pinto e della condanna agli oneri del procedimento dinnanzi alla Corte di cassazione Pinto ed inammissibile per il surplus;

2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 della Convenzione (durata dei procedimenti Pinto);

3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 della Convenzione (condanna al pagamento degli oneri del procedimento dinnanzi alla Corte di cassazione Pinto);

4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare congiuntamente agli eredi del richiedente, nei tre mesi a contare del giorno dove la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, il seguente somme:
i, 1 500 EUR, mille cinque cento euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale,;
ii, 8 500 EUR, ottomila cinque cento euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno patrimoniale,;
iii, 2 000 EUR, duemila euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta con gli eredi del richiedente, per oneri e spese,;
b che a contare della scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno ad aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti di percentuale,;

5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 26 novembre 2013, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Işil Karakaş
Cancelliere Presidentessa

Testo Tradotto

Conclusions: Partiellement irrecevable
Violation de l’article 6 – Droit à un procès équitable (Article 6 – Procédure civile Article 6-1 – Délai raisonnable)
Violation de l’article 6 – Droit à un procès équitable (Article 6 – Procédure civile Article 6-1 – Procès équitable) Dommage matériel – réparation
Préjudice moral – réparation

DEUXIÈME SECTION

AFFAIRE FRANCESCO QUATTRONE c. ITALIE

(Requête no 13431/07)

ARRÊT

STRASBOURG

26 novembre 2013

Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Francesco Quattrone c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Işıl Karakaş, présidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Dragoljub Popović,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Egidijus Kūris, juges,
et de Stanley Naismith, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 5 novembre 2013,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. À l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 13431/07) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet Etat, OMISSIS (« le requérant »), avait saisi la Cour le 22 mars 2007 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »). Le requérant est décédé le 2 novembre 2012. Ses héritiers, OMISSIS nés respectivement en 1969 et 1979, ont informé la Cour qu’ils souhaitaient poursuivre la procédure. Pour des raisons d’ordre pratique, la Cour continuera d’appeler OMISSIS « le requérant ».
2. Le requérant a été représenté par OMISSIS, avocat à Messine. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, Mme E. Spatafora.
3. Le 11 février 2010, la requête a été communiquée au Gouvernement en ce qui concerne les griefs tirés de la durée de deux procédures Pinto et de la condamnation du requérant au frais et dépenses (article 6 § 1 de la Convention). Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a, en outre, été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
A. La première procédure
1. La procédure pénale RG nr 1099/1992
4. Par une ordonnance du 6 septembre 1992, le juge des investigations préliminaires (giudice per le indagini preliminari – ci-après le « GIP ») de Reggio de Calabre plaça le requérant en détention provisoire en raison des graves soupçons de culpabilité pour le délit de recel qui pesaient sur lui.
5. Le 13 novembre 1992, une assignation à domicile (« arresti domiciliari ») remplaça la détention provisoire. Le requérant fut remis en liberté le 9 février 1993 (« libertà provvisoria »).
6. Par un arrêt du 21 février 1994, le tribunal de Reggio de Calabre condamna le requérant à trois ans d’emprisonnement et à 8 000 000 lires italiennes d’amende. Par un arrêt du 18 mars 1998, la cour d’appel de Reggio de Calabre réduisit la peine à un an et neuf mois et à 4 000 000 lires italiennes d’amende. Par un arrêt du 26 octobre 1999, la Cour de cassation annula la condamnation et renvoya l’affaire à la cour d’appel.
7. Par un arrêt du 10 avril 2002, dont le texte fut déposé au greffe le 9 juillet 2002, la cour d’appel de Messine acquitta le requérant au motif que les faits reprochés n’étaient pas avérés (« perché il fatto non sussiste »).
2. La première procédure Pinto
8. Le 7 avril 2003, le requérant saisit la cour d’appel de Catanzaro au sens de la loi « Pinto », demandant le dédommagement des préjudices patrimoniaux et moraux subis du fait de la durée de la procédure principale (RG nr 1099/1992).
9. Par une décision du 10 juin 2003, la cour d’appel (nr 64/2003) se déclara incompétente et indiqua que le recours devait être introduit devant la cour d’appel de Reggio de Calabre.
10. Le 26 janvier 2004, le requérant saisit cette juridiction (nr 4/04) qui, par un jugement du 10 janvier 2008, déposé au greffe le 19 novembre 2008, constata le dépassement d’une durée raisonnable et condamna le ministère de la Justice au paiement de 4 500 EUR au requérant pour dommage moral, plus frais et dépens. Le requérant ne se pourvut pas en cassation.
11. Dans les observations présentées le 14 juillet 2010 en réponse à celles du Gouvernement, le requérant affirme que la somme Pinto n’avait pas encore été payée.
B. La deuxième procédure RG nr 7/1991
12. Le 2 décembre 1992, le GIP de Reggio de Calabre plaça en détention provisoire le requérant jusque-là assigné à domicile dans le cadre de la procédure RG n. 1099/1992. Le requérant était soupçonné de complicité d’homicide. Par une décision du 6 avril 1993, la Cour de cassation, après avoir constaté l’absence de graves indices de culpabilité nécessaires, aux termes de l’article 273 § 1 CPP, pour justifier la détention provisoire, cassa et annula sans renvoi l’ordonnance de placement en détention.
13. Par un décret du 3 juin 1994, le GIP classa sans suite les poursuites contre le requérant.
C. La troisième procédure RG nr 1296/1992
14. Accusé d’escroquerie, faux en écriture publique (« falso in atto pubblico ») et abus de fonction (« abuso di ufficio »), le requérant, détenu dans la prison de Messine en exécution de l’ordonnance du 2 décembre 1992, fit l’objet d’un nouveau placement en détention provisoire de la part du GIP de Reggio de Calabre décidé à une date non précisée.
15. Le requérant fut mis en liberté le 13 mars 1993. Par un arrêt du tribunal de Reggio de Calabre du 16 janvier 2001, déposé au greffe le 13 avril 2001, le requérant bénéficia, en partie, d’un acquittement et, pour le restant des faits, d’un non-lieu (« non doversi procedere ») au motif que les faits reprochés étaient, d’une part, couverts par la prescription et, d’autre part, ne faisait pas l’objet de plainte.
16. Le requérant ne saisit pas les juridictions internes au sens de la « loi Pinto ».
D. La quatrième procédure
1. La procédure pénale RG nr 17/92
17. Le 13 mars 1993, le GIP ordonna le placement du requérant en détention provisoire. La mesure fut exécutée le 15 mars 1993. Le requérant était soupçonné d’abus de fonction (« abuso di ufficio ») et d’association de malfaiteurs de type mafieux (« associazione a delinquere di stampo mafioso »). Le 24 juin 1993, en raison de son état de santé, il fut transféré dans un hôpital. Le 13 octobre 1993, le requérant fut remis en liberté. Par un arrêt du 18 juillet 2003, déposé au greffe le 17 octobre 2003, le tribunal de Reggio de Calabre acquitta le requérant au motif que les faits reprochés n’étaient pas avérés (« perché il fatto non sussiste »).
2. La deuxième procédure Pinto
18. Le 27 juillet 2004, le requérant saisit la cour d’appel de Catanzaro au sens de la loi « Pinto », demandant le dédommagement des préjudices patrimoniaux et moraux subis du fait de la durée de la quatrième procédure principale (RG nr 17/92).
19. Par une décision du 27 mai 2005, déposée au greffe le 14 juin 2005, la cour d’appel (nr 161/04) constata le dépassement d’une durée raisonnable et condamna le ministère de la Justice au paiement de 27 700 EUR au requérant pour dommage moral, plus frais et dépens. Elle rejeta, toutefois, la demande à titre de dommage matériel, en soutenant qu’un tel préjudice était non pas la conséquence de la durée de la procédure en tant que telle mais bien de la détention provisoire et de ce que la mise en examen s’était soldée par un acquittement.
20. La somme accordée en exécution de la décision Pinto, majorée d’intérêts, fut payée le 21 octobre 2005. Le requérant reçut 32 167,82 EUR.
21. Le requérant se pourvu en cassation. Dans ses observations le parquet avait proposé de considérer comme bien fondé une partie des griefs du requérant. Par un arrêt du 24 octobre 2007, déposé le 5 février 2008 (RG nr 18589/05), la Cour de cassation confirma la décision de la cour d’appel et condamna le requérant au paiement de 10 000 EUR au titre des frais de procédure. La décision ne contient pas de motifs sur ce point.
E. Les procédures en réparation pour détention provisoire « injuste »
1. La première procédure
22. Le 12 novembre 2003, le requérant saisit la cour d’appel de Messine afin d’obtenir la réparation des dommages subis en raison des trois premières périodes de détention provisoire. Il demanda l’application du plafond légal de l’indemnisation pour chacun de ces périodes.
Par une ordonnance du 19 janvier 2005, déposée au greffe le 1er mars 2005, la cour d’appel, sur le fondement de l’article 314 CPP, alinéa 1 (réparation pour injuste détention « substantielle », paragraphes 25 et 26 ci-dessous), fit partiellement droit à la demande du requérant. En rappelant la jurisprudence de la Cour de cassation, elle souligna que la procédure de réparation avait un caractère indemnitaire et qu’il y avait donc lieu de considérer la détention subie par l’intéressé dans son ensemble. Et ce indépendamment du fait que le requérant avait été acquitté (première et troisième procédures) et obtenu un classement sans suite (deuxième procédure) après l’annulation de l’ordonnance de mise en détention faute de graves indices de culpabilité (paragraphes 12 et 13 ci-dessus). La cour d’appel lui accorda 180 000 EUR pour dommages moraux et matériels en excluant de ces derniers ceux qui étaient, selon elle, la conséquence du fait d’être accusé dans le cadre d’une procédure pénale portant sur des crimes particulièrement graves. Le requérant se pourvu en cassation mais il fut débouté par un arrêt déposé au greffe le 21 décembre 2006.
2. La deuxième procédure
23. Le 6 octobre 2004, le requérant saisit la cour d’appel de Reggio de Calabre afin d’obtenir la réparation des dommages subis en raison de son incarcération dans le cadre de la quatrième procédure pénale. Par une ordonnance du 9 décembre 2005, déposée au greffe le 21 décembre 2005, en se fondant sur l’article 314 CPP, alinéa 1, (réparation pour injuste détention « substantielle », paragraphes 25 et 26 ci-dessous), la cour d’appel fit droit à la demande du requérant, lui accordant 150 000 EUR. Le requérant se pourvu en cassation mais il fut débouté par un arrêt déposé au greffe le 7 mars 2008.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
24. Le droit et la pratique internes pertinents relatifs à la loi no 89 du 24 mars 2001, dite « loi Pinto » figurent dans l’arrêt Cocchiarella c. Italie ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006-V).
25. En ce qui concerne le droit à réparation pour une détention provisoire « injuste », l’article 314 du CPP prévoit un droit à la réparation dans deux cas distincts : lorsque, à l’issue de la procédure pénale sur le fond, l’accusé est acquitté (réparation pour injustice dite « substantielle », prévue par l’alinéa 1) ou lorsqu’il est établi que le suspect a été placé ou maintenu en détention provisoire au mépris des articles 273 et 280 du CPP (réparation pour injustice dite « formelle », prévue par l’alinéa 2). L’article 273 § 1 CPP dispose :
« Nul ne peut être soumis à des mesures de détention provisoire s’il n’y a pas à sa charge de graves indices de culpabilité. »
26. L’article 314 §§ 1 et 2 du CPP se lit comme suit :
« 1. Quiconque est relaxé par un jugement définitif au motif que les faits reprochés ne se sont pas produits, qu’il n’a pas commis les faits, que les faits ne sont pas constitutifs d’une infraction ou ne sont pas érigés en infraction par la loi a droit à une réparation pour la détention provisoire subie, à condition de ne pas avoir provoqué [sa détention] ou contribué à la provoquer intentionnellement ou par faute lourde.
2. Le même droit est garanti à toute personne relaxée pour quelque motif que ce soit ou à toute personne condamnée qui au cours du procès a fait l’objet d’une détention provisoire, lorsqu’il est établi par une décision définitive que l’acte ayant ordonné la mesure a été pris ou prorogé alors que les conditions d’applicabilité prévues aux articles 273 et 280 n’étaient pas réunies. »
27. La Cour de cassation a précisé, à plusieurs reprises, que, par « décision définitive » qui constitue le fondement pour obtenir la réparation pour détention injuste, aux termes du deuxième alinéa de l’article 314 CPP, on se réfère à : l’ordonnance du tribunal chargé de réexaminer les mesures de précaution (« tribunale della libertà e del riesame ») qui n’a pas été contestée ; un arrêt de la Cour de cassation qui casse une décision dudit tribunal ou qui a été saisie directement après l’imposition d’une mesure de précaution privative de liberté (voir arrêt de la quatrième section de la Cour de cassation no 18237 du 7 février 2003, déposé au greffe le 17 avril 2003) ; une décision définitive portant sur le fond de la responsabilité pénale qui établit l’absence ab initio des conditions nécessaires pour l’applicabilité de la mesure de précaution (voir les arrêts de la quatrième section de la Cour de cassation no 42022 du 6 novembre 2006, déposé au greffe le 12 décembre 2006 et no 2660 du 3 décembre 2008, déposé le 21 janvier 2009).
28. Quant à la place de la jurisprudence de la Cour dans le système juridique italien et, notamment, à l’obligation des tribunaux internes d’adopter une interprétation du droit national conforme au droit conventionnel, voir le droit et la pratique internes dans la décision Daddi c. Italie (déc.), no 15476/09, 2 juin 2009.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE LA DURÉE DES PROCÉDURES « PINTO »
29. Le requérant allègue une violation de l’article 6 de la Convention du fait de la durée prétendument excessive des procédures « Pinto ». L’article 6 est ainsi libellé dans sa partie pertinente :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue (…) dans un délai raisonnable, par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) ».
A. Sur la recevabilité
30. La Cour, constatant que ce grief ne se heurte à aucun des motifs d’irrecevabilité inscrits à l’article 35 § 3 de la Convention, le déclare-t-elle recevable.
B. Sur le fond
31. Le Gouvernement soutient que la durée des deux procédures Pinto n’a pas entrâiné la violation de l’article 6 § 1. En ce qui concerne la première procédure, il estime que la durée se justifierait en raison du fait que le requérant avait, tout d’abord, saisi une juridiction incompétente, à savoir la cour d’appel de Catanzaro ; pour ce qui est de la deuxième procédure, il affirme qu’une durée de moins de quatre ans pour deux degrés de juridiction ne saurait être considérée comme déraisonnable.
32. La Cour note que les procédures « Pinto », qui ont commencé le 7 avril 2003 et le 27 juillet 2004, se sont achevées le 19 novembre 2008 et le 5 février 2008 respectivement. Elles ont donc duré cinq ans et sept mois et trois ans et six mois pour deux degrés de juridiction. S’agissant de la première procédure, même en prenant comme point de départ la date à laquelle le requérant a saisi l’autorité compétente pour trancher le litige, à savoir la cour d’appel de Reggio de Calabre, la durée globale pertinente est de près de cinq ans (26 janvier 2004 – 19 novembre 2008).
33. Dans l’arrêt CE.DI.SA Fortore S.N.C. Diagnostica Medica Chirurgica c. Italie (nos 41107/02 et 22405/03, § 39, 27 septembre 2011), la Cour a considéré qu’en principe pour deux degrés de juridiction la durée d’une procédure « Pinto » ne devrait pas, sauf circonstances exceptionnelles, dépasser deux ans.
34. La Cour observe que la durée des deux procédures Pinto a largement dépassé le délai susmentionné et qu’il n’existait, en l’espèce, aucune circonstance exceptionnelle de nature à justifier ce dépassement.
35. Partant, la Cour estime qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 DE LA CONVENTION EN RAISON DE LA CONDAMNATION AUX FRAIS ET DEPENS PAR LA COUR DE CASSATION « PINTO »
36. Le requérant estime que le montant des frais au paiement duquel il a été condamné par la Cour de cassation « Pinto » est excessif, arbitraire et revêt un caractère punitif. Dans ses observations du 14 juillet 2010, il affirme ne pas avoir saisi la Cour de cassation dans le cadre de la première procédure Pinto de peur d’être à nouveau condamné à des frais très élevées en cas de rejet de sa demande.
A. Sur la recevabilité
37. La Cour, constatant que ce grief ne se heurte à aucun des motifs d’irrecevabilité inscrits à l’article 35 § 3 de la Convention, le déclare-t-elle recevable.
B. Sur le fond
38. Le Gouvernement affirme que la condamnation se justifie en raison du fait que la demande du requérant n’était pas fondée et que la décision d’accorder et réglementer le droit au remboursement des frais et dépens à la partie victorieuse relèverait des choix discrétionnaires des États.
39. La Cour note, tout d’abord, l’importance du montant des frais au paiement desquels le requérant a été condamné, à savoir 10 000 EUR. Elle relève ensuite que la Cour de cassation n’a pas jugé la demande du requérant abusive ou téméraire et dans ses observations le parquet avait considéré bien fondé une partie des griefs du requérant (voir paragraphe 21 ci-dessus).
40. A la lumière de ces considérations et compte tenu de la nature de la procédure Pinto, la Cour est de l’avis qu’une telle somme pose, en soi, des doutes sur sa compatibilité avec l’esprit d’une procédure en réparation d’une violation de la Convention (voir Cocchiarella c. Italie [GC], no 64886/01, CEDH 2006 V).
41. La Cour constate, toutefois, que l’arrêt de la Cour de cassation Pinto est dépourvu de toute motivation sur le montant pour frais et dépens, ce qui rend impossible d’établir si cet arrêt constitue une entrave au remède « Pinto » ou bien s’il a réduit de façon substantielle le droit à la réparation Pinto reconnu par la cour d’appel de Catanzaro.
42. Selon la jurisprudence constante de la Cour, l’article 6 § 1 de la Convention oblige les tribunaux à motiver leurs décisions (Van de Hurk c. Pays-Bas, arrêt du 19 avril 1994, § 61, série A no 288).
43. L’étendue de cette obligation peut varier selon la nature de la décision et doit s’analyser à la lumière des circonstances de chaque espèce (Ruiz Torija c. Espagne, arrêt du 9 décembre 1994, § 29, série A no 303-A; Hiro Balani c. Espagne, arrêt du 9 décembre 1994, § 27, série A no 303 B; Higgins et autres c. France, arrêt du 19 février 1998, Recueil des arrêts et décisions 1998 I, p. 60, § 42).
44. L’obligation de motivation s’applique aussi à la condamnation aux frais et dépens (The Association for the Defence of Human Rights c. Roumanie (déc.), no 2959/11, 22 novembre 2011) et aux amendes imposées en raison du caractère abusif du recours (G.L. c. Italie, no 15384/89, décision de la Commission du 9 mai 1994, Décisions et rapports (DR) 77-A, p. 5).
45. En l’espèce, compte tenu aussi du montant élevé des frais par rapport à la nature de la procédure Pinto, la Cour estime que l’absence de toute justification dans les motifs de l’arrêt litigieux a entraîné la violation de l’article 6 de la Convention.
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE LA DURÉE DES PROCÉDURES PRINCIPALES
46. Le requérant dénonce la durée des première, troisième et quatrième procédures principales au regard de l’article 6 § 1 de la Convention et, en ce qui concerne spécifiquement la première et la quatrième procédure, l’insuffisance du redressement obtenu dans le cadre des recours « Pinto », compte tenu de l’absence de toute réparation pour les graves accusations qui ont nui à sa réputation.
Sur la troisième procédure
47. La Cour rappelle d’emblée que lorsqu’un requérant se plaint de la durée d’une procédure nationale il est exigé qu’il ait saisi les tribunaux internes au sens de la loi Pinto aux fins de l’article 35 § 1 de la Convention (Brusco c. Italie (déc.), no 69789/01, CEDH 2001 IX).
48. La Cour relève que le requérant n’a pas introduit un tel recours par rapport à la procédure interne en objet.
49. Pour cette raison, la Cour estime que cette partie de la requête est irrecevable pour non-épuisement des voies de recours internes et doit être rejetée conformément à l’article 35 §§ 1 et 4 de la Convention.
Sur la première et la quatrième procédures
50. La Cour rappelle sa jurisprudence dans l’affaire Cocchiarella c. Italie (arrêt précité, § 84) selon laquelle, dans ce genre d’affaires il appartient à la Cour de vérifier, d’une part, s’il y a eu reconnaissance par les autorités, au moins en substance, d’une violation d’un droit protégé par la Convention et, d’autre part, si le redressement peut être considéré comme approprié et suffisant.
51. La première condition, à savoir le constat de violation par les autorités nationales, ne prête pas à controverse comme il ressort des décisions des cours d’appel Pinto de Reggio de Calabre et Catanzaro.
52. Quant à la seconde condition, la Cour rappelle les caractéristiques que doit avoir un recours interne pour apporter un redressement approprié et suffisant ; il s’agit tout particulièrement du fait que pour évaluer le montant de l’indemnisation allouée par les juridictions nationales, la Cour examine, sur la base des éléments dont elle dispose, ce qu’elle aurait accordé dans la même situation pour la période prise en considération par la juridiction interne (Cocchiarella, précité, §§ 86-107).
53. La Cour constate que les procédures litigieuses ont débuté le 6 septembre 1992 et le 13 mars 1993 et ont pris fin le 9 juillet 2002 et le 17 octobre 2003. Ainsi, la durée desdites procédures a été respectivement de neuf ans et dix mois pour trois degrés de juridiction et de dix ans et sept mois pour un degré de juridiction.
54. En ce qui concerne la première procédure, le requérant soutient qu’il ne s’est pas pourvu en cassation en raison du fait que la procédure devant la cour d’appel Pinto a duré cinq ans, ce qui aurait dépourvu d’effectivité le remède interne. Même à supposer que, de ce fait, le requérant soit exempté d’épuiser les voies de recours internes, ce grief doit être rejeté pour défaut manifeste de fondement.
55. En effet, la Cour estime que la somme globalement obtenue par le requérant, à savoir 4 500 EUR, dépasse celle qu’elle aurait pu lui accorder compte tenu de l’existence du recours Pinto.
56. Quant au préjudice à la réputation du requérant, qui aurait eu, entre autres, des répercussions importantes sur ses revenus professionnels, la Cour estime que ledit préjudice ne saurait être imputé à la durée de la procédure mais plutôt aux accusations qui ont été portées contre lui sans qu’elles aboutissent à une déclaration de culpabilité.
57. L’indemnisation reçue par le requérant peut donc passer pour adéquate et, de ce fait, apte à réparer la violation subie (Garino c. Italie (déc.), nos 16605/03, 16641/03 et 16644/03).
58. Par conséquent, le requérant ne peut plus se prétendre « victime » d’une violation des droits reconnus par la Convention concernant la durée de la première procédure, au sens de l’article 34 de la Convention.
59. Pour les mêmes raisons, le grief portant sur la quatrième procédure doit être rejeté pour défaut manifeste de fondement. En effet, la Cour estime que la somme globalement obtenue par le requérant, à savoir 27 700 EUR, dépasse celle qu’elle aurait pu lui accorder compte tenu de l’existence du recours Pinto. A la lumière des raisons exposées au paragraphe 56 ci-dessus, aucune réparation au titre de préjudice matériel ne saurait être accordé au requérant dans le cadre du grief concernant la durée de la procédure.
56. Les indemnisations reçues par le requérant pouvant donc passer pour adéquates et aptes à réparer la violation subie (Garino c. Italie, précitée), le requérant ne peut plus se prétendre « victime » d’une violation des droits reconnus par la Convention, au sens de l’article 34 de la Convention.
57. Ces griefs sont donc manifestement mal fondés et doivent être rejetés en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
IV. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE LA DURÉE DES PROCÉDURES RELATIVES À LA RÉPARATION POUR DÉTENTION INJUSTE
58. Le requérant se plaint en substance de la durée des procédures portant sur la réparation pour détention injuste.
59. Dans les décisions Grasso c. Italie (déc.), no 50488/99, 25 juin 2002 et Mercuri c. Italie (déc.), no 47247/99, 5 juillet 2001, concernant des « détentions injustes », la Cour a établi que le droit à réparation que les requérants entendaient faire valoir au niveau interne pouvait être qualifié de droit civil au sens de l’article 6 de la Convention et, que, par conséquent, ladite disposition trouvait à s’appliquer (voir aussi, mutatis mutandis, Georgiadis c. Grèce, 29 mai 1997, §§ 32-36, Recueil des arrêts et décisions 1997 III).
60. En l’espèce, la Cour relève que le requérant n’a pas saisi les juridictions « Pinto ».
61. La Cour rappelle que la règle de l’épuisement des voies de recours internes vise à ménager aux Etats contractants l’occasion de prévenir ou de redresser les violations alléguées contre eux avant que ces allégations ne lui soient soumises (voir, parmi beaucoup d’autres, Remli c. France, 23 avril 1996, § 33, Recueil 1996-II, et Selmouni c. France [GC], no 25803/94, § 74, CEDH 1999-V). Cette règle se fonde sur l’hypothèse, objet de l’article 13 de la Convention – et avec lequel elle présente d’étroites affinités –, que l’ordre interne offre un recours effectif quant à la violation alléguée (Kudła c. Pologne [GC], no 30210/96, § 152, CEDH 2000-XI). De la sorte, elle constitue un aspect important du principe voulant que le mécanisme de sauvegarde instauré par la Convention revête un caractère subsidiaire par rapport aux systèmes nationaux de garantie des droits de l’homme (Akdivar et autres c. Turquie, 16 septembre 1996, § 65, Recueil 1996-IV).
62. Cependant, l’obligation découlant de l’article 35 se limite à celle de faire un usage normal des recours vraisemblablement effectifs, suffisants et accessibles (Sofri et autres c. Italie (déc.), no 37235/97, CEDH 2003-VIII). En particulier, la Convention ne prescrit l’épuisement que des recours à la fois relatifs aux violations incriminées, disponibles et adéquats. Ils doivent exister à un degré suffisant de certitude non seulement en théorie mais aussi en pratique, sans quoi leur manquent l’effectivité et l’accessibilité voulues (Dalia c. France, 19 février 1998, § 38, Recueil 1998-I).
63. La Cour rappelle que le simple fait de nourrir des doutes quant aux perspectives de succès d’un recours donné qui n’est pas de toute évidence voué à l’échec ne constitue pas une raison valable pour justifier la non-utilisation de recours internes (Brusco c. Italie (déc.), no 69789/01, CEDH 2001 IX, Scoppola c. Italie (no 2) [GC], no 10249/03, § 70, 17 septembre 2009). Au contraire, il y a intérêt à saisir le tribunal compétent, afin de lui permettre de développer les droits existants en usant de son pouvoir d’interprétation (voir, Ciupercescu c. Roumanie, no 35555/03, § 169, 15 juin 2010 et Iambor c. Roumanie (no 1), no 64536/01, § 221, 24 juin 2008). De surcroît, la Cour note que, dans la mesure du possible, en droit interne une interprétation conforme au droit conventionnel s’imposerait aux juridictions nationales comme l’a affirmé à plusieurs reprise la Cour constitutionnelle italienne, notamment dans ses arrêts nos 348 et 349 de 2007 (voir Daddi c. Italie (déc.), no 15476/09, 2 juin 2009).
64. La Cour estime qu’au stade actuel rien ne permet de penser que la loi Pinto ne constituerait pas un recours à épuiser afin de remédier à la durée déraisonnable de la procédure relative à la détention injuste. D’ailleurs le requérant n’a fourni aucun élément ou circonstance particulière de nature à amener la Cour à parvenir à une conclusion différente.
65. Par conséquent, ce grief doit être rejeté pour non-épuisement des voies de recours internes, en application de l’article 35 §§ 1 et 4 de la Convention.
V. SUR LES VIOLATIONS ALLÉGUÉES DES ARTICLES 5 §§ 1 c) et 5, 8 ET 13 DE LA CONVENTION ET 1 DU PROTOCOLE No 1
66. Invoquant les articles 5 §§ 1 c) et 5, 8 et 13 de la Convention et 1 du Protocole no 1, le requérant se plaint que la détention provisoire soufferte dans le cadre des quatre procédures principales était injuste et considère que la réparation accordée était insuffisante.
67. Maîtresse de la qualification juridique des faits de la cause, la Cour estime que les griefs du requérant appellent un examen exclusivement sous l’angle de l’article 5 §§ 1 c) et 5 qui se lit ainsi :
Article 5
« 1. Toute personne a droit à la liberté et à la sûreté. Nul ne peut être privé de sa liberté, sauf dans les cas suivants et selon les voies légales :
(…)
c) s’il a été arrêté et détenu en vue d’être conduit devant l’autorité judiciaire compétente, lorsqu’il y a des raisons plausibles de soupçonner qu’il a commis une infraction ou qu’il y a des motifs raisonnables de croire à la nécessité de l’empêcher de commettre une infraction ou de s’enfuir après l’accomplissement de celle-ci ;
(…)
5. Toute personne victime d’une arrestation ou d’une détention dans des conditions contraires aux dispositions de cet article a droit à réparation. »
68. En ce qui concerne la détention soufferte dans le cadre de la deuxième procédure principale, le requérant soutient que, compte tenu de ce qu’elle n’était pas fondée sur l’illégalité formelle de la détention mais uniquement sur son injustice substantielle, la décision d’accorder la réparation n’est pas, en soi, apte à réparer à la violation de l’article 5 § 1 c) implicitement reconnue par la Cour de cassation. Enfin, la détention provisoire aurait gravement nui à sa réputation.
69. La Cour relève, tout d’abord, que le 6 avril 1993, en annulant la mesure de la détention provisoire décidée par le juge des investigations préliminaires, la Cour de cassation a estimé qu’il n’existait pas de raisons plausibles de soupçonner que le requérant avait commis une infraction (paragraphe 12 ci-dessus) ce qui constitue une reconnaissance implicite de la violation de l’article 5 § 1 c). Elle observe, ensuite, que la cour d’appel de Messine a fait droit, sur le fondement du premier alinéa de l’article 314 CPP (qui prévoit la réparation pour la détention injuste « substantielle », voir paragraphe 25 ci-dessus), à la demande introduite par le requérant le 12 novembre 2003 en lui accordant 180 000 EUR pour dommages moraux et matériels. La somme obtenue par le requérant est bien supérieure à celle que la Cour aurait accordé à titre de dommage moral en cas de constat de violation de l’article 5 § 1 c).
70. Dans ces conditions, la compensation due au requérant selon le CPP italien du fait de son acquittement se confond avec toute compensation à laquelle il aurait pu avoir droit au sens de l’article 5 § 1 c) de la Convention (voir, mutatis mutandis, N.C. c. Italie [GC], no 24952/94, § 57, CEDH 2002 X et, Pisano c. Italie [GC], arrêt (radiation) du 24 octobre 2002, no 36732/97, § 47).
71. Enfin, la Cour partage l’avis des tribunaux nationaux selon lesquels l’atteinte à la réputation ne saurait être liée spécifiquement au fait de la détention mais à l’existence même d’une procédure pénale.
72. Dès lors, la Cour estime que le requérant ne peut plus se prétendre victime au sens de l’article 34 de la Convention, les autorités nationales ayant reconnu et réparé la violation de la Convention (voir, mutatis mutandis, les arrêts Amuur c. France du 25 juin 1996, § 36, Recueil 1996-IIIet Dalban c. Roumanie [GC], no 28114/95, § 44, CEDH 1999-VI). Cette partie de la requête est partant manifestement mal fondée et doit être rejetée conformément à l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
73. Pour ce qui est de la détention soufferte dans le cadre de la première, de la troisième et de la quatrième procédures principales, la Cour constate que le requérant soutient avoir épuisé les voies de recours internes en ayant saisi les cours d’appel compétentes afin d’obtenir la réparation pour la détention injuste.
74. La Cour relève qu’il ne ressort pas du dossier que le requérant ait contesté les mesures de placement en détention devant le tribunal chargé de réexaminer les mesures de précaution (voir paragraphes 4-5, 14 et 17 ci-dessus).
75. Elle note que la procédure en réparation pour détention injuste ne constitue pas, en l’absence d’une reconnaissance préalable de l’illégalité formelle de la détention, un remède effectif afin de contester les violations de l’article 5 de la Convention. En effet, les juges de la réparation pour détention injuste ne sont pas compétents pour déclarer l’injustice formelle d’une détention mais ils peuvent seulement accorder, aux termes de l’article 314 § 2 CPP, une réparation sur le fondement d’une préalable décision définitive attestant l’illégalité de telle détention (voir paragraphes 25-27 ci dessus). Il s’ensuit que cette partie de la requête doit être rejetée pour non-épuisement des voies de recours internes, conformément à l’article 35 §§ 1 et 4 de la Convention.
76. S’agissant du grief portant sur la violation de l’article 5 § 5, la Cour rappelle que cette disposition se trouve respectée dès lors que l’on peut demander réparation du chef d’une privation de liberté opérée dans des conditions contraires aux paragraphes 1, 2, 3 ou 4 (Wassink c. Pays-Bas, 27 septembre 1990, § 38, série A no 185-A, et Houtman et Meeus c. Belgique, no 22945/07, § 43, 17 mars 2009). Le droit à réparation énoncé au paragraphe 5 suppose donc qu’une violation de l’un de ces autres paragraphes ait été établie par une autorité nationale ou par les institutions de la Convention. A cet égard, la jouissance effective du droit à réparation garantie par cette dernière disposition doit se trouver assurée à un degré suffisant de certitude (Stanev c. Bulgarie [GC], no 36760/06, § 182, CEDH 2012, Ciulla c. Italie, 22 février 1989, § 44, Série A no 148, Sakık et autres c. Turquie, 26 novembre 1997, § 60, Recueil 1997 VII, et N.C. c. Italie, arrêt précité, § 49).
77. En l’espèce, pour ce qui est de la deuxième procédure, le requérant a saisi, aux termes de l’article 314 CPP, les tribunaux internes afin d’obtenir la réparation pour la détention injuste soufferte. Au vu des conclusions auxquelles la Cour est parvenue aux paragraphes 72-76 ci-dessus, elle estime que les tribunaux internes ont garanti la jouissance effective du droit à la réparation de l’article 5 § 5 de la Convention.
78. Il s’ensuit que ce grief doit être rejeté pour défaut manifeste de fondement en application de l’article 35 §§ 3 a) et 4 de la Convention.
79. En ce qui concerne les autres procédures, la Cour relève qu’aucune violation de l’article 5 §§ 1, 2, 3 ou 4 n’a été constatée, ni par les tribunaux internes ni même par la Cour. Il s’ensuit que l’article 5 § 5 ne trouve pas à s’appliquer à cet égard et le grief y relatif doit être rejeté en tant qu’incompatible ratione materiae avec les dispositions de la Convention, selon l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
VI. SUR LES VIOLATIONS ALLÉGUÉES DES ARTICLES 3 ET 5 DE LA CONVENTION
80. Le requérant affirme, ensuite, que les quatre mesures de détention provisoire qui se sont enchaînées visaient à l’amener à avouer, ce qui aurait entraîné la violation des articles 3 et 5 de la Convention.
81. Les articles 3 et 5 sont ainsi libellés :
Article 3
« Nul ne peut être soumis à la torture ni à des peines ou traitements inhumains ou dégradants. »
Article 5
« 1. Toute personne a droit à la liberté et à la sûreté. Nul ne peut être privé de sa liberté, sauf dans les cas suivants et selon les voies légales :
a) s’il est détenu régulièrement après condamnation par un tribunal compétent ;
b) s’il a fait l’objet d’une arrestation ou d’une détention régulières pour insoumission à une ordonnance rendue, conformément à la loi, par un tribunal ou en vue de garantir l’exécution d’une obligation prescrite par la loi ;
c) s’il a été arrêté et détenu en vue d’être conduit devant l’autorité judiciaire compétente, lorsqu’il y a des raisons plausibles de soupçonner qu’il a commis une infraction ou qu’il y a des motifs raisonnables de croire à la nécessité de l’empêcher de commettre une infraction ou de s’enfuir après l’accomplissement de celle-ci ;
d) s’il s’agit de la détention régulière d’un mineur, décidée pour son éducation surveillée ou de sa détention régulière, afin de le traduire devant l’autorité compétente ;
e) s’il s’agit de la détention régulière d’une personne susceptible de propager une maladie contagieuse, d’un aliéné, d’un alcoolique, d’un toxicomane ou d’un vagabond ;
f) s’il s’agit de l’arrestation ou de la détention régulières d’une personne pour l’empêcher de pénétrer irrégulièrement dans le territoire, ou contre laquelle une procédure d’expulsion ou d’extradition est en cours.
(…)
82. Ayant saisi les cours d’appel afin d’obtenir la réparation pour la détention injuste, le requérant estime qu’il aurait satisfait à la condition de l’épuisement des voies de recours internes.
83. La Cour relève que, afin de contester la légalité des quatre mesures de détention provisoire, le requérant aurait dû soit contester chaque mesure auprès des autorités nationales compétentes (notamment, le tribunal chargé de réexaminer les mesures de précaution) soit, en l’absence d’un recours interne accessible et effectif, saisir la Cour dans les six mois à partir de la fin de la dernière période de détention provisoire.
84. La Cour constate, d’une part, qu’il ne ressort pas du dossier que le requérant ait contesté auprès des tribunaux compétents les mesures de détention provisoire ordonnées dans le cadre de la première, la troisième et la quatrième procédure et, d’autre part, que pour les raisons exposées au paragraphe 79 ci-dessus la procédure en réparation pour détention injuste n’est pas un remède effectif afin de reconnaître l’injustice « formelle » d’une détention provisoire en l’absence d’une décision définitive préalable attestant l’illégalité de telle mesure. La Cour estime que ce grief devrait ainsi être rejeté pour non-épuisement des voies de recours internes. Toutefois, même à supposer qu’aucune voie de recours internes était en principe ouverte au requérant afin de soulever au moins en substance son grief, compte tenu du fait que la requête a été introduite le 22 mars 2007 et que le requérant a été définitivement remis en liberté le 13 octobre 1993, ce grief a été introduit au-delà du délai des six mois et doit être rejeté conformément à l’article 35 §§ 1 et 4 de la Convention.
VII. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
85. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
86. Le requérant réclamait 2 500 000 euros (EUR) au titre du préjudice moral et 1 800 000 EUR au titre du préjudice matériel subi en raison des atteintes à ses droits garantis par les articles 3, 5, 6, 8, 13 de la Convention et 1 du Protocole no 1. Il soulignait, notamment, le fait qu’il avait fallu attendre plus de cinq ans « pour obtenir de misérables compensations […] pour l’injuste détention provisoire et pour la durée anormale des procès (avec, en plus, une condamnation au paiement d’une somme anormale pour frais et dépens) ».
87. Le requérant demandait aussi 10 000 EUR qui constituent la somme à laquelle il avait été condamné par la Cour de cassation Pinto à titre de frais de la procédure (voir paragraphe 21 ci-dessus).
88. Le Gouvernement soutient que le requérant a demandé la satisfaction équitable seulement à l’égard du grief relatif à la détention provisoire injuste.
89. La Cour constate que, comme il ressort du paragraphe 90 ci-dessus, dans ses observations sur la satisfaction équitable le requérant a demandé la reparation des dommages moraux et patrimoniaux découlant non seulement de la durée des procédures portant sur la réparation pour détention injuste mais aussi de la durée des procédures Pinto et de la condamnation au paiement des frais et dépens par la Cour de cassation.
90. La Cour relève aussi que la seule base à retenir pour l’octroi d’une satisfaction équitable réside, en l’espèce, dans les violations de l’article 6 de la Convention (constatées aux paragraphes 31-35 et 38-45 ci-dessus).
91. Dans l’affaire Belperio et Ciarmoli c. Italie (no 7932/04, 21 décembre 2010), concernant la durée de procédures Pinto, la Cour a établi que, au vu des circonstances spécifiques des affaires, une approche uniforme s’imposait et une somme forfaitaire de 200 EUR a été accordée à chaque requérant. En l’espèce, toutefois, compte tenu des circonstances particulières de l’affaire et statuant en équité comme le veut l’article 41 de la Convention, la Cour estime équitable d’accorder globalement aux héritiers du requérant conjointement 1 500 EUR pour dommage moral.
92. En ce qui concerne le dommage matériel causé par la condamnation aux frais dans le cadre de la procédure devant la Cour de cassation Pinto (paragraphe 21 ci-dessus), eu égard au fait que la cour d’appel avait accordé au titre du dommage moral une somme considérée comme adéquate pour réparer la violation de l’article 6 de la Convention, la Cour estime raisonnable d’accorder aux héritiers du requérant conjointement 8 500 EUR.
B. Frais et dépens
93. Justificatifs à l’appui, le requérant demandait 71 000 EUR pour les frais de la procédure devant la Cour. Il demandait également à la Cour de lui accorder la somme de 40 000 EUR au titre des frais des procédures nationales.
94. Le Gouvernement soutient que les sommes réclamées sont en général excessives et celle relative à la procédure devant la Cour non pertinente.
95. La Cour rappelle que l’allocation des frais et dépens au titre de l’article 41 présuppose que se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et, de plus, le caractère raisonnable de leur taux (Iatridis c. Grèce (satisfaction équitable) [GC], no 31107/96, § 54, CEDH 2000-XI). En outre, les frais de justice ne sont recouvrables que dans la mesure où ils se rapportent aux violations constatées (voir, par exemple, Beyeler c. Italie (satisfaction équitable) [GC], no 33202/96, § 27, 28 mai 2002; Sahin c. Allemagne [GC], no 30943/96, § 105, CEDH 2003-VIII).
96. En l’espèce, compte tenu des documents en sa possession et de sa jurisprudence, la Cour estime raisonnable la somme de 2 000 EUR pour les frais de la procédure devant elle et l’accorde aux héritiers du requérant conjointement.
97. En ce qui concerne le restant de la demande, la Cour rappelle que les frais relatifs aux procédures nationales doivent avoir été nécessaires, c’est-à-dire que le requérant a dû les engager pour empêcher la violation ou y faire remédier. En l’occurrence, eu égard à la nature des violations de l’article 6 de la Convention constatées aux paragraphes 35 et 45 ci-dessus (durée des procédures Pinto et condamnation au paiement des frais de la procédure devant la Cour de cassation Pinto), la Cour estime que le requérant ne pouvait ou, selon le cas, n’était pas censé entamer aucune procédure pour empêcher les violations ou pour y remédier et n’a donc exposé aucun frais. Par conséquent, la Cour rejette la demande pour le surplus.
C. Intérêts moratoires
98. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR À L’UNANIMITÉ
1. Déclare la requête recevable quant aux griefs tirés de la durée des procédures Pinto et de la condamnation aux frais de la procédure devant la Cour de cassation Pinto et irrecevable pour le surplus ;

2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 de la Convention (durée des procédures Pinto) ;

3. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 de la Convention (condamnation au paiement des frais de la procédure devant la Cour de cassation Pinto) ;

4. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser aux héritiers du requérant conjointement, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes :
i) 1 500 EUR (mille cinq cents euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour dommage moral ;
ii) 8 500 EUR (huit mille cinq cents euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour dommage matériel ;
iii) 2 000 EUR (deux mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par les héritiers du requérant, pour frais et dépens ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;

5. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 26 novembre 2013, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Stanley Naismith Işil Karakaş
Greffier Présidente

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