Conclusione Violazione dell’art. 6-1
PRIMA SEZIONE
CAUSA FLARIS C. GRECIA
(Richiesta no 54053/07)
SENTENZA
STRASBURGO
22 aprile 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Flaris c. Grecia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, riunendosi in una camera composta da:
Nina Vajić, presidentessa, Christos Rozakis, Khanlar Hajiyev, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens, Giorgio Malinverni, George Nicolaou, giudici,
e dai Søren Nielsen, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 25 marzo 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 54053/07) diretta contro la Repubblica ellenica e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. P. F. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 6 dicembre 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da K. T., avvocato al foro di Atene. Il governo greco (“il Governo”) è rappresentato dai delegati del suo agente, i Sigg. G. Kanellopoulos, assessore presso il Consulente legale dello stato, e I. Bakopoulos, revisore presso il Consulente legale dello stato.
3. Il 10 aprile 2009, la presidentessa della prima sezione ha deciso di comunicare il motivo di appello derivato dalla durata del procedimento al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1957 e risiede a Kyparissia (Peloponneso). Fa il medico.
5. Il 15 ottobre 1998, il richiedente investì il tribunale di prima istanza di Atene di un’azione contro una persona giuridica di diritto pubblico, l’organismo di Sicurezza Sociale (Ίδρυμα Κοινωνικών Ασφαλίσεων – qui di seguito “l’IKA”), in seno della quale aveva lavorato tra il 1992 e il 1998. Il richiedente denunciava la risoluzione del suo contratto di lavoro e richiedeva diverse somme a titolo degli stipendi dovuti. L’udienza, inizialmente fissata al 20 aprile 1999, ebbe luogo il 15 febbraio 2000.
6. Il 10 maggio 2000, il tribunale fece diritto al ricorso, decisione no 1017/2000.
7. Il 22 giugno 2000, l’IKA interpose appello. L’udienza ebbe luogo il 6 febbraio 2001.
8. Il 29 giugno 2001, la corte di appello di Atene confermò la decisione attaccata, sentenza no 5608/2001.
9. Il 1 marzo 2002, l’IKA ricorse in cassazione. L’ 8 gennaio 2004, l’IKA chiese la determinazione di una data dell’ udienza. Questa ebbe luogo, dopo un rinvio, il 24 gennaio 2006.
10. Il 20 giugno 2006, la seconda camera della Corte di cassazione rinviò la causa dinnanzi alla formazione plenaria, sentenza no 1311/2006. Il 9 novembre 2006, il richiedente chiese la determinazione di una data d’ udienza. Questa ebbe luogo il 22 marzo 2007.
11. L’ 11 giugno 2007, la formazione plenaria della Corte di cassazione fece diritto al ricorso dell’IKA, annullò la sentenza no 5608/2001 e rinviò la causa dinnanzi alla corte di appello composta differentemente, sentenza no 21/2007. Questa sentenza fu messa in copia definitiva e fu certificata conforme il 20 giugno 2007.
12. Il richiedente non ha indicato se ha intrapreso dei passi dinnanzi alla giurisdizione di appello. Questa è, ad ogni modo, legata dalle conclusioni considerate dall’alta giurisdizione.
IN DIRITTO
I. SULLE VIOLAZIONI ADDOTTE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
13. Il richiedente si lamenta dell’equità e della durata del procedimento controverso. Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione le cui le parti pertinenti sono formulate così:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
A. Sul motivo di appello derivato dall’equità del procedimento
Sull’ammissibilità
14. La Corte ricorda che ai termini dell’articolo 19 della Convenzione, ha per compito di garantire il rispetto degli impegni che risultano dalla Convenzione per le Parti contraenti. In particolare, non le appartiene conoscere degli errori di fatto o di diritto presumibilmente commessi da una giurisdizione interna, salvo se e nella misura in cui hanno potuto portare attentato ai diritti e alle libertà salvaguardati dalla Convenzione (vedere, in particolare, García Ruiz c. Spagna [GC], no 30544/96, § 28, CEDH 1999-I). In più, incombe al primo capo sulle autorità nazionali, e singolarmente ai corsi e tribunali, interpretare ed applicare il diritto interno (vedere, tra molte altre, Streletz, Kessler e Krenz c. Germania [GC], numeri 34044/96, 35532/97 e 44801/98, § 49, CEDH 2001-II).
15. Ora, la Corte non scopre nessuno indizio di arbitrarietà nello svolgimento del procedimento che ha rispettato il principio del contraddittorio e durante il quale il richiedente ha avuto la possibilità di presentare tutti gli argomenti per la difesa dei suoi interessi. In conclusione, la Corte stima che, considerato nel suo insieme, il procedimento controverso ha rivestito un carattere equo, ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
16. Pertanto, questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
B. Sul motivo di appello derivato dalla durata del procedimento
1. Sull’ammissibilità
17. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva inoltre che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
2. Sul merito
a) Periodo da prendere in considerazione
18. La Corte nota che il procedimento controverso non è formalmente finito, perché la causa è attualmente pendente dinnanzi alla corte di appello, dopo rinvio da parte della Corte di cassazione. Il richiedente non ha indicato se ha intrapreso dei passi dinnanzi a questa giurisdizione. Ora, ad ogni modo, se la corte di appello è investita di nuovo della causa, respingerà il richiedente conformemente alle conclusioni considerate dalla Corte di cassazione. Sembra dunque che il richiedente sia cosciente che il procedimento su rinvio non ha nessuna fortuna di terminare a suo favore (vedere, in questo senso, tra molte altre, Meïdanis c. Grecia, no 33977/06, § 20, 22 maggio 2008; Chatzimanikas c. Grecia, no 487/07, § 18, 31 luglio 2008). La Corte stima che questo approccio è ragionevole. Quindi, c’è luogo di considerare che la decisione interna definitiva è nell’occorrenza la sentenza no 21/2007 della formazione plenaria della Corte di cassazione.
19. In queste condizioni, il procedimento controverso è cominciato il 15 ottobre 1998, con l’immissione nel processo del tribunale di prima istanza di Atene, e si è concluso il 20 giugno 2007, col collocamento in bella copia della sentenza no 21/2007 della formazione plenaria della Corte di cassazione. È durato otto anni e più di otto mesi per tre istanze dunque.
b) Carattere ragionevole della durata del procedimento
20. Il Governo invoca la complessità della causa ed afferma che il procedimento è stato condotto con zelo. Riferendosi al codice di procedimento civile che lascia l’iniziativa del procedimento alle parti, stima che la cronologia attesta la mancanza di zelo delle parti nello specifico che hanno contribuito all’allungamento del procedimento. Arguisce in particolare che l’IKA ha aspettato quasi due anni prima di chiedere la determinazione di una data d’ udienza dinnanzi alla seconda camera della Corte di cassazione e che il richiedente ha impiegato cinque mesi per riprendere l’istanza dinnanzi alla formazione plenaria dell’alta giurisdizione. Stima che questi termini devono essere dedotti dalla durata globale del procedimento.
21. Il richiedente stima che non è in nessun modo responsabile dei ritardi osservati nello svolgimento del procedimento ed afferma che la sua causa ha conosciuto una durata eccessiva.
22. La Corte ricorda che il carattere ragionevole della durata di un procedimento si rivaluta secondo le circostanze della causa ed avuto riguardo ai criteri consacrati dalla sua giurisprudenza, in particolare la complessità della causa, il comportamento del richiedente e quello delle autorità competenti così come la posta della controversia per gli interessati (vedere, tra molte altre, Frydlender c. Francia [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII).
23. La Corte ha trattato a più riprese cause che sollevavano delle questioni simili a quella del caso di specie e ha constatato la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (vedere Frydlender precitata).
24. Dopo avere esaminato tutti gli elementi che le sono stati sottoposti, la Corte considera che il Governo non ha esposto nessuno fatto né argomento da poter condurre ad una conclusione differente nel caso presente. Difatti, trattandosi del ritardo impiegato dall’IKA, organismo statale, per chiedere la determinazione di una data d’ udienza dinnanzi alla seconda camera della Corte di cassazione, la Corte stima che questo non potrebbe essere imputabile al richiedente. Inoltre, se è vero che, in seguito al rinvio della causa dinnanzi alla formazione plenaria dell’alta giurisdizione, il richiedente ha impiegato quasi cinque mesi per riprendere l’istanza, non ne rimane meno che anche se si deducesse dalla durata globale del procedimento il ritardo di cinque mesi circa che possono essere assegnatogli, questa rimane eccessiva. La Corte ricorda su questo punto che, anche nei casi in cui, come nello specifico, il procedimento è regolato dal principio dell’iniziativa delle parti, la nozione di “termine ragionevole” esige che i tribunali seguano anche lo svolgimento del procedimento e siano più attenti per ciò che riguarda il lasso di tempo tra due atti di procedimento (vedere, mutatis mutandis, Philippos Ioannidis c. Grecia, no 22957/06, § 21, 19 giugno 2008). Tenuto conto della sua giurisprudenza in materia la Corte stima quindi, , che nello specifico, la durata del procedimento controverso è eccessiva e non soddisfa l’esigenza del “termine ragionevole.”
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
25. Invocando l’articolo 1 del Protocollo no 1, il richiedente si lamenta infine di un attentato al suo diritto al rispetto dei suoi beni. Secondo lui, gli errori commessi dalle giurisdizioni interne all’epoca dell’esame della sua causa gli hanno impedito di beneficiare delle somme richieste nella sua azione.
Sull’ammissibilità
26. La Corte stima che il presunto credito del richiedente non può passare per un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1, poiché non è stata constatata da una decisione giudiziale avente forza di cosa giudicata. Tale è tuttavia la condizione affinché un credito sia certo ed esigibile e, pertanto, protetto dall’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere, tra altre, Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 59, serie A, no 301-B).
27. In particolare, la Corte nota che, finché la sua causa era pendente dinnanzi alle giurisdizioni interne, la sua azione non faceva nascere nessuno diritto, a capo del richiedente, di credito, ma unicamente l’eventualità di ottenere simile credito. Ora, ricorda che il richiedente fu respinto alla conclusione del procedimento controverso e stima che le giurisdizioni avendo respinto la sua istanza non hanno potuto avere per effetto di privarlo di un bene di cui era proprietario.
28. Ne segue che questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
29. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
30. Il richiedente richiede 132 801,43 euro (EUR) a titolo del danno patrimoniale. Afferma che questa somma che corrisponde all’importo che era oggetto della controversia dinnanzi alle giurisdizioni nazionali, deve essere aumentata di interessi. Il richiedente richiede inoltre 100 000 EUR a titolo del danno morale che avrebbe subito.
31. Il Governo invita la Corte ad allontanare queste richieste.
32. La Corte ricorda che la constatazione di violazione della Convenzione al quale è giunta risulta esclusivamente da un’incomprensione del diritto dell’interessato a vedere la sua causa sentita in un “termine ragionevole.” In queste condizioni, non vede alcun legame di causalità tra la violazione constatata ed un qualsiasi danno patrimoniale di cui il richiedente avrebbe dovuto a soffrire; c’è dunque luogo di respingere questo aspetto delle sue pretese. In compenso, la Corte stima che il richiedente ha subito un torto morale certo che non compensa sufficientemente la constatazione di violazione della Convenzione. Deliberando in equità, gli accorda 4 000 EUR a questo titolo, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta.
B. Oneri e spese
33. Il richiedente chiede anche, senza altra precisazione, il rimborso della totalità degli oneri e delle spese incorsi dinnanzi alle giurisdizioni interne. Non produce nessuna fattura o nota di parcella. Richiede inoltre, fattura in appoggio, 5 000 EUR per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alla Corte.
34. Il Governo invita la Corte ad allontanare queste richieste.
35. La Corte ricorda che il sussidio di oneri e spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si stabilsica la loro realtà, la loro necessità, così come il carattere ragionevole del loro tasso (Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 54, CEDH 2000-XI).
36. Trattandosi degli oneri e delle spese incorsi in Grecia, la Corte osserva che le pretese del richiedente non sono corredate dai giustificativi necessari che permettono di calcolarli in modo preciso. Conviene allontanare la sua richiesta dunque. Per ciò che riguarda, peraltro, gli oneri esposti dinnanzi a lei, tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei criteri suddetti, la Corte giudica ragionevole assegnare al richiedente 1 500 EUR a questo titolo, più ogni importo che può essere dovuto da lui a titolo di imposta.
C. Interessi moratori
37. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dalla durata eccessiva del procedimento ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 4 000 EUR (quattromila euro) per danno giuridico e 1 500 EUR (mille cinque cento euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto da lui a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 22 aprile 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Søren Nielsen Nina Vajić
Cancelliere Presidentessa