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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE FLARIS c. GRECE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 54053/07/2010
Stato: Grecia
Data: 2010-04-22 00:00:00
Organo: Sezione Prima
Testo Originale

Conclusione Violazione dell’art. 6-1
PRIMA SEZIONE
CAUSA FLARIS C. GRECIA
(Richiesta no 54053/07)
SENTENZA
STRASBURGO
22 aprile 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Flaris c. Grecia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, riunendosi in una camera composta da:
Nina Vajić, presidentessa, Christos Rozakis, Khanlar Hajiyev, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens, Giorgio Malinverni, George Nicolaou, giudici,
e dai Søren Nielsen, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 25 marzo 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 54053/07) diretta contro la Repubblica ellenica e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. P. F. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 6 dicembre 2007 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da K. T., avvocato al foro di Atene. Il governo greco (“il Governo”) è rappresentato dai delegati del suo agente, i Sigg. G. Kanellopoulos, assessore presso il Consulente legale dello stato, e I. Bakopoulos, revisore presso il Consulente legale dello stato.
3. Il 10 aprile 2009, la presidentessa della prima sezione ha deciso di comunicare il motivo di appello derivato dalla durata del procedimento al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1957 e risiede a Kyparissia (Peloponneso). Fa il medico.
5. Il 15 ottobre 1998, il richiedente investì il tribunale di prima istanza di Atene di un’azione contro una persona giuridica di diritto pubblico, l’organismo di Sicurezza Sociale (Ίδρυμα Κοινωνικών Ασφαλίσεων – qui di seguito “l’IKA”), in seno della quale aveva lavorato tra il 1992 e il 1998. Il richiedente denunciava la risoluzione del suo contratto di lavoro e richiedeva diverse somme a titolo degli stipendi dovuti. L’udienza, inizialmente fissata al 20 aprile 1999, ebbe luogo il 15 febbraio 2000.
6. Il 10 maggio 2000, il tribunale fece diritto al ricorso, decisione no 1017/2000.
7. Il 22 giugno 2000, l’IKA interpose appello. L’udienza ebbe luogo il 6 febbraio 2001.
8. Il 29 giugno 2001, la corte di appello di Atene confermò la decisione attaccata, sentenza no 5608/2001.
9. Il 1 marzo 2002, l’IKA ricorse in cassazione. L’ 8 gennaio 2004, l’IKA chiese la determinazione di una data dell’ udienza. Questa ebbe luogo, dopo un rinvio, il 24 gennaio 2006.
10. Il 20 giugno 2006, la seconda camera della Corte di cassazione rinviò la causa dinnanzi alla formazione plenaria, sentenza no 1311/2006. Il 9 novembre 2006, il richiedente chiese la determinazione di una data d’ udienza. Questa ebbe luogo il 22 marzo 2007.
11. L’ 11 giugno 2007, la formazione plenaria della Corte di cassazione fece diritto al ricorso dell’IKA, annullò la sentenza no 5608/2001 e rinviò la causa dinnanzi alla corte di appello composta differentemente, sentenza no 21/2007. Questa sentenza fu messa in copia definitiva e fu certificata conforme il 20 giugno 2007.
12. Il richiedente non ha indicato se ha intrapreso dei passi dinnanzi alla giurisdizione di appello. Questa è, ad ogni modo, legata dalle conclusioni considerate dall’alta giurisdizione.
IN DIRITTO
I. SULLE VIOLAZIONI ADDOTTE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
13. Il richiedente si lamenta dell’equità e della durata del procedimento controverso. Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione le cui le parti pertinenti sono formulate così:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
A. Sul motivo di appello derivato dall’equità del procedimento
Sull’ammissibilità
14. La Corte ricorda che ai termini dell’articolo 19 della Convenzione, ha per compito di garantire il rispetto degli impegni che risultano dalla Convenzione per le Parti contraenti. In particolare, non le appartiene conoscere degli errori di fatto o di diritto presumibilmente commessi da una giurisdizione interna, salvo se e nella misura in cui hanno potuto portare attentato ai diritti e alle libertà salvaguardati dalla Convenzione (vedere, in particolare, García Ruiz c. Spagna [GC], no 30544/96, § 28, CEDH 1999-I). In più, incombe al primo capo sulle autorità nazionali, e singolarmente ai corsi e tribunali, interpretare ed applicare il diritto interno (vedere, tra molte altre, Streletz, Kessler e Krenz c. Germania [GC], numeri 34044/96, 35532/97 e 44801/98, § 49, CEDH 2001-II).
15. Ora, la Corte non scopre nessuno indizio di arbitrarietà nello svolgimento del procedimento che ha rispettato il principio del contraddittorio e durante il quale il richiedente ha avuto la possibilità di presentare tutti gli argomenti per la difesa dei suoi interessi. In conclusione, la Corte stima che, considerato nel suo insieme, il procedimento controverso ha rivestito un carattere equo, ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
16. Pertanto, questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
B. Sul motivo di appello derivato dalla durata del procedimento
1. Sull’ammissibilità
17. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva inoltre che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
2. Sul merito
a) Periodo da prendere in considerazione
18. La Corte nota che il procedimento controverso non è formalmente finito, perché la causa è attualmente pendente dinnanzi alla corte di appello, dopo rinvio da parte della Corte di cassazione. Il richiedente non ha indicato se ha intrapreso dei passi dinnanzi a questa giurisdizione. Ora, ad ogni modo, se la corte di appello è investita di nuovo della causa, respingerà il richiedente conformemente alle conclusioni considerate dalla Corte di cassazione. Sembra dunque che il richiedente sia cosciente che il procedimento su rinvio non ha nessuna fortuna di terminare a suo favore (vedere, in questo senso, tra molte altre, Meïdanis c. Grecia, no 33977/06, § 20, 22 maggio 2008; Chatzimanikas c. Grecia, no 487/07, § 18, 31 luglio 2008). La Corte stima che questo approccio è ragionevole. Quindi, c’è luogo di considerare che la decisione interna definitiva è nell’occorrenza la sentenza no 21/2007 della formazione plenaria della Corte di cassazione.
19. In queste condizioni, il procedimento controverso è cominciato il 15 ottobre 1998, con l’immissione nel processo del tribunale di prima istanza di Atene, e si è concluso il 20 giugno 2007, col collocamento in bella copia della sentenza no 21/2007 della formazione plenaria della Corte di cassazione. È durato otto anni e più di otto mesi per tre istanze dunque.
b) Carattere ragionevole della durata del procedimento
20. Il Governo invoca la complessità della causa ed afferma che il procedimento è stato condotto con zelo. Riferendosi al codice di procedimento civile che lascia l’iniziativa del procedimento alle parti, stima che la cronologia attesta la mancanza di zelo delle parti nello specifico che hanno contribuito all’allungamento del procedimento. Arguisce in particolare che l’IKA ha aspettato quasi due anni prima di chiedere la determinazione di una data d’ udienza dinnanzi alla seconda camera della Corte di cassazione e che il richiedente ha impiegato cinque mesi per riprendere l’istanza dinnanzi alla formazione plenaria dell’alta giurisdizione. Stima che questi termini devono essere dedotti dalla durata globale del procedimento.
21. Il richiedente stima che non è in nessun modo responsabile dei ritardi osservati nello svolgimento del procedimento ed afferma che la sua causa ha conosciuto una durata eccessiva.
22. La Corte ricorda che il carattere ragionevole della durata di un procedimento si rivaluta secondo le circostanze della causa ed avuto riguardo ai criteri consacrati dalla sua giurisprudenza, in particolare la complessità della causa, il comportamento del richiedente e quello delle autorità competenti così come la posta della controversia per gli interessati (vedere, tra molte altre, Frydlender c. Francia [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII).
23. La Corte ha trattato a più riprese cause che sollevavano delle questioni simili a quella del caso di specie e ha constatato la violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (vedere Frydlender precitata).
24. Dopo avere esaminato tutti gli elementi che le sono stati sottoposti, la Corte considera che il Governo non ha esposto nessuno fatto né argomento da poter condurre ad una conclusione differente nel caso presente. Difatti, trattandosi del ritardo impiegato dall’IKA, organismo statale, per chiedere la determinazione di una data d’ udienza dinnanzi alla seconda camera della Corte di cassazione, la Corte stima che questo non potrebbe essere imputabile al richiedente. Inoltre, se è vero che, in seguito al rinvio della causa dinnanzi alla formazione plenaria dell’alta giurisdizione, il richiedente ha impiegato quasi cinque mesi per riprendere l’istanza, non ne rimane meno che anche se si deducesse dalla durata globale del procedimento il ritardo di cinque mesi circa che possono essere assegnatogli, questa rimane eccessiva. La Corte ricorda su questo punto che, anche nei casi in cui, come nello specifico, il procedimento è regolato dal principio dell’iniziativa delle parti, la nozione di “termine ragionevole” esige che i tribunali seguano anche lo svolgimento del procedimento e siano più attenti per ciò che riguarda il lasso di tempo tra due atti di procedimento (vedere, mutatis mutandis, Philippos Ioannidis c. Grecia, no 22957/06, § 21, 19 giugno 2008). Tenuto conto della sua giurisprudenza in materia la Corte stima quindi, , che nello specifico, la durata del procedimento controverso è eccessiva e non soddisfa l’esigenza del “termine ragionevole.”
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
25. Invocando l’articolo 1 del Protocollo no 1, il richiedente si lamenta infine di un attentato al suo diritto al rispetto dei suoi beni. Secondo lui, gli errori commessi dalle giurisdizioni interne all’epoca dell’esame della sua causa gli hanno impedito di beneficiare delle somme richieste nella sua azione.
Sull’ammissibilità
26. La Corte stima che il presunto credito del richiedente non può passare per un “bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo no 1, poiché non è stata constatata da una decisione giudiziale avente forza di cosa giudicata. Tale è tuttavia la condizione affinché un credito sia certo ed esigibile e, pertanto, protetto dall’articolo 1 del Protocollo no 1 (vedere, tra altre, Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 59, serie A, no 301-B).
27. In particolare, la Corte nota che, finché la sua causa era pendente dinnanzi alle giurisdizioni interne, la sua azione non faceva nascere nessuno diritto, a capo del richiedente, di credito, ma unicamente l’eventualità di ottenere simile credito. Ora, ricorda che il richiedente fu respinto alla conclusione del procedimento controverso e stima che le giurisdizioni avendo respinto la sua istanza non hanno potuto avere per effetto di privarlo di un bene di cui era proprietario.
28. Ne segue che questo motivo di appello è manifestamente mal fondato e deve essere respinto in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
29. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
30. Il richiedente richiede 132 801,43 euro (EUR) a titolo del danno patrimoniale. Afferma che questa somma che corrisponde all’importo che era oggetto della controversia dinnanzi alle giurisdizioni nazionali, deve essere aumentata di interessi. Il richiedente richiede inoltre 100 000 EUR a titolo del danno morale che avrebbe subito.
31. Il Governo invita la Corte ad allontanare queste richieste.
32. La Corte ricorda che la constatazione di violazione della Convenzione al quale è giunta risulta esclusivamente da un’incomprensione del diritto dell’interessato a vedere la sua causa sentita in un “termine ragionevole.” In queste condizioni, non vede alcun legame di causalità tra la violazione constatata ed un qualsiasi danno patrimoniale di cui il richiedente avrebbe dovuto a soffrire; c’è dunque luogo di respingere questo aspetto delle sue pretese. In compenso, la Corte stima che il richiedente ha subito un torto morale certo che non compensa sufficientemente la constatazione di violazione della Convenzione. Deliberando in equità, gli accorda 4 000 EUR a questo titolo, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta.
B. Oneri e spese
33. Il richiedente chiede anche, senza altra precisazione, il rimborso della totalità degli oneri e delle spese incorsi dinnanzi alle giurisdizioni interne. Non produce nessuna fattura o nota di parcella. Richiede inoltre, fattura in appoggio, 5 000 EUR per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alla Corte.
34. Il Governo invita la Corte ad allontanare queste richieste.
35. La Corte ricorda che il sussidio di oneri e spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si stabilsica la loro realtà, la loro necessità, così come il carattere ragionevole del loro tasso (Iatridis c. Grecia [GC], no 31107/96, § 54, CEDH 2000-XI).
36. Trattandosi degli oneri e delle spese incorsi in Grecia, la Corte osserva che le pretese del richiedente non sono corredate dai giustificativi necessari che permettono di calcolarli in modo preciso. Conviene allontanare la sua richiesta dunque. Per ciò che riguarda, peraltro, gli oneri esposti dinnanzi a lei, tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei criteri suddetti, la Corte giudica ragionevole assegnare al richiedente 1 500 EUR a questo titolo, più ogni importo che può essere dovuto da lui a titolo di imposta.
C. Interessi moratori
37. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dalla durata eccessiva del procedimento ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 4 000 EUR (quattromila euro) per danno giuridico e 1 500 EUR (mille cinque cento euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto da lui a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 22 aprile 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Søren Nielsen Nina Vajić
Cancelliere Presidentessa

Testo Tradotto

Conclusion Violation de l’art. 6-1
PREMIÈRE SECTION
AFFAIRE FLARIS c. GRÈCE
(Requête no 54053/07)
ARRÊT
STRASBOURG
22 avril 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Flaris c. Grèce,
La Cour européenne des droits de l’homme (première section), siégeant en une chambre composée de :
Nina Vajić, présidente,
Christos Rozakis,
Khanlar Hajiyev,
Dean Spielmann,
Sverre Erik Jebens,
Giorgio Malinverni,
George Nicolaou, juges,
et de Søren Nielsen, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 25 mars 2010,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 54053/07) dirigée contre la République hellénique et dont un ressortissant de cet Etat, M. P. F. (« le requérant »), a saisi la Cour le 6 décembre 2007 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant est représenté par Me K. T., avocat au barreau d’Athènes. Le gouvernement grec (« le Gouvernement ») est représenté par les délégués de son agent, MM. G. Kanellopoulos, assesseur auprès du Conseil juridique de l’Etat, et I. Bakopoulos, auditeur auprès du Conseil juridique de l’Etat.
3. Le 10 avril 2009, la présidente de la première section a décidé de communiquer le grief tiré de la durée de la procédure au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
4. Le requérant est né en 1957 et réside à Kyparissia (Péloponnèse). Il est médecin.
5. Le 15 octobre 1998, le requérant saisit le tribunal de première instance d’Athènes d’une action contre une personne morale de droit public, l’Organisme de Sécurité Sociale (Ίδρυμα Κοινωνικών Ασφαλίσεων – ci-après « l’IKA »), au sein duquel il avait travaillé entre 1992 et 1998. Le requérant dénonçait la résiliation de son contrat de travail et réclamait diverses sommes au titre des salaires dus. L’audience, initialement fixée au 20 avril 1999, eut lieu le 15 février 2000.
6. Le 10 mai 2000, le tribunal fit droit au recours (décision no 1017/2000).
7. Le 22 juin 2000, l’IKA interjeta appel. L’audience eut lieu le 6 février 2001.
8. Le 29 juin 2001, la cour d’appel d’Athènes confirma la décision attaquée (arrêt no 5608/2001).
9. Le 1er mars 2002, l’IKA se pourvut en cassation. Le 8 janvier 2004, l’IKA demanda la fixation d’une date d’audience. Celle-ci eut lieu, après un ajournement, le 24 janvier 2006.
10. Le 20 juin 2006, la deuxième chambre de la Cour de cassation renvoya l’affaire devant la formation plénière (arrêt no 1311/2006). Le 9 novembre 2006, le requérant demanda la fixation d’une date d’audience. Celle-ci eut lieu le 22 mars 2007.
11. Le 11 juin 2007, la formation plénière de la Cour de cassation fit droit au pourvoi de l’IKA, cassa l’arrêt no 5608/2001 et renvoya l’affaire devant la cour d’appel composée différemment (arrêt no 21/2007). Cet arrêt fut mis au net et certifié conforme le 20 juin 2007.
12. Le requérant n’a pas indiqué s’il a entrepris des démarches devant la juridiction d’appel. Celle-ci est, de toute façon, liée par les conclusions retenues par la haute juridiction.
EN DROIT
I. SUR LES VIOLATIONS ALLÉGUÉES DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
13. Le requérant se plaint de l’équité et de la durée de la procédure litigieuse. Il invoque l’article 6 § 1 de la Convention, dont les parties pertinentes sont ainsi libellées :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement (…) dans un délai raisonnable, par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) »
A. Sur le grief tiré de l’équité de la procédure
Sur la recevabilité
14. La Cour rappelle qu’aux termes de l’article 19 de la Convention, elle a pour tâche d’assurer le respect des engagements résultant de la Convention pour les Parties contractantes. En particulier, il ne lui appartient pas de connaître des erreurs de fait ou de droit prétendument commises par une juridiction interne, sauf si et dans la mesure où elles pourraient avoir porté atteinte aux droits et libertés sauvegardés par la Convention (voir, notamment, García Ruiz c. Espagne [GC], no 30544/96, § 28, CEDH 1999-I). De plus, il incombe au premier chef aux autorités nationales, et singulièrement aux cours et tribunaux, d’interpréter et d’appliquer le droit interne (voir, parmi beaucoup d’autres, Streletz, Kessler et Krenz c. Allemagne [GC], nos 34044/96, 35532/97 et 44801/98, § 49, CEDH 2001-II).
15. Or, la Cour ne décèle aucun indice d’arbitraire dans le déroulement de la procédure, qui a respecté le principe du contradictoire et au cours de laquelle le requérant a eu la possibilité de présenter tous les arguments pour la défense de ses intérêts. En conclusion, la Cour estime que, considérée dans son ensemble, la procédure litigieuse a revêtu un caractère équitable, au sens de l’article 6 § 1 de la Convention.
16. Partant, ce grief est manifestement mal fondé et doit être rejeté en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
B. Sur le grief tiré de la durée de la procédure
1. Sur la recevabilité
17. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève en outre qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
2. Sur le fond
a) Période à prendre en considération
18. La Cour note que la procédure litigieuse n’est pas formellement terminée, car l’affaire est actuellement pendante devant la cour d’appel, après renvoi par la Cour de cassation. Le requérant n’a pas indiqué s’il a entrepris des démarches devant cette juridiction. Or, de toute façon, si la cour d’appel est à nouveau saisie de l’affaire, elle déboutera le requérant conformément aux conclusions retenues par la Cour de cassation. Il semble donc que le requérant est conscient que la procédure sur renvoi n’a aucune chance d’aboutir en sa faveur (voir, en ce sens, parmi beaucoup d’autres, Meïdanis c. Grèce, no 33977/06, § 20, 22 mai 2008 ; Chatzimanikas c. Grèce, no 487/07, § 18, 31 juillet 2008). La Cour estime que cette approche est raisonnable. Dès lors, il y a lieu de considérer que la décision interne définitive est en l’occurrence l’arrêt no 21/2007 de la formation plénière de la Cour de cassation.
19. Dans ces conditions, la procédure litigieuse a débuté le 15 octobre 1998, avec la saisine du tribunal de première instance d’Athènes, et s’est terminée le 20 juin 2007, avec la mise au net de l’arrêt no 21/2007 de la formation plénière de la Cour de cassation. Elle a donc duré huit ans et plus de huit mois pour trois instances.
b) Caractère raisonnable de la durée de la procédure
20. Le Gouvernement invoque la complexité de l’affaire et affirme que la procédure a été menée avec diligence. Se référant au code de procédure civile qui laisse l’initiative de la procédure aux parties, il estime que la chronologie atteste de l’absence de diligence des parties en l’espèce, qui ont contribué au rallongement de la procédure. Il argue notamment que l’IKA a attendu presque deux ans avant de demander la fixation d’une date d’audience devant la deuxième chambre de la Cour de cassation et que le requérant a mis cinq mois pour reprendre l’instance devant la formation plénière de la haute juridiction. Il estime que ces délais doivent être déduits de la durée globale de la procédure.
21. Le requérant estime qu’il n’est aucunement responsable des retards observés dans le déroulement de la procédure et affirme que son affaire a connu une durée excessive.
22. La Cour rappelle que le caractère raisonnable de la durée d’une procédure s’apprécie suivant les circonstances de la cause et eu égard aux critères consacrés par sa jurisprudence, en particulier la complexité de l’affaire, le comportement du requérant et celui des autorités compétentes ainsi que l’enjeu du litige pour les intéressés (voir, parmi beaucoup d’autres, Frydlender c. France [GC], no 30979/96, § 43, CEDH 2000-VII).
23. La Cour a traité à maintes reprises d’affaires soulevant des questions semblables à celle du cas d’espèce et a constaté la violation de l’article 6 § 1 de la Convention (voir Frydlender précité).
24. Après avoir examiné tous les éléments qui lui ont été soumis, la Cour considère que le Gouvernement n’a exposé aucun fait ni argument pouvant mener à une conclusion différente dans le cas présent. En effet, s’agissant du retard mis par l’IKA, organisme étatique, pour demander la fixation d’une date d’audience devant la deuxième chambre de la Cour de cassation, la Cour estime que celui-ci ne saurait être imputable au requérant. En outre, s’il est vrai que, suite au renvoi de l’affaire devant la formation plénière de la haute juridiction, le requérant a mis presque cinq mois pour reprendre l’instance, il n’en demeure pas moins que même si l’on déduit de la durée globale de la procédure le retard de cinq mois environ qui peut lui être attribué, celle-ci demeure excessive. La Cour rappelle sur ce point que, même dans les cas où, comme en l’espèce, la procédure est régie par le principe de l’initiative des parties, la notion de « délai raisonnable » exige que les tribunaux suivent aussi le déroulement de la procédure et soient plus attentifs en ce qui concerne le laps de temps entre deux actes de procédure (voir, mutatis mutandis, Philippos Ioannidis c. Grèce, no 22957/06, § 21, 19 juin 2008). Dès lors, compte tenu de sa jurisprudence en la matière, la Cour estime qu’en l’espèce, la durée de la procédure litigieuse est excessive et ne répond pas à l’exigence du « délai raisonnable ».
Partant, il y a eu violation de l’article 6 § 1.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
25. Invoquant l’article 1 du Protocole no 1, le requérant se plaint enfin d’une atteinte à son droit au respect de ses biens. Selon lui, les erreurs commises par les juridictions internes lors de l’examen de son affaire l’ont empêché de toucher les sommes réclamées dans son action.
Sur la recevabilité
26. La Cour estime que la prétendue créance du requérant ne peut passer pour un « bien » au sens de l’article 1 du Protocole no 1, puisque elle n’a pas été constatée par une décision judiciaire ayant force de chose jugée. Telle est pourtant la condition pour qu’une créance soit certaine et exigible et, partant, protégée par l’article 1 du Protocole no 1 (voir, parmi d’autres, Raffineries Grecques Stran et Stratis Andreadis c. Grèce, 9 décembre 1994, § 59, série A, no 301-B).
27. En particulier, la Cour note que, tant que son affaire était pendante devant les juridictions internes, son action ne faisait naître, dans le chef du requérant, aucun droit de créance, mais uniquement l’éventualité d’obtenir pareille créance. Or, elle rappelle que le requérant fut débouté à l’issue de la procédure litigieuse et estime que les juridictions ayant rejeté sa demande n’ont pas pu avoir pour effet de le priver d’un bien dont il était propriétaire.
28. Il s’ensuit que ce grief est manifestement mal fondé et doit être rejeté en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
29. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
30. Le requérant réclame 132 801,43 euros (EUR) au titre du préjudice matériel. Il affirme que cette somme, qui correspond au montant qui faisait l’objet du litige devant les juridictions nationales, doit être majorée d’intérêts. Le requérant réclame en outre 100 000 EUR au titre du préjudice moral qu’il aurait subi.
31. Le Gouvernement invite la Cour à écarter ces demandes.
32. La Cour rappelle que le constat de violation de la Convention auquel elle est parvenue résulte exclusivement d’une méconnaissance du droit de l’intéressé à voir sa cause entendue dans un « délai raisonnable ». Dans ces conditions, elle n’aperçoit pas de lien de causalité entre la violation constatée et un quelconque dommage matériel dont le requérant aurait eu à souffrir ; il y a donc lieu de rejeter cet aspect de ses prétentions. En revanche, la Cour estime que le requérant a subi un tort moral certain que ne compense pas suffisamment le constat de violation de la Convention. Statuant en équité, elle lui accorde 4 000 EUR à ce titre, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt.
B. Frais et dépens
33. Le requérant demande également, sans autre précision, le remboursement de la totalité des frais et dépens encourus devant les juridictions internes. Il ne produit aucune facture ou note d’honoraires. Il réclame en outre, facture à l’appui, 5 000 EUR pour les frais et dépens engagés devant la Cour.
34. Le Gouvernement invite la Cour à écarter ces demandes.
35. La Cour rappelle que l’allocation de frais et dépens au titre de l’article 41 présuppose que se trouvent établis leur réalité, leur nécessité, ainsi que le caractère raisonnable de leur taux (Iatridis c. Grèce [GC], no 31107/96, § 54, CEDH 2000-XI).
36. S’agissant des frais et dépens encourus en Grèce, la Cour observe que les prétentions du requérant ne sont pas accompagnées des justificatifs nécessaires permettant de les calculer de manière précise. Il convient donc d’écarter sa demande. En ce qui concerne, par ailleurs, les frais exposés devant elle, compte tenu des éléments en sa possession et des critères susmentionnés, la Cour juge raisonnable d’allouer au requérant 1 500 EUR à ce titre, plus tout montant pouvant être dû par lui à titre d’impôt.
C. Intérêts moratoires
37. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant au grief tiré de la durée excessive de la procédure et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention ;
3. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 4 000 EUR (quatre mille euros) pour dommage moral et 1 500 EUR (mille cinq cents euros) pour frais et dépens, plus tout montant pouvant être dû par lui à titre d’impôt ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
4. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 22 avril 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Søren Nielsen Nina Vajić
Greffier Présidente

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