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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE FERNANDEZ ET AUTRES c. FRANCE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 28440/05/2010
Stato: Francia
Data: 2010-01-21 00:00:00
Organo: Sezione Quinta
Testo Originale

QUINTA SEZIONE
CAUSA FERNANDEZ ED ALTRI C. FRANCIA
( Richiesta no 28440/05)
SENTENZA
STRASBURGO
21 gennaio 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Fernandez ed altri c. Francia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, quinta sezione, riunendosi in una camera composta da:
Peer Lorenzen, presidente, Renate Jaeger, Jean-Paul Costa, Karel Jungwiert, Rait Maruste, Marco Villiger, Isabelle Berro-Lefèvre, giudici,
e da Claudia Westerdiek, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 15 dicembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 28440/05) diretta contro la Repubblica francese e in cui le cinque cittadine di questo Stato, OMISSIS, così come una persona giuridica di diritto francese, la società civile agricola D. d. P., ubicata a Garons, (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 5 agosto 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. I richiedenti sono rappresentati da A. G., avvocato a Parigi. Il governo francese (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Belliard, direttrice delle cause giuridiche al ministero delle Cause estere.
3. I richiedenti si lamentavano, sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1, della perdita del loro sfruttamento e della speranza legittima di proseguire lo sviluppo agricolo e viticolo della loro tenuta. Criticavano, in particolare, l’inoperosità dello stato che non è intervenuto per fare cessare un’occupazione illegale dal 1983, constatata dai suoi servizi. I richiedenti si lamentavano anche, sotto l’angolo dell’articolo 8 della Convenzione, di essere stati privati, dal 1983, del godimento del loro domicilio in ragione di questa occupazione.
4. Con una decisione del 3 luglio 2007, la Corte ha dichiarato la richiesta ammissibile.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Le richiedenti, persone fisiche, sono nate rispettivamente nel 1945, 1923, 1920 e 1927. Risiedono rispettivamente a Marsiglia, Aix-in-Provenza e Parigi.
6. Nel 1959, la famiglia F. creò la società civile agricola della D.d. P (la SCA D.P) anche lei richiedente. Questa ultima acquisì, lo stesso anno, una proprietà di più dei mille ettari di macchia, situata sul comune di Ghisonaccia, in località Pinia, in Corsica, per un importo di un milione e due centomila franchi. In seguito ai detti avvenimenti dell’Algeria, la famiglia F. lasciò l’Algeria e si installò in Corsica, senza per questo beneficiare del dispositivo previsto dalla legge del 26 dicembre 1961, relativa all’accoglimento ed alla nuova stabilizzazione dei francesi di oltremare.
7. I richiedenti convertirono le terre acquisite nel 1959 in una tenuta agricola e viticola, comprendente mille ettari di terre agricole irrigabili, degli edifici di esercizio, una cantina ed un importante materiale agricolo.
8. Nell’ottobre 1981, la tenuta dei richiedenti fu occupata dai membri del Centro dei giovani agricoltori di Ghisonaccia. Una missione ministeriale intervenne. In seguito, un piano teso alla costituzione di un gruppo fondiario, investitore finanziato all’altezza del 65% dallo stato, fu deciso per permettere l’insediamento dei giovani agricoltori corsi.
9. Il 19 marzo 1983, un centinaio di persone, membri del Centro dei giovani agricoltori dell’Alta – Corsica, della federazione dipartimentale dei sindacati di gestori agricoli (FDSEA) dell’Alta – Corsica e d ‘ “Associu per un novu Sviluppu di Pinia”, occuparono di nuovo l’esercizio dei richiedenti, distribuendo un volantino redatto come segue:
“La società civile agricola di Pinia ha approfittato abbastanza della terra corsa, che parta!! Fin da oggi, gli agricoltori occupano definitivamente la tenuta e cominciano il suo sfruttamento”
10. Il presidente dei giovani agricoltori corsi si espresse in particolare come segue in un comunicato:
“Il Centro cantonale dei giovani agricoltori di Campoloru-Moriani porta il suo sostegno fraterno ai giovani agricoltori che occupano la tenuta di Pinia… ci riteniamo mobilitati e pronti ad intervenire con la forza nel caso in cui si facesse sentire il bisogno “
11. Il 19 marzo 1983, una querela fu depositata dal SCA D.P. presso il procuratore della Repubblica di Bastia.
12. Con una decisione definitiva del 19 aprile 1983, la corte d’appello di Bastia, investita dal SCA D.P, autorizzò questa a fare procedere allo sfratto degli occupanti illegali della sua tenuta.
13. Il 7 luglio 1983, il SCA D.P. scrisse una lettera al procuratore della Repubblica di Bastia per sollecitare il suo intervento.
14. I richiedenti indicano che il 6 ottobre 1983, il SCA D.P. vendette 880 ettari delle sue terre alla società civile fondiaria di Pinia.
15. Il 6 luglio 1998, un ufficiale giudiziario di giustizia, incaricato dal SCA D.P, constatò che l’occupazione illegale delle terre proseguiva e che la società civile agricola Di A Pieve Di Castellu, iscritta sul registro del commercio e delle società di Bastia che aveva la sua sede sociale sulle terre della società e per gerente uno degli individui che occupavano illegalmente il terreno, sfruttava le terre dei richiedenti.
16. Con atti del 9 luglio 1998 e del 29 maggio 2002, un ufficiale giudiziario di giustizia intimò vanamente agli occupanti senza titolo di lasciare i luoghi.
17. I richiedenti precisano che l’occupazione della loro tenuta è stata seguita da numerose degradazioni e reati (furto, svaligiamento ed incendio nel 1996). Indicano in particolare che la cantina viticola della tenuta è stata danneggiata e che la sua rimessa in stato è stimata a parecchi milioni di franchi.
18. Le richiedenti persone fisiche aggiungono che i loro tentativi per riprendere possesso dei loro beni hanno incontrato le minacce nazionaliste, in particolare in ragione del loro requisito di rimpatriate dell’Algeria, in un contesto conosciuto dalle autorità interne e descrive in particolare in un rapporto di inchiesta dell’assemblea Nazionale che, a proposito della loro tenuta, indica:
“(…) i legami tra certi ambienti nazionalisti e le istituzioni incaricate dell’agricoltura in Corsica. La causa della tenuta di Pinia a Ghisonaccia nella pianura orientale l’illustra perfettamente.
Questa tenuta, sfruttata da prima dagli agricoltori rimpatriati, è stata occupata nel 1979 da un gruppo di allevatori corsi. La tenuta è stata ricomprata allora da una filiale del Credito Agricolo, il S. che l’ha da prima dato in affitto al SAFER. Dinnanzi all’impossibilità di lottizzarlo, questa sospende l’affitto. Nel 1985, il S. la dà in affitto al SCA Di A Pieve Di Castellu fondata dai militanti nazionalisti e il cui gerente è [M. F.], incarcerato nella cornice dell’inchiesta sull’assassinio del prefetto Erignac, è membro del Collettivo per la Nazione fondata da [M. L.]. Dirige inoltre il Sindacato corso dell’agricoltura, fondato nel 1985 col FLNC, (…) Come indica il rapporto dell’ispezione generale delle Finanze, la società esercita un’attività abbastanza ridotta tenuto conto della misura della tenuta di Pinia che le è stata dato in affitto, di 880 ettari. In compenso, è al cuore di una matassa di società che raggruppano gli stessi soci che esercitano delle attività diverse “
19. In un libro intitolato “Per saldo di ogni conto-i nazionalisti corsi parlano” (in collaborazione con Guy Benhamou, edizioni Denoël, 2000) due leader nazionalisti corsi, assassinati in seguito, menzionarono la tenuta di Pinia come segue:
“L’agricoltura
Se il FLNC recluta in tutti gli ambienti, il suo punto forte sono sempre stati gli agricoltori più radicali del Fiumorbu, questa regione della pianura orientale situata verso Ghisonaccia. Ha permesso semplicemente talvolta il riscatto o la confisca di proprietà da parte dei corsi. Un altro esempio di portata riguarda la tenuta di Pinia, situata vicino a Ghisonaccia, nella pianura orientale, ricuperato manu militari da [M. F.], [G. S.] ed alcuni altri con l’avallo del FLNC e dopo sfratto da parte di questo dei rimpatriati che sfruttavano le terre “
20. Il 16 maggio 2007, la vecchia sede d’esercizio (corrispondente a sei ettari di terreno su cui erano situati la cantina viticola, le cinque abitazioni, i capannoni dei camion e delle macchine per vendemmiare) fu ceduta, per la somma di 270 000 EUR, al SCEA L. che apparterrebbe, secondo i richiedenti, agli occupanti senza titolo della loro proprietà. Un verbale della polizia di Ghisonaccia, del 3 ottobre 2007, conferma la vendita di una parte dei terreni dei richiedenti.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
21. La Corte rinvia su questi punti alla causa Matheus c. Francia (no 62740/00, §§ 36-40, 31 marzo 2005,).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
22. I richiedenti si lamentano della perdita del loro esercizio e della speranza legittimo di proseguire lo sviluppo agricolo e viticole della loro tenuta. Criticano l’inoperosità dello stato che non è intervenuto per fare cessare un’occupazione illegale dal 1983, constatata dai suoi servizi, mentre una misura giudiziale di sfratto era stata resa. I richiedenti invocano l’articolo 1 del Protocollo no 1 che si legge come segue:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Tesi delle parti
1. Il Governo
23. Il Governo non contesta le asserzioni dei richiedenti e, in particolare, i dispiaceri che ha potuto causare l’occupazione illegale della loro proprietà. Ma se hanno ottenuto dinnanzi alle giurisdizioni civili l’autorizzazione di chiedere il concorso della forza pubblica, non appare che l’abbiano sollecitato effettivamente. Non hanno investito ulteriormente le giurisdizioni amministrative di un eventuale rifiuto dei poteri pubblici per fare riconoscere la loro carenza e, di conseguenza, la loro responsabilità per mancanza. Sembrano essersi limitate al ricorso ad un ufficiale giudiziario oltretutto nel 2002, per tentare di fare procedere all’evacuazione degli occupanti illegali.
24. In queste condizioni, i richiedenti non possono nello stato reale dei loro passi avvalersi di una mancanza dell’amministrazione, tanto che dinnanzi alle giurisdizioni nazionali, che si sono astenute dall’ investire che dinnanzi alla Corte, non portano nessuno elemento di natura tale da stabilire l’esistenza di una mancanza caratterizzata dei poteri pubblici.
25. Peraltro, il Governo stima che se la giurisprudenza della Corte sui giudizi di sfratto riconosce la necessità di un’esecuzione veloce delle decisioni e del collocamento in opera del concorso della forza pubblica quando viene chiesto, non vieta ai poteri pubblici tenere conto delle necessità di ordine pubblico per prestare o meno il concorso della forza pubblica, purché dimostrino che questo rinvio dell’esecuzione è durato solamente il tempo necessario (Lunari c. Italia, no 21463/93, 11 gennaio 2001).
2. I richiedenti
26. I richiedenti indicano che se avessero sollecitato l’intervento del prefetto, avrebbero inocntrato lo stesso rifiuto di quello che è stato opposto ai richiedenti nella causa Barret e Sirjean c. Francia, (richiesta no 13829/03).
27. Trattandosi della sentenza Lunari c. Italia, precitata, il richiedente stima che il Governo si accontenta di riferirsi alla nozione di ordine pubblico in modo declaratorio, senza precisare in che cosa le misure di protezione del suo diritto di proprietà avrebbero potuto recare offesa all’ordine pubblico, e senza principio di prova relativa ai “rischi di scontri armati” alla vista diversamente di “situazioni più gravi.” Aggiunge che a differenza della causa Lunari, non vi è nello specifico un rinvio all’esecuzione, ma un rifiuto totale di esecuzione. In quanto al tempo “rigorosamente necessario” affinché le autorità trovino una soluzione al problema, il richiedente rileva che è indeterminato e può durare parecchi anni in Corsica, oltre il fatto che il Governo è nell’impossibilità di rispondere alla condizione di “soluzione soddisfacente”.
28. I richiedenti invocano il beneficio della sentenza Matheus c. Francia, precitata, concernente il rifiuto di concorso della forza pubblica in un clima particolare di animosità a riguardo di certi proprietari cittadini. Stimano infine che l’impatto della carenza dello stato sul godimento dei suoi beni ha fatto sopportare loro un carico sproporzionato ed eccessivo.
29. Concernente il verbale della polizia del 3 ottobre 2007, i richiedenti, pure sottolineando il carattere lapidario ed inesatto di questo documento, confermano che una vendita parziale della Tenuta di Pinia ha avuto luogo e che non hanno potuto opporvisi . Aggiungono che questa vendita non cancella per niente i ventiquattro anni di occupazione illegale.
B. Valutazione della Corte
30. Come nel causa Matheus, precitata, la Corte considera che il rifiuto di concorso della forza pubblica nello specifico non deriva dall’applicazione di una legge che dipende da una politica sociale ed economica nel campo, per esempio, dell’alloggio o dell’ accompagnamento sociale di inquilini in difficoltà, ma di una carenza delle autorità locali, ed in particolare del prefetto, addirittura di un rifiuto deliberato da parte di queste, nelle circostanze locali particolari e durante un lungo periodo, di prestare man-forte al richiedente per fare liberare le sue terre. Il difetto di esecuzione della sentenza del 9 aprile 1998 deve essere esaminato quindi alla luce della norma generale contenuta nella prima frase del primo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 che enuncia il diritto al rispetto della sua proprietà.
31. La Corte ricorda, a questo riguardo, che l’esercizio reale ed efficace del diritto che questa disposizione garantisce non potrebbe difatti dipendere unicamente dal dovere dello stato di astenersi da ogni ingerenza e può esigere delle misure positive di protezione, particolarmente là dove esiste un legame diretto tra le misure che un richiedente potrebbe aspettarsi legittimamente delle autorità ed il godimento effettivo da parte di questo ultimo dei suoi beni (Öneryıldız c. Turchia [GC], no 48939/99, § 134, CEDH 2004-XII, e Matheus precitata, § 68).
32. Peraltro, composto con la prima frase dell’articolo 1 del Protocollo no 1, la preminenza del diritto, uno del principio fondamentali di una società democratica, inerente all’insieme degli articoli della Convenzione, giustifica la sanzione di un Stato in ragione del rifiuto di questo di eseguire o di fare eseguire una decisione di giustizia (Katsaros c. Grecia, no 51473/99, § 43, 6 giugno 2002, e Georgiadis c. Grecia, no 41209/98, § 31, 28 marzo 2000).
33. Nello specifico, la Corte constata che una grande parte delle terre, ossia 880 ettari, è stata venduta nel 1983 e che non ha potuto esserci dunque, dopo questa vendita, nessuna occupazione illegale sui terreni ceduti a danno dei richiedenti. Peraltro, la Corte nota che queste ultime non sono state oggetto di un rifiuto espresso da parte del prefetto, in quanto non lo hanno investito di un’istanza, e questo a prescindere dall’utilità di tale passo allo sguardo del contesto locale. Resta che la Corte prende nota delle osservazioni del Governo e rileva che dal 19 aprile 1983, data della decisione giudiziale definitiva di sfratto, le autorità non hanno intrapreso niente per fare liberare le terre ancora illegalmente occupate. Constata che il Governo non giustifica in nessun modo l’inoperosità delle autorità.
34. Sebbene cosciente delle difficoltà incontrate dalle autorità francesi per rinforzare lo stato di diritto in Corsica, la Corte stima che gli argomenti avanzati nello specifico non potrebbero costituire un motivo legittimo serio e sufficiente per giustificare la carenza delle autorità che avevano l’obbligo di proteggere gli interessi patrimoniali dei richiedenti. Così, la Corte constata, contrariamente a ciò che il Governo sembra sostenere facendo riferimento alla causa Lunari, precitata, che le autorità non hanno sospeso l’esecuzione della misura giudiziale, né cercato un’altra soluzione per ovviare alla situazione, ma che negavano di eseguirla quando investite di tale istanza (Barret e Sirjean c. Francia, (dec.) (no 13829/03, 3 luglio 2007).
35. Secondo la Corte, apparteneva alle autorità, appena informate della situazione dei richiedenti, di prendere, in un termine ragionevole, tutte le misure necessarie affinché la decisione di giustizia venisse rispettata e che i richiedenti ritrovassero il pieno godimento dei loro beni. Stima che l’inoperosità delle autorità nello specifico ha avuto per conseguenza, in mancanza di qualsiasi giustificazione di interesse generale, di arrivare ad un tipo di espropriazione privata di cui gli occupanti illegali si sono ritrovati beneficiari (Matheus precitata, § 71,). Lasciando perdurare tale situazione, le autorità hanno incoraggiato non solo certi individui a degradare impunemente i beni dei richiedenti, ma lasciato anche installare un clima di timore e di insicurezza non propizio al loro ritorno sulla loro tenuta.
36. La Corte nota che questo tipo di situazione manifesta l’inefficacia del sistema di esecuzione e rinvia al rischio di deriva-ricordato nella Raccomandazione del Comitato dei Ministri in materia di esecuzione delle decisioni di giustizia-di arrivare ad una forma di “giustizia privata” che può avere delle conseguenze negative sulla fiducia e la credibilità del pubblico nel sistema giuridico (ibid.).
37. Alla vista di ciò che precede, la Corte considera che è stato recato offesa al diritto al rispetto dei beni dei richiedenti. C’è stata dunque violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
38. Le richiedenti dicono essere state private, dal 1983, del godimento del loro domicilio in ragione dell’occupazione illegale della loro tenuta. Invocano l’articolo 8 della Convenzione che si legge come segue:
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto di suo corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui. “
39. Tanto le richiedenti che il Governo invocani degli argomenti comuni ai motivi di appello derivati dagli articoli 8 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1.
40. Tenuto conto della constatazione di violazione alla quale è giunta (paragrafo 37 sopra) la Corte non stima necessario esaminare separatamente il motivo di appello derivato dall’articolo 8.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
41. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
1. Danno patrimoniale
42. Il 18 settembre 2007, i richiedenti hanno chiesto il versamento di una somma di 19 292 872 EUR per danno patrimoniale (6 480 000 EUR per la perdita dei terreni a vocazione turistica situati al bordo del mare ed archiviati come zone NA2T) 5 675 000 EUR che corrispondono alla differenza tra le stime della vecchia sede d’esercizio o 5 945 000 EUR ed il suo prezzo di vendita di 270 000 EUR nel maggio 2007, 288 000 EUR per le perdite di redditi locativi che la sede avrebbe potuto generare in ventiquattro anni, 33 672 EUR di carichi fiscali fondiari saldati durante il periodo di occupazione, e 6 816 000 EUR di perdite di redditi di sfruttamento dal momento che il SCA D.P. sarebbe stata obbligata a vendere il suo esercizio al prezzo fissato dallo stato ad una società designata da questo e che i richiedenti avrebbero subito delle perdite di redditi susseguenti al 1983. Il 29 settembre 2008, i richiedenti hanno depositato il rapporto attualizzato del perito commesso da loro per precisare che la somma di 19 292 872 EUR copriva il danno patrimoniale subito dal SCA D.P. e che le altre richiedenti-detenenti 4/11 delle parti della società-sollecitavano in quanto a loro una parte di questa somma che ammonta a 7 015 589 EUR.
43. Il Governo contesta queste richieste che giudica eccessiva e non connesse alle violazioni addotte della Convenzione. Considera in particolare che i richiedenti hanno subito effettivamente un disturbo di godimento a causa dell’occupazione prolungata dei loro beni, ma che non sono autorizzate a chiedere un indennizzo che corrisponde al valore della proprietà fondiaria, nella misura in cui rimangono le proprietarie di titolo dei beni non venduti, questi ultimi non sollevando più difficoltà.
44. La Corte rileva che l’unica base da considerare per la concessione di una soddisfazione equa risiede nello specifico nella constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 in ragione del rifiuto di concorso della forza pubblica in esecuzione di una decisione di giustizia. Stima che se i richiedenti hanno insindacabilmente e necessariamente subito un danno patrimoniale in ragione del rifiuto di concorso della forza pubblica, le loro pretese sono tuttavia manifestamente, o ipotetiche, o eccessive, e le perizie sollecitate su loro richiesta, secondo i metodi di valutazione la cui pertinenza non è sufficientemente stabilita, non permettono inoltre di calcolare questo danno in modo preciso. In queste condizioni, non sarà fatto diritto a questo capo di richiesta, eccetto la somma richiesta a titolo dei carichi fiscali fondiari saldati durante il periodo di occupazione. La Corte nota del resto, a titolo aggiuntivo che se, come ha giudicato nella cornice dell’esame dell’ammissibilità di due richieste simili, un collocamento in causa della responsabilità dello stato sarebbe stato inefficace per arrivare all’esecuzione della decisione di giustizia ed alla liberazione dei luoghi (R.P. c. Francia, (dec.), no 10271/02, 3 luglio 2007, e Barret e Sirjean, (dec.), precitata), tale azione dinnanzi alle giurisdizioni interne è invece suscettibile di offrire un ricorso adeguato per ottenere l’indennizzo del subito in ragione dell’occupazione stessa (vedere Barret e Sirjean c. Francia, no 13829/03, § 54, 21 gennaio 2010).
45. In conclusione, la Corte concede congiuntamente ai richiedenti 33 672 EUR per danno patrimoniale.
2. Danno morale
46. I richiedenti sollecitano almeno 20 000 EUR ciascuna.
47. Il Governo non si pronuncia.
48. La Corte stima che i richiedenti hanno subito un danno morale certo, che la semplice constatazione di violazione non potrebbe compensare. Deliberando in equità come vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte accorda loro a ciascuna la somma di 8 000 EUR.
B. Oneri e spese
49. I richiedenti chiedono 5 430, 89 EUR a titolo degli oneri e delle spese che corrispondono alla parcella di avvocato così come all’onere di ufficiale giudiziario e di perizia assunto per prevenire o fare correggere la violazione addotta. In appoggio alla loro richiesta, le richiedenti producono alcune fatture.
50. Il Governo considera che solo gli oneri di giustizia realmente e necessariamente impegnati devono essere presi in conto.
51. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Inoltre, quando la Corte constata una violazione della Convenzione, accorda al richiedente il pagamento degli oneri e spese che ha esposto dinnanzi alle giurisdizioni nazionali solo nella misura in cui sono stati impegnati per prevenire o fare correggere con queste suddetta violazione: tale è stato bene, parzialmente, il caso nello specifico. Perciò, deliberando in equità, come vuole l’articolo 41 della Convenzione, la Corte giudica ragionevole di assegnare congiuntamente alle interessate la somma di 2 500 EUR a titolo degli oneri e spese.
C. Interessi moratori
52. La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
2. Stabilisce che non è necessario esaminare separatamente il motivo di appello derivato dall’articolo 8 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 33 672 EUR (trenta tremila sei cento settantadue euro) congiuntamente ai richiedenti per danno patrimoniale, 8 000 EUR (ottomila euro) per danno morale a ciascuna delle richiedenti, così come 2 500 EUR (duemila cinque cento euro) congiuntamente alle richiedenti per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto dalle richiedenti a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 21 gennaio 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Claudia Westerdiek Peer Lorenzen
Cancelliera Presidente

Testo Tradotto

CINQUIÈME SECTION
AFFAIRE FERNANDEZ ET AUTRES c. FRANCE
(Requête no 28440/05)
ARRÊT
STRASBOURG
21 janvier 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Fernandez et autres c. France,
La Cour européenne des droits de l’homme (cinquième section), siégeant en une chambre composée de :
Peer Lorenzen, président,
Renate Jaeger,
Jean-Paul Costa,
Karel Jungwiert,
Rait Maruste,
Mark Villiger,
Isabelle Berro-Lefèvre, juges,
et de Claudia Westerdiek, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 15 décembre 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 28440/05) dirigée contre la République française et dont les cinq ressortissantes de cet Etat, OMISSIS, ainsi qu’une personne morale de droit français, la société civile agricole D. d. P., sise à Garons, (« les requérantes »), ont saisi la Cour le 5 août 2002 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Les requérantes sont représentées par Me A. G., avocat à Paris. Le gouvernement français (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, Mme E. Belliard, directrice des affaires juridiques au ministère des Affaires étrangères.
3. Les requérantes se plaignaient, sous l’angle de l’article 1 du Protocole no 1, de la perte de leur exploitation et de l’espérance légitime de poursuivre le développement agricole et viticole de leur domaine. Elles critiquaient, en particulier, l’inaction de l’Etat, qui n’est pas intervenu pour faire cesser une occupation illégale depuis 1983, constatée par ses services. Les requérantes se plaignaient également, sous l’angle de l’article 8 de la Convention, d’avoir été privées, depuis 1983, de la jouissance de leur domicile en raison de cette occupation.
4. Par une décision du 3 juillet 2007, la Cour a déclaré la requête recevable.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Les requérantes, personnes physiques, sont nées respectivement en 1945, 1923, 1920 et 1927. Elles résident respectivement à Marseille, Aix-en-Provence et Paris.
6. En 1959, la famille F. créa la société civile agricole du D. d. P. (la SCA D.P.), également requérante. Cette dernière acquit, la même année, une propriété de plus de mille hectares de maquis, située sur la commune de Ghisonaccia, au lieu-dit Pinia, en Corse, pour un montant d’un million deux cent mille francs. Suite aux événements dits d’Algérie, la famille F. quitta l’Algérie et s’installa en Corse, sans pour autant bénéficier du dispositif prévu par la loi du 26 décembre 1961, relatif à l’accueil et à la réinstallation des français d’outre-mer.
7. Les requérantes convertirent les terres acquises en 1959 en un domaine agricole et viticole, comprenant mille hectares de terres agricoles irrigables, des bâtiments d’exploitation, une cave et un important matériel agricole.
8. En octobre 1981, le domaine des requérantes fut occupé par des membres du Centre des jeunes agriculteurs de Ghisonaccia. Une mission ministérielle intervint. Par la suite, un plan tendant à la constitution d’un groupe foncier, investisseur financé à hauteur de 65 % par l’Etat, fut décidé afin de permettre l’installation de jeunes agriculteurs corses.
9. Le 19 mars 1983, une centaine de personnes, membres du Centre des jeunes agriculteurs de Haute-Corse, de la fédération départementale des syndicats d’exploitants agricoles (FDSEA) de la Haute-Corse et d’« Associu per un novu Sviluppu di Pinia », occupèrent à nouveau l’exploitation des requérantes, distribuant un tract rédigé comme suit :
« La société civile agricole de Pinia a assez profité de la terre corse, qu’elle s’en aille !! Dès aujourd’hui, les agriculteurs occupent définitivement le domaine et commencent son exploitation »
10. Le président des jeunes agriculteurs corses s’exprima notamment comme suit dans un communiqué :
« Le Centre cantonal des jeunes agriculteurs de Campoloru-Moriani apporte son soutien fraternel aux jeunes agriculteurs qui occupent le domaine de Pinia … nous nous tenons mobilisés et prêts à intervenir en force au cas où le besoin s’en ferait sentir »
11. Le 19 mars 1983, une plainte fut déposée par la SCA D.P. auprès du procureur de la République de Bastia.
12. Par une décision définitive du 19 avril 1983, le tribunal de grande instance de Bastia, saisi par la SCA D.P., autorisa celle-ci à faire procéder à l’expulsion des occupants illégaux de son domaine.
13. Le 7 juillet 1983, la SCA D.P. écrivit une lettre au procureur de la République de Bastia pour solliciter son intervention.
14. Les requérantes indiquent que le 6 octobre 1983, la SCA D.P. vendit 880 hectares de ses terres à la société civile foncière de Pinia.
15. Le 6 juillet 1998, un huissier de justice, mandaté par la SCA D.P., constata que l’occupation illégale des terres se poursuivait et que la société civile agricole Di A Pieve Di Castellu, inscrite au registre du commerce et des sociétés de Bastia, qui avait son siège social sur les terres de la société et pour gérant l’un des individus qui occupaient illégalement le terrain, exploitait les terres des requérantes.
16. Par actes des 9 juillet 1998 et 29 mai 2002, un huissier de justice somma vainement les occupants sans titre de quitter les lieux.
17. Les requérantes précisent que l’occupation de leur domaine a été suivie de nombreuses dégradations et délits (vol, cambriolage et incendie en 1996). Elles indiquent en particulier que la cave viticole du domaine a été endommagée et que sa remise en état est estimée à plusieurs millions de francs.
18. Les requérantes personnes physiques ajoutent que leurs tentatives pour reprendre possession de leurs biens se sont heurtées aux menaces nationalistes, notamment en raison de leur qualité de rapatriées d’Algérie, dans un contexte connu des autorités internes et notamment décrit dans un rapport d’enquête de l’Assemblée Nationale qui, au sujet de leur domaine, indique :
« (…) les liens entre certains milieux nationalistes et les institutions en charge de l’agriculture en Corse. L’affaire du domaine de Pinia à Ghisonaccia dans la plaine orientale l’illustre parfaitement.
Ce domaine, exploité d’abord par des agriculteurs rapatriés, a été occupé en 1979 par un groupe d’éleveurs corses. Le domaine a alors été racheté par une filiale du Crédit Agricole, la S., qui l’a d’abord donné à bail à la SAFER. Devant l’impossibilité de l’allotir, celle-ci suspend le bail. En 1985, la S. la donne à bail à la SCA Di A Pieve Di Castellu fondée par des militants nationalistes et dont le gérant est [M. F.] (emprisonné dans le cadre de l’enquête sur l’assassinat du préfet Erignac, il est membre du Collectif pour la Nation fondé par [M. L.]. Il dirige en outre le Syndicat corse de l’agriculture, fondé en 1985 par le FLNC) (…) Comme l’indique le rapport de l’Inspection générale des Finances, la société exerce une activité assez réduite compte tenu de la taille du domaine de Pinia qui lui est donné à bail (880 hectares). En revanche, elle est au cœur d’un écheveau de sociétés regroupant les mêmes associés, qui exercent des activités diverses (…) »
19. Dans un livre intitulé « Pour solde de tout compte – les nationalistes corses parlent » (entretiens avec Guy Benhamou, éditions Denoël, 2000), deux leaders nationalistes corses, assassinés depuis, évoquèrent le domaine de Pinia comme suit :
« L’agriculture
Si le FLNC recrute dans tous les milieux, son fer de lance a toujours été les agriculteurs les plus radicaux du Fiumorbu, cette région de la plaine orientale située vers Ghisonaccia (…). Il a simplement permis parfois le rachat ou la confiscation de propriétés par des Corses (…). Un autre exemple d’envergure concerne le domaine de Pinia, situé près de Ghisonaccia, en plaine orientale, récupéré manu militari par [M. F.], [G. S.] et quelques autres avec l’aval du FLNC et après expulsion par celui-ci des rapatriés qui exploitent les terres (…) »
20. Le 16 mai 2007, l’ancien siège d’exploitation (correspondant à six hectares de terrains sur lesquels étaient situés la cave viticole, les cinq habitations, les hangars à camions et les machines à vendanger) fut cédé, pour la somme de 270 000 EUR, à la SCEA L. qui appartiendrait, selon les requérantes, aux occupants sans titre de leur propriété. Un procès-verbal de la gendarmerie de Ghisonaccia, du 3 octobre 2007, confirme la vente d’une partie des terrains des requérantes.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
21. La Cour renvoie sur ces points à l’affaire Matheus c. France (no 62740/00, §§ 36-40, 31 mars 2005).
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
22. Les requérantes se plaignent de la perte de leur exploitation et de l’espérance légitime de poursuivre le développement agricole et viticole de leur domaine. Elles critiquent l’inaction de l’Etat, qui n’est pas intervenu pour faire cesser une occupation illégale depuis 1983, constatée par ses services, alors qu’une mesure judiciaire d’expulsion avait été rendue. Les requérantes invoquent l’article 1 du Protocole no 1, qui se lit comme suit :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
A. Thèses des parties
1. Le Gouvernement
23. Le Gouvernement ne conteste pas les assertions des requérantes et, en particulier, les désagréments qu’a pu causer l’occupation illégale de leur propriété. Mais si elles ont obtenu devant les juridictions civiles l’autorisation de demander le concours de la force publique, il n’apparaît pas qu’elles l’aient effectivement sollicité. Elles n’ont pas davantage saisi les juridictions administratives d’un éventuel refus des pouvoirs publics afin de faire reconnaître leur carence et, par voie de conséquence, leur responsabilité pour faute. Elles paraissent s’en être tenues au recours à un huissier, qui plus est en 2002, pour tenter de faire procéder à l’évacuation des occupants illégaux.
24. Dans ces conditions, les requérantes ne peuvent en l’état actuel de leurs démarches se prévaloir d’une faute de l’administration, d’autant que tant devant les juridictions nationales, qu’elles se sont abstenues de saisir, que devant la Cour, elles n’apportent aucun élément de nature à établir l’existence d’une faute caractérisée des pouvoirs publics.
25. Par ailleurs, le Gouvernement estime que si la jurisprudence de la Cour sur les jugements d’expulsion reconnaît la nécessité d’une exécution rapide des décisions et de la mise en œuvre du concours de la force publique lorsqu’elle est demandée, elle n’interdit pas aux pouvoirs publics de tenir compte des nécessités de l’ordre public pour prêter ou non le concours de la force publique, pourvu qu’ils démontrent que ce sursis à exécution n’a duré que le temps nécessaire (Lunari c. Italie, no 21463/93, 11 janvier 2001).
2. Les requérantes
26. Les requérantes indiquent que si elles avaient sollicité l’intervention du préfet, elles se seraient heurtées au même refus que celui qui a été opposé aux requérants dans l’affaire Barret et Sirjean c. France (requête no 13829/03).
27. S’agissant de l’arrêt Lunari c. Italie (précité), les requérantes estiment que le Gouvernement se contente de se référer à la notion d’ordre public de façon déclaratoire, sans préciser en quoi les mesures de protection du droit de propriété des requérants pourraient porter atteinte à l’ordre public et sans commencement de preuve relatif à des « risques d’affrontements armés » au vu de « situations autrement plus graves ». Les requérantes ajoutent qu’à la différence de l’affaire Lunari, il n’y a en l’espèce non pas un sursis à exécution, mais un refus total d’exécution. Quant au temps « strictement nécessaire » pour que les autorités trouvent une solution au problème, elles relèvent qu’il est indéterminé et peut durer plusieurs années en Corse, outre le fait que le Gouvernement est dans l’impossibilité de répondre à la condition de « solution satisfaisante ».
28. Les requérantes invoquent le bénéfice de l’arrêt Matheus c. France (no 62740/00, 31 mars 2005) concernant le refus de concours de la force publique dans un climat particulier d’animosité à l’égard de certains propriétaires métropolitains. Elles estiment que l’impact de la carence de l’Etat sur la jouissance de leurs biens leur a fait supporter une charge disproportionnée et excessive.
29. Concernant le procès-verbal de la gendarmerie du 3 octobre 2007, les requérantes, tout en soulignant le caractère lapidaire et inexact de ce document, confirment qu’une vente partielle du Domaine de Pinia a bien eu lieu et qu’elles n’ont pu s’y opposer. Elles ajoutent que cette vente n’efface en rien les vingt-quatre années d’occupation illégale.
B. Appréciation de la Cour
30. Comme dans l’affaire Matheus (précitée), la Cour considère que le refus de concours de la force publique en l’espèce ne découle pas de l’application d’une loi relevant d’une politique sociale et économique dans le domaine, par exemple, du logement ou d’accompagnement social de locataires en difficulté, mais d’une carence des autorités locales et notamment du préfet, voire d’un refus délibéré de la part de celles-ci, dans des circonstances locales particulières et pendant une longue période, de prêter main-forte aux occupations illégales de terres. Le défaut d’exécution de la décision définitive du 19 avril 1983 doit dès lors être examiné à la lumière de la norme générale contenue dans la première phrase du premier paragraphe de l’article 1 du Protocole no 1 qui énonce le droit au respect de sa propriété.
31. La Cour rappelle, à cet égard, que l’exercice réel et efficace du droit que cette disposition garantit ne saurait en effet dépendre uniquement du devoir de l’Etat de s’abstenir de toute ingérence et peut exiger des mesures positives de protection, notamment là où il existe un lien direct entre les mesures qu’un requérant pourrait légitimement attendre des autorités et la jouissance effective par ce dernier de ses biens (Öneryıldız c. Turquie [GC], no 48939/99, § 134, CEDH 2004-XII, et Matheus précité, § 68).
32. Par ailleurs, combiné avec la première phrase de l’article 1 du Protocole no 1, la prééminence du droit, l’un des principe fondamentaux d’une société démocratique, inhérente à l’ensemble des articles de la Convention, justifie la sanction d’un Etat en raison du refus de celui-ci d’exécuter ou de faire exécuter une décision de justice (Katsaros c. Grèce, no 51473/99, § 43, 6 juin 2002, et Georgiadis c. Grèce, no 41209/98, § 31, 28 mars 2000).
33. En l’espèce, la Cour constate qu’une grande partie des terres, à savoir 880 hectares, a été vendue en 1983 et qu’il n’y a donc pu y avoir, ultérieurement à cette vente, d’occupation illégale sur les terrains cédés au préjudice des requérantes. Par ailleurs, la Cour note que ces dernières n’ont pas fait l’objet d’un refus exprès de la part du préfet, faute pour elles de l’avoir saisi d’une demande, et ce indépendamment de l’utilité d’une telle démarche au regard du contexte local. Il reste que la Cour prend note des observations du Gouvernement et relève que depuis le 19 avril 1983, date de la décision judiciaire définitive d’expulsion, les autorités n’ont rien entrepris pour faire libérer les terres encore illégalement occupées. Elle constate que le Gouvernement ne justifie aucunement l’inaction des autorités.
34. Bien que consciente des difficultés rencontrées par les autorités françaises pour renforcer l’Etat de droit en Corse, la Cour estime que les arguments avancés en l’espèce ne sauraient constituer un motif légitime sérieux et suffisant pour justifier la carence des autorités, qui avaient l’obligation de protéger les intérêts patrimoniaux des requérantes. Ainsi, la Cour constate, contrairement à ce que le Gouvernement semble soutenir en faisant référence à l’affaire Lunari (précité), que les autorités n’ont pas sursis à l’exécution de la mesure judiciaire, ni cherché une autre solution pour remédier à la situation, mais qu’elles refusaient de l’exécuter lorsqu’elles étaient saisies d’une telle demande (Barret et Sirjean c. France (déc.), no 13829/03, 3 juillet 2007).
35. De l’avis de la Cour, il appartenait aux autorités, dès qu’elles furent informées de la situation des requérantes, de prendre, dans un délai raisonnable, toutes les mesures nécessaires afin que la décision de justice soit respectée et que les requérantes retrouvent la pleine jouissance de leurs biens. Elle estime que l’inaction des autorités en l’espèce a eu pour conséquence, en l’absence de toute justification d’intérêt général, d’aboutir à une sorte d’expropriation privée dont les occupants illégaux se sont retrouvés bénéficiaires (Matheus précité, § 71). En laissant perdurer une telle situation, les autorités ont non seulement encouragé certains individus à dégrader en toute impunité les biens des requérantes, mais également laissé s’installer un climat de crainte et d’insécurité non propice à leur retour sur leur domaine.
36. La Cour remarque que ce type de situation témoigne de l’inefficacité du système d’exécution et renvoie au risque de dérive – rappelé dans la Recommandation du Comité des Ministres en matière d’exécution des décisions de justice – d’aboutir à une forme de « justice privée » qui peut avoir des conséquences négatives sur la confiance et la crédibilité du public dans le système juridique (ibid.).
37. Au vu de ce qui précède, la Cour considère qu’il a été porté atteinte au droit au respect des biens des requérantes. Il y a donc eu violation de l’article 1 du Protocole no 1.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 8 DE LA CONVENTION
38. Les requérantes disent avoir été privées, depuis 1983, de la jouissance de leur domicile en raison de l’occupation illégale de leur domaine. Elles invoquent l’article 8 de la Convention, qui se lit comme suit :
« 1. Toute personne a droit au respect de sa vie privée et familiale, de son domicile et de sa correspondance.
2. Il ne peut y avoir ingérence d’une autorité publique dans l’exercice de ce droit que pour autant que cette ingérence est prévue par la loi et qu’elle constitue une mesure qui, dans une société démocratique, est nécessaire à la sécurité nationale, à la sûreté publique, au bien-être économique du pays, à la défense de l’ordre et à la prévention des infractions pénales, à la protection de la santé ou de la morale, ou à la protection des droits et libertés d’autrui. »
39. Tant les requérantes que le Gouvernement invoquent des arguments communs aux griefs tirés des articles 8 de la Convention et 1 du Protocole no 1.
40. Compte tenu du constat de violation auquel elle est parvenue (paragraphe 37 ci-dessus), la Cour n’estime pas nécessaire d’examiner séparément le grief tiré de l’article 8.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
41. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
1. Dommage matériel
42. Le 18 septembre 2007, les requérantes ont demandé le versement d’une somme de 19 292 872 EUR pour préjudice matériel (6 480 000 EUR pour la perte des terrains à vocation touristique situés en bord de mer et classés en zones NA2T, 5 675 000 EUR correspondant à la différence entre l’estimation de l’ancien siège d’exploitation, soit 5 945 000 EUR, et son prix de vente de 270 000 EUR en mai 2007, 288 000 EUR pour les pertes de revenus locatifs que le siège aurait pu générer sur vingt-quatre années, 33 672 EUR de charges fiscales foncières acquittées durant la période d’occupation, et 6 816 000 EUR de pertes de revenus d’exploitation dès lors que la SCA D.P. aurait été obligée de vendre son exploitation au prix fixé par l’Etat à une société désignée par celui-ci et que les requérantes auraient subi des pertes de revenus subséquentes depuis 1983). Le 29 septembre 2008, les requérantes ont déposé le rapport réactualisé de l’expert commis par elles afin de préciser que la somme de 19 292 872 EUR couvrait le préjudice matériel subi par la SCA D.P. et que les autres requérantes – détenant 4/11e des parts de la société – sollicitaient quant à elles une part de cette somme s’élevant à 7 015 589 EUR.
43. Le Gouvernement conteste ces demandes qu’il juge excessives et ne pouvant être rattachées aux violations alléguées de la Convention. Il considère notamment que les requérantes ont effectivement subi un trouble de jouissance du fait de l’occupation prolongée de leurs biens, mais qu’elles ne sont pas fondées à demander une indemnisation correspondant à la valeur de la propriété foncière, dans la mesure où elles demeurent les propriétaires en titre des biens non vendus, ces derniers ne soulevant plus de difficulté.
44. La Cour relève que la seule base à retenir pour l’octroi d’une satisfaction équitable réside en l’espèce dans le constat de violation de l’article 1 du Protocole no 1 en raison du refus de concours de la force publique en exécution d’une décision de justice. Elle estime que si les requérantes ont incontestablement et nécessairement subi un préjudice matériel en raison du refus de concours de la force publique, leurs prétentions sont néanmoins manifestement, soit hypothétiques, soit excessives, et les expertises diligentées à leur demande, selon des méthodes d’évaluation dont la pertinence n’est pas suffisamment établie, ne permettent pas davantage de calculer ce préjudice de manière précise. Dans ces conditions, il ne sera pas fait droit à ce chef de demande, à l’exception de la somme réclamée au titre des charges fiscales foncières acquittées durant la période d’occupation. La Cour note d’ailleurs, à titre surabondant, que si, comme elle a jugé dans le cadre de l’examen de la recevabilité de deux requêtes similaires, une mise en cause de la responsabilité de l’Etat aurait été inefficace pour aboutir à l’exécution de la décision de justice et à la libération des lieux (R.P. c. France (déc.), no 10271/02, 3 juillet 2007, et Barret et Sirjean (déc.), précitée), une telle action devant les juridictions internes est par contre susceptible d’offrir un recours adéquat pour obtenir l’indemnisation du subi en raison de l’occupation elle-même (voir Barret et Sirjean c. France, no 13829/03, § 54, 21 janvier 2010).
45. En conclusion, la Cour octroie conjointement aux requérantes 33 672 EUR pour dommage matériel.
2. Dommage moral
46. Les requérantes sollicitent au moins 20 000 EUR chacune.
47. Le Gouvernement ne se prononce pas.
48. La Cour estime que les requérantes ont subi un préjudice moral certain, que la simple constatation de violation ne saurait compenser. Statuant en équité comme le veut l’article 41 de la Convention, la Cour leur accorde à chacune la somme de 8 000 EUR.
B. Frais et dépens
49. Les requérantes demandent 5 430, 89 EUR au titre des frais et dépens qui correspondent aux honoraires d’avocat ainsi qu’aux frais d’huissier et d’expertise assumés pour prévenir ou faire corriger la violation alléguée. A l’appui de leur demande, les requérantes produisent quelques factures.
50. Le Gouvernement considère que seuls les frais de justice réellement et nécessairement engagés doivent être pris en compte.
51. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. En outre, lorsque la Cour constate une violation de la Convention, elle n’accorde au requérant le paiement des frais et dépens qu’il a exposés devant les juridictions nationales que dans la mesure où ils ont été engagés pour prévenir ou faire corriger par celles-ci ladite violation : tel a bien été, partiellement, le cas en l’espèce. En conséquence, statuant en équité, comme le veut l’article 41 de la Convention, la Cour juge raisonnable d’allouer conjointement aux intéressées la somme de 2 500 EUR au titre des frais et dépens.
C. Intérêts moratoires
52. La Cour juge approprié de baser le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Dit qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
2. Dit qu’il n’est pas nécessaire d’examiner séparément le grief tiré de l’article 8 de la Convention ;
3. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 33 672 EUR (trente trois mille six cent soixante-douze euros) conjointement aux requérantes pour dommage matériel, 8 000 EUR (huit mille euros) pour dommage moral à chacune des requérantes, ainsi que 2 500 EUR (deux mille cinq cents euros) conjointement aux requérantes pour frais et dépens, plus tout montant pouvant être dû par les requérantes à titre d’impôt ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
4. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 21 janvier 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Claudia Westerdiek Peer Lorenzen
Greffière Président

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