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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE FAKIRIDOU ET SCHINA c. GRECE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 35, 29, P1-1
Numero: 6789/06/2008
Stato: Grecia
Data: 2008-11-14 00:00:00
Organo: Sezione Prima
Testo Originale

Conclusione Parzialmente inammissibile; Eccezioni preliminari respinte (non-esaurimento delle vie di ricorso interne); Violazione di P1-1
PRIMA SEZIONE
CAUSA FAKIRIDOU E SCHINA C. GRECIA
( Richiesta no 6789/06)
SENTENZA
STRASBURGO
14 novembre 2008
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Fakiridou e Schina c. Grecia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, riunendosi in una camera composta da:
Nina Vajić, presidentessa, Christos Rozakis, Khanlar Hajiyev, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens, Giorgio Malinverni, George Nicolaou, giudici,
e di Søren Nielsen, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 21 ottobre 2008,
Rende la sentenza che ha, adottata in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 6789/06) diretta contro la Repubblica ellenica e in cui due cittadine di questo Stato, le Sig.re E. F. ed A. S. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 7 febbraio 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il governo greco (“il Governo”) è rappresentato dai delegati del suo agente, il Sig. K. Georgiadis, assessore del Consulente legale dello stato e la Sig.ra S. Alexandridou, ascoltatrice presso il Consulente legale dello stato.
3. I richiedenti si lamentano di un attentato al loro diritto al rispetto dei loro beni in ragione del rifiuto delle autorità e delle giurisdizioni amministrative di revocare un’espropriazione che colpisce la loro proprietà dal 1933.
4. Il 4 giugno 2007, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. I richiedenti sono due sorelle, nate rispettivamente nel 1959 e 1962 che risiedono a Komotini.
A. La genesi della causa
6. I richiedenti sono i proprietari alla pari di un terreno di una superficie totale di 248 m2 ubicato al centro di Komotini e che dà sulla piazza della Pace (πλατεία Ειρήνης). I richiedenti ereditarono di suddetto terreno in una data non precisata.
1. Il blocco del procedimento controverso
7. Con decreto legislativo del 22 settembre 1933, confermato in seguito dal decreto reale del 30 novembre 1970, il piano di allineamento della città di Komotini fu modificato. Una superficie di 178 m2 del terreno controverso fu espropriata allo scopo di allargare la piazza della Pace.
8. Nel 1979, l’ufficio dell’urbanistica della prefettura di Rodopi adottò un atto di designazione dei terreni espropriati e di ripartizione proporzionale degli indennizzi dovuti ai proprietari (πράξη τακτοποίησης και αναλογισμού αποζημιώσεως) (atto nº 20/1979).
9. Questo atto fu confermato dall’ordinanza prefettizia nº 53431/1981, poi dalla sentenza nº 3478/1988 del Consiglio di stato.
10. Il 22 luglio 1997, il prefetto di Rodopi adottò l’ordinanza nº 2865/1997, che modificava nuovamente il piano di allineamento. Secondo questo nuovo piano, il blocco che colpiva il terreno dei richiedenti veniva tolto.
11. Il 6 novembre 2002, il Consiglio di stato annullò l’ordinanza nº 2865/1997, al motivo che era stato resa da un organo incompetente (sentenza nº 3250/2002).
12. Così, l’espropriazione controversa fu ristabilita.
2. L’intervento di I.K. ed I.K.
13. Il 14 luglio 1989, I.K ed I.K, due proprietari di un terreno limitrofo non espropriato il cui valore aumenterebbe una volta realizzata l’espropriazione, investirono il tribunale di prima istanza di Rodopi di un’istanza che verteva sulla determinazione del prezzo unitario provvisorio d’ indennizzo per l’espropriazione del terreno dei richiedenti. Difatti, desideravano versare loro stessi ai richiedenti l’indennizzo dovuto per permettere così la realizzazione dell’espropriazione.
14. Con la sentenza nº 207/1989, il tribunale di prima istanza respinse la loro istanza al motivo che questi non avevano ottenuto a priori l’autorizzazione del prefetto.
15. Il 16 gennaio 1991, I.K ed I.K. vengono autorizzati da ordinanza prefettizia a versare l’indennizzo ai richiedenti una volta fissato il suo importo (ordinanza nº 1142/1991).
16. Il 4 maggio 1997, il prefetto di Rodopi revocò l’ordinanza nº 1142/1991 (ordinanza nº 1655/1997).
17. In una data non precisata, I.K ed I.K. investirono il Consiglio di stato di un ricorso per l’annullamento di suddetta revoca.
18. Con la sua sentenza nº 2554/2005, il Consiglio di stato annullò l’ordinanza nº 1655/1997 e confermò definitivamente l’ordinanza nº 1142/1991, autorizzando I.K. ed I.K. a versare l’indennizzo ai richiedenti una volta fissato il suo importo.
B. I procedimenti tendenti alla revoca dell’espropriazione
1. Il primo procedimento tendente alla revoca dell’espropriazione
19. Il 1 novembre 1989, i richiedenti e gli altri proprietari dei terreni espropriati sollecitarono il ministero dell’ambiente, dell’urbanistica e dei Lavori pubblici la revoca dell’espropriazione al motivo che per un periodo anormalmente lungo, non avendo preso l’amministrazione alcuna misura di esecuzione dell’espropriazione controversa.
20. A seguito del rifiuto tacito dell’amministrazione di fare accogliere questa istanza, i richiedenti e gli altri proprietari toccati dall’espropriazione investirono, il 27 marzo 1990, il Consiglio di stato di un ricorso per l’ annullamento contro suddetto rifiuto. I.K ed I.K. intervennero nel procedimento, a favore del mantenimento dell’espropriazione controversa.
21. Il 30 ottobre 1996, il Consiglio di stato respinse il ricorso per quanto riguardava il terreno dei richiedenti, al motivo che gli intervenienti, I.K ed I.K, avevano intrapreso dei passi tendenti alla realizzazione dell’espropriazione in causa. In compenso, il Consiglio di stato accolse il ricorso per quanto riguardava un altro terreno al motivo che, per un periodo di 56 anni, l’amministrazione non aveva intrapreso nessuno passo allo scopo di compiere l’espropriazione (sentenza nº 5249/1996).
2. Il secondo procedimento controverso tendente alla revoca dell’espropriazione
22. Il 27 febbraio 1997, i richiedenti investirono di nuovo il Consiglio di stato di un ricorso per annullamento contro il rifiuto dell’amministrazione di revocare l’espropriazione del loro terreno. I.K ed I.K. intervenirono di nuovo nel procedimento.
23. Il 15 dicembre 1999, il Consiglio di stato rinviò la causa dinnanzi alla corte amministrativa d’appello, giurisdizione competente nello specifico.
24. Il 24 febbraio 2003, la corte amministrativa di Atene accolse il ricorso ed ordinò all’amministrazione di procedere a togliere l’espropriazione controversa con la modifica necessaria del piano di allineamento in causa (sentenza nº 203/2003).
25. Il 21 novembre 2004, I.K ed I.K. interposero appello a questa sentenza.
26. L’ 11 agosto 2005, il Consiglio di stato annullò la sentenza attaccata e respinse il ricorso dei richiedenti. Difatti, l’alta giurisdizione amministrativa considerò che:
“(…) Infine, la corte di appello non può appellarsi al fatto che, a seguito della prima domanda di revoca, un periodo di sette anni sia trascorso senza che nessun ulteriore progresso fosse stato constatato allo scopo del compimento dell’espropriazione con la determinazione dell’importo ed il versamento dell’indennizzo agli interessati, poiché durante questo periodo, erano pendenti dinnanzi al Consiglio di stato sia i procedimenti che riguardavano la validità delle ordinanze numeri 1142/1991 e 1655/1997 sia quello contro il primo rifiuto dell’amministrazione di accogliere l’istanza dei richiedenti. (…) Il ricorso per annullamento dei richiedenti deve essere respinto, poiché, visto ciò che precede, non si può considerare che il mantenimento in vigore dell’espropriazione controversa abbia superato i termini ragionevoli .”
27. La sentenza nº 2555/2005 fu stesa in bella copia definitiva il 24 novembre 2005.
C. Sviluppi recenti
28. Il 14 novembre 2005, i richiedenti investirono di nuovo le giurisdizioni amministrative di un ricorso in annullamento contro il rifiuto dell’amministrazione di revocare l’espropriazione del loro terreno. L’udienza dinnanzi al tribunale amministrativo di prima istanza fu fissata al 22 marzo 2006. Risulta dalla pratica che il procedimento è sempre pendente dinnanzi a questa giurisdizione.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNI PERTINENTI
A. La Costituzione
29. Le disposizioni pertinenti della Costituzione del 1975 si leggono così:
Articolo 17
“1. La proprietà è posta sotto la protezione dello stato. I diritti che ne derivano tuttavia non si possono esercitare a scapito dell’interesse generale.
2. Nessuno può essere privato della sua proprietà, se non è a causa di utilità pubblica, debitamente provata, nel caso e seguendo il procedimento determinato dalla legge e sempre mediante un’indennità preliminare completa. Questa deve corrispondere al valore che possiede la proprietà espropriata il giorno dell’udienza sulla causa concernente la determinazione provvisoria dell’indennità da parte del tribunale. Nel caso di un’istanza che prevede la determinazione immediata dell’indennità definitiva, viene preso in considerazione il valore che la proprietà espropriata possiede il giorno dell’udienza del tribunale su questa istanza.
(…) “
30. Secondo la giurisprudenza del Consiglio di stato, il mantenimento in vigore di un’espropriazione non realizzata non può superare un termine ragionevole. Così, se un’espropriazione resta in vigore durante un lungo periodo senza che vengano prese delle misure tendenti alla sua realizzazione, può essere considerata, alla luce delle circostanze, come se superasse il termine ragionevole ed imponesse alla proprietà riguardata un carico esorbitante e contrario alla Costituzione. In queste condizioni, l’amministrazione ha l’ obbligo di togliere l’espropriazione in causa (ΣτΕ 3269/2003, ΣτΕ 2891/2004, ΣτΕ 2084/2006,).
B. La legge corollario del codice civile
31. Entrano anche in fila di conto le seguenti disposizioni della legge corollario (Εισαγωγικός Νόμος) del codice civile,:
Articolo 105
“Lo stato è tenuto a riparare il danno causato dagli atti illegali od omissioni dei suoi organi all’epoca dell’esercizio del potere pubblico, salvo nel caso in cui l’atto o l’omissione abbiano avuto luogo per incomprensione di una disposizione destinata a servire l’interesse pubblico. La persona colpevole è solidalmente responsabile, sotto riserva delle disposizioni speciali sulla responsabilità dei ministri. “
Articolo 106
“Le disposizioni dei due articoli precedenti si applicano anche in materia di responsabilità dei comuni o di altre persone di dritto pubblico per il danno causato dagli atti od omissioni dei loro organi. “
32. L’articolo 105 della legge corollario del codice civile stabilisce il concetto di atto dannoso speciale di dritto pubblico, creando una responsabilità extracontrattuale dello stato. Questa responsabilità risulta da atti od omissioni illegali che hanno causato un danno materiale o morale all’amministrato. Gli atti riguardati possono essere, non solo degli atti giuridici, ma anche degli atti materiali dell’amministrazione, ivi compreso degli atti in principio non esecutivi (Kyriakopoulos, Commento del codice civile, articolo 105 della legge corollario del codice civile, no 23; Filios, Diritto dei contratti, parte speciale, volume 6, responsabilità delittuosa 1977, paragrafo 48 B 112; E. Spiliotopoulos, Diritto amministrativo, terza edizione, paragrafo 217). Ai termini dell’articolo 19 della legge nº 1868/1989, l’azione per danno-interessi dinnanzi alle giurisdizioni amministrative è un ricorso indipendente rispetto al ricorso per annullamento o ogni altro ricorso contro l’atto o l’omissione amministrativa da cui deriva l’obbligo eventuale d’ indennizzo; può essere esercitata dunque a scelta in modo autonomo dell’interessato. Poiché la natura illegale dell’atto o dell’omissione è una delle condizioni di ammissibilità dell’azione per risarcimento, il tribunale amministrativo investito da tale azione esamina anche la legalità dell’atto o dell’omissione amministrativa incriminati, purché questa non venga già esaminata con forza di cosa giudicata nella cornice di un altro procedimento. Esiste un’abbondante giurisprudenza dei tribunali interni a proposito dell’azione per danni-interessi. Secondo questa giurisprudenza, se un terreno destinato alla costruzione di un lavoro di utilità pubblica rimane bloccato per un lungo periodo senza che l’amministrazione proceda alla sua espropriazione formale mediante un’indennità, il proprietario riguardato può chiedere lo sblocco del suo bene, così come un indennizzo per il danno subito (vedere, per esempio, tribunale amministrativo di Tessalonico, decisione nº 2839/1991). Parimenti, se l’amministrazione blocca un terreno al di là del termine ragionevole, il proprietario colpito può chiedere un’indennità per il danno subito in ragione del blocco illegale del suo bene e della privazione del suo uso (vedere, per esempio, tribunale amministrativo di Kalamata, decisione no 104/2003). Infine, se l’amministrazione occupa illegalmente un terreno, il proprietario può chiedere, oltre la restituzione del suo bene, un’indennità per privazione dell’uso del suo terreno (vedere, per esempio, corte d’appello di Rodi, decisione no 35/2004).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO Nº 1
33. Riferendosi alla cronistoria della causa dal 1933, data del primo decreto che colpisce il terreno controverso, i richiedenti si lamentano del rifiuto delle autorità e delle giurisdizioni greche di togliere il blocco della loro proprietà che perdura a tutt’oggi. Invocano l’articolo del Protocollo nº 1, così formulato,:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Sull’ammissibilità
Sulle eccezioni di non-esaurimento delle vie di ricorso interne
1. Sulla prima eccezione di non-esaurimento delle vie di ricorso interne
34. Il Governo afferma, innanzitutto, che i richiedenti non hanno esaurito le vie di ricorso interne poiché non hanno invocato in modo esplicito dinnanzi alle giurisdizioni amministrative la violazione dell’articolo 1 del Protocollo nº 1. Riferendosi alla causa Ahmet Sadik c. Grecia, (15 novembre 1996, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-V) fa valere che l’articolo 35 della Convenzione non esige solamente l’immissione nel processo delle giurisdizioni nazionali competenti, ma anche la presentazione dinnanzi a queste stesse giurisdizioni dei motivi di appello che si intende formulare dinnanzi alla Corte in seguito.
35. I richiedenti contestano questa tesi.
36. La Corte ricorda che la regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne deve applicarsi con una certa flessibilità e senza formalismo eccessivo (vedere, tra molte, le sentenze Cardot c. Francia, 19 marzo 1991, § 34, serie A nº 200 e Castells c. Spagna, 23 aprile 1992, § 27, serie A nº 232). Ora, nel presente caso, la Corte nota che tutti i ricorsi intentati dai richiedenti dinnanzi alle giurisdizioni amministrative tendevano indiscutibilmente alla revoca del blocco che colpisce il loro terreno e, a fortiori, alla protezione della loro proprietà. Quindi, non si potrebbe sostenere che i richiedenti non abbiano fornito alle giurisdizioni greche l’occasione di riparare la violazione addotta del loro diritto al rispetto dei loro beni. Conviene dunque respingere questa eccezione.
2. Sulla seconda eccezione di non-esaurimento delle vie di ricorso interne
37. Il Governo avanza, peraltro, che i richiedenti avrebbero potuto introdurre un’azione per indennizzo contro lo stato ai termini dell’articolo 105 della legge corollario del codice civile. Tale azione avrebbe permesso loro di vedersi versare un indennizzo completo per il danno materiale e morale subito in ragione del blocco, presunto essere al di là del termine ragionevole, della loro proprietà.
38. I richiedenti ribattono che una domanda di indennizzo fondata sull’articolo 105 della legge corollario del codice civile non costituiva, nello specifico, una via di ricorso adeguata. Difatti, rilevano che questo ricorso di cui l’ammissibilità dipende dalla natura illegale degli atti o delle omissioni degli organi dello stato, sarebbe stato destinato al fallimento, perché il Consiglio di stato ha considerato a due riprese, sentenze numeri 5249/1996 e 2555/2005, che il mantenimento in vigore dell’espropriazione controversa non aveva superato i termini ragionevoli e che il rifiuto dell’amministrazione di togliere il blocco non era illegale. I richiedenti stimano dunque che non avrebbero potuto sostenere validamente dinnanzi alle giurisdizioni competenti che gli organi statali avevano commesso un’illegalità a loro carico.
39. La Corte ricorda che il fondamento della regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne enunciato all’articolo 35 § 1 della Convenzione consiste nel fatto che prima di investire la Corte, il richiedente abbia dovuto dare allo stato responsabile la facoltà di ovviare alle violazioni addotte dai mezzi interni, utilizzando le risorse giudiziali offerte dalla legislazione nazionale, purché si rivelino efficaci e sufficienti (vedere, tra altre, Fressoz e Roire c. Francia [GC], nº 29183/95, § 37, CEDH 1999-I). Difatti, l’articolo 35 § 1 della Convenzione prescrive solo l’esaurimento dei ricorsi relativi al tempo stesso delle violazioni incriminate, disponibili ed adeguati. Devono esistere non solo ad un grado sufficiente di certezza in teoria ma anche in pratica, mancherebbero altrimenti dell’effettività e dell’accessibilità volute; incombe sullo stato convenuto di dimostrare che queste esigenze si trovano riunite (vedere, tra altri, Dalia c. Francia, 19 febbraio 1998, § 38, Raccolta 1997-I). Infine, colui che ha esercitato un ricorso di natura tale da ovviare direttamente alla situazione controversa -e non in modo indiretto- non è tenuto ad esaurirne altri a lui aperti ma di cui l’efficacia sarebbe stata improbabile (vedere, tra altri, Manoussakis ed altri c. Grecia, 26 settembre 1996, § 33, Raccolta 1996-IV).
40. A differenza delle cause Kosmidis e Kosmidou c. Grecia, ((déc), no 32141/04, 24 ottobre 2006, e Rompoti e Rompotis c. Grecia, (, déc.), nº 14263/04, 20 ottobre 2005) nelle quali era stato considerato che i richiedenti avrebbero dovuto intentare un’azione per danni-interessi, fondata sull’articolo 105 della legge corollario del codice civile, mirando ad ottenere un indennizzo per il blocco della loro proprietà durante un lungo periodo, la Corte non è convinta che nel presente caso, tale ricorso sarebbe di natura tale da ovviare direttamente alla situazione controversa. Difatti, nelle cause precitate, le giurisdizioni interne avevano accolto i ricorsi degli interessati costatando la levata delle espropriazioni controverse. Gli interessati avevano così, in seguito la possibilità di fondare un’azione per danni-interessi sull’illegalità a priori constatata; ora non è lo stesso nella presente causa.
41. In particolare, la Corte nota che i richiedenti richiedevano la levata del blocco del loro terreno affinché potessero godere pienamente dei loro diritti di proprietà. A questo scopo, avevano investito le giurisdizioni amministrative di un ricorso per annullamento del rifiuto dell’amministrazione di revocare l’espropriazione che colpisce il loro terreno. Ora, l’alta giurisdizione amministrativa li respinse a due riprese considerando che il mantenimento dell’espropriazione in causa non fosse illegale. In queste condizioni, la Corte conviene coi richiedenti che questi difficilmente potrebbero pretendere in seguito, per fondare un’eventuale azione per danno-interessi ai termini dell’articolo 105 della legge corollario del codice civile, che ci fosse stata nello specifico un’illegalità commessa a loro carico da parte degli organi statali.
42. Alla vista di ciò che precede, la Corte considera che i richiedenti abbiano fatto un uso normale delle vie di ricorso che avevano a loro disposizione in diritto greco. Conviene dunque respingere questa eccezione.
3. Sulla terza eccezione di non-esaurimento delle vie di ricorso interne
43. Il Governo sostiene, infine, l’inammissibilità di questo motivo di appello, al motivo che,a seguito del ricorso per annullamento esercitato dai richiedenti il 14 novembre 2005, il procedimento è sempre pendente dinnanzi alle giurisdizioni amministrative.
44. I richiedenti si oppongono a questa tesi.
45. La Corte stima che il procedimento controverso finì il 24 novembre 2005 con la sentenza nº 2555/2005 del Consiglio di stato che costituisce la decisione interna definitiva ai fini della presente controversia. Il fatto che i richiedenti che hanno già tentato senza successo di risanare la situazione controversa a due riprese, non abbandonino i loro sforzi per fare togliere il blocco pesante sul loro terreno, non potrebbe, agli occhi della Corte, influenzare l’ammissibilità del motivo di appello qui in causa. Conviene dunque respingere questa eccezione sollevata dal Governo.
46. In fine, la Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente male fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessuno altro motivo d’inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Tesi delle parti
47. I richiedenti adducono che in ragione delle differenti misure che colpiscono il loro terreno dal 1933, sono stati privati della possibilità di disporne liberamente e pienamente. Secondo loro, il fallimento delle autorità nel prendere delle misure necessarie allo scopo di compiere l’espropriazione controversa ed il rifiuto delle giurisdizioni amministrative di sanzionare questo fallimento pronunciando la levata del blocco, hanno rotto il giusto equilibro che deve regnare tra la salvaguardia del diritto di proprietà e le esigenze dell’interesse generale.
48. Il Governo sottolinea che in materia di restrizione al diritto di proprietà, gli Stati dispongono di un grande margine di valutazione (James ed altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 46, serie A nº 98). Afferma che l’espropriazione controversa ha avuto luogo conformemente alle disposizioni legislative pertinenti ed inseguiva uno scopo di utilità pubblica, ovvero la pianificazione urbana. Peraltro, secondo il Governo, il Consiglio di stato ha fondato il suo rifiuto di constatare la levata del blocco su dei motivi sufficienti e pertinenti.
2. Valutazione della Corte
49. La Corte nota, innanzitutto, che non è contestato che c’è stata un’ingerenza nel diritto dei richiedenti al rispetto dei loro beni. Quindi, deve ricercare se l’ingerenza denunciata si giustifica sotto l’angolo di questa disposizione.
50. La Corte ricorda che l’articolo 1 del Protocollo nº 1 esige, innanzitutto e soprattutto, che un’ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto di beni sia legale. Nel presente caso, la Corte considera che il decreto legislativo del 22 settembre 1933, confermato in seguito dal decreto reale del 30 novembre 1970 e che includeva una parte del terreno controverso nella superficie totale espropriata, costituivano la base legale dell’ingerenza denunciata. Inoltre, questa privazione di proprietà inseguiva uno scopo legittimo, ovvero la pianificazione urbana.
51. La Corte deve ricercare infine se un giusto equilibrio è stato mantenuto tra le esigenze dell’interesse generale e gli imperativi dei diritti fondamentali dell’individuo. Ricorda a questo riguardo che una misura di ingerenza nel diritto al rispetto dei beni deve predisporre un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (vedere, tra altre, Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 69, serie A nº 52). La preoccupazione di garantire un tale equilibrio si riflette nella struttura dell’articolo 1 del Protocollo nº 1 tutto intero, e dunque nella seconda frase che si deve leggere alla luce del principio consacrato dalla prima. In particolare, deve esistere un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto da ogni misura che priva una persona della sua proprietà (Pressos Compania Naviera S.p.A. ed altri c. Belgio, 20 novembre 1995, § 38, serie A nº 332).
52. La Corte ricorda poi che la Grecia ha ratificato il diritto di ricorso individuale nel novembre 1985. Di conseguenza, i fatti che si sono svolti prima di questa data si trovano all’infuori della competenza ratione temporis della Corte. Tuttavia, la Corte potrebbe prenderli in considerazione nella valutazione della situazione dei richiedenti posteriore a questa data (vedere, mutatis mutandis, Satka ed altri c. Grecia, no 55828/00, § 46, 27 marzo 2003).
53. In particolare, per ciò che riguarda la presente causa, la Corte lega un’importanza particolare al fatto che in virtù di due decreti che modificavano il piano di allineamento della città di Komotini, il terreno della richiedenti rimane bloccato dal 1933, ossia da più di settant’ anni, e che dal 1979, data in cui l’atto di designazione dei terreni espropriati e di ripartizione proporzionale degli indennizzi dovuti ai proprietari fu adottato, le autorità non hanno preso nessuna altra misura che mirasse a compiere l’espropriazione ed indennizzare i richiedenti. Difatti, il solo procedimento in vista dell’indennizzo dei richiedenti è stato impegnato dai proprietari di un terreno limitrofo, non espropriato. Ora, agli occhi della Corte, l’obbligo dello stato di rispettare e di proteggere la proprietà degli individui non può dipendere dall’iniziativa di terzi. Peraltro, la Corte non potrebbe condividere la conclusione a cui è giunto il Consiglio di stato e secondo la quale l’omissione dell’amministrazione di procedere al compimento dell’espropriazione con la determinazione dell’importo ed il versamento dell’indennizzo alle interessate fosse giustificata dalla litispendenza dei procedimenti relativi a questa espropriazione.
54. La Corte stima perciò che tale attentato ai diritti delle interessate rompa, a sfavore di queste, il giusto equilibrio da predisporre tra la protezione della proprietà e le esigenze dell’interesse generale.
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo nº 1.
II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
55. I richiedenti si lamentano anche dell’equità del procedimento dinnanzi alle giurisdizioni amministrative. Invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Sull’ammissibilità
56. La Corte ricorda che ai termini dell’articolo 19 della Convenzione, ha per compito di garantire il rispetto degli impegni che risultano dalla Convenzione per le Parti contraenti. In particolare, non gli appartiene di conoscere degli errori di fatto o di diritto che si presume siano stati commessi da una giurisdizione interna, salvo che siano di una misura tale da aver portato attentato ai diritti e libertà salvaguardate dalla Convenzione (vedere, García Ruiz c. Spagna [GC], nº 30544/96, § 28, CEDH 1999-I). La Corte non può valutare lei stessa gli elementi di fatto che hanno condotto una giurisdizione nazionale ad adottare una decisione piuttosto che un’ altra, se non nel caso si erigesse a giudice di quarta istanza e ignorerasse i limiti della sua missione (vedere, mutatis mutandis, Kemmache c. Francia (nº 3), 24 novembre 1994, § 44, serie A nº 296-C.) La Corte ha per sola funzione, allo sguardo dell’articolo 6 della Convenzione, di esaminare le richieste che adducono che le giurisdizioni nazionali abbiano ignorato delle garanzie procedurali specifiche enunciate da questa disposizione o che la condotta del procedimento nel suo insieme non abbia garantito un processo equo al richiedente (vedere, tra molti altri, Donadzé c. Georgia, nº 74644/01, §§ 30-31, 7 marzo 2006).
57. Nel presente caso, i richiedenti sollevano un motivo di appello che mira a mettere in causa il modo in cui l’alta giurisdizione ha interpretato ed applicato il diritto interno pertinente. Ora, niente permette alla Corte di pensare che il procedimento durante il quale i richiedenti hanno potuto presentare tutti i loro argomenti, non sia stato equo. La Corte non trova difatti nessuno indizio di arbitrarietà nella condotta del processo né di violazione dei diritti procedurali delle interessate.
58. Ne segue che questa parte della richiesta è manifestamente male fondata e deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
59. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
60. I richiedenti non richiedono nessuna somma a titolo di soddisfazione equa. Affermano che, a seguito della constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo nº 1, potranno investire le giurisdizioni amministrative in vista di ottenere un indennizzo. In compenso, sollecitano la revoca dell’espropriazione controversa.
61. Visto ciò che precede, la Corte stima che non c’è luogo di concedere ai richiedenti una somma a titolo di soddisfazione equa, in quanto non hanno chiesto nessun indennizzo a questo titolo. In compenso, visto che la natura della violazione constatata permette una restitutio in integrum, la Corte considera che la revoca dell’espropriazione controversa porrebbe i richiedenti il più possibile in una situazione equivalente a quella in cui si troverebbero se non ci fosse stata trasgressione alle esigenze dell’articolo 1 del Protocollo nº 1 (vedere, in questo senso, Papamichalopoulos ed altri c. Grecia (articolo 50), 31 ottobre 1995, § 38, serie A no 330-B.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANI MITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dal diritto dei richiedenti al rispetto dei loro beni ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo nº 1.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 14 novembre 2008, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Søren Nielsen Nina Vajić
Cancelliere Présidente
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione delle seguenti opinioni:
-opinione concordante del giudice Vajić;
-opinione concordante dei giudici Spielmann e Malinverni.
N.A.V.
S.N.

OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE VAJIĆ
Ho votato con la maggioranza a favore della constatazione di una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 nella presente causa per le ragioni chiaramente espresse ai paragrafi 53 e 54 della sentenza, cioè che per lunghi anni le autorità nazionali non hanno attuato l’espropriazione per non avere fissato l’importo dell’indennità e non avere versato questa ai richiedenti (non dipendendo del resto l’espropriazione in quanto tale dalla competenza ratione temporis della Corte (paragrafo 52)).
Invece, non posso aderire al paragrafo 61 della sentenza in cui, visto la natura della violazione constatata, la maggioranza suggerisce una restitutio in integrum. Secondo me, non spetta alla Corte pronunciarsi sul modo di risarcimento nelle circostanze date (v. paragrafo 1, sopra). Gli Stati contraenti parti di una causa sono in principio liberi di scegliere i mezzi che utilizzeranno per conformarsi ad una sentenza che constata una violazione. Questo potere di valutazione in quanto alle modalità di esecuzione di una sentenza traduce la libertà di scelta di cui è abbinato l’obbligo primordiale imposto dalla Convenzione agli Stati contraenti: garantire il rispetto dei diritti e delle libertà garantite (articolo 1) (cf. Papamichalopoulos ed altri c. Grecia (articolo 50), sentenza del 8 ottobre 1995, serie A no 330-B, p. 59, § 34; Brumărescu c. Romania (soddisfazione equa) [GC], no 28342/95, § 20, CEDH 2001-I, ecc.).

OPINIONE CONCORDANTE DEI GIUDICI SPIELMANN E MALINVERNI

1. Condividiamo tutti i punti della conclusione della Corte sulla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 della Convenzione.
2. Avremmo desiderato però che, in ragione della loro importanza, i considerando del § 61 della sentenza figurassero anche nel dispositivo, per le seguenti ragioni.
3. Da prima, è ben conosciuto che se i considerando di una sentenza permettono agli Stati contraenti di conoscere i motivi per i quali la Corte è giunta ad una constatazione di violazione della Convenzione o alla mancanza di tale constatazione, e che rivestono a questo riguardo un’importanza determinante per l’interpretazione della Convenzione, è il dispositivo che lega le parti, ai sensi dell’articolo 46 § 1 della Convenzione. Non è indifferente dunque, da un punto di vista giuridico che certe considerazioni della Corte raffigurano anche nel dispositivo.
4. Ora, ciò che la Corte afferma al § 61 della sentenza riveste ai nostri occhi la maggiore importanza. La Corte ricorda difatti che la natura della violazione constatata permette una restitutio in integrum e che la revoca dell’espropriazione controversa porrebbe i richiedenti il più possibile nella situazione equivalente a quella in cui si troverebbero se non ci fosse stata trasgressione alle esigenze dell’art. 1 del Protocollo no 1.
5. Se ci permettiamo di insistere su questo punto, è perché non bisogna perdere di vista che le indennità di cui la Corte ordina il versamento alle vittime di una violazione della Convenzione rivestono, ai termini e secondo lo spirito dell’articolo 41, un carattere accessorio. Ogni volta che ciò è possibile, la Corte dunque dovrebbe sforzarsi di porre la vittima nello status quo ante. Dovrebbe anche, nei casi come questo, riservare la sua decisione sull’indennità equa e dedicarsi, all’occorrenza, a questa questione solo più tardi, se le parti non dovessero giungere ad un ordinamento soddisfacente del loro contenzioso.
6. Il principio della restitutio in integrum trova la sua origine nella sentenza della Corte permanente di Giustizia internazionale del 13 settembre 1928, nella causa della fabbrica Chorzow (merito). La Corte di L’Aia ha affermato:
Il principio essenziale che deriva della nozione stessa di atto illecito e che sembra liberarsi dalla pratica internazionale, è che il risarcimento deve, per quanto possibile, cancellare tutte le conseguenze dell’atto illecito e ristabilire lo stato che sarebbe esistito verosimilmente se suddetto atto non fosse stato commesso. ( CPJI serie. A, No 17, p. 47).
7. Il principio della restitutio in integrum è considerato dunque come il rimedio ideale per riparare delle violazioni di regole del diritto internazionale. È stato riaffermato costantemente dalla giurisprudenza e dalla pratica internazionale. L’articolo 35 del progetto degli articoli sulla responsabilità degli Stati, elaborato dalla Commissione del diritto internazionale delle Nazioni Unite, ricorda questo principio in questi termini:

Lo stato responsabile del fatto internazionalmente illecito ha l’obbligo di procedere alla restituzione che consiste nel ristabilimento della situazione che esisteva prima che il fatto illecito fosse stato commesso, dal momento che e per quanto tale restituzione:
a) non sia materialmente impossibile;
b) non imponga un carico fuori da qualsiasi proporzione col vantaggio che deriverebbe dalla restituzione piuttosto che dall’indennizzo.
Da parte sua, l’articolo 36 di questo stesso progetto dispone:
1. Lo stato responsabile del fatto internazionalmente illecito è tenuto ad indennizzare il danno causato da questo fatto nella misura in cui questo danno non venga riparato dalla restituzione.
8. Non esiste nessuno motivo di non applicare anche questo principio alla campo del diritto internazionale dei diritti dell’uomo (vedere Loukis G. Loucaides “Risarcimento per le Violazioni dei Diritti Umani sotto la Convenzione Europea e la Restitutio in integrum” [2008], Rivista Europea Legale dei Diritti Umani, 183-192).
9. La Corte ha pronunciato del resto, già delle simili ingiunzioni nel dispositivo di alcune delle sue sentenze. Così, nella sua sentenza Papamichalopoulos ed altri c. Grecia, Art. 50, sentenza del 31 ottobre 1995, Serie A no 330-B, la Corte ha affermato:
34. La Corte ricorda che con l’articolo 53 (art. 53) della Convenzione le Alte Parti contraenti si sono impegnate a conformarsi alle decisioni della Corte nelle controversie delle quali sono parti; in più, l’articolo 54 (art. 54) contempla che la sentenza della Corte venga trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione. Ne segue che una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico allo sguardo della Convenzione di porre termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire tanto quanto si può fare la situazione anteriore a questa.
Gli Stati contraenti parti in una causa sono in principio liberi di scegliere i mezzi che utilizzeranno per conformarsi ad una sentenza che constata una violazione. Questo potere di valutazione in quanto alle modalità di esecuzione di una sentenza traduce la libertà di scelta di cui è abbinato l’obbligo primordiale imposto dalla Convenzione agli Stati contraenti: garantire il rispetto dei diritti e libertà garantite (articolo 1) (art. 1). Se la natura della violazione permette una restituito in integrum ,incombe sullo stato convenuto di realizzarla, non avendo la Corte né la competenza né la possibilità pratica di farlo lei stessa. Se il diritto nazionale non permette, in compenso, o permette solamente imperfettamente di cancellare le conseguenze della violazione (articolo 50, art. 50) alla Corte viene concesso di accordare, se c’è luogo, alla parte lesa la soddisfazione che le sembra appropriata.
Nel dispositivo di questa sentenza, la Corte ha
2. Stabilito che lo stato convenuto deve restituire ai richiedenti, entro sei mesi, i terreni controversi di una superficie di 104 018 m2, ivi compreso gli edifici che vi si trovano;
3. Stabilisce che, in mancanza di tale restituzione, lo stato convenuto deve versare ai richiedenti, entro sei mesi, 5 551 000 000 (cinque miliardi cinque cento cinquantuno milioni) di dracme per danno materiale, importo da aumentare di un interesse non capitalizzabile del 6% a contare dalla scadenza del termine di sei mesi (punto 2 del dispositivo) e fino al versamento;
10. Parimenti, nella sentenza Iatridis c. Grecia, del 19 ottobre 2000 (soddisfazione equa), la Corte ha ricordato i seguenti principi:
32. La Corte ricorda che una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico allo sguardo della Convenzione di porre termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire tanto quanto si può fare la situazione anteriore a questa.
33. Gli Stati contraenti parti di una causa sono in principio liberi di scegliere i mezzi che utilizzeranno per conformarsi ad una sentenza che constata una violazione. Questo potere di valutazione in quanto alle modalità di esecuzione di una sentenza traduce la libertà di scelta di cui è abbinato l’obbligo primordiale imposto dalla Convenzione agli Stati contraenti: garantire il rispetto dei diritti e libertà garantite (articolo 1). Se la natura della violazione permette una restituito in integrum, incombe sullo stato convenuto di realizzarla, non avendo la Corte né la competenza né la possibilità pratica di farlo lei stessa. Se il diritto nazionale non permette, in compenso, o permette solamente imperfettamente di cancellare le conseguenze della violazione, l’articolo 41 abilita la Corte ad accordare, se c’è luogo, alla parte lesa la soddisfazione che gli sembra appropriata (sentenza Papamichalopoulos ed altri c. Grecia del 31 ottobre 1995 (articolo 50), serie A no 330-B, pp. 58-59, § 34).
34. Nella sua sentenza al principale, la Corte si è espressa così: “(…) il 23 ottobre 1989, la corte d’appello di Atene, deliberando secondo il procedimento in riferimento e con una decisione che ha forza di cosa giudicata, ha annullato l’ordinanza di sfratto al motivo che le condizioni richieste per la sua adozione non erano riunite. Così, ed a partire da questo momento, lo sfratto del richiedente ha perso ogni base legale e la municipalità di Ilioupolis è diventata un occupante senza titolo. Questa si trovava allora nell’obbligo di restituire il cinema al richiedente, il che fu raccomandato del resto da tutti gli organi incaricati di dare il loro pare in materia al ministro delle Finanze, ovvero il ministero delle Finanze, il Consulente legale dello stato e la Società dei beni immobiliari dello stato. ” (§ 61)
35. Perciò, la Corte stima che il carattere manifestamente illegale nel dritto interno dell’ingerenza controversa giustificherebbe la concessione al richiedente di un indennizzo intero. Difatti, solo la restituzione al richiedente dell’uso del cinema porrebbe questo, il più possibile, in una situazione equivalente a quella in cui si troverebbe se non ci fosse stata trasgressione alle esigenze dell’articolo 1 del Protocollo no 1. In quanto ai documenti depositati dal richiedente il 21 luglio 1999 sotto forma di una nuova richiesta (paragrafo 5 sopra) la Corte li tratterà come facenti parte della pratica relativa all’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione.
11. Infine, nella sua sentenza Brumărescu c. Romania del 23 gennaio 2001 (soddisfazione equa), dopo avere constatato che:
… nelle circostanze del caso specifico,… la restituzione del bene controverso, come ordinata dal giudizio definitivo del tribunale di prima istanza di Bucarest del 9 dicembre 1993, porrebbe il richiedente, per quanto possibile, in una situazione equivalente a quella in cui si troverebbe se le esigenze dell’articolo 1 del Protocollo no 1 non fossero state ignorate.
ai punti 1 e 2 del dispositivo, la Corte ha
1. Stabilito che lo stato convenuto deve restituire al richiedente, entro sei mesi, la casa controversa ed il terreno su cui è ubicata, fatta eccezione per l’appartamento e della parte di terreno corrispondente già restituiti;
2. Stabilito che in mancanza di tale restituzione lo stato convenuto deve versare al richiedente, negli stessi sei mesi, 136 205 USD (cento trentaseimila due cento cinque dollari americani) per danno materiale, da convertire in lei rumeni al tasso applicabile in data dell’ordinamento,;
12. Ai termini dell’articolo 46 § 2 della Convenzione, la sorveglianza dell’esecuzione delle sentenze della Corte incombe sul Comitato dei Ministri. Ciò non significa però che la Corte non debba giocare alcun ruolo in questo campo, e che non debba adottare le misure atte a facilitare il compito del Comitato dei Ministri nel compimento di queste funzioni. Difatti, né l’articolo 41 né nessuna altra disposizione della Convenzione è di natura tale da impedire alla Corte di pronunciarsi sulla questione del risarcimento di una violazione della Convenzione alla luce dei suddetti principi. Dal momento che è competente in merito all’interpretazione e all’applicazione della Convenzione, la Corte dovrebbe essere abilitata anche a determinare “la forma e l’importo del risarcimento che deve essere concesso” (J. Crawford,Articoli della Commissione Legislativa Internazionale sulla Responsabilità dello Stato, Testo e Commenti, Cambridge University Press, 2002, p. 211 (2)).
13. Per ottenere questo, è essenziale che, nelle sue sentenze, la Corte non si limiti a dare una descrizione il più possibile precisa della natura della violazione della Convenzione constatata, ma che, nel dispositivo, indichi anche allo stato condannato le misure che le sembrano più adeguate per riparare simile violazione.

Testo Tradotto

Conclusion Partiellement irrecevable ; Exceptions préliminaires rejetées (non-épuisement des voies de recours internes) ; Violation de P1-1
PREMIÈRE SECTION
AFFAIRE FAKIRIDOU ET SCHINA c. GRÈCE
(Requête no 6789/06)
ARRÊT
STRASBOURG
14 novembre 2008
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Fakiridou et Schina c. Grèce,
La Cour européenne des droits de l’homme (première section), siégeant en une chambre composée de :
Nina Vajić, présidente,
Christos Rozakis,
Khanlar Hajiyev,
Dean Spielmann,
Sverre Erik Jebens,
Giorgio Malinverni,
George Nicolaou, juges,
et de Søren Nielsen, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 21 octobre 2008,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 6789/06) dirigée contre la République hellénique et dont deux ressortissantes de cet Etat, Mmes E. F. et A. S. (« les requérantes »), ont saisi la Cour le 7 février 2006 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le gouvernement grec (« le Gouvernement ») est représenté par les délégués de son agent, M. K. Georgiadis, assesseur auprès du Conseil juridique de l’Etat et Mme S. Alexandridou, auditrice auprès du Conseil juridique de l’Etat.
3. Les requérantes se plaignent d’une atteinte à leur droit au respect de leurs biens en raison du refus des autorités et des juridictions administratives de révoquer une expropriation affectant leur propriété depuis 1933.
4. Le 4 juin 2007, la Cour a décidé de communiquer la requête au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, elle a en outre décidé que seraient examinés en même temps la recevabilité et le bien-fondé de l’affaire.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Les requérantes sont deux sœurs, nées respectivement en 1959 et 1962 et résident à Komotini.
A. La genèse de l’affaire
6. Les requérantes sont les propriétaires indivis d’un terrain d’une superficie totale de 248 m2 sis au centre de Komotini et qui donne sur la place de la Paix (πλατεία Ειρήνης). Les requérantes héritèrent dudit terrain à une date non précisée.
1. Le blocage de la procédure litigieuse
7. Par décret législatif du 22 septembre 1933, confirmé par la suite par décret royal du 30 novembre 1970, le plan d’alignement de la ville de Komotini fut modifié. Une superficie de 178 m2 du terrain litigieux fut expropriée dans le but d’élargir la place de la Paix.
8. En 1979, le bureau de l’urbanisme de la préfecture de Rodopi adopta un acte de désignation des terrains expropriés et de répartition proportionnelle des indemnisations dues aux propriétaires (πράξη τακτοποίησης και αναλογισμού αποζημιώσεως) (acte nº 20/1979).
9. Cet acte fut confirmé par l’arrêté préfectoral nº 53431/1981, puis par l’arrêt nº 3478/1988 du Conseil d’Etat.
10. Le 22 juillet 1997, le préfet de Rodopi adopta l’arrêté nº 2865/1997, modifiant à nouveau le plan d’alignement. Selon ce nouveau plan, le blocage qui frappait le terrain des requérantes était levé.
11. Le 6 novembre 2002, le Conseil d’Etat annula l’arrêté nº 2865/1997, au motif qu’il avait été rendu par un organe incompétent (arrêt nº 3250/2002).
12. Ainsi, l’expropriation litigieuse fut rétablie.
2. L’intervention des I.K. et I.K.
13. Le 14 juillet 1989, I.K et I.K., deux propriétaires d’un terrain limitrophe non exproprié, dont la valeur augmenterait une fois l’expropriation réalisée, saisirent le tribunal de première instance de Rodopi d’une demande tendant à la fixation du prix unitaire provisoire d’indemnisation pour l’expropriation du terrain des requérantes. En effet, ils souhaitaient verser eux-mêmes aux requérantes l’indemnisation due pour permettre ainsi la réalisation de l’expropriation.
14. Par l’arrêt nº 207/1989, le tribunal de première instance rejeta leur demande au motif que ceux-ci n’avaient pas préalablement obtenu l’autorisation du préfet.
15. Le 16 janvier 1991, I.K et I.K. furent autorisés par arrêté préfectoral à verser l’indemnisation aux requérantes une fois son montant fixé (arrêté nº 1142/1991).
16. Le 4 mai 1997, le préfet de Rodopi révoqua l’arrêté nº 1142/1991 (arrêté nº 1655/1997).
17. A une date non précisée, I.K et I.K. saisirent le Conseil d’Etat d’un recours en annulation de ladite révocation.
18. Par son arrêt nº 2554/2005, le Conseil d’Etat annula l’arrêté nº 1655/1997 et confirma définitivement l’arrêté nº 1142/1991, autorisant I.K. et I.K. à verser l’indemnisation aux requérantes une fois son montant fixé.
B. Les procédures tendant à la révocation de l’expropriation
1. La première procédure tendant à la révocation de l’expropriation
19. Le 1er novembre 1989, les requérantes et les autres propriétaires des terrains expropriés sollicitèrent auprès du ministère de l’Environnement, de l’Urbanisme et des Travaux publics la révocation de l’expropriation au motif que pendant une période anormalement longue, l’administration n’avait pris aucune mesure d’exécution de l’expropriation litigieuse.
20. Suite au refus tacite de l’administration de faire droit à cette demande, les requérantes et les autres propriétaires touchés par l’expropriation saisirent, le 27 mars 1990, le Conseil d’Etat d’un recours en annulation contre ledit refus. I.K et I.K. intervinrent dans la procédure, en faveur du maintien de l’expropriation litigieuse.
21. Le 30 octobre 1996, le Conseil d’Etat rejeta le recours pour autant qu’il concernait le terrain des requérantes, au motif que les intervenants, I.K et I.K., avaient entrepris des démarches tendant à la réalisation de l’expropriation en cause. En revanche, le Conseil d’Etat accueillit le recours pour autant qu’il concernait un autre terrain au motif que, pendant une période de 56 ans, l’administration n’avait entrepris aucune démarche dans le but d’accomplir l’expropriation (arrêt nº 5249/1996).
2. La deuxième procédure litigieuse tendant à la révocation de l’expropriation
22. Le 27 février 1997, les requérantes saisirent à nouveau le Conseil d’Etat d’un recours en annulation contre le refus de l’administration de révoquer l’expropriation de leur terrain. I.K et I.K. intervinrent à nouveau dans la procédure.
23. Le 15 décembre 1999, le Conseil d’Etat renvoya l’affaire devant la cour administrative d’appel, juridiction compétente en l’espèce.
24. Le 24 février 2003, la cour administrative d’Athènes accueillit le recours et ordonna à l’administration de procéder à la levée de l’expropriation litigieuse avec la modification nécessaire du plan d’alignement en cause (arrêt nº 203/2003).
25. Le 21 novembre 2004, I.K et I.K. interjetèrent appel de cet arrêt.
26. Le 11 août 2005, le Conseil d’Etat infirma l’arrêt attaqué et rejeta le recours des requérantes. En effet, la haute juridiction administrative considéra que :
« (…) Enfin, la cour d’appel ne peut pas s’appuyer sur le fait que, suite à la première demande de révocation, une période de sept ans se soit écoulée sans qu’aucun progrès ultérieur n’ait été constaté dans le but de l’accomplissement de l’expropriation par la fixation du montant et le versement de l’indemnisation aux intéressées, puisque pendant cette période, étaient pendantes devant le Conseil d’Etat tant les procédures portant sur la validité des arrêtés nos 1142/1991 et 1655/1997 que celle contre le premier refus de l’administration d’accueillir la demande des requérantes. (…) Le recours en annulation des requérantes doit être rejeté, puisque, vu ce qui précède, on ne peut pas considérer que le maintien en vigueur de l’expropriation litigieuse a dépassé les délais raisonnables (…) ».
27. L’arrêt nº 2555/2005 fut mis au net le 24 novembre 2005.
C. Développements récents
28. Le 14 novembre 2005, les requérantes saisirent à nouveau les juridictions administratives d’un recours en annulation contre le refus de l’administration de révoquer l’expropriation de leur terrain. L’audience devant le tribunal administratif de première instance fut fixée au 22 mars 2006. Il ressort du dossier que la procédure est toujours pendante devant cette juridiction.
II. LE DROIT ET LA PRATIQUE INTERNES PERTINENTS
A. La Constitution
29. Les dispositions pertinentes de la Constitution de 1975 se lisent ainsi :
Article 17
« 1. La propriété est placée sous la protection de l’Etat. Les droits qui en dérivent ne peuvent toutefois s’exercer au détriment de l’intérêt général.
2. Nul ne peut être privé de sa propriété, si ce n’est pour cause d’utilité publique, dûment prouvée, dans les cas et suivant la procédure déterminés par la loi et toujours moyennant une indemnité préalable complète. Celle-ci doit correspondre à la valeur que possède la propriété expropriée le jour de l’audience sur l’affaire concernant la fixation provisoire de l’indemnité par le tribunal. Dans le cas d’une demande visant la fixation immédiate de l’indemnité définitive, est prise en considération la valeur que la propriété expropriée possède au jour de l’audience du tribunal sur cette demande.
(…) »
30. Selon la jurisprudence du Conseil d’Etat, le maintien en vigueur d’une expropriation non réalisée ne peut pas dépasser un délai raisonnable. Ainsi, si une expropriation reste en vigueur pendant une longue période sans que des mesures tendant à sa réalisation ne soient prises, elle peut être considérée, à la lumière des circonstances, comme dépassant le délai raisonnable et imposant à la propriété concernée une charge exorbitante et contraire à la Constitution. Dans ces conditions, l’administration a une obligation de lever l’expropriation en cause (ΣτΕ 3269/2003, ΣτΕ 2891/2004, ΣτΕ 2084/2006).
B. La loi d’accompagnement du code civil
31. Entrent également en ligne de compte les dispositions suivantes de la loi d’accompagnement (Εισαγωγικός Νόμος) du code civil :
Article 105
« L’Etat est tenu à réparer le dommage causé par les actes illégaux ou omissions de ses organes lors de l’exercice de la puissance publique, sauf si l’acte ou l’omission ont eu lieu en méconnaissance d’une disposition destinée à servir l’intérêt public. La personne fautive est solidairement responsable, sous réserve des dispositions spéciales sur la responsabilité de ministres. »
Article 106
« Les dispositions des deux articles précédents s’appliquent aussi en matière de responsabilité de communes ou des autres personnes de droit public pour le dommage causé par les actes ou omissions de leurs organes. »
32. L’article 105 de la loi d’accompagnement du code civil établit le concept d’acte dommageable spécial de droit public, créant une responsabilité extracontractuelle de l’Etat. Cette responsabilité résulte d’actes ou omissions illégaux ayant causé un préjudice matériel ou moral à l’administré. Les actes concernés peuvent être, non seulement des actes juridiques, mais également des actes matériels de l’administration, y compris des actes non exécutoires en principe (Kyriakopoulos, Commentaire du code civil, article 105 de la loi d’accompagnement du code civil, no 23; Filios, Droit des contrats, partie spéciale, volume 6, responsabilité délictueuse 1977, par. 48 B 112 ; E. Spiliotopoulos, Droit administratif, troisième édition, par. 217). Aux termes de l’article 19 de la loi nº 1868/1989, l’action en dommages-intérêts devant les juridictions administratives est un recours indépendant par rapport au recours en annulation ou tout autre recours contre l’acte ou l’omission administratifs dont découle l’obligation éventuelle d’indemnisation ; elle peut donc être exercée de façon autonome au choix de l’intéressé. Puisque la nature illégale de l’acte ou de l’omission est l’une des conditions de recevabilité de l’action en réparation, le tribunal administratif saisi d’une telle action examine aussi la légalité de l’acte ou de l’omission administratifs incriminés, à condition que celle-ci ne soit pas déjà examinée avec force de chose jugée dans le cadre d’une autre procédure. Il existe une abondante jurisprudence des tribunaux internes au sujet de l’action en dommages-intérêts. Selon cette jurisprudence, si un terrain affecté à la construction d’un ouvrage d’utilité publique demeure bloqué pendant une longue période sans que l’administration ne procède à son expropriation formelle moyennant une indemnité, le propriétaire concerné peut demander le déblocage de son bien, ainsi qu’une indemnisation pour le dommage subi (voir, par exemple, tribunal administratif de Thessalonique, décision nº 2839/1991). De même, si l’administration bloque un terrain au-delà du délai raisonnable, le propriétaire affecté peut demander une indemnité pour le dommage subi en raison du blocage illégal de son bien et de la privation de son usage (voir, par exemple, tribunal administratif de Kalamata, décision no 104/2003). Enfin, si l’administration occupe illégalement un terrain, le propriétaire peut demander, outre la restitution de son bien, une indemnité pour la privation de l’usage de son terrain (voir, par exemple, tribunal de grande instance de Rhodes, décision no 35/2004).
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE Nº 1
33. Se référant à l’historique de l’affaire depuis 1933, date du premier décret affectant le terrain litigieux, les requérantes se plaignent du refus des autorités et des juridictions grecques de lever le blocage de leur propriété qui perdure à ce jour. Elles invoquent l’article du Protocole nº 1, ainsi libellé :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
A. Sur la recevabilité
Sur les exceptions de non-épuisement des voies de recours internes
1. Sur la première exception de non-épuisement des voies de recours internes
34. Le Gouvernement affirme, tout d’abord, que les requérantes n’ont pas épuisé les voies de recours internes puisqu’elles n’ont pas invoqué de manière explicite devant les juridictions administratives la violation de l’article 1 du Protocole nº 1. Se référant à l’affaire Ahmet Sadik c. Grèce, (15 novembre 1996, Recueil des arrêts et décisions 1996-V), il fait valoir que l’article 35 de la Convention n’exige pas seulement la saisine des juridictions nationales compétentes, mais aussi la présentation devant ces mêmes juridictions des griefs que l’on entend formuler par la suite devant la Cour.
35. Les requérantes contestent cette thèse.
36. La Cour rappelle que la règle de l’épuisement des voies de recours internes doit s’appliquer avec une certaine souplesse et sans formalisme excessif (voir, parmi plusieurs, les arrêts Cardot c. France, 19 mars 1991, § 34, série A nº 200 et Castells c. Espagne, 23 avril 1992, § 27, série A nº 232). Or, en l’occurrence, la Cour note que tous les recours intentés par les requérantes devant les juridictions administratives tendaient sans conteste à la révocation du blocage affectant leur terrain et, a fortiori, à la protection de leur propriété. Dès lors, on ne saurait soutenir que les requérantes n’ont pas fourni aux juridictions grecques l’occasion de réparer la violation alléguée de leur droit au respect de leurs biens. Il convient donc de rejeter cette exception.
2. Sur la deuxième exception de non-épuisement des voies de recours internes
37. Le Gouvernement avance, par ailleurs, que les requérantes auraient pu introduire une action en indemnisation contre l’Etat aux termes de l’article 105 de la loi d’accompagnement du code civil. Une telle action leur aurait permis de se voir verser une indemnisation complète pour le dommage matériel et moral subi en raison du blocage, prétendument au-delà du délai raisonnable, de leur propriété.
38. Les requérantes rétorquent qu’une demande d’indemnisation fondée sur l’article 105 de la loi d’accompagnement du code civil ne constituait pas, en l’espèce, une voie de recours adéquate. En effet, elles relèvent que ce recours, dont la recevabilité dépend de la nature illégale des actes ou des omissions des organes de l’Etat, serait voué à l’échec, car le Conseil d’Etat a considéré à deux reprises (arrêts nos 5249/1996 et 2555/2005) que le maintien en vigueur de l’expropriation litigieuse n’avait pas dépassé les délais raisonnables et que le refus de l’administration de lever le blocage n’était pas illégal. Les requérantes estiment donc qu’elles n’auraient pas pu soutenir valablement devant les juridictions compétentes que les organes étatiques avaient commis une illégalité à leur encontre.
39. La Cour rappelle que le fondement de la règle de l’épuisement des voies de recours internes énoncée à l’article 35 § 1 de la Convention consiste en ce qu’avant de saisir la Cour, le requérant doit avoir donné à l’Etat responsable la faculté de remédier aux violations alléguées par des moyens internes, en utilisant les ressources judiciaires offertes par la législation nationale, pourvu qu’elles se révèlent efficaces et suffisantes (voir, entre autres, Fressoz et Roire c. France [GC], nº 29183/95, § 37, CEDH 1999–I). En effet, l’article 35 § 1 de la Convention ne prescrit l’épuisement que des recours relatifs à la fois aux violations incriminées, disponibles et adéquats. Ils doivent exister à un degré suffisant de certitude non seulement en théorie mais aussi en pratique, sans quoi leur manquent l’effectivité et l’accessibilité voulues ; il incombe à l’Etat défendeur de démontrer que ces exigences se trouvent réunies (voir, entre autres, Dalia c. France, 19 février 1998, § 38, Recueil 1997-I). Enfin, celui qui a exercé un recours de nature à remédier directement à la situation litigieuse – et non de façon détournée – n’est pas tenu d’en épuiser d’autres qui lui eussent été ouverts mais dont l’efficacité aurait été improbable (voir, entre autres, Manoussakis et autres c. Grèce, 26 septembre 1996, § 33, Recueil 1996-IV).
40. A la différence des affaires Kosmidis et Kosmidou c. Grèce, ((déc), no 32141/04, 24 octobre 2006) et Rompoti et Rompotis c. Grèce, ((déc.), nº 14263/04, 20 octobre 2005), dans lesquelles elle avait considéré que les requérants auraient dû intenter une action en dommages-intérêts, fondée sur l’article 105 de la loi d’accompagnement du code civil, visant à obtenir une indemnisation pour le blocage de leur propriété pendant une longue période, la Cour n’est pas convaincue qu’en l’occurrence, un tel recours serait de nature à remédier directement à la situation litigieuse. En effet, dans les affaires précitées, les juridictions internes avaient fait droit aux recours des intéressés en constatant la levée des expropriations litigieuses. Ainsi, les intéressés avaient par la suite la possibilité de fonder une action en dommages-intérêts sur l’illégalité préalablement constatée ; or cela n’est pas le cas dans la présente affaire.
41. En particulier, la Cour note que les requérantes réclamaient la levée du blocage de leur terrain afin qu’elles puissent jouir pleinement de leurs droits de propriété. Dans ce but, elles avaient saisi les juridictions administratives d’un recours en annulation du refus de l’administration de révoquer l’expropriation affectant leur terrain. Or, la haute juridiction administrative les débouta à deux reprises en considérant que le maintien de l’expropriation en cause n’était pas illégal. Dans ces conditions, la Cour convient avec les requérantes que celles-ci pourraient difficilement prétendre par la suite, pour fonder une éventuelle action en dommages-intérêts aux termes de l’article 105 de la loi d’accompagnement du code civil, qu’il y avait eu en l’espèce une illégalité commise à leur encontre par les organes étatiques.
42. Au vu de ce qui précède, la Cour considère que les requérantes ont fait un usage normal des voies de recours qu’elles avaient à leur disposition en droit grec. Il convient donc de rejeter cette exception.
3. Sur la troisième exception de non-épuisement des voies de recours internes
43. Le Gouvernement plaide, enfin, l’irrecevabilité de ce grief, au motif que, suite au recours en annulation exercé par les requérantes le 14 novembre 2005, la procédure est toujours pendante devant les juridictions administratives.
44. Les requérantes s’opposent à cette thèse.
45. La Cour estime que la procédure litigieuse prit fin le 24 novembre 2005 avec l’arrêt nº 2555/2005 du Conseil d’Etat, qui constitue la décision interne définitive pour les besoins du présent litige. Le fait que les requérantes, qui ont déjà tenté sans succès de redresser la situation litigieuse à deux reprises, n’abandonnent pas leurs efforts pour faire lever le blocage pesant sur leur terrain, ne saurait, aux yeux de la Cour, affecter la recevabilité du grief ici en cause. Il convient donc de rejeter cette exception soulevée par le Gouvernement.
46. En fin, la Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs que celui-ci ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Thèses des parties
47. Les requérantes allèguent qu’en raison des différentes mesures affectant leur terrain depuis 1933, elles ont été privées de la possibilité d’en disposer librement et pleinement. Selon elles, l’échec des autorités à prendre des mesures nécessaires dans le but d’accomplir l’expropriation litigieuse et le refus des juridictions administratives de sanctionner cet échec en prononçant la levée du blocage, ont rompu le juste équilibre qui doit régner entre la sauvegarde du droit de propriété et les exigences de l’intérêt général.
48. Le Gouvernement souligne qu’en matière de restriction au droit de propriété, les Etats disposent d’une grande marge d’appréciation (James et autres c. Royaume-Uni, 21 février 1986, § 46, série A nº 98). Il affirme que l’expropriation litigieuse a eu lieu conformément aux dispositions législatives pertinentes et poursuivait un but d’utilité publique, à savoir l’aménagement urbain. Par ailleurs, selon le Gouvernement, le Conseil d’Etat a fondé son refus de constater la levée du blocage sur des motifs suffisants et pertinents.
2. Appréciation de la Cour
49. La Cour note, tout d’abord, qu’il n’est pas contesté qu’il y a eu une ingérence dans le droit des requérantes au respect de leurs biens. Dès lors, elle doit rechercher si l’ingérence dénoncée se justifie sous l’angle de cette disposition.
50. La Cour rappelle que l’article 1 du Protocole nº 1 exige, avant tout et surtout, qu’une ingérence de l’autorité publique dans la jouissance du droit au respect de biens soit légale. Dans le cas d’espèce, la Cour considère que le décret législatif du 22 septembre 1933, confirmé par la suite par le décret royal du 30 novembre 1970 et incluant une partie du terrain litigieux dans la superficie totale expropriée, constituaient la base légale de l’ingérence dénoncée. En outre, cette privation de propriété poursuivait un but légitime, à savoir l’aménagement urbain.
51. La Cour doit enfin rechercher si un juste équilibre a été maintenu entre les exigences de l’intérêt général et les impératifs des droits fondamentaux de l’individu. Elle rappelle à cet égard qu’une mesure d’ingérence dans le droit au respect des biens doit ménager un juste équilibre entre les exigences de l’intérêt général de la communauté et les impératifs de la sauvegarde des droits fondamentaux de l’individu (voir, parmi d’autres, Sporrong et Lönnroth c. Suède, 23 septembre 1982, § 69, série A nº 52). Le souci d’assurer un tel équilibre se reflète dans la structure de l’article 1 du Protocole nº 1 tout entier, et donc dans la seconde phrase qui doit se lire à la lumière du principe consacré par la première. En particulier, il doit exister un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé par toute mesure privant une personne de sa propriété (Pressos Compania Naviera S.A. et autres c. Belgique, 20 novembre 1995, § 38, série A nº 332).
52. La Cour rappelle ensuite que la Grèce a ratifié le droit de recours individuel en novembre 1985. Par conséquent, les faits qui se sont déroulés avant cette date se trouvent en dehors de la compétence ratione temporis de la Cour. Toutefois, la Cour pourrait les prendre en considération dans l’appréciation de la situation des requérantes postérieure à cette date (voir, mutatis mutandis, Satka et autres c. Grèce, no 55828/00, § 46, 27 mars 2003).
53. En particulier, pour ce qui est de la présente affaire, la Cour attache une importance particulière au fait qu’en vertu de deux décrets modifiant le plan d’alignement de la ville de Komotini, le terrain des requérantes demeure bloqué depuis 1933, à savoir plus de soixante-dix ans, et que depuis 1979, date à laquelle l’acte de désignation des terrains expropriés et de répartition proportionnelle des indemnisations dues aux propriétaires fut adopté, les autorités n’ont pris aucune autre mesure visant à accomplir l’expropriation et indemniser les requérantes. En effet, la seule procédure en vue de l’indemnisation des requérantes a été engagée par des propriétaires d’un terrain limitrophe, non exproprié. Or, aux yeux de la Cour, l’obligation de l’Etat de respecter et de protéger la propriété des individus ne peut pas dépendre de l’initiative de tiers. Par ailleurs, la Cour ne saurait partager la conclusion à laquelle est parvenu le Conseil d’Etat et selon laquelle l’omission de l’administration de procéder à l’accomplissement de l’expropriation par la fixation du montant et le versement de l’indemnisation aux intéressées était justifiée par la litispendance des procédures relatives à cette expropriation.
54. La Cour estime en conséquence qu’une telle atteinte aux droits des intéressées rompt, en défaveur de celles-ci, le juste équilibre à ménager entre la protection de la propriété et les exigences de l’intérêt général.
Partant, il y a eu violation de l’article 1 du Protocole nº 1.
II. SUR LES AUTRES VIOLATIONS ALLÉGUÉES
55. Les requérantes se plaignent également de l’équité de la procédure devant les juridictions administratives. Elles invoquent l’article 6 § 1 de la Convention.
Sur la recevabilité
56. La Cour rappelle qu’aux termes de l’article 19 de la Convention, elle a pour tâche d’assurer le respect des engagements résultant de la Convention pour les Parties contractantes. En particulier, il ne lui appartient pas de connaître des erreurs de fait ou de droit prétendument commises par une juridiction interne, sauf si et dans la mesure où elles pourraient avoir porté atteinte aux droits et libertés sauvegardés par la Convention (voir, García Ruiz c. Espagne [GC], nº 30544/96, § 28, CEDH 1999-I). La Cour ne peut apprécier elle-même les éléments de fait ayant conduit une juridiction nationale à adopter telle décision plutôt que telle autre, sinon elle s’érigerait en juge de quatrième instance et elle méconnaîtrait les limites de sa mission (voir, mutatis mutandis, Kemmache c. France (nº 3), 24 novembre 1994, § 44, série A nº 296-C). La Cour a pour seule fonction, au regard de l’article 6 de la Convention, d’examiner les requêtes alléguant que les juridictions nationales ont méconnu des garanties procédurales spécifiques énoncées par cette disposition ou que la conduite de la procédure dans son ensemble n’a pas garanti un procès équitable au requérant (voir, parmi beaucoup d’autres, Donadzé c. Géorgie, nº 74644/01, §§ 30-31, 7 mars 2006).
57. En l’occurrence, les requérantes soulèvent un grief qui vise à mettre en cause la façon dont la haute juridiction a interprété et appliqué le droit interne pertinent. Or, rien ne permet à la Cour de penser que la procédure, au cours de laquelle les requérantes ont pu présenter tous leurs arguments, n’a pas été équitable. La Cour ne décèle en effet aucun indice d’arbitraire dans la conduite du procès ni de violation des droits procéduraux des intéressées.
58. Il s’ensuit que cette partie de la requête est manifestement mal fondée et doit être rejetée en application de l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
59. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
60. Les requérantes ne réclament aucune somme à titre de satisfaction équitable. Elles affirment que, suite au constat de violation de l’article 1 du Protocole nº 1, elles pourront saisir les juridictions administratives en vue d’obtenir une indemnisation. En revanche, elles sollicitent la révocation de l’expropriation litigieuse.
61. Vu ce qui précède, la Cour estime qu’il n’y a pas lieu d’octroyer aux requérantes une somme à titre de satisfaction équitable, celles-ci n’ayant demandé aucune indemnisation à ce titre. En revanche, vu que la nature de la violation constatée permet une restitutio in integrum, la Cour considère que la révocation de l’expropriation litigieuse placerait les requérantes, le plus possible, dans une situation équivalant à celle où elles se trouveraient s’il n’y avait pas eu manquement aux exigences de l’article 1 du Protocole nº 1 (voir, dans ce sens, Papamichalopoulos et autres c. Grèce (article 50), 31 octobre 1995, § 38, série A no 330-B).
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant au grief tiré du droit des requérantes au respect de leurs biens et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole nº 1.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 14 novembre 2008, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Søren Nielsen Nina Vajić
Greffier Présidente
Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l’exposé des opinions suivantes :
– opinion concordante de la juge Vajić ;
– opinion concordante des juges Spielmann et Malinverni.
N.A.V.
S.N.

OPINION CONCORDANTE DE LA JUGE VAJIĆ
J’ai voté avec la majorité en faveur du constat d’une violation de l’article 1 du Protocole no 1 dans la présente affaire pour les raisons clairement exprimées aux paragraphes 53 et 54 de l’arrêt, c’est-à-dire que pendant de longues années les autorités nationales n’ont pas mené l’expropriation à bien faute d’avoir fixé le montant de l’indemnité et d’avoir versé celle-ci aux requérantes (l’expropriation en tant que telle ne relevant d’ailleurs pas de la compétence ratione temporis de la Cour (paragraphe 52)).
Par contre, je ne peux souscrire au paragraphe 61 de l’arrêt où (vu la nature de la violation constatée) la majorité suggère une restitutio in integrum. A mon sens, il n’appartient pas à la Cour de se prononcer sur le mode de réparation dans des circonstances données (v. paragraphe 1, ci-dessus). Les Etats contractants parties à une affaire sont en principe libres de choisir les moyens dont ils useront pour se conformer à un arrêt constatant une violation. Ce pouvoir d’appréciation quant aux modalités d’exécution d’un arrêt traduit la liberté de choix dont est assortie l’obligation primordiale imposée par la Convention aux Etats contractants : assurer le respect des droits et libertés garantis (article 1) (cf. Papamichalopoulos et autres c. Grèce (article 50), arrêt du 8 octobre 1995, série A no 330-B, p. 59, § 34 ; Brumărescu c. Roumanie (satisfaction équitable) [GC], no 28342/95, § 20, CEDH 2001-I, etc.).

OPINION CONCORDANTE DES JUGES SPIELMANN ET MALINVERNI

1. Nous partageons sur tous les points les conclusions de la Cour sur la violation de l’article 1 du Protocole no 1 de la Convention.
2. Nous aurions cependant souhaité que, en raison de leur importance, les considérants du § 61 de l’arrêt figurent également dans le dispositif, pour les raisons suivantes.
3. D’abord, il est bien connu que si les considérants d’un arrêt permettent aux États contractants de connaître les motifs pour lesquels la Cour est parvenue à un constat de violation de la Convention ou à l’absence d’un tel constat, et qu’ils revêtent à cet égard une importance déterminante pour l’interprétation de la Convention, c’est le dispositif qui lie les parties, au sens de l’article 46 § 1 de la Convention. Il n’est donc pas indifférent, d’un point de vue juridique, que certaines considérations de la Cour figurent également dans le dispositif.
4. Or, ce que la Cour affirme au § 61 de l’arrêt revêt à nos yeux la plus grande importance. La Cour y rappelle en effet que la nature de la violation constatée permet une restitutio in integrum et que la révocation de l’expropriation litigieuse placerait les requérantes, le plus possible, dans la situation équivalant à celle où elles se trouveraient s’il n’y avait pas eu manquement aux exigences de l’art. 1 du Protocole no 1.
5. Si nous nous permettons d’insister sur ce point, c’est parce qu’il ne faut pas perdre de vue que les indemnités dont la Cour ordonne le versement aux victimes d’une violation de la Convention revêtent, aux termes et selon l’esprit de l’article 41, un caractère subsidiaire. Chaque fois que cela est possible, la Cour devrait donc s’efforcer de placer la victime dans le status quo ante. Elle devrait même, dans des cas comme celui-ci, réserver sa décision sur l’indemnité équitable et ne se pencher, le cas échéant, sur cette question que plus tard, si les parties ne devaient pas parvenir à un règlement satisfaisant de leur contentieux.
6. Le principe de la restitutio in integrum trouve son origine dans l’arrêt de la Cour permanente de Justice internationale du 13 septembre 1928, en l’affaire de l’usine de Chorzow (fond). La Cour de La Haye y a affirmé :
Le principe essentiel qui découle de la notion même d’acte illicite et qui semble se dégager de la pratique internationale, est que la réparation doit, autant que possible, effacer toutes les conséquences de l’acte illicite et rétablir l’état qui aurait vraisemblablement existé si ledit acte n’avait pas été commis. (CPJI série. A, No 17, p. 47).
7. Le principe de la restitutio in integrum est donc considéré comme étant le remède idéal pour réparer des violations de règles du droit international. Il a été constamment réaffirmé par la jurisprudence et la pratique internationales. L’article 35 du projet d’articles sur la responsabilité des États, élaboré par la Commission du droit international des Nations Unies, rappelle ce principe en ces termes :
L’État responsable du fait internationalement illicite a l’obligation de procéder à la restitution consistant dans le rétablissement de la situation qui existait avant que le fait illicite ne soit commis, dès lors et pour autant qu’une telle restitution:
a) N’est pas matériellement impossible;
b) N’impose pas une charge hors de toute proportion avec l’avantage qui dériverait de la restitution plutôt que de l’indemnisation.
Pour sa part, l’article 36 de ce même projet dispose :
1. L’État responsable du fait internationalement illicite est tenu d’indemniser le dommage causé par ce fait dans la mesure où ce dommage n’est pas réparé par la restitution.
8. Il n’existe aucun motif de ne pas appliquer ce principe également au domaine du droit international des droits de l’homme (voir Loukis G. Loucaides, « Reparation for Violations of Human Rights under the European Convention and Restitutio in integrum » [2008], European Human Rights Law Review, 183-192).
9. Au demeurant, la Cour a déjà prononcé de telles injonctions dans le dispositif de certains de ses arrêts. Ainsi, dans son arrêt Papamichalopoulos et autres c. Grèce (Art. 50, arrêt du 31 octobre 1995, Série A no 330-B), la Cour a affirmé :
34. La Cour rappelle que par l’article 53 (art. 53) de la Convention les Hautes Parties contractantes se sont engagées à se conformer aux décisions de la Cour dans les litiges auxquels elles sont parties; de plus, l’article 54 (art. 54) prévoit que l’arrêt de la Cour est transmis au Comité des Ministres qui en surveille l’exécution. Il s’ensuit qu’un arrêt constatant une violation entraîne pour l’État défendeur l’obligation juridique au regard de la Convention de mettre un terme à la violation et d’en effacer les conséquences de manière à rétablir autant que faire se peut la situation antérieure à celle-ci.
Les États contractants parties à une affaire sont en principe libres de choisir les moyens dont ils useront pour se conformer à un arrêt constatant une violation. Ce pouvoir d’appréciation quant aux modalités d’exécution d’un arrêt traduit la liberté de choix dont est assortie l’obligation primordiale imposée par la Convention aux États contractants: assurer le respect des droits et libertés garantis (article 1) (art. 1). Si la nature de la violation permet une restitutio in integrum, il incombe à l’État défendeur de la réaliser, la Cour n’ayant ni la compétence ni la possibilité pratique de l’accomplir elle-même. Si, en revanche, le droit national ne permet pas ou ne permet qu’imparfaitement d’effacer les conséquences de la violation, l’article 50 (art. 50) habilite la Cour à accorder, s’il y a lieu, à la partie lésée la satisfaction qui lui semble appropriée.
Dans le dispositif de cet arrêt, la Cour a
2. Dit que l’État défendeur doit restituer aux requérants, dans les six mois, les terrains litigieux d’une superficie de 104 018 m2, y compris les bâtiments qui s’y trouvent;
3. Dit que, faute d’une telle restitution, l’État défendeur doit verser aux requérants, dans les six mois, 5 551 000 000 (cinq milliards cinq cent cinquante et un millions) drachmes pour dommage matériel, montant à majorer d’un intérêt non capitalisable de 6 % à compter de l’expiration du délai de six mois (point 2 du dispositif) et jusqu’au versement;
10. De même, dans l’arrêt Iatridis c. Grèce, du 19 octobre 2000 (satisfaction équitable), la Cour a rappelé les principes suivants :
32. La Cour rappelle qu’un arrêt constatant une violation entraîne pour l’État défendeur l’obligation juridique au regard de la Convention de mettre un terme à la violation et d’en effacer les conséquences de manière à rétablir autant que faire se peut la situation antérieure à celle-ci.
33. Les États contractants parties à une affaire sont en principe libres de choisir les moyens dont ils useront pour se conformer à un arrêt constatant une violation. Ce pouvoir d’appréciation quant aux modalités d’exécution d’un arrêt traduit la liberté de choix dont est assortie l’obligation primordiale imposée par la Convention aux États contractants : assurer le respect des droits et libertés garantis (article 1). Si la nature de la violation permet une restitutio in integrum, il incombe à l’État défendeur de la réaliser, la Cour n’ayant ni la compétence ni la possibilité pratique de l’accomplir elle-même. Si, en revanche, le droit national ne permet pas ou ne permet qu’imparfaitement d’effacer les conséquences de la violation, l’article 41 habilite la Cour à accorder, s’il y a lieu, à la partie lésée la satisfaction qui lui semble appropriée (arrêt Papamichalopoulos et autres c. Grèce du 31 octobre 1995 (article 50), série A no 330-B, pp. 58-59, § 34).
34. Dans son arrêt au principal, la Cour s’est exprimée ainsi : « (…) le 23 octobre 1989, le tribunal de grande instance d’Athènes, statuant selon la procédure en référé et par une décision ayant force de chose jugée, a annulé l’arrêté d’expulsion au motif que les conditions requises pour son adoption n’étaient pas réunies. Ainsi, et à partir de ce moment, l’expulsion du requérant a perdu toute base légale et la municipalité d’Ilioupolis est devenue un occupant sans titre. Celle-ci se trouvait alors dans l’obligation de rendre le cinéma au requérant, ce qui fut recommandé du reste par tous les organes chargés de donner au ministre des Finances leur avis en la matière, à savoir le ministère des Finances, le Conseil juridique de l’État et la Société des biens immobiliers de l’État. » (§ 61)
35. En conséquence, la Cour estime que le caractère manifestement illégal en droit interne de l’ingérence litigieuse justifierait l’octroi au requérant d’une indemnisation entière. En effet, seule la restitution de l’usage du cinéma au requérant placerait celui-ci, le plus possible, dans une situation équivalente à celle où il se trouverait s’il n’y avait pas eu manquement aux exigences de l’article 1 du Protocole no 1. Quant aux documents déposés par le requérant le 21 juillet 1999 sous la forme d’une nouvelle requête (paragraphe 5 ci-dessus), la Cour les traitera comme faisant partie du dossier relatif à l’application de l’article 41 de la Convention.
11. Enfin, dans son arrêt Brumărescu c. Roumanie du 23 janvier 2001 (satisfaction équitable), après avoir constaté que :
…dans les circonstances de l’espèce, … la restitution du bien litigieux, telle qu’ordonnée par le jugement définitif du tribunal de première instance de Bucarest du 9 décembre 1993, placerait le requérant, autant que possible, dans une situation équivalant à celle où il se trouverait si les exigences de l’article 1 du Protocole no 1 n’avaient pas été méconnues.
aux points 1 et 2 du dispositif, la Cour a
1. Dit que l’État défendeur doit restituer au requérant, dans les six mois, la maison litigieuse et le terrain sur lequel elle est sise, exception faite de l’appartement et de la partie de terrain correspondante déjà restitués ;
2. Dit qu’à défaut d’une telle restitution l’État défendeur doit verser au requérant, dans les mêmes six mois, 136 205 USD (cent trente-six mille deux cent cinq dollars américains), pour dommage matériel, à convertir en lei roumains au taux applicable à la date du règlement ;
12. Aux termes de l’article 46 § 2 de la Convention, la surveillance de l’exécution des arrêts de la Cour incombe au Comité des Ministres. Cela ne signifie cependant pas que la Cour ne doive jouer aucun rôle dans ce domaine, et qu’elle ne doive pas adopter les mesures aptes à faciliter la tâche du Comité des Ministres dans l’accomplissement de ces fonctions. En effet, ni l’article 41 ni aucune autre disposition de la Convention n’est de nature à empêcher la Cour de se prononcer sur la question de la réparation d’une violation de la Convention à la lumière des principes susmentionnés. Dès lors qu’elle est compétente pour interpréter et appliquer la Convention, la Cour devrait également être habilitée à déterminer « the form and quantum of reparation to be made » (J. Crawford, The International Law Commission’s Articles on State Responsibility, Introduction, Text and Commentaries, Cambridge University Press, 2002, p. 211 (2)).
13. A cet effet, il est essentiel que, dans ses arrêts, la Cour ne se limite pas à donner une description aussi précise que possible de la nature de la violation de la Convention constatée, mais que, dans le dispositif, elle indique également à l’État condamné les mesures qui lui paraissent les plus adéquates pour réparer pareille violation.

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