Conclusione Parzialmente inammissibile; Eccezioni preliminari respinte (non-esaurimento delle vie di ricorso interne); Violazione di P1-1
PRIMA SEZIONE
CAUSA FAKIRIDOU E SCHINA C. GRECIA
( Richiesta no 6789/06)
SENTENZA
STRASBURGO
14 novembre 2008
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Fakiridou e Schina c. Grecia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, riunendosi in una camera composta da:
Nina Vajić, presidentessa, Christos Rozakis, Khanlar Hajiyev, Dean Spielmann, Sverre Erik Jebens, Giorgio Malinverni, George Nicolaou, giudici,
e di Søren Nielsen, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 21 ottobre 2008,
Rende la sentenza che ha, adottata in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 6789/06) diretta contro la Repubblica ellenica e in cui due cittadine di questo Stato, le Sig.re E. F. ed A. S. (“i richiedenti”), hanno investito la Corte il 7 febbraio 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il governo greco (“il Governo”) è rappresentato dai delegati del suo agente, il Sig. K. Georgiadis, assessore del Consulente legale dello stato e la Sig.ra S. Alexandridou, ascoltatrice presso il Consulente legale dello stato.
3. I richiedenti si lamentano di un attentato al loro diritto al rispetto dei loro beni in ragione del rifiuto delle autorità e delle giurisdizioni amministrative di revocare un’espropriazione che colpisce la loro proprietà dal 1933.
4. Il 4 giugno 2007, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. I richiedenti sono due sorelle, nate rispettivamente nel 1959 e 1962 che risiedono a Komotini.
A. La genesi della causa
6. I richiedenti sono i proprietari alla pari di un terreno di una superficie totale di 248 m2 ubicato al centro di Komotini e che dà sulla piazza della Pace (πλατεία Ειρήνης). I richiedenti ereditarono di suddetto terreno in una data non precisata.
1. Il blocco del procedimento controverso
7. Con decreto legislativo del 22 settembre 1933, confermato in seguito dal decreto reale del 30 novembre 1970, il piano di allineamento della città di Komotini fu modificato. Una superficie di 178 m2 del terreno controverso fu espropriata allo scopo di allargare la piazza della Pace.
8. Nel 1979, l’ufficio dell’urbanistica della prefettura di Rodopi adottò un atto di designazione dei terreni espropriati e di ripartizione proporzionale degli indennizzi dovuti ai proprietari (πράξη τακτοποίησης και αναλογισμού αποζημιώσεως) (atto nº 20/1979).
9. Questo atto fu confermato dall’ordinanza prefettizia nº 53431/1981, poi dalla sentenza nº 3478/1988 del Consiglio di stato.
10. Il 22 luglio 1997, il prefetto di Rodopi adottò l’ordinanza nº 2865/1997, che modificava nuovamente il piano di allineamento. Secondo questo nuovo piano, il blocco che colpiva il terreno dei richiedenti veniva tolto.
11. Il 6 novembre 2002, il Consiglio di stato annullò l’ordinanza nº 2865/1997, al motivo che era stato resa da un organo incompetente (sentenza nº 3250/2002).
12. Così, l’espropriazione controversa fu ristabilita.
2. L’intervento di I.K. ed I.K.
13. Il 14 luglio 1989, I.K ed I.K, due proprietari di un terreno limitrofo non espropriato il cui valore aumenterebbe una volta realizzata l’espropriazione, investirono il tribunale di prima istanza di Rodopi di un’istanza che verteva sulla determinazione del prezzo unitario provvisorio d’ indennizzo per l’espropriazione del terreno dei richiedenti. Difatti, desideravano versare loro stessi ai richiedenti l’indennizzo dovuto per permettere così la realizzazione dell’espropriazione.
14. Con la sentenza nº 207/1989, il tribunale di prima istanza respinse la loro istanza al motivo che questi non avevano ottenuto a priori l’autorizzazione del prefetto.
15. Il 16 gennaio 1991, I.K ed I.K. vengono autorizzati da ordinanza prefettizia a versare l’indennizzo ai richiedenti una volta fissato il suo importo (ordinanza nº 1142/1991).
16. Il 4 maggio 1997, il prefetto di Rodopi revocò l’ordinanza nº 1142/1991 (ordinanza nº 1655/1997).
17. In una data non precisata, I.K ed I.K. investirono il Consiglio di stato di un ricorso per l’annullamento di suddetta revoca.
18. Con la sua sentenza nº 2554/2005, il Consiglio di stato annullò l’ordinanza nº 1655/1997 e confermò definitivamente l’ordinanza nº 1142/1991, autorizzando I.K. ed I.K. a versare l’indennizzo ai richiedenti una volta fissato il suo importo.
B. I procedimenti tendenti alla revoca dell’espropriazione
1. Il primo procedimento tendente alla revoca dell’espropriazione
19. Il 1 novembre 1989, i richiedenti e gli altri proprietari dei terreni espropriati sollecitarono il ministero dell’ambiente, dell’urbanistica e dei Lavori pubblici la revoca dell’espropriazione al motivo che per un periodo anormalmente lungo, non avendo preso l’amministrazione alcuna misura di esecuzione dell’espropriazione controversa.
20. A seguito del rifiuto tacito dell’amministrazione di fare accogliere questa istanza, i richiedenti e gli altri proprietari toccati dall’espropriazione investirono, il 27 marzo 1990, il Consiglio di stato di un ricorso per l’ annullamento contro suddetto rifiuto. I.K ed I.K. intervennero nel procedimento, a favore del mantenimento dell’espropriazione controversa.
21. Il 30 ottobre 1996, il Consiglio di stato respinse il ricorso per quanto riguardava il terreno dei richiedenti, al motivo che gli intervenienti, I.K ed I.K, avevano intrapreso dei passi tendenti alla realizzazione dell’espropriazione in causa. In compenso, il Consiglio di stato accolse il ricorso per quanto riguardava un altro terreno al motivo che, per un periodo di 56 anni, l’amministrazione non aveva intrapreso nessuno passo allo scopo di compiere l’espropriazione (sentenza nº 5249/1996).
2. Il secondo procedimento controverso tendente alla revoca dell’espropriazione
22. Il 27 febbraio 1997, i richiedenti investirono di nuovo il Consiglio di stato di un ricorso per annullamento contro il rifiuto dell’amministrazione di revocare l’espropriazione del loro terreno. I.K ed I.K. intervenirono di nuovo nel procedimento.
23. Il 15 dicembre 1999, il Consiglio di stato rinviò la causa dinnanzi alla corte amministrativa d’appello, giurisdizione competente nello specifico.
24. Il 24 febbraio 2003, la corte amministrativa di Atene accolse il ricorso ed ordinò all’amministrazione di procedere a togliere l’espropriazione controversa con la modifica necessaria del piano di allineamento in causa (sentenza nº 203/2003).
25. Il 21 novembre 2004, I.K ed I.K. interposero appello a questa sentenza.
26. L’ 11 agosto 2005, il Consiglio di stato annullò la sentenza attaccata e respinse il ricorso dei richiedenti. Difatti, l’alta giurisdizione amministrativa considerò che:
“(…) Infine, la corte di appello non può appellarsi al fatto che, a seguito della prima domanda di revoca, un periodo di sette anni sia trascorso senza che nessun ulteriore progresso fosse stato constatato allo scopo del compimento dell’espropriazione con la determinazione dell’importo ed il versamento dell’indennizzo agli interessati, poiché durante questo periodo, erano pendenti dinnanzi al Consiglio di stato sia i procedimenti che riguardavano la validità delle ordinanze numeri 1142/1991 e 1655/1997 sia quello contro il primo rifiuto dell’amministrazione di accogliere l’istanza dei richiedenti. (…) Il ricorso per annullamento dei richiedenti deve essere respinto, poiché, visto ciò che precede, non si può considerare che il mantenimento in vigore dell’espropriazione controversa abbia superato i termini ragionevoli .”
27. La sentenza nº 2555/2005 fu stesa in bella copia definitiva il 24 novembre 2005.
C. Sviluppi recenti
28. Il 14 novembre 2005, i richiedenti investirono di nuovo le giurisdizioni amministrative di un ricorso in annullamento contro il rifiuto dell’amministrazione di revocare l’espropriazione del loro terreno. L’udienza dinnanzi al tribunale amministrativo di prima istanza fu fissata al 22 marzo 2006. Risulta dalla pratica che il procedimento è sempre pendente dinnanzi a questa giurisdizione.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNI PERTINENTI
A. La Costituzione
29. Le disposizioni pertinenti della Costituzione del 1975 si leggono così:
Articolo 17
“1. La proprietà è posta sotto la protezione dello stato. I diritti che ne derivano tuttavia non si possono esercitare a scapito dell’interesse generale.
2. Nessuno può essere privato della sua proprietà, se non è a causa di utilità pubblica, debitamente provata, nel caso e seguendo il procedimento determinato dalla legge e sempre mediante un’indennità preliminare completa. Questa deve corrispondere al valore che possiede la proprietà espropriata il giorno dell’udienza sulla causa concernente la determinazione provvisoria dell’indennità da parte del tribunale. Nel caso di un’istanza che prevede la determinazione immediata dell’indennità definitiva, viene preso in considerazione il valore che la proprietà espropriata possiede il giorno dell’udienza del tribunale su questa istanza.
(…) “
30. Secondo la giurisprudenza del Consiglio di stato, il mantenimento in vigore di un’espropriazione non realizzata non può superare un termine ragionevole. Così, se un’espropriazione resta in vigore durante un lungo periodo senza che vengano prese delle misure tendenti alla sua realizzazione, può essere considerata, alla luce delle circostanze, come se superasse il termine ragionevole ed imponesse alla proprietà riguardata un carico esorbitante e contrario alla Costituzione. In queste condizioni, l’amministrazione ha l’ obbligo di togliere l’espropriazione in causa (ΣτΕ 3269/2003, ΣτΕ 2891/2004, ΣτΕ 2084/2006,).
B. La legge corollario del codice civile
31. Entrano anche in fila di conto le seguenti disposizioni della legge corollario (Εισαγωγικός Νόμος) del codice civile,:
Articolo 105
“Lo stato è tenuto a riparare il danno causato dagli atti illegali od omissioni dei suoi organi all’epoca dell’esercizio del potere pubblico, salvo nel caso in cui l’atto o l’omissione abbiano avuto luogo per incomprensione di una disposizione destinata a servire l’interesse pubblico. La persona colpevole è solidalmente responsabile, sotto riserva delle disposizioni speciali sulla responsabilità dei ministri. “
Articolo 106
“Le disposizioni dei due articoli precedenti si applicano anche in materia di responsabilità dei comuni o di altre persone di dritto pubblico per il danno causato dagli atti od omissioni dei loro organi. “
32. L’articolo 105 della legge corollario del codice civile stabilisce il concetto di atto dannoso speciale di dritto pubblico, creando una responsabilità extracontrattuale dello stato. Questa responsabilità risulta da atti od omissioni illegali che hanno causato un danno materiale o morale all’amministrato. Gli atti riguardati possono essere, non solo degli atti giuridici, ma anche degli atti materiali dell’amministrazione, ivi compreso degli atti in principio non esecutivi (Kyriakopoulos, Commento del codice civile, articolo 105 della legge corollario del codice civile, no 23; Filios, Diritto dei contratti, parte speciale, volume 6, responsabilità delittuosa 1977, paragrafo 48 B 112; E. Spiliotopoulos, Diritto amministrativo, terza edizione, paragrafo 217). Ai termini dell’articolo 19 della legge nº 1868/1989, l’azione per danno-interessi dinnanzi alle giurisdizioni amministrative è un ricorso indipendente rispetto al ricorso per annullamento o ogni altro ricorso contro l’atto o l’omissione amministrativa da cui deriva l’obbligo eventuale d’ indennizzo; può essere esercitata dunque a scelta in modo autonomo dell’interessato. Poiché la natura illegale dell’atto o dell’omissione è una delle condizioni di ammissibilità dell’azione per risarcimento, il tribunale amministrativo investito da tale azione esamina anche la legalità dell’atto o dell’omissione amministrativa incriminati, purché questa non venga già esaminata con forza di cosa giudicata nella cornice di un altro procedimento. Esiste un’abbondante giurisprudenza dei tribunali interni a proposito dell’azione per danni-interessi. Secondo questa giurisprudenza, se un terreno destinato alla costruzione di un lavoro di utilità pubblica rimane bloccato per un lungo periodo senza che l’amministrazione proceda alla sua espropriazione formale mediante un’indennità, il proprietario riguardato può chiedere lo sblocco del suo bene, così come un indennizzo per il danno subito (vedere, per esempio, tribunale amministrativo di Tessalonico, decisione nº 2839/1991). Parimenti, se l’amministrazione blocca un terreno al di là del termine ragionevole, il proprietario colpito può chiedere un’indennità per il danno subito in ragione del blocco illegale del suo bene e della privazione del suo uso (vedere, per esempio, tribunale amministrativo di Kalamata, decisione no 104/2003). Infine, se l’amministrazione occupa illegalmente un terreno, il proprietario può chiedere, oltre la restituzione del suo bene, un’indennità per privazione dell’uso del suo terreno (vedere, per esempio, corte d’appello di Rodi, decisione no 35/2004).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO Nº 1
33. Riferendosi alla cronistoria della causa dal 1933, data del primo decreto che colpisce il terreno controverso, i richiedenti si lamentano del rifiuto delle autorità e delle giurisdizioni greche di togliere il blocco della loro proprietà che perdura a tutt’oggi. Invocano l’articolo del Protocollo nº 1, così formulato,:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Sull’ammissibilità
Sulle eccezioni di non-esaurimento delle vie di ricorso interne
1. Sulla prima eccezione di non-esaurimento delle vie di ricorso interne
34. Il Governo afferma, innanzitutto, che i richiedenti non hanno esaurito le vie di ricorso interne poiché non hanno invocato in modo esplicito dinnanzi alle giurisdizioni amministrative la violazione dell’articolo 1 del Protocollo nº 1. Riferendosi alla causa Ahmet Sadik c. Grecia, (15 novembre 1996, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-V) fa valere che l’articolo 35 della Convenzione non esige solamente l’immissione nel processo delle giurisdizioni nazionali competenti, ma anche la presentazione dinnanzi a queste stesse giurisdizioni dei motivi di appello che si intende formulare dinnanzi alla Corte in seguito.
35. I richiedenti contestano questa tesi.
36. La Corte ricorda che la regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne deve applicarsi con una certa flessibilità e senza formalismo eccessivo (vedere, tra molte, le sentenze Cardot c. Francia, 19 marzo 1991, § 34, serie A nº 200 e Castells c. Spagna, 23 aprile 1992, § 27, serie A nº 232). Ora, nel presente caso, la Corte nota che tutti i ricorsi intentati dai richiedenti dinnanzi alle giurisdizioni amministrative tendevano indiscutibilmente alla revoca del blocco che colpisce il loro terreno e, a fortiori, alla protezione della loro proprietà. Quindi, non si potrebbe sostenere che i richiedenti non abbiano fornito alle giurisdizioni greche l’occasione di riparare la violazione addotta del loro diritto al rispetto dei loro beni. Conviene dunque respingere questa eccezione.
2. Sulla seconda eccezione di non-esaurimento delle vie di ricorso interne
37. Il Governo avanza, peraltro, che i richiedenti avrebbero potuto introdurre un’azione per indennizzo contro lo stato ai termini dell’articolo 105 della legge corollario del codice civile. Tale azione avrebbe permesso loro di vedersi versare un indennizzo completo per il danno materiale e morale subito in ragione del blocco, presunto essere al di là del termine ragionevole, della loro proprietà.
38. I richiedenti ribattono che una domanda di indennizzo fondata sull’articolo 105 della legge corollario del codice civile non costituiva, nello specifico, una via di ricorso adeguata. Difatti, rilevano che questo ricorso di cui l’ammissibilità dipende dalla natura illegale degli atti o delle omissioni degli organi dello stato, sarebbe stato destinato al fallimento, perché il Consiglio di stato ha considerato a due riprese, sentenze numeri 5249/1996 e 2555/2005, che il mantenimento in vigore dell’espropriazione controversa non aveva superato i termini ragionevoli e che il rifiuto dell’amministrazione di togliere il blocco non era illegale. I richiedenti stimano dunque che non avrebbero potuto sostenere validamente dinnanzi alle giurisdizioni competenti che gli organi statali avevano commesso un’illegalità a loro carico.
39. La Corte ricorda che il fondamento della regola dell’esaurimento delle vie di ricorso interne enunciato all’articolo 35 § 1 della Convenzione consiste nel fatto che prima di investire la Corte, il richiedente abbia dovuto dare allo stato responsabile la facoltà di ovviare alle violazioni addotte dai mezzi interni, utilizzando le risorse giudiziali offerte dalla legislazione nazionale, purché si rivelino efficaci e sufficienti (vedere, tra altre, Fressoz e Roire c. Francia [GC], nº 29183/95, § 37, CEDH 1999-I). Difatti, l’articolo 35 § 1 della Convenzione prescrive solo l’esaurimento dei ricorsi relativi al tempo stesso delle violazioni incriminate, disponibili ed adeguati. Devono esistere non solo ad un grado sufficiente di certezza in teoria ma anche in pratica, mancherebbero altrimenti dell’effettività e dell’accessibilità volute; incombe sullo stato convenuto di dimostrare che queste esigenze si trovano riunite (vedere, tra altri, Dalia c. Francia, 19 febbraio 1998, § 38, Raccolta 1997-I). Infine, colui che ha esercitato un ricorso di natura tale da ovviare direttamente alla situazione controversa -e non in modo indiretto- non è tenuto ad esaurirne altri a lui aperti ma di cui l’efficacia sarebbe stata improbabile (vedere, tra altri, Manoussakis ed altri c. Grecia, 26 settembre 1996, § 33, Raccolta 1996-IV).
40. A differenza delle cause Kosmidis e Kosmidou c. Grecia, ((déc), no 32141/04, 24 ottobre 2006, e Rompoti e Rompotis c. Grecia, (, déc.), nº 14263/04, 20 ottobre 2005) nelle quali era stato considerato che i richiedenti avrebbero dovuto intentare un’azione per danni-interessi, fondata sull’articolo 105 della legge corollario del codice civile, mirando ad ottenere un indennizzo per il blocco della loro proprietà durante un lungo periodo, la Corte non è convinta che nel presente caso, tale ricorso sarebbe di natura tale da ovviare direttamente alla situazione controversa. Difatti, nelle cause precitate, le giurisdizioni interne avevano accolto i ricorsi degli interessati costatando la levata delle espropriazioni controverse. Gli interessati avevano così, in seguito la possibilità di fondare un’azione per danni-interessi sull’illegalità a priori constatata; ora non è lo stesso nella presente causa.
41. In particolare, la Corte nota che i richiedenti richiedevano la levata del blocco del loro terreno affinché potessero godere pienamente dei loro diritti di proprietà. A questo scopo, avevano investito le giurisdizioni amministrative di un ricorso per annullamento del rifiuto dell’amministrazione di revocare l’espropriazione che colpisce il loro terreno. Ora, l’alta giurisdizione amministrativa li respinse a due riprese considerando che il mantenimento dell’espropriazione in causa non fosse illegale. In queste condizioni, la Corte conviene coi richiedenti che questi difficilmente potrebbero pretendere in seguito, per fondare un’eventuale azione per danno-interessi ai termini dell’articolo 105 della legge corollario del codice civile, che ci fosse stata nello specifico un’illegalità commessa a loro carico da parte degli organi statali.
42. Alla vista di ciò che precede, la Corte considera che i richiedenti abbiano fatto un uso normale delle vie di ricorso che avevano a loro disposizione in diritto greco. Conviene dunque respingere questa eccezione.
3. Sulla terza eccezione di non-esaurimento delle vie di ricorso interne
43. Il Governo sostiene, infine, l’inammissibilità di questo motivo di appello, al motivo che,a seguito del ricorso per annullamento esercitato dai richiedenti il 14 novembre 2005, il procedimento è sempre pendente dinnanzi alle giurisdizioni amministrative.
44. I richiedenti si oppongono a questa tesi.
45. La Corte stima che il procedimento controverso finì il 24 novembre 2005 con la sentenza nº 2555/2005 del Consiglio di stato che costituisce la decisione interna definitiva ai fini della presente controversia. Il fatto che i richiedenti che hanno già tentato senza successo di risanare la situazione controversa a due riprese, non abbandonino i loro sforzi per fare togliere il blocco pesante sul loro terreno, non potrebbe, agli occhi della Corte, influenzare l’ammissibilità del motivo di appello qui in causa. Conviene dunque respingere questa eccezione sollevata dal Governo.
46. In fine, la Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente male fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessuno altro motivo d’inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Tesi delle parti
47. I richiedenti adducono che in ragione delle differenti misure che colpiscono il loro terreno dal 1933, sono stati privati della possibilità di disporne liberamente e pienamente. Secondo loro, il fallimento delle autorità nel prendere delle misure necessarie allo scopo di compiere l’espropriazione controversa ed il rifiuto delle giurisdizioni amministrative di sanzionare questo fallimento pronunciando la levata del blocco, hanno rotto il giusto equilibro che deve regnare tra la salvaguardia del diritto di proprietà e le esigenze dell’interesse generale.
48. Il Governo sottolinea che in materia di restrizione al diritto di proprietà, gli Stati dispongono di un grande margine di valutazione (James ed altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 46, serie A nº 98). Afferma che l’espropriazione controversa ha avuto luogo conformemente alle disposizioni legislative pertinenti ed inseguiva uno scopo di utilità pubblica, ovvero la pianificazione urbana. Peraltro, secondo il Governo, il Consiglio di stato ha fondato il suo rifiuto di constatare la levata del blocco su dei motivi sufficienti e pertinenti.
2. Valutazione della Corte
49. La Corte nota, innanzitutto, che non è contestato che c’è stata un’ingerenza nel diritto dei richiedenti al rispetto dei loro beni. Quindi, deve ricercare se l’ingerenza denunciata si giustifica sotto l’angolo di questa disposizione.
50. La Corte ricorda che l’articolo 1 del Protocollo nº 1 esige, innanzitutto e soprattutto, che un’ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto di beni sia legale. Nel presente caso, la Corte considera che il decreto legislativo del 22 settembre 1933, confermato in seguito dal decreto reale del 30 novembre 1970 e che includeva una parte del terreno controverso nella superficie totale espropriata, costituivano la base legale dell’ingerenza denunciata. Inoltre, questa privazione di proprietà inseguiva uno scopo legittimo, ovvero la pianificazione urbana.
51. La Corte deve ricercare infine se un giusto equilibrio è stato mantenuto tra le esigenze dell’interesse generale e gli imperativi dei diritti fondamentali dell’individuo. Ricorda a questo riguardo che una misura di ingerenza nel diritto al rispetto dei beni deve predisporre un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (vedere, tra altre, Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 69, serie A nº 52). La preoccupazione di garantire un tale equilibrio si riflette nella struttura dell’articolo 1 del Protocollo nº 1 tutto intero, e dunque nella seconda frase che si deve leggere alla luce del principio consacrato dalla prima. In particolare, deve esistere un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto da ogni misura che priva una persona della sua proprietà (Pressos Compania Naviera S.p.A. ed altri c. Belgio, 20 novembre 1995, § 38, serie A nº 332).
52. La Corte ricorda poi che la Grecia ha ratificato il diritto di ricorso individuale nel novembre 1985. Di conseguenza, i fatti che si sono svolti prima di questa data si trovano all’infuori della competenza ratione temporis della Corte. Tuttavia, la Corte potrebbe prenderli in considerazione nella valutazione della situazione dei richiedenti posteriore a questa data (vedere, mutatis mutandis, Satka ed altri c. Grecia, no 55828/00, § 46, 27 marzo 2003).
53. In particolare, per ciò che riguarda la presente causa, la Corte lega un’importanza particolare al fatto che in virtù di due decreti che modificavano il piano di allineamento della città di Komotini, il terreno della richiedenti rimane bloccato dal 1933, ossia da più di settant’ anni, e che dal 1979, data in cui l’atto di designazione dei terreni espropriati e di ripartizione proporzionale degli indennizzi dovuti ai proprietari fu adottato, le autorità non hanno preso nessuna altra misura che mirasse a compiere l’espropriazione ed indennizzare i richiedenti. Difatti, il solo procedimento in vista dell’indennizzo dei richiedenti è stato impegnato dai proprietari di un terreno limitrofo, non espropriato. Ora, agli occhi della Corte, l’obbligo dello stato di rispettare e di proteggere la proprietà degli individui non può dipendere dall’iniziativa di terzi. Peraltro, la Corte non potrebbe condividere la conclusione a cui è giunto il Consiglio di stato e secondo la quale l’omissione dell’amministrazione di procedere al compimento dell’espropriazione con la determinazione dell’importo ed il versamento dell’indennizzo alle interessate fosse giustificata dalla litispendenza dei procedimenti relativi a questa espropriazione.
54. La Corte stima perciò che tale attentato ai diritti delle interessate rompa, a sfavore di queste, il giusto equilibrio da predisporre tra la protezione della proprietà e le esigenze dell’interesse generale.
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo nº 1.
II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
55. I richiedenti si lamentano anche dell’equità del procedimento dinnanzi alle giurisdizioni amministrative. Invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Sull’ammissibilità
56. La Corte ricorda che ai termini dell’articolo 19 della Convenzione, ha per compito di garantire il rispetto degli impegni che risultano dalla Convenzione per le Parti contraenti. In particolare, non gli appartiene di conoscere degli errori di fatto o di diritto che si presume siano stati commessi da una giurisdizione interna, salvo che siano di una misura tale da aver portato attentato ai diritti e libertà salvaguardate dalla Convenzione (vedere, García Ruiz c. Spagna [GC], nº 30544/96, § 28, CEDH 1999-I). La Corte non può valutare lei stessa gli elementi di fatto che hanno condotto una giurisdizione nazionale ad adottare una decisione piuttosto che un’ altra, se non nel caso si erigesse a giudice di quarta istanza e ignorerasse i limiti della sua missione (vedere, mutatis mutandis, Kemmache c. Francia (nº 3), 24 novembre 1994, § 44, serie A nº 296-C.) La Corte ha per sola funzione, allo sguardo dell’articolo 6 della Convenzione, di esaminare le richieste che adducono che le giurisdizioni nazionali abbiano ignorato delle garanzie procedurali specifiche enunciate da questa disposizione o che la condotta del procedimento nel suo insieme non abbia garantito un processo equo al richiedente (vedere, tra molti altri, Donadzé c. Georgia, nº 74644/01, §§ 30-31, 7 marzo 2006).
57. Nel presente caso, i richiedenti sollevano un motivo di appello che mira a mettere in causa il modo in cui l’alta giurisdizione ha interpretato ed applicato il diritto interno pertinente. Ora, niente permette alla Corte di pensare che il procedimento durante il quale i richiedenti hanno potuto presentare tutti i loro argomenti, non sia stato equo. La Corte non trova difatti nessuno indizio di arbitrarietà nella condotta del processo né di violazione dei diritti procedurali delle interessate.
58. Ne segue che questa parte della richiesta è manifestamente male fondata e deve essere respinta in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
59. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
60. I richiedenti non richiedono nessuna somma a titolo di soddisfazione equa. Affermano che, a seguito della constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo nº 1, potranno investire le giurisdizioni amministrative in vista di ottenere un indennizzo. In compenso, sollecitano la revoca dell’espropriazione controversa.
61. Visto ciò che precede, la Corte stima che non c’è luogo di concedere ai richiedenti una somma a titolo di soddisfazione equa, in quanto non hanno chiesto nessun indennizzo a questo titolo. In compenso, visto che la natura della violazione constatata permette una restitutio in integrum, la Corte considera che la revoca dell’espropriazione controversa porrebbe i richiedenti il più possibile in una situazione equivalente a quella in cui si troverebbero se non ci fosse stata trasgressione alle esigenze dell’articolo 1 del Protocollo nº 1 (vedere, in questo senso, Papamichalopoulos ed altri c. Grecia (articolo 50), 31 ottobre 1995, § 38, serie A no 330-B.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANI MITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dal diritto dei richiedenti al rispetto dei loro beni ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo nº 1.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 14 novembre 2008, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Søren Nielsen Nina Vajić
Cancelliere Présidente
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione delle seguenti opinioni:
-opinione concordante del giudice Vajić;
-opinione concordante dei giudici Spielmann e Malinverni.
N.A.V.
S.N.
OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE VAJIĆ
Ho votato con la maggioranza a favore della constatazione di una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 nella presente causa per le ragioni chiaramente espresse ai paragrafi 53 e 54 della sentenza, cioè che per lunghi anni le autorità nazionali non hanno attuato l’espropriazione per non avere fissato l’importo dell’indennità e non avere versato questa ai richiedenti (non dipendendo del resto l’espropriazione in quanto tale dalla competenza ratione temporis della Corte (paragrafo 52)).
Invece, non posso aderire al paragrafo 61 della sentenza in cui, visto la natura della violazione constatata, la maggioranza suggerisce una restitutio in integrum. Secondo me, non spetta alla Corte pronunciarsi sul modo di risarcimento nelle circostanze date (v. paragrafo 1, sopra). Gli Stati contraenti parti di una causa sono in principio liberi di scegliere i mezzi che utilizzeranno per conformarsi ad una sentenza che constata una violazione. Questo potere di valutazione in quanto alle modalità di esecuzione di una sentenza traduce la libertà di scelta di cui è abbinato l’obbligo primordiale imposto dalla Convenzione agli Stati contraenti: garantire il rispetto dei diritti e delle libertà garantite (articolo 1) (cf. Papamichalopoulos ed altri c. Grecia (articolo 50), sentenza del 8 ottobre 1995, serie A no 330-B, p. 59, § 34; Brumărescu c. Romania (soddisfazione equa) [GC], no 28342/95, § 20, CEDH 2001-I, ecc.).
OPINIONE CONCORDANTE DEI GIUDICI SPIELMANN E MALINVERNI
1. Condividiamo tutti i punti della conclusione della Corte sulla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 della Convenzione.
2. Avremmo desiderato però che, in ragione della loro importanza, i considerando del § 61 della sentenza figurassero anche nel dispositivo, per le seguenti ragioni.
3. Da prima, è ben conosciuto che se i considerando di una sentenza permettono agli Stati contraenti di conoscere i motivi per i quali la Corte è giunta ad una constatazione di violazione della Convenzione o alla mancanza di tale constatazione, e che rivestono a questo riguardo un’importanza determinante per l’interpretazione della Convenzione, è il dispositivo che lega le parti, ai sensi dell’articolo 46 § 1 della Convenzione. Non è indifferente dunque, da un punto di vista giuridico che certe considerazioni della Corte raffigurano anche nel dispositivo.
4. Ora, ciò che la Corte afferma al § 61 della sentenza riveste ai nostri occhi la maggiore importanza. La Corte ricorda difatti che la natura della violazione constatata permette una restitutio in integrum e che la revoca dell’espropriazione controversa porrebbe i richiedenti il più possibile nella situazione equivalente a quella in cui si troverebbero se non ci fosse stata trasgressione alle esigenze dell’art. 1 del Protocollo no 1.
5. Se ci permettiamo di insistere su questo punto, è perché non bisogna perdere di vista che le indennità di cui la Corte ordina il versamento alle vittime di una violazione della Convenzione rivestono, ai termini e secondo lo spirito dell’articolo 41, un carattere accessorio. Ogni volta che ciò è possibile, la Corte dunque dovrebbe sforzarsi di porre la vittima nello status quo ante. Dovrebbe anche, nei casi come questo, riservare la sua decisione sull’indennità equa e dedicarsi, all’occorrenza, a questa questione solo più tardi, se le parti non dovessero giungere ad un ordinamento soddisfacente del loro contenzioso.
6. Il principio della restitutio in integrum trova la sua origine nella sentenza della Corte permanente di Giustizia internazionale del 13 settembre 1928, nella causa della fabbrica Chorzow (merito). La Corte di L’Aia ha affermato:
Il principio essenziale che deriva della nozione stessa di atto illecito e che sembra liberarsi dalla pratica internazionale, è che il risarcimento deve, per quanto possibile, cancellare tutte le conseguenze dell’atto illecito e ristabilire lo stato che sarebbe esistito verosimilmente se suddetto atto non fosse stato commesso. ( CPJI serie. A, No 17, p. 47).
7. Il principio della restitutio in integrum è considerato dunque come il rimedio ideale per riparare delle violazioni di regole del diritto internazionale. È stato riaffermato costantemente dalla giurisprudenza e dalla pratica internazionale. L’articolo 35 del progetto degli articoli sulla responsabilità degli Stati, elaborato dalla Commissione del diritto internazionale delle Nazioni Unite, ricorda questo principio in questi termini:
Lo stato responsabile del fatto internazionalmente illecito ha l’obbligo di procedere alla restituzione che consiste nel ristabilimento della situazione che esisteva prima che il fatto illecito fosse stato commesso, dal momento che e per quanto tale restituzione:
a) non sia materialmente impossibile;
b) non imponga un carico fuori da qualsiasi proporzione col vantaggio che deriverebbe dalla restituzione piuttosto che dall’indennizzo.
Da parte sua, l’articolo 36 di questo stesso progetto dispone:
1. Lo stato responsabile del fatto internazionalmente illecito è tenuto ad indennizzare il danno causato da questo fatto nella misura in cui questo danno non venga riparato dalla restituzione.
8. Non esiste nessuno motivo di non applicare anche questo principio alla campo del diritto internazionale dei diritti dell’uomo (vedere Loukis G. Loucaides “Risarcimento per le Violazioni dei Diritti Umani sotto la Convenzione Europea e la Restitutio in integrum” [2008], Rivista Europea Legale dei Diritti Umani, 183-192).
9. La Corte ha pronunciato del resto, già delle simili ingiunzioni nel dispositivo di alcune delle sue sentenze. Così, nella sua sentenza Papamichalopoulos ed altri c. Grecia, Art. 50, sentenza del 31 ottobre 1995, Serie A no 330-B, la Corte ha affermato:
34. La Corte ricorda che con l’articolo 53 (art. 53) della Convenzione le Alte Parti contraenti si sono impegnate a conformarsi alle decisioni della Corte nelle controversie delle quali sono parti; in più, l’articolo 54 (art. 54) contempla che la sentenza della Corte venga trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione. Ne segue che una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico allo sguardo della Convenzione di porre termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire tanto quanto si può fare la situazione anteriore a questa.
Gli Stati contraenti parti in una causa sono in principio liberi di scegliere i mezzi che utilizzeranno per conformarsi ad una sentenza che constata una violazione. Questo potere di valutazione in quanto alle modalità di esecuzione di una sentenza traduce la libertà di scelta di cui è abbinato l’obbligo primordiale imposto dalla Convenzione agli Stati contraenti: garantire il rispetto dei diritti e libertà garantite (articolo 1) (art. 1). Se la natura della violazione permette una restituito in integrum ,incombe sullo stato convenuto di realizzarla, non avendo la Corte né la competenza né la possibilità pratica di farlo lei stessa. Se il diritto nazionale non permette, in compenso, o permette solamente imperfettamente di cancellare le conseguenze della violazione (articolo 50, art. 50) alla Corte viene concesso di accordare, se c’è luogo, alla parte lesa la soddisfazione che le sembra appropriata.
Nel dispositivo di questa sentenza, la Corte ha
2. Stabilito che lo stato convenuto deve restituire ai richiedenti, entro sei mesi, i terreni controversi di una superficie di 104 018 m2, ivi compreso gli edifici che vi si trovano;
3. Stabilisce che, in mancanza di tale restituzione, lo stato convenuto deve versare ai richiedenti, entro sei mesi, 5 551 000 000 (cinque miliardi cinque cento cinquantuno milioni) di dracme per danno materiale, importo da aumentare di un interesse non capitalizzabile del 6% a contare dalla scadenza del termine di sei mesi (punto 2 del dispositivo) e fino al versamento;
10. Parimenti, nella sentenza Iatridis c. Grecia, del 19 ottobre 2000 (soddisfazione equa), la Corte ha ricordato i seguenti principi:
32. La Corte ricorda che una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico allo sguardo della Convenzione di porre termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire tanto quanto si può fare la situazione anteriore a questa.
33. Gli Stati contraenti parti di una causa sono in principio liberi di scegliere i mezzi che utilizzeranno per conformarsi ad una sentenza che constata una violazione. Questo potere di valutazione in quanto alle modalità di esecuzione di una sentenza traduce la libertà di scelta di cui è abbinato l’obbligo primordiale imposto dalla Convenzione agli Stati contraenti: garantire il rispetto dei diritti e libertà garantite (articolo 1). Se la natura della violazione permette una restituito in integrum, incombe sullo stato convenuto di realizzarla, non avendo la Corte né la competenza né la possibilità pratica di farlo lei stessa. Se il diritto nazionale non permette, in compenso, o permette solamente imperfettamente di cancellare le conseguenze della violazione, l’articolo 41 abilita la Corte ad accordare, se c’è luogo, alla parte lesa la soddisfazione che gli sembra appropriata (sentenza Papamichalopoulos ed altri c. Grecia del 31 ottobre 1995 (articolo 50), serie A no 330-B, pp. 58-59, § 34).
34. Nella sua sentenza al principale, la Corte si è espressa così: “(…) il 23 ottobre 1989, la corte d’appello di Atene, deliberando secondo il procedimento in riferimento e con una decisione che ha forza di cosa giudicata, ha annullato l’ordinanza di sfratto al motivo che le condizioni richieste per la sua adozione non erano riunite. Così, ed a partire da questo momento, lo sfratto del richiedente ha perso ogni base legale e la municipalità di Ilioupolis è diventata un occupante senza titolo. Questa si trovava allora nell’obbligo di restituire il cinema al richiedente, il che fu raccomandato del resto da tutti gli organi incaricati di dare il loro pare in materia al ministro delle Finanze, ovvero il ministero delle Finanze, il Consulente legale dello stato e la Società dei beni immobiliari dello stato. ” (§ 61)
35. Perciò, la Corte stima che il carattere manifestamente illegale nel dritto interno dell’ingerenza controversa giustificherebbe la concessione al richiedente di un indennizzo intero. Difatti, solo la restituzione al richiedente dell’uso del cinema porrebbe questo, il più possibile, in una situazione equivalente a quella in cui si troverebbe se non ci fosse stata trasgressione alle esigenze dell’articolo 1 del Protocollo no 1. In quanto ai documenti depositati dal richiedente il 21 luglio 1999 sotto forma di una nuova richiesta (paragrafo 5 sopra) la Corte li tratterà come facenti parte della pratica relativa all’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione.
11. Infine, nella sua sentenza Brumărescu c. Romania del 23 gennaio 2001 (soddisfazione equa), dopo avere constatato che:
… nelle circostanze del caso specifico,… la restituzione del bene controverso, come ordinata dal giudizio definitivo del tribunale di prima istanza di Bucarest del 9 dicembre 1993, porrebbe il richiedente, per quanto possibile, in una situazione equivalente a quella in cui si troverebbe se le esigenze dell’articolo 1 del Protocollo no 1 non fossero state ignorate.
ai punti 1 e 2 del dispositivo, la Corte ha
1. Stabilito che lo stato convenuto deve restituire al richiedente, entro sei mesi, la casa controversa ed il terreno su cui è ubicata, fatta eccezione per l’appartamento e della parte di terreno corrispondente già restituiti;
2. Stabilito che in mancanza di tale restituzione lo stato convenuto deve versare al richiedente, negli stessi sei mesi, 136 205 USD (cento trentaseimila due cento cinque dollari americani) per danno materiale, da convertire in lei rumeni al tasso applicabile in data dell’ordinamento,;
12. Ai termini dell’articolo 46 § 2 della Convenzione, la sorveglianza dell’esecuzione delle sentenze della Corte incombe sul Comitato dei Ministri. Ciò non significa però che la Corte non debba giocare alcun ruolo in questo campo, e che non debba adottare le misure atte a facilitare il compito del Comitato dei Ministri nel compimento di queste funzioni. Difatti, né l’articolo 41 né nessuna altra disposizione della Convenzione è di natura tale da impedire alla Corte di pronunciarsi sulla questione del risarcimento di una violazione della Convenzione alla luce dei suddetti principi. Dal momento che è competente in merito all’interpretazione e all’applicazione della Convenzione, la Corte dovrebbe essere abilitata anche a determinare “la forma e l’importo del risarcimento che deve essere concesso” (J. Crawford,Articoli della Commissione Legislativa Internazionale sulla Responsabilità dello Stato, Testo e Commenti, Cambridge University Press, 2002, p. 211 (2)).
13. Per ottenere questo, è essenziale che, nelle sue sentenze, la Corte non si limiti a dare una descrizione il più possibile precisa della natura della violazione della Convenzione constatata, ma che, nel dispositivo, indichi anche allo stato condannato le misure che le sembrano più adeguate per riparare simile violazione.