SECONDA SEZIONE
CAUSA FAELLA C. ITALIA
(Richiesta no 32752/02)
SENTENZA
STRASBURGO
21 ottobre 2008
DEFINITIVO
21/01/2009
Questa sentenza può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Faella c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, giudici,
e di Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 30 settembre 2008,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 32752/02) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. A. F. (“il richiedente”), ha investito la Corte l’8 settembre 1999 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da A. N. e T. V., avvocati a Benevento. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato successivamente dai suoi agenti, i Sigg. I.M. Braguglia e R. Adamo e la Sig.ra E. Spatafora, e dai suoi coagenti, i Sigg. V. Esposito e F. Crisafulli, così come dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 24 maggio 2004, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1936 e ha risieduto a San Nicola Manfredi (Benevento).
A. Il procedimento principale
5. Il 30 marzo 1992, il richiedente depositò un ricorso dinnanzi al giudice di istanza di Benevento (RG no 1462/92) facente funzione di giudice del lavoro, per ottenere la riconoscenza del suo diritto ad una pensione ordinaria di invalidità.
6. Il 30 aprile 1992, il giudice di istanza fissò la prima udienza al 4 ottobre 1993. Il detto giorno, l’udienza fu rinviata d’ufficio al 16 novembre 1993. In questa data, il giudice rinviò la causa al 14 febbraio 1994, data in cui il giudice nominò un perito e fissò il collocamento in deliberazione in camera del consiglio della causa al 18 giugno 1996. Con una decisione dello stesso giorno il cui testo fu depositato alla cancelleria il 26 agosto 1996, il giudice respinse l’istanza del richiedente.
7. Il 9 settembre 1996, questo ultimo interpose appello dinnanzi al tribunale di Benevento (RG no 334/96). Il 6 novembre 1996, il presidente incaricò un giudice delatore della pratica e fissò l’udienza delle arringhe al 2 luglio 1997. Venuto il giorno, l’udienza fu rinviata d’ ufficio al 25 febbraio 1998. In questa data, il tribunale nominò un perito e rinviò la causa al 23 settembre 1998. Suddetto giorno, il tribunale rinviò la causa al 9 dicembre 1998 per ascoltare il perito chiamato. Questo giorno, il tribunale ordinò un’altra perizia e rinviò la causa al 14 aprile 1999, data in cui l’udienza fu rinviata al 9 giugno 1999, al motivo che il perito non aveva depositato il suo rapporto. L’udienza del 9 giugno 1999 fu rinviata d’ufficio al 6 ottobre 1999 e poi al 12 aprile 2000. Con un giudizio dello stesso giorno il cui testo fu depositato alla cancelleria il 28 aprile 2000, il tribunale respinse l’appello.
B. Il procedimento “Pinto”
8. Il 6 settembre 2001, il richiedente investì la corte di appello di Roma ai sensi della legge “Pinto” e chiese la constatazione di una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (durata eccessiva del procedimento) ed in particolare 14 460,79 euro (EUR) a titolo di danno morale.
9. Con una decisione del 10 dicembre 2001 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 18 dicembre 2001, la corte di appello constatò il superamento di una durata ragionevole. Accordò 1 291,14 EUR in equità come risarcimento del danno morale e 568,10 EUR per oneri e spese di cui 516, 45 EUR per oneri e 51,65 EUR per spese. Notificata al ministero della Giustizia il 26 febbraio 2002, questa decisione acquisì l’autorità di cosa giudicata il 27 aprile 2002.
10. Le somme accordate in esecuzione della decisione “Pinto” furono pagate il 12 giugno 2003, in seguito ad un sequestro.
II. IL DIRITTO E LE PRATICA INTERNE PERTINENTI
11. Il diritto e la pratica interna pertinenti figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006 -…).
IN DIRITTO
I. SULLE VIOLAZIONI ADDOTTE DEGLI ARTICOLI 6 § 1 E 13 DELLA CONVENZIONE
12. Il richiedente si lamenta della durata del procedimento civile. Dopo avere esaurito la via di ricorso “Pinto”, considera che l’importo accordato dalla corte di appello a titolo di danno morale non sia sufficiente per riparare il danno causato dalla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione. Inoltre, afferma che il procedimento “Pinto” non sia un rimedio effettivo, come esige l’articolo 13 della Convenzione.
13. Il Governo si oppone a questa tesi.
14. Gli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione è formulato così:
Articolo 6 § 1
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa venga sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
Articolo 13
“Ogni persona i cui i diritti e libertà riconosciuti nella Convenzione sono stati violati, ha diritto alla concessione di un ricorso effettivo dinnanzi ad un’istanza nazionale, anche se la violazione fosse stata commessa da persone agendo nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali. “
A. Sull’ammissibilità
1. Non – esaurimento delle vie di ricorso interne
15. Il Governo eccepisce del non-esaurimento delle vie di ricorso interne per il fatto che il richiedente non è ricorso in cassazione e che ha omesso di iniziare un procedimento di esecuzione.
16. La Corte ricorda che ha respinto delle eccezioni simili nella causa Delle Cave e Corrado c. Italia (no 14626/03, §§ 17-24, 5 giugno 2007,). Non vede nessuno motivo di deroga alle sue precedenti conclusioni e respinge dunque l’eccezione.
2. Requisito di “vittima”
17. Per sapere se un richiedente può definirsi “vittima” ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, c’è luogo di esaminare se le autorità nazionali hanno riconosciuto e poi riparato in modo adeguato e sufficiente la violazione controversa (vedere, tra altre, Delle Cave e Corrado c. Italia, precitata, §§ 25-31; Cocchiarella c. Italia, precitata, §§ 69-98).
18. Dopo avere esaminato l’insieme dei fatti della causa e gli argomenti delle parti, la Corte considera che la correzione si è rivelata insufficiente e che il pagamento della somma “Pinto” si è rivelato tardivo. Pertanto, il richiedente può sempre definirsi “vittima” ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
3. Conclusione
19. La Corte constata che questi motivi di appello non sono manifestamente mal fondati ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incontrano nessuno altro motivo di inammissibilità.
B. Sul merito
20. La Corte ricorda di avere esaminato dei motivi di appello identici a quelli presentati dal richiedente ed avere concluso, da una parte, alla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione ma, dall’altra parte, alla non-violazione dell’articolo 13 (vedere Delle Cave e Corrado c. Italia, precitata, §§ 35-39 e §§ 43-46).
21. In quanto alla durata del procedimento, la Corte stima che il periodo da considerare è cominciato il 30 marzo 1992, investendo il giudice di istanza di Benevento, per concludersi il 28 aprile 2000, data del deposito alla cancelleria del giudizio del tribunale di Benevento, deliberando in quanto giudice di appello. È durata dunque più di otto anni per due gradi di giurisdizione.
22. La Corte nota anche che la somma concessa dalla giurisdizione “Pinto” è stata versata solamente il 9 giugno 2004, o più di ventinove mesi dopo il deposito alla cancelleria della decisione della corte di appello: questo pagamento ha superato dunque largamente i sei mesi a contare dal momento in cui la decisione di indennizzo diventa esecutiva. La Corte sarà portata a ritornare su questa questione sotto l’angolo dall’articolo 41 della Convenzione (vedere Cocchiarella c. Italia, precitata, § 120).
23. Dopo avere esaminato i fatti alla luce delle informazione fornite dalle parti e tenuto conto della sua giurisprudenza in materia la Corte stima, che nello specifico, la durata del procedimento controverso sia stata eccessiva e non abbia soddisfatto l’esigenza del “termine ragionevole.” Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1.
24. Invece, il richiedente ha disposto di un ricorso effettivo per esporre le violazioni della Convenzione che adduceva (Delle Cave e Corrado c. Italia, precitata). Di conseguenza, non c’è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione.
II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
25. Il richiedente si lamenta anche della violazione degli articoli 14, 17 e 34 della Convenzione, al motivo che sarebbe stato vittima di una discriminazione fondata sulla ricchezza, tenuto conto degli oneri avanzati per intentare il procedimento “Pinto” così come del rischio di essere condannato a pagare gli oneri di procedimento in caso di rigetto del suo ricorso.
26. La Corte stima che c’è luogo di esaminare questi motivi di appello sotto l’angolo del diritto di accesso ad un tribunale allo sguardo dell’articolo 6 della Convenzione. Osserva che benché un individuo possa essere ammesso, secondo la legge italiana, a favore dell’assistenza giudiziale gratuita in materia civile, il richiedente non ha chiesto l’aiuto giudiziale. Rileva, inoltre, che ha potuto investire le giurisdizioni competenti ai termini della legge “Pinto” e che la corte di appello ha fatto diritto alla sua domanda, accordandogli una somma a titolo degli oneri di procedimento. Ora, non si potrebbe parlare di ostacoli all’accesso ad un tribunale quando una parte, rappresentata da un avvocato, investe liberamente la giurisdizione competente e presenta dinnanzi a lei i suoi argomenti. Pertanto,non potendo scoprire nessuna apparenza di violazione, la Corte dichiara i motivi di appello riguardanti gli oneri di procedimento inammissibili perché manifestamente mal fondati ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione (Nicoletti c. Italia,( déc.), no 31332/96, 10 aprile 1997).
27. Il richiedente denuncia inoltre la violazione degli articoli 14, 17 e 34 della Convenzione, al motivo che la somma accordata dalla corte di appello nel procedimento “Pinto” a titolo di spese (51,65 EUR) è inferiore a più della metà degli sborsi reali (163,20 EUR).
28. La Corte stima che questo motivo di appello porta in sostanza all’effettività del ricorso “Pinto” e che deve essere analizzato sotto l’angolo dell’articolo 13 della Convenzione. Alla luce delle conclusioni esposte sopra al paragrafo 24, la Corte respinge questo motivo di appello.
29. Il richiedente si lamenta infine della mancanza di equità del procedimento “Pinto.” Le giurisdizioni “Pinto” non sarebbero imparziali al motivo che i giudici esercitano un controllo sulla condotta di altri colleghi e che la Corte dei conti è tenuta ad iniziare un procedimento per responsabilità contro questi ultimi, nel caso in cui la lunghezza di un procedimento interna fosse imputabile a loro.
30. Nello specifico, il timore di un difetto di imparzialità era legato al fatto che la corte di appello avrebbe potuto respingere il richiedente a nome di uno “spirito di corpo” che avrebbe portato i giudici “Pinto” a respingere sistematicamente le domande di soddisfazione equa per difendere la condotta di altri giudici. Ora, da una parte, la Corte constata che la corte di appello di Roma ha fatto diritto all’istanza del richiedente. Dall’altra parte, le affermazioni del richiedente sono vaghe e non supportate. La Corte respinge dunque questo motivo di appello perché globalmente manifestamente mal fondato, anche ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione (Padovani c. Italia, sentenza del 26 febbraio 1993, serie A no 257-B, §§ 25-28).
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
31. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
32. Il richiedente richiede a titolo di danno morale 14 460,79 EUR, meno 1 291,14 EUR accordati dalla corte di appello “Pinto.”
33. Il Governo si rimette alla saggezza della Corte.
34. La Corte stima che avrebbe potuto accordare al richiedente, in mancanza di vie di ricorso interne e tenuto conto del fatto che la causa riguardava una pensione di invalidità, la somma di 9 000 EUR. Il fatto che la corte di appello di Roma abbia concesso al richiedente il 14,34% di questa somma arriva ad un risultato manifestamente irragionevole. Di conseguenza, avuto riguardo alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto” ed al fatto che sia giunta però ad una constatazione di violazione, la Corte, tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia (precitata, §§ 139-142 e 146) e deliberando in equità, assegna al richiedente 2 759 EUR così come 1 100 EUR a titolo della frustrazione supplementare derivante dal ritardo nel versamento dei 1 291,14 EUR, intervenuto solamente il 12 giugno 2003, o più di diciassette mesi dopo il deposito alla cancelleria della decisione della corte di appello.
B. Oneri e spese
35. Il richiedente chiede il rimborso di 163,20 EUR per oneri e spese relative al procedimento “Pinto” e si rimette alla saggezza della Corte per quelli incorsi dinnanzi a lei.
36. Il Governo si rimette alla saggezza della Corte.
37. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, il sussidio degli oneri e spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che vengano stabiliti la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Inoltre, gli oneri di giustizia sono recuperabili solamente nella misura in cui si riferiscono alla violazione constatata (vedere, per esempio, Beyeler c. Italia (soddisfazione equa) [GC], no 33202/96, § 27, 28 maggio 2002; Sahin c. Germania [GC], no 30943/96, § 105, CEDH 2003-VIII).
38. In quanto agli oneri e spese dinnanzi alla corte di appello di Roma, la Corte stima ragionevole la somma assegnata, tenuto conto della durata e della complessità del procedimento “Pinto.” Respinge dunque la domanda. In quanto agli oneri e spese incorsi dinnanzi a lei, la Corte constata la mancanza di giustificativi e decide pertanto di non accordare niente.
C. Interessi moratori
39. La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello derivati dalla durata eccessiva del procedimento e dall’effettività del rimedio “Pinto” ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce che non c’è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 3 859 EUR (tremila otto cento cinquantanove euro) per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta su suddetta somma;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 21 ottobre 2008, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice di sezione Presidentessa