SECONDA SEZIONE
CAUSA D’ IGLIO C. ITALIA
( Richiesta no 32678/03)
SENTENZA
STRASBURGO
29 luglio 2008
DEFINITIVO
29/10/2008
Questa sentenza può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa D’Iglio c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Antonella Mularoni, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, giudici,
e di Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione.
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 8 luglio 2008,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 32678/03) diretta contro la Repubblica italiana e in cui una cittadina di questo Stato, la Sig.ra A. D’I. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 10 settembre 2003 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato dai Miei C. M ed A. M, avvocati a Benevento. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato successivamente dai suoi agenti, i Sigg. I.M. Braguglia e R. Adamo, ed i suoi coagenti, i Sigg. V. Esposito e F. Crisafulli, così come dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 29 giugno 2006, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1960 e ha risieduto a Durazzano (Benevento).
A. Il procedimento principale
5. Il 29 febbraio 1991, il richiedente depositò un ricorso dinnanzi al giudice di istanza di Benevento (RG. no 4677/91) che agiva a titolo di giudice del lavoro, per ottenere la riconoscenza del suo diritto all’iscrizione nel registro dei lavoratori agricoli tramite il servizio dei contributi agricoli (SCAU – Servizio per i Contributi Agricoli Unificati).
Il 13 novembre 1991, il giudice di istanza fissò la prima udienza al 14 ottobre 1993. A seguito di due udienze di cui una rinviata d’ufficio, il 23 febbraio 1996, il giudice pronunciò l’interruzione del procedimento in ragione della soppressione del SCAU. Il 23 ottobre 1996 il procedimento fu ripreso contro la sicurezza sociale. Delle nove udienze fissate tra il 7 novembre 1994 ed il 20 giugno 2001, una fu rinviata in ragione della mancanza delle parti e due d’ufficio.
6. Con un giudizio dello stesso giorno il cui il testo fu depositato alla cancelleria il 25 luglio 2001, il giudice respinse l’istanza del richiedente.
B. Il procedimento “Pinto”
7. Il 9 ottobre 2001, il richiedente investì la corte di appello di Roma ai sensi della legge no 89 del 24 marzo 2001, detta “legge Pinto”, per lamentarsi della durata del procedimento descritto sopra. Chiese alla corte di dire che c’era stata una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e di condannare lo stato italiano al risarcimento dei danni materiali e morali subiti. Chiese in particolare 28 000 000 lire [o 14 460,79 euro (EUR)] a titolo di danno materiale e morale.
8. Con una decisione del 28 marzo 2002 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 28 maggio 2002, la corte di appello constatò il superamento di una durata ragionevole. Accordò 2 800 EUR in equità come risarcimento del danno morale e 920 EUR per oneri e spese. Questa decisione non fu notificata ed acquisì autorità di cosa giudicata il 13 luglio 2003. Con una lettera dell’ 8 settembre 2003, il richiedente informò la Corte del risultato del procedimento nazionale e la pregò di riprendere l’esame della sua richiesta.
9. Le somme accordate in esecuzione della decisione Pinto furono pagate il 25 novembre 2004.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
10. Il richiedente adduce che la durata del procedimento ha ignorato il principio del “termine ragionevole” come previsto con l’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulata,:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
11. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
12. Dopo avere esaminato i fatti della causa e gli argomenti delle parti, la Corte stima che la correzione si è rivelata insufficiente e che il pagamento della somma “Pinto” si è rivelato tardivo (vedere, tra altre, Delle Cave e Corrado c. Italia, no 14626/03, §§ 26-31, 5 giugno 2007 e Cocchiarella c. Italia, precitata). Pertanto, il richiedente può sempre definirsi “vittima” ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
13. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non urtarti a nessuno altro motivo di inammissibilità.
B. Sul merito
14. In quanto alla durata del procedimento, la Corte stima che il periodo da considerare si estende dal 29 febbraio 1991, giorno dell’introduzione dell’istanza del richiedente dinnanzi al giudice di istanza di Benevento, fino al 25 luglio 2001, data del deposito alla cancelleria del giudizio di suddetto giudice. È durata dunque più di dieci anni e quattro mesi per un grado di giurisdizione.
15. La Corte nota anche che la somma concessa dalla giurisdizione “Pinto” è stata versata solamente il 25 novembre 2004, o più di ventinove mesi dopo il deposito alla cancelleria della decisione della corte di appello: questo pagamento ha superato dunque largamente i sei mesi a contare dal momento in cui la decisione di indennizzo diventò esecutiva. Il fatto che il procedimento “Pinto” esaminato nel suo insieme, ed in particolare nella sua fase di esecuzione, non ha fatto perdere al richiedente la sua qualità di “vittima” costituisce una circostanza aggravante in un contesto di violazione dell’articolo 6 § 1 per superamento del termine ragionevole. La Corte sarà dunque portata a ritornare su questa questione sotto l’angolo dall’articolo 41 della Convenzione (vedere Cocchiarella c. Italia, precitata, § 120).
16. Dopo avere esaminato i fatti alla luce delle informazione fornite dalle parti, e tenuto conto della sua giurisprudenza in materia la Corte stima, che nello specifico, la durata del procedimento controverso sia eccessiva e non soddisfi l’esigenza del “termine ragionevole.”
Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
17. Il richiedente si lamenta anche della violazione degli articoli 14, 17 e 34 della Convenzione, al motivo che sarebbe stata vittima di una discriminazione fondata sulla ricchezza, tenuto conto degli oneri avanzati per intentare il procedimento “Pinto” così come del rischio di essere condannato a pagare gli oneri di procedimento in caso di rigetto del suo ricorso.
18. La Corte stima che c’è luogo di esaminare questi motivi di appello sotto l’angolo del diritto di accesso ad un tribunale allo sguardo dell’articolo 6 della Convenzione. Osserva che benché un individuo possa essere ammesso, secondo la legge italiana, a favore dell’assistenza giudiziale gratuita in materia civile, il richiedente non ha chiesto questo aiuto. Rileva, inoltre, che ha potuto investire le giurisdizioni competenti ai termini della legge “Pinto” e che la corte di appello ha fatto diritto alla sua istanza, accordandogli una somma a titolo degli oneri di procedimento. Ora, non si potrebbe parlare di ostacoli all’accesso ad un tribunale quando una parte, rappresentata da un avvocato, investe liberamente la giurisdizione competente e presenta dinnanzi a lei i suoi argomenti. Pertanto, non potendo essere scoperta nessuna apparenza di violazione, la Corte dichiara questi motivi di appello inammissibili perché manifestamente mal fondati secondo l’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione (Nicoletti c. Italia, (déc.), no 31332/96, 10 aprile 1997).
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
19. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
20. Il richiedente richiede 11 334 euro (EUR) a titolo del danno morale che avrebbe subito.
21. Il Governo contesta queste pretese.
22. La Corte stima che avrebbe potuto accordare al richiedente, in mancanza di vie di ricorso interne e tenuto conto della posta della controversia, la somma di 12 000 EUR. Il fatto che la corte di appello di Roma abbia concesso al richiedente circa il 23% di questa somma arriva ad un risultato manifestamente irragionevole. Di conseguenza, avuto riguardo alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto” ed al fatto che sia giunta però ad una constatazione di violazione, la Corte, tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia (precitata, §§ 139-142 e 146) e deliberando in equità, assegna al richiedente 2 600 EUR a questo titolo così come 2 300 EUR a titolo della frustrazione supplementare derivane dal ritardo nel versamento dei 2 800 EUR, intervenuto solamente il 25 novembre 2004, o più di ventinove mesi dopo il deposito alla cancelleria della decisione della corte di appello.
B. Oneri e spese
23. Giustificativi in appoggio, il richiedente chiede anche 6 898,31 EUR per oneri e spese sostenuti dinnanzi alle giurisdizioni interne ed a Strasburgo.
24. Il Governo contesta queste pretese.
25. Secondo la giurisprudenza della Corte, il sussidio di oneri e spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Can ed altri c. Turchia, no 29189/02, del 24 gennaio 2008, § 22). In quanto agli oneri e spese incorsi dinnanzi alle giurisdizioni “Pinto”, stimando ragionevole la somma assegnata dall’istanza interna, la Corte respinge questa domanda. In quanto agli oneri e spese incorsi dinnanzi a lei, stima che nella cornice della preparazione della presente richiesta, certi oneri sono stati sostenuti. Quindi, deliberando in equità, la Corte giudica ragionevole concedere 1 000 EUR a questo titolo.
C. Interessi moratori
26. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato tre punti di percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 6 della Convenzione ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. 4 900 EUR ( quattromila nove cento euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
ii. 1 000 EUR (mille euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 29 luglio 2008, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidente