SECONDA SEZIONE
CAUSA DI PASQUALE C. ITALIA
( Richiesta no 27522/04)
SENTENZA
STRASBURGO
9 giugno 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa di Pasquale c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, giudici,
e daSally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 19 maggio 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 27522/04) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, Sig. F. d. P. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 23 luglio 2004 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da F. M, avvocato ad Avola (Siracusa). Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato successivamente dai suoi agenti, il Sig. I.M. Braguglia, il Sig. R. Adam e la Sig.ra E. Spatafora, e dai suoi coagenti, i Sigg. V. Esposito e F. Crisafulli, così come dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 13 novembre 2007, il presidente della seconda sezione ha deciso di comunicare i motivi di appello tratti dagli articoli 8 e 13 della Convenzione al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato in 1940 e risiede ad Avola (Siracusa).
1. Il procedimento di fallimento
5. Con un giudizio depositato l’ 11 ottobre 1991, il tribunale di Siracusa (qui di seguito “il tribunale”) dichiarò il fallimento personale del richiedente, che gestiva un’impresa di trasporti stradali.
6. In seguito a questa dichiarazione, il richiedente fu sottoposto ad una serie di incapacità personali e patrimoniali, come la limitazione del suo diritto alla corrispondenza, dei suoi beni e della sua libertà di circolazione, conformemente all’articolo 48, 42 e 49 del decreto reale no 267 del 16 marzo 1942 (qui di seguito “la legge sul fallimento”) così come alla limitazione del suo diritto di voto.
7. In una data non precisata posteriore alla dichiarazione di fallimento, la cancelleria del tribunale inserì il nome del richiedente nel registro dei falliti, ai sensi dell’articolo 50 della legge sul fallimento. In ragione di questa iscrizione, il richiedente fu sottoposto automaticamente ad una serie di altre incapacità personali regolamentate dalla legislazione speciale (vedere Campagnano c. Italia, no 77955/01, § 54, 23 marzo 2006).
8. A differenza delle incapacità derivanti dalla dichiarazione di fallimento che si conclude con la chiusura del procedimento, le incapacità derivanti dall’iscrizione del nome del fallito nel registro cessano solamente una volta ottenuto l’annullamento di questa iscrizione.
9. Questo annullamento ha luogo con la riabilitazione civile che, al di là delle ipotesi di pagamento integrale dei crediti e di esecuzione regolare del concordato di fallimento, può essere chiesta solo dal fallito che ha fatto prova di una “buona condotta effettiva e consolidata” per almeno cinque anni a contare dalla chiusura del procedimento (articolo 143 della legge sul fallimento).
10. Tra il 1992 e il 1997, il giudice del fallimento trattò parecchie richieste di ammissione al passivo del fallimento di cui certe erano tardive.
11. Tra il 2000 e il 2004, ebbe luogo la vendita di certi beni facenti parte dell’attivo del fallimento.
12. Con una decisione depositata il 3 febbraio 2005, il tribunale chiuse il procedimento per insufficienza dell’attivo del fallimento.
2. Il procedimento per revoca
13. Il 30 novembre 1995, il curatore iniziò nel frattempo, un’azione per revoca contro la banca B.C.P. riguardante il trasferimento di una somma di denaro effettuato dal richiedente a favore di questa banca. Questo procedimento si concluse l’ 11 aprile 2003 in seguito ad un ordinamento amichevole.
3. Il procedimento introdotto conformemente alla legge Pinto
14. Il 13 ottobre 2003, il richiedente investì la corte di appello di Messina, conformemente alla legge Pinto, lamentandosi della violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione in ragione della durata del procedimento di fallimento, tenuto conto anche delle incapacità derivanti dal suo collocamento in fallimento. Chiese di ottenere 5 000 euro (EUR) a titolo di risarcimento morale, più gli interessi e gli oneri di giustizia.
15. Il 12 febbraio 2004, il richiedente depositò un esposto complementare in cui si lamentò, tra l’altro , della durata del procedimento per revoca.
16. Con una decisione depositata il 20 luglio 2004 e notificata al ministero della Giustizia il 3 agosto 2004, la corte di appello concluse alla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, tenuto conto anche “delle importanti conseguenze della dichiarazione di fallimento sul piano morale per il richiedente” ed accordò 5 000 EUR a questo ultimo a titolo di risarcimento mrale, più gli interessi e gli oneri di giustizia. Questa decisione acquisì forza di cosa giudicata sessanta giorni dopo la sua notificazione, cioè il 2 ottobre 2004.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
17. Il diritto interno pertinente è descritto nelle sentenze Campagnano c. Italia (no 77955/01, §§ 19-22, 23 marzo 2006), Albanese c. Italia, (no 77924/01, §§ 23-26, 23 marzo 2006) e Vitiello c. Italia (no 77962/01, §§ 17-20, 23 marzo 2006,).
IN DIRITTO
18. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta della durata del procedimento di fallimento e di quello per revoca. Il Governo si oppone a questa tesi.
19. La Corte nota che il richiedente avrebbe potuto ricorrere efficacemente in cassazione conformemente alla “legge Pinto” (Di Sante c. Italia, no 56079/00, decisione del 24 giugno 2004). Stima pertanto che questa parte della richiesta deve essere respinta per non-esaurimento delle vie di ricorso interne, ai sensi dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
20. Invocando gli articoli 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, 2 del Protocollo no 4 alla Convenzione e 8 della Convenzione, il richiedente si lamenta rispettivamente della limitazione del suo diritto al rispetto dei beni, della sua libertà di circolazione e del suo diritto al rispetto della corrispondenza, in particolare in ragione della durata del procedimento.
21. Il Governo si oppone a questi argomenti.
22. La Corte considera che il richiedente avrebbe potuto ricorrere efficacemente in cassazione conformemente alla “legge Pinto” (vedere Sgattoni c. Italia, no 7131/01, sentenza del 15 settembre 2005, § 48). Constata dunque che anche questa parte della richiesta è inammissibile per non-esaurimento delle vie di ricorso interni e deve essere respinta conformemente all’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione (vedere, tra molte altre, Albanese c. Italia, precitata, §§ 38 e 39, Collarile c. Italia, precitata, § 20 e Falzarano e Balletta c. Italia, no 6683/03, § 31, 12 giugno 2007).
23. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, sotto l’angolo del diritto al rispetto della vita privata e familiare, il richiedente si lamenta poi delle incapacità derivanti dall’iscrizione del suo nome nel registro dei falliti e per il fatto che, secondo l’articolo 143 della legge sul fallimento, la riabilitazione che mette fine a queste incapacità, può essere chiesta solo cinque anni dopo la chiusura del procedimento. Il richiedente denuncia anche la violazione del suo “diritto al lavoro.”
24. Il Governo contesta queste affermazioni.
25. In quanto alla parte di questo motivo di appello riguardante il diritto al rispetto della vita familiare e il “diritto al lavoro”, la Corte nota che il richiedente ha omesso di supportarla e la respinge per difetto manifesto di fondamento secondo l’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
26. In quanto al restante del motivo di appello riguardante il diritto al rispetto della vita privata, la Corte constata che questo non incontra nessuno dei motivi di inammissibilità iscritti all’articolo 35 § 4 della Convenzione. Conviene dunque dichiaralo ammissibile.
27. Per ciò che riguarda il merito, la Corte constata di avere già trattato di cause che sollevavano delle questioni simili a quelle del caso di specifico e ha constatato la violazione dell’articolo 8 della Convenzione, dato che tale ingerenza non era “necessaria in una società democratica” ai sensi dell’articolo 8 § 2 della Convenzione (vedere, tra molte altre, Campagnano c. Italia, precitata, §§ 50-66, Albanese c. Italia, precitata, §§ 50-66 e Vitiello c. Italia, precitata, §§ 44-62).
28. La Corte ha esaminato la presente causa e ha considerato che il Governo non ha fornito nessuno fatto né argomento convincente da poter condurre ad una conclusione differente. La Corte stima dunque che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
29. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, sotto l’angolo del diritto di accesso ad un tribunale, e l’articolo 13 della Convenzione, il richiedente denuncia la mancanza di un ricorso effettivo per lamentarsi della durata del procedimento di fallimento e di quello per revoca così come del prolungamento delle incapacità derivanti dal suo collocamento in fallimento.
30. Il Governo contesta queste affermazioni.
31. La Corte nota al primo colpo che questo motivo di appello deve essere analizzato unicamente sotto l’angolo dell’articolo 13 della Convenzione (vedere Bottaro c. Italia, no 56298/00, del 17 luglio 2003).
32. Poi, in quanto alla parte del motivo di appello legata a quelli concernente la limitazione prolungata del diritto al rispetto dei beni (articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione) della corrispondenza (articolo 8 della Convenzione) e della libertà di circolazione del richiedente (articolo 2 del Protocollo no 4 alla Convenzione) la Corte ricorda di avere concluso sopra all’inammissibilità di questi motivi di appello. Stima dunque che, non trattandosi di motivi di appello “difendibili” allo sguardo della Convenzione, questa parte del motivo di appello derivata dall’articolo 13 deve essere respinta come manifestamente mal fondata secondo l’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
33. In quanto alla parte del motivo di appello riguardante la mancanza di un ricorso effettivo per lamentarsi delle incapacità personali derivanti dell’iscrizione del nome del fallito nel registro dei falliti e che perdurano fino all’ottenimento della riabilitazione civile, la Corte constata che questo motivo di appello non incontra nessuno dei motivi di inammissibilità iscritti all’articolo 35 § 4 della Convenzione. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
34. Per ciò che riguarda il merito, la Corte rileva di avere già trattato cause che sollevavano delle questioni simili a quelle del caso specifico e di aver constatato la violazione dell’articolo 13 della Convenzione (vedere, tra molte altre, Bottaro c. Italia, precitata, §§ 41-46 e Campagnano c. Italia, precitata, §§ 67-77) La Corte ha esaminato la presente causa e ha considerato che il Governo non ha fornito nessuno fatto né argomento convincente da poter condurre ad una conclusione differente. Pertanto, la Corte conclude che c’è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione.
35. Senza invocare nessuno articolo della Convenzione, il richiedente si lamenta infine della limitazione del suo diritto di voto in seguito al suo collocamento in fallimento. Il Governo si oppone a questa tesi.
36. La Corte considera al primo colpo che questo motivo di appello deve essere analizzato sotto l’angolo dell’articolo 3 del Protocollo no 1 alla Convenzione. Nota poi che la perdita del diritto di voto seguito al collocamento in fallimento non può superare cinque anni a partire dalla data del giudizio che dichiara il fallimento. Ora, nel caso specifico, essendo stato depositato questo giudizio l’ 11 ottobre 1991, il richiedente avrebbe dovuto introdurre al più tardi il suo motivo di appello l’ 11 aprile 1997, tenuto anche conto del termine dei sei mesi previsto dall’articolo 35 § 1 della Convenzione. Essendo stata introdotta la richiesta il 23 luglio 2004, la Corte constata che questa è stata introdotto tardivamente e deve essere respinta conformemente all’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
37. Infine, per ciò che riguarda l’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione, il richiedente richiede 25 000 euro (EUR) a titolo di risarcimento morale e 12 180,68 EUR a titolo di risarcimento materiale. Il richiedente chiede anche 1 509,86 EUR per gli oneri e le spese sostenuti dinnanzi alle istanze interne così come 3 506,25 per quelli impegnati dinnanzi alla Corte, più la tassa sul valore aggiunto ed il contributo per la cassa degli avvocati (C.P.A).
38. Il Governo si oppone a queste pretese.
39. Non vedendo alcun legame di causalità tra le violazioni constatate ed il danno materiale addotto, la Corte respinge la prima domanda. In quanto al danno morale, stima che, avuto riguardo all’insieme delle circostanze della causa, le constatazioni di violazione che figurano nella presente sentenza forniscono si per sé una soddisfazione equa sufficiente.
40. In quanto agli oneri e alle spese, secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei suddetti criteri la Corte respinge la domanda relativa agli oneri e spese del procedimento nazionale, stima ragionevole la somma di 2 000 EUR in quanto al procedimento dinnanzi alla Corte e l’accorda al richiedente. Questa somma deve essere abbinata ad interessi moratori ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello derivati dagli articoli 8 della Convenzione (per ciò che riguarda il diritto al rispetto della vita privata) e 13 della Convenzione (in quanto alla mancanza di un ricorso per lamentarsi delle incapacità personali derivanti dall’iscrizione del nome del fallito nel registro dei falliti) ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione;
4. Stabilisce che le constatazioni di violazione che figurano nella presente sentenza forniscono di per sé una soddisfazione equa sufficiente per il danno morale;
5. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 2 000 EUR (duemila euro) per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
6. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 9 giugno 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa