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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE DI IESO c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 10347/02/2007
Stato: Italia
Data: 2007-07-03 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

SECONDA SEZIONE
CAUSA DI IESO C. ITALIA
( Richiesta no 10347/02)
SENTENZA
STRASBURGO
3 luglio 2007
DEFINITIVO
03/10/2007
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Di Ieso c. Italia,
La Corte europea dei Diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
La Sig.ra F. Tulkens, presidentessa, Sigg. A.B. Baka, I. Cabral Barreto, R. Türmen, V. Zagrebelsky, il Sig.re A. Mularoni, D. Jočienė, giudici,
e dalla Sig.ra S. Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 12 maggio 2007,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 10347/02) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. G. D. I. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 28 febbraio 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, il Sig. Ivo Maria Braguglia, dal suo coagente, il Sig. Francesco Crisafulli, e dal suo coagente aggiunto il Sig. Nicola Lettieri.
3. Il 3 gennaio 2005, la Corte ha deciso di comunicare i motivi di appello derivati dagli articoli 8 della Convenzione al Governo, in quanto al diritto del richiedente al rispetto della sua corrispondenza, 6 § 1 della Convenzione, e 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione. Il 10 aprile 2006, la Corte ha deciso di comunicare anche al Governo il motivo di appello del richiedente derivato dall’articolo 8 della Convenzione, in quanto al suo diritto al rispetto della sua vita privata. Questo motivo di appello era stato introdotto il 16 dicembre 2004. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3, ha deciso che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1936 e risiede a Santa Maria Capua Vetere (Caserta).
5. Con un giudizio del 6 marzo 1979, il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, qui di seguito “il tribunale”) pronunciò il fallimento personale del richiedente, che esercitava un’attività di commercio di macchine da scrivere.
6. Ad una data non precisata, il Sig. N.F. venne nominato curatore del fallimento.
7. Tra il 14 marzo 1979 ed l’ 11 dicembre 1979, furono depositate dinnanzi al tribunale ventotto domande di ammissione al passivo del fallimento e, il 12 dicembre 1979, lo stato del passivo fu dichiarato esecutivo.
8. Tra il 20 novembre 1980 ed il 27 ottobre 1981, furono depositate tre domande tardive di ammissione al passivo.
9. Il 22 marzo 1979, il richiedente fece nel frattempo, opposizione al giudizio che dichiarava il suo fallimento. Sostenne che lo stato di insolvenza era inesistente perché i crediti richiesti dai richiedenti del suo fallimento, ossia dei prestiti che aveva firmato a loro favore erano solamente degli assegni.
10. Con un giudizio depositato il 29 aprile 1981, il tribunale respinse questa domanda che rilevava, tra l’altro, che il richiedente aveva omesso di fornire delle prove in appoggio.
11. Avendo interposto appello il richiedente dinnanzi alla corte di appello di Napoli, con una sentenza depositata il 6 febbraio 1982, la corte di appello reiterò le considerazioni del tribunale di prima istanza e respinse l’istanza del richiedente.
12. Risulta dalla pratica che, in date non precisate, i creditori ammessi al passivo del fallimento abbiano rinunciato ai loro crediti o li abbiano ceduti al Sig. F.S, così che questo ultimo diventò il solo creditore del fallimento.
13. Con una decisione dell’ 11 febbraio 1982, il giudice delegato (qui di seguito “il giudice”) autorizzò la vendita di certi beni mobili facenti parte dell’attivo del fallimento e, il 25 marzo 1982, un appartamento facente parte dell’attivo fu venduto alla Sig.ra A. D.G, moglie del Sig. F.S.
14. Con una decisione del 3 marzo 1984, il giudice autorizzò la vendita di certi beni mobili facenti parte dell’attivo al Sig. F.S. e, in date non precisate, autorizzò il pagamento di un acconto a favore di questo ultimo.
15. All’udienza del 3 aprile 1984, il giudice approvò il resoconto di gestione ed ordinò il pagamento di un altro acconto a favore del Sig. F.S.
16. Il 3 giugno 1986, il procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinò l’arresto del Sig. N.F, imputato di truffa (concussione), violazione dei doveri inerenti alla custodia di cose sottomesse a sequestro ed omissione di atti inerenti all’esercizio delle sue funzioni. Il 30 marzo 1987, il Sig. N.F. venne rinviato a giudizio.
17. Nel frattempo, con un’ordinanza del 15 luglio 1986, il giudice revocò il mandato del Sig. N.F. e nominò curatore del fallimento il Sig. G.A.
18. Tra il 1 marzo 1991 ed il 20 novembre 1991, il presidente del tribunale intimò a tre riprese al nuovo curatore di adempiere i suoi obblighi. Per lo stesso motivo, il giudice adottò tre ordinanze nel corso dell’anno 1992 ed una quarto il 13 maggio 1997.
19. Il 1 luglio 1998, su richiesta del giudice, il Sig. G.A. venne a sua volta revocato dalle sue funzioni in ragione dell’inadempimento dei suoi obblighi e la Sig.ra I. D.R. venne nominata curatore al suo posto.
20. Tra il 23 ottobre 1998 ed il 10 giugno 1999, il nuovo curatore depositò cinque rapporti. Ad una data non precisata, iniziò, tra l’altro, un’azione per responsabilità contro il Sig. G.A. in ragione dei danni derivanti dalla sua cattiva gestione del fallimento.
21. Il 30 settembre 1999, il giudice depositò un rapporto che indicava che “il comportamento del Sig. G.A, esercitando la sua funzione per dodici anni, tra il 1986 e il 1998, aveva contribuito in modo determinante alle anomalie del procedimento.” Osservò che l’attivo del fallimento era stato distribuito direttamente dal curatore, o dietro compenso, al Sig. F.S, in mancanza di un qualsiasi piano di ripartizione parziale o finale così come delle deduzioni previste dall’articolo 111 della legge sul fallimento (come, per esempio, il pagamento delle spese e delle imposte inerenti alla gestione del fallimento). Il giudice indicò anche che il procedimento per responsabilità iniziato contro il Sig. G.A. era solo un ostacolo alla chiusura del procedimento. Peraltro, sottolineò che il richiedente non aveva contribuito col suo comportamento alla lunghezza del procedimento e che quest’ultimo era stato essenzialmente prolungato dalla presenza dominante del Sig. F.S. .”
22. Su richiesta del curatore del 28 gennaio 2002, il 21 maggio 2002, il tribunale chiuse il procedimento per insufficienza dell’attivo del fallimento. Il 30 maggio 2002, questa decisione fu affissa al tribunale.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
23. Il diritto interno pertinente è descritto nelle sentenze Campagnano c. Italia (no 77955/01, §§ 19-22, 2 marzo 2006), Albanese c. Italia, (no 77924/01, §§ 23-26, 2 marzo 2006) e Vitiello c. Italia (no 77962/01, §§ 17-20, 2 marzo 2006,).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 8 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO AL DIRITTO AL RISPETTO DELLA CORRISPONDENZA, 6 § 1 DELLA CONVENZIONE, E 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 L LA CONVENZIONE
24. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, il richiedente si lamenta della limitazione del diritto al rispetto della sua corrispondenza, in particolare in ragione della durata del procedimento. Adduce anche che, per tutto il procedimento di fallimento, non “ha potuto ricostituire la sua società”, “occupare delle posizioni di responsabilità”, rimanere in giudizio, aprire un conto corrente né “essere titolare di un contratto di locazione di un appartamento per evitare la violazione di domicilio da parte degli organi del fallimento”.
25. La Corte stima al primo colpo che il motivo di appello che riguardante l’impossibilità per il richiedente di rimanere in giudizio deve essere analizzato sotto l’angolo dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, in quanto al diritto ad un tribunale. Per ciò che riguarda l’impossibilità per il richiedente di aprire un conto corrente, la Corte considera che questa limitazione deriva dall’impossibilità del fallito di disporre dei suoi beni e stima che questo motivo di appello deve essere analizzato sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Questi articoli sono formulati così nelle loro parti pertinenti:
Articolo 8 della Convenzione
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e della sua corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla protezione dei diritti e libertà altrui. “
Articolo 6 § 1 della Convenzione
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
Articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Sull’ammissibilità
26. Il Governo fa valere che il richiedente avrebbe dovuto esaurire il rimedio previsto dalla legge Pinto per lamentarsi della durata delle incapacità derivanti dal suo collocamento in fallimento.
27. La Corte constata al primo colpo che i motivi di appello riguardanti l’impossibilità di “ricostituire la sua società”, “occupare delle posizioni di responsabilità” e di “essere titolare di un contratto di locazione di un appartamento per evitare la violazione di domicilio da parte degli organi del fallimento” non sono stati supportati e stima che questa parte della richiesta deve essere respinta per difetto manifesto di fondamento secondo l’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
28. Per ciò che riguarda i motivi di appello che riguardano il prolungamento della limitazione del diritto del richiedente al rispetto della sua corrispondenza, del suo diritto di rimanere in giudizio e del diritto al rispetto dei suoi beni, la Corte rileva da prima che, nella sua sentenza no 362 del 2003, depositata il 14 gennaio 2003, la Corte di cassazione ha per la prima volta riconosciuto che il risarcimento morale relativo alla durata dei procedimenti di fallimento deve tenere conto, tra l’altro, del prolungamento delle incapacità derivanti dallo statuto di fallito.
29. Ricorda di avere considerato poi che, a partire dal 14 luglio 2003, la sentenza no 362 del 2003 non può più essere ignorata dal pubblico e che è a contare da questa data che deve essere richiesto dai richiedenti che utilizzino questo ricorso ai fini dell’articolo 35 § 1 della Convenzione (vedere Sgattoni c. Italia, no 77132/01, § 48, 6 ottobre 2005).
30. La Corte rileva che la decisione di chiudere il procedimento di fallimento è diventata definitiva il 14 giugno 2002, cioè quindici giorni dopo la sua affissione al tribunale, conformemente all’articolo 119 della legge sul fallimento. Il richiedente avrebbe potuto introdurre un ricorso fondato sulla legge Pinto al più tardi sei mesi dopo, cioè il 14 dicembre 2002.
31. Tenuto conto delle considerazioni che precedono, la Corte osserva che, in questa data, il richiedente non si sarebbe potuto lamentare efficacemente delle incapacità derivanti dal collocamento in fallimento, in particolare in ragione della durata del procedimento.
32. Pertanto, la Corte respinge l’obiezione sollevata dal Governo. Rileva peraltro che questa parte della richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
33. Il Governo osserva che il richiedente non ha tenuto le scritture contabili in modo regolare e completo, contribuendo così alla lunghezza del procedimento.
34. In quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1, fa valere che la limitazione del diritto del richiedente al rispetto dei suoi beni è durata solamente tre anni poiché i beni facenti parte dell’attivo del fallimento sono stati venduti al più tardi nel 1982. Questo motivo di appello dovrebbe essere dichiarato inammissibile dunque. Peraltro, il motivo di appello tratto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, legato a quello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, dovrebbe essere dichiarato anche inammissibile perché la limitazione del diritto di rimanere in giudizio riguarda solamente le dispute che riguardano degli interessi di natura patrimoniale.
35. Il richiedente nota che i beni facenti parte della massa attiva sono stati venduti direttamente al Sig. F.S. senza che nessuna asta pubblica abbia avuto luogo. Fa valere anche che, in seguito alla sua dichiarazione di fallimento, è stato privato di ogni mezzo di sussistenza.
36. Per ciò che riguarda il motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, la Corte osserva al primo colpo che l’indisponibilità e l’impossibilità di amministrare i beni da parte della persona dichiarata in fallimento perdurano fino alla chiusura del procedimento e non fino alla liquidazione della massa attiva.
37. La Corte rileva poi che il procedimento di fallimento è cominciato il 6 marzo 1979 e si è concluso il 14 giugno 2002. È durato dunque più di ventitre anni e tre mesi.
38. La Corte osserva che ha trattato già delle cause simili a quella del caso specifico e ha constatato la violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, e degli articoli 8 e 6 § 1 della Convenzione (vedere Luordo c. Italia, no 32190/96, CEDH 2003-IX).
39. Dopo avere esaminato tutti gli elementi che gli sono stati sottoposti, la Corte considera che il Governo non ha esposto nessuno fatto né argomento convincente da poter condurre a conclusioni differenti nel caso presente: la lunghezza del procedimento in questione ha provocato la rottura dell’equilibrio da predisporre tra gli interessi generali del pagamento dei creditori del fallimento e l’interesse del richiedente legato al rispetto della sua corrispondenza, alla sua capacità di rimanere in giudizio per la difesa degli interessi patrimoniali e del suo diritto al rispetto dei beni (vedere, mutatis mutandis, Luordo c. Italia, no 32190/96, CEDH 2003-IX, Gasser c. Italia, no 10481/02, 21 settembre 2006 e Matteoni c. Italia, no 42053/02, 8 giugno 2006).
40. Pertanto, c’è stata violazione di queste disposizioni.
II. SU LA VIOLAZIONE ADDOTTA DI L’ARTICOLO 8 DI LA CONVENZIONE, IN QUANTO AL DIRITTO AL RISPETTO DI LA VITA PRIVATA
41. Il richiedente, si lamenta che “le incapacità derivanti dal collocamento in fallimento” perdurano fino all’ottenimento della sua riabilitazione civile che può essere chiesta solo cinque anni dopo la chiusura del procedimento. Si lamenta inoltre di “tutte le restrizioni e le mortificazioni derivanti dal suo collocamento in fallimento.” La Corte stima che questo motivo di appello deve essere analizzato sotto l’angolo del diritto al rispetto della vita privata del richiedente, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, precitato.
A. Sull’ammissibilità
42. La Corte constata che il motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che questo non incontra nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
43. La Corte stima che, tenuto conto della natura automatica dell’iscrizione del nome del richiedente nel registro dei falliti, della mancanza di una valutazione e di un controllo giurisdizionale sull’applicazione delle incapacità ivi relative così come del lasso di tempo previsto per l’ottenimento della riabilitazione, c’è stata ingerenza nel diritto del richiedente al rispetto della sua vita privata.
44. La Corte ha trattato già cause che sollevavano delle questioni simili a quelle del caso specifico e ha constatato la violazione dell’articolo 8 della Convenzione, dato che tale ingerenza non era “necessaria in una società democratica” ai sensi dell’articolo 8 § 2 della Convenzione (vedere, tra molte altre, Campagnano c. Italia, precitata, §§ 50-66, Albanese c. Italia, precitata, §§ 50-66 e Vitiello c. Italia, precitata, §§ 44-62).
45. La Corte ha esaminato la presente causa e ha considerato che il Governo non ha fornito nessun fatto né argomento convincente da poter condurre ad una conclusione differente nel caso presente. Stima dunque che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
46. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
47. Il richiedente richiede 1 500 000 euro (EUR) a titolo del danno materiale che avrebbe subito e 2 500 000 EUR a titolo del danno morale.
48. Il Governo si oppone a queste pretese.
49. La Corte non vede legame di causalità tra la violazione constatata ed il danno materiale addotto e respinge questa richiesta. In compenso, considera che c’è luogo di concedere al richiedente 49 000 EUR a titolo del danno morale.
B. Oneri e spese
50. Il richiedente chiede anche 3 500 EUR per gli oneri e le spese incorse dinnanzi alla Corte senza presentare tuttavia dei documenti in appoggio.
51. Il Governo si oppone a queste pretese.
52. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei criteri suddetti, la Corte rileva che il richiedente non ha fornito dei documenti a sostegno della sua richiesta e respinge questa ultima.
C. Interessi moratori
53. La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello derivati dall’articolo 8 della Convenzione (il diritto al rispetto della vita privata e della corrispondenza) dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo no 1, ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
4. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione;
5. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 49 000 EUR (quarantanovemila euro) per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
6. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, comunicato poi per iscritto il 3 luglio 2007 in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
S. Dollé F. Tulkens
Cancelliera Presidentessa

Testo Tradotto

DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE DI IESO c. ITALIE
(Requête no 10347/02)
ARRÊT
STRASBOURG
3 juillet 2007
DÉFINITIF
03/10/2007
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Di Ieso c. Italie,
La Cour européenne des Droits de l’Homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Mme F. Tulkens, présidente,
MM. A.B. Baka,
I. Cabral Barreto,
R. Türmen,
V. Zagrebelsky,
Mmes A. Mularoni,
D. Jočienė, juges,
et de Mme S. Dollé, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 12 mai 2007,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 10347/02) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet Etat, M. G. D. I. (« le requérant »), a saisi la Cour le 28 février 2002 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des Droits de l’Homme et des Libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, M. Ivo Maria Braguglia, par son coagent, M. Francesco Crisafulli, et par son coagent adjoint, M. Nicola Lettieri.
3. Le 3 janvier 2005, la Cour a décidé de communiquer au Gouvernement les griefs tirés des articles 8 de la Convention, quant au droit du requérant au respect de sa correspondance, 6 § 1 de la Convention, et 1 du Protocole no 1 à la Convention. Le 10 avril 2006, la Cour a décidé de communiquer aussi au Gouvernement le grief du requérant tiré de l’article 8 de la Convention, quant à son droit au respect de sa vie privée. Ce grief avait été introduit le 16 décembre 2004. Se prévalant des dispositions de l’article 29 § 3, elle a décidé que seraient examinés en même temps la recevabilité et le bien-fondé de l’affaire.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
4. Le requérant est né en 1936 et réside à Santa Maria Capua Vetere (Caserte).
5. Par un jugement du 6 mars 1979, le tribunal de Santa Maria Capua Vetere (ci-après « le tribunal ») prononça la faillite personnelle du requérant, exerçant une activité de commerce de machines à écrire.
6. A une date non précisée, M. N.F. fut nommé syndic de la faillite.
7. Entre le 14 mars 1979 et le 11 décembre 1979, vingt-huit demandes d’admission au passif de la faillite furent déposées devant le tribunal et, le 12 décembre 1979, l’état du passif fut déclaré exécutoire.
8. Entre le 20 novembre 1980 et le 27 octobre 1981, trois demandes tardives d’admission au passif furent déposées.
9. Entre–temps, le 22 mars 1979, le requérant fit opposition au jugement déclarant sa faillite. Il soutint que l’état d’insolvabilité était inexistant car les créances réclamées par les demandeurs de sa faillite (à savoir, des chèques) n’étaient que des prêts qu’il avait signés en leur faveur.
10. Par un jugement déposé le 29 avril 1981, le tribunal rejeta cette demande relevant, entre autres, que le requérant avait omis de fournir des preuves à l’appui.
11. Le requérant ayant interjeté appel devant la cour d’appel de Naples, par un arrêt déposé le 6 février 1982, la cour d’appel réitéra les considérations du tribunal de première instance et rejeta la demande du requérant.
12. Il ressort du dossier que, à des dates non précisées, les créanciers admis au passif de la faillite aient renoncé à leurs créances ou les aient cédées à M. F.S., de sorte que ce dernier devint le seul créancier de la faillite.
13. Par une décision du 11 février 1982, le juge délégué (ci après « le juge ») autorisa la vente de certains biens meubles faisant partie de l’actif de la faillite et, le 25 mars 1982, un appartement faisant partie de l’actif fut vendu à Mme A. D.G., épouse de M. F.S.
14. Par une décision du 3 mars 1984, le juge autorisa la vente de certains biens meubles faisant partie de l’actif à M. F.S. et, à dates non précisées, il autorisa le paiement d’un acompte en faveur de ce dernier.
15. A l’audience du 3 avril 1984, le juge approuva le compte-rendu de gestion et ordonna le paiement d’un autre acompte en faveur de M. F.S.
16. Le 3 juin 1986, le procureur de la République près le tribunal ordonna l’arrestation de M. N.F., accusé d’escroquerie (concussione), violation des devoirs inhérents à la garde de choses soumises à saisie et omission d’actes inhérents à l’exercice de ses fonctions. Le 30 mars 1987, M. N.F. fut renvoyé en jugement.
17. Entre-temps, par une ordonnance du 15 juillet 1986, le juge révoqua le mandat de M. N.F. et nomma syndic de la faillite M. G.A.
18. Entre le 1er mars 1991 et le 20 novembre 1991, le président du tribunal somma à trois reprises le nouveau syndic d’exécuter ses obligations. Pour le même motif, le juge adopta trois ordonnances au courant de l’année 1992 et une quatrième le 13 mai 1997.
19. Le 1er juillet 1998, à la demande du juge, M. G.A. fut à son tour révoqué de ses fonctions en raison du non-accomplissement de ses obligations et Mme I. D.R. fut nommée syndic à sa place.
20. Entre le 23 octobre 1998 et le 10 juin 1999, le nouveau syndic déposa cinq rapports. A une date non précisée, il entama, entre autres, une action en responsabilité à l’encontre de M. G.A. en raison des dommages dérivant de sa mauvaise gestion de la faillite.
21. Le 30 septembre 1999, le juge déposa un rapport indiquant que « le comportement de M. G.A., exerçant ses fonction pendant douze ans (entre 1986 et 1998) avait contribué de façon déterminante aux anomalies de la procédure ». Il observa que l’actif de la faillite avait été distribué par le syndic directement, ou derrière compensation, à M. F.S., en l’absence de tout plan de répartition partielle ou finale ainsi que des déductions prévues par l’article 111 de la loi sur la faillite (telles que, par exemple, le paiement des dépens et des impôts inhérent à la gestion de la faillite). Le juge indiqua également que la procédure en responsabilité entamée à l’encontre de M. G.A. faisait seule obstacle à la clôture de la procédure. Par ailleurs, il souligna que le requérant n’avait pas contribué avec son comportement à la longueur de la procédure et que cette dernière « avait été entraînée essentiellement par la présence dominante de M. F.S. ».
22. A la demande du syndic du 28 janvier 2002, le 21 mai 2002, le tribunal clôtura la procédure pour insuffisance de l’actif de la faillite. Le 30 mai 2002, cette décision fut affichée au tribunal.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
23. Le droit interne pertinent est décrit dans les arrêts Campagnano c. Italie (no 77955/01, §§ 19-22, 2 mars 2006), Albanese c. Italie (no 77924/01, §§ 23-26, 2 mars 2006) et Vitiello c. Italie (no 77962/01, §§ 17-20, 2 mars 2006).
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DES ARTICLES 8 DE LA CONVENTION, QUANT AU DROIT AU RESPECT DE LA CORRESPONDANCE, 6 § 1 DE LA CONVENTION, ET 1 DU PROTOCOLE No 1 À LA CONVENTION
24. Invoquant l’article 8 de la Convention, le requérant se plaint de la limitation du droit au respect de sa correspondance, notamment en raison de la durée de la procédure. Il allègue également que, tout au long de la procédure de faillite, il n’a pas pu « reconstituer sa société », « occuper des postes de responsabilité », ester en justice, ouvrir un compte courant ni « être titulaire d’un contrat de location d’un appartement afin d’éviter la violation de domicile par les organes de la faillite ».
25. La Cour estime d’emblée que le grief portant sur l’impossibilité pour le requérant d’ester en justice doit être analysé sous l’angle de l’article 6 § 1 de la Convention, quant au droit à un tribunal. En ce qui concerne l’impossibilité pour le requérant d’ouvrir un compte courant, la Cour considère que cette limitation dérive de l’impossibilité du failli de disposer de ses biens et estime que ce grief doit être analysé sous l’angle de l’article 1 du Protocole no 1. Ces articles sont ainsi libellés dans leurs parties pertinentes :
Article 8 de la Convention
« 1. Toute personne a droit au respect de sa vie privée (…) et de sa correspondance.
2. Il ne peut y avoir ingérence d’une autorité publique dans l’exercice de ce droit que pour autant que cette ingérence est prévue par la loi et qu’elle constitue une mesure qui, dans une société démocratique, est nécessaire (…) à la protection des droits et libertés d’autrui. »
Article 6 § 1 de la Convention
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement (…) par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…) »
Article 1 du Protocole no 1 à la Convention
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
A. Sur la recevabilité
26. Le Gouvernement fait valoir que le requérant aurait dû épuiser le remède prévu par la loi Pinto pour se plaindre de la durée des incapacités dérivant de sa mise en faillite.
27. La Cour constate d’emblée que les griefs portant sur l’impossibilité de « reconstituer sa société », « occuper des postes de responsabilité » et « être titulaire d’un contrat de location d’un appartement afin d’éviter la violation de domicile par les organes de la faillite » n’ont pas été étayés et estime que cette partie de la requête doit être rejetée pour défaut manifeste de fondement selon l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
28. En ce qui concerne les griefs portant sur le prolongement de la limitation du droit du requérant au respect de sa correspondance, de son droit d’ester en justice et du droit au respect de ses biens, la Cour relève d’abord que, dans son arrêt no 362 de 2003, déposé le 14 janvier 2003, la Cour de cassation a pour la première fois reconnu que le dédommagement moral relatif à la durée des procédures de faillite doit tenir compte, entre autres, de la prolongation des incapacités dérivant du statut de failli.
29. Elle rappelle ensuite avoir retenu que, à partir du 14 juillet 2003, l’arrêt no 362 de 2003 ne peut plus être ignoré du public et que c’est à compter de cette date qu’il doit être exigé des requérants qu’ils usent de ce recours aux fins de l’article 35 § 1 de la Convention (voir Sgattoni c. Italie, no 77132/01, § 48, 6 octobre 2005).
30. La Cour relève que la décision de clore la procédure de faillite est devenue définitive le 14 juin 2002, c’est-à-dire quinze jours après son affichage au tribunal, conformément à l’article 119 de la loi sur la faillite. Le requérant aurait pu introduire un recours fondé sur la loi Pinto au plus tard six mois après, c’est-à-dire le 14 décembre 2002.
31. Compte tenu des considérations qui précèdent, la Cour observe que, à cette date, le requérant n’aurait pas pu se plaindre efficacement des incapacités découlant de la mise en faillite, notamment en raison de la durée de la procédure.
32. Partant, la Cour rejette l’objection soulevée par le Gouvernement. Elle relève par ailleurs que cette partie de la requête n’est pas manifestement mal fondée au sens de l’article 35 § 3 de la Convention et ne se heurtent à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de la déclarer recevable.
B. Sur le fond
33. Le Gouvernement observe que le requérant n’a pas tenu les écritures comptables de façon régulière et complète, ainsi contribuant à la longueur de la procédure.
34. Quant au grief tiré de l’article 1 du Protocole no 1, il fait valoir que la limitation du droit du requérant au respect de ses biens n’a duré que trois ans puisque les biens faisant partie de l’actif de la faillite ont été vendu au plus tard en 1982. Ce grief devrait donc être déclaré irrecevable. Par ailleurs, le grief tiré de l’article 6 § 1 de la Convention, lié à celui tiré de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention, devrait également être déclaré irrecevable car la limitation du droit d’ester en justice ne concerne que les différends portant sur des intérêts de nature patrimoniale.
35. Le requérant note que les biens faisant partie de la masse active ont été vendus directement à M. F.S. sans qu’aucune vente aux enchères ait eu lieu. Il fait aussi valoir que, suite à sa déclaration de faillite, il a été privé de tout moyen de subsistance.
36. En ce qui concerne le grief tiré de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention, la Cour observe d’emblée que l’indisponibilité et l’impossibilité d’administrer les biens de la part de la personne déclarée en faillite perdure jusqu’à la clôture de la procédure et non pas jusqu’à la liquidation de la masse active.
37. La Cour relève ensuite que la procédure de faillite a débuté le 6 mars 1979 et s’est terminée le 14 juin 2002. Elle a donc duré plus de vingt-trois ans et trois mois.
38. La Cour observe qu’elle a déjà traité des affaires semblables à celle du cas d’espèce et a constaté la violation de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention, et des articles 8 et 6 § 1 de la Convention (voir Luordo c. Italie, no 32190/96, CEDH 2003-IX).
39. Après avoir examiné tous les éléments qui lui ont été soumis, la Cour considère que le Gouvernement n’a exposé aucun fait ni argument convaincant pouvant mener à des conclusions différentes dans le cas présent : la longueur de la procédure en question a entraîné la rupture de l’équilibre à ménager entre l’intérêt général au paiement des créanciers de la faillite et l’intérêt du requérant lié au respect de sa correspondance, à sa capacité d’ester en justice pour la défense des intérêts patrimoniaux et de son droit au respect des biens (voir, mutatis mutandis, Luordo c. Italie, no 32190/96, CEDH 2003-IX, Gasser c. Italie, no 10481/02, 21 septembre 2006 et Matteoni c. Italie, no 42053/02, 8 juin 2006).
40. Partant, il y a eu violation de ces dispositions.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 8 DE LA CONVENTION, QUANT AU DROIT AU RESPECT DE LA VIE PRIVÉE
41. Le requérant, se plaint que « les incapacités dérivant de la mise en faillite » perdurent jusqu’à l’obtention de sa réhabilitation civile, laquelle ne peut être demandée que cinq ans après la clôture de la procédure. Il se plaint en outre de « toutes les restrictions et mortifications dérivant de sa mise en faillite ». La Cour estime que ce grief doit être analysé sous l’angle du droit au respect de la vie privée du requérant, au sens de l’article 8 de la Convention (précité).
A. Sur la recevabilité
42. La Cour constate que le grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. Elle relève par ailleurs que celui-ci ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
43. La Cour estime que, compte tenu de la nature automatique de l’inscription du nom du requérant dans le registre des faillis, de l’absence d’une évaluation et d’un contrôle juridictionnels sur l’application des incapacités y relatives ainsi que du laps de temps prévu pour l’obtention de la réhabilitation, il y a eu ingérence dans le droit du requérant au respect de sa vie privée.
44. La Cour a déjà traité d’affaires soulevant des questions semblables à celles du cas d’espèce et a constaté la violation de l’article 8 de la Convention, étant donné qu’une telle ingérence n’était pas « nécessaire dans une société démocratique » au sens de l’article 8 § 2 de la Convention (voir, pari beaucoup d’autres, Campagnano c. Italie, précité, §§ 50-66, Albanese c. Italie, précité, §§ 50-66 et Vitiello c. Italie, précité, §§ 44-62).
45. La Cour a examiné la présente affaire et considère que le Gouvernement n’a fourni aucun fait ni argument convaincant pouvant mener à une conclusion différente dans le cas présent. Elle estime donc qu’il y a eu violation de l’article 8 de la Convention.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
46. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
47. Le requérant réclame 1 500 000 euros (EUR) au titre du préjudice matériel qu’il aurait subi et 2 500 000 EUR au titre du préjudice moral.
48. Le Gouvernement s’oppose à ces prétentions.
49. La Cour n’aperçoit pas de lien de causalité entre la violation constatée et le dommage matériel allégué et rejette cette demande. En revanche, elle considère qu’il y a lieu d’octroyer au requérant 49 000 EUR au titre du préjudice moral.
B. Frais et dépens
50. Le requérant demande également 3 500 EUR pour les frais et dépens encourus devant la Cour sans toutefois présenter des documents à l’appui.
51. Le Gouvernement s’oppose à ces prétentions.
52. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. En l’espèce et compte tenu des éléments en sa possession et des critères susmentionnés, la Cour relève que le requérant n’a pas fourni des documents à l’appui de sa demande et rejette cette dernière.
C. Intérêts moratoires
53. La Cour juge approprié de baser le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable quant aux griefs tirés de l’article 8 de la Convention (le droit au respect de la vie privée et de la correspondance), de l’article 6 § 1 de la Convention et de l’article 1 du Protocole no 1, et irrecevable pour le surplus ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 8 de la Convention ;
3. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention ;
4. Dit qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 à la Convention ;
5. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, 49 000 EUR (quarante-neuf mille euros) pour dommage moral, plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ce montant sera à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
6. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 3 juillet 2007 en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
S. Dollé F. Tulkens
Greffière Présidente

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