SECONDA SEZIONE
CAUSA DI IESO C. ITALIA
( Richiesta no 10347/02)
SENTENZA
STRASBURGO
3 luglio 2007
DEFINITIVO
03/10/2007
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Di Ieso c. Italia,
La Corte europea dei Diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
La Sig.ra F. Tulkens, presidentessa, Sigg. A.B. Baka, I. Cabral Barreto, R. Türmen, V. Zagrebelsky, il Sig.re A. Mularoni, D. Jočienė, giudici,
e dalla Sig.ra S. Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 12 maggio 2007,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 10347/02) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. G. D. I. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 28 febbraio 2002 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, il Sig. Ivo Maria Braguglia, dal suo coagente, il Sig. Francesco Crisafulli, e dal suo coagente aggiunto il Sig. Nicola Lettieri.
3. Il 3 gennaio 2005, la Corte ha deciso di comunicare i motivi di appello derivati dagli articoli 8 della Convenzione al Governo, in quanto al diritto del richiedente al rispetto della sua corrispondenza, 6 § 1 della Convenzione, e 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione. Il 10 aprile 2006, la Corte ha deciso di comunicare anche al Governo il motivo di appello del richiedente derivato dall’articolo 8 della Convenzione, in quanto al suo diritto al rispetto della sua vita privata. Questo motivo di appello era stato introdotto il 16 dicembre 2004. Avvalendosi delle disposizioni dell’articolo 29 § 3, ha deciso che sarebbero state esaminate l’ammissibilità e la fondatezza della causa allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è nato nel 1936 e risiede a Santa Maria Capua Vetere (Caserta).
5. Con un giudizio del 6 marzo 1979, il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, qui di seguito “il tribunale”) pronunciò il fallimento personale del richiedente, che esercitava un’attività di commercio di macchine da scrivere.
6. Ad una data non precisata, il Sig. N.F. venne nominato curatore del fallimento.
7. Tra il 14 marzo 1979 ed l’ 11 dicembre 1979, furono depositate dinnanzi al tribunale ventotto domande di ammissione al passivo del fallimento e, il 12 dicembre 1979, lo stato del passivo fu dichiarato esecutivo.
8. Tra il 20 novembre 1980 ed il 27 ottobre 1981, furono depositate tre domande tardive di ammissione al passivo.
9. Il 22 marzo 1979, il richiedente fece nel frattempo, opposizione al giudizio che dichiarava il suo fallimento. Sostenne che lo stato di insolvenza era inesistente perché i crediti richiesti dai richiedenti del suo fallimento, ossia dei prestiti che aveva firmato a loro favore erano solamente degli assegni.
10. Con un giudizio depositato il 29 aprile 1981, il tribunale respinse questa domanda che rilevava, tra l’altro, che il richiedente aveva omesso di fornire delle prove in appoggio.
11. Avendo interposto appello il richiedente dinnanzi alla corte di appello di Napoli, con una sentenza depositata il 6 febbraio 1982, la corte di appello reiterò le considerazioni del tribunale di prima istanza e respinse l’istanza del richiedente.
12. Risulta dalla pratica che, in date non precisate, i creditori ammessi al passivo del fallimento abbiano rinunciato ai loro crediti o li abbiano ceduti al Sig. F.S, così che questo ultimo diventò il solo creditore del fallimento.
13. Con una decisione dell’ 11 febbraio 1982, il giudice delegato (qui di seguito “il giudice”) autorizzò la vendita di certi beni mobili facenti parte dell’attivo del fallimento e, il 25 marzo 1982, un appartamento facente parte dell’attivo fu venduto alla Sig.ra A. D.G, moglie del Sig. F.S.
14. Con una decisione del 3 marzo 1984, il giudice autorizzò la vendita di certi beni mobili facenti parte dell’attivo al Sig. F.S. e, in date non precisate, autorizzò il pagamento di un acconto a favore di questo ultimo.
15. All’udienza del 3 aprile 1984, il giudice approvò il resoconto di gestione ed ordinò il pagamento di un altro acconto a favore del Sig. F.S.
16. Il 3 giugno 1986, il procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinò l’arresto del Sig. N.F, imputato di truffa (concussione), violazione dei doveri inerenti alla custodia di cose sottomesse a sequestro ed omissione di atti inerenti all’esercizio delle sue funzioni. Il 30 marzo 1987, il Sig. N.F. venne rinviato a giudizio.
17. Nel frattempo, con un’ordinanza del 15 luglio 1986, il giudice revocò il mandato del Sig. N.F. e nominò curatore del fallimento il Sig. G.A.
18. Tra il 1 marzo 1991 ed il 20 novembre 1991, il presidente del tribunale intimò a tre riprese al nuovo curatore di adempiere i suoi obblighi. Per lo stesso motivo, il giudice adottò tre ordinanze nel corso dell’anno 1992 ed una quarto il 13 maggio 1997.
19. Il 1 luglio 1998, su richiesta del giudice, il Sig. G.A. venne a sua volta revocato dalle sue funzioni in ragione dell’inadempimento dei suoi obblighi e la Sig.ra I. D.R. venne nominata curatore al suo posto.
20. Tra il 23 ottobre 1998 ed il 10 giugno 1999, il nuovo curatore depositò cinque rapporti. Ad una data non precisata, iniziò, tra l’altro, un’azione per responsabilità contro il Sig. G.A. in ragione dei danni derivanti dalla sua cattiva gestione del fallimento.
21. Il 30 settembre 1999, il giudice depositò un rapporto che indicava che “il comportamento del Sig. G.A, esercitando la sua funzione per dodici anni, tra il 1986 e il 1998, aveva contribuito in modo determinante alle anomalie del procedimento.” Osservò che l’attivo del fallimento era stato distribuito direttamente dal curatore, o dietro compenso, al Sig. F.S, in mancanza di un qualsiasi piano di ripartizione parziale o finale così come delle deduzioni previste dall’articolo 111 della legge sul fallimento (come, per esempio, il pagamento delle spese e delle imposte inerenti alla gestione del fallimento). Il giudice indicò anche che il procedimento per responsabilità iniziato contro il Sig. G.A. era solo un ostacolo alla chiusura del procedimento. Peraltro, sottolineò che il richiedente non aveva contribuito col suo comportamento alla lunghezza del procedimento e che quest’ultimo era stato essenzialmente prolungato dalla presenza dominante del Sig. F.S. .”
22. Su richiesta del curatore del 28 gennaio 2002, il 21 maggio 2002, il tribunale chiuse il procedimento per insufficienza dell’attivo del fallimento. Il 30 maggio 2002, questa decisione fu affissa al tribunale.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
23. Il diritto interno pertinente è descritto nelle sentenze Campagnano c. Italia (no 77955/01, §§ 19-22, 2 marzo 2006), Albanese c. Italia, (no 77924/01, §§ 23-26, 2 marzo 2006) e Vitiello c. Italia (no 77962/01, §§ 17-20, 2 marzo 2006,).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 8 DELLA CONVENZIONE, IN QUANTO AL DIRITTO AL RISPETTO DELLA CORRISPONDENZA, 6 § 1 DELLA CONVENZIONE, E 1 DEL PROTOCOLLO NO 1 L LA CONVENZIONE
24. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, il richiedente si lamenta della limitazione del diritto al rispetto della sua corrispondenza, in particolare in ragione della durata del procedimento. Adduce anche che, per tutto il procedimento di fallimento, non “ha potuto ricostituire la sua società”, “occupare delle posizioni di responsabilità”, rimanere in giudizio, aprire un conto corrente né “essere titolare di un contratto di locazione di un appartamento per evitare la violazione di domicilio da parte degli organi del fallimento”.
25. La Corte stima al primo colpo che il motivo di appello che riguardante l’impossibilità per il richiedente di rimanere in giudizio deve essere analizzato sotto l’angolo dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, in quanto al diritto ad un tribunale. Per ciò che riguarda l’impossibilità per il richiedente di aprire un conto corrente, la Corte considera che questa limitazione deriva dall’impossibilità del fallito di disporre dei suoi beni e stima che questo motivo di appello deve essere analizzato sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Questi articoli sono formulati così nelle loro parti pertinenti:
Articolo 8 della Convenzione
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e della sua corrispondenza.
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla protezione dei diritti e libertà altrui. “
Articolo 6 § 1 della Convenzione
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
Articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Sull’ammissibilità
26. Il Governo fa valere che il richiedente avrebbe dovuto esaurire il rimedio previsto dalla legge Pinto per lamentarsi della durata delle incapacità derivanti dal suo collocamento in fallimento.
27. La Corte constata al primo colpo che i motivi di appello riguardanti l’impossibilità di “ricostituire la sua società”, “occupare delle posizioni di responsabilità” e di “essere titolare di un contratto di locazione di un appartamento per evitare la violazione di domicilio da parte degli organi del fallimento” non sono stati supportati e stima che questa parte della richiesta deve essere respinta per difetto manifesto di fondamento secondo l’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
28. Per ciò che riguarda i motivi di appello che riguardano il prolungamento della limitazione del diritto del richiedente al rispetto della sua corrispondenza, del suo diritto di rimanere in giudizio e del diritto al rispetto dei suoi beni, la Corte rileva da prima che, nella sua sentenza no 362 del 2003, depositata il 14 gennaio 2003, la Corte di cassazione ha per la prima volta riconosciuto che il risarcimento morale relativo alla durata dei procedimenti di fallimento deve tenere conto, tra l’altro, del prolungamento delle incapacità derivanti dallo statuto di fallito.
29. Ricorda di avere considerato poi che, a partire dal 14 luglio 2003, la sentenza no 362 del 2003 non può più essere ignorata dal pubblico e che è a contare da questa data che deve essere richiesto dai richiedenti che utilizzino questo ricorso ai fini dell’articolo 35 § 1 della Convenzione (vedere Sgattoni c. Italia, no 77132/01, § 48, 6 ottobre 2005).
30. La Corte rileva che la decisione di chiudere il procedimento di fallimento è diventata definitiva il 14 giugno 2002, cioè quindici giorni dopo la sua affissione al tribunale, conformemente all’articolo 119 della legge sul fallimento. Il richiedente avrebbe potuto introdurre un ricorso fondato sulla legge Pinto al più tardi sei mesi dopo, cioè il 14 dicembre 2002.
31. Tenuto conto delle considerazioni che precedono, la Corte osserva che, in questa data, il richiedente non si sarebbe potuto lamentare efficacemente delle incapacità derivanti dal collocamento in fallimento, in particolare in ragione della durata del procedimento.
32. Pertanto, la Corte respinge l’obiezione sollevata dal Governo. Rileva peraltro che questa parte della richiesta non è manifestamente mal fondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararla ammissibile.
B. Sul merito
33. Il Governo osserva che il richiedente non ha tenuto le scritture contabili in modo regolare e completo, contribuendo così alla lunghezza del procedimento.
34. In quanto al motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1, fa valere che la limitazione del diritto del richiedente al rispetto dei suoi beni è durata solamente tre anni poiché i beni facenti parte dell’attivo del fallimento sono stati venduti al più tardi nel 1982. Questo motivo di appello dovrebbe essere dichiarato inammissibile dunque. Peraltro, il motivo di appello tratto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, legato a quello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, dovrebbe essere dichiarato anche inammissibile perché la limitazione del diritto di rimanere in giudizio riguarda solamente le dispute che riguardano degli interessi di natura patrimoniale.
35. Il richiedente nota che i beni facenti parte della massa attiva sono stati venduti direttamente al Sig. F.S. senza che nessuna asta pubblica abbia avuto luogo. Fa valere anche che, in seguito alla sua dichiarazione di fallimento, è stato privato di ogni mezzo di sussistenza.
36. Per ciò che riguarda il motivo di appello derivato dall’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, la Corte osserva al primo colpo che l’indisponibilità e l’impossibilità di amministrare i beni da parte della persona dichiarata in fallimento perdurano fino alla chiusura del procedimento e non fino alla liquidazione della massa attiva.
37. La Corte rileva poi che il procedimento di fallimento è cominciato il 6 marzo 1979 e si è concluso il 14 giugno 2002. È durato dunque più di ventitre anni e tre mesi.
38. La Corte osserva che ha trattato già delle cause simili a quella del caso specifico e ha constatato la violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione, e degli articoli 8 e 6 § 1 della Convenzione (vedere Luordo c. Italia, no 32190/96, CEDH 2003-IX).
39. Dopo avere esaminato tutti gli elementi che gli sono stati sottoposti, la Corte considera che il Governo non ha esposto nessuno fatto né argomento convincente da poter condurre a conclusioni differenti nel caso presente: la lunghezza del procedimento in questione ha provocato la rottura dell’equilibrio da predisporre tra gli interessi generali del pagamento dei creditori del fallimento e l’interesse del richiedente legato al rispetto della sua corrispondenza, alla sua capacità di rimanere in giudizio per la difesa degli interessi patrimoniali e del suo diritto al rispetto dei beni (vedere, mutatis mutandis, Luordo c. Italia, no 32190/96, CEDH 2003-IX, Gasser c. Italia, no 10481/02, 21 settembre 2006 e Matteoni c. Italia, no 42053/02, 8 giugno 2006).
40. Pertanto, c’è stata violazione di queste disposizioni.
II. SU LA VIOLAZIONE ADDOTTA DI L’ARTICOLO 8 DI LA CONVENZIONE, IN QUANTO AL DIRITTO AL RISPETTO DI LA VITA PRIVATA
41. Il richiedente, si lamenta che “le incapacità derivanti dal collocamento in fallimento” perdurano fino all’ottenimento della sua riabilitazione civile che può essere chiesta solo cinque anni dopo la chiusura del procedimento. Si lamenta inoltre di “tutte le restrizioni e le mortificazioni derivanti dal suo collocamento in fallimento.” La Corte stima che questo motivo di appello deve essere analizzato sotto l’angolo del diritto al rispetto della vita privata del richiedente, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, precitato.
A. Sull’ammissibilità
42. La Corte constata che il motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che questo non incontra nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
43. La Corte stima che, tenuto conto della natura automatica dell’iscrizione del nome del richiedente nel registro dei falliti, della mancanza di una valutazione e di un controllo giurisdizionale sull’applicazione delle incapacità ivi relative così come del lasso di tempo previsto per l’ottenimento della riabilitazione, c’è stata ingerenza nel diritto del richiedente al rispetto della sua vita privata.
44. La Corte ha trattato già cause che sollevavano delle questioni simili a quelle del caso specifico e ha constatato la violazione dell’articolo 8 della Convenzione, dato che tale ingerenza non era “necessaria in una società democratica” ai sensi dell’articolo 8 § 2 della Convenzione (vedere, tra molte altre, Campagnano c. Italia, precitata, §§ 50-66, Albanese c. Italia, precitata, §§ 50-66 e Vitiello c. Italia, precitata, §§ 44-62).
45. La Corte ha esaminato la presente causa e ha considerato che il Governo non ha fornito nessun fatto né argomento convincente da poter condurre ad una conclusione differente nel caso presente. Stima dunque che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
46. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
47. Il richiedente richiede 1 500 000 euro (EUR) a titolo del danno materiale che avrebbe subito e 2 500 000 EUR a titolo del danno morale.
48. Il Governo si oppone a queste pretese.
49. La Corte non vede legame di causalità tra la violazione constatata ed il danno materiale addotto e respinge questa richiesta. In compenso, considera che c’è luogo di concedere al richiedente 49 000 EUR a titolo del danno morale.
B. Oneri e spese
50. Il richiedente chiede anche 3 500 EUR per gli oneri e le spese incorse dinnanzi alla Corte senza presentare tuttavia dei documenti in appoggio.
51. Il Governo si oppone a queste pretese.
52. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto degli elementi in suo possesso e dei criteri suddetti, la Corte rileva che il richiedente non ha fornito dei documenti a sostegno della sua richiesta e respinge questa ultima.
C. Interessi moratori
53. La Corte giudica appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto ai motivi di appello derivati dall’articolo 8 della Convenzione (il diritto al rispetto della vita privata e della corrispondenza) dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo no 1, ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
4. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 alla Convenzione;
5. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, 49 000 EUR (quarantanovemila euro) per danno morale, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questo importo sarà da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
6. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, comunicato poi per iscritto il 3 luglio 2007 in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
S. Dollé F. Tulkens
Cancelliera Presidentessa