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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE DI BELMONTE c. ITALIE (I)

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, P1-1
Numero: 72638/01/2010
Stato: Italia
Data: 2010-03-16 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusione Violazione di P1-1 ; Danno patrimoniale e morale – riparazione
SECONDA SEZIONE
CAUSA DI BELMONTE C. ITALIA
( Richiesta no 72638/01)
SENTENZA
STRASBURGO
16 marzo 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa di Belmonte c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, giudici,
e da Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 23 febbraio 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 72638/01) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. P. B. di B. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 2 luglio 2001 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da Me C.V. V. e C. Di A., avvocati a Bari. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo co-agente, il Sig. N. Lettieri.
3. Il richiedente adduceva che l’applicazione di una nuova legge fiscale all’indennità di espropriazione che gli era stata versata violava il suo diritto al rispetto dei suoi beni ed il suo diritto ad un processo equo.
4. Con una decisione del 30 agosto 2007, la Corte ha dichiarato la richiesta ammissibile.
5. Tanto il richiedente che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte sul merito della causa (articolo 59 § 1 dell’ordinamento).
6. Il 1 ottobre 2007, i rappresentanti del richiedente hanno informato la Corte che il loro cliente era deceduto il 27 giugno 2004 e che, ai termini del testamento pubblico del defunto, il suo erede universale unico era suo cugino, il Sig. F. B. di B.. Questo ultimo ha espresso il desiderio di continuare il procedimento dinnanzi alla Corte.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
7. Il richiedente, nato nel 1923, risiedeva prima del suo decesso ad Ispica (Ragusa).
A. L’espropriazione del terreno del richiedente ed il procedimento di determinazione dell’importo dell’indennità di espropriazione
8. Il richiedente era il proprietario di un terreno edificabile ubicato ad Ispica.
9. In una data non precisata, la municipalità di Ispica procedette all’occupazione di 51 180 metri quadrati di suddetto terreno, in vista di costruire delle abitazioni ad affitto moderato.
10. Con un’ordinanza del 15 marzo 1983, la municipalità di Ispica decretò l’espropriazione del terreno.
11. Il 20 luglio 1983, il richiedente citò la municipalità di Ispica dinnanzi alla corte di appello di Catania, in vista di ottenere un’indennità di espropriazione. Adduceva di avere diritto ad una somma corrispondente al valore commerciale del terreno, ai sensi della legge no 2359 del 1865. Inoltre, richiedeva un risarcimento per il ritardo nel pagamento dell’indennità.
12. Con una sentenza del 23 febbraio 1990, la corte di appello di Catania accolse il ricorso del richiedente e condannò l’amministrazione a versargli un’indennità di espropriazione uguale al valore commerciale del terreno, o 3 574 900 000 lire italiane (ITL) (-circa 1 846 281 euro (EUR)) alla quale dovevano aggiungersi gli interessi legali.
13. Inoltre, la corte di appello accordò un risarcimento per il ritardo nel pagamento dell’indennità, coprendo l’inflazione per il periodo riguardato.
14. Questa sentenza diventò definitiva l’ 8 maggio 1991.
B. Il procedimento di esecuzione
15. La municipalità di Ispica non avendo dato seguito alla sentenza del 23 febbraio 1990, il 5 giugno 1991 il richiedente sollecitò formalmente il pagamento; il 10 luglio 1991, introdusse un ricorso dinnanzi al tribunale amministrativo regionale (“il TAR”) di Sicilia, per ottenere l’esecuzione della sentenza controversa.
16. Con un giudizio del 9 ottobre 1991 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 28 novembre 1991, il TAR ordinò alla municipalità di Ispica di versare al richiedente l’indennità di espropriazione entro 60 giorni a contare dalla notifica del giudizio. Il TAR nominò anche un commissario ad hoc, incaricato di garantire il pagamento dell’indennità.
17. Il 27 maggio 1992, il richiedente incassò una prima fetta dell’indennità di espropriazione, a concorrenza di 1 540 000 000 di ITL (circa 795 343 EUR). L’ 8 luglio 1992, osservò che il commissario ad hoc aveva eseguito solamente parzialmente il suo mandato ed invitò il TAR a prendere le disposizioni necessarie. Con un giudizio del 30 luglio 1992, il TAR prorogò di 180 giorni il mandato del commissario. Il 21 giugno 1993, il richiedente notificò a questo ultimo un bando per compiere il suo mandato. Non avendo ottenuto nessuno risultato, nel settembre 1993, si rivolse di nuovo al TAR. Questo ultimo prorogò fino al 30 aprile 1994 il mandato del commissario e l’invitò a fornire ogni delucidazione necessaria in quanto ai passi che aveva iniziato. Il commissario non avendo dato seguito a questo invito, il 2 giugno 1994 il TAR decise di sostituirlo.
18. Il 4 gennaio 1995, il nuovo commissario ad hoc versò al richiedente 5 094 307 937 ITL, circa 2 630 990 EUR, o il saldo dovuto. Però, questo importo fu ridotto di 1 018 352 149 ITL, o 525 934,99 EUR, in applicazione della legge no 413 del 30 dicembre 1991. Questa legge contempla in particolare l’applicazione di un’imposta del 20% alla sorgente sulle indennità di espropriazione.
C. Il procedimento dinnanzi alle giurisdizioni fiscali
19. Con una lettera del 22 giugno 1995, il richiedente chiese all’amministrazione fiscale di versargli l’importo calcolato prima a titolo di imposta.
20. Questa domanda fu respinta da una decisione notificata il 6 febbraio 1996.
21. Il 27 marzo 1996, il richiedente introdusse un ricorso dinnanzi alla commissione fiscale provinciale di Ragusa. Contestava l’applicazione dell’imposta del 20% al caso di specie, dato che il decreto di espropriazione era anteriore all’entrata in vigore della legge no 413 del 1991.
22. Con un giudizio del 19 maggio 1998, la commissione fiscale provinciale accolse il ricorso del richiedente e condannò l’amministrazione a restituire l’importo calcolato in precedenza.
23. L’amministrazione interpose appello a questo giudizio dinnanzi alla commissione fiscale regionale di Palermo.
24. Con una decisione dell’ 11 dicembre 1999, la commissione fiscale regionale respinse questo appello.
25. Il 1 giugno 2000, l’amministrazione ricorse in cassazione.
26. Con una sentenza dell’ 11 gennaio 2001 il cui il testo fu depositato alla cancelleria l’ 11 aprile 2001, la Corte di cassazione fece diritto al ricorso dell’amministrazione. Stimò che la legge no 413 del 1991 era stata a buono diritto applicata al caso di specie; difatti, il momento decisivo per l’applicabilità di questa legge era quello del versamento dell’indennità di espropriazione e non quello del trasferimento di proprietà.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
27. Prima dell’adozione della legge no 413 del 1991, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 31 dicembre 1991 ed entrata in vigore il seguente giorno lavorativo, le indennità di espropriazione non erano assoggettate a nessuna imposta alla sorgente.
28. Nelle sue parti pertinenti, l’articolo 11 della legge no 413 del 30 dicembre 1991 si legge così:
“5. Per ciò che riguarda i plusvalori consecutivi all’ottenimento di indennità di espropriazione, si applica l’articolo 81, capoverso 1, b), ultima parte, del Repertorio delle disposizioni sui redditi.
(…)
7. Le amministrazioni, al momento del versamento delle somme menzionate ai capoversi5 e 6, ivi comprese le somme dovute per occupazione temporanea, risarcimento per espropriazione indiretta, rivalutazione ed interessi, devono effettuare una ritenuta proporzionale del 20% a titolo di imposta. (…). “
IN DIRITTO
I. QUESTIONE PRELIMINARE
29. La Corte constata al primo colpo che il richiedente è deceduto il 27 giugno 2004 e che suo cugino ed erede universale, il Sig. F. B. di B., ha informato la Corte che desiderava proseguire il procedimento (paragrafo 6 sopra). Se gli eredi di un richiedente deceduto non possono rivendicare un diritto generale affinché la Corte continui il suo esame della richiesta introdotta da questo ultimo (Scherer c. Svizzera, 25 marzo 1994, §§ 31-32, serie A no 287) la Corte ha ammesso a più riprese che i parenti prossimi di un richiedente deceduto sono in diritto di sostituirsi a lui (Deweer c. Belgio, 27 febbraio 1980, § 37, serie A no 35, e Raimondo c. Italia, 22 febbraio 1994, § 2, serie A no 281-A).
30. Nell’occorrenza, la Corte è disposta a permettere al cugino del richiedente di proseguire l’istanza inizialmente introdotta da questo ultimo (vedere, mutatis mutandis, Nerva ed altri c. Regno Unito, no 42295/98, § 33, CEDH 2002-VIII, e Kirilova ed altri c. Bulgaria, nostri 42908/98, 44038/98, 44816/98 e 7319/02, § 85, 9 giugno 2005).
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
31. Il richiedente si lamentava della riduzione dell’importo dell’indennità di espropriazione a causa dell’applicazione dell’imposta prevista dalla legge no 413 del 1991.
Invocava l’articolo 1 del Protocollo no 1 che si legge così:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Argomenti delle parti
1. Il richiedente
32. Il richiedente faceva valere che l’indennità di espropriazione non può essere considerata come un reddito, dato che costituisce il risarcimento per la perdita del bene e che il suo importo non supera il valore commerciale di questo. Tenuto conto della mancanza di plusvalore, l’indennità non dovrebbe essere tassata.
33. Nello specifico, l’applicazione della legge controversa e la riduzione dell’importo dell’indennità di espropriazione era solamente la conseguenza del ritardo dell’amministrazione nel versamento di tale indennità. Per di più, le disposizioni della legge no 413 del 1991 sono state applicate in modo retroattivo, dato che sono entrate in vigore dopo l’adozione del decreto di espropriazione e dopo la data in cui la sentenza della corte di appello di Catania del 23 febbraio 1990 era diventata definitiva.
34. Infine, il richiedente adduceva di non aver ottenuto il versamento dell’importo integrale della rivalutazione e degli interessi corrispondenti all’insieme del periodo compreso tra l’adozione del decreto di espropriazione ed il versamento della seconda fetta dell’indennità di espropriazione. Si riferisce, su questo punto, alla giurisprudenza sviluppata dalla Corte nella sentenza Akkuş c. Turchia (9 luglio 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-IV).
2. Il Governo
35. Il Governo si oppone alle tesi del richiedente e sostiene che l’indennità di espropriazione costituisce un reddito che deve essere sottoposto in quanto tale alle imposte fiscali previste in materia dalla legislazione.
36. Trattandosi della pretesa retroattività della legge no 413 del 1991, adduce che in materia fiscale, il momento decisivo per l’applicazione di un’imposta è quello della percezione di un reddito. Ne segue che l’interpretazione data dalla Corte di cassazione nella sua sentenza dell’ 11 gennaio 2001 (paragrafo 26 sopra) è corretta. Peraltro, la legge controversa è una legge fiscale che come tale tocca uno dei terreni di predilezione della sovranità statale. Quando un obbligo di natura patrimoniale deriva da una legislazione fiscale, il contenzioso ivi afferente non verte su dei “diritti ed obblighi di carattere civile” (Ferrazzini c. Italia [GC], no 44759/98, § 29, ECHR 2001-VII) . La materia fiscal e-la cui legge no 413 del 1991 fa parte-sarebbe sottratta tanto alla giurisdizione della Corte sotto l’angolo dell’articolo 6 della Convenzione che sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
37. Infine, il Governo osserva che in esecuzione della sentenza della corte di appello di Catania del 23 febbraio 1990, l’indennità di espropriazione è stata pagata in due fette, versate rispettivamente nel 1992 e 1995, o nei termini ragionevoli.
B. Valutazione della Corte
38. La Corte ricorda che l’imposta fiscale costituisce in principio un’ingerenza nel diritto garantito dal primo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 e che questa ingerenza si giustifica conformemente al secondo capoverso di questo articolo che contempla espressamente un’eccezione per ciò che riguarda il pagamento delle imposte o di altri contributi (Di Belmonte c. Italia (no 2) (déc.), no 72665/01, 3 giugno 2004).
39. La materia fiscale non sfugge per tanto ad ogni controllo della Corte, poiché deve verificare se l’articolo 1 del Protocollo no 1 è stato oggetto di un’applicazione corretta. A questo riguardo, ricorda che il secondo capoverso di questa disposizione si deve leggere alla luce del principio consacrato dalla prima frase dell’articolo. Ne segue che una misura di ingerenza deve predisporre un “giusto equilibrio” tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (Tre Traktörer AB c. Svezia, 7 luglio 1989, § 59, serie A no 159).
40. Di conseguenza, l’obbligo finanziario nato dal prelevamento di imposte o di contributi può ignorare la garanzia consacrata da questa disposizione se impone alla persona in causa fondamentalmente un carico eccessivo o porta attentato alla sua situazione finanziaria (Di Belmonte (no 2), decisione precitata).
41. Appartiene peraltro, in primo luogo alle autorità nazionali di decidere il tipo di imposte o di contributi che conviene togliere. Le decisioni in questo ambito implicano normalmente una valutazione dei problemi politici, economici e sociali che la Convenzione lascia alla competenza delle Stati parti, perché le autorità interne sono manifestamente meglio collocate rispetto alla Corte per valutare questi problemi. Gli Stati parti dispongono dunque in materia di un largo potere di valutazione (Gasus Dosier e Fördertechnik Gmbh c. Paesi Bassi, 23 febbraio 1995, § 60, serie A no 306-B, e The National & Provincial Building Society, the Leeds Permanent Building Society and the Yorkshire Building Society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, §§ 80-82, Raccolta 1997-VII).
42. La Corte stima che la legge no 413 del 1991 si inserisce in questo margine di valutazione dello stato, e che, di conseguenza, non potrebbe essere considerata in quanto tale come arbitraria. È vero che, adottata il 30 dicembre 1991, è stata applicata al caso di specifico ben dopo l’ entrata in vigore dell’espropriazione del terreno del richiedente (15 marzo 1983-paragrafo 10 sopra) e dopo la data in cui la sentenza della corte di appello di Catania che fissava l’importo dell’indennità di espropriazione è diventata definitiva (8 maggio 1991-paragrafo 14 sopra). Era però, già in vigore quando, il 27 maggio 1992 e il 4 gennaio 1995, il richiedente ha incassato le due fette dell’indennità in questione (paragrafi 17 e 18 sopra). Ad ogni modo, un’eventuale applicazione retroattiva della legge no 413 del 1991 al caso del richiedente non avrebbe costituito di per sé una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1, perché questa disposizione non vieta, in quanto tale, l’applicazione retroattiva di una legge fiscale (M.A. ed altri c. Finlandia, (dec.), no 27793/95, 10 giugno 2003, e Di Belmonte, (no 2), decisione precitata).
43. La questione che si pone è quella di sapere se, nelle circostanze concrete della causa, l’applicazione dell’articolo 11 della legge no 413 del 1991 ha imposto al richiedente un carico eccessivo.
44. A questo riguardo, la Corte osserva da prima che prima dell’entrata in vigore della legge no 413 del 1991, le indennità di espropriazione non erano sottoposte a nessuna imposta fiscale (paragrafo 27 sopra).
45. In più, rileva che la legge no 413 del 1991 è entrata in vigore più di sette mesi dopo la data in cui la sentenza della corte di appello di Catania che fissava l’importo dell’indennità di espropriazione era diventata definitiva (8 maggio 1991). Stima di conseguenza che il ritardo dell’amministrazione pubblica nell’esecuzione di questa sentenza ha avuto un’influenza determinante sull’applicazione del nuovo regime fiscale. Difatti, l’indennità accordata al richiedente non sarebbe stata assoggettata all’imposta prevista dalla nuova legislazione fiscale se l’esecuzione della sentenza fosse stata regolare e puntuale (vedere, a contrario, Di Belmonte (no 2), decisione precitata, dove la sentenza che fissava l’importo dell’indennità di espropriazione aveva acquisito l’autorità di cosa giudicata solo venti giorni prima dell’entrata in vigore della legge no 413 del 1991). La reticenza dell’amministrazione a dare esecuzione alla sentenza della corte di appello è confermata peraltro dai numerosi passi che il richiedente ha dovuto iniziare presso il commissario ad hoc e il TAR per ottenere il pagamento integrale del suo credito (paragrafi 16-18 sopra).
46. Alla luce di ciò che precede, la Corte stima che nello specifico, l’applicazione della legge no 413 del 1991 ha rotto “il giusto equilibrio” che deve regnare tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo.
47. Questa constatazione basta per concludere alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Non è necessario esaminare dunque se, come pretende il richiedente (paragrafo 34 sopra) le autorità hanno proceduto alla determinazione dell’indennità di espropriazione omettendo di tenere conto delle somme dovute a titolo degli interessi e del compenso del deprezzamento della moneta.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 6 E 14 DELLA CONVENZIONE
48. Il richiedente invoca anche il Preambolo della Convenzione, così come gli articoli 6 e 14 di questa.
49. Il Governo osserva che nella misura in cui i motivi di appello del richiedente si possono interpretare come riguardanti la durata del procedimento afferente al versamento dell’indennità di espropriazione, gli apparteneva invocare a questo riguardo ogni danno con l’introduzione di un ricorso sul fondamento della legge no 89 di 2001 (detta “legge Pinto”) che costituisce una via di risarcimento ad hoc in materia di lunghezza dei procedimenti giudiziali.
50. Tuttavia, la Corte considera, alla luce delle conclusioni alle quali è giunta sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (paragrafo 47 sopra) che non è necessario esaminare separatamente se c’è stata anche violazione degli articoli 6 e 14 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Solomou ed altri c. Turchia, no 36832/97, § 93, 24 giugno 2008, e Maiorano ed altri c. Italia, no 28634/06, § 135, 15 dicembre 2009).
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
51. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno patrimoniale
52. Il richiedente chiede innanzitutto la restituzione della somma (1 018 352 149 ITL, o 525 934,99 EUR) percepita dallo stato a titolo di imposta sull’indennità di espropriazione. Sollecita inoltre 237 650,2 EUR per compensare il deprezzamento della moneta e 501 923,65 EUR a titolo degli interessi legali.
53. Il Governo considera che le somme sollecitate dal richiedente sono eccessive.
54. Così come la Corte ha detto in parecchie occasioni, una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico di mettere un termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire tanto quanto si può fare la situazione anteriore a questa (Iatridis c. Grecia (soddisfazione equa) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI). Se la natura della violazione permette una restitutio in integrum, incombe sullo stato convenuto di realizzarla, non avendo la Corte né la competenza né la possibilità pratica di compierla lei stessa (Guiso-Gallisay c. Italia [GC], no 58858/00, § 90, 22 dicembre 2009).
55. Nello specifico, la violazione constatata dalla Corte deriva dall’applicazione dell’imposta, all’altezza del 20% dell’indennità di espropriazione dovuta al richiedente, prevista dalla legge no 413 del 1991, applicazione provocata dal ritardo nell’esecuzione della sentenza della corte di appello di Catania. La restituzione della somma prelevata a titolo di imposta (525 934,99 EUR) porrebbe dunque l’erede del richiedente nella situazione in cui il defunto si sarebbe trovato se la violazione non avesse avuto luogo.
56. Dato che il carattere adeguato di un risarcimento rischia di sminuire se il pagamento di questo fa astrazione di elementi suscettibili di ridurne il valore, come lo scorrimento di un lasso di tempo considerevole (Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 82, serie A no 301-B) questo importo dovrà essere attualizzato per compensare gli effetti dell’inflazione. Bisognerà anche abbinare degli interessi suscettibili di compensare, almeno in parte, il lungo lasso di tempo che è trascorso dall’applicazione dell’imposta controversa. Agli occhi della Corte, questi interessi devono corrispondere all’interesse legale semplice applicato al capitale progressivamente rivalutato (Guiso-Gallisay precitata, § 105,).
57. Tenuto conto di questi elementi e deliberando in equità, la Corte stima ragionevole accordare all’erede del richiedente la somma di 1 100 000 EUR più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta su questa somma.
B. Danno morale
58. Il richiedente chiede 175 311,66 EUR per danno morale, ciò che corrisponde ad un terzo della somma percepita dallo stato a titolo di imposta sull’indennità di espropriazione.
59. La Corte stima che il sentimento di impotenza e di frustrazione di fronte al ritardo nel versamento dell’indennità di espropriazione, insieme all’entrata in vigore e al’applicazione a suo scapito delle disposizioni della legge no 413 del 1991, ha causato al richiedente un danno morale, che c’è luogo di riparare in modo adeguato. Deliberando in equità, come vuole l’articolo 41 della Convenzione, decide di assegnare 3 000 EUR di questo capo.
C. Oneri e spese
60. Basandosi sulle note di parcella dei suoi consiglieri, il richiedente chiede il rimborso dei suoi oneri e spese, che ammontano a 40 646,81 EUR per il procedimento interno ed a 46 315,39 EUR per il procedimento dinnanzi alla Corte.
61. Il Governo stima che gli oneri richiesti dal richiedente sono eccessivi.
62. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, il sussidio di oneri e spese al richiedente può intervenire solamente nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Belziuk c. Polonia, 25 marzo 1998, § 49, Raccolta 1998-II).
63. La Corte giudica eccessivo l’importo sollecitato per gli oneri e le spese afferenti al procedimento nazionale ed al procedimento dinnanzi a lei e decide di concedere per l’insieme la somma globale di 10 000 EUR.
D. Interessi moratori
64. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Stabilisce che l’erede del richiedente ha il requisito per proseguire il presente procedimento al suo posto;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce che non c’è luogo di esaminare separatamente i motivi di appello tratti dagli articoli 6 e 14 della Convenzione;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare all’erede del richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. 1 100 000 EUR (un milione centomila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno patrimoniale;
ii. 3 000 EUR (tremila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
iii. 10 000 EUR (diecimila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dall’erede del richiedente, per oneri e spese;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 16 marzo 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione separata dal giudice Sajó.
F.T.
F.E.P.

OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE SAJÓ
(Traduzione)
Aderisco alla constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 nello specifico. Però, per me, questa violazione è costituita dal fatto anche che l’indennizzo accordato non è stato nello specifico equo.
La questione nello specifico aveva fatto riferimento alla conformità o meno alla Convenzione di un’imposta del 20% che gravava un’indennità di espropriazione. Secondo la sentenza, lo specifico può essere distinto dalla causa Di Belmonte no 2 (no 72665/01, 3 giugno 2004,). Nei due casi, l’importo del risarcimento è stato determinato tramite una decisione giudiziale definitiva resa prima dell’entrata in vigore di una legge che emendava il codice delle imposte (qui di seguito “l’emendamento”) assoggettando le indennità di espropriazione ad un’imposta del 20%. Nella causa Di Belmonte no 2, la sentenza che fissava l’importo dell’indennità di espropriazione è passata in giudicato venti giorni prima dell’entrata in vigore dell’emendamento, mentre nello specifico la sentenza è diventata definitiva sette mesi prima che la nuova legge esponesse i suoi effetti., Nello specifico il richiedente aveva cominciato ad effettuare dei passi in vista di fare eseguire la sentenza sei mesi dopo l’entrata in vigore dell’emendamento, mentre nello specifico ha effettuato i primi passi in vista dell’esecuzione meno di un mese dopo che la sentenza è diventata definitiva, e sei mesi prima dell’entrata in vigore dell’emendamento, e l’ordinanza di pagamento è stata depositata prima dell’entrata in vigore dell’emendamento. Nelle due cause, l’interessato è stato indennizzato solo nel febbraio 1995, più di tre anni dopo l’entrata in vigore dell’emendamento, ed unicamente dopo la deduzione dell’imposta del 20%.
L’emendamento contempla che l’imposta è applicabile ad ogni risarcimento versato dopo il 1 gennaio 1992. Come la Corte ha detto nella decisione concernente la causa Di Belmonte no 2, “l’indennità accordata al richiedente sarebbe stata sminuita in ogni caso se l’esecuzione del giudizio fosse stata regolare e puntuale” (italico aggiunto da me). Tuttavia, secondo la presente sentenza, l’imposta si è rivelata essere “un carico eccessivo” perché, contrariamente alla situazione nella causa Di Belmonte no 2, nello specifico un ritardo di sette mesi posteriore all’istanza di esecuzione è imputabile alle autorità; ora, questo ritardo è stato un fattore decisivo per l’applicabilità del nuovo regime finanziario. Ecco il motivo di distinzione tra le due cause. Resta da sapere se un ritardo di sette mesi può rappresentare in materia un fattore decisivo. Dopo tutto, si potrebbe sostenere che era il ritardo avvenuto nel procedimento di espropriazione stesso che ha reso applicabile in modo retroattivo l’emendamento. La saga Di Belmonte no 2 è cominciata nel 1971, prima della presente causa.
Tuttavia, non c’è luogo di distinguere la presente causa da Di Belmonte no 2, poiché nell’intervallo la Grande Camera ha avuto l’occasione di esaminare l’imposta riguardata nella causa Scordino c. Italia (no 1) ([GC], no 36813/97, CEDH 2006-V): “in quanto all’imposta del 20% applicata all’indennità di espropriazione accordata a livello nazionale, la Grande Camera, come la camera, non ha concluso all’illegalità dell’applicazione di questa imposta in quanto tale ma ha preso in conto questo elemento nella valutazione della causa” (§ 258). Il carattere adeguato di un risarcimento rischia di sminuire se il pagamento di questo fa astrazione di elementi suscettibili di ridurne il valore. Un indennizzo che devia del valore commerciale del bene dell’espropriato non è equo, salvo se la differenza è giustificata da circostanze eccezionali. Ora il presente caso non presenta nulla di eccezionale.
Certo, ogni reddito generato da una transazione può essere assoggettato all’imposta.1 ma un carico che grava su un’indennità di espropriazione deve essere valutato in equità, qualunque sia la denominazione che gli si dà. La denominazione giuridica data alla diminuzione dell’indennizzo non entra in fila di conto dal punto di vista dell’equità. Se si permettesse ad un Stato di assoggettare unilateralmente ogni indennità di espropriazione ad un’imposta globale, potrebbe così ridurre sistematicamente l’indennizzo a suo proprio profitto.
Il Governo sostiene che ogni alienazione di beni è sottoposta all’imposta sul reddito. Ora, contrariamente alla tesi che difende, esiste una differenza tra le alienazioni di beni imposte dallo stato e altre forme di alienazione. Ciò non è senza conseguenza per il valore dell’indennizzo2. Se no, lo stato sarebbe in grado di procedere a suo modo alle alienazioni di proprietà ad un “prezzo” ridotto. Per esempio, se una tassa globale del 40% è imposta su tutte le transazioni fondiarie, i proprietari esiteranno a vendere; però, il proprietario espropriato non avrà la scelta, diventando lo stato allora un “acquirente privilegiato”.
Storicamente, l’indennizzo pieno ed intero è stato richiesto, per evitare che i governi siano incitati a confiscare dei beni privati ai fini politici o privati. Il rischio che i poteri pubblici si approfittino delle loro prerogative sotto il pretesto di servire l’interesse generale sminuisce quando tali atti provocano delle importanti conseguenze di bilancio.
Le difficoltà ed incertezze che si presentano trattandosi di determinare un indennizzo equo in certe cause di espropriazione di beni fondiari, come illustrano i procedimenti concernenti i beni del Sig. Di B., possono essere legate ad un problema inerente alla metodologia di proporzionalità seguito. Alla luce della giurisprudenza della Corte ed avuto riguardo ai principi applicabili, una misura di espropriazione, come tutti gli attentati ai beni, deve soddisfare le esigenze di proporzionalità, cioè deve avere una forma di proporzionalità tra gli interessi generali, la gravità dell’ingerenza e la natura del bene. In certe situazioni, un giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco può essere stabilito solamente se l’importo dell’indennizzo è preso anche in considerazione e, secondo il contesto, può essere un prezzo inferiore al valore equo, cioè il valore commerciale, o anche niente (I Santi Monasteri c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 75, serie A no 301-A). Ciò si applica solamente a situazioni eccezionali, avuto in particolare in generale riguardo agli interessi della giustizia sociale (James ed altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, serie A no 98) e/o alla natura del bene, avuto riguardo al carattere problematico della sua acquisizione per esempio (vedere, per esempio, Jahn ed altri c. Germania [GC], numeri 46720/99, 72203/01 e 72552/01, CEDH 2005-VI). Però, nelle situazioni ordinarie, solo il valore commerciale è considerato come equo, per le ragioni di principio che tendono al ruolo della proprietà privata in quanto diritto fondamentale (vedere qui di seguito), e non c’è nessuno posto per un’analisi di proporzionalità supplementare. Lontano dall’ essere salutare, una doppio dose di proporzionalità può rivelarsi eccessiva.
Mi sembra che l’origine del doppio ricorso alla proporzionalità tragga la sua origine da un’interpretazione curiosa data ad un’espressione che figura al paragrafo 48 della sentenza Papachelas c. Grecia ([GC], no 31423/96, CEDH 1999-II) che enuncia che “senza il versamento di una somma ragionevolmente in rapporto col valore del bene, una privazione di proprietà costituisce normalmente un attentato eccessivo che non potrebbe giustificarsi sul terreno dell’articolo 1. Questo ultimo non garantisce tuttavia in ogni caso il diritto ad un compenso integrale, perché degli obiettivi legittimi “di utilità pubblica” possono militare per un rimborso inferiore al pieno valore commerciale (vedere la sentenza I santi monasteri c. Grecia del 9 dicembre 1994, serie A no 301-A, pp. 34-35, §§ 70-71).” Questa formula del “rapporto ragionevole” è stata utilizzata fuori contesto nell’elaborazione delle norme di indennizzo in cause simili, come un invito a concedersi ad un’analisi di proporzionalità. Ora, simile analisi secondaria di proporzionalità sotto copertura di “rapporto ragionevole” ha per inconveniente che il riferimento alla proporzionalità impedisce di precisare ciò che darebbe alla diminuzione dell’indennizzo in causa un carattere equo o in che cosa questa diminuzione sarebbe proporzionata ad un interesse generale addotto, il che non ha peso particolare nell’equazione. Ma è in contraddizione con ciò che ha detto la Corte nelle cause ordinarie, dove bisogna arrivare a “un indennizzo integrale3.” Beninteso, spetta ai tribunali nazionali determinare l’importo particolare corrispondente ad un valore commerciale equo durante un procedimento equo che soddisfa le esigenze poste dalla Convenzione, ma ciò non ha concettualmente niente a vedere col passo che consiste nello scostarsi deliberatamente dal valore commerciale, il che è una questione di principio e rimane in definitiva sotto il controllo della Corte.
La Corte ha stimato nella causa Scordino (no 1) che il valore commerciale al momento dell’espropriazione del bene serviva da punto di partenza, ma non per l’analisi di proporzionalità. Si parte da ciò unicamente per arrivare, dopo gli adeguamenti, ad un indennizzo adeguato, il che esige la presa in conto di elementi addizionali che, nella maggior parte dei casi, aumentano l’importo da versare (Scordino, § 258). Simili adeguamenti non hanno niente a vedere con la proporzionalità.
La proprietà è un’istituzione fondatrice della democrazia e dell’autonomia personale. Ogni ordine giuridico che prende sul serio il diritto fondamentale alla proprietà privata deve impedire che la protezione della proprietà sia subordinata, almeno nelle cause ordinarie, all’importanza addotta dell’interesse generale. Simile affermazione restringerebbe la protezione convenzionale della proprietà per la seguente ragione. Difatti, avuto riguardo alla sua natura accessoria ed alla sua posizione internazionale, la Corte non è veramente in grado di valutare e di controllare le affermazioni e le scuse fondate sull’interesse generale e, riconoscendo la pertinenza di tali affermazioni nelle cause ordinarie, dovrebbe accoglierle senza altro esame. Ciò facendo, perderebbe il grado di controllo appropriato che esercita al momento in materia.
1 anche l’imposta può essere sottoposta ad un’analisi di proporzionalità nella cornice della protezione convenzionale della proprietà: “l’obbligo finanziario nato dal prelevamento di imposte o di contributi può ledere la garanzia consacrata da questa disposizione se impone fondamentalmente alla persona o all’entità in causa un carico eccessivo o porta attentato alla loro situazione finanziaria” (Balaž c Slovacchia, (dec.), n° 60243/00, 16 settembre 2003-vedere anche, per esempio, National & Provincial Building Society e altri c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VII)

2 un’indennità di espropriazione che riflette il valore commerciale del bene non è identica al valore commerciale. Dopo tutto, il valore commerciale è stabilito nella cornice di un libero scambio, ciò che non è certamente il caso all’epoca di un’espropriazione, partecipando il proprietario allora in modo ben involontario alla transazione. Un’indennità di espropriazione può essere equa, ma sarà per il meglio il riflesso del prezzo del mercato. L’imposta colpisce l’indennità che è una stima di seconda mano del valore commerciale, dunque se ne allontana sistematicamente. Bisogna aggiungere che la Corte costituzionale italiana, quando ha deliberato sulla questione di sapere se il fatto di assoggettare un’indennità di espropriazione all’imposta sul reddito era conforme alla Costituzione, ha dichiarato che l’imposta si applicava al plusvalore generato dall’espropriazione (la plusvalenza, vale ha dire la differenza tra il corrispettivo percepito ed il prezzo di acquisto in un tempo anteriore -vedere la sentenza della Corte costituzionale n°410 del 20 luglio 1995)

3 i termini adoperati dalla Corte (indennizzo integrale, pieno ed intero, equo, adeguato, eccessivo) non rivestono nessun carattere talismanico. Ciò che conta è di definire quale è l’importo, in funzione del prezzo del mercato che assolve la funzione di protezione della proprietà in quanto diritto fondamentale convenzionale. In più, ciò che importa è che queste espressioni siano legate ad una certa forma di obiettività che impedisce l’arbitrarietà giudiziale e l’assenso ai giudizi ad hoc rassicuranti ma intuitivi.

Testo Tradotto

Conclusion Violation de P1-1 ; Dommage matériel et préjudice moral – réparation
DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE DI BELMONTE c. ITALIE
(Requête no 72638/01)
ARRÊT
STRASBOURG
16 mars 2010
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire di Belmonte c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nona Tsotsoria, juges,
et de Françoise Elens-Passos, greffière adjointe de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 23 février 2010,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 72638/01) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet Etat, M. P. B. di B. (« le requérant »), a saisi la Cour le 2 juillet 2001 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant est représenté par Me C.V. V. et C. D’A., avocats à Bari. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») est représenté par son agente, Mme E. Spatafora, et par son co-agent, M. N. Lettieri.
3. Le requérant alléguait que l’application d’une loi fiscale nouvelle à l’indemnité d’expropriation qui lui avait été versée violait son droit au respect de ses biens et son droit à un procès équitable.
4. Par une décision du 30 août 2007, la Cour a déclaré la requête recevable.
5. Tant le requérant que le Gouvernement ont déposé des observations écrites sur le fond de l’affaire (article 59 § 1 du règlement).
6. Le 1er octobre 2007, les représentants du requérant ont informé la Cour que leur client était décédé le 27 juin 2004 et que, aux termes du testament public du défunt, son héritier universel unique était son cousin, M. F. B. di B.. Ce dernier a manifesté le souhait de continuer la procédure devant la Cour.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
7. Le requérant, né en 1923, résidait avant son décès à Ispica (Raguse).
A. L’expropriation du terrain du requérant et la procédure de fixation du montant de l’indemnité d’expropriation
8. Le requérant était propriétaire d’un terrain constructible sis à Ispica.
9. A une date non précisée, la municipalité d’Ispica procéda à l’occupation de 51 180 mètres carrés dudit terrain, en vue d’y construire des habitations à loyer modéré.
10. Par un arrêté du 15 mars 1983, la municipalité d’Ispica décréta l’expropriation du terrain.
11. Le 20 juillet 1983, le requérant assigna la municipalité d’Ispica devant la cour d’appel de Catane, en vue d’obtenir une indemnité d’expropriation. Il alléguait avoir droit à une somme correspondant à la valeur marchande du terrain, au sens de la loi no 2359 de 1865. En outre, il réclamait un dédommagement pour le retard dans le paiement de l’indemnité.
12. Par un arrêt du 23 février 1990, la cour d’appel de Catane accueillit le recours du requérant et condamna l’administration à lui verser une indemnité d’expropriation égale à la valeur marchande du terrain, soit 3 574 900 000 lires italiennes (ITL – environ 1 846 281 euros (EUR)), à laquelle devaient s’ajouter les intérêts légaux.
13. En outre, la cour d’appel accorda un dédommagement pour le retard dans le paiement de l’indemnité, couvrant l’inflation pour la période concernée.
14. Cet arrêt devint définitif le 8 mai 1991.
B. La procédure d’exécution
15. La municipalité d’Ispica n’ayant pas donné suite à l’arrêt du 23 février 1990, le 5 juin 1991 le requérant sollicita formellement le paiement ; le 10 juillet 1991, il introduisit un recours devant le tribunal administratif régional (« le TAR ») de Sicile, afin d’obtenir l’exécution de l’arrêt litigieux.
16. Par un jugement du 9 octobre 1991, dont le texte fut déposé au greffe le 28 novembre 1991, le TAR ordonna à la municipalité d’Ispica de verser au requérant l’indemnité d’expropriation dans un délai de 60 jours à compter de la notification du jugement. Le TAR nomma également un commissaire ad hoc, chargé de garantir le paiement de l’indemnité.
17. Le 27 mai 1992, le requérant encaissa une première tranche de l’indemnité d’expropriation, à concurrence de 1 540 000 000 de ITL (environ 795 343 EUR). Le 8 juillet 1992, il observa que le commissaire ad hoc avait exécuté seulement partiellement son mandat et invita le TAR à prendre les dispositions nécessaires. Par un jugement du 30 juillet 1992, le TAR prorogea de 180 jours le mandat du commissaire. Le 21 juin 1993, le requérant notifia à ce dernier une mise en demeure d’accomplir son mandat. N’ayant obtenu aucun résultat, en septembre 1993, il s’adressa à nouveau au TAR. Ce dernier prorogea jusqu’au 30 avril 1994 le mandat du commissaire et l’invita à fournir tout éclaircissement nécessaire quant aux démarches qu’il avait entamées. Le commissaire n’ayant pas donné suite à cette invitation, le 2 juin 1994 le TAR décida de le remplacer.
18. Le 4 janvier 1995, le nouveau commissaire ad hoc versa au requérant 5 094 307 937 ITL (environ 2 630 990 EUR), soit le solde dû. Cependant, ce montant fut réduit de 1 018 352 149 ITL (soit 525 934,99 EUR) en application de la loi no 413 du 30 décembre 1991. Cette loi prévoit notamment l’application d’un impôt de 20 % à la source sur les indemnités d’expropriation.
C. La procédure devant les juridictions fiscales
19. Par une lettre du 22 juin 1995, le requérant demanda à l’administration fiscale de lui verser le montant précompté à titre d’impôt.
20. Cette demande fut rejetée par une décision notifiée le 6 février 1996.
21. Le 27 mars 1996, le requérant introduisit un recours devant la commission fiscale provinciale de Raguse. Il contestait l’application de l’impôt de 20 % au cas d’espèce, étant donné que le décret d’expropriation était antérieur à l’entrée en vigueur de la loi no 413 de 1991.
22. Par un jugement du 19 mai 1998, la commission fiscale provinciale accueillit le recours du requérant et condamna l’administration à restituer le montant précompté.
23. L’administration interjeta appel de ce jugement devant la commission fiscale régionale de Palerme.
24. Par une décision du 11 décembre 1999, la commission fiscale régionale rejeta cet appel.
25. Le 1er juin 2000, l’administration se pourvut en cassation.
26. Par un arrêt du 11 janvier 2001, dont le texte fut déposé au greffe le 11 avril 2001, la Cour de cassation fit droit au pourvoi de l’administration. Elle estima que la loi no 413 de 1991 avait été à bon droit appliquée au cas d’espèce ; en effet, le moment décisif pour l’applicabilité de cette loi était celui du versement de l’indemnité d’expropriation et non celui du transfert de propriété.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
27. Avant l’adoption de la loi no 413 de 1991 (publiée au Journal officiel du 31 décembre 1991 et entrée en vigueur le jour ouvrable suivant), les indemnités d’expropriation n’étaient assujetties à aucun impôt à la source.
28. Dans ses parties pertinentes, l’article 11 de la loi no 413 du 30 décembre 1991 se lit ainsi :
« 5. En ce qui concerne les plus-values consécutives à l’obtention (…) d’indemnités d’expropriation (…), on applique l’article 81, alinéa 1, b), dernière partie, du Répertoire des dispositions sur les revenus.
(…)
7. Les administrations (…), au moment du versement des sommes mentionnées aux alinéas 5 et 6, y compris les sommes dues pour occupation temporaire, dédommagement pour expropriation indirecte, réévaluation et intérêts, doivent effectuer une retenue proportionnelle de 20 % à titre d’impôt. (…). »
EN DROIT
I. QUESTION PRÉLIMINAIRE
29. La Cour constate d’emblée que le requérant est décédé le 27 juin 2004 et que son cousin et héritier universel, M. F. B. di B., a informé la Cour qu’il souhaitait poursuivre la procédure (paragraphe 6 ci-dessus). Si les héritiers d’un requérant décédé ne peuvent revendiquer un droit général à ce que la Cour continue son examen de la requête introduite par ce dernier (Scherer c. Suisse, 25 mars 1994, §§ 31-32, série A no 287), la Cour a admis à plusieurs reprises que des parents proches d’un requérant décédé sont en droit de se substituer à lui (Deweer c. Belgique, 27 février 1980, § 37, série A no 35, et Raimondo c. Italie, 22 février 1994, § 2, série A no 281-A).
30. En l’occurrence, la Cour est disposée à permettre au cousin du requérant de poursuivre l’instance initialement introduite par ce dernier (voir, mutatis mutandis, Nerva et autres c. Royaume-Uni, no 42295/98, § 33, CEDH 2002-VIII, et Kirilova et autres c. Bulgarie, nos 42908/98, 44038/98, 44816/98 et 7319/02, § 85, 9 juin 2005).
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 1 DU PROTOCOLE No 1
31. Le requérant se plaignait de la réduction du montant de l’indemnité d’expropriation à cause de l’application de l’impôt prévu par la loi no 413 de 1991.
Il invoquait l’article 1 du Protocole no 1, qui se lit ainsi :
« Toute personne physique ou morale a droit au respect de ses biens. Nul ne peut être privé de sa propriété que pour cause d’utilité publique et dans les conditions prévues par la loi et les principes généraux du droit international.
Les dispositions précédentes ne portent pas atteinte au droit que possèdent les Etats de mettre en vigueur les lois qu’ils jugent nécessaires pour réglementer l’usage des biens conformément à l’intérêt général ou pour assurer le paiement des impôts ou d’autres contributions ou des amendes. »
A. Arguments des parties
1. Le requérant
32. Le requérant faisait valoir que l’indemnité d’expropriation ne peut pas être considérée comme un revenu, étant donné qu’elle constitue la réparation pour la perte du bien et que son montant ne dépasse pas la valeur marchande de celui-ci. Compte tenu de l’absence de plus-value, l’indemnité ne devrait pas être taxée.
33. En l’espèce, l’application de la loi litigieuse et la réduction du montant de l’indemnité d’expropriation n’étaient que la conséquence du retard de l’administration dans le versement d’une telle indemnité. De surcroît, les dispositions de la loi no 413 de 1991 ont été appliquées de manière rétroactive, étant donné qu’elles sont entrées en vigueur après l’adoption du décret d’expropriation et après la date à laquelle l’arrêt de la cour d’appel de Catane du 23 février 1990 était devenu définitif.
34. Enfin, le requérant allèguait qu’il n’a pas obtenu le versement du montant intégral de la réévaluation et des intérêts correspondant à l’ensemble de la période comprise entre l’adoption du décret d’expropriation et le versement de la deuxième tranche de l’indemnité d’expropriation. Il se réfère, sur ce point, à la jurisprudence développée par la Cour dans l’arrêt Akkuş c. Turquie (9 juillet 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-IV).
2. Le Gouvernement
35. Le Gouvernement s’oppose aux thèses du requérant et soutient que l’indemnité d’expropriation constitue un revenu qui doit être soumis en tant que tel aux impositions fiscales prévues par la législation en la matière.
36. S’agissant de la prétendue rétroactivité de la loi no 413 de 1991, il allègue qu’en matière fiscale, le moment décisif pour l’application d’un impôt est celui de la perception d’un revenu. Il s’ensuit que l’interprétation donnée par la Cour de cassation dans son arrêt du 11 janvier 2001 (paragraphe 26 ci-dessus) est correcte. Par ailleurs, la loi litigieuse est une loi fiscale, qui comme telle touche l’un des terrains de prédilection de la souveraineté étatique. Lorsqu’une obligation de nature patrimoniale découle d’une législation fiscale, le contentieux y afférent ne porte pas sur des « droits et obligations de caractère civil » (Ferrazzini c. Italie [GC], no 44759/98, § 29, ECHR 2001-VII). La matière fiscale – dont la loi no 413 de 1991 fait partie – serait soustraite à la juridiction de la Cour tant sous l’angle de l’article 6 de la Convention que sous l’angle de l’article 1 du Protocole no 1.
37. Enfin, le Gouvernement observe qu’en exécution de l’arrêt de la cour d’appel de Catane du 23 février 1990, l’indemnité d’expropriation a été payée en deux tranches, versées respectivement en 1992 et 1995, soit dans des délais raisonnables.
B. Appréciation de la Cour
38. La Cour rappelle que l’imposition fiscale constitue en principe une ingérence dans le droit garanti par le premier alinéa de l’article 1 du Protocole no 1 et que cette ingérence se justifie conformément au deuxième alinéa de cet article, qui prévoit expressément une exception pour ce qui est du paiement des impôts ou d’autres contributions (Di Belmonte c. Italie (no 2) (déc.), no 72665/01, 3 juin 2004).
39. La matière fiscale n’échappe pas pour autant à tout contrôle de la Cour, puisqu’elle doit vérifier si l’article 1 du Protocole no 1 a fait l’objet d’une application correcte. A cet égard, elle rappelle que le second alinéa de cette disposition doit se lire à la lumière du principe consacré par la première phrase de l’article. Il s’ensuit qu’une mesure d’ingérence doit ménager un « juste équilibre » entre les exigences de l’intérêt général de la communauté et les impératifs de la sauvegarde des droits fondamentaux de l’individu (Tre Traktörer AB c. Suède, 7 juillet 1989, § 59, série A no 159).
40. Par conséquent, l’obligation financière née du prélèvement d’impôts ou de contributions peut méconnaître la garantie consacrée par cette disposition si elle impose à la personne en cause une charge excessive ou porte fondamentalement atteinte à sa situation financière (Di Belmonte (no 2), décision précitée).
41. Par ailleurs, il appartient en premier lieu aux autorités nationales de décider du type d’impôts ou de contributions qu’il convient de lever. Les décisions en ce domaine impliquent normalement une appréciation des problèmes politiques, économiques et sociaux que la Convention laisse à la compétence des Etats parties, car les autorités internes sont manifestement mieux placées que la Cour pour apprécier ces problèmes. Les Etats parties disposent donc en la matière d’un large pouvoir d’appréciation (Gasus Dosier et Fördertechnik Gmbh c. Pays-Bas, 23 février 1995, § 60, série A no 306-B, et The National & Provincial Building Society, the Leeds Permanent Building Society and the Yorkshire Building Society c. Royaume-Uni, 23 octobre 1997, §§ 80-82, Recueil 1997-VII).
42. La Cour estime que la loi no 413 de 1991 s’inscrit dans cette marge d’appréciation de l’Etat, et que, par conséquent, elle ne saurait être considérée en tant que telle comme arbitraire. Il est vrai que, adoptée le 30 décembre 1991, elle a été appliquée au cas d’espèce bien qu’entrée en vigueur après l’expropriation du terrain du requérant (15 mars 1983 – paragraphe 10 ci-dessus) et après la date à laquelle l’arrêt de la cour d’appel de Catane fixant le montant de l’indemnité d’expropriation est devenu définitif (8 mai 1991 – paragraphe 14 ci-dessus). Cependant, elle était déjà en vigueur lorsque, les 27 mai 1992 et 4 janvier 1995, le requérant a encaissé les deux tranches de l’indemnité en question (paragraphes 17 et 18 ci-dessus). En tout état de cause, une éventuelle application rétroactive de la loi no 413 de 1991 au cas du requérant n’aurait pas constitué per se une violation de l’article 1 du Protocole no 1, car cette disposition n’interdit pas, en tant que telle, l’application rétroactive d’une loi fiscale (M.A. et autres c. Finlande (déc.), no 27793/95, 10 juin 2003, et Di Belmonte (no 2), décision précitée).
43. La question qui se pose est celle de savoir si, dans les circonstances concrètes de l’affaire, l’application de l’article 11 de la loi no 413 de 1991 a imposé au requérant une charge excessive.
44. A cet égard, la Cour observe d’abord qu’avant l’entrée en vigueur de la loi no 413 de 1991, les indemnités d’expropriation n’étaient soumises à aucune imposition fiscale (paragraphe 27 ci-dessus).
45. De plus, elle relève que la loi no 413 de 1991 est entrée en vigueur plus de sept mois après la date à laquelle l’arrêt de la cour d’appel de Catane fixant le montant de l’indemnité d’expropriation était devenu définitif (8 mai 1991). Elle estime par conséquent que le retard de l’administration publique dans l’exécution de cet arrêt a eu une influence déterminante sur l’application du nouveau régime fiscal. En effet, l’indemnité accordée au requérant n’aurait pas été assujettie à l’impôt prévu par la nouvelle législation fiscale si l’exécution de l’arrêt avait été régulière et ponctuelle (voir, a contrario, Di Belmonte (no 2), décision précitée, où l’arrêt fixant le montant de l’indemnité d’expropriation n’avait acquis l’autorité de la chose jugée que vingt jours avant l’entrée en vigueur de la loi no 413 de 1991). La réticence de l’administration à donner exécution à l’arrêt de la cour d’appel est par ailleurs confirmée par les nombreuses démarches que le requérant a dû entamer auprès du commissaire ad hoc et du TAR afin d’obtenir le paiement intégral de sa créance (paragraphes 16-18 ci-dessus).
46. A la lumière de ce qui précède, le Cour estime qu’en l’espèce, l’application de la loi no 413 de 1991 a rompu le « juste équilibre » devant régner entre les exigences de l’intérêt général de la communauté et les impératifs de la sauvegarde des droits fondamentaux de l’individu.
47. Ce constat suffit pour conclure à la violation de l’article 1 du Protocole no 1. Il n’est donc pas nécessaire d’examiner si, comme le prétend le requérant (paragraphe 34 ci-dessus), les autorités ont procédé à la fixation de l’indemnité d’expropriation en omettant de tenir compte des sommes dues au titre des intérêts et de la compensation de la dépréciation de la monnaie.
III. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DES ARTICLES 6 ET 14 DE LA CONVENTION
48. Le requérant invoque également le Préambule de la Convention, ainsi que les articles 6 et 14 de celle-ci.
49. Le Gouvernement observe que dans la mesure où les griefs du requérant peuvent s’interpréter comme portant sur la durée de la procédure afférente au versement de l’indemnité d’expropriation, il lui appartenait d’invoquer tout préjudice à cet égard par l’introduction d’un recours sur le fondement de la loi no 89 de 2001 (dite « loi Pinto »), qui constitue une voie de réparation ad hoc en matière de longueur des procédures judiciaires.
50. Toutefois, la Cour considère, à la lumière des conclusions auxquelles elle est parvenue sous l’angle de l’article 1 du Protocole no 1 (paragraphe 47 ci-dessus), qu’il n’est pas nécessaire d’examiner séparément s’il y a également eu violation des articles 6 et 14 de la Convention (voir, mutatis mutandis, Solomou et autres c. Turquie, no 36832/97, § 93, 24 juin 2008, et Maiorano et autres c. Italie, no 28634/06, § 135, 15 décembre 2009).
IV. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
51. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage matériel
52. Le requérant demande tout d’abord la restitution de la somme (1 018 352 149 ITL, soit 525 934,99 EUR) perçue par l’Etat à titre d’impôt sur l’indemnité d’expropriation. Il sollicite en outre 237 650,2 EUR pour compenser la dépréciation de la monnaie et 501 923,65 EUR au titre des intérêts légaux.
53. Le Gouvernement considère que les sommes sollicitées par le requérant sont excessives.
54. Ainsi que la Cour l’a dit à plusieurs occasions, un arrêt constatant une violation entraîne pour l’Etat défendeur l’obligation juridique de mettre un terme à la violation et d’en effacer les conséquences de manière à rétablir autant que faire se peut la situation antérieure à celle-ci (Iatridis c. Grèce (satisfaction équitable) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI). Si la nature de la violation permet une restitutio in integrum, il incombe à l’Etat défendeur de la réaliser, la Cour n’ayant ni la compétence ni la possibilité pratique de l’accomplir elle-même (Guiso-Gallisay c. Italie [GC], no 58858/00, § 90, 22 décembre 2009).
55. En l’espèce, la violation constatée par la Cour découle de l’application de l’impôt (à hauteur de 20% de l’indemnité d’expropriation due au requérant) prévu par la loi no 413 de 1991, application provoquée par le retard dans l’exécution de l’arrêt de la cour d’appel de Catane. La restitution de la somme prélevée à titre d’impôt (525 934,99 EUR) placerait donc l’héritier du requérant dans la situation où le défunt se serait trouvé si la violation n’avait pas eu lieu.
56. Etant donné que le caractère adéquat d’un dédommagement risque de diminuer si le paiement de celui-ci fait abstraction d’éléments susceptibles d’en réduire la valeur, tel l’écoulement d’un laps de temps considérable (Raffineries grecques Stran et Stratis Andreadis c. Grèce, 9 décembre 1994, § 82, série A no 301-B), ce montant devra être actualisé pour compenser les effets de l’inflation. Il faudra aussi l’assortir d’intérêts susceptibles de compenser, au moins en partie, le long laps de temps qui s’est écoulé depuis l’application de l’impôt litigieux. Aux yeux de la Cour, ces intérêts doivent correspondre à l’intérêt légal simple appliqué au capital progressivement réévalué (Guiso-Gallisay précité, § 105).
57. Compte tenu de ces éléments et statuant en équité, la Cour estime raisonnable d’accorder à l’héritier du requérant la somme de 1 100 000 EUR plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt sur cette somme.
B. Dommage moral
58. Le requérant demande 175 311,66 EUR pour préjudice moral, ce qui correspond à un tiers de la somme perçue par l’Etat à titre d’impôt sur l’indemnité d’expropriation.
59. La Cour estime que le sentiment d’impuissance et de frustration face au retard dans le versement de l’indemnité d’expropriation, doublé de l’entrée en vigueur et de l’application à son détriment des dispositions de la loi no 413 de 1991, a causé au requérant un préjudice moral, qu’il y a lieu de réparer de manière adéquate. Statuant en équité, comme le veut l’article 41 de la Convention, elle décide d’allouer 3 000 EUR de ce chef.
C. Frais et dépens
60. Se fondant sur les notes d’honoraires de ses conseils, le requérant demande le remboursement de ses frais et dépens, s’élevant à 40 646,81 EUR pour la procédure interne et à 46 315,39 EUR pour la procédure devant la Cour.
61. Le Gouvernement estime que les frais réclamés par le requérant sont excessifs.
62. Selon la jurisprudence constante de la Cour, l’allocation de frais et dépens au requérant ne peut intervenir que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux (Belziuk c. Pologne, 25 mars 1998, § 49, Recueil 1998-II).
63. La Cour juge excessif le montant sollicité pour les frais et dépens afférents à la procédure nationale et à la procédure devant elle et décide d’octroyer pour l’ensemble la somme globale de 10 000 EUR.
D. Intérêts moratoires
64. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Dit que l’héritier du requérant a qualité pour poursuivre la présente procédure en ses lieu et place ;
2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 1 du Protocole no 1 ;
3. Dit qu’il n’y a pas lieu d’examiner séparément les griefs tirés des articles 6 et 14 de la Convention ;
4. Dit
a) que l’Etat défendeur doit verser à l’héritier du requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes :
i. 1 100 000 EUR (un million cent mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour dommage matériel ;
ii. 3 000 EUR (trois mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour dommage moral ;
iii. 10 000 EUR (dix mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par l’héritier du requérant, pour frais et dépens ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;
5. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 16 mars 2010, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Françoise Elens-Passos Françoise Tulkens
Greffière adjointe Présidente
Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l’exposé de l’opinion séparée du juge Sajó.
F.T.
F.E.P.

OPINION CONCORDANTE DU JUGE SAJÓ
(Traduction)
Je souscris au constat de violation de l’article 1 du Protocole no 1 en l’espèce. Cependant, pour moi, cette violation est constituée par le fait même que l’indemnisation accordée n’a été en l’espèce équitable.
La question en l’espèce avait trait à la conformité ou non à la Convention d’un impôt de 20% grevant une indemnité d’expropriation. Selon l’arrêt, l’espèce peut être distinguée de l’affaire Di Belmonte no 2 (no 72665/01, 3 juin 2004). Dans les deux cas, le montant du dédommagement a été déterminé par une décision judiciaire définitive rendue avant l’entrée en vigueur d’une loi amendant le code des impôts (ci-après « l’amendement ») assujettissant les indemnités d’expropriation à un impôt de 20%. Dans l’affaire Di Belmonte no 2, l’arrêt fixant le montant de l’indemnité d’expropriation est passé en force de chose jugée vingt jours avant l’entrée en vigueur de l’amendement, alors qu’en l’espèce l’arrêt est devenu définitif sept mois avant que la nouvelle loi ne déploie ses effets., En l’espèce le requérant avait commencé à effectuer des démarches en vue de faire exécuter l’arrêt six mois après l’entrée en vigueur de l’amendement, alors qu’en l’espèce il a effectué les premières démarches en vue de l’exécution moins d’un mois après que l’arrêt est devenu définitif, et six mois avant l’entrée en vigueur de l’amendement, et l’ordonnance de paiement a été déposée avant l’entrée en vigueur de l’amendement. Dans les deux affaires, l’intéressé n’a été indemnisé qu’en février 1995, plus de trois ans après l’entrée en vigueur de l’amendement, et uniquement après la déduction de l’impôt de 20%.
L’amendement prévoit que l’impôt est applicable à tout dédommagement versé après le 1er janvier 1992. Comme la Cour l’a dit dans la décision concernant l’affaire Di Belmonte no 2, « l’indemnité accordée au requérant aurait été en tout cas diminuée si l’exécution du jugement avait été régulière et ponctuelle » (italique ajouté par moi). Toutefois, selon le présent arrêt, l’impôt s’est révélé être « une charge excessive » car, contrairement à la situation dans l’affaire Di Belmonte no 2, en l’espèce un retard de sept mois postérieur à la demande d’exécution est imputable aux autorités ; or, ce retard a été un facteur décisif pour l’applicabilité du nouveau régime financier. C’est là le motif de distinction entre les deux affaires. Reste à savoir si un retard de sept mois peut représenter un facteur décisif en la matière. Après tout, l’on pourrait soutenir que c’était le retard pris dans la procédure d’expropriation elle-même qui a rendu l’amendement applicable rétroactivement. La saga Di Belmonte no 2 a commencé en 1971, avant la présente affaire.
Toutefois, il n’y a pas lieu de distinguer la présente affaire de Di Belmonte no 2, puisque dans l’intervalle la Grande Chambre a eu l’occasion d’examiner l’impôt susvisé dans l’affaire Scordino c. Italie (no 1) ([GC], no 36813/97, CEDH 2006-V) : « quant à l’impôt de 20 % appliqué à l’indemnité d’expropriation accordée au niveau national, la Grande Chambre, à l’instar de la chambre, n’a pas conclu à l’illégalité de l’application de cet impôt en tant que telle mais a pris en compte cet élément dans l’appréciation de la cause » (§ 258). Le caractère adéquat d’un dédommagement risque de diminuer si le paiement de celui-ci fait abstraction d’éléments susceptibles d’en réduire la valeur. Une indemnisation qui dévie de la valeur marchande du bien exproprié n’est pas équitable, sauf si la différence est justifiée par des circonstances exceptionnelles. Or la présente espèce ne présente rien d’exceptionnel.
Certes, tout revenu généré par une transaction peut être assujetti à l’impôt.1 Mais une charge grevant une indemnité d’expropriation doit être appréciée en équité, quelle que soit la dénomination qu’on lui donne. L’appellation juridique donnée à la diminution de l’indemnisation n’entre pas en ligne de compte du point de vue de l’équité. Si l’on permettait à un Etat d’assujettir unilatéralement toute indemnité d’expropriation à un impôt global, il pourrait ainsi réduire systématiquement l’indemnisation à son propre profit.
Le Gouvernement soutient que toute aliénation de biens est soumise à l’impôt sur le revenu. Or, contrairement à la thèse qu’il défend, il existe une différence entre les aliénations de biens forcées imposées par l’Etat et d’autres formes d’aliénation. Cela n’est pas sans conséquence pour la valeur de l’indemnisation2. Sinon, l’Etat serait en mesure de procéder à sa guise à des aliénations de propriété à un « prix » réduit. Par exemple, si une taxe globale de 40% est imposée sur toutes les transactions foncières, les propriétaires hésiteront à vendre ; cependant, le propriétaire exproprié n’aura pas le choix, l’Etat devenant alors un « acheteur privilégié ».
Historiquement, l’indemnisation pleine et entière a été requise, pour éviter que les gouvernements soient incités à confisquer des biens privés à des fins politiques ou privées. Le risque que les pouvoirs publics abusent de leurs prérogatives sous le prétexte de servir l’intérêt général diminue lorsque de tels actes entraînent d’importantes conséquences budgétaires.
Les difficultés et incertitudes qui se font jour s’agissant de déterminer une indemnisation équitable dans certaines affaires d’expropriation de biens fonciers, comme l’illustrent les procédures concernant les biens de M. Di B., peuvent être liées à un problème inhérent à la méthodologie de proportionnalité suivie. A la lumière de la jurisprudence de la Cour et eu égard aux principes applicables, une mesure d’expropriation (comme toutes les atteintes aux biens) doit satisfaire aux exigences de la proportionnalité, c’est-à-dire qu’il doit y avoir une forme de proportionnalité entre l’intérêt général, la gravité de l’ingérence et la nature du bien. Dans certaines situations, un juste équilibre entre les divers intérêts en jeu peut être établi seulement si le montant de l’indemnisation est également pris en considération et, selon le contexte, ce peut être un prix inférieur à la valeur équitable, c’est-à-dire la valeur marchande, ou même rien du tout (Les Saints Monastères c. Grèce, 9 décembre 1994, § 75, série A no 301-A). Cela ne s’applique qu’à des situations exceptionnelles, eu égard en particulier aux intérêts de la justice sociale en général (James et autres c. Royaume-Uni, 21 février 1986, série A no 98) et/ou à la nature du bien, par exemple eu égard au caractère problématique de son acquisition (voir, par exemple, Jahn et autres c. Allemagne [GC], nos 46720/99, 72203/01 et 72552/01, CEDH 2005-VI). Cependant, dans des situations ordinaires, seule la valeur marchande est considérée comme équitable, pour des raisons de principe tenant au rôle de la propriété privée en tant que droit fondamental (voir ci-après), et il n’y a aucune place pour une analyse de proportionnalité supplémentaire. Loin d’être salutaire, une double dose de proportionnalité peut se révéler excessive.
Il me semble que l’origine du double recours à la proportionnalité tire son origine d’une interprétation curieuse donnée à une expression figurant au paragraphe 48 de l’arrêt Papachelas c. Grèce ([GC], no 31423/96, CEDH 1999-II), qui énonce que « sans le versement d’une somme raisonnablement en rapport avec la valeur du bien, une privation de propriété constitue normalement une atteinte excessive qui ne saurait se justifier sur le terrain de l’article 1. Ce dernier ne garantit pourtant pas dans tous les cas le droit à une compensation intégrale, car des objectifs légitimes « d’utilité publique » peuvent militer pour un remboursement inférieur à la pleine valeur marchande (voir l’arrêt Les saints monastères c. Grèce du 9 décembre 1994, série A no 301-A, pp. 34-35, §§ 70-71) ». Cette formule du « rapport raisonnable » a été utilisée hors contexte dans l’élaboration des normes d’indemnisation dans des affaires similaires, comme une invitation à se livrer à une analyse de proportionnalité. Or, pareille analyse secondaire de proportionnalité sous couvert de « rapport raisonnable » a pour inconvénient que la référence à la proportionnalité empêche de préciser ce qui donnerait à la diminution de l’indemnisation en cause un caractère équitable ou en quoi cette diminution serait proportionnée à un intérêt général allégué, ce qui n’a pas de poids particulier dans l’équation. Mais c’est en contradiction avec ce qu’a dit la Cour dans des affaires ordinaires, où il faut arriver à « une indemnisation intégrale3 ». Bien entendu, c’est aux tribunaux nationaux qu’il appartient de déterminer le montant particulier correspondant à une valeur marchande équitable au cours d’une procédure équitable qui satisfait aux exigences posées par la Convention, mais cela n’a conceptuellement rien à voir avec la démarche consistant à s’écarter délibérément de la valeur marchande, ce qui est une question de principe et demeure en définitive sous le contrôle de la Cour.
La Cour a estimé dans l’affaire Scordino (no 1) que la valeur marchande au moment de l’expropriation du bien servait de point de départ, mais pas pour l’analyse de proportionnalité. On en part uniquement pour arriver, après des ajustements, à une indemnisation adéquate, ce qui exige la prise en compte d’éléments additionnels qui, dans la plupart des cas, augmentent le montant à verser (Scordino, § 258). Pareils ajustements n’ont rien à voir avec la proportionnalité.
La propriété est une institution fondatrice de la démocratie et de l’autonomie personnelle. Tout ordre juridique prenant au sérieux le droit fondamental à la propriété privée doit empêcher que la protection de la propriété ne soit subordonnée, au moins dans les affaires ordinaires, à l’importance alléguée de l’intérêt général. Pareille allégation restreindrait la protection conventionnelle de la propriété pour la raison suivante. En effet, eu égard à sa nature subsidiaire et à sa position internationale, la Cour n’est pas vraiment en mesure d’apprécier et de contrôler les allégations et excuses fondées sur l’intérêt général et, en reconnaissant la pertinence de telles allégations dans des affaires ordinaires, elle devrait les accueillir sans autre examen. Ce faisant, elle perdrait le degré de contrôle approprié qu’elle exerce à l’heure actuelle en la matière.
1 Même l’imposition peut être soumise à une analyse de proportionnalité dans le cadre de la protection conventionnelle de la propriété : « l’obligation financière née du prélèvement d’impôts ou de contributions peut léser la garantie consacrée par cette disposition si elle impose à la personne ou à l’entité en cause une charge excessive ou porte fondamentalement atteinte à leur situation financière » (Balaž c Slovaquie (déc.), n° 60243/00, 16 septembre 2003 – voir également, par exemple, National & Provincial Building Society et autres c. Royaume-Uni, 23 octobre 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-VII)

2 Une indemnité d’expropriation qui reflète la valeur marchande du bien n’est pas identique à la valeur marchande. Après tout, la valeur marchande est établie dans le cadre d’un libre échange, ce qui n’est certainement pas le cas lors d’une expropriation, le propriétaire participant alors de manière bien involontaire à la transaction. Une indemnité d’expropriation peut être équitable, mais ce sera au mieux le reflet du prix du marché. L’impôt frappe l’indemnité qui est une estimation de seconde main de la valeur marchande, donc s’en éloigne systématiquement. Il faut ajouter que la Cour constitutionnelle italienne, lorsqu’elle a statué sur la question de savoir si le fait d’assujettir une indemnité d’expropriation à l’impôt sur le revenu était conforme à la Constitution, a déclaré que l’impôt s’appliquait à la plus-value générée par l’expropriation (la plusvalenza, vale a dire la differenza tra il corrispettivo percepito e il prezzo di aquisto in un tempo anteriore – voir l’arrêt de la Cour constitutionnelle n°410 du 20 juillet 1995)

3 Les termes employés par la Cour (indemnisation intégrale, pleine et entière, équitable, adéquate, excessive) ne revêtent aucun caractère talismanique. Ce qui compte est de définir quel est le montant (en fonction du prix du marché) qui remplit la fonction de protection de la propriété en tant que droit fondamental conventionnel. De plus, ce qui importe est que ces expressions soient liées à une certaine forme d’objectivité empêchant l’arbitraire judiciaire et l’assentiment à des jugements ad hoc rassurants mais intuitifs.

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