Conclusione Violazione di P1-1 ; Danno patrimoniale e morale – riparazione
SECONDA SEZIONE
CAUSA DI BELMONTE C. ITALIA
( Richiesta no 72638/01)
SENTENZA
STRASBURGO
16 marzo 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa di Belmonte c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Nona Tsotsoria, giudici,
e da Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 23 febbraio 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 72638/01) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. P. B. di B. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 2 luglio 2001 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da Me C.V. V. e C. Di A., avvocati a Bari. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo co-agente, il Sig. N. Lettieri.
3. Il richiedente adduceva che l’applicazione di una nuova legge fiscale all’indennità di espropriazione che gli era stata versata violava il suo diritto al rispetto dei suoi beni ed il suo diritto ad un processo equo.
4. Con una decisione del 30 agosto 2007, la Corte ha dichiarato la richiesta ammissibile.
5. Tanto il richiedente che il Governo hanno depositato delle osservazioni scritte sul merito della causa (articolo 59 § 1 dell’ordinamento).
6. Il 1 ottobre 2007, i rappresentanti del richiedente hanno informato la Corte che il loro cliente era deceduto il 27 giugno 2004 e che, ai termini del testamento pubblico del defunto, il suo erede universale unico era suo cugino, il Sig. F. B. di B.. Questo ultimo ha espresso il desiderio di continuare il procedimento dinnanzi alla Corte.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
7. Il richiedente, nato nel 1923, risiedeva prima del suo decesso ad Ispica (Ragusa).
A. L’espropriazione del terreno del richiedente ed il procedimento di determinazione dell’importo dell’indennità di espropriazione
8. Il richiedente era il proprietario di un terreno edificabile ubicato ad Ispica.
9. In una data non precisata, la municipalità di Ispica procedette all’occupazione di 51 180 metri quadrati di suddetto terreno, in vista di costruire delle abitazioni ad affitto moderato.
10. Con un’ordinanza del 15 marzo 1983, la municipalità di Ispica decretò l’espropriazione del terreno.
11. Il 20 luglio 1983, il richiedente citò la municipalità di Ispica dinnanzi alla corte di appello di Catania, in vista di ottenere un’indennità di espropriazione. Adduceva di avere diritto ad una somma corrispondente al valore commerciale del terreno, ai sensi della legge no 2359 del 1865. Inoltre, richiedeva un risarcimento per il ritardo nel pagamento dell’indennità.
12. Con una sentenza del 23 febbraio 1990, la corte di appello di Catania accolse il ricorso del richiedente e condannò l’amministrazione a versargli un’indennità di espropriazione uguale al valore commerciale del terreno, o 3 574 900 000 lire italiane (ITL) (-circa 1 846 281 euro (EUR)) alla quale dovevano aggiungersi gli interessi legali.
13. Inoltre, la corte di appello accordò un risarcimento per il ritardo nel pagamento dell’indennità, coprendo l’inflazione per il periodo riguardato.
14. Questa sentenza diventò definitiva l’ 8 maggio 1991.
B. Il procedimento di esecuzione
15. La municipalità di Ispica non avendo dato seguito alla sentenza del 23 febbraio 1990, il 5 giugno 1991 il richiedente sollecitò formalmente il pagamento; il 10 luglio 1991, introdusse un ricorso dinnanzi al tribunale amministrativo regionale (“il TAR”) di Sicilia, per ottenere l’esecuzione della sentenza controversa.
16. Con un giudizio del 9 ottobre 1991 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 28 novembre 1991, il TAR ordinò alla municipalità di Ispica di versare al richiedente l’indennità di espropriazione entro 60 giorni a contare dalla notifica del giudizio. Il TAR nominò anche un commissario ad hoc, incaricato di garantire il pagamento dell’indennità.
17. Il 27 maggio 1992, il richiedente incassò una prima fetta dell’indennità di espropriazione, a concorrenza di 1 540 000 000 di ITL (circa 795 343 EUR). L’ 8 luglio 1992, osservò che il commissario ad hoc aveva eseguito solamente parzialmente il suo mandato ed invitò il TAR a prendere le disposizioni necessarie. Con un giudizio del 30 luglio 1992, il TAR prorogò di 180 giorni il mandato del commissario. Il 21 giugno 1993, il richiedente notificò a questo ultimo un bando per compiere il suo mandato. Non avendo ottenuto nessuno risultato, nel settembre 1993, si rivolse di nuovo al TAR. Questo ultimo prorogò fino al 30 aprile 1994 il mandato del commissario e l’invitò a fornire ogni delucidazione necessaria in quanto ai passi che aveva iniziato. Il commissario non avendo dato seguito a questo invito, il 2 giugno 1994 il TAR decise di sostituirlo.
18. Il 4 gennaio 1995, il nuovo commissario ad hoc versò al richiedente 5 094 307 937 ITL, circa 2 630 990 EUR, o il saldo dovuto. Però, questo importo fu ridotto di 1 018 352 149 ITL, o 525 934,99 EUR, in applicazione della legge no 413 del 30 dicembre 1991. Questa legge contempla in particolare l’applicazione di un’imposta del 20% alla sorgente sulle indennità di espropriazione.
C. Il procedimento dinnanzi alle giurisdizioni fiscali
19. Con una lettera del 22 giugno 1995, il richiedente chiese all’amministrazione fiscale di versargli l’importo calcolato prima a titolo di imposta.
20. Questa domanda fu respinta da una decisione notificata il 6 febbraio 1996.
21. Il 27 marzo 1996, il richiedente introdusse un ricorso dinnanzi alla commissione fiscale provinciale di Ragusa. Contestava l’applicazione dell’imposta del 20% al caso di specie, dato che il decreto di espropriazione era anteriore all’entrata in vigore della legge no 413 del 1991.
22. Con un giudizio del 19 maggio 1998, la commissione fiscale provinciale accolse il ricorso del richiedente e condannò l’amministrazione a restituire l’importo calcolato in precedenza.
23. L’amministrazione interpose appello a questo giudizio dinnanzi alla commissione fiscale regionale di Palermo.
24. Con una decisione dell’ 11 dicembre 1999, la commissione fiscale regionale respinse questo appello.
25. Il 1 giugno 2000, l’amministrazione ricorse in cassazione.
26. Con una sentenza dell’ 11 gennaio 2001 il cui il testo fu depositato alla cancelleria l’ 11 aprile 2001, la Corte di cassazione fece diritto al ricorso dell’amministrazione. Stimò che la legge no 413 del 1991 era stata a buono diritto applicata al caso di specie; difatti, il momento decisivo per l’applicabilità di questa legge era quello del versamento dell’indennità di espropriazione e non quello del trasferimento di proprietà.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
27. Prima dell’adozione della legge no 413 del 1991, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 31 dicembre 1991 ed entrata in vigore il seguente giorno lavorativo, le indennità di espropriazione non erano assoggettate a nessuna imposta alla sorgente.
28. Nelle sue parti pertinenti, l’articolo 11 della legge no 413 del 30 dicembre 1991 si legge così:
“5. Per ciò che riguarda i plusvalori consecutivi all’ottenimento di indennità di espropriazione, si applica l’articolo 81, capoverso 1, b), ultima parte, del Repertorio delle disposizioni sui redditi.
(…)
7. Le amministrazioni, al momento del versamento delle somme menzionate ai capoversi5 e 6, ivi comprese le somme dovute per occupazione temporanea, risarcimento per espropriazione indiretta, rivalutazione ed interessi, devono effettuare una ritenuta proporzionale del 20% a titolo di imposta. (…). “
IN DIRITTO
I. QUESTIONE PRELIMINARE
29. La Corte constata al primo colpo che il richiedente è deceduto il 27 giugno 2004 e che suo cugino ed erede universale, il Sig. F. B. di B., ha informato la Corte che desiderava proseguire il procedimento (paragrafo 6 sopra). Se gli eredi di un richiedente deceduto non possono rivendicare un diritto generale affinché la Corte continui il suo esame della richiesta introdotta da questo ultimo (Scherer c. Svizzera, 25 marzo 1994, §§ 31-32, serie A no 287) la Corte ha ammesso a più riprese che i parenti prossimi di un richiedente deceduto sono in diritto di sostituirsi a lui (Deweer c. Belgio, 27 febbraio 1980, § 37, serie A no 35, e Raimondo c. Italia, 22 febbraio 1994, § 2, serie A no 281-A).
30. Nell’occorrenza, la Corte è disposta a permettere al cugino del richiedente di proseguire l’istanza inizialmente introdotta da questo ultimo (vedere, mutatis mutandis, Nerva ed altri c. Regno Unito, no 42295/98, § 33, CEDH 2002-VIII, e Kirilova ed altri c. Bulgaria, nostri 42908/98, 44038/98, 44816/98 e 7319/02, § 85, 9 giugno 2005).
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO NO 1
31. Il richiedente si lamentava della riduzione dell’importo dell’indennità di espropriazione a causa dell’applicazione dell’imposta prevista dalla legge no 413 del 1991.
Invocava l’articolo 1 del Protocollo no 1 che si legge così:
“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non a causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non recano offesa al diritto che possiedono gli Stati di mettere in vigore le leggi che giudicano necessarie per regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale o per garantire il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle multe. “
A. Argomenti delle parti
1. Il richiedente
32. Il richiedente faceva valere che l’indennità di espropriazione non può essere considerata come un reddito, dato che costituisce il risarcimento per la perdita del bene e che il suo importo non supera il valore commerciale di questo. Tenuto conto della mancanza di plusvalore, l’indennità non dovrebbe essere tassata.
33. Nello specifico, l’applicazione della legge controversa e la riduzione dell’importo dell’indennità di espropriazione era solamente la conseguenza del ritardo dell’amministrazione nel versamento di tale indennità. Per di più, le disposizioni della legge no 413 del 1991 sono state applicate in modo retroattivo, dato che sono entrate in vigore dopo l’adozione del decreto di espropriazione e dopo la data in cui la sentenza della corte di appello di Catania del 23 febbraio 1990 era diventata definitiva.
34. Infine, il richiedente adduceva di non aver ottenuto il versamento dell’importo integrale della rivalutazione e degli interessi corrispondenti all’insieme del periodo compreso tra l’adozione del decreto di espropriazione ed il versamento della seconda fetta dell’indennità di espropriazione. Si riferisce, su questo punto, alla giurisprudenza sviluppata dalla Corte nella sentenza Akkuş c. Turchia (9 luglio 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-IV).
2. Il Governo
35. Il Governo si oppone alle tesi del richiedente e sostiene che l’indennità di espropriazione costituisce un reddito che deve essere sottoposto in quanto tale alle imposte fiscali previste in materia dalla legislazione.
36. Trattandosi della pretesa retroattività della legge no 413 del 1991, adduce che in materia fiscale, il momento decisivo per l’applicazione di un’imposta è quello della percezione di un reddito. Ne segue che l’interpretazione data dalla Corte di cassazione nella sua sentenza dell’ 11 gennaio 2001 (paragrafo 26 sopra) è corretta. Peraltro, la legge controversa è una legge fiscale che come tale tocca uno dei terreni di predilezione della sovranità statale. Quando un obbligo di natura patrimoniale deriva da una legislazione fiscale, il contenzioso ivi afferente non verte su dei “diritti ed obblighi di carattere civile” (Ferrazzini c. Italia [GC], no 44759/98, § 29, ECHR 2001-VII) . La materia fiscal e-la cui legge no 413 del 1991 fa parte-sarebbe sottratta tanto alla giurisdizione della Corte sotto l’angolo dell’articolo 6 della Convenzione che sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1.
37. Infine, il Governo osserva che in esecuzione della sentenza della corte di appello di Catania del 23 febbraio 1990, l’indennità di espropriazione è stata pagata in due fette, versate rispettivamente nel 1992 e 1995, o nei termini ragionevoli.
B. Valutazione della Corte
38. La Corte ricorda che l’imposta fiscale costituisce in principio un’ingerenza nel diritto garantito dal primo capoverso dell’articolo 1 del Protocollo no 1 e che questa ingerenza si giustifica conformemente al secondo capoverso di questo articolo che contempla espressamente un’eccezione per ciò che riguarda il pagamento delle imposte o di altri contributi (Di Belmonte c. Italia (no 2) (déc.), no 72665/01, 3 giugno 2004).
39. La materia fiscale non sfugge per tanto ad ogni controllo della Corte, poiché deve verificare se l’articolo 1 del Protocollo no 1 è stato oggetto di un’applicazione corretta. A questo riguardo, ricorda che il secondo capoverso di questa disposizione si deve leggere alla luce del principio consacrato dalla prima frase dell’articolo. Ne segue che una misura di ingerenza deve predisporre un “giusto equilibrio” tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (Tre Traktörer AB c. Svezia, 7 luglio 1989, § 59, serie A no 159).
40. Di conseguenza, l’obbligo finanziario nato dal prelevamento di imposte o di contributi può ignorare la garanzia consacrata da questa disposizione se impone alla persona in causa fondamentalmente un carico eccessivo o porta attentato alla sua situazione finanziaria (Di Belmonte (no 2), decisione precitata).
41. Appartiene peraltro, in primo luogo alle autorità nazionali di decidere il tipo di imposte o di contributi che conviene togliere. Le decisioni in questo ambito implicano normalmente una valutazione dei problemi politici, economici e sociali che la Convenzione lascia alla competenza delle Stati parti, perché le autorità interne sono manifestamente meglio collocate rispetto alla Corte per valutare questi problemi. Gli Stati parti dispongono dunque in materia di un largo potere di valutazione (Gasus Dosier e Fördertechnik Gmbh c. Paesi Bassi, 23 febbraio 1995, § 60, serie A no 306-B, e The National & Provincial Building Society, the Leeds Permanent Building Society and the Yorkshire Building Society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, §§ 80-82, Raccolta 1997-VII).
42. La Corte stima che la legge no 413 del 1991 si inserisce in questo margine di valutazione dello stato, e che, di conseguenza, non potrebbe essere considerata in quanto tale come arbitraria. È vero che, adottata il 30 dicembre 1991, è stata applicata al caso di specifico ben dopo l’ entrata in vigore dell’espropriazione del terreno del richiedente (15 marzo 1983-paragrafo 10 sopra) e dopo la data in cui la sentenza della corte di appello di Catania che fissava l’importo dell’indennità di espropriazione è diventata definitiva (8 maggio 1991-paragrafo 14 sopra). Era però, già in vigore quando, il 27 maggio 1992 e il 4 gennaio 1995, il richiedente ha incassato le due fette dell’indennità in questione (paragrafi 17 e 18 sopra). Ad ogni modo, un’eventuale applicazione retroattiva della legge no 413 del 1991 al caso del richiedente non avrebbe costituito di per sé una violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1, perché questa disposizione non vieta, in quanto tale, l’applicazione retroattiva di una legge fiscale (M.A. ed altri c. Finlandia, (dec.), no 27793/95, 10 giugno 2003, e Di Belmonte, (no 2), decisione precitata).
43. La questione che si pone è quella di sapere se, nelle circostanze concrete della causa, l’applicazione dell’articolo 11 della legge no 413 del 1991 ha imposto al richiedente un carico eccessivo.
44. A questo riguardo, la Corte osserva da prima che prima dell’entrata in vigore della legge no 413 del 1991, le indennità di espropriazione non erano sottoposte a nessuna imposta fiscale (paragrafo 27 sopra).
45. In più, rileva che la legge no 413 del 1991 è entrata in vigore più di sette mesi dopo la data in cui la sentenza della corte di appello di Catania che fissava l’importo dell’indennità di espropriazione era diventata definitiva (8 maggio 1991). Stima di conseguenza che il ritardo dell’amministrazione pubblica nell’esecuzione di questa sentenza ha avuto un’influenza determinante sull’applicazione del nuovo regime fiscale. Difatti, l’indennità accordata al richiedente non sarebbe stata assoggettata all’imposta prevista dalla nuova legislazione fiscale se l’esecuzione della sentenza fosse stata regolare e puntuale (vedere, a contrario, Di Belmonte (no 2), decisione precitata, dove la sentenza che fissava l’importo dell’indennità di espropriazione aveva acquisito l’autorità di cosa giudicata solo venti giorni prima dell’entrata in vigore della legge no 413 del 1991). La reticenza dell’amministrazione a dare esecuzione alla sentenza della corte di appello è confermata peraltro dai numerosi passi che il richiedente ha dovuto iniziare presso il commissario ad hoc e il TAR per ottenere il pagamento integrale del suo credito (paragrafi 16-18 sopra).
46. Alla luce di ciò che precede, la Corte stima che nello specifico, l’applicazione della legge no 413 del 1991 ha rotto “il giusto equilibrio” che deve regnare tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo.
47. Questa constatazione basta per concludere alla violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1. Non è necessario esaminare dunque se, come pretende il richiedente (paragrafo 34 sopra) le autorità hanno proceduto alla determinazione dell’indennità di espropriazione omettendo di tenere conto delle somme dovute a titolo degli interessi e del compenso del deprezzamento della moneta.
III. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DEGLI ARTICOLI 6 E 14 DELLA CONVENZIONE
48. Il richiedente invoca anche il Preambolo della Convenzione, così come gli articoli 6 e 14 di questa.
49. Il Governo osserva che nella misura in cui i motivi di appello del richiedente si possono interpretare come riguardanti la durata del procedimento afferente al versamento dell’indennità di espropriazione, gli apparteneva invocare a questo riguardo ogni danno con l’introduzione di un ricorso sul fondamento della legge no 89 di 2001 (detta “legge Pinto”) che costituisce una via di risarcimento ad hoc in materia di lunghezza dei procedimenti giudiziali.
50. Tuttavia, la Corte considera, alla luce delle conclusioni alle quali è giunta sotto l’angolo dell’articolo 1 del Protocollo no 1 (paragrafo 47 sopra) che non è necessario esaminare separatamente se c’è stata anche violazione degli articoli 6 e 14 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Solomou ed altri c. Turchia, no 36832/97, § 93, 24 giugno 2008, e Maiorano ed altri c. Italia, no 28634/06, § 135, 15 dicembre 2009).
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
51. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno patrimoniale
52. Il richiedente chiede innanzitutto la restituzione della somma (1 018 352 149 ITL, o 525 934,99 EUR) percepita dallo stato a titolo di imposta sull’indennità di espropriazione. Sollecita inoltre 237 650,2 EUR per compensare il deprezzamento della moneta e 501 923,65 EUR a titolo degli interessi legali.
53. Il Governo considera che le somme sollecitate dal richiedente sono eccessive.
54. Così come la Corte ha detto in parecchie occasioni, una sentenza che constata una violazione provoca per lo stato convenuto l’obbligo giuridico di mettere un termine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire tanto quanto si può fare la situazione anteriore a questa (Iatridis c. Grecia (soddisfazione equa) [GC], no 31107/96, § 32, CEDH 2000-XI). Se la natura della violazione permette una restitutio in integrum, incombe sullo stato convenuto di realizzarla, non avendo la Corte né la competenza né la possibilità pratica di compierla lei stessa (Guiso-Gallisay c. Italia [GC], no 58858/00, § 90, 22 dicembre 2009).
55. Nello specifico, la violazione constatata dalla Corte deriva dall’applicazione dell’imposta, all’altezza del 20% dell’indennità di espropriazione dovuta al richiedente, prevista dalla legge no 413 del 1991, applicazione provocata dal ritardo nell’esecuzione della sentenza della corte di appello di Catania. La restituzione della somma prelevata a titolo di imposta (525 934,99 EUR) porrebbe dunque l’erede del richiedente nella situazione in cui il defunto si sarebbe trovato se la violazione non avesse avuto luogo.
56. Dato che il carattere adeguato di un risarcimento rischia di sminuire se il pagamento di questo fa astrazione di elementi suscettibili di ridurne il valore, come lo scorrimento di un lasso di tempo considerevole (Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 82, serie A no 301-B) questo importo dovrà essere attualizzato per compensare gli effetti dell’inflazione. Bisognerà anche abbinare degli interessi suscettibili di compensare, almeno in parte, il lungo lasso di tempo che è trascorso dall’applicazione dell’imposta controversa. Agli occhi della Corte, questi interessi devono corrispondere all’interesse legale semplice applicato al capitale progressivamente rivalutato (Guiso-Gallisay precitata, § 105,).
57. Tenuto conto di questi elementi e deliberando in equità, la Corte stima ragionevole accordare all’erede del richiedente la somma di 1 100 000 EUR più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta su questa somma.
B. Danno morale
58. Il richiedente chiede 175 311,66 EUR per danno morale, ciò che corrisponde ad un terzo della somma percepita dallo stato a titolo di imposta sull’indennità di espropriazione.
59. La Corte stima che il sentimento di impotenza e di frustrazione di fronte al ritardo nel versamento dell’indennità di espropriazione, insieme all’entrata in vigore e al’applicazione a suo scapito delle disposizioni della legge no 413 del 1991, ha causato al richiedente un danno morale, che c’è luogo di riparare in modo adeguato. Deliberando in equità, come vuole l’articolo 41 della Convenzione, decide di assegnare 3 000 EUR di questo capo.
C. Oneri e spese
60. Basandosi sulle note di parcella dei suoi consiglieri, il richiedente chiede il rimborso dei suoi oneri e spese, che ammontano a 40 646,81 EUR per il procedimento interno ed a 46 315,39 EUR per il procedimento dinnanzi alla Corte.
61. Il Governo stima che gli oneri richiesti dal richiedente sono eccessivi.
62. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, il sussidio di oneri e spese al richiedente può intervenire solamente nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Belziuk c. Polonia, 25 marzo 1998, § 49, Raccolta 1998-II).
63. La Corte giudica eccessivo l’importo sollecitato per gli oneri e le spese afferenti al procedimento nazionale ed al procedimento dinnanzi a lei e decide di concedere per l’insieme la somma globale di 10 000 EUR.
D. Interessi moratori
64. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Stabilisce che l’erede del richiedente ha il requisito per proseguire il presente procedimento al suo posto;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1;
3. Stabilisce che non c’è luogo di esaminare separatamente i motivi di appello tratti dagli articoli 6 e 14 della Convenzione;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare all’erede del richiedente, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. 1 100 000 EUR (un milione centomila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno patrimoniale;
ii. 3 000 EUR (tremila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
iii. 10 000 EUR (diecimila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dall’erede del richiedente, per oneri e spese;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 16 marzo 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione separata dal giudice Sajó.
F.T.
F.E.P.
OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE SAJÓ
(Traduzione)
Aderisco alla constatazione di violazione dell’articolo 1 del Protocollo no 1 nello specifico. Però, per me, questa violazione è costituita dal fatto anche che l’indennizzo accordato non è stato nello specifico equo.
La questione nello specifico aveva fatto riferimento alla conformità o meno alla Convenzione di un’imposta del 20% che gravava un’indennità di espropriazione. Secondo la sentenza, lo specifico può essere distinto dalla causa Di Belmonte no 2 (no 72665/01, 3 giugno 2004,). Nei due casi, l’importo del risarcimento è stato determinato tramite una decisione giudiziale definitiva resa prima dell’entrata in vigore di una legge che emendava il codice delle imposte (qui di seguito “l’emendamento”) assoggettando le indennità di espropriazione ad un’imposta del 20%. Nella causa Di Belmonte no 2, la sentenza che fissava l’importo dell’indennità di espropriazione è passata in giudicato venti giorni prima dell’entrata in vigore dell’emendamento, mentre nello specifico la sentenza è diventata definitiva sette mesi prima che la nuova legge esponesse i suoi effetti., Nello specifico il richiedente aveva cominciato ad effettuare dei passi in vista di fare eseguire la sentenza sei mesi dopo l’entrata in vigore dell’emendamento, mentre nello specifico ha effettuato i primi passi in vista dell’esecuzione meno di un mese dopo che la sentenza è diventata definitiva, e sei mesi prima dell’entrata in vigore dell’emendamento, e l’ordinanza di pagamento è stata depositata prima dell’entrata in vigore dell’emendamento. Nelle due cause, l’interessato è stato indennizzato solo nel febbraio 1995, più di tre anni dopo l’entrata in vigore dell’emendamento, ed unicamente dopo la deduzione dell’imposta del 20%.
L’emendamento contempla che l’imposta è applicabile ad ogni risarcimento versato dopo il 1 gennaio 1992. Come la Corte ha detto nella decisione concernente la causa Di Belmonte no 2, “l’indennità accordata al richiedente sarebbe stata sminuita in ogni caso se l’esecuzione del giudizio fosse stata regolare e puntuale” (italico aggiunto da me). Tuttavia, secondo la presente sentenza, l’imposta si è rivelata essere “un carico eccessivo” perché, contrariamente alla situazione nella causa Di Belmonte no 2, nello specifico un ritardo di sette mesi posteriore all’istanza di esecuzione è imputabile alle autorità; ora, questo ritardo è stato un fattore decisivo per l’applicabilità del nuovo regime finanziario. Ecco il motivo di distinzione tra le due cause. Resta da sapere se un ritardo di sette mesi può rappresentare in materia un fattore decisivo. Dopo tutto, si potrebbe sostenere che era il ritardo avvenuto nel procedimento di espropriazione stesso che ha reso applicabile in modo retroattivo l’emendamento. La saga Di Belmonte no 2 è cominciata nel 1971, prima della presente causa.
Tuttavia, non c’è luogo di distinguere la presente causa da Di Belmonte no 2, poiché nell’intervallo la Grande Camera ha avuto l’occasione di esaminare l’imposta riguardata nella causa Scordino c. Italia (no 1) ([GC], no 36813/97, CEDH 2006-V): “in quanto all’imposta del 20% applicata all’indennità di espropriazione accordata a livello nazionale, la Grande Camera, come la camera, non ha concluso all’illegalità dell’applicazione di questa imposta in quanto tale ma ha preso in conto questo elemento nella valutazione della causa” (§ 258). Il carattere adeguato di un risarcimento rischia di sminuire se il pagamento di questo fa astrazione di elementi suscettibili di ridurne il valore. Un indennizzo che devia del valore commerciale del bene dell’espropriato non è equo, salvo se la differenza è giustificata da circostanze eccezionali. Ora il presente caso non presenta nulla di eccezionale.
Certo, ogni reddito generato da una transazione può essere assoggettato all’imposta.1 ma un carico che grava su un’indennità di espropriazione deve essere valutato in equità, qualunque sia la denominazione che gli si dà. La denominazione giuridica data alla diminuzione dell’indennizzo non entra in fila di conto dal punto di vista dell’equità. Se si permettesse ad un Stato di assoggettare unilateralmente ogni indennità di espropriazione ad un’imposta globale, potrebbe così ridurre sistematicamente l’indennizzo a suo proprio profitto.
Il Governo sostiene che ogni alienazione di beni è sottoposta all’imposta sul reddito. Ora, contrariamente alla tesi che difende, esiste una differenza tra le alienazioni di beni imposte dallo stato e altre forme di alienazione. Ciò non è senza conseguenza per il valore dell’indennizzo2. Se no, lo stato sarebbe in grado di procedere a suo modo alle alienazioni di proprietà ad un “prezzo” ridotto. Per esempio, se una tassa globale del 40% è imposta su tutte le transazioni fondiarie, i proprietari esiteranno a vendere; però, il proprietario espropriato non avrà la scelta, diventando lo stato allora un “acquirente privilegiato”.
Storicamente, l’indennizzo pieno ed intero è stato richiesto, per evitare che i governi siano incitati a confiscare dei beni privati ai fini politici o privati. Il rischio che i poteri pubblici si approfittino delle loro prerogative sotto il pretesto di servire l’interesse generale sminuisce quando tali atti provocano delle importanti conseguenze di bilancio.
Le difficoltà ed incertezze che si presentano trattandosi di determinare un indennizzo equo in certe cause di espropriazione di beni fondiari, come illustrano i procedimenti concernenti i beni del Sig. Di B., possono essere legate ad un problema inerente alla metodologia di proporzionalità seguito. Alla luce della giurisprudenza della Corte ed avuto riguardo ai principi applicabili, una misura di espropriazione, come tutti gli attentati ai beni, deve soddisfare le esigenze di proporzionalità, cioè deve avere una forma di proporzionalità tra gli interessi generali, la gravità dell’ingerenza e la natura del bene. In certe situazioni, un giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco può essere stabilito solamente se l’importo dell’indennizzo è preso anche in considerazione e, secondo il contesto, può essere un prezzo inferiore al valore equo, cioè il valore commerciale, o anche niente (I Santi Monasteri c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 75, serie A no 301-A). Ciò si applica solamente a situazioni eccezionali, avuto in particolare in generale riguardo agli interessi della giustizia sociale (James ed altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, serie A no 98) e/o alla natura del bene, avuto riguardo al carattere problematico della sua acquisizione per esempio (vedere, per esempio, Jahn ed altri c. Germania [GC], numeri 46720/99, 72203/01 e 72552/01, CEDH 2005-VI). Però, nelle situazioni ordinarie, solo il valore commerciale è considerato come equo, per le ragioni di principio che tendono al ruolo della proprietà privata in quanto diritto fondamentale (vedere qui di seguito), e non c’è nessuno posto per un’analisi di proporzionalità supplementare. Lontano dall’ essere salutare, una doppio dose di proporzionalità può rivelarsi eccessiva.
Mi sembra che l’origine del doppio ricorso alla proporzionalità tragga la sua origine da un’interpretazione curiosa data ad un’espressione che figura al paragrafo 48 della sentenza Papachelas c. Grecia ([GC], no 31423/96, CEDH 1999-II) che enuncia che “senza il versamento di una somma ragionevolmente in rapporto col valore del bene, una privazione di proprietà costituisce normalmente un attentato eccessivo che non potrebbe giustificarsi sul terreno dell’articolo 1. Questo ultimo non garantisce tuttavia in ogni caso il diritto ad un compenso integrale, perché degli obiettivi legittimi “di utilità pubblica” possono militare per un rimborso inferiore al pieno valore commerciale (vedere la sentenza I santi monasteri c. Grecia del 9 dicembre 1994, serie A no 301-A, pp. 34-35, §§ 70-71).” Questa formula del “rapporto ragionevole” è stata utilizzata fuori contesto nell’elaborazione delle norme di indennizzo in cause simili, come un invito a concedersi ad un’analisi di proporzionalità. Ora, simile analisi secondaria di proporzionalità sotto copertura di “rapporto ragionevole” ha per inconveniente che il riferimento alla proporzionalità impedisce di precisare ciò che darebbe alla diminuzione dell’indennizzo in causa un carattere equo o in che cosa questa diminuzione sarebbe proporzionata ad un interesse generale addotto, il che non ha peso particolare nell’equazione. Ma è in contraddizione con ciò che ha detto la Corte nelle cause ordinarie, dove bisogna arrivare a “un indennizzo integrale3.” Beninteso, spetta ai tribunali nazionali determinare l’importo particolare corrispondente ad un valore commerciale equo durante un procedimento equo che soddisfa le esigenze poste dalla Convenzione, ma ciò non ha concettualmente niente a vedere col passo che consiste nello scostarsi deliberatamente dal valore commerciale, il che è una questione di principio e rimane in definitiva sotto il controllo della Corte.
La Corte ha stimato nella causa Scordino (no 1) che il valore commerciale al momento dell’espropriazione del bene serviva da punto di partenza, ma non per l’analisi di proporzionalità. Si parte da ciò unicamente per arrivare, dopo gli adeguamenti, ad un indennizzo adeguato, il che esige la presa in conto di elementi addizionali che, nella maggior parte dei casi, aumentano l’importo da versare (Scordino, § 258). Simili adeguamenti non hanno niente a vedere con la proporzionalità.
La proprietà è un’istituzione fondatrice della democrazia e dell’autonomia personale. Ogni ordine giuridico che prende sul serio il diritto fondamentale alla proprietà privata deve impedire che la protezione della proprietà sia subordinata, almeno nelle cause ordinarie, all’importanza addotta dell’interesse generale. Simile affermazione restringerebbe la protezione convenzionale della proprietà per la seguente ragione. Difatti, avuto riguardo alla sua natura accessoria ed alla sua posizione internazionale, la Corte non è veramente in grado di valutare e di controllare le affermazioni e le scuse fondate sull’interesse generale e, riconoscendo la pertinenza di tali affermazioni nelle cause ordinarie, dovrebbe accoglierle senza altro esame. Ciò facendo, perderebbe il grado di controllo appropriato che esercita al momento in materia.
1 anche l’imposta può essere sottoposta ad un’analisi di proporzionalità nella cornice della protezione convenzionale della proprietà: “l’obbligo finanziario nato dal prelevamento di imposte o di contributi può ledere la garanzia consacrata da questa disposizione se impone fondamentalmente alla persona o all’entità in causa un carico eccessivo o porta attentato alla loro situazione finanziaria” (Balaž c Slovacchia, (dec.), n° 60243/00, 16 settembre 2003-vedere anche, per esempio, National & Provincial Building Society e altri c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VII)
2 un’indennità di espropriazione che riflette il valore commerciale del bene non è identica al valore commerciale. Dopo tutto, il valore commerciale è stabilito nella cornice di un libero scambio, ciò che non è certamente il caso all’epoca di un’espropriazione, partecipando il proprietario allora in modo ben involontario alla transazione. Un’indennità di espropriazione può essere equa, ma sarà per il meglio il riflesso del prezzo del mercato. L’imposta colpisce l’indennità che è una stima di seconda mano del valore commerciale, dunque se ne allontana sistematicamente. Bisogna aggiungere che la Corte costituzionale italiana, quando ha deliberato sulla questione di sapere se il fatto di assoggettare un’indennità di espropriazione all’imposta sul reddito era conforme alla Costituzione, ha dichiarato che l’imposta si applicava al plusvalore generato dall’espropriazione (la plusvalenza, vale ha dire la differenza tra il corrispettivo percepito ed il prezzo di acquisto in un tempo anteriore -vedere la sentenza della Corte costituzionale n°410 del 20 luglio 1995)
3 i termini adoperati dalla Corte (indennizzo integrale, pieno ed intero, equo, adeguato, eccessivo) non rivestono nessun carattere talismanico. Ciò che conta è di definire quale è l’importo, in funzione del prezzo del mercato che assolve la funzione di protezione della proprietà in quanto diritto fondamentale convenzionale. In più, ciò che importa è che queste espressioni siano legate ad una certa forma di obiettività che impedisce l’arbitrarietà giudiziale e l’assenso ai giudizi ad hoc rassicuranti ma intuitivi.