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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE DHAHBI c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 2
Articoli: 41, 14, 06
Numero: 17120/09/2014
Stato: Italia
Data: 2014-04-08 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusioni: Violazione dell’articolo 6 – Diritto ad un processo equo, Articolo 6 – Procedimento civile Articolo 6-1 – Accesso ad un tribunale, Violazione dell’articolo 14+8 – Interdizione della discriminazione, Articolo 14 – Discriminazione (Articolo 8) – Diritto al rispetto della vita privata e familiare Articolo 8-1 – Rispetto della vita familiare, Danno patrimoniale e danno morale – risarcimento

SECONDA SEZIONE

CAUSA DHAHBI C. ITALIA

( Richiesta no 17120/09)

SENTENZA

STRASBURGO

8 aprile 2014

Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Dhahbi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Egli ıKaraka, şpresidentessa,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Nebojša Vuinić,
Helen Keller,
Paul Lemmens,
Egidijus Kris, giudici,
e daStanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 18 marzo 2014,
Rende la sentenza che ha adottato questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 17120/09) diretta contro la Repubblica italiana e di cui un cittadino di questo Stato, il Sig. OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 28 marzo 2009 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è stato rappresentato da OMISSIS, avvocato a Milano. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e col suo coagente, la Sig.ra P. Accardo.
3. Il richiedente adduce di essere stato vittima di una discriminazione fondata sulla sua nazionalità all’epoca dei fatti, e si lamenta peraltro che la Corte di cassazione ha ignorato la sua domanda di rinvio di una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’unione europea nel procedimento ivi afferente.
4. Il 11 giugno 2013, la richiesta è stata comunicata al Governo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1960 e ha risieduto a Marsala (Trapani).
6. Il richiedente che ha acquisito poi la nazionalità italiana, era all’epoca dei fatti un cittadino tunisino che si era reso in Italia sulla base di un permesso di soggiorno e di lavoro regolare. Fu assunto dal società A. e fu garantito presso dell’istituto nazionale della sicurezza sociale, Istituto Nazionale della Previdenza Sociale-INPS. La sua famiglia comprendeva sua sposa ed i loro quattro bambini minorenne. I suoi redditi per l’anno 1999 ammontavano a 30 655 000 lire italiane, ITL -circa 15 832 euro (EUR)).
7. Il 24 maggio 2001, il richiedente introdusse un ricorso dinnanzi al tribunale di Marsala, chiamata a deliberare come giudice del lavoro, per ottenere il versamento del sussidio di focolare familiare, assegno per nucleo familiare, previsto dall’articolo 65 della legge no 448 del 1998. Ai termini di questa disposizione, il sussidio in questione era concesso dall’INPS alle famiglie composte di cittadini italiani che risiedono in Italia, con almeno tre bambini minorenne, quando il loro reddito annuo era inferiore agli importi indicati nel quadro annesso legislativo no 109 al decreto del 31 marzo 1998, nell’occorrenza 36 milioni di ITL-circa 18 592 EUR-per le famiglie composte di cinque persone.
8. Il richiedente considerava che anche se non aveva la nazionalità italiana, siccome l’esigeva la legge no 448 del 1998, il sussidio gli era dovuto in virtù dell’accordo di associazione tra l’unione europea e la Tunisia -dice “Accordo euro-mediterraneo”-, ratificato dall’Italia, legge no 35 del 3 febbraio 1997. L’articolo 65 di questo testo si legge come segue:
“1. Sotto riserva delle disposizioni dei seguenti paragrafi, i lavoratori di nazionalità tunisina ed i membri della loro famiglia che risiede con essi beneficiano, nella tenuta della sicurezza sociale, di un regime caratterizzato dalla mancanza di ogni discriminazione fondata sulla nazionalità rispetto ai propri cittadini degli Stati membri in che sono occupati.
La nozione di “sicurezza sociale” copre i rami di sicurezza sociale che riguardano le prestazioni di malattia e di maternità, le prestazioni di invalidità, di vecchiaia, di superstiti, le prestazioni di incidente di lavoro e di malattia professionale, i sussidi di decesso, le prestazioni di disoccupazione e le prestazioni familiari.
Tuttavia, questa disposizione non può avere per effetto di rendere applicabili le altre regole di coordinamento previsto dalla regolamentazione comunitaria fondata sull’articolo 51 del trattato Questo, diversamente che nelle condizioni fissate dall’articolo 67 del presente accordo.
2. Questi lavoratori beneficiano della totalizzazione dei periodi di assicurazione, di impiego o di residenza compiuto nei differenti Stati membri, per ciò che riguarda le pensioni e rendite di vecchiaia, di invalidità e di sopravvivenza, le prestazioni familiari, le prestazioni di malattia e di maternità così come le cure di salute per loro stessi e la loro famiglia risiedendo dentro alla Comunità.
3. Questi lavoratori beneficiano delle prestazioni familiari per i membri della loro famiglia che risiede dentro alla Comunità.
4. Questi lavoratori beneficiano del libero trasferimento verso la Tunisia, ai tassi applicati in virtù della legislazione dello stato membro o degli Stati membri debitori, delle pensioni e rendite di vecchiaia, di sopravvivenza e di incidente di lavoro o di malattia professionale, così come di invalidità, in caso di incidente di lavoro o di malattia professionale, eccetto le prestazioni speciali a carattere non contributivo.
5. La Tunisia accorda ai lavoratori cittadini degli Stati membri occupati sul suo territorio, così come ai membri della loro famiglia, un regime analogo a quello previsto ai paragrafi 1, 3 e 4. “
9. Con un giudizio del 10 aprile 2002, il tribunale di Marsala respinse il ricorso del richiedente.
10. Il richiedente interpose appello. Chiese, entra altri che siano posti a titolo pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’unione europea (CJUE) la questione di sapere se l’articolo 65 dell’accordo euro-mediterraneo permetteva di rifiutare il sussidio familiare previsto dall’articolo 65 della legge no 448 del 1998 ad un lavoratore tunisino.
11. Con una sentenza del 21 ottobre 2004, la corte di appello di Palermo respinse l’appello del richiedente. Osservò che, essendo fondata unicamente sui redditi e la situazione familiare dei beneficiari, il sussidio sollecitato rilevava dell’assistenza sociale (assistenza sociale). Era contemplata inizialmente solamente per i cittadini italiani, ed era stata estesa poi a tutti i cittadini dell’unione europea. Ora, l’accordo euro-mediterraneo riguardava solamente le prestazioni di previdenza, prestazioni previdenziali, e non era dunque applicabile al sussidio di focolare familiare previsto dall’articolo 65 della legge no 448 del 1998.
12. Il richiedente si ricorse in cassazione, reiterando la sua domanda di rinvio di una questione pregiudiziale al CJUE.
13. Con una sentenza del 15 aprile 2008 di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 29 settembre 2008, la Corte di cassazione respinse il ricorso.
14. Nei suoi motivi, la Corte di cassazione osservò innanzitutto che l’articolo 64 §§ 1 e 2 dell’accordo euro-mediterraneo disponeva in particolare:
“1. Ogni Stato membro accorda ai lavoratori di nazionalità tunisina occupata sul suo territorio un regime caratterizzato dalla mancanza di ogni discriminazione fondata sulla nazionalità rispetto ai suoi propri cittadini, in ciò che riguarda le condizioni di lavoro, di rimunerazione e di licenziamento.
2. Tutto lavoratore tunisino autorizzato ad esercitare un’attività professionale salariata sul territorio di un Stato membro a titolo temporaneo beneficia delle disposizioni del paragrafo 1 in ciò che riguarda le condizioni di lavoro e di rimunerazione. “
15. Rilevando che questo testo si riferiva esplicitamente alle relazioni di lavoro ed agli elementi che li costituivano, la Corte di cassazione ne dedusse che non trovava ad applicarsi che alle prestazioni di previdenza, e non ai sussidi di assistenza, come quella rivendicato dal richiedente ed alla quale i cittadini tunisini che risiedono in Italia non avevano dritti. Questa interpretazione era anche secondo lei confermata dall’articolo 65 §§ 1 e 2 dell’accordo euro-mediterraneo che menzionava in particolare “le prestazioni di malattia e di maternità, le prestazioni di invalidità, di vecchiaia, di superstiti, le prestazioni di incidente di lavoro e di malattia professionale, i sussidi di decesso, le prestazioni di disoccupazione e le prestazioni familiari.” La Corte di cassazione sottolineò che la sua interpretazione non si basava solamente sul riferimento testuale alla “sicurezza sociale” (previdenza sociale) ma, come indicato col CJUE, sugli elementi costitutivi di ogni prestazione.
16. Questa sentenza fu notificata al richiedente il 2 ottobre 2008.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
17. Il richiedente adduce che la Corte di cassazione ha ignorato la sua domanda di porre una questione pregiudiziale al CJUE in quanto all’interpretazione dell’accordo euro-mediterraneo.
Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, è formulato così:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile. “
18. Il Governo combatte la tesi del richiedente.
A. Sull’ammissibilità
1. L’eccezione del Governo derivato della tardività della richiesta
19. Il Governo eccepisce innanzitutto della tardività della richiesta, osservando che questa non sarebbe stato introdotto che il 2 aprile 2009, mentre la sentenza della Corte di cassazione è stata depositata alla cancelleria il 29 settembre 2008, paragrafo 13 sopra.
20. Il richiedente ribatte che la sua richiesta è stata introdotta il 28 marzo 2009, data alla quale ne ha mandato una copia alla cancelleria della Corte con fax e con corrispondenza. Precisa che la sentenza della Corte di cassazione non gli è stata notificata che il 2 ottobre 2008, paragrafo 16 sopra. Ora, è a questa ultimo dato che converrebbe secondo lui di fissare il punto di partenza del termine di sei mesi.
21. La Corte nota che il 28 marzo 2009, il richiedente ha mandato da fax alla cancelleria che l’ha ricevuta lo stesso giorno, una copia del formulario di richiesta debitamente piena. Un’altra copia è stata mandata da corrispondenza e è giunta alla cancelleria della Corte il 2 aprile 2009. La richiesta deve essere considerata dunque come essendo stata introdotta il 28 marzo 2009. Quindi, a supporre anche che, siccome lo vorrebbe il Governo, il punto di partenza del termine di sei mesi contemplati 35 § 1 all’articolo della Convenzione debba essere fissato al 29 settembre 2008, questo termine è stato rispettato comunque.
22. Segue che l’eccezione di tardività del Governo non può essere considerata.
2. L’eccezione del Governo derivato della no-esaurimento delle vie di ricorso interni
23. Nelle sue osservazioni complementari del 17 gennaio 2014, il Governo eccepisce per la prima volta della no-esaurimento delle vie di ricorso interni. Se la Corte di cassazione ha applicato male chiaro la teoria dell’atto e mancato al suo obbligo di porre una questione pregiudiziale al CJUE, il richiedente può secondo introdurre egli un’azione in responsabilità extracontrattuale contro lo stato dinnanzi al giudice civile, come invitano le sentenze del CJUE Kobler, 30 settembre 2003, causa C-224/01, e Traghetti del Mediterraneo, 13 giugno 2006, causa C-173/03. Delle tali azioni sarebbero esaminate correntemente dai giudici interni.
24. La Corte ricorda che ai termini dell’articolo 55 del suo ordinamento, se la Parte contraente convenuta intende sollevare un’eccezione di inammissibilità, deve farlo, per quanto la natura dell’eccezione e le circostanze lo permettono, nelle sue osservazioni scritte od orali sull’ammissibilità della richiesta (N.C). c. Italia [GC], no 24952/94, § 44, CEDH 2002-X. Nello specifico, il Governo non ha sollevato nessuna eccezione di no-esaurimento delle vie di ricorso interni nelle sue osservazioni del 9 ottobre 2013 sull’ammissibilità ed il fondo in che, bene al contrario, indicava che la sentenza della Corte di cassazione “costituisce l’esaurimento delle vie interne”), la questione della no-introduzione col richiedente di un’azione in responsabilità extracontrattuale contro lo stato non essendo abbordata per la prima volta che nelle sue osservazioni complementari e sulla soddisfazione equa. Il Governo non fornisce nessuna spiegazione a questo indugio e la Corte non rileva nessuna circostanza eccezionale di natura tale da esonerarlo del suo obbligo di sollevare ogni eccezione di inammissibilità in tempo utile.
25. Segue che il Governo è precluso ad eccepire della no-esaurimento delle vie di ricorso interni.
3. Altri motivi di inammissibilità
26. La Corte constata che il presente motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
a) Il richiedente
27. Il richiedente sottolinea che, nella misura in cui era chiamata a deliberare come giurisdizione di ultima istanza, la Corte di cassazione era tenuta di sollevare una questione pregiudiziale in caso di dubbio in quanto all’interpretazione del diritto comunitario. Ora, il richiedente fa valere che aveva citato la giurisprudenza con la quale il CJUE aveva riconosciuto un effetto diretto al principio di non discriminazione in materia di sicurezza sociale contenuta nell’accordo tra l’unione europea ed i Regni del Marocco, ed in altri accordi conclusi dall’unione europea coi paesi del Magreb-causa Kziber, no C-18/90, sentenza del 31 gennaio 1991. Questa giurisprudenza, inizialmente evoluta nella cornice degli accordi di cooperazione, era secondo lui “pienamente trasportabile” alle disposizioni pertinenti degli accordi di associazione. Il CJUE aveva aggiunto anche, precisa che la sua interpretazione era conforme alle esigenze degli articoli 14 della Convenzione e 1 del Protocollo no 1. Peraltro, l’interpretazione della nozione di “sicurezza sociale” fatta dal CJUE era secondo lui sufficientemente ampio per inglobare anche le prestazioni di assistenza. In queste circostanze, stima il richiedente, non era lecito alla Corte di cassazione di ignorare la domanda di questione pregiudiziale.
28. Il richiedente aggiunge che la Corte di cassazione non ha motivato il suo rifiuto di sollevare la questione pregiudiziale ed avrebbe sbagliato in quanto alla dimensione “personale” ed alla dimensione “patrimoniale” del regime di non discriminazione che sarebbe bene due nozioni distinte. Aggiunge che la qualifica del sussidio controverso come rilevando di l ‘ “assistenza sociale” è stata operata unicamente rispetto al diritto interno e non sulla base dei criteri sviluppati dal CJUE, a sapere il carattere legale e l’ambivalenza della prestazione, ed il ricongiungimento di questa ultima ad uno dei rischi enumerati 4 § 1 all’articolo dell’ordinamento no 1408/71. Così, la portata “comunitaria” di questa operazione di qualifica ha secondo lui stata ignorata. Un’analisi del diritto europeo e della giurisprudenza del CJUE mostra, ai suoi occhi, che le prestazioni “non contributive” e finanziate dallo stato non possono essere escluse automaticamente del campo di applicazione del regime di non discriminazione stabilito dall’accordo, il richiedente cita, per esempio, i cause Yousfi, no C-58/93, sentenza del 20 aprile 1994, relativa alla concessione di un sussidio per handicappati; Commissione c. Grecia, no C-185/96, sentenza del 29 ottobre 1998, concernente differenti categorie di prestazioni per “famiglia numerosa”; Hughes, no C-78/91, sentenza del 20 giugno 1990, avendo per oggetto il “family credito” britannico. Del parere del richiedente, i suoi riferimenti a questa giurisprudenza avrebbero dovuto portare la Corte di cassazione sia ad includere lei stessa, con analogia, il sussidio che rivendicava nel campo di applicazione dell’ordinamento no 1408/71, o ad interrogare il CJUE che non si era ancora pronunziata in quanto alla natura di questo sussidio specifico.
29. Il richiedente nota anche che l’articolo 13 della legge no 97 del 6 agosto 2013, entrata in vigore il 4 settembre 2013, ha contemplato l’estensione del sussidio istituito dall’articolo 65 della legge no 448 del 1998 ai cittadini di paese terzo titolari di un permesso di soggiorno di lunga durata. Aggiunge che nella sua sentenza no 133 di 2013, la Corte costituzionale ha giudicato irragionevole ed incompatibile col principio di uguaglianza dinnanzi alla legge la condizione di residenza di cinque anni sul territorio di una regione per il versamento di un sussidio regionale che ha un oggetto simile, il richiedente cita anche no 222 la sentenza di 2013.
b) Il Governo
30. Il Governo espone che la Corte di cassazione ha esaminato espressamente il campo di applicazione dell’accordo euro-mediterraneo e stimato che il sussidio per le famiglie che comprendono almeno tre bambini minorenne non poteva rientrare nella nozione di sicurezza sociale, anche al senso largo che questa ha al livello comunitario. La Corte di cassazione ha considerato come bacino di ingrassamento per ostriche la disposizione che doveva interpretare dunque; ciò che fa, il Governo stima che ha soddisfatto ai suoi obblighi sotto l’angolo dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
2. Valutazione della Corte
31. La Corte ricorda che nel causa Vergauwen c. Belgio (, déc.), no 4832/04, §§ 89-90, 10 aprile 2012, ha espresso i seguenti principi:
-l’articolo 6 § 1 mettono al carico delle giurisdizioni interni un obbligo di motivare allo sguardo del diritto applicabile le decisioni con che negano di porre una questione pregiudiziale;
-quando è investita su questo terreno di un’affermazione di violazione dell’articolo 6 § 1, il compito della Corte consiste in assicurarsi che la decisione di rifiuto criticato dinnanzi a lei è abbinata debitamente dei tali motivi;
-se gli ritorna da procedere assolutamente a questa verifica, non gli appartiene di conoscere degli eventuali errori che avrebbero commesso le giurisdizioni interne nell’interpretazione o l’applicazione del diritto pertinente;
-nella cornice specifica del terzo capoverso dell’articolo 234 del Trattato che istituisce la Comunità europea, o il reale articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’unione (TFUE)), ciò notifica che le giurisdizioni nazionali di cui le decisioni non sono suscettibili di un ricorso giurisdizionale di dritto interno sono tenute, quando negano di investire il CJUE a titolo pregiudiziale di una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’UE sollevato dinnanzi ad esse, di motivare il loro rifiuto allo sguardo delle eccezioni previste dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Occorre loro indicare le ragioni per che considerano dunque che la questione non sia pertinente, o che la disposizione di diritto dell’UE in causa è stata già oggetto di un’interpretazione da parte del CJUE, o sebbene l’applicazione corretta del diritto dell’UE si imporsi con una tale evidenza che non lascia posto a nessuno dubbio ragionevole.
32. Nello specifico, il richiedente ha chiesto alla Corte di cassazione di porre al CJUE la questione pregiudiziale di sapere se l’articolo 65 dell’accordo euro-mediterraneo permetteva di rifiutare ad un lavoratore tunisino il sussidio di focolare familiare previsto dall’articolo 65 della legge no 448 del 1998, paragrafi 10 e 12 sopra. Le sue decisioni che non sono suscettibili del nessuno ricorso giurisdizionale in dritto interno, la Corte di cassazione aveva l’obbligo di motivare il suo rifiuto di porre la questione pregiudiziale allo sguardo delle eccezioni previste dalla giurisprudenza del CJUE.
33. La Corte ha esaminato la sentenza della Corte di cassazione del 15 aprile 2008 senza trovare nessuno riferimento alla domanda di rinvio pregiudiziale formulato dal richiedente ed alle ragioni per che è stato considerato che la questione sollevata non meritava di essere trasmessa al CJUE. La motivazione della sentenza controversa non permette di stabilire dunque se questa questione è stata considerata come non pertinente, o come relativa ad una disposizione chiara o già interpretata col CJUE, o se è stata ignorata semplicemente (vedere, ha contrario, Vergauwen, precitata, § 91, dove la Corte ha constatato che la Corte costituzionale belga aveva motivato debitamente il suo rifiuto di porre delle questioni pregiudiziali. A questo riguardo, la Corte osserva che il ragionamento della Corte di cassazione non contiene nessuno riferimento alla giurisprudenza del CJUE.
34. Questa constatazione basta per concludere che ci sia stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 14 DELLA CONVENZIONE COMBINATO CON L’ARTICOLO 8
35. Il richiedente stima essere stato vittima di una discriminazione fondata sulla sua nazionalità per l’ottenimento dell’utile del sussidio previsto dall’articolo 65 della legge no 448 del 1998.
Invoca gli articoli 8 e 14 della Convenzione, così formulata,:
Articolo 8
“1. “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza .
2. Non può esserci ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto se non per quanto questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla sicurezza pubblica, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione delle violazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui. “
Articolo 14
“Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione deve essere garantito, senza distinzione nessuna, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche od ogni altra opinione, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, la fortuna, la nascita od ogni altra situazione. “
A. Sull’ammissibilità
1. Argomenti delle parti
a) Il richiedente
36. Il richiedente si riferisce alla giurisprudenza della Corte (citando, in particolare, i sentenze Gaygusuz c. Austria, 16 settembre 1996, Raccolta delle sentenze e decisioni 1996-IV; Petrovic c. Austria, 27 marzo 1998, Raccolta 1998-II; Niedzwiecki c. Germania, no 58453/00, 25 ottobre 2005; Okpisz c. Germania, no 59140/00, 25 ottobre 2005; Weller c. Ungheria, no 44399/05, 31 marzo 2009; Fawsie c. Grecia, no 40080/07, 28 ottobre 2010; e Saidoun c. Grecia, no 40083/07, 28 ottobre 2010. Espone che il sussidio in questione concretizza il diritto ad un contributo finanziario al mantenimento della vita familiare delle famiglie numerose ai deboli spettati. Il suo collocamento in posto troverebbe la sua sorgente in un atto volontario dello stato basato sulla constatazione che le famiglie numerose sono esposte agli oneri più importanti, principalmente legati alla manutenzione ed all’educazione dei bambini.
Il richiedente contesta la tesi del Governo secondo la quale questo sussidio rileverebbe dell’assistenza sociale. Basandosi su un’analisi dell’evoluzione del regime dei sussidi familiari in Italia, considera che prevede in realtà a migliorare le prestazioni specifiche versate ai lavoratori. La Corte avrebbe giudicato a più riprese che i “assegni mutualistici” simili permettevano allo stato di “manifestare il suo rispetto per la vita familiare al senso dell’articolo 8”, e ritornavano dunque nel campo di applicazione di questa disposizione o in quello dell’articolo 1 del Protocollo no 1, e questo a prescindere del versamento preliminare di quote da parte del beneficiario (vedere, in particolare, Stec ed altri c. Regno Unito [GC], déc.), i nostri 65731/01 e 65900/01, §§ 49-56, CEDH 2005-X.
37. Il richiedente nota che il solo ostacolo alla concessione del sussidio era la sua nazionalità, ciò che si analizzerebbe in una discriminazione rispetto ai cittadini italiani che si trovano in una situazione finanziaria e familiare comparabile alla sua.
b, Il Governo,
38. Il Governo considera che l’oggetto della richiesta non entra nel campo di applicazione dell’articolo 8 della Convenzione, il sussidio di assistenza sociale rivendicata dal richiedente che non ha un carattere “primario.”
2. Valutazione della Corte
ha, Sull’applicabilità dell’articolo 14 della Convenzione, composto con l’articolo 8
39. Come la Corte l’ha dichiarato costantemente, l’articolo 14 della Convenzione completa le altre clausole normative della Convenzione e dei suoi Protocolli. Non ha esistenza indipendente, poiché vale unicamente per “il godimento dei diritti e libertà” che garantiscono. Certo, può entrare in gioco stesso senza una trasgressione ha le ̀loro esigenze e, in questa misura, possiede una portata autonoma, ma non saprebbe trovare ha applicarsi se i fatti della controversia non cadono almeno sotto l’impero di una di suddette clausole (vedere, tra molto altri, Van Raalte c. Paesi Bassi, 21 febbraio 1997, § 33, Raccolta 1997-I; Petrovic, precitata, § 22; e Zarb Adami c. Malta, no 17209/02, § 42, CEDH 2006-VIII.
40. La Corte stima di prima che il rifiuto delle autorità di accordare al richiedente il sussidio controverso non mirava a rompere la sua vita familiare e non ha avuto questo effetto, l’articolo 8 che non impone agli Stati un obbligo positivo di fornire l’assistenza finanziaria in questione (Petrovic, precitata, § 26; Zeïbek c. Grecia, no 46368/06, § 32, 9 luglio 2009; e Fawsie, precitata, § 27.
41. Tuttavia, la Corte ha giudicato già che l’attribuzione del sussidio per famiglia numerosa permetta allo stato di “manifestare il suo rispetto per la vita familiare” al senso dell’articolo 8 della Convenzione e cadi dunque sotto l’impero di questo ultimo (Okpisz, precitata, § 32; Niedzwiecki, precitata, § 31; Fawsie, precitata, § 28; e Saidoun, precitata, § 29; vedere anche, mutatis mutandis, Petrovic, precitata, §§ 27-29-a proposito di un sussidio di disdetta parentale-, e Weller, precitata, § 29-a proposito di un sussidio di maternità. L’oggetto della richiesta cade sotto l’impero dell’articolo 8 della Convenzione dunque. L’articolo 14 trova quindi ad applicarsi.
b) Altri motivi di inammissibilità
42. La Corte constata che il presente motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione, e non incontra peraltro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul fondo
1. Argomenti delle parti
a) Il richiedente
43. Il richiedente osserva che il Governo giustifica la differenza di trattamento tra egli ed i cittadini dell’unione europeo et/ou i profughi con la qualifica data al sussidio che rileverebbe di l ‘ “assistenza sociale”), così come coi costi finanziari che provocherebbero l’estensione eventuale del suo utile alle notizie categorie di persone. Ora, secondo lui, simili giustificazioni sono insufficienti allo sguardo della Convenzione e della giurisprudenza della Corte costituzionale italiana.
Il richiedente concede che nel causa Ponomaryovi c. Bulgaria (no 5335/05) § 54, CEDH 2011, la Corte ha stimato che il trattamento preferenziale di cui beneficia i nazionali degli Stati membri dell’unione europea si fonda su una giustificazione obiettiva e ragionevole, l’unione europea che costituisce un ordine morale particolare che ha stabilito inoltre la sua propria cittadinanza. Però, occorre secondo attenersi egli conto per il fatto che i cittadini non comunitari contribuiscono essi anche attivamente alle risorse del paese, in particolare col sovrappiù di quote che portano alle assicurazioni sociali e col loro assoggettamento all’imposta su reddito. Il richiedente aggiunge che la discriminazione di cui è stato vittima era fondata sulla nazionalità, e non su un statuto che gli sarebbe stato conferito con la legge allo sguardo del diritto degli estero (vedere, ha contrario, Bah c. Regno Unito, no 56328/07, CEDH 2011. Peraltro, converrebbe ricordare che la direttiva Questo 109/2003 mira a garantire durevolmente l’integrazione dei cittadini dei paesi terzo installati in un Stato membro.
b, Il Governo,
44. Il Governo espone che l’estensione dell’utile del sussidio controverso è stata rifiutata unicamente per le ragioni di bilancio, e non per le ragioni discriminatorie.
2. Valutazione della Corte
b, Principi generali,
45. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, affinché una questione si porsi allo sguardo dell’articolo 14, deve avere una differenza nel trattamento di persone collocate nelle situazioni comparabili. Una tale differenza è discriminatoria se non si fonda su una giustificazione obiettiva e ragionevole, questo essere-a-argomento se non insegue un scopo legittimo o se non c’è un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo previsto. Gli Stati contraenti godono di un certo margine di valutazione per determinare se e delle distinzioni giustificano in quale misura delle differenze tra le situazioni ad altri riguardi analoghi di trattamento, X ed altri c. Austria [GC], no 19010/07, § 98, CEDH-2013, e Vallianatos c. Grecia [GC], i nostri 29381/09 e 32684/09, § 76, CEDH-2013). La nozione di discriminazione al senso dell’articolo 14 ingloba anche i casi in che un individuo o un gruppo si vedono, senza giustificazione adeguata, meno bene trattato che un altro, anche se la Convenzione non richiede il trattamento più favorevole (Abdulaziz, Cabale e Balkandali c. Regno Unito, 28 maggio 1985, § 82, serie Ha no 94.
46. Peraltro, gli Stati contraenti godono di un certo margine di valutazione per determinare se e delle differenze giustificano in quale misura delle differenze tra le situazioni ad altri riguardi analoghi di trattamento, X ed altri c. Austria, precitata, § 98, e Vallianatos c. Grecia, precitata, § 76. La superficie di questo margine di valutazione varia secondo le circostanze, le tenute ed il contesto, ma appartiene alla Corte di deliberare in ultima istanza sul rispetto delle esigenze della Convenzione. Un’ampia latitudine ha lasciato di solito allo stato per prendere delle misure di ordine generale in materia economica o sociale, Burden c. Regno Unito [GC], no 13378/05, § 60, CEDH-2008; Carson ed altri c. Regno Unito [GC], no 42184/05, § 61, CEDH-2010; Şerife Yiit ğc. Turchia [GC], no 3976/05, § 70, 2 novembre 2010; e Stummer c. Austria [GC], no 37452/02, § 89, CEDH-2011). Tuttavia, uniche delle considerazioni molto forti possono portare la Corte a stimare esclusivamente compatibile con la Convenzione una differenza di trattamento fondato sulla nazionalità (Gaygusuz, precitata, § 42; Koua Poirrez c. Francia, no 40892/98, § 46, CEDH 2003-X; Andrejeva c. Lettonia [GC], no 55707/00, § 87, CEDH-2009; e Ponomaryovi, precitata, § 52.
47. La Convenzione che è innanzitutto un meccanismo di protezione dei diritti dell’uomo, la Corte deve tenere inoltre conto dell’evoluzione della situazione negli Stati contraenti e deve reagire, per esempio, al consenso suscettibile di farsi giorno in quanto alle norme da raggiungere, Konstantin Markin c. Russia [GC], no 30078/06, § 126, CEDH 2012, e Fabris c. Francia [GC], no 16574/08, § 56, CEDH 2013.
b, sul punto di sapere se c’è stata differenza di trattamento tra le persone che si trovano nelle situazioni simili
48. Agli occhi della Corte, non fa di dubbio che il richiedente è stato trattato in modo differente rispetto ai lavoratori cittadini dall’unione europea che, siccome egli, avevano una famiglia numerosa. Difatti, alla differenza di questi ultimi, il richiedente non aveva dritto al sussidio familiare previsto dall’articolo 65 della legge no 448 del 1998. Il Governo non lo contesta del resto.
49. La Corte osserva per di più che il rifiuto di accordare al richiedente l’utile di questo sussidio aveva per fondamento esclusivo la nazionalità dell’interessato che all’epoca non era cittadino di un Stato membro dell’unione europea. Difatti, non è stato addotto che il richiedente non assolveva le altre condizioni legali per l’attribuzione dell’assegno mutualistico in questione. All’evidenza, ha dunque, in ragione di una caratteristica personale, stato trattato meno bene di altri individui che si trovano in una situazione analoga (vedere, mutatis mutandis, Ponomaryovi, precitata, § 50.
c, sul punto di sapere se esistesse una giustificazione obiettiva e ragionevole
50. La Corte rileva che in parecchie cause precitate simili alla presente, Niedzwiecki; Okpisz; Weller; Fawsie; e Saidoun, e che riguardavano anche la concessione di assegni mutualistici alle famiglie di estero, la Corte ha concluso ad una violazione dell’articolo 14 composto con l’articolo 8, per il fatto che le autorità non avevano dato di giustificazione ragionevole alla pratica che consiste in escludere di certi sussidi gli estero legalmente installati sul territorio di questi Stati, della loro nazionalità baso sull’unica.
51. In particolare, nei cause Fawsie e Saidoun precitati che, come la presente, riguardavano il sussidio per famiglia numerosa, la sua constatazione di violazione si basava, in particolare, sul fatto che i richiedenti ed i membri delle loro famiglie si erano visti riconoscere lo statuto di profugo politica e che il criterio scelto dal Governo che si era nell’occorrenza essenzialmente attaccata alla nazionalità o all’origine greca degli interessati, per determinare i beneficiari del sussidio non sembrava pertinente alla luce dello scopo legittimo perseguito, a sapere, fare fronte al problema demografico del paese.
52. La Corte considera che le considerazioni analoghe si applicano, mutatis mutandis, nello specifico. Nota a questo riguardo che all’epoca dei fatti il richiedente era titolare di un permesso di soggiorno e di lavoro regolare in Italia, e che era garantito presso dell’INPS, paragrafo 6 sopra. Pagava dei contributi a questo organo di assicurazione allo stesso titolo e sulla stessa base che i lavoratori cittadini dell’unione europea (vedere, mutatis mutandis, Gaygusuz, precitata, § 46. L’interessato non era un estero che soggiorna sul territorio per una corta durata o in violazione della legislazione sull’immigrazione. Non apparteneva alla categoria delle persone dunque che, in linea di massima, non contribuiscono al finanziamento dei servizi pubblici e per che un Stato può avere delle ragioni legittime di restringere l’uso di servizi pubblici costosi- come i programmi di previdenza sociale, di sussidi pubblici e di cure (vedere, mutatis mutandis, Ponomaryovi, precitata, § 54.
53. In quanto alle “ragioni di bilancio” avanzate col Governo, paragrafo 44 sopra, la Corte riconosce che la protezione degli interessi di bilancio dello stato costituisce un scopo legittimo della distinzione controversa. Questo scopo non saprebbe tuttavia, a lui solo, giustificare la differenza di trattamento denunciato. Resta a stabilire se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra gli scopi legittimi suddetti ed i mezzi adoperati nell’occorrenza. A questo riguardo, la Corte ricorda che il rifiuto delle autorità nazionali di accordare al richiedente l’utile del sussidio familiare si fondi esclusivamente sulla constatazione che non possedeva la nazionalità di un Stato membro dell’unione europea. Non è contestato che un cittadino di un tale Stato che si trova nelle stesse condizioni che il richiedente si vedrebbe accordare il sussidio controverso. La nazionalità costituisce il solo ed unico criterio della distinzione in causa dunque; ora la Corte ricorda che uniche delle considerazioni molto forti possono portarlo a stimare esclusivamente compatibile con la Convenzione una differenza di trattamento fondato sulla nazionalità, paragrafo 46 sopra. In queste circostanze, e nonostante il grande margine di valutazione di cui beneficia le autorità nazionali in materia di sicurezza sociale, l’argomento invocato dal Governo non basta a convincere la Corte dell’esistenza, nella presente causa, di un rapporto ragionevole di proporzionalità che renderebbe la distinzione criticata conformo alle esigenze dell’articolo 14 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Andrejeva, precitata, §§ 86-89.
d) Conclusione,
54. Tenuto conto di ciò che precede, la giustificazione avanzata dal Governo non sembra ragionevole e la differenza di trattamento constatato si rivela così discriminatoria al senso dell’articolo 14 della Convenzione. C’è stata dunque violazione dell’articolo 14 composto con l’articolo 8 della Convenzione.
III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
55. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
56. Il richiedente richiede 9 416,05 EUR a titolo del danno patrimoniale che avrebbe subito. Questo importo corrisponderebbe ai sussidi non percepite del 1999 a 2004 (8 016,05 EUR, aumentate degli interessi legali (1 400 EUR.
57. Chiede inoltre la concessione di un risarcimento per danno morale, senza indicare ne l’importo.
58. Il Governo non ha presentato di osservazioni su questo punto.
59. La Corte rileva che ha concluso alla violazione dell’articolo 14 della Convenzione, composto con l’articolo 8, in ragione per il fatto che il rifiuto di concedere al richiedente il sussidio familiare contemplato all’articolo 65 della legge no 448 del 1998 si analizzava in una discriminazione fondata sulla nazionalità. Quindi, il danno patrimoniale subito dal richiedente corrisponde all’importo dei sussidi non percepite-di cui il calcolo non è stato contestato dal Governo, o 8 016,05 EUR. A questa somma dinnanzi ad aggiungersi gli interessi legali, la Corte concede al richiedente l’importo che sollecita, o 9 416,05 EUR.
60. La Corte considera inoltre che il richiedente ha subito un torto morale certo. Tenuto conto degli elementi nel suo possesso, la Corte decide di concedere all’interessato l’intimo di 10 000 EUR a questo titolo.
B. Oneri e spese
61. Il richiedente non ha formulato nessuna domanda di rimborso degli oneri e spese impegnate dinnanzi alla Corte e/o dinnanzi alle giurisdizioni interne. Di conseguenza, la Corte considera che non c’è luogo di assegnare a questo riguardo egli una somma.
C. Interessi moratori
62. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile;

2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;

3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 14 della Convenzione, composto con l’articolo 8;

4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i, 9 416,05 EUR, novemila quattro cento sedici euro e cinque centesimi, per danno patrimoniale,;
ii, 10 000 EUR, diecimila euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale,;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale,;

5. Respingi la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 8 aprile 2014, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Egli ıKarakaş
Cancelliere Presidentessa

Testo Tradotto

Conclusions: Violation de l’article 6 – Droit à un procès équitable (Article 6 – Procédure civile Article 6-1 – Accès à un tribunal) Violation de l’article 14+8 – Interdiction de la discrimination (Article 14 – Discrimination)(Article 8 – Droit au respect de la vie privée et familiale Article 8-1 – Respect de la vie familiale) Dommage matériel et préjudice moral – réparation

DEUXIÈME SECTION

AFFAIRE DHAHBI c. ITALIE

(Requête no 17120/09)

ARRÊT

STRASBOURG

8 avril 2014

Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Dhahbi c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Işıl Karakaş, présidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Nebojša Vučinić,
Helen Keller,
Paul Lemmens,
Egidijus Kūris, juges,
et de Stanley Naismith, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 18 mars 2014,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. À l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 17120/09) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet État, M. OMISSIS (« le requérant »), a saisi la Cour le 28 mars 2009 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant a été représenté par OMISSIS, avocat à Milan. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, Mme E. Spatafora, et par son coagent, Mme P. Accardo.
3. Le requérant allègue avoir été victime d’une discrimination fondée sur la nationalité qui était la sienne à l’époque des faits, et se plaint par ailleurs que la Cour de cassation a ignoré sa demande de renvoi d’une question préjudicielle à la Cour de justice de l’Union européenne dans la procédure y afférente.
4. Le 11 juin 2013, la requête a été communiquée au Gouvernement.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Le requérant est né en 1960 et réside à Marsala (Trapani).
6. Le requérant, qui a ensuite acquis la nationalité italienne, était à l’époque des faits un ressortissant tunisien qui s’était rendu en Italie sur la base d’un permis de séjour et de travail régulier. Il fut embauché par la société A. et assuré auprès de l’Institut national de la sécurité sociale (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale –INPS). Sa famille comprenait son épouse et leurs quatre enfants mineurs. Ses revenus pour l’année 1999 s’élevaient à 30 655 000 lires italiennes (ITL – environ 15 832 euros (EUR)).
7. Le 24 mai 2001, le requérant introduisit un recours devant le tribunal de Marsala, appelé à statuer comme juge du travail, afin d’obtenir le versement de l’allocation de foyer familial (assegno per nucleo familiare) prévue par l’article 65 de la loi no 448 de 1998. Aux termes de cette disposition, l’allocation en question était octroyée par l’INPS aux familles composées de ressortissants italiens résidant en Italie, avec au moins trois enfants mineurs, lorsque leur revenu annuel était inférieur aux montants indiqués dans le tableau annexé au décret législatif no 109 du 31 mars 1998 (en l’occurrence 36 millions d’ITL – environ 18 592 EUR – pour les familles composées de cinq personnes).
8. Le requérant considérait que même s’il n’avait pas la nationalité italienne, comme l’exigeait la loi no 448 de 1998, l’allocation lui était due en vertu de l’accord d’association entre l’Union européenne et la Tunisie – dit « Accord euro-méditerranéen » –, ratifié par l’Italie (loi no 35 du 3 février 1997). L’article 65 de ce texte se lit comme suit :
« 1. Sous réserve des dispositions des paragraphes suivants, les travailleurs de nationalité tunisienne et les membres de leur famille résidant avec eux bénéficient, dans le domaine de la sécurité sociale, d’un régime caractérisé par l’absence de toute discrimination fondée sur la nationalité par rapport aux propres ressortissants des États membres dans lesquels ils sont occupés.
La notion de « sécurité sociale » couvre les branches de sécurité sociale qui concernent les prestations de maladie et de maternité, les prestations d’invalidité, de vieillesse, de survivants, les prestations d’accident de travail et de maladie professionnelle, les allocations de décès, les prestations de chômage et les prestations familiales.
Toutefois, cette disposition ne peut avoir pour effet de rendre applicables les autres règles de coordination prévues par la réglementation communautaire fondée sur l’article 51 du traité CE, autrement que dans les conditions fixées par l’article 67 du présent accord.
2. Ces travailleurs bénéficient de la totalisation des périodes d’assurance, d’emploi ou de résidence accomplies dans les différents États membres, pour ce qui concerne les pensions et rentes de vieillesse, d’invalidité et de survie, les prestations familiales, les prestations de maladie et de maternité ainsi que les soins de santé pour eux-mêmes et leur famille résidant à l’intérieur de la Communauté.
3. Ces travailleurs bénéficient des prestations familiales pour les membres de leur famille résidant à l’intérieur de la Communauté.
4. Ces travailleurs bénéficient du libre transfert vers la Tunisie, aux taux appliqués en vertu de la législation de l’État membre ou des États membres débiteurs, des pensions et rentes de vieillesse, de survie et d’accident de travail ou de maladie professionnelle, ainsi que d’invalidité, en cas d’accident de travail ou de maladie professionnelle, à l’exception des prestations spéciales à caractère non contributif.
5. La Tunisie accorde aux travailleurs ressortissants des États membres occupés sur son territoire, ainsi qu’aux membres de leur famille, un régime analogue à celui prévu aux paragraphes 1, 3 et 4. »
9. Par un jugement du 10 avril 2002, le tribunal de Marsala rejeta le recours du requérant.
10. Le requérant interjeta appel. Il demanda, entre autres, que soit posée à titre préjudiciel à la Cour de justice de l’Union européenne (CJUE) la question de savoir si l’article 65 de l’Accord euro-méditerranéen permettait de refuser à un travailleur tunisien l’allocation familiale prévue par l’article 65 de la loi no 448 de 1998.
11. Par un arrêt du 21 octobre 2004, la cour d’appel de Palerme rejeta l’appel du requérant. Elle observa que, étant fondée uniquement sur les revenus et la situation familiale des bénéficiaires, l’allocation sollicitée relevait de l’assistance sociale (assistenza sociale). Elle était initialement prévue seulement pour les citoyens italiens, et avait ensuite été étendue à tous les ressortissants de l’Union européenne. Or, l’Accord euro-méditerranéen ne concernait que les prestations de prévoyance (prestazioni previdenziali), et n’était donc pas applicable à l’allocation de foyer familial prévue par l’article 65 de la loi no 448 de 1998.
12. Le requérant se pourvut en cassation, réitérant sa demande de renvoi d’une question préjudicielle à la CJUE.
13. Par un arrêt du 15 avril 2008, dont le texte fut déposé au greffe le 29 septembre 2008, la Cour de cassation rejeta le pourvoi.
14. Dans ses motifs, la Cour de cassation observa tout d’abord que l’article 64 §§ 1 et 2 de l’Accord euro-méditerranéen disposait notamment :
« 1. Chaque État membre accorde aux travailleurs de nationalité tunisienne occupés sur son territoire un régime caractérisé par l’absence de toute discrimination fondée sur la nationalité par rapport à ses propres ressortissants, en ce qui concerne les conditions de travail, de rémunération et de licenciement.
2. Tout travailleur tunisien autorisé à exercer une activité professionnelle salariée sur le territoire d’un État membre à titre temporaire bénéficie des dispositions du paragraphe 1 en ce qui concerne les conditions de travail et de rémunération. »
15. Relevant que ce texte se référait explicitement aux relations de travail et aux éléments qui les constituaient, la Cour de cassation en déduisit qu’il ne trouvait à s’appliquer qu’aux prestations de prévoyance, et non aux allocations d’assistance, comme celle revendiquée par le requérant et à laquelle les citoyens tunisiens résidant en Italie n’avaient pas droit. Cette interprétation était selon elle également confirmée par l’article 65 §§ 1 et 2 de l’Accord euro-méditerranéen, qui mentionnait notamment « les prestations de maladie et de maternité, les prestations d’invalidité, de vieillesse, de survivants, les prestations d’accident de travail et de maladie professionnelle, les allocations de décès, les prestations de chômage et les prestations familiales ». La Cour de cassation souligna que son interprétation ne se fondait pas seulement sur la référence textuelle à la « sécurité sociale » (previdenza sociale) mais, comme indiqué par la CJUE, sur les éléments constitutifs de chaque prestation.
16. Cet arrêt fut notifié au requérant le 2 octobre 2008.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
17. Le requérant allègue que la Cour de cassation a ignoré sa demande de poser une question préjudicielle à la CJUE quant à l’interprétation de l’Accord euro-méditerranéen.
Il invoque l’article 6 § 1 de la Convention, qui, en ses parties pertinentes, est ainsi libellé :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement (…) par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…). »
18. Le Gouvernement combat la thèse du requérant.
A. Sur la recevabilité
1. L’exception du Gouvernement tirée de la tardiveté de la requête
19. Le Gouvernement excipe tout d’abord de la tardiveté de la requête, observant que celle-ci n’aurait été introduite que le 2 avril 2009, alors que l’arrêt de la Cour de cassation a été déposé au greffe le 29 septembre 2008 (paragraphe 13 ci-dessus).
20. Le requérant rétorque que sa requête a été introduite le 28 mars 2009, date à laquelle il en a envoyé une copie au greffe de la Cour par fax et par courrier. Il précise que l’arrêt de la Cour de cassation ne lui a été notifié que le 2 octobre 2008 (paragraphe 16 ci-dessus). Or, c’est à cette dernière date qu’il conviendrait selon lui de fixer le point de départ du délai de six mois.
21. La Cour note que le 28 mars 2009, le requérant a envoyé par fax au greffe, qui l’a reçue le même jour, une copie du formulaire de requête dûment rempli. Une autre copie a été envoyée par courrier et est parvenue au greffe de la Cour le 2 avril 2009. La requête doit donc être considérée comme ayant été introduite le 28 mars 2009. Dès lors, à supposer même que, comme le voudrait le Gouvernement, le point de départ du délai de six mois prévu à l’article 35 § 1 de la Convention doive être fixé au 29 septembre 2008, ce délai a de toute manière été respecté.
22. Il s’ensuit que l’exception de tardiveté du Gouvernement ne peut être retenue.
2. L’exception du Gouvernement tirée du non-épuisement des voies de recours internes
23. Dans ses observations complémentaires du 17 janvier 2014, le Gouvernement excipe pour la première fois du non-épuisement des voies de recours internes. Si la Cour de cassation a mal appliqué la théorie de l’acte clair et manqué à son obligation de poser une question préjudicielle à la CJUE, le requérant peut selon lui introduire une action en responsabilité extracontractuelle contre l’État devant le juge civil, comme y invitent les arrêts de la CJUE Kobler (30 septembre 2003, affaire C-224/01) et Traghetti del Mediterraneo (13 juin 2006, affaire C-173/03). De telles actions seraient couramment examinées par les juges internes.
24. La Cour rappelle qu’aux termes de l’article 55 de son règlement, si la Partie contractante défenderesse entend soulever une exception d’irrecevabilité, elle doit le faire, pour autant que la nature de l’exception et les circonstances le permettent, dans ses observations écrites ou orales sur la recevabilité de la requête (N.C. c. Italie [GC], no 24952/94, § 44, CEDH 2002-X). En l’espèce, le Gouvernement n’a soulevé aucune exception de non-épuisement des voies de recours internes dans ses observations du 9 octobre 2013 sur la recevabilité et le fond (dans lesquelles, bien au contraire, il indiquait que l’arrêt de la Cour de cassation « constitue l’épuisement des voies internes »), la question de la non-introduction par le requérant d’une action en responsabilité extracontractuelle contre l’État n’étant abordée pour la première fois que dans ses observations complémentaires et sur la satisfaction équitable. Le Gouvernement ne fournit aucune explication à cet atermoiement et la Cour ne relève aucune circonstance exceptionnelle de nature à l’exonérer de son obligation de soulever toute exception d’irrecevabilité en temps utile.
25. Il s’ensuit que le Gouvernement est forclos à exciper du non-épuisement des voies de recours internes.
3. Autres motifs d’irrecevabilité
26. La Cour constate que le présent grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 a) de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
a) Le requérant
27. Le requérant souligne que, dans la mesure où elle était appelée à statuer comme juridiction de dernière instance, la Cour de cassation était tenue de soulever une question préjudicielle en cas de doute quant à l’interprétation du droit communautaire. Or, le requérant fait valoir qu’il avait cité la jurisprudence par laquelle la CJUE avait reconnu un effet direct au principe de non-discrimination en matière de sécurité sociale contenu dans l’accord entre l’Union européenne et le Royaume du Maroc (et dans d’autres accords conclus par l’Union européenne avec les pays du Maghreb – affaire Kziber, no C-18/90, arrêt du 31 janvier 1991). Cette jurisprudence, initialement développée dans le cadre des accords de coopération, était selon lui « pleinement transposable » aux dispositions pertinentes des accords d’association. La CJUE avait également ajouté, précise-t-il, que son interprétation était conforme aux exigences des articles 14 de la Convention et 1 du Protocole no 1. Par ailleurs, l’interprétation de la notion de « sécurité sociale » faite par la CJUE était selon lui suffisamment ample pour englober également les prestations d’assistance. Dans ces circonstances, estime le requérant, il n’était pas loisible à la Cour de cassation d’ignorer la demande de question préjudicielle.
28. Le requérant ajoute que la Cour de cassation n’a pas motivé son refus de soulever la question préjudicielle et se serait méprise quant à la dimension « personnelle » et à la dimension « matérielle » du régime de non-discrimination, qui seraient deux notions bien distinctes. Il ajoute que la qualification de l’allocation litigieuse comme relevant de l’« assistance sociale » a été opérée uniquement par rapport au droit interne et non sur la base des critères développés par la CJUE (à savoir le caractère légal et l’ambivalence de la prestation, et le rattachement de cette dernière à l’un des risques énumérés à l’article 4 § 1 du règlement no 1408/71). Ainsi, la portée « communautaire » de cette opération de qualification a selon lui été ignorée. Une analyse du droit européen et de la jurisprudence de la CJUE montre, à ses yeux, que les prestations « non contributives » et financées par l’État ne peuvent pas être automatiquement exclues du champ d’application du régime de non-discrimination établi par l’accord (le requérant cite, par exemple, les affaires Yousfi, no C-58/93, arrêt du 20 avril 1994, relative à l’octroi d’une allocation pour handicapés ; Commission c. Grèce, no C-185/96, arrêt du 29 octobre 1998, concernant différentes catégories de prestations pour « famille nombreuse » ; Hughes, no C-78/91, arrêt du 20 juin 1990, ayant pour objet le « family credit » britannique). De l’avis du requérant, ses références à cette jurisprudence auraient dû amener la Cour de cassation soit à inclure elle-même, par analogie, l’allocation qu’il revendiquait dans le champ d’application du règlement no 1408/71, soit à interroger la CJUE, qui ne s’était pas encore prononcée quant à la nature de cette allocation spécifique.
29. Le requérant note également que l’article 13 de la loi no 97 du 6 août 2013 (entrée en vigueur le 4 septembre 2013) a prévu l’extension de l’allocation instituée par l’article 65 de la loi no 448 de 1998 aux ressortissants de pays tiers titulaires d’un permis de séjour de longue durée. Il ajoute que dans son arrêt no 133 de 2013, la Cour constitutionnelle a jugé déraisonnable et incompatible avec le principe d’égalité devant la loi la condition de résidence de cinq ans sur le territoire d’une région pour le versement d’une allocation régionale ayant un objet similaire (le requérant cite également l’arrêt no 222 de 2013).
b) Le Gouvernement
30. Le Gouvernement expose que la Cour de cassation a expressément examiné le champ d’application de l’Accord euro-méditerranéen et estimé que l’allocation pour les familles comprenant au moins trois enfants mineurs ne pouvait pas rentrer dans la notion de sécurité sociale, même au sens large que celle-ci a au niveau communautaire. La Cour de cassation a donc considéré comme claire la disposition qu’elle devait interpréter ; ce faisant, le Gouvernement estime qu’elle a satisfait à ses obligations sous l’angle de l’article 6 § 1 de la Convention.
2. Appréciation de la Cour
31. La Cour rappelle que dans l’affaire Vergauwen c. Belgique ((déc.), no 4832/04, §§ 89-90, 10 avril 2012), elle a exprimé les principes suivants :
– l’article 6 § 1 met à la charge des juridictions internes une obligation de motiver au regard du droit applicable les décisions par lesquelles elles refusent de poser une question préjudicielle ;
– lorsqu’elle est saisie sur ce terrain d’une allégation de violation de l’article 6 § 1, la tâche de la Cour consiste à s’assurer que la décision de refus critiquée devant elle est dûment assortie de tels motifs ;
– s’il lui revient de procéder rigoureusement à cette vérification, il ne lui appartient pas de connaître d’éventuelles erreurs qu’auraient commises les juridictions internes dans l’interprétation ou l’application du droit pertinent ;
– dans le cadre spécifique du troisième alinéa de l’article 234 du Traité instituant la Communauté européenne (soit l’actuel article 267 du Traité sur le fonctionnement de l’Union (TFUE)), cela signifie que les juridictions nationales dont les décisions ne sont pas susceptibles d’un recours juridictionnel de droit interne sont tenues, lorsqu’elles refusent de saisir la CJUE à titre préjudiciel d’une question relative à l’interprétation du droit de l’UE soulevée devant elles, de motiver leur refus au regard des exceptions prévues par la jurisprudence de la Cour de justice. Il leur faut donc indiquer les raisons pour lesquelles elles considèrent que la question n’est pas pertinente, ou que la disposition de droit de l’UE en cause a déjà fait l’objet d’une interprétation de la part de la CJUE, ou encore que l’application correcte du droit de l’UE s’impose avec une telle évidence qu’elle ne laisse place à aucun doute raisonnable.
32. En l’espèce, le requérant a demandé à la Cour de cassation de poser à la CJUE la question préjudicielle de savoir si l’article 65 de l’Accord euro-méditerranéen permettait de refuser à un travailleur tunisien l’allocation de foyer familial prévue par l’article 65 de la loi no 448 de 1998 (paragraphes 10 et 12 ci-dessus). Ses décisions n’étant susceptibles d’aucun recours juridictionnel en droit interne, la Cour de cassation avait l’obligation de motiver son refus de poser la question préjudicielle au regard des exceptions prévues par la jurisprudence de la CJUE.
33. La Cour a examiné l’arrêt de la Cour de cassation du 15 avril 2008 sans y trouver aucune référence à la demande de renvoi préjudiciel formulée par le requérant et aux raisons pour lesquelles il a été considéré que la question soulevée ne méritait pas d’être transmise à la CJUE. La motivation de l’arrêt litigieux ne permet donc pas d’établir si cette question a été considérée comme non pertinente, ou comme relative à une disposition claire ou déjà interprétée par la CJUE, ou bien si elle a été simplement ignorée (voir, a contrario, Vergauwen, précité, § 91, où la Cour a constaté que la Cour constitutionnelle belge avait dûment motivé son refus de poser des questions préjudicielles). À cet égard, la Cour observe que le raisonnement de la Cour de cassation ne contient aucune référence à la jurisprudence de la CJUE.
34. Ce constat suffit pour conclure qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 14 DE LA CONVENTION COMBINÉ AVEC L’ARTICLE 8
35. Le requérant estime avoir été victime d’une discrimination fondée sur sa nationalité pour l’obtention du bénéfice de l’allocation prévue par l’article 65 de la loi no 448 de 1998.
Il invoque les articles 8 et 14 de la Convention, ainsi libellés :
Article 8
« 1. Toute personne a droit au respect de sa vie privée et familiale, de son domicile et de sa correspondance.
2. Il ne peut y avoir ingérence d’une autorité publique dans l’exercice de ce droit que pour autant que cette ingérence est prévue par la loi et qu’elle constitue une mesure qui, dans une société démocratique, est nécessaire à la sécurité nationale, à la sûreté publique, au bien être économique du pays, à la défense de l’ordre et à la prévention des infractions pénales, à la protection de la santé ou de la morale, ou à la protection des droits et libertés d’autrui. »
Article 14
« La jouissance des droits et libertés reconnus dans la (…) Convention doit être assurée, sans distinction aucune, fondée notamment sur le sexe, la race, la couleur, la langue, la religion, les opinions politiques ou toutes autres opinions, l’origine nationale ou sociale, l’appartenance à une minorité nationale, la fortune, la naissance ou toute autre situation. »
A. Sur la recevabilité
1. Arguments des parties
a) Le requérant
36. Le requérant se réfère à la jurisprudence de la Cour (citant, notamment, les arrêts Gaygusuz c. Autriche, 16 septembre 1996, Recueil des arrêts et décisions 1996-IV ; Petrovic c. Autriche, 27 mars 1998, Recueil 1998-II ; Niedzwiecki c. Allemagne, no 58453/00, 25 octobre 2005 ; Okpisz c. Allemagne, no 59140/00, 25 octobre 2005 ; Weller c. Hongrie, no 44399/05, 31 mars 2009 ; Fawsie c. Grèce, no 40080/07, 28 octobre 2010 ; et Saidoun c. Grèce, no 40083/07, 28 octobre 2010). Il expose que l’allocation en question concrétise le droit à une contribution financière au maintien de la vie familiale des familles nombreuses aux faibles revenus. Sa mise en place trouverait sa source dans un acte volontaire de l’État basé sur le constat que les familles nombreuses sont exposées à des frais plus importants, principalement liés à l’entretien et à l’éducation des enfants.
Le requérant conteste la thèse du Gouvernement selon laquelle cette allocation relèverait de l’assistance sociale. Se fondant sur une analyse de l’évolution du régime des allocations familiales en Italie, il considère qu’elle vise en réalité à améliorer les prestations spécifiques versées aux travailleurs. La Cour aurait à plusieurs reprises jugé que des « prestations sociales » similaires permettaient à l’État de « témoigner son respect pour la vie familiale au sens de l’article 8 », et rentraient donc dans le champ d’application de cette disposition ou bien dans celui de l’article 1 du Protocole no 1, et ce indépendamment du versement préalable de cotisations de la part du bénéficiaire (voir, notamment, Stec et autres c. Royaume-Uni [GC] (déc.), nos 65731/01 et 65900/01, §§ 49-56, CEDH 2005-X).
37. Le requérant note que le seul obstacle à l’octroi de l’allocation était sa nationalité, ce qui s’analyserait en une discrimination par rapport aux citoyens italiens se trouvant dans une situation financière et familiale comparable à la sienne.
b) Le Gouvernement
38. Le Gouvernement considère que l’objet de la requête n’entre pas dans le champ d’application de l’article 8 de la Convention, l’allocation d’assistance sociale revendiquée par le requérant n’ayant pas un caractère « primaire ».
2. Appréciation de la Cour
a) Sur l’applicabilité de l’article 14 de la Convention, combiné avec l’article 8
39. Comme la Cour l’a constamment déclaré, l’article 14 de la Convention complète les autres clauses normatives de la Convention et de ses Protocoles. Il n’a pas d’existence indépendante, puisqu’il vaut uniquement pour « la jouissance des droits et libertés » qu’elles garantissent. Certes, il peut entrer en jeu même sans un manquement à leurs exigences et, dans cette mesure, il possède une portée autonome, mais il ne saurait trouver à s’appliquer si les faits du litige ne tombent pas sous l’empire de l’une au moins desdites clauses (voir, parmi beaucoup d’autres, Van Raalte c. Pays-Bas, 21 février 1997, § 33, Recueil 1997-I ; Petrovic, précité, § 22 ; et Zarb Adami c. Malte, no 17209/02, § 42, CEDH 2006-VIII).
40. La Cour estime d’abord que le refus des autorités d’accorder au requérant l’allocation litigieuse ne visait pas à briser sa vie familiale et n’a pas eu cet effet, l’article 8 n’imposant pas aux États une obligation positive de fournir l’assistance financière en question (Petrovic, précité, § 26 ; Zeïbek c. Grèce, no 46368/06, § 32, 9 juillet 2009 ; et Fawsie, précité, § 27).
41. Néanmoins, la Cour a déjà jugé que l’attribution de l’allocation pour famille nombreuse permet à l’État de « témoigner son respect pour la vie familiale » au sens de l’article 8 de la Convention et tombe donc sous l’empire de ce dernier (Okpisz, précité, § 32 ; Niedzwiecki, précité, § 31 ; Fawsie, précité, § 28 ; et Saidoun, précité, § 29 ; voir également, mutatis mutandis, Petrovic, précité, §§ 27-29 – à propos d’une allocation de congé parental –, et Weller, précité, § 29 – à propos d’une allocation de maternité). L’objet de la requête tombe donc sous l’empire de l’article 8 de la Convention. L’article 14 trouve dès lors à s’appliquer.
b) Autres motifs d’irrecevabilité
42. La Cour constate que le présent grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 a) de la Convention, et ne se heurte par ailleurs à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
a) Le requérant
43. Le requérant observe que le Gouvernement justifie la différence de traitement entre lui et les ressortissants de l’Union européenne et/ou les réfugiés par la qualification donnée à l’allocation (qui relèverait de l’ « assistance sociale »), ainsi que par les coûts financiers qu’entraînerait l’extension éventuelle de son bénéfice à de nouvelles catégories de personnes. Or, selon lui, pareilles justifications sont insuffisantes au regard de la Convention et de la jurisprudence de la Cour constitutionnelle italienne.
Le requérant concède que dans l’affaire Ponomaryovi c. Bulgarie (no 5335/05, § 54, CEDH 2011) la Cour a estimé que le traitement préférentiel dont bénéficient les nationaux des États membres de l’Union européenne repose sur une justification objective et raisonnable, l’Union européenne constituant un ordre juridique particulier, qui a en outre établi sa propre citoyenneté. Cependant, il faut selon lui tenir compte du fait que les ressortissants non communautaires contribuent eux aussi activement aux ressources du pays, notamment par le surcroît de cotisations qu’ils apportent aux assurances sociales et par leur assujettissement à l’impôt sur le revenu. Le requérant ajoute que la discrimination dont il a été victime était fondée sur la nationalité, et non sur un statut qui lui aurait été conféré par la loi au regard du droit des étrangers (voir, a contrario, Bah c. Royaume-Uni, no 56328/07, CEDH 2011). Par ailleurs, il conviendrait de rappeler que la directive CE 109/2003 vise à garantir l’intégration des ressortissants des pays tiers durablement installés dans un État membre.
b) Le Gouvernement
44. Le Gouvernement expose que l’extension du bénéfice de l’allocation litigieuse a été refusée uniquement pour des raisons budgétaires, et non pour des raisons discriminatoires.
2. Appréciation de la Cour
b) Principes généraux
45. Selon la jurisprudence constante de la Cour, pour qu’une question se pose au regard de l’article 14, il doit y avoir une différence dans le traitement de personnes placées dans des situations comparables. Une telle différence est discriminatoire si elle ne repose pas sur une justification objective et raisonnable, c’est-à-dire si elle ne poursuit pas un but légitime ou s’il n’y a pas un rapport raisonnable de proportionnalité entre les moyens employés et le but visé. Les États contractants jouissent d’une certaine marge d’appréciation pour déterminer si et dans quelle mesure des différences entre des situations à d’autres égards analogues justifient des distinctions de traitement (X et autres c. Autriche [GC], no 19010/07, § 98, CEDH-2013, et Vallianatos c. Grèce [GC], nos 29381/09 et 32684/09, § 76, CEDH-2013). La notion de discrimination au sens de l’article 14 englobe également les cas dans lesquels un individu ou un groupe se voit, sans justification adéquate, moins bien traité qu’un autre, même si la Convention ne requiert pas le traitement plus favorable (Abdulaziz, Cabales et Balkandali c. Royaume-Uni, 28 mai 1985, § 82, série A no 94).
46. Par ailleurs, les États contractants jouissent d’une certaine marge d’appréciation pour déterminer si et dans quelle mesure des différences entre des situations à d’autres égards analogues justifient des différences de traitement (X et autres c. Autriche, précité, § 98, et Vallianatos c. Grèce, précité, § 76). L’étendue de cette marge d’appréciation varie selon les circonstances, les domaines et le contexte, mais il appartient à la Cour de statuer en dernier ressort sur le respect des exigences de la Convention. Une ample latitude est d’ordinaire laissée à l’État pour prendre des mesures d’ordre général en matière économique ou sociale (Burden c. Royaume-Uni [GC], no 13378/05, § 60, CEDH-2008 ; Carson et autres c. Royaume-Uni [GC], no 42184/05, § 61, CEDH-2010 ; Şerife Yiğit c. Turquie [GC], no 3976/05, § 70, 2 novembre 2010 ; et Stummer c. Autriche [GC], no 37452/02, § 89, CEDH-2011). Toutefois, seules des considérations très fortes peuvent amener la Cour à estimer compatible avec la Convention une différence de traitement exclusivement fondée sur la nationalité (Gaygusuz, précité, § 42 ; Koua Poirrez c. France, no 40892/98, § 46, CEDH 2003-X ; Andrejeva c. Lettonie [GC], no 55707/00, § 87, CEDH-2009 ; et Ponomaryovi, précité, § 52).
47. La Convention étant avant tout un mécanisme de protection des droits de l’homme, la Cour doit en outre tenir compte de l’évolution de la situation dans les États contractants et réagir, par exemple, au consensus susceptible de se faire jour quant aux normes à atteindre (Konstantin Markin c. Russie [GC], no 30078/06, § 126, CEDH 2012, et Fabris c. France [GC], no 16574/08, § 56, CEDH 2013).
b) Sur le point de savoir s’il y a eu différence de traitement entre des personnes se trouvant dans des situations similaires
48. Aux yeux de la Cour, il ne fait pas de doute que le requérant a été traité de manière différente par rapport aux travailleurs ressortissants de l’Union européenne qui, comme lui, avaient une famille nombreuse. En effet, à la différence de ces derniers, le requérant n’avait pas droit à l’allocation familiale prévue par l’article 65 de la loi no 448 de 1998. Le Gouvernement ne le conteste d’ailleurs pas.
49. La Cour observe de surcroît que le refus d’accorder au requérant le bénéfice de cette allocation avait pour fondement exclusif la nationalité de l’intéressé, qui à l’époque n’était pas ressortissant d’un État membre de l’Union européenne. En effet, il n’a pas été allégué que le requérant ne remplissait pas les autres conditions légales pour l’attribution de la prestation sociale en question. À l’évidence, il a donc, en raison d’une caractéristique personnelle, été moins bien traité que d’autres individus se trouvant dans une situation analogue (voir, mutatis mutandis, Ponomaryovi, précité, § 50).
c) Sur le point de savoir s’il existait une justification objective et raisonnable
50. La Cour relève que dans plusieurs affaires précitées similaires à la présente (Niedzwiecki ; Okpisz ; Weller ; Fawsie ; et Saidoun) et qui concernaient également l’octroi de prestations sociales à des familles d’étrangers, la Cour a conclu à une violation de l’article 14 combiné avec l’article 8, du fait que les autorités n’avaient pas donné de justification raisonnable à la pratique consistant à exclure de certaines allocations les étrangers légalement installés sur le territoire de ces États, sur la seule base de leur nationalité.
51. Notamment, dans les affaires Fawsie et Saidoun précitées, qui, à l’instar de la présente, concernaient l’allocation pour famille nombreuse, son constat de violation se fondait, en particulier, sur le fait que les requérantes et les membres de leurs familles s’étaient vu reconnaître le statut de réfugié politique et que le critère choisi par le Gouvernement (qui s’était en l’occurrence essentiellement attaché à la nationalité ou à l’origine grecque des intéressés) pour déterminer les bénéficiaires de l’allocation ne semblait pas pertinent à la lumière du but légitime poursuivi (à savoir, faire face au problème démographique du pays).
52. La Cour considère que des considérations analogues s’appliquent, mutatis mutandis, en l’espèce. Elle note à cet égard qu’à l’époque des faits le requérant était titulaire d’un permis de séjour et de travail régulier en Italie, et qu’il était assuré auprès de l’INPS (paragraphe 6 ci-dessus). Il payait des contributions à cet organe d’assurance au même titre et sur la même base que les travailleurs ressortissants de l’Union européenne (voir, mutatis mutandis, Gaygusuz, précité, § 46). L’intéressé n’était pas un étranger séjournant sur le territoire pour une courte durée ou en violation de la législation sur l’immigration. Il n’appartenait donc pas à la catégorie des personnes qui, en règle générale, ne contribuent pas au financement des services publics et pour lesquelles un État peut avoir des raisons légitimes de restreindre l’usage de services publics coûteux – tels que les programmes d’assurances sociales, d’allocations publiques et de soins (voir, mutatis mutandis, Ponomaryovi, précité, § 54).
53. Quant aux « raisons budgétaires » avancées par le Gouvernement (paragraphe 44 ci-dessus), la Cour reconnaît que la protection des intérêts budgétaires de l’État constitue un but légitime de la distinction litigieuse. Ce but ne saurait toutefois, à lui seul, justifier la différence de traitement dénoncée. Il reste à établir s’il existe un rapport raisonnable de proportionnalité entre le but légitime susmentionné et les moyens employés en l’occurrence. À cet égard, la Cour rappelle que le refus des autorités nationales d’accorder au requérant le bénéfice de l’allocation familiale repose exclusivement sur le constat qu’il ne possédait pas la nationalité d’un État membre de l’Union européenne. Il n’est pas contesté qu’un citoyen d’un tel État se trouvant dans les mêmes conditions que le requérant se verrait accorder l’allocation litigieuse. La nationalité constitue donc le seul et unique critère de la distinction en cause ; or la Cour rappelle que seules des considérations très fortes peuvent l’amener à estimer compatible avec la Convention une différence de traitement exclusivement fondée sur la nationalité (paragraphe 46 ci-dessus). Dans ces circonstances, et nonobstant la grande marge d’appréciation dont bénéficient les autorités nationales en matière de sécurité sociale, l’argument invoqué par le Gouvernement ne suffit pas à convaincre la Cour de l’existence, dans la présente affaire, d’un rapport raisonnable de proportionnalité qui rendrait la distinction critiquée conforme aux exigences de l’article 14 de la Convention (voir, mutatis mutandis, Andrejeva, précité, §§ 86-89).
d) Conclusion
54. Compte tenu de ce qui précède, la justification avancée par le Gouvernement ne paraît pas raisonnable et la différence de traitement constatée s’avère ainsi discriminatoire au sens de l’article 14 de la Convention. Il y a donc eu violation de l’article 14 combiné avec l’article 8 de la Convention.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
55. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
56. Le requérant réclame 9 416,05 EUR au titre du préjudice matériel qu’il aurait subi. Ce montant correspondrait aux allocations non perçues de 1999 à 2004 (8 016,05 EUR), augmentées des intérêts légaux (1 400 EUR).
57. Il demande en outre l’octroi d’une réparation pour dommage moral, sans en indiquer le montant.
58. Le Gouvernement n’a pas présenté d’observations sur ce point.
59. La Cour relève qu’elle a conclu à la violation de l’article 14 de la Convention, combiné avec l’article 8, en raison du fait que le refus d’octroyer au requérant l’allocation familiale prévue à l’article 65 de la loi no 448 de 1998 s’analysait en une discrimination fondée sur la nationalité. Dès lors, le préjudice matériel subi par le requérant correspond au montant des allocations non perçues – dont le calcul n’a pas été contesté par le Gouvernement, soit 8 016,05 EUR. À cette somme devant s’ajouter les intérêts légaux, la Cour octroie au requérant le montant qu’il sollicite, soit 9 416,05 EUR.
60. La Cour considère en outre que le requérant a subi un tort moral certain. Compte tenu des éléments en sa possession, la Cour décide d’octroyer à l’intéressé la somme de 10 000 EUR à ce titre.
B. Frais et dépens
61. Le requérant n’a formulé aucune demande de remboursement des frais et dépens engagés devant la Cour et/ou devant les juridictions internes. Par conséquent, la Cour considère qu’il n’y a pas lieu de lui allouer une somme à cet égard.
C. Intérêts moratoires
62. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare la requête recevable ;

2. Dit qu’il y a eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention ;

3. Dit qu’il y a eu violation de l’article 14 de la Convention, combiné avec l’article 8 ;

4. Dit
a) que l’État défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes :
i) 9 416,05 EUR (neuf mille quatre cent seize euros et cinq centimes) pour dommage matériel ;
ii) 10 000 EUR (dix mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour dommage moral ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;

5. Rejette la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 8 avril 2014, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Stanley Naismith Işıl Karakaş
Greffier Présidente

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