Conclusione Violazione dell’art. 6-1
SECONDA SEZIONE
CAUSA
DELFA MONTAGGI INDUSTRIALI S.R.L. E NAVA S.N.C.
C. ITALIA
( Richieste numeri 19875/03 e 30899/03)
SENTENZA
STRASBURGO
19 ottobre 2010
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Delfa Montaggi Industriali S.r.l. e Nava S.n.c. c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una Camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa,
Ireneu Cabral Barreto, Dragoljub Popović,
Nona Tsotsoria,
Işıl Karakaş, Kristina Pardalos,
Guido Raimondi, giudici, e di Francesca Elens-Passos, cancelliera collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 28 settembre 2010,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trovano due richieste (numeri 19875/03 e 30899/03) dirette contro la Repubblica italiana e in cui due società aventi la loro sede in questo Stato (“le richiedenti”) hanno investito la Corte in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”). I dettagli concernenti le richiedenti e le date di introduzione delle richieste figurano nel riquadro qui accluso alla presente sentenza.
2. Le richiedenti sono rappresentate da R. V. così come, nella richiesta no 19875/03, da E. L. e, nella richiesta no 30899/03, da Me F. U., ciascuno avvocato a Bergamo.
3. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo vecchio agente, il Sig. R. Adam, e dal suo attuale, la Sig.ra E. Spatafora, ed dal suo coagente, il Sig. N. Lettieri.
4. Il 25 giugno 2008, la Corte ha deciso di comunicare le richieste al Governo. Come permetteva il vecchio articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito delle richieste allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Le richiedenti, parti ai procedimenti giudiziali, hanno investito le giurisdizioni competenti ai sensi della legge “Pinto” per lamentarsi della durata di questi procedimenti.
6. I fatti essenziali delle richieste risultano dalle informazione contenute nel riquadro che figura qui accluso alla presente sentenza.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNE PERTINENTI
7. Il diritto e le pratica interna pertinenti relativi alla legge no 89 del 24 marzo 2001, detta “legge Pinto”, figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006-V).
IN DIRITTO
I. SULLA CONGIUNZIONE DELLE RICHIESTE
8. Tenuto conto della similitudine delle richieste in quanto ai fatti ed al problema di fondo che pongono, la Corte stima necessario unirle e decide di esaminarle congiuntamente in una sola sentenza.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
9. Le richiedenti si lamentano della durata dei procedimenti principali e di non avere ottenuto nessun indennizzo nella cornice dei ricorsi “Pinto.” Invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
10. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
1. Non-esaurimento delle vie di ricorso interne
11. Il Governo solleva un’eccezione di non-esaurimento delle vie di ricorso interne. Afferma che la Corte avrebbe sospeso l’esame delle richieste in seguito alla decisione dele richiedenti di avvalersi del rimedio introdotto dalla legge “Pinto”, entrata in vigore nel frattempo, creando così una disparità di trattamento rispetto ad altre richieste introdotte prima dell’adozione di suddetta legge e respinte dalla Corte per non-esaurimento delle vie di ricorso interne, al motivo che le richiedenti non avevano utilizzato il ricorso “Pinto” (inter alia, Brusco c. Italia, (dec.), no 69789/01, CEDH 2001-IX).
12. La Corte osserva che, contrariamente alla causa Brusco, dove il richiedente aveva indicato che non desiderava avvalersi del rimedio offerto dalla legge “Pinto” ed aveva invitato la Corte a registrare la sua richiesta, le richiedenti, nello specifico, hanno comunicato alla Corte la loro intenzione di introdurre dei ricorsi “Pinto”, il che hanno fatto poi, senza rinunciare alle loro richieste. Le vie di ricorso interne essendo state esaurite, la Corte stima che c’è luogo di respingere l’eccezione (vedere, mutatis mutandis, Luigi Serino c. Italia, no 679/03, §§ 15-16, 19 febbraio 2008).
2. Tardività delle richieste
13. Il Governo eccepisce poi della tardività delle richieste, nella misura in cui le richiedenti avrebbero chiesto alla Corte di riprendere l’esame delle loro richieste più di sei mesi dopo la chiusura dei procedimenti “Pinto” ivi relativi.
14. La Corte rileva che le sentenze della Corte di cassazione rese ai sensi della legge “Pinto” sono state depositate rispettivamente il 4 marzo 2003 (richiesta no 19875/03) e 3 aprile 2003 (richiesta no 30899/03). Peraltro, risulta dalle pratiche delle richieste che le richiedenti hanno comunicato rispettivamente alla Corte il risultato dei procedimenti “Pinto”, pregandola di riprendere l’esame delle loro richieste, il 9 giugno 2003 (richiesta no 19875/03) e 9 settembre 2003 (richiesta no 30899/03). Quindi, stima che c’è luogo di respingere l’eccezione del Governo.
3. Requisito di “vittima”
15. Il Governo sostiene che a buono diritto le giurisdizioni “Pinto” hanno negato di indennizzare le richiedenti in mancanza di prove del danno non patrimoniale, perché, secondo la giurisprudenza della Corte (Comingersoll S.p.A. c. Portogallo [GC], no 35382/97, §§ 31-37, CEDH 2000-IV) il risarcimento delle persone giuridiche non deriverebbe automaticamente del superamento del “termine ragionevole.”
16. Senza trascurare la giurisprudenza Comingersoll S.p.A. precitata, la Corte ricorda che enunciando le caratteristiche che devono avere una correzione appropriata e sufficiente per il superamento del “termine ragionevole” ha ammesso come punto di partenza “la presunzione solida, sebbene refragabile secondo la quale la durata eccessiva di un procedimento provoca un danno morale (“, Cocchiarella c. Italia, precitata, § 95). La Corte ha applicato questo principio ad una richiesta introdotta da una società italiana presumibilmente “vittima” della violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione in seguito. Ha stimato che constatando un superamento del “termine ragionevole” e respingendo l’istanza di risarcimento del danno morale, la giurisdizione “Pinto” non aveva riparato in modo adeguato e sufficiente il reato che aveva appena constatato (vedere Provide S.r.l. c. Italia, no 62155/00, § 24, CEDH 2007, 5 luglio 2007).
17. Quindi, dopo avere esaminato i fatti della causa e gli argomenti delle parti, la Corte stima, alla luce della sua giurisprudenza (vedere anche Conceria Madera S.r.l. c. Italia, no 4012/03, §§ 12-13, 1 luglio 2008) che la correzione nella cornice del rimedio “Pinto” si è rivelata insufficiente e che le richiedenti possono sempre definirsi “vittime” ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
4. Conclusione
18. La Corte constata che questi motivi di appello non incontrano nessun altro dei motivi di inammissibilità iscritti all’articolo 35 § 3 della Convenzione. Li dichiara allo stesso modo ammissibili.
B. Sul merito
19. La Corte constata che i procedimenti controversi hanno avuto la seguente durata:
i. richiesta no 19875/03: sette anni e tre mesi per due gradi di giurisdizione;
ii. richiesta no 30899/03: diciassette anni e due mesi per un grado di giurisdizione (in data della decisione della corte di appello “Pinto”); il procedimento si è prolungato poi per due anni e due mesi.
20. La Corte ha trattato a più riprese delle richieste che sollevavano delle questioni simili a quella dei casi di specie e ha constatato un’incomprensione dell’esigenza del “termine ragionevole”, tenuto conto dei criteri emanati in materia dalla sua giurisprudenza ben consolidata (vedere, in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, precitata). Non vedendo niente che possa condurre ad una conclusione differente nella presente causa, la Corte stima che c’è luogo anche di constatare, in ogni richiesta, una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, per gli stessi motivi.
III. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
21. Invocando l’articolo 13 della Convenzione, le richiedenti si lamentano della non effettività del rimedio “Pinto” in ragione della conclusione dei ricorsi iniziati ed a causa di essere state condannate al pagamento degli oneri e spese dei procedimenti.
22. Alla luce della giurisprudenza Delle Cave e Corrado c. Italia, no 14626/03, §§ 43-46, CEDH 2007-VI, la Corte stima che c’è luogo di dichiarare questo motivo di appello inammissibile per difetto manifesto di fondamento ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
23. Con le lettere del 26 aprile 2004, del 20 ottobre 2004 e del 5 aprile 2005, le richiedenti si lamentano del fatto che la Corte di cassazione non concede alle persone giuridiche alcun risarcimento patrimoniale per la violazione del “termine ragionevole.” Denunciano anche la violazione degli articoli 17 e 34 della Convenzione, per il fatto che la “legge Pinto” chiede di provare i danni morali subiti come conseguenza della durata di un procedimento. Si lamentano infine degli oneri di giustizia esposti per iniziare i ricorsi “Pinto.”
24. La Corte rileva che le sentenze della Corte di cassazione rese ai sensi del legge “Pinto” sono state depositate rispettivamente il 4 marzo 2003 (richiesta no 19875/03) e il 3 aprile 2003 (richiesta no 30899/03). Il motivo di appello delle richiedenti essendo stato introdotto al più presto il 26 aprile 2004, la Corte stima che c’è luogo di dichiararlo inammissibile per tardività, ai sensi dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione. Peraltro, la Corte stima che questo motivo di appello, strettamente legato a quello relativo all’effettività del rimedio “Pinto”, sarebbe stato comunque manifestamente privo di fondamento, avuto riguardo alla conclusione che figura sopra al paragrafo 22 (vedere, mutatis mutandis, Fascini c. Italia, no 56300/00, § 45, 5 luglio 2007).
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
25. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
26. Senza valutare le loro pretese, le richiedenti si rimettono alla saggezza della Corte per il risarcimento del danno morale che stimano di avere subito.
27. Il Governo stima che la Corte non dovrebbe concedere niente, non avendo valutato le richiedenti le loro pretese.
28. La Corte stima che avrebbe potuto accordare alle richiedenti, in mancanza di vie di ricorso interne, rispettivamente la somma di 6 000 EUR (richiesta no 19875/03) e 21 000 EUR (richiesta no 30899/03) tenuto conto della posta della controversia e dei ritardi imputabili alle richiedenti. Il fatto che le giurisdizioni “Pinto” non abbiano accordato loro niente arriva secondo la Corte ad un risultato manifestamente irragionevole. Di conseguenza, avuto riguardo alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto” ed al fatto che, malgrado questo ricorso interno, sia giunto ad una constatazione di violazione, la Corte, tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia (precitata, §§ 139-142 e 146) e deliberando in equità, assegna rispettivamente alle richiedenti 2 700 EUR (richiesta no 19875/03) e 9 450 EUR (richiesta no 30899/03) incluso l’indennizzo per la durata supplementare del procedimento principale dopo la constatazione di violazione da parte della giurisdizione “Pinto”.
B. Oneri e spese
29. Le richiedenti chiedono anche 3 800 EUR ciascuna per gli oneri e le spese impegnati dinnanzi alla Corte.
30. Il Governo contesta queste pretese.
31. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, il sussidio degli oneri e spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Can ed altri c. Turchia, no 29189/02, § 22, 24 gennaio 2008). La Corte constata nello specifico la mancanza di giustificativi e decide pertanto di non accordare niente.
C. Interessi moratori
32. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Decide di unire le richieste e di esaminarle congiuntamente in una sola sentenza;
2. Dichiara le richieste ammissibili in quanto ai motivi di appello derivati dalla durata eccessiva dei procedimenti, articolo 6 § 1 della Convenzione, ed inammissibili per il surplus;
3. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
4. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare alle richiedenti, nei tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme per danno morale:
i. richiesta no 19875/03: 2 700 EUR (duemila sette cento euro);
ii. richiesta no 26312/03: 9 450 EUR (novemila quattro cento cinquanta euro);
b) che alle somme occorre sopra, aggiungere ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
c) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
5. Respinge le domande di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 19 ottobre 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa
Numero di richiesta
e data di introduzione Dettagli richiedenti Procedimento principale e procedimento “Pinto” ivi relativo
no 19875/03introdotta il 6 dicembre 1999 OMISSIS società che ha la sua sede a Piadena, (Crema) Procedimento principale Oggetto: pagamento di una somma di denaro.
Prima istanza: tribunale di Crema (RG no 361/94) dal 7 aprile 1994 al 9 marzo 1996; 1 rinvio per sciopero degli avvocati.
Appello: corte di appello di Brescia, RG no 268/96, dal 18 maggio 1996 al 1 agosto 2001; 1 rinvio d’ufficio. Procedimento “Pinto”Autorità investita: corte di appello di Venezia, ricorso introdotto il 6 settembre 2001, richiesta di risarcimento dei danni subiti.
Decisione: 15 novembre 2001, depositata il 27 novembre 2001; nessun indennizzo per mancanza di prove del danno; condanna del richiedente al pagamento degli oneri e delle spese del procedimento.
Cassazione: ricorso della richiedente del 10 maggio 2002.
Sentenza: 4 febbraio 2003, depositato il 4 marzo 2003; rigetto del ricorso.
Data comunicazione alla Corte del risultato del procedimento nazionale: 9 giugno 2003.
no 30899/03introdotta il 28 gennaio 2000 OMISSIS società che ha la sua sede a Barzana (Bergamo) Procedimento principale Oggetto: pagamento di una somma di denaro.
Prima istanza: tribunale di Bergamo (RG no 4394/84 poi unita a RG no 4393/84) dal 16 novembre 1984 al 20 aprile 2004; 5 rinvii d’ ufficio, 3 rinvii su richiesta delle parti, 1 rinvio per mancanza di un testimone. Procedimento “Pinto”Autorità investita: corte di appello di Venezia, ricorso introdotto il 4 ottobre 2001, richiesta di risarcimento dei danni subiti.
Decisione: 31 gennaio 2002, depositata il 27 febbraio 2002; procedimento preso in conto fino alla data della decisione; nessun indennizzo per mancanza di prove del danno; condanna del richiedente al pagamento degli oneri e spese del procedimento.
Cassazione: ricorso del richiedente del 3 luglio 2002.
Sentenza: 4 febbraio 2003, depositata il 3 aprile 2003; rigetto del ricorso.
Data comunicazione alla Corte del risultato del procedimento nazionale: 9 settembre 2003.