Conclusione Eccezione preliminare respinta, Articolo 35-3-b – Nessun danno importante,; Parzialmente inammissibile; Violazione dell’articolo 6 – Diritto ad un processo equo, Articolo 6 – Procedimento civile; Articolo 6-1 – Termine ragionevole,; Danno morale – risarcimento (Articolo 41 – Danno morale)
SECONDA SEZIONE
CAUSA DE IESO C. ITALIA
(Richiesta no 34383/02)
SENTENZA
STRASBURGO
24 aprile 2012
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa de Ieso c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una Camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, Isabelle Berro-Lefèvre, András Sajó, Işıl Karakaş, Guido Raimondi, giudici,
e di Francesca Elens-Passos, greffière collaboratrice di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 3 aprile 2012,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 34383/02) diretta contro la Repubblica italiana e di cui un cittadino di questo Stato, il Sig. D. Sig. di I. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 17 marzo 2000 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da Me T. V., avvocato a Benevento. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo vecchio agente, il Sig. I.M. Braguglia e dal suo ex coagente, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 12 luglio 2004, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Come permetteva il paragrafo 3 dell’articolo 29 della Convenzione, in vigore all’epoca, aveva deciso inoltre che sarebbero stati esaminati l’ammissibilità ed il merito di questa allo stesso tempo.
4. Il 3 luglio 2005, Sig. d. I. decedette. Con una lettera del 2 maggio 2007, la Sig.ra M R. M e i Sigg. M e S. d. I. si costituirono nel procedimento in quanto eredi. Per ragioni di ordine pratico, la presente sentenza continuerà a chiamare il Sig. d. I. il “richiedente” benché occorra assegnare oggi questa qualità alla sua vedova ed ai suoi due figli.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
A. Il procedimento principale
5. Il 23 ottobre 1990, il richiedente depositò un ricorso dinnanzi al giudice di istanza di Benevento, RG no 4409/90, facendo funzione di giudice del lavoro, per ottenere la riconoscenza del suo diritto al versamento dei sussidi di invalidità (“assegno di invalidità”).
6. Il 16 novembre 1990, il giudice di istanza fissò la prima udienza al 27 novembre 1991. Il giorno venuto, la causa fu rinviata di ufficio.
7. Delle tre udienze fissate tra il 19 febbraio 1992 ed i 4 ottobre 1993, un fu rinviata alla domanda del richiedente.
8. Il giudice mise la causa in deliberato il 3 ottobre 1994.
9. Con una decisione dello stesso giorno di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 21 novembre 1994, il giudice fece diritto alla domanda del richiedente.
10. Il 3 gennaio 1995, la previdenza sociale interpose appello dinnanzi al tribunale di Benevento, RG no 6/95. Il 25 gennaio 1995, il presidente incaricò un giudice delatore della pratica e fissò l’udienza di arringhe al 14 giugno 1995. Questo giorno, la causa fu rinviata di ufficio.
11. Delle dieci udienze fissate tra il 11 dicembre 1996 ed il 20 settembre 2000, tre furono rinviati di ufficio.
12. L’udienza delle arringhe ebbe luogo il 7 febbraio 2001.
13. Con un giudizio dello stesso giorno il cui testo fu depositato alla cancelleria il 26 febbraio 2001, il tribunale respinse l’appello.
B. Il procedimento “Pinto”
14. In 2001, il richiedente investe la corte di appello di Roma al senso della legge no 89 del 24 marzo 2001, detta “legge Pinto”, per lamentarsi della durata eccessiva del procedimento descritto sopra. Il richiedente chiese alla corte di dire che c’era stata una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e di condannare il governo italiano al risarcimento dei danni giuridici subiti. Il richiedente chiese in particolare un minimo di 34 086,15 euro (EUR, a titolo di danno morale,).
15. Con una decisione del 17 dicembre 2001 di cui il testo fu depositato alla cancelleria il 30 gennaio 2002, la corte di appello constatò il superamento di una durata ragionevole. Accordò 2 582,28 EUR in equità come risarcimento del danno morale e 816 EUR per oneri e spese.
16. Questa decisione fu notificata al ministero della giustizia il 10 dicembre 2002 ed acquisì l’autorità della cosa giudicata il 8 febbraio 2003.
17. Con una lettera del 4 settembre 2002, il richiedente informò la Corte del risultato del procedimento nazionale e chiese che la Corte riprenda l’esame della sua richiesta.
18. Con la stessa lettera, il richiedente informò anche la Corte che non aveva l’intenzione di ricorrersi in cassazione al motivo che questo ricorso poteva essere introdotto solamente per le questioni di diritto.
19. Le somme accordate in esecuzione della decisione Pinto furono pagate il 30 giugno 2003.
II. IL DIRITTO E LE PRATICA INTERNE PERTINENTI
20. Il diritto e le pratica interna pertinenti figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006-V.
IN DIRITTO
I. OSSERVAZIONE PRELIMINARE
21. Il Governo oppone alla decisione della Corte di esaminare congiuntamente l’ammissibilità della richiesta ed il fondo di questa, come previsto all’articolo 29 § 3 della Convenzione. Stima che la richiesta non suscita simile approccio, in ragione delle particolarità legate alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto” ed alla data di deposito del decisione “Pinto.”
22. La Corte rileva, da una parte, che il Governo non ha supportato il suo argomento tirato delle particolarità della richiesta. Osserva, altro parte, che il procedimento di esame congiunge in questione non impedisco un esame attento delle questioni sollevate e degli argomenti invocati dal Governo (vedere, mutatis mutandis, Léo Zappia c. Italia, no 77744/01, §§ 12-14, 29 settembre 2005. Quindi, egli non ci non luogo di fare diritto alla domanda del Governo.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
23. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta della durata del procedimento principale e dell’insufficienza dell’indennizzo “Pinto.”
24. Il Governo si oppone a questa tesi.
25. L’articolo 6 § 1 della Convenzione sono formulati così:
“Ogni persona ha diritto affinché che la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile .”
A. Sull’ammissibilità
1. Non -esaurimento delle vie di ricorso interne
26. Il Governo eccepisce della non-esaurimento delle vie di ricorso interne, in ciò che il richiedente non si è ricorso in cassazione.
27. La Corte rileva che la decisione della corte di appello “Pinto” è diventata definitiva il 8 febbraio 2003. Alla luce della sua giurisprudenza, De Sante c. Italia, (dec.), no 56079/00, 24 giugno 2004, respinge questa eccezione.
2. Requisito di “vittima”
28. Il Governo sostiene che il richiedente non può più definirsi “vittima” della violazione dell’articolo 6 § 1 perché ha ottenuto della corte di appello “Pinto” una constatazione di violazione ed una correzione appropriata e sufficiente.
29. La Corte, dopo avere esaminato l’insieme dei fatti della causa e gli argomenti delle parti, considera che la correzione si è rivelata insufficiente, vedere Delle Cantina e Corrado c. Italia, no 14626/03, §§ 26-31, 5 giugno 2007; Cocchiarella c. Italia, precitata, §§ 69-98. Pertanto, il richiedente può sempre definirsi “vittima”, al senso dell’articolo 34 della Convenzione.
3. Mancanza di danno importante
30. Nelle sue osservazioni depositate alla cancelleria della Corte il 28 aprile 2009, a sapere in vigore circa un anno prima dell’entrata del Protocollo no 14, il Governo solleva un’eccezione derivata della mancanza di danno importante per il richiedente, al motivo che la corte di appello “Pinto” ha di constatato prima, poi accordato un risarcimento adeguato per la violazione della Convenzione.
31. Si riferisce al testo dell’articolo 35 § 3 b, della Convenzione, come modificato dal Protocollo no 14 secondo che la Corte può dichiarare una richiesta inammissibile quando “il richiedente non ha subito nessuno danno importante, salvo se il rispetto dei diritti dell’uomo garantito dalla Convenzione ed i suoi Protocolli esigono un esame della richiesta al fondo ed a patto di non respingere per questo motivo nessuna causa che non è stata esaminata debitamente da un tribunale interno.”
32. La Corte osserva al primo colpo che il Protocollo no 14 alla Convenzione è entrato in vigore il 1 giugno 2010.
33. C’è luogo dunque di essere incerto sul punto di sapere se le condizioni di applicazione che si trova enunciata 35 § all’articolo 3 b, della Convenzione nella sua redazione conclusione del Protocollo no 14 sono riuniti.
34. Per ciò che riguarda la nozione di “danno importante”, la Corte tiene a sottolineare che non deriva automaticamente per il fatto che le giurisdizioni interne avrebbero riconosciuto, poi accordato un risarcimento per violazione della Convenzione, che non ci sarebbe “danno” nel capo del richiedente, come sembro sostenerlo il Governo convenuto. Difatti, la valutazione a proposito della mancanza di un tale “danno” non si ridursi ad una stima puramente economica.
35. La Corte ricorda che per verificare se la violazione di un diritto raggiunge la soglia minima di gravità, c’è luogo di prendere in particolare in conto i seguenti elementi: la natura del diritto presumibilmente violato, la gravità dell’incidenza della violazione addotta nell’esercizio di un diritto o le conseguenze eventuali della violazione sulla situazione personale del richiedente. Nella valutazione di queste conseguenze, la Corte esaminerà, in particolare, la posta del procedimento nazionale o la sua conclusione (vedere, Giusti c. Italia, no 13175/03, § 34, 18 ottobre 2011.
36. La Corte rileva che nello specifico, il richiedente si lamentava sopra della durata di un procedimento civile, cadendo sulla riconoscenza del suo diritto al versamento di sussidi di invalidità, § 5, essendo stesa si su dieci anni e tre mesi circa per due gradi di giurisdizione. All’evidenza, una tale durata non saprebbe essere compatibile col principio del termine ragionevole previsto con l’articolo 6 § 1 della Convenzione. Secondo la Corte, per valutare la gravità delle conseguenze di questo tipo di affermazione, la posta della causa dinnanzi ai giudici nazionali saprebbe essere determinante solamente nell’ipotesi dove il valore sarebbe debole o irrisorio. Ciò non è il caso nell’occorrenza tenuto conto della natura dei sussidi in questione, trattandosi di una prestazione vitalizia.
37. Conviene anche notare che il richiedente aveva investito la Corte il 17 marzo 2000 che adduce una violazione del diritto al rispetto del termine ragionevole sulla base di una giurisprudenza buona invalsa (vedere, tra altre, Bottazzi c. Italia [GC], no 34884/97, CEDH 1999-V. Seguito all’entrata in vigore del legge “Pinto”, il richiedente ha dovuto investire la corte di appello competente che ha reso la sua decisione il 17 dicembre 2001. Poi, in data 4 settembre 2002, il richiedente ha ripreso la sua richiesta dinnanzi alla Corte. Ora è evidente che il suo passo è legato alle debolezze del ricorso “Pinto” (vedere, entra altri, Simaldone c. Italia, no 22644/03, § 82, CEDH 2009 -… (brani)), in particolare per ciò che è della modicità degli importi assegnati dai corsi competenti, in particolare prima del cambiamento improvviso della Corte di cassazione (vedere Di Salute c). Italia, precitata), e del ritardo nel pagamento desdits ammontato. Tutto ciò ha provocato evidentemente un ritardo molto importante nell’esame della causa dell’interessato, ritardo che non saprebbe essere ignorato dalla Corte quando si tratta di valutare l’importanza del danno subito da questo ultimo.
38. Peraltro, non si saprebbe concludere diversamente per la semplice ragione che l’efficacia del rimedio “Pinto” non è stata fino qui rimessa in causa (vedere, entra altri, Delle Cantina e Corrado c. Italia, precitata), tanto più che la Corte ha denunciato chiaramente l’esistenza di un problema nel funzionamento del questo (vedere, Simaldone c. Italia, precitata, § 82.
39. Tenuto conto di ciò che precede, c’è luogo di respingere anche questa eccezione.
4. Conclusione
40. La Corte constata che questo motivo di appello non cozza contro nessuno altro dei motivi di inammissibilità iscritta all’articolo 35 § 3 della Convenzione. Anche, dichiaralo lei ammissibile.
B. Sul merito
41. La Corte constata che il procedimento principale cominciato il 23 ottobre 1990 e conclusosi il 26 febbraio 2001, è durato più di dieci anni per due gradi di giurisdizione.
42. La Corte ha trattato a più riprese delle richieste che sollevano delle questioni simili a quella del caso di specifico e ha constatato un’incomprensione dell’esigenza del “termine ragionevole”, tenuto conto dei criteri emanati in materia dalla sua giurisprudenza buona invalsa (vedere, in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, precitata). Non vedendo niente che possa condurre ad una conclusione differente nella presente causa, la Corte stima che c’è luogo anche di constatare una violazione dell’articolo 6 § 1.
III. SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE
43. Invocando l’articolo 13 della Convenzione, il richiedente si lamenta del non effettività del rimedio “Pinto” in ragione dell’insufficienza del risarcimento concesso dai corsi di appello “Pinto.”
44. La Corte ricorda che, secondo la giurisprudenza Delle Cave e Corrado c. Italia (precitata, §§ 43-46, e Simaldone c. Italia (precitata, §§ 71-72, l’insufficienza dell’indennizzo “Pinto” non rimette in causa l’effettività di questa via di ricorso. Pertanto, c’è luogo di dichiarare questo motivo di appello inammissibile per difetto manifesto di fondamento al senso dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
45. Il richiedente adduce poi la violazione degli articoli 14, 17 e 34. Sarebbe stato vittima di una “discriminazione fondata sulla ricchezza”, tenuto conto degli oneri avanzati per intentare il procedimento “Pinto”.
46. La Corte stima che c’è luogo di esaminare unicamente questi motivi di appello sotto l’angolo del diritto ad un tribunale allo sguardo dell’articolo 6 della Convenzione. Osserva che, sebbene un individuo possa essere ammesso, secondo la legge italiana, a favore dell’assistenza giudiziale gratuita in materia civile, il richiedente non ha chiesto l’aiuto giudiziale. Rileva, inoltre, che ha potuto investire le giurisdizioni competenti ai termini del legge “Pinto” e che la corte di appello ha fatto diritto alla sua domanda, accordandogli una somma a titolo degli oneri di procedimento. Ora, non si saprebbe parlare di ostacoli all’esercizio del diritto ad un tribunale quando una parte, rappresentata da un avvocato, investe liberamente la giurisdizione competente e presente dinnanzi a lei i suoi argomenti. Pertanto, nessuna apparenza di violazione che non può essere scoperta, la Corte dichiara i motivi di appello che cadono sugli oneri di procedimento inammissibile perché manifestamente male fondati al senso dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione, Nicoletti c. Italia, déc.), no 31332/96, 10 aprile 1997.
47. Sul terreno dell’articolo 6, il richiedente adduce infine che le giurisdizioni “Pinto” non sarebbero imparziali, al motivo che certi giudici esercitano un controllo sulla condotta di altri colleghi, e che la Corte dei conti è tenuta di iniziare un procedimento in responsabilità contro questi ultimi, nel caso in cui la lunghezza di un procedimento interna sarebbe loro imputabile.
48. Concernente il motivo di appello che cade sull’imparzialità, e dunque sull’equità, del procedimento “Pinto”, la Corte ricorda che l’imparzialità di un giudice deve rivalutarsi secondo un passo soggettivo, provando a determinare la convinzione personale di tale giudice in tale occasione, ed anche secondo un passo obiettivo che porta ad assicurarsi che offriva delle garanzie sufficienti per escludere a questo riguardo ogni dubbio legittimo. In quanto alla prima, l’imparzialità personale di un magistrato si presume fino alla prova del contrario. Ora, nessuno elemento della pratica non dà a pensare che le giurisdizioni “Pinto” avevano dei pregiudizi. In quanto al secondo, conduce a chiedere si se, a prescindere della condotta del giudice, certi fatti verificabili autorizzano a sospettare l’imparzialità di questo ultimo.
49. Nello specifico, il timore di un difetto di imparzialità deriverebbe di un preteso “spirito di corpo” che porterebbe le giurisdizioni “Pinto” a respingere sistematicamente le domande di soddisfazione equa per difendere la condotta dei loro colleghi. Tuttavia, la Corte constata che queste affermazioni sono vaghe e non supportate e che la corte di appello competente ad accordato un indennizzo al richiedente a causa della durata eccessiva del procedimento principale. Di conseguenza, questo motivo di appello è a respingere perché manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione (vedere Padovani c). Italia, sentenza del 26 febbraio 1993, serie Ha no 257-B, §§ 25-280.
IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
50. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
51. La parte richiesta richiede la somma di 31 503,88 EUR a titolo del danno morale per la violazione addotta dell’articolo 6 § 1 della Convenzione così come 3 000 EUR per la violazione addotta degli articoli 14, 17 e 34.
52. Secondo il Governo, tenuto conto dell’indennizzo ricevuto nella cornice del rimedio “Pinto”, il richiedente non ha sofferto nessuno danno a causa del procedimento principale. Sostiene, inoltre che questa rappresentava una debole posta per l’interessato.
53. La Corte stima che avrebbe potuto accordare al richiedente per la violazione dell’articolo 6 § 1, nella mancanza di vie di ricorso interni e tenuto conto dei ritardi imputabili al richiedente, la somma di 10 000 EUR. Il fatto che la corte di appello “Pinto” abbia concesso al richiedente circa il 26% di questa somma arriva ad un risultato manifestamente irragionevole. Di conseguenza, avuto riguardo alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto”, la Corte, tenuto conto della soluzione adottata nel sentenza Cocchiarella c. Italia (precitata, §§ 139-142 e 146, e deliberando in equità, assegna congiuntamente agli eredi del richiedente 1 900 EUR.
B. Oneri e spese
54. Note di parcella in appoggio, la parte richiedente domanda 6 920,86 EUR a titolo degli oneri e delle spese.
55. Il Governo contesta queste pretese.
56. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese solo nella misura in cui si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso. Nello specifico e tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri suddetti, la Corte stima ragionevole la somma di 2 000 EUR di cui 1 000 EUR a titolo degli oneri e delle spese del procedimento nazionale e 1 000 EUR per il procedimento dinnanzi alla Corte.
C. Interessi moratori
57. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentata di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato della durata eccessiva del procedimento e dell’insufficienza dell’indennizzo “Pinto” ed inammissibile per il surplus;
2. Stabilisce che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stabilisce
a) che lo stato convenuto deve versare congiuntamente agli eredi del richiedente, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, la somma globale di 1 900 EUR, mille novecento euro, per danno morale e 2 000 EUR, duemila euro, per oneri e spese, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;
4. Respinge la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 24 aprile 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Francesca Elens-Passos Francesca Tulkens
Cancelliera collaboratrice Presidentessa