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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE CONTRADA c. ITALIE (N° 2)

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli: 03
Numero: 7509/08/2014
Stato: Italia
Data: 2014-02-11 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

Conclusioni: Violazione dell’articolo 3 – Interdizione della tortura, Articolo 3 – Trattamento che degrada Trattamento disumano, (Risvolto patrimoniale,

SECONDA SEZIONE

CAUSA CONTRADA C. Italia (No 2)

(Richiesta no 7509/08)

SENTENZA

STRASBURGO

11 febbraio 2014

Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nel causa Contrada c. Italia (no 2),
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta di:
Egli ıKaraka, şpresidentessa,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nebojša Vuini,
Paulo Pinto di Albuquerque,
Egidijus Kris, giudici,
e di Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 14 gennaio 2014,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 7509/08) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, OMISSIS (“il richiedente”), ha investito la Corte il 31 gennaio 2008 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è stato rappresentato da OMISSIS, avvocato a Napoli. Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, così come dal suo coagente, la Sig.ra P. Accardo.
3. Il richiedente si lamenta in particolare dei rifiuti ripetuti delle giurisdizioni interne di fare diritto alle sue domande di rinvio dell’esecuzione della sua pena e di ottenimento del regime della detenzione a domicilio in ragione del suo stato di salute (articolo 3 della Convenzione). Denuncia anche una violazione del suo diritto ad un processo equo, articolo 6 § 1 della Convenzione.
4. Il 14 maggio 2012, la Corte ha comunicato il motivo di appello derivato dell’articolo 3 della Convenzione al Governo. Siccome lo permette l’articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità allo stesso tempo e sul fondo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato in 1931 e risiede a Palermo.
A. Il procedimento penale sollecitato contro il richiedente
1. Il procedimento in prima istanza dinnanzi al tribunale di Palermo
6. Con una sentenza del 5 aprile 1996, il tribunale di Palermo condannò il richiedente ad una pena di dieci anni di reclusione per concorso esterno ad un’associazione mafiosa, concorso in associazione di stampo mafioso, articoli 110, 416 e 416 bis del codice penale. Il tribunale considerò in particolare che, entra 1979 e 1988, il richiedente, in qualità di funzionario di polizia di capo di studio poi dell’alto-commissario per la lotta contro la mafia e di direttore aggiunge dei servizi segreti civili (SISDE), aveva contribuito sistematicamente alle attività ed alla realizzazione degli scopi criminali dell’associazione mafiosa denominata “cosa nostra.” Secondo il tribunale, il richiedente aveva fornito ai membri della “commissione provinciale” di Palermo di suddetta associazione delle informazione confidenziali concernente le investigazioni ed operazioni di polizia di cui questi ultimi, così come di altri membri dell’associazione in questione, facevano l’oggetto.
7. Il tribunale fondò il suo giudizio sull’esame di un numero importante di testimonianze e di documenti e, in particolare, sulle informazione fornite da parecchi si pentirono, vecchi membri dell’associazione “cosa nostra.”
2. Il procedimento in appello dinnanzi alla corte di appello di Palermo
8. Il richiedente ed il ministero pubblico fecero uno e l’altro appello.
9. Il richiedente fece valere il principio della previsione legislativa con una precisione sufficiente delle situazioni in che la norma penale trova applicazione, principio di tassatività della norma penale, in quanto corollario del principio più generale della no-retroattività della norma penale. Stimava in particolare che all’epoca dei fatti della causa, l’applicazione della legge penale concernente il concorso esterno ad un’associazione mafiosa non era prevedibile perché era stata la conclusione di un’evoluzione giurisprudenziale ulteriore.
10. Con una sentenza del 4 maggio 2001, la corte di appello di Palermo rovesciò il giudizio di prima istanza e prosciolse il richiedente al motivo che i fatti che gli erano rimproverati non si erano prodursi, si appollaiato egli fatto non sussiste.
11. Pure sottolineando parecchie anomalie nel comportamento del richiedente nel suo ruolo di dirigente della polizia (fatti suscettibili di essere oggetto di un procedimento disciplinare), la corte di appello stimò che le prove prese in considerazione non erano determinanti, assegnò del peso ad altre testimonianze di pentite raccolti nel frattempo e rilevò che il tribunale di prima istanza aveva sottovalutato la possibilità che le testimonianze di certi si pentirono, arrestata nel passato col richiedente sé, potevano essere la conseguenza di un progetto di vendetta contro questo ultimo.
12. La corte di appello non fece riferimento alle considerazioni del richiedente che tiene al prevedibilità della legge penale.
3. Il primo procedimento dinnanzi alla Corte di cassazione
13. Il procuratore generale della Repubblica si ricorse in cassazione.
14. Con una sentenza del 12 dicembre 2002, la Corte di cassazione annullò la sentenza della corte di appello di Palermo e rinviò la causa dinnanzi a questa. Stimò in particolare che la sentenza in questione non era stata motivata debitamente. Come esempio, la corte di appello aveva omesso di spiegare la ragione per la quale certe testimonianze raccolsero non erano suscettibili di avere valore di prova e non aveva supportato la tesi della “vendetta” di certi mi pentii nei confronti il richiedente.
4. Il nuovo procedimento dinnanzi alla corte di appello di Palermo
15. Con una sentenza del 25 febbraio 2006, una nuova camera della corte di appello di Palermo, presieduta dal giudice S., confermò il contenuto del giudizio del tribunale del 5 aprile 1996.
Per questo fare si attaccò, da una parte, a numerose altre testimonianze e documenti raccolsi durante l’inchiesta e stimò, altro parte, che la camera della corte di appello che aveva deliberato aveva valutato precedentemente male il valore probante attribuibile a certe testimonianze.
16. La nuova formazione di giudizio respinse, entra altri, la domanda del richiedente che tende all’ascolto del Sig. F.C, direttore del Servizio centrale di protezione del ministero dell’interno all’epoca dei fatti. Questo ultimo aveva affermato difatti che, nella sua attività di organizzazione della vita quotidiana dei pentiti e delle loro famiglie, circa sei centesimi incontri tra il mi pentii gli erano state segnalate.
17. La corte di appello stimò che la questione che si porsi non era quella di sapere se le dichiarazioni dei pentiti in causa potevano in quanto tale essere utilizzate. Difatti l’esclusione, come modo di prova, delle dichiarazioni di pentiti avendo avuto dei contatti tra essi non era stata introdotta che in 2001, con la legge no 45/2001, e non si applicava dunque nello specifico. La questione pertinente era piuttosto, secondo la corte, quella della credibilità delle dichiarazioni prese in loro stesse, circostanza che era stata già oggetto di un esame attento e scrupoloso da parte del tribunale di prima istanza.
18. Per ciò che era dell’applicabilità della legge penale concernente il concorso esterno ad un’associazione mafiosa, configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa, la corte di appello stimò che il giudizio del tribunale di prima istanza avendo condannato il richiedente aveva applicato correttamente i principi sviluppati in materia dalla giurisprudenza.
5. Il secondo procedimento dinnanzi alla Corte di cassazione
19. Il richiedente si ricorse in cassazione.
20. Invocò di nuovo il principio della no-retroattività e del prevedibilità della legge penale, stimando che questa questione non era stata oggetto di nessuno esame da parte delle giurisdizioni del fondo ed aveva chiesto che i fatti dello specifico siano qualificati di ostacolo all’azione penale – favoreggiamento personale.
21. Il richiedente si lamentò inoltre per il fatto che il giudice S. abbia presieduto la formazione di giudizio della corte di appello avendo reso la sentenza del 25 febbraio 2006. A questo riguardo, spiegò che, con un’ordinanza del 1 ottobre 1993, questo stesso giudice l’aveva respinto già in appello di un’ordinanza del giudice delle investigazioni preliminari che negano di revocare o di sostituire la misura di detenzione provvisoria di cui aveva fatto l’oggetto.
22. Contestò anche, entra altri, l’utilizzazione delle dichiarazioni di un pentito, il Sig. A.G, fate all’epoca del dibattito contraddittorio, ad una data secondo lui posteriore alla scadenza di termine stabilito dall’articolo 16 quater della legge no 82/91 che era di sei mesi a partire dalla manifestazione della volontà dell’interessato di collaborare con la giustizia, vedere “Diritto interno pertinente” la parte).
23. Il richiedente chiese anche che i documenti concernente il programma di protezione dei pentiti intesi durante il procedimento siano versati alla pratica e sollecitò, altro parte, l’ascolto di un testimone, il Sig. F.C. Il richiedente stimava in fatto che differenti pentiti (in particolare, Sigg. G.M, M.M, R.S, S.C, G.C, M.P, P.S,. e G.M, chi aveva avuto dei contatti tra essi si erano concertati nello scopo di fornire delle dichiarazioni potendo dimostrare la sua colpevolezza. Così, le prove utilizzate contro lui sarebbero state viziate.
24. Con una sentenza pronunciata il 10 maggio 2007 e depositato il 8 gennaio 2008, la Corte di cassazione respinse il richiedente alla cancelleria.
25. In quanto al fatto che il giudice S. aveva presieduto la formazione della corte di appello avendo reso la sentenza attaccata, la Corte di cassazione rispose che, se gli elementi avanzati dal richiedente potevano costituire eventualmente un motivo valido di ricusazione, erano in compenso senza incidenza sulla regolarità del procedimento in causa.
26. In quanto all’utilizzazione delle dichiarazioni del Sig. A.G, la Corte di cassazione osservò che la regola fissata dall’articolo 16 quater, capoverso 9, della legge no 82/91 si applicava solamente alla fase delle investigazioni preliminari e non a quella del dibattito contraddittorio, come aveva constatato anche nella sua sentenza no 18061 del 13 febbraio 2002. Nel caso di specifico, era a buono diritto che le dichiarazioni in questione erano state versate alla pratica dunque.
27. La Corte di cassazione respinse inoltre la domanda del richiedente che tende all’amministrazione delle notizie prove, al motivo che questa rilevava della competenza del giudice del fondo e non del controllo del giudice di cassazione, salvo se il rigetto di una tale domanda non era stato motivato debitamente, ciò che non era il caso nello specifico. Nel caso presente, in quanto alla domanda di ascolto del Sig. F.C. ed alla pretesa inammissibilità delle prove che consistono nelle dichiarazioni di pentite, la Corte di cassazione rilevò che questi motivi del ricorso erano stati respinti già ampiamente dalla corte di appello in modo ed argomentata debitamente. Notò che la regola dell’esclusione, tra i modi di prova ammisero, delle dichiarazioni di pentiti viziate con l’esistenza di contatti tra gli interessati non era stata introdotta che in 2001, con la legge no 45/01, e considerò perciò che questa regola non trovava ad applicarsi nello specifico. La Corte di cassazione osservò anche che ad ogni modo, i contatti avendo avuto luogo tra pentito durante il procedimento non riguardavano nessuna delle persone avendo fornito le dichiarazioni che erano state utilizzate effettivamente per provare la colpevolezza del richiedente.
28. Infine, la Corte di cassazione considerò che la parte del ricorso che cade sul principio della no-retroattività e del prevedibilità della legge penale era manifestamente male fondata perché metteva in realtà in causa la valutazione caduta dai giudici sul fondo e non solamente la conformità al diritto (legittimità, della sentenza attaccata,).
29. Giudicò così come la corte di appello aveva motivato debitamente la sua sentenza e che non c’era luogo di completare la pratica con l’amministrazione di altri elementi di prova.
6. Il procedimento in revisione della causa dinnanzi alla corte di appello di Caltanissetta
30. Il richiedente tentò di ottenere una revisione del suo processo in seguito. Con una sentenza del 24 settembre 2011, la corte di appello di Caltanissetta dichiarò la sua domanda in questo senso inammissibile.
31. Con una sentenza depositata alla cancelleria il 25 giugno 2012, la Corte di cassazione respinse il ricorso del richiedente contro questa decisione.
B. Lo stato di salute del richiedente e le domande introdotte da questo dinnanzi al giudice ed il tribunale di applicazione delle pene
32. Il richiedente fu incarcerato il 11 maggio 2007 alla prigione militare di Santa Maria Capua Vetere. Con una lettera del 20 agosto 2007 indirizzato al giudice dell’applicazione delle pene, magistrato di sorveglianza, qui di seguito “il giudice”), fece stato di un numero importante di patologie di cui indicava essere leso.
33. Con un certificato del 1 ottobre 2007, un medico del servizio sanitario della determinazione penitenziaria attestò che il richiedente soffriva dei postumi di un ischémie cerebrale, di certe patologie dell’apparecchio visuale, così come di cardiopatia, diabete, ipertrofia prostatica, artrosi, iponutrizione e depressione.
I procedimenti introdotti dal richiedente per ottenere la sua liberazione, il rinvio dell’esecuzione della pena o la detenzione a domicilio
ha, La prima domanda
34. Il 24 ottobre 2007, il richiedente introdusse una domanda dinnanzi al giudice che tende ad ottenere la sua liberazione o il rinvio dell’esecuzione della sua pena.
35. Il 22 e 31 ottobre 2007 ed il 24 novembre 2007, tre rapporti medici furono depositati dinnanzi al giudice, due dai quali erano stati redatti dagli esperti sollecitati dal richiedente ed uno coi medici del servizio sanitario della determinazione penitenziaria. I tre rapporti facevano stato delle patologie, numerose e complessi di cui il richiedente era leso e concludeva all’incompatibilità del suo stato di salute col regime di detenzione al quale era sottoposto.
36. Con una decisione depositata alla cancelleria il 12 dicembre 2007, il giudice respinse la domanda del richiedente. Pure riferendosi ai tre rapporti medici ed ai conclusioni contenuti, il giudice stimò qu ‘ “non si saprebbe affermare, tuttavia, che le patologie di cui [il richiedente] è leso sono, al momento, gravi e non suscettibili di essere trattate in prigione. [Queste richiedono tuttavia] un controllo continuo che può essere garantito dall’ospedalizzazione e con la vigilanza consolidata da parte del servizio sanitario della determinazione penitenziaria.”
b, La seconda domanda,
37. Adducendo la mancanza di equità di questa decisione, il 17 dicembre 2007, il richiedente introdusse una notizia chiedo dinnanzi al giudice che ha lo stesso oggetto che la precedente.
38. Secondo due rapporti medici del servizio sanitario della determinazione penitenziaria depositata il 21 e 27 dicembre 2007, lo stato di salute del richiedente era stazionario, eccetto la sua perdita di peso che si era aggravato dal 31 ottobre 2007. Il rapporto concludeva all’incompatibilità dello stato di salute del richiedente col regime di detenzione al quale era sottoposto.
39. Con una decisione depositata alla cancelleria il 28 dicembre 2007, il giudice respinse la domanda sulla base, per l’essenziale, degli stessi argomenti che nella sua decisione del 12 dicembre 2007. Stimò inoltre che, secondo la giurisprudenza consolidata le condizioni di concessione della liberazione e del rinvio dell’esecuzione della pena non erano assolte in materia, dato che, nel caso di specifico, la detenzione non provocava “l’impossibilità o la difficoltà estrema” di ricorrere ai trattamenti sanitari che si rivelavano necessari. Il tribunale autorizzò anche l’ospedalizzazione del richiedente per il tempo necessario all’esecuzione di certi controlli sanitari. Il giorno stesso, il richiedente fu ricoverato e fu sottoposto a parecchi esami.
c, La terza domanda,
40. Il 3 gennaio 2008, il richiedente introdusse una domanda che ha lo stesso contenuto che i due precedenti. Fece valere anche che un rinvio di esecuzione della pena era stato concesso dallo stesso tribunale in un’altra causa nella quale lo stato di salute del detenuto in questione era meno grave del suo.
41. Due rapporti medici furono depositati. Notarono il cattivo stato di salute del richiedente e fornirono delle indicazioni in quanto al trattamento farmacologico seguito.
42. Con una decisione depositata alla cancelleria il 7 gennaio 2008, il giudice respinse la domanda. Stimò in particolare che i rapporti non fornivano di elementi nuovi rispetto a quelli che figurava alla pratica all’epoca delle decisioni precedenti e che i risultati degli esami effettuati all’ospedale non gli erano stati trasmessi ancora. In quanto alla valutazione della “gravità” delle patologie del richiedente e dell’esistenza di una “impossibilità o difficoltà eccessiva” a trattare queste da prigione, il giudice giunse agli stessi conclusioni che nelle sue decisioni del 12 e 28 dicembre 2007.
d, La quarta domanda,
43. Il giorno stesso, il richiedente introdusse una domanda che ha lo stesso contenuto che le sue domande precedenti. Questa domanda fu respinta da una decisione del giudice del 21 febbraio 2008.
e, La decisione del tribunale di applicazione delle pene del 15 gennaio 2008
44. Nel frattempo, le tre decisioni precedenti che avevano un carattere provvisorio, furono confermate dal tribunale di applicazione di pene, qui di seguito “il tribunale”) con un’ordinanza depositata alla cancelleria il 15 gennaio 2008. Il tribunale rilevò tra altri che la depressione di cui il richiedente soffriva non era una patologia psichiatrica ma un’agitazione dell’umore dovuto allo stato di detenzione e non raggiungendo una soglia di gravità di natura tale da giustificare un rinvio dell’esecuzione della sua pena.
f, Il primo ricorso in cassazione introduce col richiedente
45. Il 19 gennaio 2008, il richiedente si ricorse in cassazione. Considerò in particolare che il tribunale non aveva considerato debitamente la gravità delle patologie di cui era leso.
46. Secondo due rapporti medici depositati il 26 febbraio ed il 12 marzo 2008, un redatto da un medico designato dal richiedente, l’altro con un medico del servizio sanitario della determinazione penitenziaria, lo stato di salute del richiedente non era compatibile col regime di detenzione al quale era sottoposto.
47. Il 27 febbraio 2008, il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione chiese al presidente della Corte di cassazione di annullare l’ordinanza del tribunale e di rinviare la causa a questo ultimo.
48. Con una sentenza depositata alla cancelleria il 5 maggio 2008, la Corte di cassazione respinse il richiedente. Stimò che l’ordinanza del tribunale era stata motivata debitamente e che il richiedente aveva omesso di esporre in modo dettagliata, riferendosi alle differenti patologie in causa, la sua contestazione dei conclusioni del tribunale secondo che queste ultime non rivestivano di carattere di gravità.
g, La decisione del tribunale del 15 aprile 2008
49. Con una decisione depositata alla cancelleria il 15 gennaio 2008, il tribunale confermò la quarta decisione di rigetto del giudice, così come due altre decisioni di rigetto che era stato adottato dal giudice nel frattempo, il 28 febbraio ed il 19 marzo 2008.
h, La decisione del tribunale di accordare al richiedente la detenzione a domicilio
50. In seguito a due altre decisioni di rigetto, del 12 maggio e del 19 giugno 2008, di domande introdotte dal richiedente, con un’ordinanza depositata alla cancelleria il 24 luglio 2008, il tribunale autorizzò la detenzione del richiedente al domicilio del suo sœur, situato a Napoli, per un periodo di sei mesi con interdizione di ogni contatto con le persone altri che i membri della famiglia del richiedente ed il personale medico.
51. Il tribunale prese in conto un rapporto medico redatto da un medico della determinazione penitenziaria che faceva stato di una degradazione della salute del richiedente, già precario, in particolare in ciò che riguardava il perdita pondérale, 20 chili durante l’ultimo anno, e l’apparizione di una poliposi molteplice del colon che si aggiunge già alle patologie esistenti.
52. Del parere del tribunale, il seguito ed il trattamento di queste patologie in regime carcerario erano incompatibili coi principi umanitari e col diritto alla salute garantita dalla Costituzione.
53. Il tribunale respinse la domanda di rinvio dell’esecuzione della pena, rilevando la pericolosità sociale dell’interessato, il tipo di reato per che era stato condannato ed il tempo di detenzione che il richiedente doveva scontare ancora.
i, Il secondo ricorso in cassazione introduce col richiedente ed il rinvio della causa dinnanzi al tribunale
54. Il 1 agosto 2008, il richiedente si ricorse in cassazione. Contestò la sua pericolosità sociale, tenuto conto della sua età e del suo stato di salute.
55. Sollecitò il rinvio dell’esecuzione della sua pena per una durata di un anno così come la possibilità di eseguire la sua detenzione nel suo proprio domicilio, dove sua sposa abitava.
56. Con una sentenza depositata alla cancelleria il 21 ottobre 2008, la Corte di cassazione annullò l’ordinanza del tribunale depositata alla cancelleria il 24 luglio 2008 e rinviò la causa dinnanzi a questo. La Corte stimò in particolare che il tribunale aveva omesso di specificare le ragioni per che il richiedente era considerato come essendo socialmente pericolosi.
j, L’ordinanza del tribunale che conferma la decisione di non autorizzare il rinvio dell’esecuzione della pena,
57. Con un’ordinanza del 20 novembre 2008, il tribunale confermò la sua decisione depositata il 24 luglio 2008. Notò che il richiedente era stato condannato per associazione mafiosa, reato per la quale esiste una presunzione assoluta di pericolosità sociale.
58. Il tribunale rilevò che il direzione antimafia, direzione distrettuale antimafia -D.D.A. -, organo della procura presso il tribunale competente nelle cause concernente i reati di mafia, di Palermo aveva stimato che la pericolosità sociale del richiedente doveva essere considerata come avente un carattere permanente, il richiedente avendo operato durante gli anni secondo le modalità descritte dalla sua sentenza di condanna ed avendo dei legami con l’associazione mafiosa in causa.
k, Il terzo ricorso in cassazione introduce col richiedente e la decisione di rigetto della Corte di cassazione
59. Il richiedente si ricorse in cassazione contro l’ordinanza del tribunale del 20 novembre 2008. Con una sentenza depositata alla cancelleria il 23 dicembre 2009, la Corte di cassazione respinse il ricorso, stimando che l’ordinanza era stata motivata debitamente.
l, La rimessa in libertà del richiedente
60. Il 11 ottobre 2012, il richiedente avendo scontato la sua pena, fu rimesso in libertà.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
61. Secondo l’articolo 16 quater, capoverso 9, della legge no 82/91, introdotto dall’articolo 14 della legge 45/01, le dichiarazioni fatte da un pentito al procuratore o alla polizia giudiziale non possono essere utilizzate come prove che alla condizione che queste dichiarazioni siano intervenute entro sei mesi a partire dalla manifestazione della volontà dell’interessato di collaborare con la giustizia.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
62. Invocando l’articolo 3 della Convenzione, il richiedente stima che, tenuto conto della sua età e del suo stato di salute, i rifiuti ripetuti di cui sono stati oggetto da parte del giudice e del tribunale dell’applicazione delle pene le sue domande di rinvio dell’esecuzione della sua pena o di passaggio al regime della detenzione al domicilio hanno costituito un trattamento disumano e degradante.
63. Il testo dell’articolo in causa dispone così:
“Nessuno può essere sottomesso a tortura o a pene o trattamenti disumani o degradanti. “
A. Sull’ammissibilità
64. Il Governo fa di valere prima che il richiedente ha omesso di sollevare il suo motivo di appello dinnanzi alle istanze nazionali, siccome poteva farlo utilmente poiché le sentenze della Corte costituzionale i nostri 347 e 348 del 2007 esigono delle autorità un’interpretazione delle leggi interne che sia conforme alla Convenzione.
65. Il Governo convenuto sostiene inoltre che il principio del carattere contraddittorio del procedimento dinnanzi alla Corte è stato violato perché i fatti comunicati al governo convenuto si riferiscono alle decisioni altri che queste citate col richiedente nel suo formulario di richiesta, il Governo fa in particolare menzione delle decisioni prese il 12 dicembre 2007, 28 dicembre 2008, 7 gennaio 2008 e 10 gennaio 2008.
66. Terzo, il Governo osserva che le decisioni interne, prese con parecchi gradi di giurisdizione successiva, erano in ogni modo debitamente motivate. La Corte sarebbe chiamata a fare œuvre di giudice di “quarta istanza” dunque.
67. Il richiedente contesta queste osservazioni.
68. La Corte constata che non fa di dubbio che il richiedente ha sollevato a più riprese il suo motivo di appello dinnanzi alle istanze nazionali, lamentandosi in particolare dell’incompatibilità del suo stato di salute col regime carcerario. L’eccezione formulata dal Governo concernente la no-esaurimento delle vie di ricorso interni non saprebbe essere considerata dunque.
69. Inoltre, l’argomento derivato della violazione del principio del contraddittorio appare privo di fondamento, l’oggetto della controversia, come descrive nei motivi di appello formulati dal richiedente nel suo formulario di richiesta, cadendo in ogni caso sul rifiuto delle autorità di fare diritto alle sue domande di rinvio dell’esecuzione della sua pena o di passaggio al regime della detenzione al domicilio.
70. Infine, in quanto all’argomento derivato di ciò che si troverebbe invitata ad indossare il ruolo di un giudice di “quarta istanza”, astrazione fatta di ciò che il presente motivo di appello non cade su un’eventuale violazione del diritto ad un processo equo (vedere, ha contrario, tra molto altri, Gäfgen c. Germania [GC], no 22978/05, § 162, CEDH 2010, la Corte nota che, letto nella loro sostanza, le considerazioni del Governo sono legate in fondo alla causa. Saranno esaminate col fondo dunque, sotto.
71. Del parere della Corte, il motivo di appello non è manifestamente male fondato al senso dell’articolo 35 § 3 ha, della Convenzione. Rileva peraltro che non cozza contro nessuno altro motivo di inammissibilità. Conviene dichiararlo ammissibile dunque.
B. Sul fondo
1. Gli argomenti delle parti
72. Il Governo osserva che i ricorsi che possono essere presentati dinnanzi al giudice dell’applicazione delle pene e dinnanzi alla Corte di cassazione permettono di chiedere la liberazione di un detenuto in caso di degradazione importante del suo stato di salute. Questo ultimo può del resto, in certi casi, chiedere la grazia del Presidente della Repubblica, secondo l’articolo 681 del codice di procedimento penale. Il sistema legislativo offre delle garanzie dunque; queste ultime non potrebbero tradursi tuttavia in un obbligo generale di liberare un detenuto per i motivi di salute.
73. Il Governo sostiene infine che, nel caso di specifico, quando lo stato di salute del richiedente è apparso incompatibile col regime carcerario, la giurisdizione competente ha ordinato il passaggio al regime della detenzione al domicilio.
74. Il richiedente contesta le osservazioni del Governo e sottolinei che il suo motivo di appello cade in particolare sul fatto che le autorità interne che hanno respinto le sue domande hanno omesso di prendere in considerazione i rapporti medici che concludono all’incompatibilità del suo stato di salute col regime carcerario.
2. La valutazione della Corte
ha, Principi generali
75. Conformemente alla giurisprudenza consolidata della Corte, per cadere sotto l’influenza dell’articolo 3, un cattivo trattamento deve raggiungere un minimo di gravità. La valutazione di questo minimo è relativa; dipende dall’insieme dei dati della causa, in particolare della durata del trattamento e dei suoi effetti fisici o mentali così come, talvolta, del sesso, dell’età e dello stato di salute della vittima (vedere, entra altri, Price c. Regno Unito, no 33394/96, § 24, CEDH 2001-VII, Mouisel c,. Francia, no 67263/01, § 37, CEDH 2002-IX, Gennadi Naoumenko c,. Ucraina, no 42023/98, § 108, 10 febbraio 2004. Le affermazioni dei cattivi trattamenti devono essere supportate dagli elementi di prova adeguata (vedere, mutatis mutandis, Klaas c. Germania, sentenza del 22 settembre 1993, serie Ha no 269, § 30. Per la valutazione di questi elementi, la Corte aderisce al principio della prova “al di là di ogni dubbio ragionevole”, considerando tuttavia che una tale prova può risultare da un fascio di indizi, o di presunzioni non confutate, sufficientemente gravi, precisi e concordanti, Irlanda c. Regno Unito, sentenza del 18 gennaio 1978, serie Ha no 25, § 161 in fini, e Labita c. Italia [GC], no 26772/95, § 121, CEDH 2000-IV.
76. Affinché una pena ed il trattamento di cui si accompagna possano essere qualificati d ‘ “disumani” o di “degradanti”, la sofferenza o l’umiliazione devono andare in ogni caso al di là di queste che comprendi inevitabilmente una forma data di trattamento o di pena legittima, Jalloh c. Germania [GC], no 54810/00, § 68, 11 luglio 2006.
77. Trattandosi in particolare di persone private di libertà, l’articolo 3 impone allo stato l’obbligo positivo di assicurarsi che ogni prigioniero sia detenuto nelle condizioni compatibili col rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongono l’interessato ad un sconforto o una prova di un’intensità che supera il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione e che, avuto riguardo alle esigenze pratiche della detenzione, la salute ed il benessere del prigioniero sono garantiti in modo adeguata, in particolare con l’amministrazione delle cure mediche richieste, Kuda łc. Polonia [GC], no 30210/96, § 94, CEDH 2000 XI, e Fiume c. Francia, no 33834/03, § 62, 11 luglio 2006. Così, la mancanza di cure mediche adeguate, e, più generalmente, la detenzione di una persona malata nelle condizioni inadeguate, può in principio costituire un trattamento contrario all’articolo 3 (vedere, per esempio, İlhan c. Turchia [GC], no 22277/93, § 87, CEDH 2000-VII, e Gennadi Naumenko precitata, § 112.
78. La Corte deve tenere conto, in particolare, di tre elementi per esaminare la compatibilità di un stato di salute che preoccupa col mantenimento in detenzione del richiedente, e cioè: ha, la condizione del detenuto, b) la qualità delle cure dispensate e c, l’opportunità di mantenere la detenzione allo visto dello stato di salute del richiedente (vedere Farbtuhs c). Lettonia, no 4672/02, § 53, 2 dicembre 2004, e Sakkopoulos c. Grecia, no 61828/00, § 39, 15 gennaio 2004.
b. Applicazione di questi principi al caso di specifico
79. Nella presente causa si posano la questione della compatibilità dello stato di salute del richiedente col suo mantenimento in detenzione e quella di sapere se questa situazione raggiunge un livello sufficiente di gravità per entrare nel campo di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione.
80. La Corte nota innanzitutto che non fa di dubbio che il richiedente era leso da parecchie patologie gravi e complesse (vedere sopra 38 e 51 paragrafi 33, 36,).
81. Rileva poi che il richiedente ha introdotto una prima domanda per ottenere la sospensione dell’esecuzione della sua pena o la sua detenzione a domicilio il 24 ottobre 2007. Sette altre domande seguirono; tutto come la prima, furono ad ogni volta respinta. È solamente il 24 luglio 2008 che il tribunale dell’applicazione delle pene accordò al richiedente la detenzione al domicilio.
82. La Corte rileva che, durante il procedimento, dieci rapporti o certificati medici, redatti dai medici designati anche bene dal richiedente che con gli esperti del centro sanitario della determinazione penitenziaria dove il richiedente era detenuto, sono stati depositati dinnanzi alle istanze competenti. Questi documenti concludevano, in modo costante ed univoco, all’incompatibilità dello stato di salute del richiedente col regime di detenzione al quale era sottoposto.
83. Pure prendendo nota per il fatto che il richiedente ha ottenuto alla fine il regime della detenzione a domicilio nel 2008, la Corte rileva che questa non è stato concesso che nove mesi dopo la sua prima domanda.
84. La Corte nota inoltre che i conclusioni delle autorità interne secondo che le patologie del richiedente non erano, da una parte, non gravi (vedere la decisione del giudice di applicazione delle pene del 12 dicembre 2007) e, altro parte, non “impossible[s] o estremamente difficile[s]” a trattare in prigione (vedere le decisioni del giudice del 28 dicembre 2007 e del 7 gennaio 2008) sembrano essere soggette a garanzia, conto tenuto in particolare dei risultati degli esami medici al quale il richiedente è stato sottoposto a più riprese.
85. La Corte ne conclude che, allo visto del contenuto dei certificati medici di cui le autorità disponevano, del tempo essendo smerciato si prima dell’ottenimento della detenzione a domicilio e dei motivi delle decisioni di rigetto delle domande introdotte dal richiedente, il mantenimento in detenzione di questo ultimo era incompatibile con l’interdizione dei trattamenti disumani e degradanti stabiliti dall’articolo 3 della Convenzione, vedere §§ 55-61 Farbtuhs, precitata,; Paladi c. Moldova [GC], no 39806/05, §§ 71-72, 10 marzo 2009; Scoppola c. Italia, no 50550/06, §§ 45-52, 10 giugno 2008 e Cara-Damiani c. Italia, no 2447/05, §§ 69-78, 7 febbraio 2012. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione.
II. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
86. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il richiedente si lamenta della violazione del suo diritto ad un processo equo, a parecchi titoli.
87. Innanzitutto, stima che la sua causa non è stata sentita con un tribunale indipendente ed imparziale. Fa valere che il giudice avendo presieduto la corte di appello di Palermo nel procedimento che si è concluso dalla sentenza del 25 febbraio 2006 era lo stesso che quello che, il 1 ottobre 1993, presiedeva il tribunale di riesame quando questo aveva respinto una domanda della sua parte che tende alla revoca di una misura di detenzione provvisoria emessa al suo carico.
88. Secondariamente, il richiedente vede una violazione del suo diritto alla difesa nel fatto che la Corte di cassazione ha, nella sua sentenza depositata da una parte il 8 gennaio 2008, respinto la sua domanda che prevede, a ciò che sia raccolto e versati alla pratica certi documenti concernente il programma di protezione dei pentiti intesi durante il procedimento e, altro parte, a questo che un testimone, il Sig. F.C, o sentito.
89. Terzo, il richiedente denuncia il fatto di essere stato condannato sulla base, entra altri, di dichiarazioni di un pentito, il Sig. A.G, chi non poteva essere versato legalmente alla pratica. A questo motivo, il richiedente contesta no 82/91 l’interpretazione fatta dalla Corte di cassazione dell’articolo 16 quater, capoverso 9, della legge.
90. L’articolo 6 § 1 della Convenzione sono formulati così nelle sue parti pertinenti:
“Ogni persona ha diritto a ciò che la sua causa sia equamente sentita con un tribunale chi deciderà della fondatezza di ogni accusa in materia penale diretta contro lei. “
91. In ciò che riguarda il primo ramo di questo motivo di appello, relativa alla mancanza addotta di indipendenza e di imparzialità del giudice avendo presieduto la formazione della corte di appello di Palermo che ha reso la sentenza del 25 febbraio 2006, la Corte osserva che, anche facendo astrazione di ciò che il fatto controverso risale a più di sei mesi prima dell’introduzione della presente richiesta, ad ogni modo il richiedente ha omesso di introdurre un ricorso in ricusazione contro il giudice in questione. Così, questa parte della richiesta deve essere dichiarata inammissibile per no-esaurimento delle vie di ricorso interni, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
92. Per ciò che è del restante del motivo di appello, la Corte ricorda che non gli appartiene di valutare la legalità delle prove allo sguardo del diritto interno degli Stati partiti alla Convenzione e di pronunciarsi sulla colpevolezza dei richiedenti, come una giurisdizione di “quarta istanza”. Difatti, se la Convenzione garantisce nel suo articolo 6 il diritto ad un processo equo, non regolamenta per tanto l’ammissibilità delle prove in quanto tale, materia che rileva al primo capo del diritto interno (vedere, tra molto altri, Gäfgen c. Germania precitata, § 162.
93. In ciò che riguarda il secondo ramo del motivo di appello, la Corte nota difatti che, con la sua sentenza del 25 febbraio 2006, la corte di appello di Palermo ha respinto la domanda del richiedente che tende all’ascolto del Sig. F.C. in quanto all’utilizzazione delle dichiarazioni di pentiti quando questi avevano avuto dei contatti tra essi. Tutto come in seguito la Corte di cassazione nella sua sentenza del 8 gennaio 2008, la corte di appello ha rilevato che l’esclusione della presa in conto delle dichiarazioni di pentiti in simile caso non era stata introdotta che in 2001, con la legge no 45/01, e ha considerato, perciò, che non riguardava i fatti dello specifico. Ha rilevato anche che la credibilità intrinseca delle dichiarazioni era stata oggetto di un esame attento e scrupoloso da parte del tribunale di prima istanza. Infine, la Corte di cassazione ha osservato che i contatti avendo avuto luogo tra pentito durante il procedimento non riguardavano nessuna delle persone avendo fornito le dichiarazioni che sono state considerate effettivamente come prove della colpevolezza del richiedente.
94. In quanto alla terza parte del motivo di appello, la Corte constata che nessuno elemento permette di mettere in dubbio l’interpretazione fornita dalla Corte di cassazione nella sua sentenza del 8 gennaio 2008 secondo la quale la regola fissata dall’articolo 16 quater, capoverso 9, della legge no 82/91 si applicava solamente alla fase delle investigazioni preliminari e non a quella del dibattito contraddittorio, e di cui derivava che le dichiarazioni del Sig. A.G. avevano a buono diritto state versate alla pratica.
95. La Corte rileva dunque che le decisioni interne pertinenti sono state debitamente ed ampiamente motivate e che non sono arbitrarie. Pertanto, questa parte della richiesta deve essere respinta per difetto manifesto di fondamento secondo l’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
III. Su L’applicazione Di L’articolo 41 Di La Convenzione
96. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette di cancellare che imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
97. Il richiedente richiede 25 000 euro (EUR, a titolo del danno morale che avrebbe subito,).
98. Il Governo indica rimettere ne si alla saggezza della Corte.
99. La Corte considera che c’è luogo di concedere al richiedente 10 000 EUR a titolo del danno morale.
B. Oneri e spese
100. Il richiedente chiede anche, documenti all’appoggio, 8 350,25 EUR per gli oneri e spese impegnate dinnanzi alle giurisdizioni interne e 15 623,74 EUR per quegli impegnato dinnanzi alla Corte.
101. Il Governo contesta queste pretese.
102. Secondo la giurisprudenza della Corte, un richiedente non può ottenere il rimborso dei suoi oneri e spese che nella misura in cui si trovano stabilisco la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevoli del loro tasso. Nello specifico, la Corte nota che i documenti presentati a sostegno della sua domanda di rimborso degli oneri e spese impegnate dinnanzi alle giurisdizioni interne non sono sufficientemente dettagliati. La Corte respinge la domanda formulata dal richiedente a questo titolo dunque.
103. La Corte stima ragionevole l’intimo di 5 000 EUR per gli oneri e spese impegnate nel procedimento dinnanzi a lei e l’accordo al richiedente.
C. Interessi moratori
104. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
Per QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Dichiara, all’unanimità, la richiesta ammissibile in quanto al motivo di appello derivato dell’articolo 3 della Convenzione ed inammissibile per il surplus;

2. Stabilisce, per sei voci contro una, che c’è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione;

3. Stabilisce, per sei voci contro una,
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, entro tre mesi a contare dal giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, il seguente somme, a convertire al tasso applicabile alla data dell’ordinamento,:
i, 10 000 EUR, diecimila euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale,;
ii, 5 000 EUR, cinquemila euro, più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese impegnati nel procedimento dinnanzi alla Corte;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale;

4. Respingi, all’unanimità, la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto lì 11 febbraio 2014, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Stanley Naismith Egli ıKarakaş
Cancelliere Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione separata dal giudice Karaka.ş
A.I.K.
S.H.N.

OPINIONE PARZIALMENTE DISSIDENTE DEL GIUDICE KARAKAŞ
Non posso seguire la maggioranza quando constata la violazione dell’articolo 3 della Convenzione a ragione di un’incompatibilità dello stato di salute del richiedente col suo mantenimento in detenzione. Del mio punto di vista, la sua situazione non raggiungeva il livello sufficiente di gravità per portare violazione dell’articolo 3.
I giudici ed il tribunale di applicazione delle pene hanno esaminato di un modo approfondito tutte le domande del richiedente ed i rapporti dei medici e le loro decisioni erano buone motivati.
Deliberando sulla prima domanda del richiedente formulato il 24 ottobre 2007, il giudice, riferendosi ai tre rapporti medici ottenuti nel frattempo, stimò che le patologie di cui il richiedente era leso non erano allora così gravi e potevano essere trattate in prigione. Tuttavia, un controllo continuo doveva essere garantito grazie all’ospedalizzazione ed alla vigilanza consolidata del servizio sanitario della determinazione penitenziaria. Con una decisione del 28 dicembre 2007, il giudice respinse la seconda domanda, stimando che la detenzione non provocava l’impossibilità o la difficoltà estrema di ricorrere ai trattamenti sanitari necessari. Autorizzò anche l’ospedalizzazione. I due seguente domande furono respinte, il 7 gennaio e 21 febbraio 2008, ed il tribunale di applicazione delle pene confermò queste tre decisioni, precisando che la depressione di cui il richiedente soffriva non era sufficiente per raggiungere la soglia di gravità necessaria e giustificare un rinvio dell’esecuzione della sua pena.
Stimo che il richiedente è stato seguito di molto vicino con le determinazioni mediche e con le giurisdizioni di applicazione delle pene durante il periodo controverso che va di ottobre 2007 all’agosto 2008.
Il 24 luglio 2008, appena il tribunale di applicazione delle pene constatò delle notizie patologie nell’ultimo rapporto medico, ordinò degli approfondimenti. Sulla base dei nuovi esami, e soprattutto seguito ad un dimagrimento involontario, il tribunale decise che lo stato di salute del richiedente era incompatibile con la sua detenzione in prigione.
Secondo questi fatti, una volta lo stato di salute del richiedente diventato incompatibile col regime carcerario, il tribunale che seguiva attentamente il suo caso, ordinò il regime di detenzione al domicilio.
In queste circostanze, non penso che il richiedente abbia subito un trattamento disumano o degradante.

Testo Tradotto

Conclusions: Violation de l’article 3 – Interdiction de la torture (Article 3 – Traitement dégradant Traitement inhumain) (Volet matériel)

DEUXIÈME SECTION

AFFAIRE CONTRADA c. ITALIE (No 2)

(Requête no 7509/08)

ARRÊT

STRASBOURG

11 février 2014

Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Contrada c. Italie (no 2),
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Işıl Karakaş, présidente,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Egidijus Kūris, juges,
et de Stanley Naismith, greffier de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil le 14 janvier 2014,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette date :
PROCÉDURE
1. À l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 7509/08) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet Etat, OMISSIS (« le requérant »), a saisi la Cour le 31 janvier 2008 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant a été représenté par OMISSIS, avocat à Naples. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») a été représenté par son agent, Mme E. Spatafora, ainsi que par son coagent, Mme P. Accardo.
3. Le requérant se plaint en particulier des refus répétés des juridictions internes de faire droit à ses demandes d’ajournement de l’exécution de sa peine et d’obtention du régime de la détention à domicile en raison de son état de santé (article 3 de la Convention). Il dénonce également une violation de son droit à un procès équitable (article 6 § 1 de la Convention).
4. Le 14 mai 2012, la Cour a communiqué au Gouvernement le grief tiré de l’article 3 de la Convention. Comme le permet l’article 29 § 1 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et sur le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Le requérant est né en 1931 et réside à Palerme.
A. La procédure pénale diligentée à l’encontre du requérant
1. La procédure en première instance devant le tribunal de Palerme
6. Par un arrêt du 5 avril 1996, le tribunal de Palerme condamna le requérant à une peine de dix ans de réclusion pour concours externe à une association mafieuse (concorso in associazione di stampo mafioso, articles 110, 416 et 416 bis du code pénal). Le tribunal retint notamment que, entre 1979 et 1988, le requérant, en qualité de fonctionnaire de police puis de chef de cabinet du haut-commissaire pour la lutte contre la mafia et de directeur adjoint des services secrets civils (SISDE), avait systématiquement contribué aux activités et à la réalisation des buts criminels de l’association mafieuse dénommée « cosa nostra ». Selon le tribunal, le requérant avait fourni aux membres de la « commission provinciale » de Palerme de ladite association des informations confidentielles concernant les investigations et opérations de police dont ces derniers, ainsi que d’autres membres de l’association en question, faisaient l’objet.
7. Le tribunal fonda son jugement sur l’examen d’un nombre important de témoignages et de documents et, en particulier, sur les informations fournies par plusieurs repentis, anciens membres de l’association « cosa nostra ».
2. La procédure en appel devant la cour d’appel de Palerme
8. Le requérant et le ministère public firent l’un et l’autre appel.
9. Le requérant fit valoir le principe de la prévision législative avec une précision suffisante des situations dans lesquelles la norme pénale trouve application (principio di tassatività della norma penale) en tant que corollaire du principe plus général de la non-rétroactivité de la norme pénale. Il estimait notamment qu’à l’époque des faits de l’affaire, l’application de la loi pénale concernant le concours externe à une association mafieuse n’était pas prévisible car elle avait été l’issue d’une évolution jurisprudentielle ultérieure.
10. Par un arrêt du 4 mai 2001, la cour d’appel de Palerme renversa le jugement de première instance et acquitta le requérant au motif que les faits qui lui étaient reprochés ne s’étaient pas produits (perché il fatto non sussiste).
11. Tout en soulignant plusieurs anomalies dans le comportement du requérant en son rôle de dirigeant de la police (faits susceptibles de faire l’objet d’une procédure disciplinaire), la cour d’appel estima que les preuves prises en considération n’étaient pas déterminantes, attribua du poids à d’autres témoignages de repentis recueillis entre-temps et releva que le tribunal de première instance avait sous-estimé la possibilité que les témoignages de certains repentis, arrêtés dans le passé par le requérant lui-même, pouvaient être la conséquence d’un projet de vengeance à l’encontre de ce dernier.
12. La cour d’appel ne fit pas référence aux considérations du requérant tenant à la prévisibilité de la loi pénale.
3. La première procédure devant la Cour de cassation
13. Le procureur général de la République se pourvut en cassation.
14. Par un arrêt du 12 décembre 2002, la Cour de cassation annula l’arrêt de la cour d’appel de Palerme et renvoya l’affaire devant celle-ci. Elle estima notamment que l’arrêt en question n’avait pas été dûment motivé. À titre d’exemple, la cour d’appel avait omis d’expliquer la raison pour laquelle certains témoignages recueillis n’étaient pas susceptibles d’avoir valeur de preuve et n’avait pas étayé la thèse de la « vengeance » de certains repentis vis-à-vis du requérant.
4. La nouvelle procédure devant la cour d’appel de Palerme
15. Par un arrêt du 25 février 2006, une nouvelle chambre de la cour d’appel de Palerme, présidée par le juge S., confirma le contenu du jugement du tribunal du 5 avril 1996.
Pour ce faire elle s’attacha, d’une part, à de nombreux autres témoignages et documents recueillis au cours de l’enquête et estima, d’autre part, que la chambre de la cour d’appel qui avait précédemment statué avait mal apprécié la valeur probante attribuable à certains témoignages.
16. La nouvelle formation de jugement rejeta, entre autres, la demande du requérant tendant à l’audition de M. F.C., directeur du Service central de protection du ministère de l’Intérieur à l’époque des faits. Ce dernier avait en effet affirmé que, dans son activité d’organisation de la vie quotidienne des repentis et de leurs familles, environ six cents rencontres entre des repentis lui avaient été signalées.
17. La cour d’appel estima que la question qui se posait n’était pas celle de savoir si les déclarations des repentis en cause pouvaient en tant que telles être utilisées. En effet l’exclusion, comme mode de preuve, des déclarations de repentis ayant eu des contacts entre eux n’avait été introduite qu’en 2001 (par la loi no 45/2001), et ne s’appliquait donc pas en l’espèce. La question pertinente était plutôt, selon la cour, celle de la crédibilité des déclarations prises en elles-mêmes, circonstance qui avait déjà fait l’objet d’un examen attentif et scrupuleux de la part du tribunal de première instance.
18. Pour ce qui était de l’applicabilité de la loi pénale concernant le concours externe à une association mafieuse (configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa), la cour d’appel estima que le jugement du tribunal de première instance ayant condamné le requérant avait correctement appliqué les principes développés par la jurisprudence en la matière.
5. La deuxième procédure devant la Cour de cassation
19. Le requérant se pourvut en cassation.
20. Il invoqua à nouveau le principe de la non-rétroactivité et de la prévisibilité de la loi pénale, estimant que cette question n’avait fait l’objet d’aucun examen de la part des juridictions du fond et demanda que les faits de l’espèce soient qualifiés d’entrave à l’action pénale – favoreggiamento personale.
21. Le requérant se plaignit en outre du fait que le juge S. ait présidé la formation de jugement de la cour d’appel ayant rendu l’arrêt du 25 février 2006. À cet égard, il expliqua que, par une ordonnance du 1er octobre 1993, ce même juge l’avait déjà débouté en appel d’une ordonnance du juge des investigations préliminaires refusant de révoquer ou de remplacer la mesure de détention provisoire dont il avait fait l’objet.
22. Il contesta également, entre autres, l’utilisation des déclarations d’un repenti (M. A.G.) faites lors du débat contradictoire, à une date selon lui postérieure à l’expiration de délai établi par l’article 16 quater de la loi no 82/91, qui était de six mois à partir de la manifestation de la volonté de l’intéressé de collaborer avec la justice (voir la partie « Droit interne pertinent »).
23. Le requérant demanda aussi que les documents concernant le programme de protection des repentis entendus au cours de la procédure soient versés au dossier et sollicita, d’autre part, l’audition d’un témoin (M. F.C.). Le requérant estimait en fait que différents repentis (notamment, MM. G.M., M.M., R.S., S.C., G.C., M.P., P.S. et G.M.) qui avaient eu des contacts entre eux s’étaient concertés dans le but de fournir des déclarations pouvant démontrer sa culpabilité. Ainsi, les preuves utilisées contre lui auraient été viciées.
24. Par un arrêt prononcé le 10 mai 2007 et déposé au greffe le 8 janvier 2008, la Cour de cassation débouta le requérant.
25. Quant au fait que le juge S. avait présidé la formation de la cour d’appel ayant rendu l’arrêt attaqué, la Cour de cassation répondit que, si les éléments avancés par le requérant pouvaient éventuellement constituer un motif valable de récusation, ils étaient en revanche sans incidence sur la régularité de la procédure en cause.
26. Quant à l’utilisation des déclarations de M. A.G., la Cour de cassation observa que la règle fixée par l’article 16 quater, alinéa 9, de la loi no 82/91 ne s’appliquait qu’à la phase des investigations préliminaires et non pas à celle du débat contradictoire, tel qu’elle avait également constaté dans son arrêt no 18061 du 13 février 2002. Dans le cas d’espèce, c’était donc à bon droit que les déclarations en question avaient été versées au dossier.
27. La Cour de cassation rejeta en outre la demande du requérant tendant à l’administration de nouvelles preuves, au motif que celle-ci relevait de la compétence du juge du fond et non pas du contrôle du juge de cassation, sauf si le rejet d’une telle demande n’avait pas été dûment motivé, ce qui n’était pas le cas en l’espèce. Dans le cas présent, quant à la demande d’audition de M. F.C. et à la prétendue irrecevabilité des preuves consistant en des déclarations de repentis, la Cour de cassation releva que ces motifs du pourvoi avaient déjà été rejetés par la cour d’appel de manière amplement et dûment argumentée. Elle nota que la règle de l’exclusion, parmi les modes de preuve admis, des déclarations de repentis viciées par l’existence de contacts entre les intéressés n’avait été introduite qu’en 2001 (par la loi no 45/01), et retint en conséquence que cette règle ne trouvait pas à s’appliquer en l’espèce. La Cour de cassation observa aussi qu’en tout état de cause, les contacts ayant eu lieu entre repentis au cours de la procédure ne concernaient aucune des personnes ayant fourni les déclarations qui avaient été effectivement utilisées afin de prouver la culpabilité du requérant.
28. Enfin, la Cour de cassation considéra que la partie du pourvoi portant sur le principe de la non-rétroactivité et de la prévisibilité de la loi pénale était manifestement mal fondée car elle mettait en réalité en cause l’appréciation portée par les juges sur le fond et non pas seulement la conformité au droit (legittimità) de l’arrêt attaqué.
29. Elle jugea ainsi que la cour d’appel avait dûment motivé son arrêt et qu’il n’y avait pas lieu de compléter le dossier par l’administration d’autres éléments de preuve.
6. La procédure en révision de l’affaire devant la cour d’appel de Caltanissetta
30. Le requérant tenta par la suite d’obtenir une révision de son procès. Par un arrêt du 24 septembre 2011, la cour d’appel de Caltanissetta déclara sa demande en ce sens irrecevable.
31. Par un arrêt déposé au greffe le 25 juin 2012, la Cour de cassation rejeta le pourvoi du requérant contre cette décision.
B. L’état de santé du requérant et les demandes introduites par celui-ci devant le juge et le tribunal d’application des peines
32. Le requérant fut incarcéré le 11 mai 2007 à la prison militaire de Santa Maria Capua Vetere. Par une lettre du 20 août 2007 adressée au juge de l’application des peines (magistrato di sorveglianza, ci-après « le juge »), il fit état d’un nombre important de pathologies dont il indiquait être affecté.
33. Par un certificat du 1er octobre 2007, un médecin du service sanitaire de l’établissement pénitentiaire attesta que le requérant souffrait des séquelles d’une ischémie cérébrale, de certaines pathologies de l’appareil visuel, ainsi que de cardiopathie, diabète, hypertrophie prostatique, arthrose, hyponutrition et dépression.
Les procédures introduites par le requérant afin d’obtenir sa libération, l’ajournement de l’exécution de la peine ou la détention à domicile
a) La première demande
34. Le 24 octobre 2007, le requérant introduisit une demande devant le juge tendant à obtenir sa libération ou l’ajournement de l’exécution de sa peine.
35. Les 22 et 31 octobre 2007 et le 24 novembre 2007, trois rapports médicaux furent déposés devant le juge (deux desquels avaient été rédigés par des praticiens sollicités par le requérant et un par des médecins du service sanitaire de l’établissement pénitentiaire). Les trois rapports faisaient état des pathologies, nombreuses et complexes, dont le requérant était affecté et concluaient à l’incompatibilité de son état de santé avec le régime de détention auquel il était soumis.
36. Par une décision déposée au greffe le 12 décembre 2007, le juge rejeta la demande du requérant. Tout en se référant aux trois rapports médicaux et aux conclusions y contenues, le juge estima qu’« on ne saurait affirmer, toutefois, que les pathologies dont [le requérant] est affecté sont, à l’heure actuelle, graves et non susceptibles d’être traitées en prison. [Celles-ci requièrent toutefois] un contrôle continu qui peut être garanti par l’hospitalisation et par la vigilance constante de la part du service sanitaire de l’établissement pénitentiaire ».
b) La deuxième demande
37. Alléguant le manque d’équité de cette décision, le 17 décembre 2007, le requérant introduisit une nouvelle demande devant le juge ayant le même objet que la précédente.
38. Selon deux rapports médicaux du service sanitaire de l’établissement pénitentiaire déposés les 21 et 27 décembre 2007, l’état de santé du requérant était stationnaire, à l’exception de sa perte de poids, qui s’était aggravée depuis le 31 octobre 2007. Le rapport concluait à l’incompatibilité de l’état de santé du requérant avec le régime de détention auquel il était soumis.
39. Par une décision déposée au greffe le 28 décembre 2007, le juge rejeta la demande sur la base, pour l’essentiel, des mêmes arguments que dans sa décision du 12 décembre 2007. Il estima en outre que, d’après la jurisprudence constante en la matière, les conditions d’octroi de la libération et de l’ajournement de l’exécution de la peine n’étaient pas remplies étant donné que, dans le cas d’espèce, la détention n’entraînait pas « l’impossibilité ou la difficulté extrême » de recourir aux traitements sanitaires qui s’avéraient nécessaires. Le tribunal autorisa aussi l’hospitalisation du requérant pour le temps nécessaire à l’exécution de certains contrôles sanitaires. Le jour même, le requérant fut hospitalisé et soumis à plusieurs examens.
c) La troisième demande
40. Le 3 janvier 2008, le requérant introduisit une demande ayant le même contenu que les deux précédentes. Il fit valoir aussi qu’un ajournement d’exécution de la peine avait été octroyé par le même tribunal dans une autre affaire dans laquelle l’état de santé du détenu en question était moins grave que le sien.
41. Deux rapports médicaux furent déposés. Ils notèrent le mauvais état de santé du requérant et fournirent des indications quant au traitement pharmacologique suivi.
42. Par une décision déposée au greffe le 7 janvier 2008, le juge rejeta la demande. Il estima notamment que les rapports ne fournissaient pas d’éléments nouveaux par rapport à ceux qui figuraient au dossier lors des décisions précédentes et que les résultats des examens effectués à l’hôpital ne lui avaient pas encore été transmis. Quant à l’appréciation de la « gravité » des pathologies du requérant et de l’existence d’une « impossibilité ou difficulté excessive » à traiter celles-ci en prison, le juge parvint aux mêmes conclusions que dans ses décisions des 12 et 28 décembre 2007.
d) La quatrième demande
43. Le jour même, le requérant introduisit une demande ayant le même contenu que ses demandes précédentes. Cette demande fut rejetée par une décision du juge du 21 février 2008.
e) La décision du tribunal d’application des peines du 15 janvier 2008
44. Entre-temps, les trois décisions précédentes, qui avaient un caractère provisoire, furent confirmées par le tribunal d’application de peines (ci-après « le tribunal ») par une ordonnance déposée au greffe le 15 janvier 2008. Le tribunal releva entre autres que la dépression dont le requérant souffrait n’était pas une pathologie psychiatrique mais un trouble de l’humeur dû à l’état de détention et n’atteignant pas un seuil de gravité de nature à justifier un ajournement de l’exécution de sa peine.
f) Le premier pourvoi en cassation introduit par le requérant
45. Le 19 janvier 2008, le requérant se pourvut en cassation. Il considéra notamment que le tribunal n’avait pas dûment considéré la gravité des pathologies dont il était affecté.
46. Selon deux rapports médicaux déposés le 26 février et le 12 mars 2008 (l’un rédigé par un médecin désigné par le requérant, l’autre par un médecin du service sanitaire de l’établissement pénitentiaire), l’état de santé du requérant n’était pas compatible avec le régime de détention auquel il était soumis.
47. Le 27 février 2008, le procureur général de la République près la Cour de cassation demanda au président de la Cour de cassation d’annuler l’ordonnance du tribunal et de renvoyer l’affaire à ce dernier.
48. Par un arrêt déposé au greffe le 5 mai 2008, la Cour de cassation débouta le requérant. Elle estima que l’ordonnance du tribunal avait été dûment motivée et que le requérant avait omis d’exposer de manière détaillée, en se référant aux différentes pathologies en cause, sa contestation des conclusions du tribunal selon lesquelles ces dernières ne revêtaient pas de caractère de gravité.
g) La décision du tribunal du 15 avril 2008
49. Par une décision déposée au greffe le 15 janvier 2008, le tribunal confirma la quatrième décision de rejet du juge, ainsi que deux autres décisions de rejet qui avaient été adoptées par le juge entre-temps, le 28 février et le 19 mars 2008.
h) La décision du tribunal d’accorder au requérant la détention à domicile
50. À la suite de deux autres décisions de rejet (du 12 mai et du 19 juin 2008) de demandes introduites par le requérant, par une ordonnance déposée au greffe le 24 juillet 2008, le tribunal autorisa la détention du requérant au domicile de sa sœur, situé à Naples, pour une période de six mois avec interdiction de tout contact avec des personnes autres que les membres de la famille du requérant et le personnel médical.
51. Le tribunal prit en compte un rapport médical rédigé par un médecin de l’établissement pénitentiaire qui faisait état d’une dégradation de la santé du requérant, déjà précaire, notamment en ce qui concernait la perte pondérale (20 kilos au cours de la dernière année) et l’apparition d’une polypose multiple du côlon s’ajoutant aux pathologies déjà existantes.
52. De l’avis du tribunal, le suivi et le traitement de ces pathologies en régime carcéral étaient incompatibles avec les principes humanitaires et avec le droit à la santé garanti par la Constitution.
53. Le tribunal rejeta la demande d’ajournement de l’exécution de la peine, en relevant la dangerosité sociale de l’intéressé, le type de délit pour lequel il avait été condamné et le temps de détention que le requérant devait encore purger.
i) Le deuxième pourvoi en cassation introduit par le requérant et le renvoi de l’affaire devant le tribunal
54. Le 1er août 2008, le requérant se pourvut en cassation. Il contesta sa dangerosité sociale, compte tenu de son âge et de son état de santé.
55. Il sollicita l’ajournement de l’exécution de sa peine pour une durée d’un an ainsi que la possibilité d’exécuter sa détention dans son propre domicile, où son épouse habitait.
56. Par un arrêt déposé au greffe le 21 octobre 2008, la Cour de cassation annula l’ordonnance du tribunal déposée au greffe le 24 juillet 2008 et renvoya l’affaire devant celui-ci. La Cour estima notamment que le tribunal avait omis de spécifier les raisons pour lesquelles le requérant était considéré comme étant socialement dangereux.
j) L’ordonnance du tribunal confirmant la décision de ne pas autoriser l’ajournement de l’exécution de la peine
57. Par une ordonnance du 20 novembre 2008, le tribunal confirma sa décision déposée le 24 juillet 2008. Il nota que le requérant avait été condamné pour association mafieuse, infraction pour laquelle il existe une présomption absolue de dangerosité sociale.
58. Le tribunal releva que la direction antimafia (direzione distrettuale antimafia – D.D.A. –, organe du parquet près le tribunal compétent dans les affaires concernant des délits de mafia) de Palerme avait estimé que la dangerosité sociale du requérant devait être considérée comme ayant un caractère permanent, le requérant ayant opéré pendant des années selon les modalités décrites par son arrêt de condamnation et ayant donc des liens avec l’association mafieuse en cause.
k) Le troisième pourvoi en cassation introduit par le requérant et la décision de rejet de la Cour de cassation
59. Le requérant se pourvut en cassation contre l’ordonnance du tribunal du 20 novembre 2008. Par un arrêt déposé au greffe le 23 décembre 2009, la Cour de cassation rejeta le pourvoi, estimant que l’ordonnance avait été dûment motivée.
l) La remise en liberté du requérant
60. Le 11 octobre 2012, le requérant ayant purgé sa peine, il fut remis en liberté.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
61. Selon l’article 16 quater, alinéa 9, de la loi no 82/91 (introduit par l’article 14 de la loi 45/01), les déclarations faites par un repenti au procureur ou à la police judiciaire ne peuvent être utilisées comme preuves qu’à la condition que ces déclarations soient intervenues dans un délai de six mois à partir de la manifestation de la volonté de l’intéressé de collaborer avec la justice.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 3 DE LA CONVENTION
62. Invoquant l’article 3 de la Convention, le requérant estime que, compte tenu de son âge et de son état de santé, les refus répétés dont ont fait l’objet de la part du juge et du tribunal de l’application des peines ses demandes d’ajournement de l’exécution de sa peine ou de passage au régime de la détention au domicile ont constitué un traitement inhumain et dégradant.
63. Le texte de l’article en cause dispose ainsi :
« Nul ne peut être soumis à la torture ni à des peines ou traitements inhumains ou dégradants. »
A. Sur la recevabilité
64. Le Gouvernement fait d’abord valoir que le requérant a omis de soulever son grief devant les instances nationales, comme il pouvait utilement le faire puisque les arrêts de la Cour constitutionnelle nos 347 et 348 de 2007 exigent des autorités une interprétation des lois internes qui soit conforme à la Convention.
65. Le Gouvernement défendeur soutient en outre que le principe du caractère contradictoire de la procédure devant la Cour a été violé car les faits communiqués au gouvernement défendeur se réfèrent à des décisions autres que celles citées par le requérant dans son formulaire de requête (le Gouvernement fait mention notamment des décisions prises les 12 décembre 2007, 28 décembre 2008, 7 janvier 2008 et 10 janvier 2008).
66. Troisièmement, le Gouvernement observe que les décisions internes, prises par plusieurs degrés de juridiction successifs, étaient de toute façon dûment motivées. La Cour serait donc appelée à faire œuvre de juge de « quatrième instance ».
67. Le requérant conteste ces observations.
68. La Cour constate qu’il ne fait pas de doute que le requérant a soulevé son grief à maintes reprises devant les instances nationales, se plaignant notamment de l’incompatibilité de son état de santé avec le régime carcéral. L’exception formulée par le Gouvernement concernant le non-épuisement des voies de recours internes ne saurait donc être retenue.
69. En outre, l’argument tiré de la violation du principe du contradictoire apparaît dépourvu de fondement, l’objet du litige, tel que décrit dans les griefs formulés par le requérant dans son formulaire de requête, portant en tout cas sur le refus des autorités de faire droit à ses demandes d’ajournement de l’exécution de sa peine ou de passage au régime de la détention au domicile.
70. Enfin, quant à l’argument tiré de ce qu’elle se trouverait invitée à endosser le rôle d’un juge de « quatrième instance », abstraction faite de ce que le présent grief ne porte pas sur une éventuelle violation du droit à un procès équitable (voir, a contrario, parmi beaucoup d’autres, Gäfgen c. Allemagne [GC], no 22978/05, § 162, CEDH 2010), la Cour note que, lues dans leur substance, les considérations du Gouvernement sont liées au fond de l’affaire. Elles seront donc examinées avec le fond, ci-dessous.
71. De l’avis de la Cour, le grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 a) de la Convention. Elle relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Les arguments des parties
72. Le Gouvernement observe que les recours pouvant être présentés devant le juge de l’application des peines et devant la Cour de cassation permettent de demander la libération d’un détenu en cas de dégradation importante de son état de santé. Ce dernier peut d’ailleurs, dans certains cas, demander la grâce du Président de la République, selon l’article 681 du code de procédure pénale. Le système législatif offre donc des garanties ; ces dernières ne sauraient toutefois se traduire en une obligation générale de libérer un détenu pour des motifs de santé.
73. Le Gouvernement soutient enfin que, dans le cas d’espèce, quand l’état de santé du requérant est apparu incompatible avec le régime carcéral, la juridiction compétente a ordonné le passage au régime de la détention au domicile.
74. Le requérant conteste les observations du Gouvernement et souligne que son grief porte notamment sur le fait que les autorités internes qui ont rejeté ses demandes ont omis de prendre en considération les rapports médicaux concluant à l’incompatibilité de son état de santé avec le régime carcéral.
2. L’appréciation de la Cour
a) Principes généraux
75. Conformément à la jurisprudence constante de la Cour, pour tomber sous le coup de l’article 3, un mauvais traitement doit atteindre un minimum de gravité. L’appréciation de ce minimum est relative ; elle dépend de l’ensemble des données de la cause, notamment de la durée du traitement et de ses effets physiques ou mentaux ainsi que, parfois, du sexe, de l’âge et de l’état de santé de la victime (voir, entre autres, Price c. Royaume-Uni, no 33394/96, § 24, CEDH 2001-VII, Mouisel c. France, no 67263/01, § 37, CEDH 2002-IX, Gennadi Naoumenko c. Ukraine, no 42023/98, § 108, 10 février 2004). Les allégations de mauvais traitements doivent être étayées par des éléments de preuve appropriés (voir, mutatis mutandis, Klaas c. Allemagne, arrêt du 22 septembre 1993, série A no 269, § 30). Pour l’appréciation de ces éléments, la Cour se rallie au principe de la preuve « au-delà de tout doute raisonnable », en considérant toutefois qu’une telle preuve peut résulter d’un faisceau d’indices, ou de présomptions non réfutées, suffisamment graves, précis et concordants (Irlande c. Royaume-Uni, arrêt du 18 janvier 1978, série A no 25, § 161 in fine, et Labita c. Italie [GC], no 26772/95, § 121, CEDH 2000-IV).
76. Pour qu’une peine et le traitement dont elle s’accompagne puissent être qualifiés d’« inhumains » ou de « dégradants », la souffrance ou l’humiliation doivent en tout cas aller au-delà de celles que comporte inévitablement une forme donnée de traitement ou de peine légitimes (Jalloh c. Allemagne [GC], no 54810/00, § 68, 11 juillet 2006).
77. S’agissant en particulier de personnes privées de liberté, l’article 3 impose à l’État l’obligation positive de s’assurer que tout prisonnier est détenu dans des conditions compatibles avec le respect de la dignité humaine, que les modalités d’exécution de la mesure ne soumettent pas l’intéressé à une détresse ou une épreuve d’une intensité qui excède le niveau inévitable de souffrance inhérent à la détention et que, eu égard aux exigences pratiques de l’emprisonnement, la santé et le bien-être du prisonnier sont assurés de manière adéquate, notamment par l’administration des soins médicaux requis (Kudła c. Pologne [GC], no 30210/96, § 94, CEDH 2000 XI, et Riviere c. France, no 33834/03, § 62, 11 juillet 2006). Ainsi, le manque de soins médicaux appropriés, et, plus généralement, la détention d’une personne malade dans des conditions inadéquates, peut en principe constituer un traitement contraire à l’article 3 (voir, par exemple, İlhan c. Turquie [GC], no 22277/93, § 87, CEDH 2000-VII, et Gennadi Naumenko précité, § 112).
78. La Cour doit tenir compte, notamment, de trois éléments afin d’examiner la compatibilité d’un état de santé préoccupant avec le maintien en détention du requérant, à savoir : a) la condition du détenu, b) la qualité des soins dispensés et c) l’opportunité de maintenir la détention au vu de l’état de santé du requérant (voir Farbtuhs c. Lettonie, no 4672/02, § 53, 2 décembre 2004, et Sakkopoulos c. Grèce, no 61828/00, § 39, 15 janvier 2004).
b. Application de ces principes au cas d’espèce
79. Dans la présente affaire se posent la question de la compatibilité de l’état de santé du requérant avec son maintien en détention et celle de savoir si cette situation atteint un niveau suffisant de gravité pour entrer dans le champ d’application de l’article 3 de la Convention.
80. La Cour note tout d’abord qu’il ne fait pas de doute que le requérant était affecté par plusieurs pathologies graves et complexes (voir paragraphes 33, 36, 38 et 51 ci-dessus).
81. Elle relève ensuite que le requérant a introduit une première demande afin d’obtenir la suspension de l’exécution de sa peine ou sa détention à domicile le 24 octobre 2007. Sept autres demandes suivirent ; tout comme la première, elles furent à chaque fois rejetées. Ce n’est que le 24 juillet 2008 que le tribunal de l’application des peines accorda au requérant la détention au domicile.
82. La Cour relève que, au cours de la procédure, dix rapports ou certificats médicaux, rédigés par des médecins désignés par le requérant aussi bien que par des praticiens du centre sanitaire de l’établissement pénitentiaire où le requérant était détenu, ont été déposés devant les instances compétentes. Ces documents concluaient, de manière constante et univoque, à l’incompatibilité de l’état de santé du requérant avec le régime de détention auquel il était soumis.
83. Tout en prenant note du fait que le requérant a finalement obtenu le régime de la détention à domicile en 2008, la Cour relève que celle-ci n’a été octroyée que neuf mois après sa première demande.
84. La Cour note en outre que les conclusions des autorités internes selon lesquelles les pathologies du requérant n’étaient, d’une part, pas graves (voir la décision du juge d’application des peines du 12 décembre 2007) et, d’autre part, pas « impossible[s] ou extrêmement difficile[s] » à traiter en prison (voir les décisions du juge du 28 décembre 2007 et du 7 janvier 2008) semblent être sujettes à caution, compte tenu notamment des résultats des examens médicaux auquel le requérant a été soumis à maintes reprises.
85. La Cour en conclut que, au vu du contenu des certificats médicaux dont les autorités disposaient, du temps s’étant écoulé avant l’obtention de la détention à domicile et des motifs des décisions de rejet des demandes introduites par le requérant, le maintien en détention de ce dernier était incompatible avec l’interdiction des traitements inhumains et dégradants établie par l’article 3 de la Convention (voir Farbtuhs, précité, §§ 55-61 ; Paladi c. Moldova [GC], no 39806/05, §§ 71-72, 10 mars 2009 ; Scoppola c. Italie, no 50550/06, §§ 45-52, 10 juin 2008 et Cara-Damiani c. Italie, no 2447/05, §§ 69-78, 7 février 2012). Partant, il y a eu violation de l’article 3 de la Convention.
II. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
86. Invoquant l’article 6 § 1 de la Convention, le requérant se plaint de la violation de son droit à un procès équitable, à plusieurs titres.
87. Tout d’abord, il estime que sa cause n’a pas été entendue par un tribunal indépendant et impartial. Il fait valoir que le juge ayant présidé la cour d’appel de Palerme dans la procédure qui s’est terminée par l’arrêt du 25 février 2006 était le même que celui qui, le 1er octobre 1993, présidait le tribunal de réexamen lorsque celui-ci avait rejeté une demande de sa part tendant à la révocation d’une mesure de détention provisoire émise à son encontre.
88. Deuxièmement, le requérant voit une violation de son droit à la défense dans le fait que la Cour de cassation a, dans son arrêt déposé le 8 janvier 2008, rejeté sa demande visant, d’une part, à ce que soient recueillis et versés au dossier certains documents concernant le programme de protection des repentis entendus au cours de la procédure et, d’autre part, à ce qu’un témoin (M. F.C.) soit entendu.
89. Troisièmement, le requérant dénonce le fait d’avoir été condamné sur la base, entre autres, de déclarations d’un repenti (M. A.G.) qui ne pouvaient pas légalement être versées au dossier. A ce sujet, le requérant conteste l’interprétation faite par la Cour de cassation de l’article 16 quater, alinéa 9, de la loi no 82/91.
90. L’article 6 § 1 de la Convention est ainsi libellé dans ses parties pertinentes :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement (…) par un tribunal (…) qui décidera (…) du bien-fondé de toute accusation en matière pénale dirigée contre elle. »
91. En ce qui concerne la première branche de ce grief, relative au manque allégué d’indépendance et d’impartialité du juge ayant présidé la formation de la cour d’appel de Palerme qui a rendu l’arrêt du 25 février 2006, la Cour observe que, même en faisant abstraction de ce que le fait litigieux remonte à plus de six mois avant l’introduction de la présente requête, en tout état de cause le requérant a omis d’introduire un recours en récusation à l’encontre du juge en question. Ainsi, cette partie de la requête doit être déclarée irrecevable pour non-épuisement des voies de recours internes, en application de l’article 35 §§ 1 et 4 de la Convention.
92. Pour ce qui est du restant du grief, la Cour rappelle qu’il ne lui appartient pas d’apprécier la légalité des preuves au regard du droit interne des États parties à la Convention et de se prononcer sur la culpabilité des requérants, à la manière d’une juridiction de « quatrième instance ». En effet, si la Convention garantit dans son article 6 le droit à un procès équitable, elle ne réglemente pas pour autant l’admissibilité des preuves en tant que telle, matière qui relève au premier chef du droit interne (voir, parmi beaucoup d’autres, Gäfgen c. Allemagne précité, § 162).
93. En ce qui concerne la deuxième branche du grief, la Cour note en effet que, par son arrêt du 25 février 2006, la cour d’appel de Palerme a rejeté la demande du requérant tendant à l’audition de M. F.C. quant à l’utilisation des déclarations de repentis lorsque ceux-ci avaient eu des contacts entre eux. Tout comme par la suite la Cour de cassation dans son arrêt du 8 janvier 2008, la cour d’appel a relevé que l’exclusion de la prise en compte des déclarations de repentis en pareil cas n’avait été introduite qu’en 2001 (par la loi no 45/01) et a considéré, en conséquence, qu’elle ne concernait pas les faits de l’espèce. Elle a aussi relevé que la crédibilité intrinsèque des déclarations avait fait l’objet d’un examen attentif et scrupuleux de la part du tribunal de première instance. Enfin, la Cour de cassation a observé que les contacts ayant eu lieu entre repentis au cours de la procédure ne concernaient aucune des personnes ayant fourni les déclarations qui ont été effectivement retenues comme preuves de la culpabilité du requérant.
94. Quant à la troisième partie du grief, la Cour constate qu’aucun élément ne permet de mettre en doute l’interprétation fournie par la Cour de cassation dans son arrêt du 8 janvier 2008, selon laquelle la règle fixée par l’article 16 quater, alinéa 9, de la loi no 82/91 ne s’appliquait qu’à la phase des investigations préliminaires et non pas à celle du débat contradictoire, et dont il découlait que les déclarations de M. A.G. avaient à bon droit été versées au dossier.
95. La Cour relève donc que les décisions internes pertinentes ont été dûment et amplement motivées et qu’elles ne sont pas arbitraires. Partant, cette partie de la requête doit être rejetée pour défaut manifeste de fondement selon l’article 35 §§ 3 et 4 de la Convention.
III. SUR L’APPLICATION DE L’ARTICLE 41 DE LA CONVENTION
96. Aux termes de l’article 41 de la Convention,
« Si la Cour déclare qu’il y a eu violation de la Convention ou de ses Protocoles, et si le droit interne de la Haute Partie contractante ne permet d’effacer qu’imparfaitement les conséquences de cette violation, la Cour accorde à la partie lésée, s’il y a lieu, une satisfaction équitable. »
A. Dommage
97. Le requérant réclame 25 000 euros (EUR) au titre du préjudice moral qu’il aurait subi.
98. Le Gouvernement indique s’en remettre à la sagesse de la Cour.
99. La Cour considère qu’il y a lieu d’octroyer au requérant 10 000 EUR au titre du préjudice moral.
B. Frais et dépens
100. Le requérant demande également, documents à l’appui, 8 350,25 EUR pour les frais et dépens engagés devant les juridictions internes et 15 623,74 EUR pour ceux engagés devant la Cour.
101. Le Gouvernement conteste ces prétentions.
102. Selon la jurisprudence de la Cour, un requérant ne peut obtenir le remboursement de ses frais et dépens que dans la mesure où se trouvent établis leur réalité, leur nécessité et le caractère raisonnable de leur taux. En l’espèce, la Cour note que les documents présentés à l’appui de sa demande de remboursement des frais et dépens engagés devant les juridictions internes ne sont pas suffisamment détaillés. La Cour rejette donc la demande formulée par le requérant à ce titre.
103. La Cour estime raisonnable la somme de 5 000 EUR pour les frais et dépens engagés dans la procédure devant elle et l’accorde au requérant.
C. Intérêts moratoires
104. La Cour juge approprié de calquer le taux des intérêts moratoires sur le taux d’intérêt de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne majoré de trois points de pourcentage.
PAR CES MOTIFS, LA COUR,
1. Déclare, à l’unanimité, la requête recevable quant au grief tiré de l’article 3 de la Convention et irrecevable pour le surplus ;

2. Dit, par six voix contre une, qu’il y a eu violation de l’article 3 de la Convention ;

3. Dit, par six voix contre une,
a) que l’État défendeur doit verser au requérant, dans les trois mois à compter du jour où l’arrêt sera devenu définitif conformément à l’article 44 § 2 de la Convention, les sommes suivantes, à convertir au taux applicable à la date du règlement) :
i) 10 000 EUR (dix mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt, pour dommage moral ;
ii) 5 000 EUR (cinq mille euros), plus tout montant pouvant être dû à titre d’impôt par le requérant, pour les frais et dépens engagés dans la procédure devant la Cour ;
b) qu’à compter de l’expiration dudit délai et jusqu’au versement, ces montants seront à majorer d’un intérêt simple à un taux égal à celui de la facilité de prêt marginal de la Banque centrale européenne applicable pendant cette période, augmenté de trois points de pourcentage ;

4. Rejette, à l’unanimité, la demande de satisfaction équitable pour le surplus.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 11 février 2014, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Stanley Naismith Işıl Karakaş
Greffier Présidente
Au présent arrêt se trouve joint, conformément aux articles 45 § 2 de la Convention et 74 § 2 du règlement, l’exposé de l’opinion séparée de la juge Karakaş.
A.I.K.
S.H.N.

OPINION PARTIELLEMENT DISSIDENTE DE LA JUGE KARAKAŞ
Je ne peux suivre la majorité lorsqu’elle constate la violation de l’article 3 de la Convention à raison d’une incompatibilité de l’état de santé du requérant avec son maintien en détention. De mon point de vue, sa situation n’atteignait pas le niveau suffisant de gravité pour emporter violation de l’article 3.
Les juges et le tribunal d’application des peines ont examiné d’une manière approfondie toutes les demandes du requérant et les rapports des médecins et leurs décisions étaient bien motivés.
Statuant sur la première demande du requérant formulée le 24 octobre 2007, le juge, se référant aux trois rapports médicaux obtenus entre-temps, estima que les pathologies dont le requérant était alors affecté n’étaient pas si graves et pouvaient être traitées en prison. Toutefois, un contrôle continu devait être garanti grâce à l’hospitalisation et à la vigilance constante du service sanitaire de l’établissement pénitentiaire. Par une décision du 28 décembre 2007, le juge rejeta la deuxième demande, estimant que la détention n’entraînait pas l’impossibilité ou la difficulté extrême de recourir aux traitements sanitaires nécessaires. Il autorisa aussi l’hospitalisation. Les deux demandes suivantes furent rejetées (les 7 janvier et 21 février 2008) et le tribunal d’application des peines confirma ces trois décisions, précisant que la dépression dont le requérant souffrait n’était pas suffisante pour atteindre le seuil de gravité nécessaire et justifier un ajournement de l’exécution de sa peine.
J’estime que le requérant a été suivi de très près par les établissements médicaux et par les juridictions d’application des peines pendant la période litigieuse allant d’octobre 2007 à août 2008.
Le 24 juillet 2008, dès que le tribunal d’application des peines constata de nouvelles pathologies dans le dernier rapport médical, il ordonna des approfondissements. Sur la base de nouveaux examens, et surtout suite à un amaigrissement involontaire, le tribunal décida que l’état de santé du requérant était incompatible avec sa détention en prison.
D’après ces faits, une fois l’état de santé du requérant devenu incompatible avec le régime carcéral, le tribunal, qui suivait son cas attentivement, ordonna le régime de détention au domicile.
Dans ces circonstances, je ne pense pas que le requérant ait subi un traitement inhumain ou dégradant.

A chi rivolgersi e i costi dell'assistenza

Il Diritto dell'Espropriazione è una materia molto complessa e poco conosciuta, che "ingloba" parti importanti di molteplici rami del diritto. Per tutelarsi è quindi essenziale farsi assistere da un Professionista (con il quale si consiglia di concordare in anticipo i costi da sostenere, come ormai consentito dalle leggi in vigore).

Se l'espropriato ha già un Professionista di sua fiducia, può comunicagli che sul nostro sito trova strumenti utili per il suo lavoro.
Per capire come funziona la procedura, quando intervenire e i costi da sostenere, si consiglia di consultare la Sezione B.6 - Come tutelarsi e i Costi da sostenere in TRE Passi.

  • La consulenza iniziale, con esame di atti e consigli, è sempre gratuita
    - Per richiederla cliccate qui: Colloquio telefonico gratuito
  • Un'eventuale successiva assistenza, se richiesta, è da concordare
    - Con accordo SCRITTO che garantisce l'espropriato
    - Con pagamento POSTICIPATO (si paga con i soldi che si ottengono dall'Amministrazione)
    - Col criterio: SE NON OTTIENI NON PAGHI

Se l'espropriato è assistito da un Professionista aderente all'Associazione pagherà solo a risultato raggiunto, "con i soldi" dell'Amministrazione. Non si deve pagare se non si ottiene il risultato stabilito. Tutto ciò viene pattuito, a garanzia dell'espropriato, con un contratto scritto. è ammesso solo un rimborso spese da concordare: ad. es. 1.000 euro per il DAP (tutelarsi e opporsi senza contenzioso) o 2.000 euro per il contenzioso. Per maggiori dettagli si veda la pagina 20 del nostro Vademecum gratuito.

La data dell'ultimo controllo di validità dei testi è la seguente: 14/09/2024