Conclusione Violazione dell’art. 6-1 ; Danno materiale – richiesta respinta ; Danno morale – riparazione
SECONDA SEZIONE
CAUSA CONCERIA MADERA S.R.L. c. ITALIA
(Richiesta no 4012/03)
SENTENZA
STRASBURGO
1 luglio 2008
DEFINITIVO
01/10/2008
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Conceria Madera S.R.L. c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Antonella Mularoni, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 10 giugno 2008,
Rende la sentenza che ha adottato in questa data,:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 4012/03) diretta contro la Repubblica italiana e in cui una società di questo Stato, C. M S.R.L. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 17 maggio 2000 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da V. V., avvocato a Santa Croce sull’Arno (Pisa).
Il governo italiano (“il Governo”) è stato rappresentato successivamente dai suoi agenti, i Sigg. U. Leanza, I.M. Braguglia e R. Adamo, e dai suoi coagenti, Sigg. V. Esposito e F. Crisafulli, così come dal suo coagente aggiunto, il Sig. N. Lettieri.
3. Il 17 dicembre 2004, la Corte ha deciso di comunicare la richiesta al Governo. Avvalendosi dell’articolo 29 § 3 della Convenzione, ha deciso che si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
4. Il richiedente è una società italiana e ha la sua sede sociale a Pisa.
A. Il procedimento principale
5. Il 1 febbraio 1994, il società M. citò la società richiedente dinnanzi al tribunale di Fermo (Ascoli Piceno) per responsabilità contrattuale (RG nº 10111/94) per la fornitura di un lotto di merce di un valore di 2 850 000 lire circa [1 471,90 euro (EUR)].
Il collocamento in stato della causa cominciò il 24 marzo 1994. Delle quindici udienze fissate tra il 2 giugno 1994 ed il 29 gennaio 1998, tre furono rinviati d’ufficio, una a causa di sciopero degli avvocati, una riguardava il deposito delle memorie e dei documenti, due la determinazione dell’udienza di presentazione delle conclusioni e sei l’ascolto delle parti e dei testimoni.
Il 14 maggio 1998, la causa fu messa in deliberazione in camera di consiglio. Al 13 ottobre 2001, il procedimento rimaneva pendente, non essendosi ancora pronunziato il tribunale.
B. Il procedimento “Pinto”
6. Il 27 settembre 2001, la società richiedente investì la corte di appello di L’Aquila ai sensi della legge no 89 del 24 marzo 2001, detta “legge Pinto”, per lamentarsi della durata eccessiva del procedimento descritto sopra. Il richiedente chiese alla corte di dire che c’era stata una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e di condannare lo stato italiano al risarcimento dei danni subiti.
Con una decisione del 18 dicembre 2001 il cui testo fu depositato alla cancelleria l’ 8 gennaio 2002, la corte di appello, valutando il procedimento fino al 13 ottobre 2001, constatò il superamento di una durata ragionevole e respinse la richiesta di risarcimento, nella misura in cui il richiedente non aveva provato di avere subito dei danni.
In quanto al danno materiale, la corte di appello osservò che il richiedente non aveva addotto di averne subiti e, pertanto, nessuna somma poteva essere assegnatagli a questo titolo.
In quanto al danno non patrimoniale, affermò che, anche se le persone giuridiche lo potevano subire a ragione del superamento del termine ragionevole, queste sofferenze potevano esistere solamente in presenza di certi tipi di danni ed esigevano, per la loro determinazione, delle prove precise che, nello specifico, non erano state fornite.
7. Il richiedente ricorse in cassazione arguendo che una volta constatato il superamento del termine ragionevole, le persone giuridiche non dovevano fornire la prova di un danno all’evidenza in re ipsa.
Con una sentenza del 30 settembre 2002 il cui testo fu depositato alla cancelleria il 14 novembre 2002, la Corte di cassazione respinse il ricorso e compensò tra le parti gli oneri e spese di procedimento.
Secondo la Corte di cassazione, la legge Pinto non riconosceva nessun presunto danno in re ipsa ma esigeva che una prova venisse fornita ai termini dell’articolo 2 di suddetta legge.
8. Con una lettera del 22 gennaio 2003, il richiedente informò la Corte del risultato del procedimento nazionale e la pregò di riprendere l’esame della sua richiesta.
II. IL DIRITTO E LA PRATICA INTERNA PERTINENTI
9. Il diritto e la pratica interna pertinenti figurano nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], no 64886/01, §§ 23-31, CEDH 2006 -…).
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
10. Il richiedente adduce che la durata del procedimento ha ignorato il principio del “termine ragionevole” come previsto dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia sentita in un termine ragionevole, da un tribunale che deciderà, delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile “
11. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
12. Dopo avere esaminato i fatti della causa e gli argomenti delle parti, la Corte stima, alla luce della giurisprudenza stabilita in materia (Provide S.r.l. c. Italia, no 62155/00, §§ 20-25, CEDH 2007, 5 luglio 2007) che la correzione si è rivelata insufficiente e che il richiedente può sempre definirsi “vittima” ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.
13. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incontra nessun altro motivo di inammissibilità.
B. Sul merito
14. La Corte ricorda di avere esaminato un motivo di appello identico a quello presentato dal richiedente e di avere concluso alla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (vedere Provide S.r.l. c. Italia, precitata, §§ 29-32).
15. In quanto alla durata del procedimento, la Corte stima che il periodo da considerare si estende dal 1 febbraio 1994, giorno della citazione del richiedente dinnanzi al tribunale di Fermo, fino al 13 ottobre 2001, ultima data presa in considerazione dalla corte di appello “Pinto”. È durata dunque più di sette anni ed otto mesi per un grado di giurisdizione.
16. Dopo avere esaminato i fatti alla luce delle informazione fornite dalle parti e tenuto conto della sua giurisprudenza in materia, la Corte stima che nello specifico la durata del procedimento controverso è eccessiva e non risponde all’esigenza del “termine ragionevole.”
17. Pertanto, c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
II. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
18. Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che c’è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente permette di cancellare solo imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c’è luogo, una soddisfazione equa. “
A. Danno
19. Il richiedente richiede 2 000 euro (EUR) a titolo del danno materiale e 6 000 EUR per danno non patrimoniale.
20. Il Governo non ha preso a questo riguardo posizione.
21. La Corte non vede legame di causalità tra la violazione constatata ed il danno materiale addotto e respinge questa domanda. In compenso, per ciò che riguarda il danno non patrimoniale, la Corte stima che avrebbe potuto accordare, in mancanza di vie di ricorso interne, la somma di 6 000 EUR prendendo in conto il ritardo imputabile al richiedente, così come della posta della controversia. Il fatto che le giurisdizioni nazionali non abbiano accordato niente al richiedente arriva secondo la Corte ad un risultato manifestamente irragionevole. Di conseguenza, avuto riguardo alle caratteristiche della via di ricorso “Pinto” ed al fatto che, malgrado questo ricorso interno, sia giunta ad una constatazione di violazione, la Corte, tenuto conto della soluzione adottata nella sentenza Cocchiarella c. Italia (precitato, §§ 139-142 e 146) e, deliberando in equità, assegna al richiedente 2 700 EUR.
B. Oneri e spese
22. Il richiedente chiede anche 6 833 EUR circa per oneri e spese sostenuti dinnanzi alle giurisdizioni interne e 6 963 EUR per quelli sostenuti dinnanzi alla Corte. A questo proposito, l’avvocato del richiedente non ha mandato alcun giustificativo perché, spiega, che saranno emessi e pagati solo quando il procedimento sarà finito.
23. Il Governo non ha preso a questo riguardo posizione. Il Governo si rimette alla saggezza della Corte.
24. Secondo la giurisprudenza della Corte, il sussidio degli oneri e spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che si stabilisca la loro realtà, la loro necessità ed il carattere ragionevole del loro tasso (Can ed altri c. Turchia, no 29189/02, del 24 gennaio 2008, § 22).
25. Nello specifico, la Corte stima che c’è luogo di rimborsare al richiedente gli oneri sostenuti dinnanzi alla corte di appello di L’Aquila e la Corte di cassazione, così come quelli del procedimento a Strasburgo. Deliberando in equità come vuole l’articolo 41 della Convenzione, giudica ragionevole concedere 3 000 EUR a questo titolo.
C. Interessi moratori
26. La Corte giudica appropriato ricalcare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuale.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
1. Dichiara, alla maggioranza, la richiesta ammissibile,;
2. Stabilisce, per sei voci contro una, che c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
3. Stanbilisce, per sei voci contro una,
a) che lo stato convenuto deve versare al richiedente, nei tre mesi a contare del giorno in cui la sentenza sarà diventata definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. 2 700 EUR (duemila sette cento euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
ii. 3 000 EUR (tremila euro) più ogni importo che può essere dovuto a titolo di imposta dal richiedente, per oneri e spese;
b) che a contare dalla scadenza di suddetto termine e fino al versamento, questi importi saranno da aumentare di un interesse semplice ad un tasso uguale a quello della facilità di prestito marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuale,;
4. Respinge, all’unanimità, la domanda di soddisfazione equa per il surplus.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 1 luglio 2008, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Greffière Presidentessa
Alla presente sentenza si trova unita, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 dell’ordinamento, l’esposizione dell’opinione dissidente del giudice Zagrebelsky.
F.T.
S.D.
OPINIONE DISSIDENTE DEL GIUDICE ZAGREBELSKY
Non posso aderire al parere della maggioranza che conclude alla violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione al motivo che il procedimento civile in cui la società richiedente era parte ha superato una durata ragionevole. Non suscitando suddetto superamento controversia ed essendo stato riconosciuto a livello interno (paragrafo 6 della sentenza), la sola questione che si pone alla Corte era di sapere se la violazione, ammessa dalle autorità nazionali, richiedesse anche un indennizzo.
La Corte ha giudicato che la mancanza totale di indennizzo fosse incompatibile con la sua propria giurisprudenza e, facendo un’applicazione rigorosa di questa, ha constatato la violazione del diritto di ottenere una decisione in un termine ragionevole e ha assegnato alla società richiedente 2 700 euro per danno morale.
La Corte non ha sviluppato il suo ragionamento per rimettere in causa la conclusione del giudice interno che consisteva nel dire che una persona giuridica poteva certamente subire un danno morale a causa della durata eccessiva di un procedimento giudiziale ma che nello specifico nessuna prova era stata presentata in questo senso.
Il difetto di motivazione, su questo punto, non è un difetto della sentenza, poiché si applica qui una giurisprudenza ben invalsa secondo la quale un danno morale che richiede un indennizzo viene sempre riconosciuto dalla Corte ai fini dell’applicazione dell’articolo 41 della Convenzione quando si tratta della violazione del diritto ad un procedimento giudiziale di durata ragionevole. Le sentenze in cui la Corte conclude alla violazione dell’articolo 6 a causa del superamento di un termine ragionevole e decide tuttavia che la constatazione di violazione fornisce una soddisfazione equa sufficiente sono difatti rarissimi, mentre lo sono molto meno per le violazioni più gravi dello stesso articolo 6 o di altri articoli della Convenzione. Quindi, si può dire che la Corte, nel caso delle violazioni in questione, presuma l’esistenza di un danno morale e si preoccupi unicamente di quantificarlo.
Pure chiarendo il mio disaccordo, approfitto di questa causa emblematica per mettere in luce le conseguenze ingiustificabili di certi aspetti della giurisprudenza della Corte che mi sembra necessitino di una revisione.
In quanto al fatto che la Corte ha, anche nello specifico, giudichi necessario un indennizzo per danno non patrimoniale, mi sembra sufficiente notare in generale che l’eventuale danno non patrimoniale presenti certamente delle caratteristiche completamente speciali quando si tratta di una persona giuridica, e in più che nella presente causa il richiedente era parte convenuta nel procedimento interno. Era la debitrice potenziale, e la questione che i giudici interni non sono arrivati a decidere velocemente era il fatto di sapere se un giorno o l’altro avrebbe dovuto pagare una certa somma (1 471,90 euro!) e non se, come parte richiedente, avrebbe ricevuto infine un pagamento. È difficile, addirittura impossibile dunque, credere a qualsiasi sofferenza o ad una qualsiasi angoscia della società richiedente che non ha prodotto ad ogni modo, né a livello nazionale né dinnanzi alla Corte, nessun elemento suscettibile di fare presumere la sua esistenza.
Concludo che il fatto che i giudici nazionali abbiano riconosciuto la violazione sarebbe dovuto bastare anche alla Corte che avrebbe dovuto riconoscere così che la violazione era stata ammessa e riparata a livello interno.
In quanto all’importo dell’indennità (che, lo riconosco, è stato calcolato secondo i criteri generali adottati ed utilizzati normalmente in materia dalla Corte) mi basta ricordare che la società richiedente si è vista assegnare un’indennità di 2 700 euro, così come 3 000 euro per oneri e spese, mentre per lei la posta iniziale della controversia era di 1 471,90 euro. Non c’è in questo qualche cosa che sfiora l’esagerazione? La Corte non ha cause più gravi da trattare, per invitare così i richiedenti a non ricorrere a lei in cerca di denaro facile? I criteri adottati in materia dalla Corte non chiedono una revisione urgente?