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Testo originale e tradotto della sentenza selezionata

AFFAIRE CIMOLINO c. ITALIE

Tipologia: Sentenza
Importanza: 3
Articoli:
Numero: 12532/05/2009
Stato: Italia
Data: 2009-09-22 00:00:00
Organo: Sezione Seconda
Testo Originale

SECONDA SEZIONE
CAUSA CIMOLINO C. ITALIA
(Richiesta no 12532/05)
SENTENZA
STRASBURGO
22 settembre 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.

Nella causa Cimolino c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 3 maggio 2007 e il 1 settembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 12532/05) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. G. P. C. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 9 marzo 2005 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da A. B., avvocato a Milano. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo coagente, M.N. Lettieri.
3. Il richiedente adduceva in particolare una violazione del principio del contraddittorio.
4. Il 3 maggio 2007, la Corte ha dichiarato la richiesta parzialmente inammissibile e ha deciso di comunicare il motivo di appello tratto dall’articolo 6 § 1, per ciò che riguarda il rispetto del principio del contraddittorio, al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1933 e risiede a Milano. E’ avvocato esperto in materia di lavori pubblici.
6. Con una decisione dell’ 8 aprile 1991, la municipalità di Cambiago decise di assumere il richiedente come consigliere giuridico. Nella cornice della costruzione di una struttura sportiva pubblica, il richiedente doveva fornire dei pareri giuridici per la gestione dei rapporti tra l’amministrazione e le imprese di costruzione. Suddetta decisione fissava l’importo della parcella dovuta al richiedente a 6 000 000 lire italiane (ITL), o 3 000 euro (EUR) circa. Questo importo era stato valutato dall’interessato conformemente alle tariffe professionali in vigore all’epoca.
7. Con una decisione del 24 febbraio 1992, la municipalità, facendo diritto ad una domanda del richiedente, gli concedette l’ulteriore somma di 4 000 000 ITL, alzando così l’importo della parcella a 10 000 000 ITL, o 5 000 EUR circa.
8. Con una nota del 27 ottobre 1992, il richiedente richiese alla municipalità la somma di 41 899 154 ITL, o 22 000 EUR circa, a titolo di parcella e di recupero degli oneri incorsi nella gestione della pratica di cui si era occupato per conto dell’amministrazione.
9. Il 16 aprile 1993, non avendo l’amministrazione eseguito il saldo, il richiedente mandò la nota della parcella al consiglio dell’ordine degli avvocati di Milano e ne sollecitò la liquidazione.
10. In una lettera del 23 marzo 1993, il rappresentante della municipalità rispose che, al di là di ogni considerazione concernente l’importo chiesto, la somma non poteva essere pagata poiché non era stata oggetto di un’approvazione da parte degli organi esecutivi e contabili dell’amministrazione.
11. Il 29 luglio 1993, il consiglio dell’ordine degli avvocati di Milano invitò l’amministrazione a liquidare la parcella.
12. In seguito al rifiuto dell’amministrazione di ubbidire, il richiedente introdusse un ricorso dinnanzi al tribunale di Milano per ottenere un’ingiunzione di pagamento di 50 321 724 ITL, o la somma richiesta nella nota di parcella del 27 ottobre 1992 aumentata degli oneri e degli interessi. Il presidente del tribunale fece diritto a questa istanza e, con un atto notificato il 30 giugno 1994, l’ingiunzione di pagamento fu notificata alla municipalità.
13. Il 15 luglio 1994, la municipalità fece opposizione all’ingiunzione. Affermò che, conformemente all’articolo 23 del decreto legislativo no 66 del 1989, l’amministrazione può onorare solamente le somme il cui pagamento è stato approvato prima di tutto dagli organi amministrativi competenti. L’amministrazione convenuta aggiunse che, sei degli impegni irregolari erano stati presi col richiedente, questi dovevano essere imputati al sindaco di Cambiago all’epoca dei fatti e non all’amministrazione municipale.
14. Avendo l’ingiunzione di pagamento forza esecutiva provvisoria, l’amministrazione pagò al richiedente la somma che aveva richiesto.
15. Il 8 giugno 1994, la municipalità aveva introdotto nel frattempo, un ricorso dinnanzi al tribunale di Milano che mirava a fare dichiarare l’illegittimità di ogni pretesa del richiedente posteriore alla decisione del 24 febbraio 1992.
16. Il 3 aprile 1996, l’amministrazione introdusse inoltre, un ricorso contro la Sig.ra R.M, il sindaco di Cambiago all’epoca del reclutamento del richiedente, per ottenere la condanna di questa a pagare ogni somma che la municipalità avrebbe potuto essere tenuta a versare all’interessato.
17. R.M. si costituì nel procedimento. Sostenne che le prestazioni indicate nella nota di parcella del 27 ottobre 1992 erano state compiute realmente dal richiedente e dovevano essere considerate come facenti parte delle attività necessarie per la gestione della pratica di cui era stato incaricato l’ 8 aprile 1991.
18. All’udienza del 27 novembre 1996, questi due ultimi ricorsi furono riuniti al procedimento di opposizione all’ingiunzione pendente dinnanzi al tribunale di Milano.
19. Il 28 maggio 1997, il richiedente chiese al tribunale di condannare la Sig.ra R.M a pagare la sua parcella nel caso in cui l’amministrazione non sarebbe stata considerata responsabile.
20. Con un giudizio del 3 dicembre 1998, il tribunale accolse l’opposizione della municipalità e respinse tutte le istanze del richiedente. Affermò che, ai termini del decreto legislativo no 66 del 1989, né l’amministrazione né l’ex-sindaco di Cambiago potevano essere considerati responsabili per il pagamento della somma richiesta dal richiedente, nella misura in cui non era stata approvata dagli organi amministrativi competenti.
21. Quindi, il tribunale revocò l’ingiunzione di pagamento emessa contro l’amministrazione.
22. Il richiedente interpose appello. Con una sentenza del 23 maggio 2000, la corte di appello di Milano modificò parzialmente il giudizio di prima istanza, pure confermando la revoca dell’ingiunzione di pagamento a riguardo dell’amministrazione. Rilevò che le sole somme il cui pagamento era imputabile all’amministrazione erano quelle approvate dall’organo esecutivo della municipalità, l’ 8 aprile 1991 e il 24 febbraio 1992, ed espressamente fissate come rimunerazione per i pareri giuridici resi nella cornice dei rapporti tra l’amministrazione e le imprese di costruzione, tanto più che la realtà di queste prestazioni non era stata messa in dubbio dall’amministrazione.
23. In compenso, per ciò che riguardava le altre attività professionali esercitate dal richiedente ed indicate nella nota di parcella del 27 ottobre 1992, la corte di appello sostenne che queste dovevano essere pagate personalmente dagli agenti dell’amministrazione che li avevano sollecitati. In particolare, risultava da suddetta nota che la Sig.ra R.M che non aveva mai negato del resto di avere conferito un mandato al richiedente per compiere delle consultazioni giuridiche supplementari, era responsabile del pagamento di 4 733 000 ITL. Il restante delle prestazioni non era imputabile né all’amministrazione né all’ex-sindaco.
24. Il richiedente e la Sig.ra R.M. ricorsero in cassazione. In particolare, il richiedente contestò l’interpretazione della corte di appello secondo la quale la decisione della municipalità dell’ 8 aprile 1991 si riferiva solamente al compimento dei pareri giuridici specificamente indicati e non, più generalmente, ad ogni attività professionale necessaria per regolare la causa.
25. Con una sentenza del 6 maggio 2004, depositata alla cancelleria il 30 luglio 2004 e notificata al richiedente il 14 settembre 2004, la Corte di cassazione respinse il richiedente del suo ricorso. Nonostante il fatto che né il tribunale né la corte di appello si fossero dedicati alla questione, rilevò l’inesistenza di ogni impegno contrattuale dell’amministrazione municipale nei confronti il richiedente. La Corte di cassazione affermò che, ai sensi degli articoli 16 e 17 del decreto reale (“Regio Decreto”) no 2240 del 1923, ogni contratto concluso dall’amministrazione pubblica deve essere redatto imperativamente per iscritto, sottoscritto dalle parti e deve indicare chiaramente le prestazioni da compiere e l’importo della rimunerazione. Ora, nello specifico, la Corte di cassazione rilevò che nello specifico, le decisioni dell’ 8 aprile 1991 e del 24 febbraio 1992 con cui l’organo esecutivo della municipalità aveva deciso di assumere il richiedente, non erano state completate da documenti che rispettavano i criteri prescritti dalla legge sotto pena di nullità. Suddette decisioni erano semplicemente degli atti interni che autorizzavano l’amministrazione ad assumere il richiedente e non potevano essere considerati come dei contratti.
26. Riferendosi alla sua giurisprudenza, la Corte di cassazione fece valere che, nelle cause che hanno fatto riferimento all’esecuzione di obblighi contrattuali, ogni questione concernente la nullità del contratto dipende dalle questioni preliminari della causa e può essere sollevata quindi dal giudice in tutte le fasi del procedimento, purché la pratica contenga i documenti necessari che permettono di concludere all’inesistenza del contratto. Nell’occorrenza, il difetto di un contratto scritto formalmente che impegna l’amministrazione ed il richiedente risultava chiaramente dalla sentenza della corte di appello così come dal ricorso dell’interessato.
27. L’alta giurisdizione aggiunse che, anche facendo astrazione della questione preliminare relativa alla nullità del contratto che coinvolgeva da sola la cassazione, il ricorso doveva essere respinto ad ogni modo.
Affermò in primo luogo che non rientrava nelle sue prerogative censurare e modificare l’interpretazione che i giudici del merito avevano dato alle decisioni della municipalità dell’ 8 aprile 1991 e del 24 febbraio 1992. Inoltre, uno dei mezzi del richiedente non era stato formulato in modo specifico. Infine, l’affermazione del richiedente concernente il difetto di motivazione della sentenza della corte di appello non era fondata.
28. Il 19 maggio 2005, la municipalità di Cambiago intimò al richiedente di restituire la somma che aveva percepito in seguito all’esecuzione dell’ingiunzione.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
29. L’articolo 183 del codice procedimento civile, terzo capoverso, contempla che il giudice indichi alle parti le questioni che possono essere rilevate d’ufficio di cui stima necessario l’esame, all’epoca della prima udienza dinnanzi a lui.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
30. Il richiedente adduce che il procedimento dinnanzi alla Corte di cassazione non è stato condotto in modo contraddittorio. Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione, ai termini del quale:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile. “
31. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
32. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
33. Il richiedente fa valere che la questione di diritto sulla base della quale la sua causa è stata decisa, ossia la nullità del contratto di lavoro da parte dell’amministrazione, è stata sollevata d’ ufficio dalla Corte di cassazione e non è stata sottoposta alle parti durante il procedimento.
34. Sostiene di essere stato privato di una discussione contraddittoria su una questione cruciale della sua causa, perché l’esistenza del suo contratto di lavoro costituisce il premesse giuridico e di fatto di tutte le sue pretese.
In più, la risoluzione di questa questione giuridica aveva acquisito secondo il richiedente l’autorità di cosa giudicata, nella misura in cui i giudici di prima e di seconda istanza avevano esaminato il merito delle sue istanze ed avevano riconosciuto così implicitamente la realtà della sua relazione contrattuale con l’amministrazione. Il richiedente avrebbe potuto sollevare un’eccezione di decadenza se la Corte di cassazione avesse permesso il contraddittorio sulla questione.
35. Il richiedente sostiene inoltre che la Corte di cassazione, andando al di là delle sue competenze, ha deciso di considerare non solo d’ ufficio una questione di diritto, ma anche una questione di fatto. Avrebbe dovuto chiedere alla corte di appello, giudice del merito, di verificare se un atto contrattuale formalmente costituito esisteva nello specifico. Il richiedente afferma che tale atto avrebbe potuto essere scoperto nella decisione della municipalità dell’ 8 aprile 1991, sottoscritta dal sindaco, corredato dell’atto di accettazione dei carichi, firmato da lui. A questo proposito, gli dispiace non avere avuto la possibilità di dibattere l’interpretazione delle disposizioni di legge che regolano i contratti tra gli individui e le amministrazioni pubbliche.
36. Infine, il richiedente confuta l’argomento del Governo secondo cui la questione sollevata d’ufficio dalla Corte di cassazione non è stata determinante per la conclusione del procedimento. Afferma che l’argomento derivato della pretesa nullità del contratto di lavoro ha influenzato probabilmente le osservazioni dell’alta giurisdizione riguardante gli altri mezzi di ricorso.
37. Il Governo riconosce che la questione della nullità del contratto di lavoro del richiedente è stata considerata d’ ufficio dalla Corte di cassazione e non è stata comunicata alle parti durante il procedimento.
38. Primariamente, il Governo rivendica il diritto, per una giurisdizione, di decidere una controversia sulla base di una questione sollevata d’ufficio. Il semplice fatto che la Corte di cassazione abbia considerato la questione della nullità del contratto non potrebbe costituire quindi in sé un ostacolo al diritto ad un processo equo.
39. In quanto alla non-comunicazione alle parti dell’intenzione di utilizzare una questione considerata d’ ufficio, il Governo fa valere al primo colpo che il diritto interno garantisce in principio il rispetto del contraddittorio, nella misura in cui impone ai giudici l’obbligo di informare le parti di ogni questione considerata d’ ufficio, per permettere loro di dibatterne prima che una decisione venga presa.
40. Però, stima che bisogna distinguere secondo la natura della questione in causa. Nel caso specifico, la nullità del contratto di lavoro, derivante dall’applicazione delle disposizioni di legge in materia di contratti con l’amministrazione pubblica, era un elemento di fato e giuridico che non si prestava a nessuna controversia. Da una parte, le parti non potevano ignorare l’inesistenza di un contratto, dall’altra parte, si supponeva conoscessero le disposizioni di legge pertinenti in materia la cui chiarezza e prevedibilità non potrebbe essere messa in dubbio.
41. Il Governo ammette che i giudici di prima e di seconda istanza hanno commesso un errore quando non hanno rilevato la questione preliminare concernente la nullità del contratto. Tuttavia, niente impediva l’alta giurisdizione di ovviare all’errore, conformemente alla sua missione di interprete supremo del diritto interno, e di correggere le decisioni rese dai giudici del merito.
42. Comunque sia, la Corte di cassazione non ha fondato il suo giudizio sulla sola questione preliminare sollevata d’ ufficio che coinvolgeva solo la cassazione stessa. Il ricorso del richiedente sarebbe stato respinto difatti, comunque in ragione della mancanza di fondamento degli altri mezzi sollevati dall’interessato.
Il Governo si riferisce alla motivazione della sentenza della Corte di cassazione e sostiene che non essendo stata la questione controversa determinante e decisiva per la causa, non si potrebbe affermare che vi sia stata una violazione del diritto ad un processo equo. Sottolinea a questo proposito che la Convenzione protegge dei diritti reali ed effettivi e non teorici o illusori.
2. Valutazione della Corte
43. La nozione di processo equo comprende il diritto ad un processo contraddittorio che implica il diritto per le parti di fare conoscere gli elementi necessari al successo delle loro pretese, ma anche di prendere cognizione di ogni documento od osservazione presentata al giudice in vista di influenzare la sua decisione e di discuterla (Vermeulen c. Belgio, sentenza del 20 febbraio 1996, Raccolta 1996-I, p. 234, § 33; Nideröst-Huber c. Svizzera, sentenza del 18 febbraio 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-I, pp. 107-108, § 24). Questo principio vale per le osservazioni e documenti presentati dalle parti ma anche da un magistrato indipendente come il commissario del Governo (Kress c. Francia [GC], no 39594/98, CEDH 2001-VI; APBP c. Francia, no 38436/97, 21 marzo 2002) da un’amministrazione (sentenza Krčmář ed altri c. Repubblica ceca, no 35376/97, § 39, 3 marzo 2000) o dalla giurisdizione autrice del giudizio intrapreso (Nideröst-Huber, precitata).
44. Il giudice stesso deve rispettare il principio del contraddittorio, in particolare quando respinge un ricorso o decide in merito a una controversia sulla base di un motivo sollevato di ufficio o di una riqualificazione giuridica dei fatti considerati di ufficio (Skondrianos c. Grecia, numeri 63000/00, 74291/01 e 74292/01, §§ 29-30, 18 dicembre 2003; Clinica delle Acacie ed altri c. Francia, numeri 65399/01, 65406/01, 65405/01 e 65407/01, § 38, 13 ottobre 2005; Prikyan ed Angelova c. Bulgaria, no 44624/98, § 42, 16 febbraio 2006; Drassich c. Italia, no 25575/04, §§ 31 e 32, 11 dicembre 2007).
45. Innanzitutto, la Corte conviene col Governo che la Corte di cassazione ha fatto uso del suo potere incontestato di decidere la causa sulla base di una questione sollevata d’ ufficio. Solo la non-comunicazione alle parti dell’intenzione di considerare d’ ufficio suddetta questione potrebbe dare problemi allo sguardo della Convenzione.
46. Il Governo considera che la decisione di non aprire di dibattito contraddittorio sulla questione controversa si giustifica nello specifico in ragione del carattere non controverso della questione e tenuto conto del fatto che questa non è stata decisivo per la conclusione del contenzioso.
47. La Corte osserva al primo colpo che a nessuno stadio del procedimento, la questione della nullità del contratto è stata menzionata. Né l’amministrazione convenuta, né le differenti autorità giudiziali incaricate della causa per tutto il contenzioso hanno messo in causa l’esistenza stessa di una relazione contrattuale tra il richiedente e le amministrazioni.
In queste condizioni, la Corte non potrebbe aderire alla tesi del Governo secondo la quale la questione considerata d’ ufficio dalla Corte di cassazione era un elemento di fatto e giuridico che non poteva prestarsi a nessuna controversia e che era superfluo sottoporlo al dibattito contraddittorio (Clinica delle Acacie ed altri c. Francia, precitata, § 41).
48. Tuttavia, la Corte deve esaminare se la trasgressione della Corte di cassazione nel garantire il contraddittorio nello specifico ha privato il richiedente della possibilità di presentare i suoi argomenti su una questione determinante per la conclusione del procedimento.
49. A questo proposito, constata che la Corte di cassazione non ha deciso la causa solamente sulla base della questione preliminare sollevata d’ufficio. Pure sottolineando che la nullità provocava da sola la cassazione, l’alta giurisdizione esaminò e respinse al merito tutti i mezzi di ricorso del richiedente, affermando che l’interessato sarebbe stato respinto comunque del suo ricorso tenuto conto del merito delle sue affermazioni (vedere sopra paragrafo 27).
Ora, la Corte non ha ragioni di dubitare della legittimità delle affermazioni dell’alta giurisdizione italiana su questo punto.
50. Ricorda che la Convenzione non mira a proteggere dei diritti puramente teorici o illusori (vedere, tra altre, a contrario, Artico c. Italia, sentenza del 13 maggio 1980, serie A no 37, § 33). Di conseguenza, nelle circostanze particolari della sua causa, il richiedente non potrebbe affermare di essere stato privato dell’opportunità di presentare i suoi argomenti su una questione essenziale e determinante per la conclusione del procedimento (a contrario, Prikyan ed Angelova c. Bulgaria, precitata, § 52).
51. In conclusione, non c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara il restante della richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che non c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 22 settembre 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa

Testo Tradotto

DEUXIÈME SECTION
AFFAIRE CIMOLINO c. ITALIE
(Requête no 12532/05)
ARRÊT
STRASBOURG
22 septembre 2009
Cet arrêt deviendra définitif dans les conditions définies à l’article 44 § 2 de la Convention. Il peut subir des retouches de forme.

En l’affaire Cimolino c. Italie,
La Cour européenne des droits de l’homme (deuxième section), siégeant en une chambre composée de :
Françoise Tulkens, présidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Vladimiro Zagrebelsky,
Danutė Jočienė,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş, juges,
et de Sally Dollé, greffière de section,
Après en avoir délibéré en chambre du conseil les 3 mai 2007 et 1er septembre 2009,
Rend l’arrêt que voici, adopté à cette dernière date :
PROCÉDURE
1. A l’origine de l’affaire se trouve une requête (no 12532/05) dirigée contre la République italienne et dont un ressortissant de cet Etat, M. G. P. C. (« le requérant »), a saisi la Cour le 9 mars 2005 en vertu de l’article 34 de la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales (« la Convention »).
2. Le requérant est représenté par Me A. B., avocat à Milan. Le gouvernement italien (« le Gouvernement ») est représenté par son agent, Mme E. Spatafora, et par son coagent, M.N. Lettieri.
3. Le requérant alléguait en particulier une violation du principe du contradictoire.
4. Le 3 mai 2007, la Cour a déclaré la requête partiellement irrecevable et a décidé de communiquer le grief tiré de l’article 6 § 1, en ce qui concerne le respect du principe du contradictoire, au Gouvernement. Comme le permet l’article 29 § 3 de la Convention, il a en outre été décidé que la chambre se prononcerait en même temps sur la recevabilité et le fond.
EN FAIT
I. LES CIRCONSTANCES DE L’ESPÈCE
5. Le requérant est né en 1933 et réside à Milan. Il est avocat expert en matière de travaux publics.
6. Par une décision du 8 avril 1991, la municipalité de Cambiago décida d’employer le requérant comme conseiller juridique. Dans le cadre de la construction d’un établissement sportif public, le requérant devait fournir des avis juridiques pour la gestion des rapports entre l’administration et l’entreprise de construction. Ladite décision fixait le montant des honoraires dus au requérant à 6 000 000 lires italiennes (ITL), soit 3 000 euros (EUR) environ. Ce montant avait été chiffré par l’intéressé conformément aux tarifs professionnels en vigueur à l’époque.
7. Par une décision du 24 février 1992, la municipalité, faisant droit à une demande du requérant, lui octroya la somme ultérieure de 4 000 000 ITL, élevant ainsi le montant des honoraires à 10 000 000 ITL, soit 5 000 EUR environ.
8. Par une note du 27 octobre 1992, le requérant réclama à la municipalité la somme de 41 899 154 ITL, soit 22 000 EUR environ, à titre d’honoraires et de recouvrement des frais encourus dans la gestion du dossier dont il s’était occupé pour le compte de l’administration.
9. Le 16 avril 1993, l’administration ne s’étant pas exécutée, le requérant envoya la note d’honoraires au conseil de l’Ordre des avocats de Milan et en sollicita la liquidation.
10. Dans une lettre du 23 mars 1993, le représentant de la municipalité répondit que, au-delà de toute considération concernant le montant demandé, la somme ne pouvait pas être payée puisqu’elle n’avait pas fait l’objet d’une approbation de la part des organes exécutifs et comptables de l’administration.
11. Le 29 juillet 1993, le conseil de l’Ordre des avocats de Milan invita l’administration à liquider les honoraires.
12. Suite au refus de l’administration de s’exécuter, le requérant introduisit un recours devant le tribunal de Milan afin d’obtenir une injonction de payer 50 321 724 ITL, soit la somme réclamée dans la note d’honoraires du 27 octobre 1992 majorée des frais et des intérêts. Le président du tribunal fit droit à cette demande et, par un acte notifié le 30 juin 1994, l’injonction de payer fut notifiée à la municipalité.
13. Le 15 juillet 1994, la municipalité fit opposition à l’injonction. Elle affirma que, conformément à l’article 23 du décret législatif no 66 de 1989, l’administration ne peut honorer que les sommes dont le paiement a été approuvé au préalable par les organes administratifs compétents. L’administration défenderesse ajouta que, si des engagements irréguliers avaient été pris avec le requérant, ceux-ci devaient être imputés au maire de Cambiago à l’époque des faits et non pas à l’administration municipale.
14. L’injonction de payer ayant force exécutoire provisoire, l’administration paya au requérant la somme qu’il avait réclamée.
15. Entre-temps, le 8 juin 1994, la municipalité avait introduit un recours devant le tribunal de Milan visant à faire déclarer l’illégitimité de toute prétention du requérant postérieure à la décision du 24 février 1992.
16. En outre, le 3 avril 1996, l’administration introduisit un recours à l’encontre de Mme R.M, le maire de Cambiago à l’époque du recrutement du requérant, pour obtenir la condamnation de celle-ci à payer toute somme que la municipalité pourrait être tenue de verser à l’intéressé.
17. R.M. se constitua dans la procédure. Elle soutint que les prestations indiquées dans la note d’honoraires du 27 octobre 1992 avaient été réellement accomplies par le requérant et devaient être considérées comme faisant partie des activités nécessaires pour la gestion du dossier dont il avait été chargé le 8 avril 1991.
18. A l’audience du 27 novembre 1996, ces deux derniers recours furent réunis à la procédure d’opposition à l’injonction pendante devant le tribunal de Milan.
19. Le 28 mai 1997, le requérant demanda au tribunal de condamner Mme R.M à payer ses honoraires dans le cas où l’administration ne serait pas retenue responsable.
20. Par un jugement du 3 décembre 1998, le tribunal accueillit l’opposition de la municipalité et rejeta toutes les demandes du requérant. Il affirma que, aux termes du décret législatif no 66 de 1989, ni l’administration ni l’ex-maire de Cambiago ne pouvaient être considérés responsables pour le paiement de la somme réclamée par le requérant, dans la mesure où elle n’avait pas été approuvée par les organes administratifs compétents.
21. Dès lors, le tribunal révoqua l’injonction de payer émise à l’encontre de l’administration.
22. Le requérant interjeta appel. Par un arrêt du 23 mai 2000, la cour d’appel de Milan modifia partiellement le jugement de première instance, tout en confirmant la révocation de l’injonction de payer à l’égard de l’administration. Elle releva que les seules sommes dont le paiement était imputable à l’administration étaient celles approuvées par l’organe exécutif de la municipalité, les 8 avril 1991 et 24 février 1992, et expressément fixées comme rémunération pour les avis juridiques rendus dans le cadre des rapports entre l’administration et l’entreprise de construction, d’autant plus que la réalité de ces prestations n’avait pas été mise en doute par l’administration.
23. En revanche, pour ce qui était des autres activités professionnelles exercées par le requérant et indiquées dans la note d’honoraires du 27 octobre 1992, la cour d’appel soutint que celles-ci devaient être payées personnellement par les agents de l’administration qui les avaient sollicitées. Notamment, il ressortait de ladite note que Mme R.M., qui n’avait d’ailleurs jamais nié avoir conféré un mandat au requérant pour accomplir des consultations juridiques supplémentaires, était responsable du paiement de 4 733 000 ITL. Le restant des prestations n’était imputable ni à l’administration ni à l’ex-maire.
24. Le requérant et Mme R.M. se pourvurent en cassation. En particulier, le requérant contesta l’interprétation de la cour d’appel selon laquelle la décision de la municipalité du 8 avril 1991 se référait seulement à l’accomplissement des avis juridiques spécifiquement indiqués et non pas, plus généralement, de toute activité professionnelle nécessaire pour régler l’affaire.
25. Par un arrêt du 6 mai 2004, déposé au greffe le 30 juillet 2004 et notifié au requérant le 14 septembre 2004, la Cour de cassation débouta le requérant de son pourvoi. Nonobstant le fait que ni le tribunal ni la cour d’appel ne s’étaient penchés sur la question, elle releva l’inexistence de tout engagement contractuel de l’administration municipale vis-à-vis du requérant. La Cour de cassation affirma que, au sens des articles 16 et 17 du décret royal (« Regio Decreto ») no 2240 de 1923, tout contrat conclu par l’administration publique doit être impérativement rédigé par écrit, soussigné par les parties et indiquer clairement les prestations à accomplir et le montant de la rémunération. Or, en l’espèce, la Cour de cassation releva qu’en l’espèce, les décisions des 8 avril 1991 et 24 février 1992, par lesquelles l’organe exécutif de la municipalité avait décidé d’employer le requérant, n’avaient pas été complétées par des documents respectant les critères prescrits par la loi à peine de nullité. Lesdites décisions étaient simplement des actes internes autorisant l’administration à employer le requérant et ne pouvaient pas être considérées comme étant des contrats.
26. Se référant à sa jurisprudence, la Cour de cassation fit valoir que, dans les affaires ayant trait à l’exécution d’obligations contractuelles, toute question concernant la nullité du contrat relève des questions préliminaires de l’affaire et peut dès lors être soulevée par le juge dans toutes les phases de la procédure, à condition que le dossier contienne les documents nécessaires permettant de conclure à l’inexistence du contrat. En l’occurrence, le défaut d’un contrat écrit formellement engageant l’administration et le requérant ressortait clairement de l’arrêt de la cour d’appel ainsi que du pourvoi de l’intéressé.
27. La haute juridiction ajouta que, même en faisant abstraction de la question préliminaire relative à la nullité du contrat entraînant à elle seule la cassation, le pourvoi devait en tout état de cause être rejeté.
Elle affirma en premier lieu qu’il ne rentrait pas dans ses prérogatives de censurer et de modifier l’interprétation que les juges du fond avaient donnée aux décisions de la municipalité des 8 avril 1991 et 24 février 1992. En outre, l’un des moyens du requérant n’avait pas été formulé de façon spécifique. Enfin, l’allégation du requérant concernant le défaut de motivation de l’arrêt de la cour d’appel n’était pas fondée.
28. Le 19 mai 2005, la municipalité de Cambiago intima au requérant de rendre la somme qu’il avait perçue à la suite de l’exécution de l’injonction.
II. LE DROIT INTERNE PERTINENT
29. L’article 183 du code procédure civile, troisième alinéa, prévoit que le juge indique aux parties les questions pouvant être relevées d’office, dont il estime nécessaire l’examen, lors de la première audience devant lui.
EN DROIT
I. SUR LA VIOLATION ALLÉGUÉE DE L’ARTICLE 6 § 1 DE LA CONVENTION
30. Le requérant allègue que la procédure devant la Cour de cassation n’a pas été menée de façon contradictoire. Il invoque l’article 6 § 1 de la Convention, aux termes duquel :
« Toute personne a droit à ce que sa cause soit entendue équitablement (…) par un tribunal (…), qui décidera (…) des contestations sur ses droits et obligations de caractère civil (…). »
31. Le Gouvernement s’oppose à cette thèse.
A. Sur la recevabilité
32. La Cour constate que ce grief n’est pas manifestement mal fondé au sens de l’article 35 § 3 de la Convention. La Cour relève par ailleurs qu’il ne se heurte à aucun autre motif d’irrecevabilité. Il convient donc de le déclarer recevable.
B. Sur le fond
1. Arguments des parties
33. Le requérant fait valoir que la question de droit sur la base de laquelle son affaire a été tranchée, à savoir la nullité du contrat de travail avec l’administration, a été soulevée d’office par la Cour de cassation et n’a pas été soumise aux parties au cours de la procédure.
34. Il soutient avoir été privé d’une discussion contradictoire sur une question cruciale de son affaire, car l’existence de son contrat de travail constitue la prémisse juridique et factuelle de toutes ses prétentions.
De plus, la résolution de cette question juridique avait acquis selon le requérant l’autorité de la chose jugée, dans la mesure où les juges de première et de deuxième instance avaient examiné le fond de ses demandes et avaient ainsi reconnu implicitement la réalité de sa relation contractuelle avec l’administration. Le requérant aurait pu soulever une exception de forclusion si la Cour de cassation avait permis le contradictoire sur la question.
35. Le requérant soutient en outre que la Cour de cassation, allant au-delà de ses compétences, a décidé de retenir d’office non seulement une question de droit, mais aussi une question de fait. Elle aurait dû demander à la cour d’appel, juge du fond, de vérifier si un acte contractuel formellement constitué existait en l’espèce. Le requérant affirme qu’un tel acte aurait pu être décelé dans la décision de la municipalité du 8 avril 1991, soussignée par le maire, accompagnée de l’acte d’acceptation des charges, signé par lui-même. A ce propos, il regrette ne pas avoir eu la possibilité de débattre de l’interprétation des dispositions de loi réglant les contrats entre les particuliers et l’administration publique.
36. Enfin, le requérant réfute l’argument du Gouvernement selon lequel la question soulevée d’office par la Cour de cassation n’a pas été déterminante pour l’issue de la procédure. Il affirme que l’argument tiré de la prétendue nullité du contrat de travail a sans doute influencé les observations de la haute juridiction concernant les autres moyens de pourvoi.
37. Le Gouvernement reconnaît que la question de la nullité du contrat de travail du requérant a été retenue d’office par la Cour de cassation et n’a pas été communiquée aux parties pendant la procédure.
38. Premièrement, le Gouvernement revendique le droit, pour une juridiction, de trancher un litige sur la base d’une question soulevée d’office. Le simple fait que la Cour de cassation ait retenu la question de la nullité du contrat ne saurait dès lors constituer en soi une entrave au droit à un procès équitable.
39. Quant à la non-communication aux parties de l’intention d’utiliser une question retenue d’office, le Gouvernement fait valoir d’emblée que le droit interne garantit en principe le respect du contradictoire, dans la mesure où il impose aux juges l’obligation d’informer les parties de toute question retenue d’office, afin de leur permettre d’en débattre avant qu’une décision soit prise.
40. Cependant, il estime qu’il faut distinguer selon la nature de la question en cause. Dans le cas d’espèce, la nullité du contrat de travail, découlant de l’application des dispositions de loi en matière de contrats avec l’administration publique, était un élément factuel et juridique qui ne prêtait à aucune controverse. D’une part, les parties ne pouvaient ignorer l’inexistence d’un contrat, d’autre part, elles étaient censées connaître les dispositions de loi pertinentes en la matière, dont la clarté et la prévisibilité ne sauraient être mise en doute.
41. Le Gouvernement admet que les juges de première et de deuxième instance ont commis une erreur lorsqu’ils n’ont pas relevé la question préliminaire concernant la nullité du contrat. Néanmoins, rien n’empêchait la haute juridiction de remédier à l’erreur, conformément à sa mission d’interprète suprême du droit interne, et de corriger les décisions rendues par les juges du fond.
42. Quoi qu’il en soit, la Cour de cassation n’a pas fondé son jugement sur la seule question préliminaire soulevée d’office, laquelle entraînait à elle seule cassation. En effet, le pourvoi du requérant aurait été de toute manière rejeté en raison du manque de fondement des autres moyens soulevés par l’intéressé.
Le Gouvernement se réfère à la motivation de l’arrêt de la Cour de cassation et soutient que la question litigieuse n’ayant pas été déterminante et décisive pour l’affaire, on ne pourrait affirmer qu’il y a eu une violation du droit à un procès équitable. Il souligne à ce propos que la Convention protège des droits réels et effectifs et non théoriques ou illusoires.
2. Appréciation de la Cour
43. La notion de procès équitable comprend le droit à un procès contradictoire qui implique le droit pour les parties de faire connaître les éléments nécessaires au succès de leurs prétentions, mais aussi de prendre connaissance de toute pièce ou observation présentée au juge en vue d’influencer sa décision et de la discuter (Vermeulen c. Belgique, arrêt du 20 février 1996, Recueil 1996-I, p. 234, § 33 ; Nideröst-Huber c. Suisse, arrêt du 18 février 1997, Recueil des arrêts et décisions 1997-I, pp. 107-108, § 24). Ce principe vaut pour les observations et pièces présentées par les parties mais aussi par un magistrat indépendant tel que le commissaire du Gouvernement (Kress c. France [GC], no 39594/98, CEDH 2001-VI ; APBP c. France, no 38436/97, 21 mars 2002), par une administration (arrêt Krčmář et autres c. République tchèque, no 35376/97, § 39, 3 mars 2000) ou par la juridiction auteur du jugement entrepris (Nideröst-Huber, précité).
44. Le juge doit lui-même respecter le principe du contradictoire, notamment lorsqu’il rejette un pourvoi ou tranche un litige sur la base d’un motif soulevé d’office ou d’une requalification juridique des faits retenue d’office (Skondrianos c. Grèce, nos 63000/00, 74291/01 et 74292/01, §§ 29-30, 18 décembre 2003 ; Clinique des Acacias et autres c. France, nos 65399/01, 65406/01, 65405/01 et 65407/01, § 38, 13 octobre 2005 ; Prikyan et Angelova c. Bulgarie, no 44624/98, § 42, 16 février 2006; Drassich c. Italie, no 25575/04, §§ 31 et 32, 11 décembre 2007).
45. Tout d’abord, la Cour convient avec le Gouvernement que la Cour de cassation a fait usage de son pouvoir incontesté de trancher l’affaire sur la base d’une question soulevée d’office. Seule la non-communication aux parties de l’intention de retenir d’office ladite question pourrait poser problème au regard de la Convention.
46. Le Gouvernement considère que la décision de ne pas ouvrir de débat contradictoire sur la question litigieuse se justifie en l’espèce en raison du caractère non controversé de la question et compte tenu du fait que celle-ci n’a pas été décisive pour l’issue du contentieux.
47. La Cour observe d’emblée qu’à aucun stade de la procédure, la question de la nullité du contrat n’a été évoquée. Ni l’administration défenderesse, ni les différentes autorités judiciaires chargées de l’affaire tout au long du contentieux n’ont mis en cause l’existence même d’une relation contractuelle entre le requérant et l’administration.
Dans ces conditions, la Cour ne saurait souscrire à la thèse du Gouvernement selon laquelle la question retenue d’office par la Cour de cassation était un élément factuel et juridique qui ne pouvait prêter à aucune controverse et qu’il était superflu de soumettre au débat contradictoire (Clinique des Acacias et autres c. France, précité, § 41).
48. Néanmoins, la Cour doit examiner si le manquement de la Cour de cassation d’assurer le contradictoire en l’espèce a privé le requérant de la possibilité de présenter ses arguments sur une question déterminante pour l’issue de la procédure.
49. A ce propos, elle constate que la Cour de cassation n’a pas tranché l’affaire seulement sur la base de la question préliminaire soulevée d’office. Tout en soulignant que la nullité entraînait à elle seule la cassation, la haute juridiction examina et rejeta au fond tous les moyens de recours du requérant, affirmant que l’intéressé aurait de toute manière été débouté de son pourvoi compte tenu du fond de ses allégations (voir paragraphe 27 ci-dessus).
Or, la Cour n’a pas de raisons de douter de la légitimité des affirmations de la haute juridiction italienne sur ce point.
50. Elle rappelle que la Convention ne vise pas à protéger des droits purement théoriques ou illusoires (voir, parmi d’autres, a contrario, Artico c. Italie, arrêt du 13 mai 1980, série A no 37, § 33). Par conséquent, dans les circonstances particulières de sa cause, le requérant ne saurait affirmer avoir été privé de l’opportunité de présenter ses arguments sur une question essentielle et déterminante pour l’issue de la procédure (a contrario, Prikyan et Angelova c. Bulgarie, précité, § 52).
51. En conclusion, il n’y a pas eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention.
PAR CES MOTIFS, LA COUR, À L’UNANIMITÉ,
1. Déclare le restant de la requête recevable ;
2. Dit qu’il n’y a pas eu violation de l’article 6 § 1 de la Convention.
Fait en français, puis communiqué par écrit le 22 septembre 2009, en application de l’article 77 §§ 2 et 3 du règlement.
Sally Dollé Françoise Tulkens
Greffière Présidente

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