SECONDA SEZIONE
CAUSA CIMOLINO C. ITALIA
(Richiesta no 12532/05)
SENTENZA
STRASBURGO
22 settembre 2009
Questa sentenza diventerà definitiva nelle condizioni definite all’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire dei ritocchi di forma.
Nella causa Cimolino c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, riunendosi in una camera composta da:
Francesca Tulkens, presidentessa, Ireneu Cabral Barreto, Vladimiro Zagrebelsky, Danutė Jočienė, Dragoljub Popović, András Sajó, Işıl Karakaş, giudici,
e da Sally Dollé, cancelliera di sezione,
Dopo avere deliberato in camera del consiglio il 3 maggio 2007 e il 1 settembre 2009,
Rende la sentenza che ha adottato in questa ultima data:
PROCEDIMENTO
1. All’origine della causa si trova una richiesta (no 12532/05) diretta contro la Repubblica italiana e in cui un cittadino di questo Stato, il Sig. G. P. C. (“il richiedente”), ha investito la Corte il 9 marzo 2005 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“la Convenzione”).
2. Il richiedente è rappresentato da A. B., avvocato a Milano. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, la Sig.ra E. Spatafora, e dal suo coagente, M.N. Lettieri.
3. Il richiedente adduceva in particolare una violazione del principio del contraddittorio.
4. Il 3 maggio 2007, la Corte ha dichiarato la richiesta parzialmente inammissibile e ha deciso di comunicare il motivo di appello tratto dall’articolo 6 § 1, per ciò che riguarda il rispetto del principio del contraddittorio, al Governo. Come permesso dall’articolo 29 § 3 della Convenzione, è stato deciso inoltre che la camera si sarebbe pronunciata sull’ammissibilità ed il merito allo stesso tempo.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DELLO SPECIFICO
5. Il richiedente è nato nel 1933 e risiede a Milano. E’ avvocato esperto in materia di lavori pubblici.
6. Con una decisione dell’ 8 aprile 1991, la municipalità di Cambiago decise di assumere il richiedente come consigliere giuridico. Nella cornice della costruzione di una struttura sportiva pubblica, il richiedente doveva fornire dei pareri giuridici per la gestione dei rapporti tra l’amministrazione e le imprese di costruzione. Suddetta decisione fissava l’importo della parcella dovuta al richiedente a 6 000 000 lire italiane (ITL), o 3 000 euro (EUR) circa. Questo importo era stato valutato dall’interessato conformemente alle tariffe professionali in vigore all’epoca.
7. Con una decisione del 24 febbraio 1992, la municipalità, facendo diritto ad una domanda del richiedente, gli concedette l’ulteriore somma di 4 000 000 ITL, alzando così l’importo della parcella a 10 000 000 ITL, o 5 000 EUR circa.
8. Con una nota del 27 ottobre 1992, il richiedente richiese alla municipalità la somma di 41 899 154 ITL, o 22 000 EUR circa, a titolo di parcella e di recupero degli oneri incorsi nella gestione della pratica di cui si era occupato per conto dell’amministrazione.
9. Il 16 aprile 1993, non avendo l’amministrazione eseguito il saldo, il richiedente mandò la nota della parcella al consiglio dell’ordine degli avvocati di Milano e ne sollecitò la liquidazione.
10. In una lettera del 23 marzo 1993, il rappresentante della municipalità rispose che, al di là di ogni considerazione concernente l’importo chiesto, la somma non poteva essere pagata poiché non era stata oggetto di un’approvazione da parte degli organi esecutivi e contabili dell’amministrazione.
11. Il 29 luglio 1993, il consiglio dell’ordine degli avvocati di Milano invitò l’amministrazione a liquidare la parcella.
12. In seguito al rifiuto dell’amministrazione di ubbidire, il richiedente introdusse un ricorso dinnanzi al tribunale di Milano per ottenere un’ingiunzione di pagamento di 50 321 724 ITL, o la somma richiesta nella nota di parcella del 27 ottobre 1992 aumentata degli oneri e degli interessi. Il presidente del tribunale fece diritto a questa istanza e, con un atto notificato il 30 giugno 1994, l’ingiunzione di pagamento fu notificata alla municipalità.
13. Il 15 luglio 1994, la municipalità fece opposizione all’ingiunzione. Affermò che, conformemente all’articolo 23 del decreto legislativo no 66 del 1989, l’amministrazione può onorare solamente le somme il cui pagamento è stato approvato prima di tutto dagli organi amministrativi competenti. L’amministrazione convenuta aggiunse che, sei degli impegni irregolari erano stati presi col richiedente, questi dovevano essere imputati al sindaco di Cambiago all’epoca dei fatti e non all’amministrazione municipale.
14. Avendo l’ingiunzione di pagamento forza esecutiva provvisoria, l’amministrazione pagò al richiedente la somma che aveva richiesto.
15. Il 8 giugno 1994, la municipalità aveva introdotto nel frattempo, un ricorso dinnanzi al tribunale di Milano che mirava a fare dichiarare l’illegittimità di ogni pretesa del richiedente posteriore alla decisione del 24 febbraio 1992.
16. Il 3 aprile 1996, l’amministrazione introdusse inoltre, un ricorso contro la Sig.ra R.M, il sindaco di Cambiago all’epoca del reclutamento del richiedente, per ottenere la condanna di questa a pagare ogni somma che la municipalità avrebbe potuto essere tenuta a versare all’interessato.
17. R.M. si costituì nel procedimento. Sostenne che le prestazioni indicate nella nota di parcella del 27 ottobre 1992 erano state compiute realmente dal richiedente e dovevano essere considerate come facenti parte delle attività necessarie per la gestione della pratica di cui era stato incaricato l’ 8 aprile 1991.
18. All’udienza del 27 novembre 1996, questi due ultimi ricorsi furono riuniti al procedimento di opposizione all’ingiunzione pendente dinnanzi al tribunale di Milano.
19. Il 28 maggio 1997, il richiedente chiese al tribunale di condannare la Sig.ra R.M a pagare la sua parcella nel caso in cui l’amministrazione non sarebbe stata considerata responsabile.
20. Con un giudizio del 3 dicembre 1998, il tribunale accolse l’opposizione della municipalità e respinse tutte le istanze del richiedente. Affermò che, ai termini del decreto legislativo no 66 del 1989, né l’amministrazione né l’ex-sindaco di Cambiago potevano essere considerati responsabili per il pagamento della somma richiesta dal richiedente, nella misura in cui non era stata approvata dagli organi amministrativi competenti.
21. Quindi, il tribunale revocò l’ingiunzione di pagamento emessa contro l’amministrazione.
22. Il richiedente interpose appello. Con una sentenza del 23 maggio 2000, la corte di appello di Milano modificò parzialmente il giudizio di prima istanza, pure confermando la revoca dell’ingiunzione di pagamento a riguardo dell’amministrazione. Rilevò che le sole somme il cui pagamento era imputabile all’amministrazione erano quelle approvate dall’organo esecutivo della municipalità, l’ 8 aprile 1991 e il 24 febbraio 1992, ed espressamente fissate come rimunerazione per i pareri giuridici resi nella cornice dei rapporti tra l’amministrazione e le imprese di costruzione, tanto più che la realtà di queste prestazioni non era stata messa in dubbio dall’amministrazione.
23. In compenso, per ciò che riguardava le altre attività professionali esercitate dal richiedente ed indicate nella nota di parcella del 27 ottobre 1992, la corte di appello sostenne che queste dovevano essere pagate personalmente dagli agenti dell’amministrazione che li avevano sollecitati. In particolare, risultava da suddetta nota che la Sig.ra R.M che non aveva mai negato del resto di avere conferito un mandato al richiedente per compiere delle consultazioni giuridiche supplementari, era responsabile del pagamento di 4 733 000 ITL. Il restante delle prestazioni non era imputabile né all’amministrazione né all’ex-sindaco.
24. Il richiedente e la Sig.ra R.M. ricorsero in cassazione. In particolare, il richiedente contestò l’interpretazione della corte di appello secondo la quale la decisione della municipalità dell’ 8 aprile 1991 si riferiva solamente al compimento dei pareri giuridici specificamente indicati e non, più generalmente, ad ogni attività professionale necessaria per regolare la causa.
25. Con una sentenza del 6 maggio 2004, depositata alla cancelleria il 30 luglio 2004 e notificata al richiedente il 14 settembre 2004, la Corte di cassazione respinse il richiedente del suo ricorso. Nonostante il fatto che né il tribunale né la corte di appello si fossero dedicati alla questione, rilevò l’inesistenza di ogni impegno contrattuale dell’amministrazione municipale nei confronti il richiedente. La Corte di cassazione affermò che, ai sensi degli articoli 16 e 17 del decreto reale (“Regio Decreto”) no 2240 del 1923, ogni contratto concluso dall’amministrazione pubblica deve essere redatto imperativamente per iscritto, sottoscritto dalle parti e deve indicare chiaramente le prestazioni da compiere e l’importo della rimunerazione. Ora, nello specifico, la Corte di cassazione rilevò che nello specifico, le decisioni dell’ 8 aprile 1991 e del 24 febbraio 1992 con cui l’organo esecutivo della municipalità aveva deciso di assumere il richiedente, non erano state completate da documenti che rispettavano i criteri prescritti dalla legge sotto pena di nullità. Suddette decisioni erano semplicemente degli atti interni che autorizzavano l’amministrazione ad assumere il richiedente e non potevano essere considerati come dei contratti.
26. Riferendosi alla sua giurisprudenza, la Corte di cassazione fece valere che, nelle cause che hanno fatto riferimento all’esecuzione di obblighi contrattuali, ogni questione concernente la nullità del contratto dipende dalle questioni preliminari della causa e può essere sollevata quindi dal giudice in tutte le fasi del procedimento, purché la pratica contenga i documenti necessari che permettono di concludere all’inesistenza del contratto. Nell’occorrenza, il difetto di un contratto scritto formalmente che impegna l’amministrazione ed il richiedente risultava chiaramente dalla sentenza della corte di appello così come dal ricorso dell’interessato.
27. L’alta giurisdizione aggiunse che, anche facendo astrazione della questione preliminare relativa alla nullità del contratto che coinvolgeva da sola la cassazione, il ricorso doveva essere respinto ad ogni modo.
Affermò in primo luogo che non rientrava nelle sue prerogative censurare e modificare l’interpretazione che i giudici del merito avevano dato alle decisioni della municipalità dell’ 8 aprile 1991 e del 24 febbraio 1992. Inoltre, uno dei mezzi del richiedente non era stato formulato in modo specifico. Infine, l’affermazione del richiedente concernente il difetto di motivazione della sentenza della corte di appello non era fondata.
28. Il 19 maggio 2005, la municipalità di Cambiago intimò al richiedente di restituire la somma che aveva percepito in seguito all’esecuzione dell’ingiunzione.
II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
29. L’articolo 183 del codice procedimento civile, terzo capoverso, contempla che il giudice indichi alle parti le questioni che possono essere rilevate d’ufficio di cui stima necessario l’esame, all’epoca della prima udienza dinnanzi a lui.
IN DIRITTO
I. SULLA VIOLAZIONE ADDOTTA DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE
30. Il richiedente adduce che il procedimento dinnanzi alla Corte di cassazione non è stato condotto in modo contraddittorio. Invoca l’articolo 6 § 1 della Convenzione, ai termini del quale:
“Ogni persona ha diritto affinché la sua causa sia equamente sentita da un tribunale che deciderà delle contestazioni sui suoi diritti ed obblighi di carattere civile. “
31. Il Governo si oppone a questa tesi.
A. Sull’ammissibilità
32. La Corte constata che questo motivo di appello non è manifestamente mal fondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incontra nessun altro motivo di inammissibilità. Conviene dunque dichiararlo ammissibile.
B. Sul merito
1. Argomenti delle parti
33. Il richiedente fa valere che la questione di diritto sulla base della quale la sua causa è stata decisa, ossia la nullità del contratto di lavoro da parte dell’amministrazione, è stata sollevata d’ ufficio dalla Corte di cassazione e non è stata sottoposta alle parti durante il procedimento.
34. Sostiene di essere stato privato di una discussione contraddittoria su una questione cruciale della sua causa, perché l’esistenza del suo contratto di lavoro costituisce il premesse giuridico e di fatto di tutte le sue pretese.
In più, la risoluzione di questa questione giuridica aveva acquisito secondo il richiedente l’autorità di cosa giudicata, nella misura in cui i giudici di prima e di seconda istanza avevano esaminato il merito delle sue istanze ed avevano riconosciuto così implicitamente la realtà della sua relazione contrattuale con l’amministrazione. Il richiedente avrebbe potuto sollevare un’eccezione di decadenza se la Corte di cassazione avesse permesso il contraddittorio sulla questione.
35. Il richiedente sostiene inoltre che la Corte di cassazione, andando al di là delle sue competenze, ha deciso di considerare non solo d’ ufficio una questione di diritto, ma anche una questione di fatto. Avrebbe dovuto chiedere alla corte di appello, giudice del merito, di verificare se un atto contrattuale formalmente costituito esisteva nello specifico. Il richiedente afferma che tale atto avrebbe potuto essere scoperto nella decisione della municipalità dell’ 8 aprile 1991, sottoscritta dal sindaco, corredato dell’atto di accettazione dei carichi, firmato da lui. A questo proposito, gli dispiace non avere avuto la possibilità di dibattere l’interpretazione delle disposizioni di legge che regolano i contratti tra gli individui e le amministrazioni pubbliche.
36. Infine, il richiedente confuta l’argomento del Governo secondo cui la questione sollevata d’ufficio dalla Corte di cassazione non è stata determinante per la conclusione del procedimento. Afferma che l’argomento derivato della pretesa nullità del contratto di lavoro ha influenzato probabilmente le osservazioni dell’alta giurisdizione riguardante gli altri mezzi di ricorso.
37. Il Governo riconosce che la questione della nullità del contratto di lavoro del richiedente è stata considerata d’ ufficio dalla Corte di cassazione e non è stata comunicata alle parti durante il procedimento.
38. Primariamente, il Governo rivendica il diritto, per una giurisdizione, di decidere una controversia sulla base di una questione sollevata d’ufficio. Il semplice fatto che la Corte di cassazione abbia considerato la questione della nullità del contratto non potrebbe costituire quindi in sé un ostacolo al diritto ad un processo equo.
39. In quanto alla non-comunicazione alle parti dell’intenzione di utilizzare una questione considerata d’ ufficio, il Governo fa valere al primo colpo che il diritto interno garantisce in principio il rispetto del contraddittorio, nella misura in cui impone ai giudici l’obbligo di informare le parti di ogni questione considerata d’ ufficio, per permettere loro di dibatterne prima che una decisione venga presa.
40. Però, stima che bisogna distinguere secondo la natura della questione in causa. Nel caso specifico, la nullità del contratto di lavoro, derivante dall’applicazione delle disposizioni di legge in materia di contratti con l’amministrazione pubblica, era un elemento di fato e giuridico che non si prestava a nessuna controversia. Da una parte, le parti non potevano ignorare l’inesistenza di un contratto, dall’altra parte, si supponeva conoscessero le disposizioni di legge pertinenti in materia la cui chiarezza e prevedibilità non potrebbe essere messa in dubbio.
41. Il Governo ammette che i giudici di prima e di seconda istanza hanno commesso un errore quando non hanno rilevato la questione preliminare concernente la nullità del contratto. Tuttavia, niente impediva l’alta giurisdizione di ovviare all’errore, conformemente alla sua missione di interprete supremo del diritto interno, e di correggere le decisioni rese dai giudici del merito.
42. Comunque sia, la Corte di cassazione non ha fondato il suo giudizio sulla sola questione preliminare sollevata d’ ufficio che coinvolgeva solo la cassazione stessa. Il ricorso del richiedente sarebbe stato respinto difatti, comunque in ragione della mancanza di fondamento degli altri mezzi sollevati dall’interessato.
Il Governo si riferisce alla motivazione della sentenza della Corte di cassazione e sostiene che non essendo stata la questione controversa determinante e decisiva per la causa, non si potrebbe affermare che vi sia stata una violazione del diritto ad un processo equo. Sottolinea a questo proposito che la Convenzione protegge dei diritti reali ed effettivi e non teorici o illusori.
2. Valutazione della Corte
43. La nozione di processo equo comprende il diritto ad un processo contraddittorio che implica il diritto per le parti di fare conoscere gli elementi necessari al successo delle loro pretese, ma anche di prendere cognizione di ogni documento od osservazione presentata al giudice in vista di influenzare la sua decisione e di discuterla (Vermeulen c. Belgio, sentenza del 20 febbraio 1996, Raccolta 1996-I, p. 234, § 33; Nideröst-Huber c. Svizzera, sentenza del 18 febbraio 1997, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-I, pp. 107-108, § 24). Questo principio vale per le osservazioni e documenti presentati dalle parti ma anche da un magistrato indipendente come il commissario del Governo (Kress c. Francia [GC], no 39594/98, CEDH 2001-VI; APBP c. Francia, no 38436/97, 21 marzo 2002) da un’amministrazione (sentenza Krčmář ed altri c. Repubblica ceca, no 35376/97, § 39, 3 marzo 2000) o dalla giurisdizione autrice del giudizio intrapreso (Nideröst-Huber, precitata).
44. Il giudice stesso deve rispettare il principio del contraddittorio, in particolare quando respinge un ricorso o decide in merito a una controversia sulla base di un motivo sollevato di ufficio o di una riqualificazione giuridica dei fatti considerati di ufficio (Skondrianos c. Grecia, numeri 63000/00, 74291/01 e 74292/01, §§ 29-30, 18 dicembre 2003; Clinica delle Acacie ed altri c. Francia, numeri 65399/01, 65406/01, 65405/01 e 65407/01, § 38, 13 ottobre 2005; Prikyan ed Angelova c. Bulgaria, no 44624/98, § 42, 16 febbraio 2006; Drassich c. Italia, no 25575/04, §§ 31 e 32, 11 dicembre 2007).
45. Innanzitutto, la Corte conviene col Governo che la Corte di cassazione ha fatto uso del suo potere incontestato di decidere la causa sulla base di una questione sollevata d’ ufficio. Solo la non-comunicazione alle parti dell’intenzione di considerare d’ ufficio suddetta questione potrebbe dare problemi allo sguardo della Convenzione.
46. Il Governo considera che la decisione di non aprire di dibattito contraddittorio sulla questione controversa si giustifica nello specifico in ragione del carattere non controverso della questione e tenuto conto del fatto che questa non è stata decisivo per la conclusione del contenzioso.
47. La Corte osserva al primo colpo che a nessuno stadio del procedimento, la questione della nullità del contratto è stata menzionata. Né l’amministrazione convenuta, né le differenti autorità giudiziali incaricate della causa per tutto il contenzioso hanno messo in causa l’esistenza stessa di una relazione contrattuale tra il richiedente e le amministrazioni.
In queste condizioni, la Corte non potrebbe aderire alla tesi del Governo secondo la quale la questione considerata d’ ufficio dalla Corte di cassazione era un elemento di fatto e giuridico che non poteva prestarsi a nessuna controversia e che era superfluo sottoporlo al dibattito contraddittorio (Clinica delle Acacie ed altri c. Francia, precitata, § 41).
48. Tuttavia, la Corte deve esaminare se la trasgressione della Corte di cassazione nel garantire il contraddittorio nello specifico ha privato il richiedente della possibilità di presentare i suoi argomenti su una questione determinante per la conclusione del procedimento.
49. A questo proposito, constata che la Corte di cassazione non ha deciso la causa solamente sulla base della questione preliminare sollevata d’ufficio. Pure sottolineando che la nullità provocava da sola la cassazione, l’alta giurisdizione esaminò e respinse al merito tutti i mezzi di ricorso del richiedente, affermando che l’interessato sarebbe stato respinto comunque del suo ricorso tenuto conto del merito delle sue affermazioni (vedere sopra paragrafo 27).
Ora, la Corte non ha ragioni di dubitare della legittimità delle affermazioni dell’alta giurisdizione italiana su questo punto.
50. Ricorda che la Convenzione non mira a proteggere dei diritti puramente teorici o illusori (vedere, tra altre, a contrario, Artico c. Italia, sentenza del 13 maggio 1980, serie A no 37, § 33). Di conseguenza, nelle circostanze particolari della sua causa, il richiedente non potrebbe affermare di essere stato privato dell’opportunità di presentare i suoi argomenti su una questione essenziale e determinante per la conclusione del procedimento (a contrario, Prikyan ed Angelova c. Bulgaria, precitata, § 52).
51. In conclusione, non c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,
1. Dichiara il restante della richiesta ammissibile;
2. Stabilisce che non c’è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
Fatto in francese, poi comunicato per iscritto il 22 settembre 2009, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 dell’ordinamento.
Sally Dollé Francesca Tulkens
Cancelliera Presidentessa